origini del melodramma

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origini del melodramma
28/12/2010
ORIGINI DEL MELODRAMMA
La nascita del melodramma
Elementi che concorsero alla nascita del melodramma:
I.
lo sviluppo della monodia fra Quattro e Cinquecento
1. La fortuna della monodia viene esaltata anche da alcuni teorici del
Cinquecento quali:
a) Heinricus Glareanus (1488– 1563) che nel suo Dodecachordon (1547)
avanzò l’idea che fosse più appropriato considerare veri musicisti
coloro che scrivevano musica monodica piuttosto che polifonica;
b) Nicola Vicentino (1511– 1576ca) autore de L’antica musica ridotta
alla moderna pratica: proponeva di imitare gli antichi e quindi di
semplificare la polifonia allo scopo di renderla più espressiva e di
facilitare la comprensione del testo;
c) A Vicentino veniva (ingiustamente) contrapposto Gioseffo Zarlino
(1517– 1590) considerato un accanito sostenitore della polifonia. In
verità, sebbene Zarlino considerasse la polifonia un segno di
progresso rispetto al passato, egli non esitava ad ammettere che la
monodia potesse riscuotere maggiore effetto sull’animo umano
rispetto alla polifonia. Tuttavia Zarlino non accettava il principio che
la musica venisse subordinata alla parola, ma riteneva che ambedue
dovessero mantenersi autonome.
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Di avviso assai diverso da Zarlino era invece Vicenzo Galilei (1520– 1591),
padre del più celebre Galileo.
Questo teorico, autore de Dialogo della musica antica et della moderna (1581),
contrapponeva la polifonia (nata in un’epoca di barbarie come il medioevo) alla
monodia (nata nell’antica Grecia).
Secondo Galilei i vantaggi della monodia erano molteplici, e cioè:
a) era una forma espressiva più naturale della polifonia (artificiale)
b) lasciava comprendere meglio il significato delle parole;
c) stimolava un ascolto emotivo e non una percezione intellettualistica.
Inoltre, dato che secondo i greci ogni melodia era apportatrice di un ethos, la
polifonia determinava la sovrapposizione di ethe contrastanti.
LA PRIMA CAMERATA
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Le opinioni di Galilei erano condivise da un gruppo (Camerata) di intellettuali
che egli frequentava, e che si riunivano in casa del conte Giovanni de’ Bardi
(1534– 1612).
Questa Camerata (detta perciò Camerata de’ Bardi) ebbe il massimo sviluppo fra
il 1570 e il 1580.
Vi presero parte anche:
Giulio Caccini (1545– 1618ca), cantante e compositore
Pietro Strozzi (scienziato)
Ottavio Rinuccini (1562– 1621), poeta (autore dei primi libretti)
Giovanni Battista Strozzi, poeta
Giovan Battista Guarini e Gabriello Chiabrera (poeti entrambi, questi
ultimi frequentavano poco assiduamente)
Il grecista Girolamo Mei tenne con la Camerata un rapporto
prevalentemente epistolare.
Va detto che fu il Conte Bardi a spingere Galilei verso la composizione di brani
musicali monodici.
Nacquero così il Lamento del conte Ugolino per voce con accompagnamento di viole
nonché alcuni testi liturgici (le Lamentazioni e i Responsori).
Caccini compose alcuni madrigali a voce sola, pubblicati nel suo volume Le nuove
musiche del 1602.
Ma la produzione più importante consistette nella composizione degli Intermedi *
fiorentini del 1589 per le nozze di Ferdinando de’ Medici e Cristina di Lorena.
*L’intermedio è una forma aulica di intrattenimento cortese di tipo musicale,
coreico, drammatico, pantomimico, posta generalmente fra un atto e l’altro dei generi
teatrali classici (commedia, tragedia, pastorale).
