La lingua del diritto - Dipartimento di Giurisprudenza

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La lingua del diritto - Dipartimento di Giurisprudenza
FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA
UNIVERSITÀ DI PAVIA
LA LINGUA DEL DIRITTO
FORMAZIONE, USO, COMUNICAZIONE
TESTI PER LE LEZIONI
XI.2
(DARIO MANTOVANI – LUIGI PELLECCHI)
A.A. 2013/14
Parte seconda
IL TESTO GIURIDICO
I. Premessa
I.1. Linguaggio e lingua
Linguaggio è ogni sistema di comunicazione, serve perciò a trasmettere informazioni da un emittente
a un ricevente (es. linguaggio degli animali, del computer, dell’arte, dei media, dei fiori, linguaggio prossemico
[basato cioè sulla vicinanza e il contatto fisico, per es. un abbraccio], linguaggio mimico [fatto di gesti che
possono sostituire o integrare il linguaggio verbale] – cfr. emoticon). Il linguaggio umano naturale è
largamente specifico, cioè non è omogeneo agli altri linguaggi (la scienza che la studia è la linguistica). Per
lingua si intende il linguaggio naturale umano di una determinata comunità.
Funzioni della lingua (Roman Jakobson).
Nella comunicazione linguistica
intervengono sei fattori:
6) referente
1) parlante
3) messaggio
2) ascoltatore
4) canale
5) codice
1) colui che emette il messaggio
2) colui che lo riceve
3) il testo trasmesso
4) il canale o mezzo del discorso (l’aria nel parlato, i segni
grafici sulla carta o su altro supporto nello scritto ecc.)
5) il linguaggio attraverso cui si svolge la comunicazione
(lingua naturale, alf. Morse, bandierine, gesti, semafori, ecc.)
6) il contesto (l’insieme dei fatti e degli oggetti ai quali la
comunicazione si riferisce)
In correlazione con questi sei fattori si possono individuare le sei seguenti funzioni della lingua:
emotiva
referenziale
poetica
fàtica
metalinguistica
conativa
F. EMOTIVA: la lingua esprime emozioni e sentimenti dell’emittente, ad esempio tramite le interiezioni (ah, peccato, povero me)
F. CONATIVA: la lingua si orienta sul destinatario, tipicamente attraverso l’imperativo e il vocativo,
sollecitandolo a tenere un certo comportamento. La f. conativa (dal lat. conari = tentare) caratterizza per es. il discorso
politico (quando mira a convincere il destinatario della bontà di una certa tesi o di una certa azione o decisione) oppure il
discorso pubblicitario (nella misura in cui vuole indurre il destinatario a comprare un determinato prodotto).
F. POETICA: il messaggio è orientato su sé stesso (più che sul destinatario), concentrandosi ad esempio sui suoni
delle parole, sulle loro sfumature di significato, sulla costruzione sintattica. La f. poetica ricorre tipicamente nei testi
letterari, ma non solo in essi.
F. FÀTICA: la lingua si concentra sul canale, cioè sulla connessione psicologica o materiale che lega emittente e
destinatario; ad esempio in una telefonata espressioni come: «Riesci a sentirmi?», «Non ti sento, parla più forte», oppure
in una conversazione su whatsApp la domanda «ci sei?», «sei connesso?»);
F. METALINGUISTICA: ricorre allorché la lingua parla di sé stessa, il che avviene tipicamente in ogni discorso
condotto p.e. sulla grammatica o sul lessico.
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F. REFERENZIALE o RAPPRESENTATIVA o DENOTATIVA: la lingua descrive la realtà in modo tendenzialmente
oggettivo; ne sono tipici esempi testi come l’articolo di un’enciclopedia, la trattatistica scientifica e scolastica, ecc.
Come la lingua comune, anche la lingua del diritto partecipa di più d’una funzione. I testi normativi
hanno un orientamento costante sull’oggetto del discorso (vd. sotto al pt. IV.1) e svolgono da questo punto di
vista una funzione referenziale. Trattandosi tuttavia di testi prescrittivi, allo stesso tempo non è loro estranea
una funzione conativa. Lo stesso nelle sentenze. Alla funzione denotativa assolverà invece in via esclusiva la
trattatistica scientifica. In un lontano passato non è stata estranea alla lingua del diritto persino una
funzione poetica (Grimm 1816). E quando la si usa, come in queste lezioni, per riflettere sulla sua natura e il
suo buon uso, essa assolve a una funzione metalinguistica.
Pur condividendo varie caratteristiche della lingua comune (tra cui appunto la pluralità di funzioni
cui essa può assolvere), la lingua del diritto costituisce rispetto a quella comune una lingua (o linguaggio)
settoriale. La sociolinguistica – ossia la disciplina che studia il codice-lingua in rapporto alla società – ha
infatti chiarito all’interno di una data lingua esistono vari possibili fattori di differenziazione.
La varietà della lingua comune può essere determinata in particolare:
a) da un fattore diamesico, dato dalle differenze riconducibili al mezzo o al canale del discorso (orale /
scritto);
b) da un fattore diafasico, quando la varietà di registro dipende dal contesto in cui avviene la
comunicazione.
c) da un fattore diatopico, quando la varietà di registro dipende dal luogo della comunicazione (per es.
con gli italiani regionali);
d) da un fattore diastratico , allorché il cambio di registro è imposto dal diverso livello socio-culturale
dei parlanti.
Rispetto all’italiano comune, la lingua (italiana) del diritto si presenta come una variante
essenzialmente diafasica. Essa costituisce un linguaggio settoriale, alla stessa stregua di altri linguaggi
utilizzati in singoli settori professionali o sociali (medicina, informatica, economia, sport e altri). Un gruppo di
parlanti, entro la lingua comune, fa perciò riferimento ad essa per la sua capacità di rispondere alle esigenze
comunicative di quel gruppo (cioè di portatori di determinate conoscenze).
Come già suggeriva il breve estratto della sentenza della corte di cassazione analizzato al pt. III.2
della Parte I, la differenziazione fra lingua comune e lingua del diritto si coglie su una pluralità di livelli:
lessicale, sintattico e morfologico. Rinviando l’esame analitico dei singoli punti, si può dire in linea generale che
la lingua del diritto utilizza segni aggiuntivi rispetto alla lingua comune (oppure utilizza gli stessi segni, ma
dotandoli di significati diversi in virtù di un processo di rideterminazione semantica). Essa certamente non
applica regole speciali in fatto di grammatica; ciononostante esprime delle peculiarità di ordine morfosintattico, perlomeno in termini di maggiore probabilità di occorrenza, caratterizzandosi perciò come “un
insieme di selezioni ricorrenti con regolarità, all’interno dell’inventario di forme disponibili nella
lingua”(Cortelazzo).
Il fatto che la lingua del diritto si presenti come una variante diafasica della lingua comune non
impedisce naturalmente che i fattori di differenziazione sopra individuati possano poi operare all’interno del
settore per creare una pluralità di (sotto)registri della stessa lingua giuridica:
a) da un punto di vista diafasico, si attenderanno per es. porzioni di lessico ulteriormente circoscritte a
seconda della materia giuridica praticata dai membri del gruppo (civilisti, penalisti, giuslavoristi etc.);
b) da un punto di vista diamesico, non ci si sorprenderà di trovare forti differenze tra gli enunciati
(scritti) di un codice e l’arringa (orale) di un avvocato;
c) da un punto di vista diastratico, si registreranno profonde differenze tra un discorso tutto interno ai
membri del gruppo (per es. un provvedimento del Consiglio Superiore della Magistratura, indirizzato a uno o
più magistrati) e una legge rivolta alla generalità dei cittadini (e dunque scritta – si spera - in modo da
risultare accessibile e comprensibile al maggior numero di persone).
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Bhatia, V. K. (1993). Analysing genre: Language use in professional settings. London
I.2. Il Testo
Testo (< lat. textus, tessuto) è sostantivo metaforico per indicare un messaggio linguistico – prodotto
da un emittente con l’intenzione e il risultato di soddisfare le attese di un determinato destinatario – il cui
senso nasce dall’intreccio delle parole. E’ peraltro fondamentale notare che l’intreccio non si stabilisce solo
all’interno del singolo enunciato (Frase: l’unità minima del discorso identificabile in chiave puramente
grammaticale: soggetto – predicato [- ed eventualmente complemento]); l’intreccio si estende da un capo
all’altro del testo ed è, in questa sua dimensione generale, reso riconoscibile dalla sintassi interfrasale (o
testuale; al contrario la sintassi intrafrasale – che coincide con l’analisi logica – rende riconoscibile il senso del
singolo enunciato).
Le condizioni da rispettare per una buona costruzione del testo, sono quatto:
Unità: è data dalla presenza nel testo di un’idea centrale, fondamentale, riflessa dal titolo, detta anche
tema di fondo; in un testo di ampie dimensioni il tema di fondo deve funzionare da punto di prospettiva di tutti
i discorsi svolti.
Completezza: è completo il testo che presenti il pieno svolgimento del tema di fondo.
Coerenza: dal punto di vista logico è coerente il testo che esponga concetti tra loro non contraddittori;
è coerente stilisticamente il testo (non letterario) in cui siano assenti variazioni del registro linguistico (p.e.
formale/colloquiale, comune/tecnico).
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Coesione: è coeso il testo che assicuri un buon collegamento dei discorsi che lo compongono, attraverso
un buon uso dei legamenti. Tali sono i collegamenti sintattici che forniscono indicazioni per es. sulla
collocazione spaziale o temporale di eventi e cose, sulle relazioni di causa ed effetto, sull’ordine interno del
discorso (in primo/secondo luogo, da un lato/dall’altro lato), con rinvio anche a luoghi distanti del testo (come
abbiamo già visto/come vedremo), sul rapporto logico delle argomentazioni (posto che, se ne deduce, ne consegue).
Funziona altresì da legamento il costante richiamo alle parole portatrici del tema (cdd. parole chiave).
