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BIBLIOTECA DI RIVISTA DI STUDI ITALIANI
CONTRIBUTI
“GUERRA SENZA ODIO”.
APPUNTI PER UNA LETTURA STORICA
DI CONTRO-PASSATO PROSSIMO*
LUIGI WEBER
Università degli Studi di Bologna
Le attuazioni mi attraggono sempre molto meno che le cose inattuate, e con
ciò non intendo soltanto quelle del futuro ma altresì quelle passate, mancate.
Robert Musil, L’Uomo senza qualità
E perché no, dopotutto? Può darsi, può darsi anche questo.
Guido Morselli, Contro-passato prossimo
N
ei confronti di uno scrittore segnato da una così radicale solitudine
come fu Guido Morselli, solitudine e incomprensione sulle quali,
certo, si sono spese molte più parole che intorno ai suoi romanzi,
perpetuando così un destino ingiusto ben oltre la tragica dipartita autoinflitta
il 30 luglio del 1973, nei confronti di tale scrittore, dicevo, è una scelta critica
non irrispettosa né priva di senso dedicarsi a una lettura innocente o ingenua,
se non appunto solitaria, di uno dei suoi ultimi capolavori. Contro-passato
prossimo1 fu scritto e riscritto tra il 1969 e il 19732, con un rovello di cui però
si scorgono poche tracce persino nel Diario3. E abbiamo parlato di lettura
“solitaria”, cioè pressoché astratta dalla – peraltro ancora esigua –
bibliografia critica, perché l’intento del presente studio sarebbe quello di
concentrarsi soprattutto su alcuni aspetti non peculiarmente letterari, nel
mezzo della messe di elementi che rendono le duecentosessanta pagine del
testo una selva impossibile da compendiare.
In primo luogo, alcuni fatti:
Il romanzo fu […] al centro di una lunga e complessa trattativa con
Mondadori tra il 1970 e il 1973, con Alcide Paolini che sulla base delle
schede dei lettori di casa Mondadori propone a Morselli di “tagliar via la
seconda metà del libro”, con Morselli che ovviamente rifiuta un’operazione
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che rischia di ridurre l’opera (come scrive a Sereni) “a un’amenità, a qualcosa
di mezzo tra Piero Chiara e un’arbasinata” (vedi “Morselli rifiutato”, dossier
de L’Espresso del 7 febbraio 1993, p. 28; […]). Uno dei motivi che indussero
Morselli a interrompere la trattativa è che nel 1973 vede la luce proprio
presso Mondadori Asse pigliatutto di Lucio Ceva, costruito sulla stessa idea
portante del suo Contro-passato prossimo (in Ceva la riscrittura della storia
‘inventa’ una seconda guerra mondiale vinta dall’Asse), ma senza
ovviamente le scelte stilistiche che fanno del romanzo di Morselli ben altra
opera4.
“L’idea portante” cui fa riferimento Paccagnini è quella che, con termine
ben noto ai conoscitori di fantascienza e di letteratura postmoderna, si usa
definire ucronia5, vale a dire l’invenzione di un tempo alternativo, nel quale
“qualcosa” è andato diversamente da ciò che sappiamo, e con effetto-domino
ha generato, a cascata, un’intera realtà parallela, gemellata con quella in cui si
vive, innervata dello stesso sangue, connessavi da innumerevoli gangli, e
purtuttavia differente. Anzi divergente, ossia “divertente”, nel senso di una
diversione che illumina tanto più il senso del reale effettuale di quanto il reale
medesimo possa, nella sua apparente marmorea datità6. In questo caso, una
Prima Guerra Mondiale “inciampata” in un evento singolo capace di
scardinare l’intero conflitto, all’altezza del 1916, dalla stasi
interminabilmente sanguinosa delle trincee, e di risolverlo in maniera
repentina a favore degli Imperi Centrali. L’evento sarebbe un’operazione
militare inattesa e quasi incruenta che provoca, in rapida successione, la
capitolazione dell’Italia e poco dopo della Francia, seguite in breve tempo
dalla resa dell’Inghilterra e dall’armistizio con la Russia rivoluzionaria.
La “stessa idea portante”, “ma senza ovviamente le scelte stilistiche”,
precisa Paccagnini. Scelte cui occorrerebbe aggiungere delle non meno
rilevanti opzioni ideologiche. Glissando sul fatto che la science-fiction
anglosassone aveva già prodotto numerosi esempi di ucronie intorno a una
Seconda Guerra Mondiale vinta dall’Asse – su tutte, The Man in the High
Castle di Philip Dick, uscito nel 1962 e vincitore del premio Hugo, ossia del
più prestigioso premio per la fantascienza internazionale7 – dovrebbe essere
evidente quale diverso connotato, specie tra gli anni Sessanta e i Settanta,
recasse l’immaginare un nazismo trionfante, come fa Ceva 8, rispetto al
concepire un’Austria Felix de-asburgizzata e una Germania de-kaiserizzata
che, sotto la guida di Walter Rathenau (qui scampato all’attentato dei
nazionalisti antisemiti che in realtà lo uccise il 24 giugno 19229), conducono
l’Europa verso una stagione di unità politica e di maggiore giustizia sociale,
erigendo dalle macerie del conflitto una prima Federazione di stati, l’UNOD,
Unione delle Nazioni Occidentali Democratiche 10. “Gli uomini del 1917 – si
legge nel Diario – come già quelli del 1789, si erano proposti di unificare
l’Europa. Non ci sono riusciti”11.
Ma, naturalmente, l’‘ipotesi’ di Morselli non solo è più sottile e meno
commerciale: è anche più significativa, e merita di essere indagata, a partire
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dalle sue fonti, e nell’autentico significato di esse.
La critica, finora, non si è posta una domanda a mio parere essenziale,
mentre prendeva atto del gran numero di personaggi storici che popolano il
romanzo, interagendo con altri d’invenzione: perché mai Morselli, oltre a
intrecciare i fili della sua contro-storia con i grandi protagonisti del dramma
europeo d’allora e di poi, quali Hindenburg e Ludendorff, Conrad von
Hötzendorf e Tirpitz, Aristide Briand e Woodrow Wilson, Giolitti 12 e Nitti,
Churchill e il Kaiser Guglielmo II13, Lenin14 e Rathenau, Marinetti e
D’Annunzio, fino ad Albert Einstein e al giovane Hitler, perché mai regala il
ruolo di protagonista attivo a Rommel? Una scelta facile, di immediata
visibilità, quasi cinematografica 15? Dovendo scegliere un abile militare
tedesco, il primo a sovvenire era Rommel? Magari in molti avranno pensato
così, supponendo – erroneamente – che la Edelweiss Expedition (evento
fittizio), nata dall’intuizione del maggiore Walter Von Allmen (personaggio
fittizio), fosse un’invenzione integrale di Morselli. Un pensieroso piccolo
ufficiale con la passione per l’arte e per l’osservazione, ancora in tempo di
pace, immagina di trasformare una miniera abbandonata a Röschenen in una
galleria ferroviaria nascosta, attraverso cui trasferire nel cuore della
Valtellina le truppe austro-ungariche, e d’un tratto il suo stravagante piano in
potenza diventa un deflagrante atto. Rommel sarebbe dunque stato calato
dall’alto, in questa fantasia, come occasionale integratore di realtà. Ma è
un’opzione critica anch’essa facile. Strano a dirsi, il soldato assurto a stratega
per antonomasia nella seconda guerra mondiale, la Volpe del Deserto, che
giganteggia, di persona o con le conseguenze delle sue azioni e dei suoi
metodi, per oltre metà del romanzo16, non ha ricevuto l’attenzione che merita.
E invece Rommel è la chiave di volta di Contro-passato prossimo. Di più: è
l’autentico ispiratore della macchina consequenzialissima, plausibilissima,
allestita da Morselli a partire da un piccolo fatto vero, seppur poco noto17.