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LA SECONDA CAMERATA
Declinando la fortuna del conte Bardi presso la corte medicea, le riunioni a casa
Bardi divennero sempre meno frequenti e prestigiose.
L’eredità della Camerata Bardi passò perciò nelle mani di un altro gruppo che si
riuniva – soprattutto negli anni ‘90 – nel palazzo di un altro gentiluomo fiorentino:
Jacopo Corsi (1561– 1602).
Esponente di punta di questo secondo gruppo era Jacopo Peri (1561– 1633) rivale di
Caccini, così come Corsi lo era di Bardi. Nonostante la rivalità fra le due camerate,
alcuni intellettuali parteciparono all’una e all’altra, come Rinuccini e Galilei.
Le conquiste intellettuali della Camerata Corsi furono:
a) l’dea che nell’antichità le tragedie greche fossero interamente cantate;
b) l’idea che per riprodurre i medesimi effetti della musica greca, la monodia
dovesse essere cantata con un uno stile di canto a metà strada fra il parlato e il
cantato; stile che perciò fu definito recitar cantando.
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Finanziata da Corsi la Camerata diede vita ad alcuni spettacoli molto importanti
nella storia del melodramma:
a) la Dafne di Ottavio Rinuccini – musica di Jacopo Peri e Jacopo Corsi, composta
fra il 1594– 95, rappresentata pubblicamente a palazzo Corsi nel 1598 (musica
perduta).
b) Le pastorali: La Disperazione di Fileno e Il satiro di Emilio de’ Cavalieri, testi di
Laura Guidiccioni, 1° rappr. 1591; Il giuoco della cieca, adattamento del Pastor
fido di Guarini, eseguito a Palazzo Pitti nel 1595 (tutte perdute)
c) la Rappresentazione di Anima et di Corpo (Roma, Oratorio della Chiesa Nuova)
1° rappr. 1600, sempre di Emilio de’ Cavalieri. Non è propriamente un’opera ma
un dramma sacro interamente cantato, con scene e costumi.
d) L’Euridice – Firenze, Palazzo Pitti, 6 ottobre 1600, libretto Ottavio Rinuccini,
musiche di Jacopo Peri e Giulio Caccini (prima opera in musica)
e) Il Rapimento di Cefalo libretto di Chiabrera, musica di Caccini. Lo spettacolo non
fu offerto da Corsi ma da Ferdinando I. 1a rappr. 9 ottobre 1600 nel palazzo
degli Uffizi (sala delle Commedie).
f) Ingelosito dal successo riscosso da Peri, Caccini si affrettò a dare alle stampe
una sua redazione dell’Euridice sul medesimo testo di Rinuccini già musicato da
Peri. Non venne però mai rappresentata.
Nella prefazione alla sua Euridice (dedicata a Bardi) Caccini non
parla né di Rinuccini né di Peri. Si vanta però di essere stato il
primo a comporre nello stile rappresentativo.
La risposta di Peri non si fece attendere e in occasione della
pubblicazione delle Musiche sopra l’Euridice avocò a sé il merito
di aver inventato il nuovo stile di canto (Firenze 1601).
Di lì a poco anche Cavalieri e Rinuccini si vantarono ciascuno di
essere stato «L’inventore di questo nuovo modo di rappresentare
in musica».
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L’OPERA DI CORTE
Tutte le rappresentazioni fin qui elencate appartengono a un particolare tipo
di spettacolo, quello di corte, la cui esistenza fu legata a doppio filo alle
disponibilità economiche delle corti stesse.
A partire dal 1637, allo spettacolo di corte (di cui elencheremo le caratteristiche
nella prossima diapositiva) si affiancherà l’opera impresariale, cioè un tipo di
spettacolo più moderno nell’organizzazione, basato sul libero mercato e la
disponibilità di
denaro da parte del pubblico, che vi accede pagando il biglietto.