III. Il testo giuridico e le sue tipologie
La tipologia del testo giuridico varia con il variare dei contesti in cui si ricorre alla lingua giuridica. Di
conseguenza varie classificazioni si possono prospettate adottando di volta in volta come parametro
distintivo le forme, le funzioni, i contenuti, i partecipanti e i canali del discorso.
Per quanto non esista oggi una classificazione tipologica dei testi giuridici basata su criteri univoci ed
universalmente accettati (Brugoli 2007), un’analisi delle principali caratteristiche del testo giuridico può
giovarsi di una classificazione di massima basata sulla funzione del discorso.
Guardando al compito assegnato all’uso della lingua giuridica, i testi relativi si possono distinguere in
normativi, interpretativi e applicativi. I testi normativi sono il frutto dell’attività di creazione del diritto,
dunque essenzialmente dell’attività del legislatore (dalla Costituzione, come legge fondamentale, a discendere
lungo tutta la gerarchia delle fonti di produzione: leggi ordinarie, decreti legge, decreti legislativi, leggi
regionali, regolamenti etc.). I testi interpretativi sono il prodotto della riflessione sulle norme esistenti, svolta
dai giuristi: a seconda che prevalga l’esigenza di descrivere una data disciplina normativa, piuttosto che di
individuare le regole da applicare a un caso dubbio, si distinguerà tra una funzione constativa (massima, per
es., in un manuale o in una lezione universitaria) e una funzione persuasiva (massima in un’arringa o in un
parere difensivo). Infine per testi applicativi s’intendono tutti quegli atti pubblici o privati che concretizzano
nella vita di relazione e su scala individuale una o più norme giuridiche: dunque gli atti processuali, un’ampia
serie di atti amministrativi e gli atti notarili o contrattuali.
La classificazione esposta non è in realtà rigorosa. Le attività di creazione, interpretazione e
applicazione del diritto si possono infatti intersecare e sovrapporre, con la conseguenza che anche le tre
funzioni corrispondenti si possono registrare contemporaneamente nello stesso tipo di testo giuridico (per es.
in una sentenza della corte costituzionale). Tuttavia si tratta di una classificazione utile a livello euristico per
fissare le principali caratteristiche del testo giuridico fondamentale, a livello logico e ideologico: il testo da cui
è posta la regola giuridica, quello normativo.
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IV. I TESTI NORMATIVI.
IV.1. I TRATTI DI SUPERIFICIE
Dal punto di vista funzionale, il testo normativo appartiene alla classe dei “testi con discorso molto
vincolante”, alla stessa stregua dei testi tecnici recanti per es. istruzioni per l’uso di determinati apparecchi e
sostanze (Sabatini 1990). Ciò vuol dire che si tratta di testi concepiti per porre al destinatario uno stretto
vincolo interpretativo. L’obiettivo va inteso come tendenziale, nel senso che non è raro che un testo di legge
possa essere interpretato e, quindi, applicato in maniera diversa da giudice a giudice (Cortellazzo 1997). Ciò
tuttavia non toglie che questo obiettivo sia perseguito attraverso una costruzione consapevole che privilegia
alcuni tratti del discorso a scapito di altri.
Iniziamo dai TRATTI ASSENTI:
Poiché la norma giuridica (e quella legislativa per eccellenza) è concepita come generale e astratta, la
scrittura normativa tende all’impersonalità, evitando i vari segni della “soggettività del linguaggio”. In
particolare, [a] manca nella scrittura legislativa la categoria grammaticale di persona (in pronomi, aggettivi,
verbi): a prevalere incontrastata è infatti la terza persona, utilizzata però in realtà quale non persona
(Benveniste 1958).
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L’enunciato normativo mira a dare una rappresentazione assoluta anche sul piano oggettivo (cd. fissità
del punto di vista). [b] La dimensione temporale e spaziale è annullata, rinunciando di regola agli indicatori di
tempo e di luogo, vale a dire ai cronodeittici (ieri, oggi, domani …) e ai topdeittici (qua, lì, la …). Per la stessa
ragione [c] è annullata la dimensione dell’emotività, rinunciando a tutti gli elementi che instaurerebbero una
gerarchia tra gli elementi del discorso: per es. diminutivi e accrescitivi, avverbi focalizzanti (persino
addirittura), avverbi valutativi (purtroppo, fortunatamente), interiezioni (ahinoi, peccato).
Sempre in funzione della fissità del punto di vista [d] è inoltre escluso l’uso di artifici di
movimentazione del testo. Manca perciò la catafora retorica (ossia l’anticipazione – di solito attraverso il
pronome - del complemento: l’avevo già sentita questa storiella!). Mancano i paragoni e le esemplificazioni.
Mancano le frasi interrogative ed esclamative. Mancano anche gli inserti di discorso diretto.
Avendo come obiettivo d’imporre al destinatario uno stretto vincolo interpretativo, l’enunciato
normativo aspira alla chiarezza. Di conseguenza [e] risultano assenti tutti quei moduli sintattici che
presentano elementi di implicitezza: come l’accumulo di frasi per semplice giustapposizione, la coordinazione
per asindeto (quando due o più proposizioni sono distinte tra loro solo da segni d’interpunzione); anche la
coordinazione per polisindeto (ma, anche) è fortemente limitata. A una esigenza di univocità del discorso,
risponde invece [f] l’assenza di sinonimi e – a livello di segni paragrafematici – l’assenza di caratteri diversi
nel corpo della frase e l’uso di virgolette.
TRATTI PRESENTI
Per mettere a fuoco i tratti di superficie che rispondono alla funzione prescrittiva del testo normativo,
cioè all’esigenza di vincolare il destinatario, ci avverremo della sintesi esposta in Mantovani 2009.
[1] Il testo normativo presenta in genere un impianto ben scandito, articolati in blocchi spesso dotati
di titoli e numeri (cd. ordine di costruzione rigorosamente impostato e evidenziato).
[2] Il testo normativo fa riferimento a precisi concetti di partenza, che possono prendere la forma di
norme sovraordinate [2a], concetti chiave [2b] o definizioni [2c]; nel primo caso (norma sovraordinata) la
coesione del discorso (vd. sopra al pt. I.2) è assicurata da legamenti sintattici o rinvii espliciti.
[3] Il testo normativo ricorre alla ripetizione, per garantire l’univocità degli elementi lessicali; [3b]
l’uso di legami semantici è limitato a sostituenti e iperonimi (= parole nel cui significato è incluso il significato
di altre parole, dette iponimi).
[4] Il testo normativo adotta come forma verbale privilegiata il presente indicativo, impiegato come
presente intemporale, e perciò capace di esprimere la vigenza in sé della norma, a prescindere da qualunque
rapporto temporale (di anteriorità, contemporaneità o posteriorità) rispetto al momento in cui la norma
stessa è enunciata.
IV.2. Esempi dei tratti di superficie dei testi normativi
[1] Ordine di costruzione rigorosamente impostato ed evidenziato
“Comune ai testi legali normativi è l’intento di disporre la materia secondo gerarchie chiaramente
definite e riconoscibili. Una buona dispositio rispecchia la successione logica e temporale dei fatti da regolare
e dei procedimenti da seguire. La struttura modello della normativa giuridica è quella dei testi legislativi
idealmente destinati a più lunga durata. Per il ruolo che li caratterizza questi devono contare sulla massima
esplicatezza a tutti i livelli della loro organizzazione: donde la ripetitività delle formule e l’uniforme
ordinamento sistematico della materia” (Mortara Garavelli 2001).
Il maggior numero di suddivisioni si trova nei codici, ripartiti in libri, titoli, capi, sezioni, paragrafi e
articoli (oltre che commi). Non tutti i capi sono suddivisi in sezioni, né tutte quante le sezioni in paragrafi.
Tutte quante le partizioni sono però fornite di rubriche.
Per esempio, proviamo a chiederci dove si collocano nel Codice civile le norme che ripartiscono
l’accollo delle spese da sostenersi su un bene di proprietà di X, ma oggetto di un diritto assoluto di godimento
in favore di Y?
Codice civile, Libro III, Della Proprietà
Titolo I: dei beni
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art. 810 NOZIONE – Sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti.
[…]
Titolo II: della Proprietà
Titolo III: della Superficie
Titolo IV: dell’Enfiteusi
Titolo V: dell’Usufrutto, dell’Uso, dell’Abitazione
Capo I: dell’Usufrutto
Sezione I: disposizioni generali
art. 978 COSTITUZIONE – L’usufrutto è stabilito dalla legge o dalla volontà dell’uomo. Può
anche acquistarsi per usucapione
[…]
Sezione II: dei diritti nascenti dall’usufrutto
Sezione III: degli obblighi nascenti dall’usufrutto
art. 1001 - OBBLIGO DI RESTITUZIONE. MISURA DELLA DILIGENZA – L’usufruttuario deve restituire le cose che formano oggetto del suo diritto, al termine dell'usufrutto, salvo quanto è
disposto dall’art. 995.
Nel godimento della cosa egli deve usare la diligenza del buon padre di famiglia.
[…]
art. 1004 – SPESE A CARICO DELL’USUFRUTTUARIO – Le spese e, in genere, gli oneri relativi alla
custodia, amministrazione e manutenzione ordinaria della cosa sono a carico dell'usufruttuario.
Sono pure a suo carico le riparazioni straordinarie rese necessarie dall'inadempimento degli
obblighi di ordinaria manutenzione
art. 1005 – SPESE STRAORDINARIE - Le riparazioni straordinarie sono a carico del proprietario.
Sezione IV: estinzione e modificazioni dell’usufrutto
Capo II: dell’Uso
Capo III: dell’Abitazione
[2] Concetti di partenza sviluppati dal testo normativo
Al livello dei contenuti l’univocità complessiva del testo normativo è assicurata dal rispetto di una
serie di concetti di partenza, di cui le singole prescrizioni si presentano come il coerente sviluppo. [2a] Il
concetto di partenza può talvolta prendere la forma di una norma sovraordinata, alla quale la prescrizione
faccia espresso rinvio. [2b] Altre volte il rinvio può essere a un concetto chiave dell’ordinamento giuridico (o
di uno dei suoi settori).