A proposito di fonti, infatti, una fonte cruciale ma mai ricordata è il libro di
memorie del futuro Feldmaresciallo, Fanterie all’assalto18. Pubblicato in
Germania nel 1937, vi si raccontava con minuzia di dettagli, cartine autografe
comprese, l’esperienza bellica del giovane tenente tedesco nella Prima
Guerra Mondiale, dal Belgio alle Argonne, dai Vosgi ai Carpazi, e in
particolare le straordinarie imprese 19 compiute, appena venticinquenne, sul
fronte italiano nei giorni dell’offensiva di Caporetto20. A rovescio, Fanterie
all’assalto offriva così anche un punto di vista prezioso sulla rotta italiana, il
maggior disastro militare subito da un esercito in tutto il conflitto del ’14-’18.
Il volume fu tradotto solo nel 1972 da Longanesi, ma godette di ampio
prestigio fin dalla sua uscita, tanto che nelle scuole di guerra veniva studiato
come un testo capitale. Difficile che Morselli, il quale possedeva buona
confidenza con la lingua tedesca, e aveva servito come ufficiale in Sardegna e
in Calabria, non ne avesse avuto almeno notizia. Negli anni del secondo
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dopoguerra, inoltre, Garzanti aveva stampato un altro volume di memorie del
feldmaresciallo, Guerra senza odio, titolo che potrebbe valere anche come
epitome di Contro-passato prossimo21. Dovunque Morselli abbia compulsato
i memoriali di Rommel, che lo abbia fatto non sembra meramente
congetturale: lo prova il romanzo. Del quale è protagonista diretto proprio un
giovane capitano tedesco nato nel 1891, di nome Edwin Rommel, autore di
un colpo di mano audacissimo che rovescia le sorti del conflitto e dell’Europa
tutta22.
Ma andiamo con ordine, e torniamo per l’appunto alla storia vera: cosa
aveva mai potuto compiere – e come – un ufficiale subalterno, sul fronte
italiano? Di certo, qualcosa di straordinario, se un importante storico militare
si sbilancia a scrivere:
[…] il distaccamento Rommel ha compiuto miracoli. Dall’alba del 25
[ottobre, ndr] a mezzogiorno del 26, per 30 ore ha combattuto senza
soste, contando 6 morti e 30 feriti. In compenso ha catturato 9000 soldati,
150 ufficiali e 81 cannoni. Nessuna impresa di Rommel nella seconda
guerra mondiale è confrontabile per audacia, coraggio e soprattutto
abilità di comando con quanto egli ha compiuto a 26 anni da tenente fra
il Podklabuc e il Matajur. […] Venticinque anni dopo non avrebbe potuto
fare ciò che fece, senza la eccezionale esperienza manovriera acquisita sul
Kolovrat23.
La fonte primaria, sasso nello stagno o primo clic associativo, forse, è
ancora un’altra; ai memoriali di Rommel Morselli arrivò, o tornò magari in
un secondo tempo, spinto dalla lettura de La Grande Guerra di Riccardo
Posani24, opera divulgativa a fascicoli pubblicata da Sansoni nel 1968, un
solo anno prima dell’inizio della scrittura del romanzo.
Ripercorriamo, per quanto si può, le tappe salienti di quella Blitzkrieg ante
litteram:
[…] di prima mattina, affluisce da costa Raunza sui rovesci settentrionali
del Podklabuc il temibile battaglione del Württemberg, comandato dal
maggiore Sprosser. È un super-battaglione di tre distaccamenti, ciascuno
composto da 2 compagnie fucilieri e una di mitraglieri. Il tenente
Rommel, […] che comanda uno dei tre distaccamenti, concepisce il
disegno di prendere gli italiani di sorpresa. I soldati della brigata Arno,
scrutando verso l’Isonzo, sono distratti dal panorama lontano e non si
accorgono che sotto di loro, rasenti agli scoscesi dirupi, cominciano a
sfilare silenziosi, aggrappati alle pareti rocciose […], questi diavoli del
Württemberg. Mentre si riaccendono i combattimenti intorno al Podklabuc,
Rommel e i suoi 500 uomini avanzano sotto la parete nord del crinale per
oltre un chilometro. Imbattutisi in un plotone italiano immerso nel sonno,
catturano 40 uomini e due mitragliatrici senza sparare un colpo. […] Tutto
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si è svolto come nelle guerre dei Sioux. Poco dopo è la volta di una
batteria di medi calibri: gli artiglieri stanno lavandosi, quando devono
alzar le mani. Anche questo agguato è avvenuto in silenzio. Ora Rommel
è sul passo di Naverko e vuole impadronirsi del Nachnoi. L’ordine è
sempre quello: infiltrarsi e non aprire il fuoco, se non per necessità. Le
trincee vengono rastrellate fulmineamente, perché i più dei soldati sono
ancora dentro le caverne, dove restano imbottigliati. Le vedette, sorprese
mentre guardano l’Isonzo, allo scorgere i tedeschi si sentono svuotare e
lasciano cadere le armi. I prigionieri sono centinaia, quando gli uomini di
Rommel giungono ad appena 300 metri a oriente del Nachnoi.
[…]
Dopo tre ore di cauta marcia, alle 9 del mattino Rommel è già riuscito a
circondare il Nachnoi. Egli non organizza un attacco contemporaneo, non
fa l’‘ondata’. Prima si muove un pattuglione per distrarre il nemico, poi
apre il fuoco un secondo da direzione inopinata, e così via in un
crescendo di confusione, che in un quarto d’ora porta alla resa i 500
uomini di presidio (probabilmente quasi tutto il I/214°).
L’infaticabile Rommel punta ora verso il Kuk.
[…]
Dalla conquistata vetta del Nachnoi un fuoco infernale si abbatte sul Kuk,
che però gli italiani difendono strenuamente. Per superare l’impasse,
Rommel ha un’idea audace: aggirerà il monte da sud e lo assalirà dalla
direzione più inaspettata. […] Percorre strade militari mimetizzate con
festoni, carriaggi e autocarri italiani sfilano in senso contrario, nessuno si
accorge di nulla […]. Da Ravne Rommel può contemplare la strada
Luico-San Pietro, lungo la quale si svolge un traffico tranquillo senza
misure di protezione. […] Ma ecco profilarsi un grosso distaccamento di
bersaglieri, che ripiega ordinatamente da Luico verso Savogna. Quel che
avviene dopo è una piccola Canne: il nemico, infagottato in formazione
chiusa, è tenuto a bada da poche mitragliatrici.
[…]
II distaccamento Rommel non si ferma al disfacimento della brigata Arno
e punta verso la vetta del Matajur, 1641 metri, sulla quale è inchiodato il
grosso della brigata Salerno. […] La tattica fu sempre la stessa: delle
Canne in miniatura. Reparti non numerosi ma ben disciplinati circondano
grossi nuclei nemici e ne impediscono lo spiegamento, cosicché son
pochi, fra gli attaccati, quelli che combattono: gli altri restano in mezzo a
far peso […]25.
Che cosa trovava, Morselli, in questi episodi della prima guerra mondiale?
Trovava almeno cinque elementi che costituiscono l’ossatura profonda di
Contro-passato prossimo: novità, velocità, efficienza, sorpresa, scarso o nullo
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spargimento di sangue. Trovava una guerra diversa, ideale ma non utopica,
perché qualcuno davvero l’aveva combattuta così, e così l’avrebbe potuta
vincere, se solo gli alti comandi se ne fossero resi conto 26, non relegandola
soltanto a episodio isolato, per quanto glorioso. Nel romanzo, prima di dare il
via a una spedizione notturna motorizzata che lo porterà a prender di sorpresa
presidî, guarnigioni, a catturare comandanti in vestaglia e generali in villa, a
muoversi per chilometri lungo le retrovie del fronte, dove nessuno è
preparato a combattere, e nessuno lo sa fare, a convocare giornalisti per far
trapelare notizie dei suoi successi, Rommel dice ai suoi: “Il nostro nemico
numero uno, qual è? Il principio della guerra di posizione. Nasce come prassi
nel conflitto russo-giapponese, oggi è un principio intoccabile, un dogma.
Dobbiamo smentirlo”. L’addestramento pratico degli uomini, largamente
dotati di mitragliatrici e armati individualmente di Maschinenpistole,
consisteva nell’occupare incroci stradali, ponti e teste di ponte, e nel
sorprendere e eliminare piccoli centri di difesa27.