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Specificità dell’opera di corte
1. In quanto spettacolo di corte, e quindi legato agli avvenimenti che
scandiscono la vita di quest’ultima, l'opera di corte è uno spettacolo unico e
irripetibile: rarissimi sono i casi di ripresa. Una volta rappresentata (e una
volta terminata l'occasione per celebrare la quale l'opera fu composta), essa
non viene di solito più allestita.
2. Costa moltissimo ed è bene che ciò si veda visto che il pubblico che vi
partecipa è un pubblico selezionato di ospiti invitati alla festa di corte (il
pubblico che vi assiste non è dunque un pubblico pagante).
3. Il luogo teatrale è indefinito (come nel caso dell'Orfeo monteverdiano
rappresentato nel 1607 in una sala del Palazzo ducale, forse la Sala Fiume o la
Sala degli Specchi). In altre parole non esiste un teatro specifico per le
rappresentazioni.
4. Gli strumenti sono usati cono funzione spettacolare; essi sono attributi sonori
di determinati personaggi e di determinate situazioni.
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Claudio Monteverdi, dipinto
di Bernardo Strozzi, ca. 1640
Palazzo Ducale – Sala (galleria) degli specchi.
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L’Arcadia
Apollo
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L’ Orfeo, di Claudio Monteverdi (1567-1643)
libretto di Alessandro Striggio
Favola in musica in cinque atti
Prima:
Mantova, Palazzo Ducale, 24 febbraio 1607
Personaggi:
la Musica (S); due pastori (S, T); una ninfa (S); Orfeo (T); Euridice
(S); Silvia, messaggera (S); la Speranza (S); Caronte (B);
Proserpina (S); Plutone (B); tre spiriti (T, T, B); Eco (T); Apollo (T);
ninfe, pastori, spiriti, coro
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toccata
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Lasciate i monti
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libretto
libretto completo
partitura
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ALTRI CENTRI DI SVILUPPO
DELL’OPERA DI CORTE
Dopo l’Orfeo sempre a Mantova vengono rappresentate altre opere:
La Dafne di Marco da Gagliano
L’Arianna di Claudio Monteverdi
entrambe furono rappresentate nel 1608 ed entrambe su libretto di
Ottavio Rinuccini.
Lo spettacolo di corte fu assiduamente promosso anche a Roma.
La città pontificia, tuttavia, pur mantenendo intatta la moda per gli
spettacoli di carattere mitologico (La morte di Orfeo di Stefano Landi del
1619 – L’Aretusa di Filippo Vitali del 1620 – La catena d’Adone di
Domenico Mazzocchi del 1626, la Diana Schernita di Giacinto Cornacchioli
del 1629) introdusse anche intrecci moraleggianti, desunti dalle vite dei
santi: il Sant’Alessio di Stefano Landi (1631), SS. Didimo e Teodora (1635,
autore ignoto), San Bonifatio (1638, Virgilio Mazzocchi), Sant’Eustachio
(1643, Virgilio Mazzocchi).
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La più importante fra tutte queste opere è il Sant’Alessio Stefano Landi.
Motivi:
a) la seconda rappresentazione dell’opera (1632) inaugurò la
stagione delle cosiddette opere barberiniane (papa Urbano VIII, 1623– 1644,
era un Barberini, la famiglia che resse le sorti di Roma grazie anche ai nipoti di
questi, i cardinali Antonio e Francesco e il prefetto di Roma Taddeo). La loro
dimora, opera del Bernini, disponeva di un teatro privato semipermanente in
giardino, capace di 3500 posti.
b) Il libretto del Sant’Alessio è di Giulio Rospigliosi, un prelato al
servizio dei Barberini che scrisse i libretti di molte opere barberiniane:
Erminia sul Giordano (1633, musica di Michelangelo Rossi), Il falcone
(musiche di Virgilio Mazzocchi e Marco Marazzoli , 1637; quest’opera fu in
seguito riproposta col titolo di Chi soffre speri ed è questa la sola versione del
libretto giunta fino a noi oggi); Il palazzo incantato (1642, musica di Luigi
Rossi) ecc.
c) la presenza di personaggi comici, che dal Sant’Alessio in poi
divennero abbastanza comuni nell’opera romana.