L’art. 1001 del codice civile offre un esempio per entrambe le tipologie:
[OBBLIGO DI RESTITUZIONE. MISURA DELLA DILIGENZA] L’usufruttuario deve restituire le cose che
formano oggetto del suo diritto, al termine dell’usufrutto, salvo quanto è disposto dall’art. 995.
Nel godimento della cosa egli deve usare la diligenza del buon padre di famiglia.
Il rinvio che chiude il primo comma della disposizione serve a tenere conto del carattere speciale che presenta la
situazione disciplinata con l’art. 995, rispetto alla disciplina generale dell’usufrutto. E’ nella logica generale di questo
istituto che il bene di cui ha goduto l’usufruttario sia restituito al nudo proprietario, una volta estintosi il diritto
d’usufrutto. Tale meccanismo non può tuttavia operare se l’usufrutto si riferisce a cose consumabili. Per questo caso l’art.
995 sostituisce perciò al normale obbligo di restituzione, un obbligo di restituzione per equivalente: «è in facoltà
dell’usufruttuario di pagare le cose secondo il valore che hanno al tempo in cui finisce l’usufrutto o di restituirne altre in
eguale qualità e quantità». L’eccezione introdotta attraverso il rinvio all’art. 995 finisce in questo modo per far fare
assumere all’art. 1001, 1° co. la natura di norma sovraordinata, rispetto allo stesso art. 995.
Il secondo comma dell’art. 1001 individua la misura della responsabilità dell’usufruttuario nella diligenza del
buon padre di famiglia. Il rinvio è in questo caso a una figura ideale – il modello del cittadino avveduto – che il codice
civile non definisce in quanto tale, ma che funziona ciononostante da riferimento generale per fissare la misura della
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responsabilità del debitore (in generale, dunque non del solo usufruttario: cfr. artt. 382, 1176, 1587, 1710, 1768, 1804,
1961, 2148, 2167). Si tratta dunque di un concetto chiave del codice che dà coesione all’intera gamma dei rapporti di
obbligazione.
[2c] L’esigenza del legislatore di descrivere esaurientemente cose e fatti in modo da vincolare il più
possibile l’interpretazione del dettato, si manifesta tuttavia al maggior livello attraverso il ricorso alle
definizioni. Si è in presenza di una definizione legislativa allorché sia le legge stessa ad attribuire un dato
significato a una specifica parola. A differenza delle definizioni che si trovano per es. nei lessici e nei
vocabolari, le definizioni legislative sono generalmente stipulative. Esse cioè si propongono di usare un certo
vocabolo o sintagma in un modo determinato a preferenza di altri. Le definizioni stipulative si possono
ulteriormente distinguere in stipulazioni pure e ridefinizioni. [a] Le prime ricorrono allorché si attribuisca
significato a un vocabolo o a un sintagma di nuovo conio (per es. a un forestierismo) oppure si attribuisca un
significato nuovo a un vocabolo o a un sintagma già esistenti. [b] Le ridefinizioni (che nel campo del diritto
sono assai più frequenti) ricorrono quando si assegna al definiendum un determinato significato tecnicogiuridico così risolvendo la vaghezza e le ambiguità della stessa nel linguaggio comune.
[a] Definizione stipulativa pura
art. 1, l. 6 maggio 2004 n. 129: L’affiliazione commerciale (franchising) è il contratto, comunque denominato,
fra due soggetti giuridici, economicamente e giuridicamente indipendenti, in base al quale una parte concede la
disponibilità all’altra, verso corrispettivo, di un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale […] inserendo
l’affiliato in un sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul territorio, allo scopo di commercializzare
determinati beni o servizi.
definiendum = franchising / definiens = affiliazione commerciale
[b] Ridefinizione
art. 587 c.c. - TESTAMENTO - Il testamento è un atto revocabile con il quale taluno dispone, per il tempo in cui
avrà cessato di vivere, di tutte le proprie sostanze o di parte di esse.
definiendum = testamento / il definiens assegna al termine definito una valenza esclusivamente patrimoniale e
permette così di risolvere la vaghezza e l’ambiguità della parola nella lingua comune (si pensi per es. al testamento
spirituale e al testamento biologico).
L’obiettivo delle definizioni legislative – di attribuire un significato unico e univoco a singole parole può essere perseguito con metodi diversi, a ciascuno dei quali corrisponde un tipo specifico di definizione. Per
es., [g] si dice estensionale la definizione che elenca ogni classe di oggetti o di situazioni cui il termine definito
può essere correttamente applicato (secondo lo schema: A è costituito da b – c - d). A rovescio, [d] costituisce
una definizione per esclusione quella che individua in via residuale la classe del termine definito (secondo lo
schema: sono A tutti i b che non sono c). [e] Intensionale è invece la definizione che esprime le proprietà che una
specie deve necessariamente presentare per poter appartenere alla classe definita (secondo lo schema: A ricorre
in presenza delle caratteristiche b e c). Le definizioni intensionali vengono a coincidere con [z] le definizioni per
genus et differentiam (per genere e differenza specifica) allorché la (sotto)specie definita viene illustrata
indicando le caratteristiche che permettono di distinguerla dalle altre (sotto)specie che appartengono al
medesimo genere (A è quel b che presenta la caratteristica c).
[g] Definizione estensionale / [d] Definizione per esclusione
art. 812 c.c. – DISTINZIONE DEI BENI - Sono beni immobili il suolo, le sorgenti e i corsi d’acqua, gli alberi, gli
edifici e le altre costruzioni, anche se unite al suolo a scopo transitorio, e in genere tutto ciò che naturalmente o
artificialmente è incorporato al suolo.
[…]
Sono mobili tutti gli altri beni.
1° co.: definiendum = beni immobili / definiens = suolo, sorgenti, corsi d’acqua etc.
3° co.: definiendum = beni mobili / definiens = tutti i beni che non sono immobili (ulteriore categoria dello stesso
genere il relazione alla quale il definiendum viene definito)
[g] Definizione intensionale
art. 587 c.c. - TESTAMENTO - Il testamento è un atto revocabile con il quale taluno dispone, per il tempo in cui
avrà cessato di vivere, di tutte le proprie sostanze o di parte di esse.
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definiendum = testamento / definiens = la somma delle tre caratteristiche dell’atto: d’essere revocabile, mortis
causa e di disposizione patrimoniale.
[z] definizione per genus et differentiam
art. 1655 c.c. - APPALTO – L’appalto è il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi
necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro.
definiendum = appalto / definiens = il genere (contratto) del quale il definiendum costituisce la specie + la
caratteristica particolare (oggetto tipico) che distingue il definiendum dalle altre specie comprese nel genere. Si noti che
in questo tipo di definizioni il genere di partenza è dato per noto; il contratto è in effetti definito dal codice all’art. 1321.
I tipi di definizione sopra illustrati possono a loro volta integrarsi con due altri metodi definitori usati
dal legislatore, che si distinguono per il “luogo” peculiare in cui appare il definiendum ovverosia le definizioni
parentetiche e a quelle per rubrica. [h] Le definizioni parentetiche presentano la descrizione di un evento o di
un fatto e le fanno seguire (in genera tra parentesi, da cui l’aggettivo ‘parentetiche’ ) l’indicazione del nome
che designa tale fenomeno. [q] Le definizioni per rubrica risultano dal confronto tra il vocabolo che
costituisce la rubrica posta in testa all’articolo e il fenomeno descritto nel testo della disposizione.
[h] Definizione parentetica
art. 1, l. 6 maggio 2004 n. 129: L’affiliazione commerciale (franchising) è il contratto, comunque denominato,
fra due soggetti giuridici, economicamente e giuridicamente indipendenti, in base al quale una parte concede la
disponibilità all’altra, verso corrispettivo, di un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale […] inserendo
l’affiliato in un sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul territorio, allo scopo di commercializzare
determinati beni o servizi.
definiendum = (franchising) / definiens = affiliazione commerciale
affiliazione commerciale = definiendum / definiens = il genere (contratto) del quale il
definiendum costituisce la specie + la caratteristica particolare (oggetto tipico)
Come si vede, l’esempio proposto combina tre diverse tipologie definitorie. La definizione di “franchising” è
stipulativa pura nella misura in cui attribuisce un preciso significato a un termine estraneo al vocabolario; è parentetica
nel senso che il defininedum è indicato tra parentesi, dopo l’espressione che costituisce il definiens. Il definiens (qui
rappresentato dall’espressione “affiliazione commerciale”) rappresenta a sua volta il definiendum di una definizione per
genere prossimo e differenza specifica (nella quale il genus è ancora una volta il contratto).
[q] Definizione per rubrica
art. 827 c.c. - BENI IMMOBILI VACANTI - I beni immobili che non sono in proprietà di alcuno spettano al
patrimonio dello Stato.
Definiendum = beni vacanti / definiens = il genere (bene) + la caratteristica particolare
La prima parte dell’enunciato legislativo definisce il bene (immobile) vacante come il bene che non è in
proprietà di alcuno; dunque secondo il modulo della definizione per genere prossimo (in questo caso il bene, definito
dall’art. 810 c.c.) e della differenza specifica. La seconda parte della disposizione detta invece la disciplina dell’ente
definito, stabilendone la spettanza allo stato.
n.b. A rigore, non costituisce una definizione per rubrica quella che riprende il definiendum nel corpo della
disposizione; così per es. all’art. 942 c.c. - TERRENI ABBANDONATI DALLE ACQUE CORRENTI - I terreni abbandonati dalle
acque correnti, che insensibilmente si ritirano da una delle rive portandosi sull’altra, appartengono al demanio pubblico,
senza che il confinante della riva opposta possa reclamare il terreno perduto
[3] Ripetizione dei termini e Iperonimi
Per evitare che l’uso di pronomi o sinonimi possa oscurare i riferimenti e ostacolare la comprensione
del discorso, il testo legislativo fa frequente uso della ripetizione. Come è stato notato, la ripetizione è in
effetti un importante elemento di coesione del testo: “serve a indicare uniformemente i referenti e quindi a
garantire la continuità tematica” (Mortara Garavelli 2001).