Nel Diario, nell’unico appunto esplicitamente dedicato al suo romanzo, si
trova una frase che potrebbe sembrare appena la beffarda ripresa del tema
caro allo scrittore bolognese del “dilettantismo” contrapposto agli
specialismi:
A proposito di Contro-passato.
Perché prendere tanto “sul serio” la Storia? Essa non è, in ultima analisi,
che la proiezione astratta che gli scrittori di storia (“s” minuscola) hanno
fatto della propria funzione, con pari presunzione, ora artistica ora
scientifica […]28.
Invece, il “suo” Rommel è uno specialista assoluto 29, capace di progettare
azioni con tecniche da commandos, e per di più illuminato, un soldato che
vuole fare una guerra “intelligente” e “costosa il meno possibile”30. Morselli
lo ammira per questo. Probabilmente, in quella frase del Diario si sostiene
che, astrazione per astrazione, presunzione per presunzione, allo specialismo
degli storiografi si può contrapporre un diverso specialismo, quello che
sarebbe imperfetto definire del “narratore” e che potremmo piuttosto
battezzare del “ragionatore intorno alla storia”. Soprattutto in Contro-passato
prossimo, “la scrittura è farsi realtà fattuale di un’ipotesi”31. Croce, cui
Morselli guardò sempre come un punto di riferimento imprescindibile, aveva
affermato che “un fatto condannato, un fatto al quale si ripugna, non è ancora
una proposizione storica ma, a mala pena, la premessa di un problema
storico da formulare”32. Il fatto condannato, convertito in problema storico,
era la gestione dissennata della Prima Guerra Mondiale, guerra di pura
distruzione e “logoramento” (secondo la nota teoria di Falkenhayn) come non
ve ne fu un’altra, guerra schizofrenica senza identità, sospesa tra concetti
antiquati e inattuali come l’assalto a piedi dei fanti su terreni sconvolti dalle
artiglierie, e tecnologie mai viste e ancora non ben comprese né dominate (le
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mitragliatrici, i gas, i tank, i sommergibili, le corazzate33, i dirigibili da
bombardamento34, gli aeroplani). Il modo più produttivo di prendere “sul
serio” la Storia sembra dunque a Morselli quello di osservarla in controluce e
nelle sue nicchie, nelle pieghe, nelle zone marginali. Non necessariamente,
insomma, le figure più imponenti sono le più notevoli. Falkenhayn 35 e Joffre,
Cadorna e Haig, responsabili del massacro vano di centinaia di migliaia di
uomini, contano meno, con la loro ottusità, con la loro concezione
ottocentesca dell’assalto a ondate successive, con l’incapacità arcigna di
capire il nuovo mondo in cui – purtroppo – operavano e comandavano, di
quanto non significhino nel loro piccolo Rommel e il colonnello von
Lossberg, l’inventore della “difesa elastica” tedesca.
Così, la celebre e sempre citata formula dell’Intermezzo: “Qui si parla di res
gestae, per mostrare che erano gerendae diversamente: si polemizza su fatti e
persone della realtà. Siamo con i piedi sul concreto”, appare a questo punto
leggibile anche in maniera più sfumata e problematica. Morselli non intende
solo dire – come in realtà ha fatto spesso – che preferisce il possibile
all’avvenuto, schierandosi a modo suo con una linea di pensiero che ha in
Aristotele il suo iniziatore, nel classico passo della Poetica36 dove si antepone
la poesia (noi diremmo: l’invenzione) alla storia. In primo luogo ci parla di
qualcosa che avvenne davvero, ossia di res gestae, quelle di Rommel. I suoi
critici sbagliano, seppur indirizzati (e depistati) dall’Autore, nell’intendere la
dicotomia “res gestae/res gerendae diversamente” come piatta sinonimia del
classico contrasto tra Storia e Invenzione, attribuendo per di più alla storia
(all’accaduto) l’etichetta di portatrice integrale del negativo, e all’invenzione
una componente tutta redentoria, sia pur nel campo dell’ideale. Non è solo
slacciandosi dall’accaduto che si riscrive la Storia. Per questo l’alter-ego di
Morselli rinnega “il famigerato prefisso fanta-”37. Se così fosse, così semplice
e manichea, questa implicita assiologia sarebbe troppo consolatoria, e
insieme troppo poco critica. “Delineo dei preferibili, non fingo degli optima”,
ribadisce infatti l’Autore38. Non fingo, ecco la parola cruciale, almeno quanto
cruciale è il rifiuto degli optima. E infatti, sempre nel Diario, due anni più
tardi, dopo aver completato anche il più aereo e disimpegnato Divertimento
1889, si spiega:
In quelli che A. Manzoni chiamava “i componimenti misti di storia e
d’invenzione”, è commovente, anche un po’ comico, il timore
reverenziale con cui la Storia è trattata dall’“Invenzione”. Questa si
insinua timida e guardinga fra gli avvenimenti (storici), con somma cura
di non disturbarli, di non smuoverli di un’ombra dal loro sacro,
immutabile, assetto. Qualche volta, è il massimo dell’audacia, si innova
qualcuna delle “risposte soggettive” dei personaggi della Storia, ai “fatti”
(della Storia stessa), ma questi vengon religiosamente rispettati: guai a chi
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osasse toccarli! E qui, fra il rivoluzionario Brecht (per es. nel suo Galileo)
e il reazionario Tolstoi, c’è accordo assoluto39.
Ciò che Morselli ha fatto, invece, senza alcun “timore reverenziale”, è stato
per l’appunto cogliere un fatto vero, travestirlo soltanto un poco,
dislocandolo nel tempo e nello spazio (la Valtellina invece che Caporetto),
ma senza alterarne la sostanza. Il protagonista rimane al suo posto, la tecnica
dell’operazione ne rispetta la filosofia guerresca; le conseguenze – immense
– sono più che credibili40. E anche dal punto di vista stilistico, come è stato
notato, la scrittura, sebbene brillantissima, costeggia spesso un registro da
alta e tutt’al più vagamente ironica divulgazione storiografica 41. Rubando a
Michele Mari una felice espressione (che intorno all’oggetto prescelto,
Dissipatio H.G., pure non condividiamo), se in Morselli opera “un fantasticononostante”, nello specifico di Contro-passato prossimo essa dovrebbe
declinarsi come una “storia-nonostante”.
Con una significativa tangenza verbale con il futuro passo dell’Intermezzo,
già in Fede e critica, ancora una volta dialogando con Croce, lo scrittore
bolognese aveva affermato:
L’interpretazione e valutazione di ciò che accade nel mondo spetta alla
coscienza storica. La quale, ci avverte il Croce, non è azione; […]. La
coscienza storica è pensiero, e ha l’azione come suo oggetto. E il suo è un
imperturbato giudicare, o meglio un olimpico contemplare individui ed
eventi. […] Se ne desume, per prima cosa, che non è più vera l’identità tra
historia rerum gestarum e res gestae; la storiografia, la storia “pensata”,
non è la storia vissuta. Altro la vita, altro la contemplazione della vita 42.
Ricapitolando, Rommel in Contro-passato prossimo viene convocato sul
fronte italiano – con il Württemberg Gebirgsbataillon, nei cui ranghi era
inquadrato – un anno prima di quanto realmente accadde, e i fatti cruciali
della ‘sua’ offensiva a Caporetto, nell’ottica di Morselli, sono anticipati al
1916. Ma non solo i fatti, c’è molto di più. C’è la precisa individuazione del
carattere e dell’estrazione del personaggio, la sua inappartenza alla forma
mentis degli ufficiali prussiani (Rommel era di famiglia piccolo-borghese), al
loro codice eroico anacronistico; c’è la sua elasticità mentale, la sua frequente
tendenza a un’insubordinazione proficua e astuta.
Davvero poco prussiano, questo giovane ufficiale tedesco. Insistette
perché la disciplina (formale) fosse ridotta al minimo. Niente servizio di
guardia, niente riviste e ispezioni, permessi brevi e licenze concessi con
molta generosità43.