La morte di Urbano VIII nel 1644, l’avvento al potere di una
famiglia rivale (i Pamphilj) segnarono il declino delle opere
barberiniane. Antonio Barberini fuggì a Parigi dove trovò
accoglienza presso il cardinale Mazarino. Nel 1667
Rospigliosi diviene papa col nome di Clemente IX.
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LA NASCITA DELL’OPERA
IMPRESARIALE
Opera Impresariale
Il momento cruciale nell'evoluzione del melodramma è rappresentato dal
passaggio dalla corte al pubblico teatro. La città di Venezia diede vita al teatro
d'opera impresariale con l'apertura del S. Cassiano nel 1637 (ove si rappresentò
l'opera Andromeda, libretto di Francesco Manelli, musica di Benedetto Ferrari,
quest’ultimo fu probabilmente anche fra i collaboratori dell’Incoronazione di
Poppea di Monteverdi), un teatro originariamente destinato alla commedia
dell'arte e successivamente adattato alle esigenze del nuovo genere di
spettacolo.
Tra il 1637 e la fine del secolo furono ben diciassette i teatri della sola Venezia e
ben 388 le opere che vi furono rappresentate. Fin dalle prime stagioni la storia
del teatro è la storia di una struttura economica di stampo impresariale. Così, fin
dalle prime stagioni, la sua storia risulta contrassegnata da bancarotte e processi
per insolvenza, da successi clamorosi e altrettanto clamorosi insuccessi.
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Alla base di questa struttura troviamo tre diverse categorie di operatori:
1. I padroni del teatro
I padroni del teatro sono le grandi famiglie patrizie veneziane: i Tron, i Grimani, i Capello, i
Giustinian, che, alla ricerca di un investimento immobiliare sicuro, acquistano o
rimaneggiano gli edifici teatrali senza però intervenire direttamente nella produzione degli
spettacoli.
2. L'impresario
La gestione dell'impresa teatrale è affidata poi per un'intera stagione (da S. Stefano al
martedì grasso, veniva esclusa per ragioni religiose la Quaresima) o per una serie di stagioni,
all'impresario: costui investe il proprio denaro per ricavarne degli utili. La miglior forma di
guadagno (e la più sicura) è quella ricavata dall'affitto su base annuale dei palchi, ma anche
dalla vendita dei biglietti. Per questo le opere si rappresentano più volte, circolano fra i teatri
e riutilizzano spesso le stesse scene e i costumi. Al contrario dell’opera di corte, il teatro
impresariale manca di istituzionalità: perciò si evitano le spese ‘inutili’, quali la stampa delle
partiture, o la realizzazione delle incisioni riproducenti le scene o i costumi…
3. Gli artisti
E' il terzo livello di operatori. Comprende i compositori, i cantanti, gli scenografi, i ballerini e i
costumisti. Di uno status a parte gode il librettista ossia colui che viene considerato il vero e
proprio autore del dramma per musica: a lui spettano le spese di stampa e gli utili di vendita
del libretto.
Dei tre livelli di questa struttura economica quello critico è ovviamente quello
dell'impresario in quanto numerosi sono gli eventi imprevedibili (una pestilenza, una
guerra improvvisa) che possono provocare la chiusura del teatro. E' poi da mettere in
conto la concorrenza: non tutti i teatri d'opera aperti a Venezia nel Seicento durano più
di qualche stagione. Ma capita anche che impresari abili passino da un teatro piccolo a
uno più grande per risanare coi frutti di questo i debiti contratti in quello.