Anche in contesti in cui una variatio del termine (magari attraverso una ripresa anaforica attraverso
un pronome) non può creare una reale ambiguità, il ricorso alla ripetizione del termine è comunque
raccomandabile, perché permette di comprendere il testo con più immediatezza.
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art. 63 c.p.:
Quando la legge dispone che la pena sia aumentata o diminuita entro termini determinati, l’aumento o la diminuzione si opera sulla qualità di
essa, che il giudice applicherebbe al colpevole qualora non concorresse la circostanza che la fa aumentare o diminuire.
Quando la legge dispone che la pena sia aumentata o diminuita entro termini determinati, l’aumento o la diminuzione si opera sulla qualità della
pena, che il giudice applicherebbe al colpevole qualora non concorresse la circostanza che fa aumentare o diminuire la pena stessa.
[3b] Una variazione del lessico che non allenta tendenzialmente il vincolo interpretativo – ed è dunque
ammessa anche nel testo normativo – è quella offerta dagli iperonomi: il termine ((dal gr. ypér «sopra»
e ónoma «nome») indica una parola dal significato più ampio di quello di uno o più termini dal significato
specifico (a loro volta detti iponimi, dal gr. ypó «sotto» e ónoma «nome»: tavolo è per es. iperonomo rispetto a
scrittoio e iponomo rispetto a mobile). Una volta che in una disposizione normativa sia stato utilizzato un
termine specifico, per denotare un dato concetto, si potrà riprendere quel medesimo concetto servendosi del
segno linguistico di grado sovraordinato.
art. 102 c.c. – PERSONE CHE POSSONO FARE OPPOSIZIONE - I genitori e, in mancanza loro, gli altri ascendenti e i
collaterali entro il terzo grado possono fare opposizione al matrimonio dei loro parenti per qualunque causa che osti alla
sua celebrazione.
[…]
Quando si tratta di matrimonio in contravvenzione all’art. 89, il diritto di opposizione spetta anche, se il
precedente matrimonio fu sciolto, ai parenti del precedente marito.
Per “opposizione al matrimonio” s’intende l’atto presentato all’autorità giudiziaria da chi sostenga che
l’annunciato matrimonio tra Tizio e Caia sarebbe nullo per difetto di uno dei presupposti di legge (per es. adducendo che
uno dei coniugi sia minore). Il primo comma dell’art. 102 elenca i soggetti legittimati a presentare l’atto di opposizione,
individuandoli negli ascendenti in linea retta senza limiti di grado («i genitori … e gli altri ascendenti») e in linea
collaterale nei parenti entro il terzo grado (in sostanza, fratelli o sorelle e zii dei futuri sposi). Il comma successivo amplia
il raggio dei legittimati, nel caso speciale in cui il motivo dell’opposizione consista nel fatto che la futura sposa stia per
contrarre un secondo matrimonio, senza che sia trascorso il termine di trecento giorni (previsto dall’art. 89 c.c.) dalla
data dello scioglimento, dell’annullamento o della cessazione degli effetti civili del primo matrimonio. In questo caso la
facoltà di presentare l’atto di opposizione è estesa ai parenti del primo marito. L’iperonomo parenti riprende gli iponomi
elencati nel primo comma della disposizione e va inteso perciò non nel senso vago e generico del termine, ma come:
“ascendenti (del primo marito) in linea retta senza limiti di grado e collaterali (sempre del primo marito) entro il terzo
grado”.
[4] Uso dell’indicativo presente
L’indicativo presente rappresenta la forma verbale elettiva del discorso normativo, per la sua
capacità di svincolare la prescrizione, che il verbo denota, dal momento temporale della sua emissione. La
norma destinata ad avere una validità che va oltre l’istante della sua formulazione, è perciò espressa nella
proposizione principale dell’enunciato normativo attraverso un presente atemporale o intemporale (cd. presente
non deittico):
art. 984 – FRUTTI - I frutti naturali e i frutti civili spettano all’usufruttuario per la durata del suo diritto.
Naturalmente, l’uso atemporale dell’indicativo presente vale per l’enunciato prescrittivo vero e
proprio. In una disposizione a struttura complessa, segnalata a livello sintattico dall’esistenza di proposizioni
subordinate, nelle proposizioni dipendenti potrà registrarsi un indicativo presente con valore anaforico, tutte
le volte in cui si tratti di segnalare il rapporto di contemporaneità rispetto all’evento preso in considerazione
dall’enunciato prescrittivo:
art. 1 cost.: La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Ovviamente, un rapporto anaforico che sia di anteriorità o di posteriorità, richiederà nella
subordinata un tempo verbale corrispondente (per es. il perfetto o il futuro semplice):
art. 585 c.p.c. – VERSAMENTO DEL PREZZO – […]
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Se l’immobile è stato aggiudicato a un creditore ipotecario … il giudice dell’esecuzione può limitare, con suo
decreto, il versamento alla parte del prezzo occorrente per le spese e per la soddisfazione degli altri creditori che potranno
risultare capienti.
Chi si aggiudica in una vendita giudiziale l’immobile di un debitore, deve normalmente versare l’intero prezzo
d’asta ai soggetti pubblici che hanno curato la vendita. La disposizione riportata affronta l’ipotesi particolare in cui ad
aggiudicarsi l’immobile sia stato un creditore ipotecario, ossia un creditore che poteva vantare un diritto di prelazione
sull’immobile venduto rispetto alla massa dei creditori semplici. L’enunciato prescrittivo (ricorrendo al presente
atemporale : «può [limitare]» ) lascia al giudice dell’esecuzione la facoltà di decidere se chiedere alla persona cui
l’immobile è stato aggiudicato di pagare l’intero prezzo d’asta oppure solo una parte. Poiché l’aggiudicazione precede
logicamente e cronologicamente il decreto del giudice, il fatto relativo è espresso nella subordinata con un verbo al
perfetto passivo composto («se l’immobile è stato aggiudicato»); il rapporto anaforico tra proposizione principale e
subordinata è dunque in questo caso di anteriorità.
Se l’art. 585 c.p.c. ammette che l’aggiudicatario possa versare anche solo una parte del prezzo, è perché
l’aggiudicatario in questione risulta essere, al tempo stesso, creditore ipotecario dell’immobile: ciò significa che in qualità
di aggiudicatario egli dovrebbe pagare un prezzo che gli sarebbe poi restituito appunto in qualità di creditore ipotecario.
Il giudice dell’esecuzione può evitare questo inutile passaggio stabilendo che il prezzo e il credito siano compensati, nei
limiti ovviamente della somma concorrente. Poiché tuttavia vi sono o vi potrebbero essere crediti che hanno la
precedenza rispetto allo stesso credito dell’aggiudicatario, la compensazione non potrà mai arrivare al punto da
esonerare l’aggiudicatario dal pagare l’intero prezzo. Una parte servirà infatti a liquidare le spese (certe!) della vendita
(p.e. gli avvisi d’asta fatti pubblicare sui giornali). Un’altra parte potrà essere accantonata per liquidare – così si esprime
l’ultima parte dell’art. 585 - «i creditori che potranno risultare capienti», ossia altri creditori con un diritto d’ipoteca
privilegiato rispetto a quello dello stesso aggiudicatario. Dal momento che questi altri (eventuali) creditori si vedranno
girare il prezzo in un momento successivo a quello del decreto del giudice delegato, la loro condizione è espressa nella
subordinata con un verbo al futuro semplice («i creditori che potranno risultare capienti»); il rapporto anaforico tra
proposizione principale e subordinata è dunque in questo caso di posteriorità.
.
IV.3 LO STILE NORMATIVO
Al di là dell’esistenza di alcune caratteristiche che rendono il testo normativo vincolante, esistono
delle caratteristiche che sono dettate in parte dalla necessità di assecondare il pensiero giuridico (soprattutto,
la sua tendenza all’astrazione), in parte dipendono spesso dall’inconsapevole e pigra accettazione della
tradizione espressiva, cioè del modo in cui normalmente parlano e soprattutto scrivono i giuristi (magari in
virtù del desiderio di innalzare una barriera tra il parlante e l’esterno). Proprio perché in parte si tratta di
aspetti funzionali alla migliore resa del pensiero giuridico, in parte di dipendenza da usi non apprezzabili,
occorre di volta in volta stabilire se questi modi espressivi debbano essere mantenuti oppure evitati.
I fenomeni in questione sono sia sintattici sia lessicali; privilegeremo in questa sede i primi, rinviando
l’esame dei secondi alla sezione dedicata al lessico giuridico.
[1] Ordine delle parole e delle frasi
Il testo normativo aspira (o dovrebbe aspirare) a una Regolarità sintattica, intesa in primo luogo
come normalità nella disposizione delle componenti degli enunciati.
L’Ordine normale (non marcato) di una frase è quello dato dallo schema SVO = SOGGETTO / Verbo /
Oggetto diretto e indiretto:
art. 1 cost.: LA SOVRANITÀ appartiene al popolo (ogg. ind.).
art. 734 c.c.: IL TESTATORE può dividere i suoi beni (ogg. dir.) tra gli eredi (ogg. ind.).
L’ordine normale degli enunciati ha una doppia funzione: [a] da un lato evita di focalizzare
l’attenzione sull’una o sull’altra parte dell’enunciato, risultando così adeguato per il maggior numero di
contesti pertinenti; [b] dall’altro lato agevola la comprensione dell’enunciato stesso, nella misura in cui
rispetta la distribuzione naturale degli elementi informativi.