C’è, infine, l’esatta comprensione di un fenomeno psicologico, da
psicologia delle masse combattenti, che il vero Rommel riconobbe e studiò
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sul campo, senza averlo teorizzato, ma che – soprattutto in una guerra lineare
e statica come quella in corso – avrebbe potuto davvero fare la differenza:
l’effetto paralizzante della sorpresa, l’insuperabile efficacia di un atto che
infrange tutte le regole: “I prigionieri di Rommel – spiega il Generale Mini,
attento curatore della recente ristampa di Fanterie all’assalto – non si
angustiano al pensiero della sconfitta o delle conseguenze per la patria o della
libertà perduta. Si chiedono attoniti: da dove sono sbucati e come mai alle
nostre spalle? Davanti a quattro fucili venuti da una direzione che “per
convenzione” il nemico non deve utilizzare, lo shock è tale che il cervello si
blocca. E persino gli istinti di conservazione o lo stesso impianto etico del
combattente si bloccano. Salvo poi reagire con la rabbia, la frustrazione e la
prostrazione quando ci si rende conto che i fucili sono proprio quattro, di
numero. […] A nessuno viene in mente che quella situazione si è maturata
proprio perché i fucili erano soltanto quattro. Se fossero stati di più non
sarebbero passati inosservati”44.
Il manuale di Ludendorff e del colonnello von Lossberg, inventori come
ricordato nel 1917 della “difesa elastica” e dell’attacco con piccole squadre
d’assalto, prevedeva che l’unità tattica elementare, la Stosstruppe, fosse
composta da un drappello di soli undici uomini con una mitragliatrice
leggera, protetti da sette fucilieri, e che vi fosse ampio margine di libertà
d’iniziativa ai livelli più bassi, compresi sergenti e caporali. Contemplava
inoltre ricambi molto frequenti (appena due giorni in linea di fuoco ogni
dodici, contro le interminabili settimane sempre in prima linea di tutti gli altri
eserciti), addestramenti minuziosi nelle retrovie, e soprattutto la tecnica
dell’infiltrazione e dell’aggiramento. Non esisteva niente di simile,
nell’organizzazione gerarchica e nella teoria militare europea dell’epoca 45.
Riprendendo quanto Rommel spiega ai suoi – quasi per ispirazione privata
– nella parte II a proposito della “guerra di posizione”, ecco cosa scrive
Morselli di Ludendorff nella IV:
‘Luden’ aveva studiato da tempo le strutture portanti della guerra-delletalpe, o guerra di posizione: il complicato e fragile sistema delle retrovie:
ed era giunto alla conclusione, elementare, che colpendo le retrovie dal di
dentro c’era modo di mettere in crisi, sia pure per settori ristretti, le difese
nemiche, inattaccabili frontalmente o attaccabili con enorme dispendio e
scarsi risultati. […] Raggiungere, con un’azione ‘a tradimento’, su un
tratto di un chilometro o meno, il secondo ‘corridoio’ o asse, poi risalirlo
con pochi reparti automontati, agili ma super-armati, che materialmente
aggredissero i capi e il personale dei comandi, e troncassero i
collegamenti dei comandi tra loro, e con gli organi dipendenti; lungo
venti o trenta chilometri, neutralizzare, disorganizzare, annientare le
centrali pensanti e direttive dello schieramento 46.
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Si dirà che tutta questa operazione letteraria pecchi alquanto di
filogermanismo. In effetti, Contro-passato prossimo è un romanzo il cui
autore fittizio viene accusato di ciò dall’altrettanto fittizio editore, nel dialogo
che si accampa al centro geometrico dell’opera, interrompendo la continuità
dell’“ipotesi retrospettiva”. Ma, ancora una volta, la posizione di Morselli si
offre, squadernata in piena luce, con ottime ragioni. Ipotetiche, tuttavia
storiche:
L’editore – Lei sostiene, in ultima analisi, che i tedeschi dovevano
vincere: sia pure nell’interesse dell’Europa. L’idea fu avanzata già da
Bertrand Russell, che però non la giustificava. Lei come la giustifica?
L’autore – La via all’Europa passava ‘attraverso’ i tedeschi. Non per
decreto della Storia-Provvidenza né per merito di un privilegiato
Volkgeist, morbosità concettuali che proprio loro avevano messo in
circolazione: ma per un insieme di fattori rigorosi, in larga misura
materiali. Nel novembre del ’18 ci furono troppi vincitori, la Francia,
l’Inghilterra, in primo luogo l’estranea America. Poteva […] esserci un
vincitore solo: abbastanza forte, abbastanza ‘centrale’, e europeo, per
imprimere all’Europa una rapida evoluzione unitaria. L’‘assurdità
dell’accaduto’, qui si rivela in pieno: i tedeschi non capirono niente di
questa loro funzione potenziale. Come programma massimo avevano una
nuova Sedan, un bottino di territori coloniali, lo strangolamento dei loro
concorrenti commerciali. Grettezza. Condivisa d’altronde dagli avversari,
che non erano migliori47.
Il filogermanesimo dell’Autore non si fonda affatto, come potrebbe
sembrare, sul mito dell’abilità bellica. In questo libro di guerra e sulla guerra,
la guerra quasi non si fa. Rommel non cerca davvero soldati: cerca bravi
autisti capaci di guidare a fari spenti, bravi meccanici che riparino i guasti,
abili genieri capaci di distruggere e ripristinare strade e ponti, bravi esperti in
comunicazioni capaci di mantenere o creare ponti radio. La Germania
primeggia sui mari perché spreca meno carburante degli Inglesi. E
soprattutto, dopo che i militari hanno vinto la guerra, occorre il passaggio di
testimone immediato a un imprenditore che sia anche un sociologo e un
politologo, nonché un politico abile, cioè a Rathenau, per pacificare e far
funzionare le cose. La breve parentesi del Putsch hindeburghiano, antisemita
e militarista, dimostra che, con i metodi repressivi e la legge marziale sui
territori conquistati, la guerra non avrebbe avuto mai termine48.
L’Intermezzo ha fatto pensare49 all’appendice della Cognizione del dolore,
L’Editore chiede venia del recupero chiamando in causa l’Autore. Posto che
Morselli ne abbia davvero preso ispirazione50, si è mosso comunque in
maniera assai originale, capovolgendo l’appendice. La sostanziale sintonia di
vedute (e di lingua) tra l’Editore e l’Autore gaddiani qui si disassa in un
autentico contrasto, tra le perplessità del primo e l’autoapologia del secondo.
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“GUERRA SENZA ODIO”.
APPUNTI PER UNA LETTURA STORICA
DI CONTRO-PASSATO PROSSIMO*
Inoltre, quel che Morselli fa, nel suo libro, lo si trova come profetizzato, ma e
contrario, in questo passo della Cognizione, livoroso pestaggio verbale a un
tempo della storia e della storiografia:
Una lettura consapevole […] della scemenza del mondo o della
bamboccesca inanità della cosiddetta storia, che meglio potrebbe
chiamarsi una farsa da commedianti nati cretini e diplomati somari. La
storiografia, poi, che sarebbe lo specchio, o il ritratto, o il ricupero
mentale di codesta “storia”, adibisce plerumque all’opera i due diletti
strumenti: il balbettio della reticenza e la franca sintassi della menzogna.
Ciò che le fa comodo non riferisce, tace o sottace […] e quel che meno
ancora le garba, eccola che annota e registra e manda a stampa il
contrario. […] Donde la benemerita e non mai abbastanza elogiata
categoria degli storiografi “moraloni” che raddrizzano le gambe a’ cani,
che riformano il passato a cose fatte (après coup) raccontando giusto
giusto il contrario di quel che accadde, perché a riferire l’accaduto vero si
perde il posto di storiografo: o si lascia la capa nel cestello: dans le
panier51.
Rimane, in conclusione, solo un ultimo quesito: a che cosa serve
l’operazione di Contro-passato prossimo che, pur non raddrizzando le gambe
a’ cani, riforma il passato a cose fatte? A cosa servì, o quantomeno a cosa
l’autore pensava che potesse servire? Non fu il semplice applicarsi di
un’intelligenza, per quanto particolarmente dotata nell’esercizio
dell’estrapolazione e della deduzione, a un solitario gioco virtuosistico, a un
esercizio di bravura e semmai di superbia.