Il 50% del budget d'un dramma per musica veneziano degli anni '50 è assorbito dalle
sole spese musicali: un protagonista (castrato o prima donna) prende il doppio di quanto
riceve Cavalli che -non dimentichiamolo- è il compositore meglio pagato sulla piazza. Gli
avvicendamenti del gusto sono veloci (nessuna opera vecchia può essere riallestita senza
notevoli adattamenti nel testo e nella musica). I drammi per musica di una stagione
vengono letteralmente rimpiazzati dai drammi per musica nuovi della stagione
seguente.
Si richiede sempre qualche cosa di nuovo, che però soddisfi nel contempo le stesse
aspettative che il vecchio aveva soddisfatto.
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Venezia, Teatro Santi Giovanni e Paolo 1639 (teatro all’italiana)
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Teatro SS.
Giovanni e
Paolo, la pianta
(1691-93)
Torelli, scene per
Bellerofonte e
Venere gelosa
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Torelli, Scena per Bellerofonte, Atto I, Scena 1
Torelli, Scena per Bellerofonte, Atto III, Scena 8
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eský Krumlov (13.942 abitanti)
è una città della Boemia
meridionale, in Repubblica Ceca,
molto conosciuta per la raffinata
architettura del centro storico e
per il Castello. Era conosciuta
come Krumau fino alla Seconda
guerra mondiale quando alla
fine furono espulsi gli abitanti di
lingua tedesca.
Il castello di Krumlov contiene un
teatro barocco miracolosamente
conservato che, completo di
scenario originale ed arredi
scenici, è uno dei pochi teatri di
questo tipo ancora esistenti. Per
la sua età, il teatro è usato
soltanto una volta all'anno,
quando un'opera barocca viene
rappresentata a lume di candela.
Teatro di Krumlov (Rep.Céca)(1766)
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Krumlov
Teatro di Krumlov: meccanismi per i cambi di scena
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Teatro di Krumlov (1766): Giardino
Teatro di Krumlov (1766): Salone
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Per quanto concerne i soggetti, persevera inizialmente lo sfruttamento dei
temi mitologici coltivati anche nelle corti (Andromeda, Orfeo ecc); poi il mondo
romanzesco di Tasso e Ariosto; poi quello storico (come nell’Incoronazione di
Poppea). Per una periodo piuttosto breve si diffondono tuttavia a Venezia i
libretti degli «Incogniti», un club di intellettuali libertini che dissimula un acre
scetticismo filosofico, insofferente di qualsiasi autorità precostituita (politica,
religiosa, morale).
Incognito è pure il Busenello, autore del libretto dell'Incoronazione di Poppea,
che secondo fonti tardive fu messo in musica da Monteverdi: solo scetticismo
pessimistico e l'immoralismo degli Incogniti può dar conto di certe scene
dell'Incoronazione.
L’Incoronazione di Poppea di Claudio Monteverdi (1567-1643)
libretto di Gian Francesco Busenello
Dramma per musica in un prologo e tre atti
Prima:
Venezia, Teatro SS. Giovanni e Paolo, carnevale 1643
Personaggi:
la Fortuna (S), la Virtù (S), l’Amore (S), Ottone (A), Poppea (S),
Nerone (S), Ottavia (S), Drusilla (S), Seneca (B), Arnalta (A), la
nutrice (A), Lucano (T), un valletto (S), una damigella (S), un
liberto (T), due soldati (T), un littore (B), Pallade (S), Mercurio
(B), Venere (S); familiari di Seneca, consoli, tribuni, amori
libretto
Signor deh non partire (testo)
Libretto integrale
Apri cartella
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L’INCORONAZIONE DI POPPEA: UN
PROBLEMA DI ATTRIBUZIONE
Chi ha scritto la musica dell’ Incoronazione di Poppea? Le due fonti che
tramandano la partitura, molto diverse tra loro, riflettono versioni lontane
dall’originale: nella copia conservata a Napoli è testimoniata la ripresa teatrale
napoletana del 1651, allestita dalla compagnia itinerante dei Febiarmonici,
mentre la copia veneziana è stata curata direttamente da Francesco Cavalli.