[a] L’enunciato in cui consiste l’art. 734 c.c. offre una risposta adeguata a più domande: il testatore ha la
facoltà di dividere i propri beni? I beni ereditari possono essere divisi (oltre che essere assegnati in blocco)? Gli eredi (o
anche altri soggetti) possono vedersi imporre una certa divisione dei beni ereditari? Se l’ordine sintattico dell’enunciato
fosse mutato, magari anteponendo l’oggetto indiretto, col risultato di enfatizzarlo (Tra gli eredi IL TESTATORE può
dividere i suoi beni), la frase suonerebbe come una risposta adeguata solo alla terza domanda.
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[b] L’ordine normale degli enunciati coincide con l’ordine naturale degli elementi informativi poiché
distribuisce l’oggetto dell’informazione in modo tale che per prima vanga la parte del messaggio condivisa
dagli interlocutori (chi scrive e chi legge / chi parla e chi ascolta) e per seconda venga la parte nuova
dell’informazione. La parte d’informazione condivisa in partenza si dice tema (o topic) e nello schema SVO
tende a coincidere con il soggetto; la parte aggiuntiva dell’informazione – e che ne costituisce l’obiettivo vero
e proprio – si dice rema (o comment) e rappresenta quel che si dice del tema.
Nel caso degli enunciati legislativi, anche la Rubrica assolve a una parte fondamentale della funzione
tematica:
art. 908 c.c. - SCARICO DELLE ACQUE PIOVANE - Il proprietario deve costruire i tetti in maniera che le acque
piovane scolino nel suo terreno e non può farle cadere nel fondo del vicino.
Art. 1176 – DILIGENZA NELL’ADEMPIMENTO – Nell’adempiere l'obbligazione il debitore deve usare la diligenza
del buon padre di famiglia.
Scaricare le acque piovane significa far sì che la pioggia si riversi da un luogo all’altro; la Rubrica dell’art. 908
implicitamente segnala dunque al lettore che l’enunciato normativo che segue, si riferirà tendenzialmente a un problema
di raccolta e canalizzazione delle acque piovane legato a una certa conformazione o dei terreni o dei fabbricati. Il dato
informativo di partenza (tema) è completato dalla prima parte della disposizione: «Il proprietario deve costruire i tetti in
maniera che le acque piovane scolino»; il lettore constata perciò immediatamente che il problema affrontato è in effetti
quello del deflusso (scolare scolo = deflusso) prodotto dalla conformazione dei fabbricati (e dei tetti dei fabbricati, in
particolare), non quello del deflusso legato alla conformazione dei terreni (da un fondo superiore a un fondo inferiore),
che è problema disciplinato in effetti da un’altra disposizione del codice (art. 903). La base informativa condivisa (tema)
è data dunque dal dato d’esperienza che i tetti dei fabbricati possono determinare uno scarico delle acque piovane.
Esposto il tema, segue il rema, ossia quel che l’emittente intende dire a proposito del tema: «(Il proprietario deve
costruire i tetti) in maniera che le acque piovane scolino nel suo terreno». La parte nuova dell’enunciato – quella che
l’interlocutore non può dare per scontata e a cui si riduce, in definitiva, la componente normativa del discorso – è quella
che prescriva un certo modo d’essere del tetto, ponendo la sua realizzazione a carico del proprietario del fabbricato.
Un discorso analogo – sia pure sottolineando due importanti differenze - può essere fatto a proposito della
struttura dell’art. 1176. Le differenze sono le seguenti: 1) la rubrica dell’art. 1176 già da sola denota l’intero tema della
disposizione; 2) il tema della disposizione – ossia la base di partenza informativa condivisa tra il legislatore e chi legge –
non è rappresentata da un fatto empirico (com’era nel caso precedente, quando si parlava dello sgocciolio dell’acqua
piovana dai tetti), bensì da una serie di concetti tecnici che il codice non definisce in quanto tali, ma dà per presupposti.
Adempimento è infatti termine tecnico che indica l’esecuzione della prestazione cui è tenuto il debitore e diligenza indica
la cura messa in una qualche operazione (in questo caso nell’adempiere). Dunque diligenza nell’adempimento è sintagma
che già segnala implicitamente che il problema da affrontare sarà grosso modo di questo tenore: quanta diligenza,
quanta cura debba mettere il debitore nell’adempiere l’obbligazione. Dato che la prima parte dell’art. 1176 non è altro
che una ripresa letterale del tema, la parte prescrittiva dell’enunciato si riduce alle ultimissime parole: «(Nell’adempiere
l’obbligazione il debitore deve usare la diligenza) del buon padre di famiglia»; dunque anche il rema consiste
propriamente in un rinvio: in un rinvio a quella figura ideale – il modello del cittadino avveduto – di cui già abbiamo
detto (vd. pt. IV.2.2).
[c] Nelle frasi a struttura complessa varie parti dell’enunciato assolvono a una funzione tematica. Si
può anzi dire che il tema coincide in questo caso con tutto ciò che fa da sfondo (setting) della parte rematica e
nuova dell’enunciato:
art. 907 c.c. - DISTANZA DELLE COSTRUZIONI DALLE VEDUTE - Quando si è acquistato il diritto di avere vedute
dirette verso il fondo vicino, il proprietario di questo non può fabbricare a distanza minore di tre metri.
Nell’articolo riportato la parte rematica è data dall’enunciato conclusivo per cui la distanza legale tra due
costruzioni deve essere di almeno tre metri. La parte tematica non è rappresentata tuttavia dalla sola sequenza SV della
proposizione principale (il proprietario non può fabbricare). Il cuore tematico dell’enunciato è dato dalla determinazione
iniziale di tempo e di luogo, che ha forma di proposizione subordinata: in effetti non ogni proprietario deve rispettare nel
costruire una distanza di almeno tre metri; ciò vale solo quando il proprietario del fondo contiguo abbia acquistato (ossia
si sia fatto riconoscere dal vicino) il diritto di avere vedute dirette (veduta diretta è termine tecnico per indicare una
finestra che consenta di affacciarsi e di guardare di fronte: cfr. art. 900 c.c.). L’anteposizione del circostanziale di tempo
(Quando si è acquistato il diritto …) serve dunque non solo a precisare il tema, ma a rispettare la sequenza logica e
temporale degli avvenimenti (in quanto si sia acquistato il diritto di veduta … allora il fabbricato che ci si trova di fronte non
potrà trovarsi a meno di tre metri).
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[d] Per la tematizzazione dell’enunciato prescrittivo il dettato legislativo sfrutta talvolta la
costruzione piramidale dei codici, scandita dall’articolazione in libri, titoli, capi e articoli (vd. al pt. IV.2.1). In
questo processo di discesa progressiva verso il particolare, la possibilità di riprendere nei singoli enunciati
argomenti o aspetti già oggetto di articoli precedenti è evidentemente molto alta. Quando ciò accade, è
possibile che l’enunciato particolare – oggetto di un dato articolo – presenti una combinazione di tema e rema.
Art. 941 c.c. - ALLUVIONE - Le unioni di terra e gli incrementi, che si formano successivamente e
impercettibilmente nei fondi posti lungo le rive dei fiumi o torrenti, appartengono al proprietario del fondo.
Per alluvione (oltre allo straripamento di acque, di fiumi o piovane) s’intende l’accumulo di detriti depositati a
valle dai corsi impetuosi di acqua. E’ questa la nozione cui fa riferimento la rubrica dell’art. 941, poi ripresa e dettagliata
nella lunga introduzione tematica dell’articolo: «Le unioni di terra e gli incrementi, che si formano successivamente e
impercettibilmente nei fondi posti lungo le rive dei fiumi o torrenti». A questa lunga premessa – che ha indubbiamente
natura tematica – segue la parte prescrittiva: (gli incrementi in questione) «appartengono al proprietario del fondo»
(ovviamente del fondo in cui i detriti sono andati sedimentandosi). La prescrizione in questione non rappresenta tuttavia
in tutto e per tutto un commento del tema, e non coincide dunque in tutto e per tutto col rema dell’enunciato. Il
predicato appartengono è infatti un dato in qualche modo atteso (e perciò condiviso) dal lettore. L’attesa è determinata
dalla collocazione dell’art. 941 entro la griglia a piramide del codice civile. L’articolo riportato è infatti inserito nel libro
III, titolo II, capo III: «Dei modi d’acquisto della proprietà». Poiché la rubrica del capo III indica il topic generale del
discorso, è implicito che il tema (particolare) degli incrementi fluviali è posto nella prospettiva della loro appartenenza
(prospettiva che è dunque tematica). Il rema vero e proprio del’enunciato è dato dunque non dalla questione
dell’appartenenza, ma dalla domanda a chi appartengano (gli incrementi fluviali).
[2] Stereotipi sintattici
Stereotipi linguistici sono tutte quelle locuzioni o espressioni fissatesi in una forma determinata,
ripetuta meccanicamente. Gli stereotipi della lingua giuridica costituiscono dunque degli indicatori dello stile
legale. Essi hanno natura sintattica (e non meramente lessicale) allorché incidano sulle relazioni di dipendenza
dei vari enunciati che compongono una frase.