Che cosa, detto altrimenti, motivò Morselli a uno sforzo creativo tanto
vasto e insieme puntinista, tanto inattuale, nel quadro delle tendenze letterarie
dei tardi anni Sessanta, quando la fortuna del romanzo “neo-storico”52 era
ben al di là da venire, in Italia, e non bastavano certo i casi, pur straordinari
(ma tutti più o meno appartati, in attesa di future riscoperte) del Consiglio
d’Egitto di Sciascia, de Le armi l’amore di Tadini, de La battaglia soda di
Bianciardi, a far supporre prossime fortune? Di sicuro non fu la scelta – che
sarebbe stata due volte perdente, per il già sempre rifiutato Morselli – in
favore di un genere o di un gusto su cui nessuno avrebbe, al tempo, investito,
malgrado il Gattopardo. Non fu nemmeno il recupero di una tradizione, il
moto “a rebours non solo della storia passata ma, ciò che è peggio, della
narrativa presente”53, secondo quanto gli rimprovera con miopia (perfida,
giacché di mano morselliana) l’Editore. Se c’è qualcosa cui Contro-passato
prossimo, davvero, non somiglia affatto, è il modello lukacsiano del romanzo
storico. È ben più nel giusto Alessandro Gaudio quando apparenta Sciascia e
Morselli nella linea del “romanzo antistorico” che Spinazzola aveva tracciato
181
LUIGI WEBER
fino all’altezza di Tomasi di Lampedusa 54. E di “antistoricismo” ha parlato
anche Coletti55. “La prospettiva adottata da Morselli – continua Gaudio – sia
che il genere storico sia da considerarsi un modello o piuttosto un modellobersaglio, non mette in dubbio l’idea che sia possibile rappresentare
realisticamente la storia, manipolandone e piegandone i fatti o ricostruendone
fedelmente le trame. Superando e rinnovando ironicamente e polemicamente
la realtà, distorcendone i parametri evenemenziali, Morselli accorda una
tensione utopica alla sua contro-storia che – è bene ribadirlo – non ha nulla
del fantastico e si appoggia sulla cifra stilistica che meglio consenta la
‘verificabilità’ del momento e della trasformazione descritta”56. Alle due
ipotesi contrapposte del “modello” e del “modello-bersaglio”, le quali
senz’altro partecipano insieme della verità, vorremmo aggiungerne una terza,
che vive al di fuori dello spazio letterario propriamente detto, e delle sue
polemiche, contrapposizioni, logiche evolutive.
A nostro modo di vedere, Contro-passato prossimo ottemperava a
un’esigenza ricorrente, profondissima, dell’uomo e dello scrittore Morselli,
sebbene in quest’opera in particolar modo ciò non sia evidente, vale a dire
quella di una pulsione autobiografica, che non veniva mai risolta in
confessione, anzi sempre proiettata in direzione etica e conoscitiva, da
moralista classico. È stato scritto giustamente, a proposito del Morselli
saggista e filosofo, che “il male, questione ontologica e morale insieme, non
è altro che il filo conduttore di questo percorso […]: un lungo, drammatico,
itinerario della mente e della scrittura sui sentieri del male e della
sofferenza”57. L’inesausta meditazione morselliana sull’unde malum?,
domanda da cui sempre fu travagliato e insieme intellettualmente acceso, non
poteva non rivolgersi anche al male storico, sperimentato e patito dal giovane
ufficiale nei giorni forse più tragici e desolanti della sua esistenza di
“illuminista senza ottimismo” (Coletti). Morselli nacque nel 1912, non visse
Caporetto, ma una Caporetto perfino peggiore, perché non redenta da nessuna
Vittorio Veneto, la sua generazione l’ebbe, e fu l’8 settembre.
Ecco, a nostro modo di vedere, il perché di questo libro, ed ecco perché,
espressa in forma narrativa l’urgenza di un’altra storia, Morselli potrà poi
metter mano, con leggerezza, al suo fratello minore, Divertimento 1889,
leggibile come la declinazione, sul piano privato e individuale, della
medesima istanza: darsi un’altra possibilità. Una volta lo scrittore bolognese
si cimentò con il secolo XX e l’Europa tutta, andando alle radici “prime” di
quella “Catastrofe numero due”58 che aveva vissuto di persona, l’altra con un
singolo individuo pensoso e goffo, malinconicamente preso a misurar
crescente la propria insenescenza e a vagheggiare libertà di manovra e
d’anonimato a lui negate dal rango e dalla fama: un re piccolo-borghese, un
uomo qualunque, seppur coronato, che sogna una vita diversa. A patto di
prender con molta cautela la parola “parodia”, o assumerla etimologicamente
come preciso “controcanto”, bisogna sottoscrivere l’opinione di Mariani,
secondo la quale “come l’immagine del suicidio percorre la letteratura di
182
“GUERRA SENZA ODIO”.
APPUNTI PER UNA LETTURA STORICA
DI CONTRO-PASSATO PROSSIMO*
Morselli negli spazi adibiti alla scrittura morale e introspettiva, allo stesso
modo la parodia costituisce una protesta rispetto al reale e alla dimensione
del destino inalienabile: essa svolge la funzione di controcanto e di correttivo
agli esiti scontati della Storia”59.
Ma è sufficiente tornare a una lettera scritta da Morselli a un amico nel
dopoguerra, tanti anni prima che le ipotesi di Contro-passato e Divertimento
prendessero forma, per ritrovare la medesima formula, emblematica forse di
una vita intera, spesa interamente sotto il cielo di un bisogno di alternative,
sempre negate.
Per coltivare ideali bisogna, mi pare, credere nell’umanità o quanto meno
riconoscerle un’esistenza autonoma, bisogna credere nella storia e vedervi
una legge, o quanto meno ammettere che esista una storia diversa dalla
nostra propria60.
__________
NOTE
*
Un ringraziamento speciale lo devo a Maria Panetta per le lunghe,
appassionate e illuminanti conversazioni che ha voluto intrattenere con me su
Morselli, introducendomi a una comprensione più profonda delle sue
dinamiche interiori.
1
G. Morselli, Contro-passato prossimo. Un’ipotesi retrospettiva, Milano:
Adelphi, 1975. Si cita dalla settima edizione, pubblicata nel 2008 (d’ora in
poi CPP). Numerosi i titoli che l’autore pensò per il romanzo, e che si
leggono sulla busta contenente i materiali: Il naso di Cleopatra, poi cassato,
datato 3.8.69; Trapassato, contropassato, 29.8; Contro-passato remoto, 31.8;
Contro-passato prossimo, 13.12; Saggio di Contro-Storia, 25.1.70, cfr.
Ipotesi su Morselli, numero monografico di Autografo, n. 37, 1998, p. 88. Il
più interessante, a parte quello definitivo, è il primo, con l’allusione a un
piccolo dettaglio dal quale, proverbialmente, sarebbe stato modificato l’intero
corso della storia. Esattamente ciò che costituisce “l’ipotesi retrospettiva” di
Morselli.
2
La stesura principale occupa il biennio 1969-’70, ma l’autore continuò a
lavorarci, spinto dalle speranze di approdare a una pubblicazione.
L’Intermezzo critico fu riscritto nell’agosto del ’72. Nel 1971-’72, ricorda il
fratello Mario, Guido si stava occupando di fisica teorica, e “voleva proporre
una riformulazione su basi non matematiche del concetto di azione a
distanza” (M. Morselli, intervento senza titolo in Ipotesi su Morselli, cit., pp.
79-84); proprio tale argomento si trova al centro del doppio colloquio tra
183
LUIGI WEBER
Albert Einstein e il conte von Zeppelin prima, e tra Einstein e Manfred von
Richtofen, il Barone Rosso, poi, una delle scene più brillanti e divertenti di
CPP, pp. 194-99. Nel Fondo Morselli alla Biblioteca Civica di Varese si
trovano ampie prove di questi studi: Come io vedo il mondo di Einstein,
Natura e fisica moderna di Heisenberg, La conoscenza del mondo fisico di
Planck, Fisica e microfisica e I quanti e la fisica moderna di Louis de
Broglie, tutti riccamente sottolineati e annotati, cfr. Il Fondo Morselli, San
Vittore Olona: La Tipotecnica, 1984.