Entrambe le partiture sembrano opera collettiva e forse già all’origine il
settantacinquenne Monteverdi, al suo ultimo impegno teatrale, fu aiutato da
collaboratori più giovani. Nessun indizio della sua paternità dell’opera
proviene da fonti contemporanee: l’elogio funebre non la nomina. Connessioni
stilistiche con la partitura del Ritorno di Ulisse in patria giustificano
l’attribuzione monteverdiana di molte scene, almeno nella loro prima
redazione. D’altro canto l’intero finale e quasi tutta la parte di Ottone sono
stati composti da una mano diversa rispetto al resto della partitura. Altri passi
isolati (il prologo, le scene seconda e quarta del secondo atto, la sinfonia
finale) rivelano tratti stilistici che fanno pensare a uno o più compositori della
generazione più giovane rispetto a quella di Monteverdi. Nomi dei probabili
collaboratori: Benedetto Ferrari e Francesco Sacrati; a essi si aggiungono
Francesco Manelli e Filiberto Laurenzi, autore di molte delle musiche de La
finta savia rappresentata al Teatro SS. Giovanni e Paolo nella stagione in cui fu
allestita l’Incoronazione, con gli stessi interpreti.
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L’opera veneziana nel pieno Seicento
Schema libretti opera del pieno Seicento
x
A
B
C
D
y
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Schema libretti opera del pieno Seicento
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C
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Schema libretti opera del pieno Seicento
x
A
B
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Schema libretti opera del pieno Seicento
Xerse, Minato – Cavalli (Venezia 1655)
Adelanta
Xerse
Amastre
Arsamene
Romilda
Elviro, Clito ecc.
Schema libretti opera del pieno Seicento
Adelanta
Xerse
Amastre
Arsamene
Romilda
Elviro, Clito ecc.
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Schema libretti opera del pieno Seicento
Adelanta
Xerse
Amastre
Arsamene
Romilda
Elviro, Clito ecc.
Schema libretti opera nel Settecento
Adriano in Siria Metastasio – Pergolesi
(Napoli 1734)
Aquilio
Sabina
Adriano
Farnaspe
Emirena
Osroe
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Schema libretti opera nel Settecento
Aquilio
Adriano
Sabina
Farnaspe
Emirena
Osroe
Schema libretti opera nel Settecento
Aquilio
Sabina
Adriano
Farnaspe
Emirena
Osroe
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L’entrata e l’uscita in scena dei personaggi
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Recitativi e arie all’interno degli atti
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La struttura dell’aria
Il Xerse
di Francesco Cavalli (1602-1676)
libretto di Nicolò Minato, dalle Storie di Erodoto
Dramma per musica in un prologo e tre atti
Prima:
Venezia, Teatro Ss. Giovanni e Paolo, 12 gennaio 1655. Prologo:
Giove, la Vittoria, la Verità
Personaggi:
Xerse (A), Arsamene (A), Romilda (S), Ariodate (T), Amastre (S),
Elviro (A), Eumene (S), Adelanta (S), Aristone (B), Periarco (A),
Clito (S), Sesostre (T), Scitalce (B), il capitano (B); venti, persiani
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Organizzazione delle scene
Atto 2 – Scene I, II e III
Scena I
Amastre
Scena II
Scena III
Elviro
Elviro
Clito
Elviro
Adelanta
audio
libretto
La Calisto
di Francesco Cavalli (1602-1676)
libretto di Giovanni Faustini, da Ovidio
Dramma per musica in un prologo e tre atti
Prima:
Venezia, Teatro Sant’Apollinare, 28 novembre 1651.