[a] Stile nominale
Lo stile nominale è quello che fa ampio uso della nominalizzazione; il procedimento in questione
consiste nel contrarre in un sostantivo (astratto) gli elementi di una proposizione (verbo ed eventualmente
argomenti del verbo: per es. importazione da importare; l’arrivo degli invitati da gli invitati sono arrivati). La
scrittura nominalizzata è una scrittura astratta, tipica di ogni discorso che verte su principi e categorie
piuttosto che su processi composti dalla somma di accadimenti particolari. Attraverso l’astrazione è garantito
al discorso un alto grado di formalità e di generalità.
art. 2655 c.c. - ANNOTAZIONE DI ATTI E DI SENTENZE - Qualora un atto trascritto o iscritto sia dichiarato nullo o
sia annullato, risoluto, rescisso o revocato o sia soggetto a condizione risolutiva, la dichiarazione di nullità e,
rispettivamente, l’annullamento, la risoluzione, la rescissione, la revocazione, l’avveramento della condizione devono
annotarsi in margine alla trascrizione o all’iscrizione dell’atto.
dichiarare nullo un atto
dichiarazione di nullità
annullare un atto
annullamento
rescindere un atto
rescissione
risolvere un atto
risoluzione
revocare un atto
revocazione
avveramento
derivato da avverare
trascrivere un atto
trascrizione
iscrivere un atto
iscrizione
art. 477 c.c. - DONAZIONE, VENDITA E CESSIONE DEI DIRITTI DI SUCCESSIONE - La donazione, la vendita o la
cessione, che il chiamato all’eredità faccia dei suoi diritti di successione a un estraneo o a tutti gli altri chiamati o ad
alcuno di questi, importa accettazione dell’eredità.
donazione derivato da donare; vendita derivato da vendere; cessione derivato da cedere; il chiamato / i chiamati
derivato da chiamare; successione derivato da succedere; accettazione derivato da accettare.
(importa, forma non comune per comporta, nel senso figurato di “portare con sé come conseguenza”)
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[b] Passivo con soggetto inanimato
Oltre che attraverso la nominalizzazione, la dimensione astratta del discorso normativo è raggiunta
incidendo anche al livello del predicato verbale. Entro lo schema normale SVO, un predicato Verbale in forma
attiva imporrebbe che il Soggetto fosse precisamente individuato. Volgendo il predicato al passivo e legandolo
a un soggetto inanimato, si ottiene non solo una evidente generalizzazione dell’enunciato, ma anche di
richiamare l’attenzione dell’interlocutore sull’attività svolta anziché sul soggetto agente; il che è opportuno
ogni volta che l’elemento della vita reale, che si tratta di disciplinare, attenga a una certa condotta in sé,
piuttosto che ai soggetti che la realizzano.
art. 2643 c.c. - ATTI SOGGETTI A TRASCRIZIONE - Si devono rendere pubblici col mezzo della trascrizione:
1) i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili;
2) i contratti che costituiscono, trasferiscono o modificano il diritto di usufrutto su beni immobili, il diritto di
superficie, i diritti del concedente e dell'enfiteuta.
art. 2659 c.c. - NOTA DI TRASCRIZIONE - Chi domanda la trascrizione di un atto tra vivi deve presentare al
conservatore dei registri immobiliari, insieme con la copia del titolo, una nota in doppio originale, nella quale devono
essere indicati:
1) il cognome ed il nome, il luogo e la data di nascita e il numero di codice fiscale delle parti (…)
2) il titolo di cui si chiede la trascrizione e la data del medesimo (…)
Nell’art. 2659 la proposizione reggente («chi domanda la trascrizione … deve presentare … una nota») ha
diatesi attiva; la subordinata relativa ha invece diatesi passiva. Il passaggio da una diatesi all’altra esprime bene le
diverse esigenze informative. Fare trascrivere nei registri immobiliari l’atto di acquisto per es, di un immobile è
un’azione che presuppone un preciso soggetto interessato (nell’es. l’acquirente). Poiché l’operazione del trascrivere
implica il segnare nei registri immobiliare tutta una serie di dati, occorre che i dati medesimi siano messi a disposizione
del funzionario che provvederà poi, appunto, a trascriverli. Sono questi dati a formare l’oggetto della nota di trascrizione
ed è ovvio che spetti all’interessato di presentarli (in una con la nota di trascrizione) alla Pubblica Amministrazione. La
diatesi attiva della proposizione reggente si spiega dunque con la doppia considerazione che l’azione (il presentare la nota
di trascrizione) presuppone un soggetto preciso (la persona che domanda la trascrizione) e che è importante, al livello della
strategia informativa, mettere l’accento sul fatto che l’azione (presentare la nota) costituisce un preciso onere di quel
soggetto (deve presentare). Nella subordinata relativa, il focus del discorso si sposta invece sui requisiti di contenuto della
nota di trascrizione. Beninteso, essi continuano a costituire un onere dell’interessato, ma di secondo livello. Ponendo
l’accento sui “dati” che «devono essere indicati» nella nota di trascrizione, la diatesi passiva aiuta a costruire il tipo ideale
della nota di trascrizione, con una obiettiva generalizzazione del discorso.
[c] Enclisi del “si” passivante con l’infinito dopo un verbo modale
I verbi modali sono verbi su cui si appoggia un predicato all’infinito (dunque detti anche verbi servili,
appunto perché servono all’infinito che li segue) per esprimere un’idea di possibilità, volontà, obbligo o
necessità. Nella costruzione verbo modale + infinito si ha enclisi della particella pronominale si, quando la
particella viene ad appoggiarsi all’infinito che la precede, formando con esso un’unità fonetica e grafica (per
es. l’espressione “possono applicarsi” ha forma enclitica, rispetto alla forma proclitica “si possono applicare”).
L’enclisi della particella ‘si’ ha valore passivante, quando conferisce valore passivo a un verbo di forma attiva
(per es. devono farsi = devono essere fatti).
Per quanto possa rispondere ad apprezzabili ragioni di concisione (come si vede dal confronto tra il
testo e la rubrica dell’art. 2633 del c.c.), questo costrutto sintattico contribuisce facilmente a una pesante
involuzione del linguaggio.
art. 2663 c.c. - UFFICIO IN CUI DEVE FARSI LA TRASCRIZIONE - La trascrizione deve essere fatta presso ciascun
ufficio dei registri immobiliari nella cui circoscrizione sono situati i beni.
“In tema di favoreggiamento personale, la giurisprudenza di legittimità ha insegnato che l’“aiuto” comprende
anche la pressione esercitata su un terzo per indurlo a ritrattare le accuse formulate a carico del soggetto che si intende
favorire, aggiungendo che non ha rilevanza che l’agente operi quando le investigazioni dell’autorità debbano ancora
iniziarsi o siano già avviate o addirittura concluse … e, sin da risalente autorevole dottrina, si è chiarito che l’aiuto
deve potersi dire positivo e diretto, in relazione allo scopo, ma non occorre che debba qualificarsi tale anche in
rapporto alla persona aiutata, alla quale può benissimo prestarsi aiuto mediato. Cosicché la condotta di
favoreggiamento può commettersi anche mediante pressione esercitata sopra un terzo, ed in tale ipotesi, se la legge
riconosce a codesto terzo la facoltà giuridica di determinarsi a vantaggio del favoreggiato, il titolo di favoreggiamento si
presenterà se l’ausiliatore abbia usato violenza fisica o morale o frode”.
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[d] Incisi ipotattici e paratattici
Incisi ipotattici e paratattici sono tutti quei legamenti (dalla congiunzione al pronome, all’avverbio)
che legano le varie proposizioni dell’enunciato. L’inciso è di natura ipotattica se coordina proposizioni di grado
diverso (reggente e subordinate di I, II, III grado etc.); è invece di natura paratattica se coordina proposizioni
di grado uguale. Quando la situazione presa in considerazione in un dato enunciato normativo è la risultante
di una serie di circostanze o di situazioni sovraordinate, oppure quando si debba dare conto di una casistica
varia ma soggetta alla medesima prescrizione, l’uso corretto (e riconoscibile) del connettivo diventa
fondamentale per la tenuta dell’intero discorso.
art. 808 c.c., 2° co. - EFFETTI NEI RIGUARDI DEI TERZI - Il donatario, che prima della trascrizione della
domanda di revocazione ha costituito sui beni donati diritti reali che ne diminuiscono il valore, deve indennizzare il
donante della diminuzione di valore sofferta dai beni stessi.
(S.) Il donatario,
che
prima della trascrizione della domanda di revocazione
subord. di
I grado
ha costituito
sui beni donati
diritti reali
che ne diminuiscono il valore,
inciso di II livello
inciso di II livello
subord. di II grado
(V.) deve indennizzare (Ogg. dir.) il donante
(Ogg. ind.) della diminuzione di valore sofferta dai beni stessi.
Donare (da cui il nominale astratto [vd. pt. IV.3.2a] donazione) indica giuridicamente il fatto di trasferire un
bene senza pretendere alcun corrispettivo: chi dona è il donante, chi riceve il donatario. Nonostante la donazione dia
luogo a un acquisto definitivo (diversamente si sarebbe di fronte a un prestito), vi sono alcuni casi eccezionali in cui il
trasferimento del bene donato può essere revocato (vd. art.800 c.c.). Come s’intuisce dalla disposizione riportata, la
revoca è disposta da un giudice all’esito di un processo aperto dall’apposita domanda presentata dall’interessato
(domanda di revocazione).
Entro questo topic generale s’innesta il problema affrontato nell’art. 808. Con la revoca della donazione, quale è
la sorte dei diritti reali concessi dal donatario? Se per es. era stato donato un fondo e il donatario dopo qualche tempo ne
aveva concesso l’usufrutto a una terza persona (vd. pt. IV.2.1), una volta revocata la donazione, cade anche l’usufrutto?
La soluzione del legislatore in linea di massima è negativa. L’usufrutto era stato concesso in un momento in cui il
donatario si presentava come il legittimo proprietario del bene. I terzi fidavano della situazione e non sarebbe equo
scaricare su di loro le conseguenze di una scelta del donante rivelatasi poco accorta. Non pregiudicare il diritto
dell’usufruttuario implica tuttavia che il donante si veda restituire un bene deprezzato. Poiché nemmeno questo sarebbe
equo, il punto di equilibrio è trovato dal legislatore nell’idea di indennizzo: l’usufruttuario continuerà a godere della cosa,
ma il donatario pagherà al donante una somma corrispondente al minor valore provocato dalla concorrenza del diritto
d’usufrutto.