3
G. Morselli, Diario, a cura di V. Fortichiari, Milano: Adelphi, 1988. Gli
anni in questione, nei Quaderni XVI e XVII, occupano le pp. 307-86. Sono
rarissime non si dice le menzioni dirette, ma anche solo le considerazioni
rapportabili all’opera in fieri.
4
E. Paccagnini, La fortuna del romanzo storico (Appunti per una storia),
in AA.VV., I tempi del rinnovamento. Atti del convegno internazionale
“Rinnovamento del codice narrativo in Italia dal 1945 al 1992”, Vol. I,
Roma-Leuven: Bulzoni-Leuven University Press, 1995, pp. 79-133. Il passo
citato si trova, in nota, a p. 103.
5
Cfr. almeno l’influente saggio di E. Wesseling, Writing History as a
Prophet: Postmodernist Innovations of the Historical Novel, Philadelphia:
J. Benjamin Pub. Co, 1991.
6
A proposito del doppio speculare di Contro-passato prossimo,
Divertimento 1889, Coletti osserva: “`divertimento´ trova il proprio
compiuto significato nelle sue profondità etimologiche e segnala un
eccentrico e umoristico ‘di-vertere’ dal solco dell’hegeliana Necessità (col
suo ‘ineliminabile intruso’, il Caso)”; cfr. V. Coletti, “Guido Morselli”, in
Otto/Novecento, n. 5, 1978, p. 104.
7
P. K. Dick, The Man in the High Castle, New York: Putnam, 1962. Il
romanzo fu tradotto già nel 1965 come La svastica sul sole dalla casa
editrice piacentina La Tribuna, e quella edizione si trova alla Biblioteca
Civica di Varese. Nel romanzo di Dick, Rommel ha un ruolo significativo.
Riscosse parimenti molte attenzioni l’invenzione letteraria di N. Spinrad,
speculare rispetto a quella di Dick, in The Iron Dream, del 1972 – in italiano
Il signore della svastica – dove si immagina che Hitler abbandoni la politica,
emigri in America, e diventi uno scrittore di fantascienza, riversando le
proprie fantasie dittatoriali nei suoi libri, i quali finiscono così per collimare
con gli effettivi eventi storici del XX secolo. Ben più sofisticato di entrambi,
ma non lontano in termini di background immaginario, lo straordinario
Madre Notte (Mother Night) di K. Vonnegut, uscito nel 1961. Anche C.
Bukowski scrisse un racconto sul genere: “Swastika”, in Erections,
Ejaculations, Exhibitions and General Tales of Ordinary Madness, San
Francisco: City Lights Book, 1972. Il fiorire di romanzi e racconti a tema
nazista in quegli anni non può non far pensare all’emozione suscitata in tutto
il mondo dal processo Eichmann, celebrato tra il ’60 e il ’62.
184
“GUERRA SENZA ODIO”.
APPUNTI PER UNA LETTURA STORICA
DI CONTRO-PASSATO PROSSIMO*
8
L. Ceva, Asse pigliatutto. Memorie 1937-1943 del nob. Gen. Triora,
Milano: Mondadori, 1973.
9
La congiura viene anticipata al 1917. Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht
invece non sfuggono alla morte, ma anche in questo caso essa giunge due
anni prima, 15 gennaio del ’17 e non del ’19: “Il Cancelliere doveva essere
soppresso a colpi di rivoltella e il suo corpo gettato nella Havel. Pressappoco
la fine che avrebbero fatto, non molto tempo dopo, i capi comunisti Karl
Liebknecht e Rosa Luxemburg”, CPP, p. 219. Con questa compressione
temporale, Morselli sottolinea implicitamente la comune responsabilità dei
Freikorps in entrambi gli attentati. Sul personaggio di Rathenau, si vedano le
analisi di S. Costa nel suo Guido Morselli, Firenze: La Nuova Italia, 1981,
pp. 92-100, e di V. Coletti nel saggio omonimo, cit., pp. 93-94.
10
CPP, pp. 235-53.
11
G. Morselli, Diario, cit., p. 368. Annotazione del 28 aprile 1971. Tutto il
brano riflette intorno alla recente “propaganda pro-Europa unita”.
12
La parte III, dedicata all’orazione di Giolitti alla Camera, è un magistrale
esempio di “romanzo ministeriale”, un autentico capolavoro mimetico, degno
delle pagine di De Roberto ne L’Imperio sulla retorica di Consalvo Uzeda.
Cfr. CPP, pp. 105-14.
13
Protagonista di un sub-plot particolarmente ironico, a partire dal suo
casuale rapimento. Morselli mette alla berlina con divertita ferocia
“Guglielmo il Loquace”, prendendo spunto dalla sua – storica – clamorosa
intempestività nel fare affermazioni che sempre gli si ritorcevano contro. Cfr.
CPP, pp. 137-41.
14
Il colloquio di Lenin con Rathenau, scritto come un atto unico teatrale, in
cui il padre della Rivoluzione d’Ottobre prospetta al nuovo capo del Reich un
progetto di sollevazione proletaria in America, è un’altra tra le gemme del
romanzo. Cfr. CPP, pp. 160-64.
15
Il comandante dell’Afrika Korps era stato ritratto, al cinema, in numerosi
grandi film di guerra, da I cinque segreti del deserto (lo impersona Erich von
Stronheim) a La Volpe del deserto (James Mason), da Il giorno più lungo
(Werner Hinz), fino a La notte dei Generali (Christopher Plummer).
16
In realtà Rommel è attivamente in scena solo nella seconda delle sei parti
in cui si articola il libro, cioè nella descrizione preparatoria ed esecutiva della
Edelweiss Expedition, ma anche la III e la IV, dedicate rispettivamente alla
resa dell’Italia e all’analoga forzatura della difesa territoriale francese,
portano il marchio della sua opera.
17
“Morselli ha bisogno di sviluppare un’intuizione iniziale con coerenza e
lucidità, ‘spremendone’ ed esplicitando ogni potenziale attraverso un
ossessivo processo di deduzioni: con un’oltranza logica generale e una
meticolosità di esecuzione che garantiscono il raggiungimento di una visione
surreale (ora grottesca ora paradossale ora allucinata: sempre rivelativa e
185
LUIGI WEBER
inquietante) senza che si perda nulla sul fronte della plausibilità, della
credibilità, della normalità”, cfr. M. Mari, “Estraneo agli angeli e alle bestie
(lettura di Dissipatio H. G.)”, in Ipotesi su Morselli, cit., p. 49.
18
E. Rommel, Infanterie greift an – Erlebnis und Erfahrung, Potsdam:
Ludwig Voggenreiter Verlag, 1937, trad. it. Fanterie all’attacco.
Esperienze vissute, Milano: Longanesi, 1972. Si citerà dalla più recente
edizione, a cura del Generale Fabio Mini, stampata nel 2004 dalla Libreria
Editrice Goriziana.
19
Quelle imprese valsero a Rommel la Croce di Ferro, unico subalterno di
sempre a meritarla, e in seguito il ruolo di Istruttore alla Scuola di Fanteria di
Dresda dal ’29 al ’33 e all’Accademia di Guerra di Potsdam dal ’35 al ’38, il
comando di quella di Wiener Neustadt fin quasi all’invasione della Polonia.
20
E. Rommel, Fanterie all’attacco, cit., cap. V, “L’offensiva di Tolmino
1917”, pp. 275-360.
21
Id., Krieg ohne Hass, Heidenheim: Brenz, 1950, trad. it. Guerra senza
odio, a cura di L.-M. Rommel e F. Bayerlein, Milano: Garzanti, 1952. Il libro
ebbe cinque stampe (1952, 1959, 1960, 1963, 1967) in quindici anni, l’ultima
assai prossima al periodo di stesura di Contro-passato prossimo, segno di
un’attenzione da parte dei lettori che non veniva mai meno.