Prologo: la Natura (A), l’Eternità (S), il
Personaggi:
Calisto (S), Diana (S), Giove (B), Mercurio (T), Endimione
(A), Giunone (S), Linfea (S), il satiretto (S), Pane (A),
Silvano (B), due Furie (S); ninfe, menti celesti, Furie
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Fra tutti i libretti di Faustini La Calisto è forse il più originale, eccentrico, dai
tratti irresistibilmente comici e persino surreali. Narra del tentativo
rocambolesco di Giove di sedurre la giovinetta Calisto che, qual ninfa di Diana, è
votata alla castità, quindi estranea a ogni faccenda amorosa. Giove,
improvvisamente pentito di aver concesso al mondo il libero arbitrio, per
sedurre l’ingenua ninfetta pensa bene di prendere le fattezze di Diana
(mutando pure registro vocale); ma a questo punto cominciano i pasticci.
Calisto, alle profferte di Giove travestito, non ci pensa due volte e si lascia
travolgere in conturbanti amplessi. Quindi, ancora inebriata, incontrata la vera
Diana (chiamata in tutti i modi possibili, Cintia, Delia, Febea, Trivia, e altri
ancora, così da far confondere anche lo spettatore più agguerrito), Calisto
vorrebbe continuare con i già assaporati piaceri ma Diana, ovviamente, si
sdegna. Che sia perché se la fa con la vecchia Linfea? - pensa Calisto confusa.
Invece Diana ha messo gli occhi su Endimione pastorello, il quale poveretto si
ritrova, lui ignaro, fra le braccia di Giove versione femminile. Da parte sua Linfea
non riesce a liberarsi dalle voglie acerbe di Satiretto (sulla scena un bambino) e
Pane non perde occasione per saltare addosso all’ambitissima Diana.
Insomma, quasi uno spettacolo a luci rosse. Cross-dressing, ruoli en travesti,
castrati, uomini che impersonano donne, donne che son credute uomini, eroi più
o meno travestiti che seducono ogni genere sessuale conosciuto e sconosciuto,
di fronte a tutto ciò - la norma nell’opera seicentesca (Calisto non è affatto
un’eccezione) - si è parlato di figure asessuate, di indifferenza del pubblico
dell’opera di allora (e anche del successivo) all’identità erotica dei suoi canori
divi: niente di più falso. Tanto dovizioso impegno nello scambiare ruoli già
scambiati, nell’equivocare su equivoche seduzioni, in una parola, nel mettere in
dubbio la Natura sempre e comunque - per ridere, certo, per sedurre, anche, e
forse per ribaltare sottilmente principi acquisiti - era motivato da una volontà
precisa, consapevole e sempre pianificata. Non per niente il teatro è luogo di
perdizione. Alla vicenda Faustini pone una conclusione ascetica: trasforma
Calisto in una costellazione, affinché Giove ne possa incessantemente godere i
favori senza scendere sulla terra (la costellazione sarà quella dell’Orsa maggiore
perché Giunone, per vendicare il tradimento dell’olimpico marito con la povera
ninfa, l’aveva ridotta a pelosissimo orso selvatico). E Cavalli non si tira indietro a
commentare il misticismo di questa salita al cielo, misticismo che, confinando nel
delirio amoroso, trasforma l’unica scena veramente casta dell’opera (III, 6) nella
più intensamente seducente, ai limiti della sconvenienza.
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Written Sources Generated by a
Typical Premiere Season in 17th-Century Italy
(Yellow = Surviving Sources of La Calisto)
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1. Trasposizione
Aria (Endimione) trasposta una 4a sopra (“Alla 4.a alta”)
La Calisto, f. 48v
2. Riscrittura
Nuovo recitativo (Endimione) notato nel registro di soprano
La Calisto, f. 55v
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3. Tagli
Scena (Endimione) eliminata
La Calisto, f. 58v
4. Aggiunte
Annotazioni di Cavalli “Qui va la scena del Bifolco [contadino]”
La Calisto, f. 60r
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ascolti scelti
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