La ricostruzione logica della situazione affrontata nell’art. 808 trova un preciso riflesso nella sua organizzazione
sintattica. La parte prescrittiva coincide con l’enunciato che forma la proposizione reggente: «il donatario deve
indennizzare il donante della diminuzione di valore sofferta dai beni stessi». Come si vede, si tratta dell’ordine normale
(vd. pt. IV.3.1) SVO (quest’ultimo sdoppiato in oggetto diretto e indiretto). Una serie di subordinate e di incisi offrono
tuttavia una serie di informazioni accessorie, che delimitano con precisione la portata della prescrizione.
La prima subordinata di I grado («il donatario che ha costituito diritti reali») circoscrive innanzitutto a un primo
livello l’obbligo di indennizzo, legandolo al topic specifico dell’articolo. E’ tenuto a indennizzare il donante non il
donatario in quanto tale, ma quel donatario (e solo quel donatario) che abbia concesso a terzi diritti reali. Beninteso, su
beni diversi da quelli donati, il donatario sarebbe liberissimo di concedere i diritti reali che crede. La subordinata è perciò
completata da un inciso di secondo livello che chiarisce dal punto di vista oggettivo, quel che già era implicito
soggettivamente: la questione riguarda quel donatario (e solo quel donatario) che abbia concesso diritti reali «sui beni
donati». La subordinata richiede tuttavia una limitazione più importante, questa volta da un punto di vista logico/cronologico. L’obbligo di indennizzare il donante, come abbiamo detto, dipende infatti dalla scelta di proteggere
l’affidamento del terzo. Tale premessa viene tuttavia meno nel momento in cui la domanda di revoca sia stata trascritta
nei registri immobiliari; e viene meno il problema dell’affidamento poiché sui quei medesimi registri andrebbe poi
trascritta anche la concessione del nuovo diritto reale. La trascrizione della domanda di revoca avverte insomma tutti gli
interessati che il donatario potrebbe aver perso ogni potere sul bene. E’ questa la ragione per cui, sul piano sintattico, la
subordinata di I grado è immediatamente spezzata da un (primo) inciso di secondo livello: «prima della trascrizione della
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domanda di revocazione». Il diritto reale concesso dopo la trascrizione non si potrebbe far valere nei confronti del
donante; dunque nessuna diminuzione di valore, dunque nessun indennizzo.
La subordinata di I grado è infine completata da una subordinata di secondo grado: il problema affrontato
riguarda la concessione di diritti reali sui beni donati, «che ne diminuiscono il valore». Concettualmente, questa ulteriore
proposizione è in realtà pleonastica, nel senso che non offre un’informazione essenziale a livello logico. Ciò dipende non
tanto dal fatto che la concessione di un diritto reale tendenzialmente implica sempre una diminuzione del valore del bene
su cui il diritto è costituito. Piuttosto, si tratta di un’informazione pleonastica rispetto a quanto si dice nella parte
rematica dell’enunciato: se il legislatore stabilisce – con la proposizione finale – che il donante ha diritto a un indennizzo
per la perdita di valore, è ovvio che deve trattarsi di un caso in cui la concessione del diritto reale sul bene donato abbia
determinato un deprezzamento del bene stesso. Il fatto che la proposizione sia pleonastica concettualmente, non toglie
però che essa sia utile sul piano della strategia informativa: proprio perché anticipa un elemento del rema, essa ha la
funzione di catalizzare l’attenzione del lettore sul problema pratico a cui il rema offre la soluzione: la perdita di valore del
bene.
[e] Participio
Un tratto tipico dei testi normativi (e dei testi giuridici in generale) è il ricorso diffuso al participio. Il
participio è così chiamato perché partecipa di una doppia natura, seguendo sia alcune caratteristiche del nome
(in particolare la flessione per numero e genere) sia alcune caratteristiche del verbo (nelle lingue moderne
fondamentalmente il tempo: passato e presente). Questa natura mista, spiega la pluralità di funzioni del
participio: [a] verbale, [b] aggettivale, [g] sostantivale:
[a1] participio presente con funzione verbale, seguito dal complemento oggetto
Per es. in locuzioni come: “atti eccedenti l’ordinaria amministrazione”, “monete aventi corso legale”,
“disposizioni concernenti X”, “atti/negozi/contratti aventi contenuto patrimoniale”, “atti/negozi/contratti aventi data
certa”, “cose aventi un prezzo di borsa o di mercato”, “il titolo di credito contenente l’obbligazione di pagare X” etc.
participio passato: p.e. in espressioni come “dedotte le spese”, “prestazioni dedotte in obbligazione”, “rilevata
d’ufficio”, “premessi gli accertamenti del caso”, “clausole considerate vessatorie”, etc.
[a2] participio presente con funzione verbale, seguito da complemento indiretto
Per es. in locuzioni come “diritti spettanti a”, oppure “obblighi gravanti su”, “legge vigente in Italia / in tale
momento”, “obbligazioni / prestazioni inerenti a”, “diritti/obblighi nascenti da”, “riparazioni dipendenti da”, “contratti
aventi ad oggetto X”, “circostante esistenti al momento X”, “prezzi correnti nel luogo X”, “beni sufficienti a”, “sinistri
conseguenti a”, “cosa proveniente da” etc.
participio passato: p.e. nelle espressioni come “termine fissato per il riscatto”, “contratto stipulato per un
termine”, “assicurazione contratta per il caso di”, etc.
[b] participio presente con funzione aggettivale
Per es. in locuzioni come: “secondo la normativa vigente”, “secondo le disposizioni del presente capo”, “secondo
le disposizioni corrispondenti”, “i possessori precedenti”, “servitù/vizi/difetti apparenti”, “creditore apparente”, “tariffe
esistenti”, “debitore inadempiente/insolvente”, “parti contraenti”, “casi/condizioni/articoli seguenti/precedenti”,
“l’affittuario uscente”, “conto corrente”, “forma/titolo equivalente”, “danno emergente”, “lucro cessante”, etc.
participio passato: per es. nelle locuzioni come “procurato aborto”, “contratto disdettato”, “riservato dominio”,
“cose dovute/pignorate/ipotecate/trasportate/sequestrate”, “immobile aggiudicato”, “godimento mancato” (più spesso con
inversione, così come “mancato guadagno”), “pagamento anticipato”, “parte indivisa”, “sentenza annullata”, “tempo
indeterminato”, “terzo interessato”, etc.
[g] participio presente con funzione sostantivale
Per es. in locuzioni come: l’acquirente, l’adottante, l’agente, il cedente, il committente, , il contraente, il costituente, il
deponente, l’emittente, il mutuante, il perdente, il preponente, il promittente, il rappresentante, il richiedente, il ricorrente, etc.
n.b. nonostante mantengano la reggenza verbale (diretta o indiretta) hanno valore sostantivale anche le
locuzioni del tipo: l’avente causa, il dante causa, l’avente diritto, il richiedente asilo, l’agente di cambio, etc.
participio passato: il duplicato, il fabbricato, l’incaricato, l’interessato, il rappresentato, il ricavato, il riportato, lo
stato (p.e. delle cose, di manutenzione, locativo).
[f] Sovraestensioni dell’infinito in frase completiva
Si dicono completive le frasi subordinate che funzionano da Soggetto o da Oggetto (diretto o indiretto)
del Verbo della frase reggente; p.e.: (V) mi sembra strano (S) che si siano comportati così; (V) ho dimenticato (O)
di farlo. In una frase completiva si ha sovraestensione dell’infinito quando un costrutto articolato viene
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contratto in (e sostituito da) un infinito; p.e.: (S) il difensore (V) chiede (O) disporsi la pena (anziché: che sia
disposta la pena).
Pur appartenendo al linguaggio giudiziario (piuttosto che a quello legislativo) tali costrutti sono
significativi poiché non sono esportabili nel linguaggio comune o in altri linguaggi settoriali; pur non essendo
d’uso frequentissimo, essi rappresentano perciò un tratto esclusivo del registro linguistico dei giuristi.
Cass. civ. sent. n. 15484/2004: Si costituiva il fallimento X in persona del curatore, il quale, chiedeva rigettarsi
l’appello perché pretestuoso ed infondato in fatto e diritto.
Corte cost. sent. n. 257/1984: La STEFER, costituitasi mediante distinte memorie del 26 e del 28 gennaio 1974,
contestò in fatto le deduzioni attrici e chiese assumersi prova per testi sui capitoli articolati, ai quali la difesa attrice
oppose altri capitoli.
Tribunale di Nola, sent. del 20.7.2006: In via istruttoria, chiedevano ammettersi prova testimoniale sui capi
articolati ai nn. 1-20 della memoria.
Cass. civ. sent. n. 10570/1994: La domanda con la quale una società chiede dichiararsi che la cessione di quote
del proprio capitale, stipulata dal titolare delle stesse a favore di un terzo, è inefficace, nei confronti di essa società, per
mancanza del consenso degli altri soci, previsto dallo statuto sociale, non è soggetta a prescrizione
Trib. di Primo Grado UE (II sez.) 24 marzo 1994: Il Tribunale reputa inoltre doversi rigettare tanto l’argomento
relativo all' incapacità della ricorrente di allegare al proprio ricorso copia della dichiarazione impugnata, quanto quello
relativo al fatto che la dichiarazione impugnata non avrebbe, in tale data, iniziato a produrre i suoi effetti.
[g] Figure del discorso e catacresi
Figure del discorso sono gli ornamenti e gli artifici cui ricorre l’autore del discorso alla ricerca di un
particolare effetto. Esse si dicono tropi (dal greco trópos, derivato dal verbo tr pw = trasferisco») quando
consistono in una trasposizione di significato, quando cioè l’uso di un’espressione normalmente legata ad un
campo semantico viene attribuito "per estensione" ad altri oggetti o modi di essere.