22
Borgesianamente, Morselli “corregge” due dettagli minimi e molti altri
macroscopici: alza di grado Rommel da tenente a capitano – mentre egli
divenne capitano solo dopo Caporetto – e gli ritocca il nome (sebbene
l’equivoco Erwin-Edwin sia stato a lungo diffuso, indipendentemente dalle
piccole astuzie morselliane). Nel libro, di “spostamenti” se ne rintracciano
numerosissimi: a) l’anno prescelto, il 1916, contrapposto al 1917 di
Caporetto; b) l’arguzia che fa della tragica Strafe-Expedition (quella, sì,
svoltasi dal 15 maggio al 27 giugno 1916) una quasi indolore StrasseExpedition, convertendo la “punizione” in “percorso stradale”, poiché per
l’appunto l’offensiva a sorpresa tedesca qui avviene seguendo percorsi di
viabilità normale, dimenticati trinceramenti e montagne; c) le date si fondono
e si sovrappongono: la Strafe-Expedition ebbe davvero luogo nel maggio del
’16 e per qualche tempo sembrò una Caporetto, ma iniziò il 15 maggio,
mentre nel romanzo l’attacco dal tunnel nascosto comincia la notte del 23,
poco prima di mezzanotte, quindi quasi “in contemporanea”, a mesi
scambiati, con l’attacco a Caporetto, che prese il via alle 2 del 24 ottobre
1917; e comunque il 24 maggio era anche il fatidico anniversario dell’entrata
in guerra dell’Italia; d) il nome stesso dell’operazione di Rommel,
“Edelweiss” (stella alpina), è mutuato da uno dei battaglioni tedeschi del
gruppo Krauss che sfondarono il fronte italiano a Tolmino.
23
M. Silvestri, Caporetto. Una battaglia e un enigma [1984], Milano:
Rizzoli BUR, 2006, p. 195, corsivo nostro. Quasi con le stesse parole Silvestri
si era già espresso nel suo opus magnum sul conflitto, Isonzo 1917, Torino:
Einaudi, 1965. Il libro di Silvestri, uno tra i più fortunati studi di storia
militare italiana, dedicava uno spazio rilevante all’impresa di Rommel, e
186
“GUERRA SENZA ODIO”.
APPUNTI PER UNA LETTURA STORICA
DI CONTRO-PASSATO PROSSIMO*
soprattutto al significato potenziale di essa per l’intera economia della
Grande Guerra. Isonzo 1917 non figura nel Fondo Morselli – però la stampa
einaudiana del 1965 era alla Biblioteca Civica di Varese, che sappiamo
frequentata dallo scrittore –, così come non vi sono i memoriali di Rommel.
24
R. Posani, La Grande Guerra, Firenze: Sansoni, 1968, 2 Voll., catalogato
nel Fondo Morselli con la sigla MOR. 1746-’77, cfr. Il Fondo Morselli, cit.,
p. 223. Dell’impresa di Rommel, Posani parla nel fascicolo 28, Vol. II, pp.
783-85. L’ipotesi che qui si trovi la prima scaturigine dell’ispirazione è
confortata da un’importante coincidenza: Morselli, presentando il suo eroe,
scrive, in mezzo a dati tutti autentici, una madornale falsità: “Il capitano
Edwin Rommel aveva precedenti considerevoli. La battaglia di Tannenberg
era opera sua, dal lato logistico” (CPP, p. 57). Ora, non solo Rommel a
Tannenberg non partecipò, ma nemmeno avrebbe potuto incidere, da
semplice sotto-tenente ventitreenne qual era nel ’14, in uno scontro titanico
che coinvolse divisioni intere e centinaia di migliaia di uomini. Il genio
strategico di Tannenberg, come si sa, fu Hindenburg, e la sua tattica,
sofisticata da Ludendorff, diede ancora grandi risultati ad Augustów e a Riga.
Però c’era qualcosa di vero, in tale falsità. E lo si capisce leggendo il volume
di Posani, il quale afferma con una certa approssimazione che “la tattica di
Riga” (cioè della battaglia di Riga del settembre 1917 e, prima, di quella ai
Laghi Masuri), ora divenuta “tattica di Caporetto”, vale a dire un recupero
dell’antica invenzione annibalica di Canne – l’assalto a squadre,
l’avvolgimento e l’aggressione da dietro del nemico – “il giovane ufficiale la
trasferiva dall’ambito dell’armata a quello di una compagnia” (La Grande
Guerra, cit., p. 785). Posani non sta dicendo che Rommel avesse il merito di
Tannenberg, bensì che aveva, su scala ridotta, adoperato la medesima tattica
contro gli italiani. Morselli evidentemente non verifica e si fida di quel che ha
(male)inteso, oppure opera l’ennesimo degli “spostamenti” di cui sopra.
Intorno a questa costante ambiguità nel trattare fonti e citazioni, si veda il
saggio di F. Pietrangeli, “Guido Morselli: l’impronta umana e i `trascorsi
eruditi´”, in La Scrittura, 4, 1996-1997, pp. 17-19.
25
I brani citati sono tratti da M. Silvestri, Caporetto. Una battaglia e un
enigma, cit., pp. 188-94, un testo che naturalmente Morselli non poté vedere,
ma che offre il sunto più preciso ed esauriente di quanto accaduto.
26
Afferma l’Autore, nell’Intermezzo: “I Capi e i ‘Signori della Guerra’, in
redingote o in tunica, furono allora, non meno che 25 anni dopo, nella
Catastrofe numero due, stolidi o folli, o semplicemente opachi e ottusi, inerti.
Nella migliore delle ipotesi, alte impersonalità”, CPP, p. 121.
27
CPP, p. 61.
28
G. Morselli, Diario, cit., p. 369. Annotazione del 20 maggio 1971.
29
“Lui, Rommel, d’altronde, usava sistemi del tutto empirici. Costernando i
bravi abitanti di Langsdorf, fece saltare con una mina un centinaio di metri
187
LUIGI WEBER
della strada nazionale che passava accanto al paese, e ordinò ai suoi genieri di
ricostruirla. La strada era transitabile due ore dopo. Un’altra mina, lo stesso
tratto di strada buttato all’aria come prima. Stavolta dovevano riattarlo dopo
un’ora. Ci riuscirono. Nel Manuale d’impiego dei reparti del GenioCollegamenti, si prevedevano dodici uomini e due ore di lavoro per
impiantare un posto telefonico con una rete di sei chilometri di filo. Bisognò
che sei uomini imparassero a fare il medesimo impianto in un’ora”, CPP, p.
62. Anche questo passo, che oggi può sembrare anacronistico, proiettato sullo
sfondo di una guerra che immaginiamo e sappiamo così diversa come fu la
Prima Mondiale, trova invece un secondo significativo riscontro analogico
nel libro di Riccardo Posani. Infatti, nel fascicolo in cui si raccontano gli
antefatti e lo svolgimento della già ricordata battaglia di Tannenberg, si legge
che Hindenburg, il cosiddetto “uomo delle paludi”, perché da lungo tempo
convinto che la zona dei Laghi Masuri sarebbe stata ideale per infliggere una
sconfitta ai russi, “spediva una compagnia a sguazzare nel fango per giorni
interi, osservando, soddisfatto e silenzioso, gli sforzi che facevano i poveri
serventi per tirare fuori da una palude il loro cannone, e ne cronometrava i
tempi”; cfr. R. Posani, La Grande Guerra, cit., Vol. I, fascicolo 5, p. 140,
corsivo nostro.
30
CPP, p. 62.
31
F. Parmeggiani, “Morselli e il tempo”, in Annali d’Italianistica, a. 2001,
n. 19, p. 276, corsivo dell’autrice.
32
B. Croce, Teoria e storia della storiografia [1917], a cura di G. Galasso,
Milano: Adelphi, p. 99, corsivo nostro.
33
La V parte, dedicata alla guerra sui mari dell’ammiraglio Tirpitz,
culminante nella mai avvenuta battaglia di Dogger Bank (una sorta di Jütland
dall’esito più netto, vinta grazie alle maggiori disponibilità tedesche di
carburante) con cui la Hochseeflotte piega la storica supremazia inglese, è un
manuale di saggismo pseudo-storico, cfr. CPP, pp. 173-94.
34
Fatto vero, che giustamente Morselli rimarca, l’arma aerea al tempo era
neonata, con velivoli troppo rudimentali per le missioni di bombardamento.
A lungo si pensò piuttosto ai dirigibili Zeppelin, usati per esempio sulle città
belghe durante l’invasione nel ’14. Non erano molto efficaci ma temutissimi:
cfr. R. L. Rimell, Zeppelin! A Battle for Air Supremacy in World War I,
London: Conway Maritime Press, 1984 e CPP, pp. 194-95.
35
Ritratto mirabilmente così: “Falkenhayn non era né inintelligente né
incapace. (Se mai il contrario, e in notevole misura). Era assai peggio, un
monomaniaco, da casistica clinica. A un teorico si può opporre una teoria
diversa dalla sua, all’ossessivo lucido, finché lo domina l’idea fissa, niente
arriva alla testa. Il semplice caparbio può trovare chi gli resista più
caparbiamente, il maniaco raziocinante è contagioso, ha una facoltà
comunicativa che ‘scioglie’ le opposizioni. Falkenhayn aveva convertito più
di metà degli Stati Maggiori tedeschi, quelli che dipendevano direttamente da
lui, alla teoria del logoramento”, CPP, pp. 142-43.
188
“GUERRA SENZA ODIO”.
APPUNTI PER UNA LETTURA STORICA
DI CONTRO-PASSATO PROSSIMO*
36
“Perciò la poesia è attività teoretica più elevata della storia: la poesia
espone piuttosto una visione del generale, la storia del particolare”,
Aristotele, Dell’arte poetica, 9.1, a cura di C. Gallavotti, Milano:
Fondazione Valla, Mondadori, 1974, pp. 31-33. Morselli dialettizza e crea
una sintesi dell’assioma aristotelico: parte dal particolare per rinvenire una
diversa configurazione del generale.
37
CPP, p. 117.
38
CPP, p. 124.
39
G. Morselli, Diario, cit., p. 383. Annotazione del 12 marzo 1973.
40
“Spazio di libertà creativa e interpretativa, la scrittura, sia essa riscrittura
del presente e del passato o proposta congetturale del futuro, acquista
credibilità e valore quanto più accuratamente riproduce i meccanismi di
accadimento dei fatti operanti nella realtà”, cfr. F. Parmeggiani, “Morselli e il
tempo”, in Annali d’Italianistica, a. 2001, n. 19, p. 278.
41
“Anche quando gioca con la Storia, Morselli non ci libera da essa.
Propone, invece, ancora la realtà, garantendo, nel rovesciarla, il
mantenimento dell’identità (l’adesione alle marche enunciative proprie del
genere storico e la constatazione post-strutturalistica della labilità dei confini
tra letteratura e scienza)”; cfr. A. Gaudio, “In partibus infidelium. Guido
Morselli uomo di fiction e di precisione”, in Filologia antica e moderna, a.
32, 2007, p. 34. Sulla scrittura della sua “contro-storia”, cfr. anche V. Coletti,
Guido Morselli, cit., pp. 105-10.
42
G. Morselli, Fede e critica, Milano: Adelphi, 1977, p. 37, n. 12, corsivo
dell’autore.
43
CPP, p. 62.
44
F. Mini, “Appuntamento alla prossima guerra”, in E. Rommel, Fanterie
all’assalto, cit., pp. 363-64.
45
Da quella esperienza (come da quelle di Rommel) nacque un libro di
memorie a scopo didattico estremamente diffuso e influente: F. von
Lossberg, Meine Tätigkeit im Weltkriege 1914-1918, Berlin: Mittler, 1939.
46
Cfr. CPP, p. 145.
47
CPP, pp. 122-23.
48
CPP, pp. 223-34.
49
Cfr. R. Rinaldi, “I romanzi a una dimensione di G. Morselli”, in AA.VV., I
tempi del rinnovamento. Atti del convegno internazionale “Rinnovamento
del codice narrativo in Italia dal 1945 al 1992”, Vol. I, Roma-Leuven:
Bulzoni-Leuven University Press, 1995, pp. 471-99, in part. pp. 477-78.
50
Già in Fede e critica, steso tra il 1955 e il 1956, vi era un non troppo
dissimile Intermezzo tra i capp. III e IV, e analoghe strategie pseudoparatestuali si ritrovano anche altrove, per esempio nella Introduzione che
convien leggere di Realismo e fantasia. Su questo si veda D. Vidoz, “Guido
Morselli e la figura dell’Autore”, in Ipotesi su Morselli, cit., pp. 23-40; Vidoz
189
LUIGI WEBER
osserva, tra l’altro, come già dalla lettura del Diario si evinca che i modelli
erano piuttosto il Pirandello dei Sei personaggi e il Gide dei Falsari.
51
C. E. Gadda, La cognizione del dolore, edizione critica commentata con
un’appendice di frammenti inediti a cura di E. Manzotti, Torino: Einaudi,
1987, pp. 484-86.
52
Cfr. G. Rosa, “Inchiesta sui romanzi storici, neostorici, pseudostorici.
Di storia in storia”, in V. Spinazzola (a cura di), Tirature ’91, Torino:
Einaudi, 1991. Sfortunatamente, Giovanna Rosa non ricorda Morselli, e così
M. Ganeri nella monografia Il romanzo storico in Italia. Il dibattito critico
dalle origini al postmoderno, Lecce: Manni, 1999. Intorno alla questione si
veda anche G. Bárberi Squarotti, “Il problema del romanzo storico”, in
AA.VV., I tempi del rinnovamento, cit., pp. 19-47, e un contributo più
recente, S. Tusini, “Il romanzo post-storico in Italia”, in Allegoria, a. 2005,
n. 47, pp. 47-66. Ricco e stimolante, seppur condotto su un piano teorico e
senza diretti rimandi a testi letterari italiani, G. Benvenuti, “A proposito del
dibattito sulla narrazione della storia”, in Intersezioni, a. 2009, n. 1, pp. 13350. Classici sull’argomento restano M. De Certeau, L’Écriture de l’histoire,
Paris: Gallimard, 1975, trad. it. La scrittura della storia, a cura di S.
Facioni, Milano: Jaca Book, 2006; H. White, Metahistory, Baltimore: The
Johns Hopkins University Press, 1973, trad. it. Retorica e storia, 2 Voll.,
Napoli: Guida, 1978, e Id., Forme di storia, a cura di E. Tortarolo, Roma:
Carocci, 2006.
53
CPP, p. 119. L’Autore, snobisticamente, risponde “Siamo d’accordo”, ma
è una mossa di copertura, non un’autentica ammissione.
54
“Se adattiamo tale definizione a quelle opere che sottolineano la casualità e
l’insensatezza della storia, allora, partendo (come, d’altronde, fece già
Spinazzola) dal De Roberto dei Vicerè e passando proprio da Pirandello e da
Tomasi, possiamo senz’altro definire antistorici anche gli approdi di Sciascia
e, finalmente, di Morselli: la Storia dei romanzi morselliani, restando fittizia,
permane nel territorio del naturale […], evoca la sensazione di una realtà
nuova (“la sola realtà di cui l’uomo debba tenere conto è quella che egli
stesso si crea come individuo”)”; cfr. A. Gaudio, “In partibus infidelium.
Guido Morselli uomo di fiction e di precisione”, cit., p. 28.
55
“Il suo antistoricismo lo induceva a tentare, capovolta e manipolata, la
formula del ‘romanzo storico’, chiamando la Storia a un inedito e eccentrico
protagonismo (nel romanzo storico ottocentesco essa, invece, aveva
soprattutto una funzione di garante, raccordo, necessitazione del racconto)
che la risolve in un ribelle ‘ventaglio dei possibili’ (ed è esemplarmente
Contro-passato prossimo, ma anche Divertimento 1889)”; cfr. V. Coletti,
Guido Morselli, cit., pp. 92-93.
56
A. Gaudio, “In partibus infidelium. Guido Morselli uomo di fiction e di
precisione”, cit., p. 29.
57
C. Mariani, “Guido Morselli”, in Studi novecenteschi, a. 18, 1991, n. 41,
p. 12.
190
“GUERRA SENZA ODIO”.
APPUNTI PER UNA LETTURA STORICA
DI CONTRO-PASSATO PROSSIMO*
58
Cfr. supra, il passo di CPP citato alla nota 26.
C. Mariani, Guido Morselli, cit., p. 36.
60
Lettera di G. Morselli, cit. in V. Fortichiari, Invito alla lettura di Guido
Morselli, Milano: Mursia, 1984, p. 139, corsivo nostro.
59
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