Dal momento che il testo normativo è concepito per porre al destinatario uno stretto vincolo
interpretativo (vd. pt. III), l’uso delle figure non è normalmente ammesso. La ragione è la stessa che impone
l’impiego della ripetizione (vd. pt. IV.2.3): per evitare che l’uso di un’espressione al di fuori del campo
semantico suo proprio possa oscurare i riferimenti e ostacolare la comprensione del discorso.
Vi sono tuttavia dei casi in cui l’estensione di significato si è tal punto istituzionalizzata, da non essere
più avvertita come un tropo, vale a dire come un impiego ad effetto di una locuzione al di fuori del suo proprio
campo semantico. Nel linguaggio comune ciò accade per es. con espressioni come: “la gamba del tavolo”, “il
collo della bottiglia”, “il letto del fiume”. In casi di questo genere – di tropi divenuti per così dire abituali – si è
di fronte a una catacresi. Anche il linguaggio giuridico, come linguaggio settoriale, conosce un certo numero di
catacresi, ammesse proprio in considerazione del fatto che l’estensione di significato è in questi casi
istituzionalizzata e non allenta perciò il vincolo interpretativo ricercato dall’emittente.
Le figure del discorso, che possono dar luogo a catacresi (anche) nel linguaggio giuridico, sono le stesse
del linguaggio comune. Dunque, in generale, oltre alla [a] Metafora, quando un vocabolo o una locuzione sono
presi come riferimento analogico per esprimere un concetto diverso da quello che normalmente esprimono (p.e.
la locuzione richiamata sopra “la gamba del tavolo”), la [b] Personificazione, quando si fanno parlare persone
assenti o decedute o si personificano cose inanimate o concetti (per es. “Giurisprudenza richiede una
conoscenza approfondita della lingua italiana”); [c] la Metonimia, quando un concetto viene reso da un
termine diverso da quello proprio, ma a esso legato da un rapporto di dipendenza (per es. “l’aula era tutta
protesa all’ascolto”); [d] la Litote, quando per dar luogo a un’affermazione positiva attenuata si nega un
enunciato o una sua parte (per es. “Giurisprudenza richiede una conoscenza non piccola della lingua italiana”);
[e] la sineddoche, quando il termine proprio è sostituito da un altro termine, legato nel suo significato al primo
da un rapporto di quantità (per es. la parte per il tutto [“le vele solcavano il mare”], oppure il singolare per il
plurale [“non c’è pace in Italia per lo straniero”]); [f] il chiasmo, quando si ricorre a una simmetria incrociata
fra parole o gruppi di parole affini (per es. “vizi privati, pubbliche virtù”).
[a] Metafora
La scrittura normativa tende a una dimensione astratta ed ha perciò la necessità di creare concetti attraverso le
parole. Da questo punto di vista la metafora ha perciò largo spazio nel linguaggio giuridico, sia nel reimpiego di singoli
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termini (a partire per es. dalla triade fondamentale: regola, diritto, norma, che già nel latino giuridico costituivano un
reimpiego metaforico) sia nella costruzione di immagini concettuali più complesse. Della natura metaforica dei singoli
termini diremo più avanti, nella sezione dedicata al lessico giuridico). Delle immagini metaforiche porteremo qui come
esempio quella del legame (e dei suoi sinonimi, come vincolo o dei sui opposti come scioglimento), diffusissima nella lingua
del diritto: la si può incontrare, infatti, a proposito tanto dei rapporti familiari o commerciali, quanto essere usata come
un predicato della condizione giuridica dei beni:
art. 74 c.c. – PARENTELA - La parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite.
art. 1585, 2° co., c.c. - DIRITTI DEL CONDUTTORE IN CASO DI RIPARAZIONI - Indipendentemente dalla sua durata,
se l’esecuzione delle riparazioni rende inabitabile quella parte della cosa che è necessaria per l’alloggio del conduttore e
della sua famiglia, il conduttore può ottenere, secondo le circostanze, lo scioglimento del contratto.
art. 1200 c.c. - LIBERAZIONE DALLE GARANZIE - Il creditore che ha ricevuto il pagamento deve consentire la
liberazione dei beni dalle garanzie reali date per il credito e da ogni altro vincolo che comunque ne limiti la disponibilità.
[b] Personificazione (o prosopopea)
art. 2 cost.: La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo.
art. 572 c.c. – SUCCESSIONE FRA PARENTI - La successione non ha luogo tra i parenti oltre il sesto grado.
art. 1068 c.c. - TRASFERIMENTO DELLA SERVITÙ IN LUOGO DIVERSO - Il proprietario del fondo servente non può
trasferire l’esercizio della servitù in luogo diverso da quello nel quale è stata stabilita originariamente. Tuttavia, se
l’originario esercizio è divenuto più gravoso per il fondo servente, o se impedisce di fare lavori, riparazioni o miglioramenti,
il proprietario del fondo servente può offrire al proprietario dell'altro fondo un luogo egualmente comodo per l’esercizio
dei suoi diritti, e questi non può ricusarlo. Il cambiamento di luogo per l’esercizio della servitù si può del pari concedere
su istanza del proprietario del fondo dominante, se questi prova che il cambiamento riesce per lui di notevole vantaggio e
non reca danno al fondo servente.
[c] Metonimia.
art. 24 cost.: La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari.
art. 376 c.c. – VENDITA DEI BENI – Nell’autorizzare la vendita di beni, il tribunale determina se debba farsi
all'incanto o a trattative private, fissandone in ogni caso il prezzo minimo.
(Metonimia + Prosopopea)
art. 477 c.c. - DONAZIONE, VENDITA E CESSIONE DEI DIRITTI DI SUCCESSIONE - La donazione, la vendita o la
cessione, che il chiamato all’eredità faccia dei suoi diritti di successione a un estraneo o a tutti gli altri chiamati o ad
alcuno di questi, importa accettazione dell’eredità.
[d] Litote
art. 25, 2° co., cost.: Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del
fatto commesso.
art. 457, 2° co., c.c. - DELAZIONE DELL’EREDITÀ - Non si fa luogo alla successione legittima se non quando
manca, in tutto o in parte, quella testamentaria.
[e] Sineddoche
art. 438 c.c. – MISURA DEGLI ALIMENTI - Gli alimenti possono essere chiesti solo da chi versa in istato di
bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento.
Essi devono essere assegnati in proporzione del bisogno di chi li domanda e delle condizioni economiche di chi
deve somministrarli. Non devono tuttavia superare quanto sia necessario per la vita dell’alimentando, avuto però riguardo
alla sua posizione sociale.
Possono comprendere anche le spese per l’educazione e l’istruzione se si tratta di minore
[f] Chiasmo (+ prosopopea + metonimia).
art. 33 cost.: L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento.
La Repubblica detta le norme generali sulla istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.
Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.
La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse
piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali.
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Spunti per una riflessione ulteriore: Il legal drafting come codificazione dei tratti di superficie
dei testi normativi
In Italia, la sensibilità per il tema della qualità della legislazione s’affaccia in Parlamento con
l’approvazione della l. 11 settembre 1984 n. 835, recante Norme sulla raccolta ufficiale degli atti normativi
della Repubblica; fu poi approvato un T.U. delle disposizioni sulla promulgazione delle leggi, sulla
emanazione dei d.P.R. e sulle pubblicazioni ufficiali della Repubblica Italiana, D.P.R. 28 dicembre 1985, n.
1092. Il 19 febbraio 1986 i Presidenti di Camera e Senato, congiuntamente al Presidente del Consiglio dei
ministri, emanano tre Circolari di analogo contenuto sulla formulazione tecnica dei testi legislativi, sul
drafting formale (come distinto dal drafting sostanziale, che ha per oggetto le procedure di istruttoria, i
contenuti delle norme e il coordinamento fra le fonti: riguarda questo aspetto la recente Direttiva del
Presidente del Consiglio dei Ministri “Istruttoria degli atti normativi del Governo”, G.U. n. 8 aprile 2009, n.
82).
CIRCOLARE DEL 20 APRILE 2001 DEL PRESIDENTE DEL SENATO SULLE “REGOLE E RACCOMANDAZIONI PER
LA FORMULAZIONE TECNICA DEI TESTI LEGISLATIVI”
È opportuno che ogni atto legislativo contenga una disposizione che indichi espressamente le disposizioni
abrogate in quanto incompatibili con la nuova disciplina recata.
Analoga previsione è contenuta nelle disposizioni legislative di delegificazione, nel quale caso l’abrogazione
ha effetto dalla data di entrata in vigore delle norme regolamentari.
4. Terminologia.
a) Per evitare equivoci o dubbi interpretativi e per agevolare la ricerca elettronica dei testi, i medesimi
concetti ed istituti sono individuati con denominazioni identiche sia nel titolo sia nei vari articoli e negli
allegati, senza fare ricorso a sinonimi. I concetti e gli istituti utilizzati in un atto sono gli stessi utilizzati in
precedenti atti normativi per le medesime fattispecie, salvo che il fine esplicito della disposizione sia di
rinominarli.
b) Nella formulazione dei precetti è adottata la massima uniformità nell’uso dei modi verbali, la regola
essendo costituita dall’indicativo presente, escludendo sia il modo congiuntivo sia il tempo futuro.
c) È evitato l’uso del verbo servile diretto a sottolineare la imperatività della norma («deve»; «ha l’obbligo
di»; «è tenuto a»).
d) È evitata la forma passiva (in particolare il «si» passivante) quando con il suo impiego non risulta chiaro
l’agente o il destinatario cui la disposizione si riferisce.
e) È evitata la doppia negazione.
f) Se in un atto legislativo si intende porre una formulazione disgiuntiva assoluta («aut... aut») e non
relativa («vel») e dal contesto non risulta evidente tale intento, il dubbio è sciolto ripetendo la disgiunzione
«o» due volte. È evitato l’impiego dell’espressione «e/o».
g) Nell’uso di una enumerazione è espresso chiaramente il carattere tassativo o esemplificativo della stessa.
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