A PORTATA DI MANO
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A PORTATA DI MANO
A PORTATA DI MANO Poste Italiane. Spedizione in A.p. - Art.2 Comma 20/C - Legge 662/96 - D.R.T./D.C.B. Torino - n. 1/anno 2015 Sommario Comitato di redazione: UICI/011 Direttore responsabile: Enzo Tomatis Autorizzazione del tribunale di Torino n. 4803 del 07/06/1995 Redazione: Francesco Fratta, Federica Miraglia, Flavia Navacchia Hanno collaborato: Anna La Ferla Alessio Lenzi Franco Lepore Silvia Lova Alex Melis Nunziata Panzarea Sergio Prelato Giuseppe Salatino Carla Tinti Caporedattore: Lorenzo Montanaro Editoriale L’unione quanta burocrazia Mobilità accessibile: Vince l’UICI Torino Una vittoria storica. Ora vogliamo i fatti Belli impossibili Fiori Recisi Conoscere il buio Torino Tour For All “Vedere” con la mente Le mani pigre Abili per l’arte: Palazzo Madama per tutti L’arte da toccare, ascoltare, annusare I mondi di Primo Levi Alla scoperta delle ceramiche di Mondovì pag. 3 pag. 5 pag. 5 pag. 6 pag. 7 pag. 9 pag. 9 pag. 10 pag. 11 pag.12 pag.13 pag.14 pag.15 Progetto e realizzazione grafica: SGI Srl Via Pomaro, 3 - 10136 Torino Tel. 011.359908 Fax 011.3290679 www.sgi.to.it [email protected] Stampa: La Terra Promessa Onlus NOVARA Per contattare la redazione: [email protected] La copertina di questo numero A PORTATA DI MANO IN QUESTO NUMERO “ A portata di mano È con un titolo volutamente provocatorio che desideriamo aprire questo nuovo spazio di confronto con i nostri lettori e i nostri amici. Già, perché spesso, per i ciechi e gli ipovedenti la vita non è affatto “a portata di mano”. Lo dimostrano, ad esempio, le battaglie per il diritto alla mobilità (nonostante una storica sentenza del Consiglio di Stato abbia accolto il nostro ricorso), lo dimostrano le difficoltà insite in una città che non sempre tiene conto delle esigenze dei disabili visivi, lo dimostrano le fatiche nel costruirsi una vita affettiva piena e soddisfacente (tema coraggiosamente affrontato nel convegno “Fiori Recisi”). Il titolo però vuole anche sottolineare le piccole o grandissime conquiste che si possono raggiungere con esercizio, caparbietà e un uso accorto dei sensi residui (tattilità compresa). Per chi non ci conosce possono sembrare traguardi irraggiungibili; per noi sono già “a portata di mano”. la Redazione Poste Italiane. Spedizione in A.p. - Art.2 Comma 20/C - Legge 662/96 - D.R.T./D.C.B. Torino - n. 1/anno 2015 2 UICI/011 SEZIONE PROVINCIALE TORINO EDITORIALE L’Unione? Quanta burocrazia Se chiedete a qualsiasi straniero trasferitosi in Italia quale sia l’aspetto del nostro Paese che più l’abbia colpito negativamente, vi risponderà senz’altro: la burocrazia. Negli ultimi anni qualche tentativo per metterci al passo con il resto d’Europa, seppur coi nostri tempi, l’abbiamo fatto: firma digitale, fatturazione elettronica, posta elettronica certificata, dematerializzazione, home banking. Ma come spesso accade, le rivoluzioni italiane vengono castrate alla nascita. Così è accaduto alla nostra Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, una volta ente pubblico e ora onlus con tanti, troppi doveri e pochi diritti. Quelli che avevamo li abbiamo praticamente persi con il passaggio a ente di diritto privato, ma abbiamo conservato in dote tutto l’impianto organizzativo e gestionale tipico delle pubbliche amministrazioni. La contabilità è praticamente quella pubblica, e il bilancio rispecchia quello di qualsiasi ente territoriale. Solo le piccole sezioni possono avvalersi della cosiddetta contabilità semplificata, mentre tutte le altre devono ancora fare i conti con i famigerati servizi di tesoreria dei pochi istituti bancari che ancora li offrono, in quanto – loro sì – puntano a snellire, incentivando in tutti i modi i servizi online. A noi rimane il fardello dei mandati e delle reversali, del bilancio consuntivo e di quello di previsione, con annesse variazioni, la gestione dell’economato, rendicontazione, collegio dei sindaci revisori, vigilanza da parte del Ministero dell’Interno e Corte dei Conti. Ci sono almeno tre livelli di burocrazia che ci riguardano: quello derivante dall’essere una Onlus, quello derivante dal nostro Statuto e Regolamento, e per concludere quello che le singole strutture, soprattutto quelle periferiche, decidono di adottare nell’ambito della propria (ben delimitata e soprattutto limitata) autonomia. La prima è dovuta per legge, e da lì non si scappa. L’ultima è quella che ci consentirebbe, nell’immediato, di rendere più snella la gestione, e non sempre facciamo del nostro meglio per riuscirci. Ma quella su cui ci si dovrebbe concentrare maggiormente è la mole di lavoro che deriva dallo Statuto e Regolamento UICI. Pur se con una semplificazione estrema, e con una certa dose di retorica, non possiamo fare a meno di notare quanto poco lo Statuto sia cambiato nel corso degli anni. E quando lo ha fatto, non sempre lo ha fatto in meglio (vedasi lo spazio alle minoranze, prima previsto e poi negato). Come è cambiata poco, pochissimo, anche l’elefantiaca organizzazione della nostra Sede Centrale, che fagocita – direttamente o indirettamente – gli ultimi finanziamenti statali che ci arrivano, retaggio del nostro passato di ente pubblico ma sempre più a rischio, continuamente tagliati e ripristinati con provvedimenti eccezionali e quindi tutt’altro che scontati nel prossimo futuro. “ A noi rimane il fardello dei mandati e delle reversali, del bilancio consuntivo e di quello di previsione, con annesse variazioni, la gestione dell’economato, rendicontazione, collegio dei sindaci revisori, vigilanza da parte del Ministero dell’Interno e Corte dei Conti. Il nostro presidente nazionale Mario Barbuto ha parlato più volte di riorganizzazione non solo dell’Uici, ma anche dell’Irifor, che dell’Unione è braccio operativo. Voglio credergli, perché è una necessità improrogabile e perché questi due enti prestano il fianco a paradossi di fondo che non ne favoriscono un completo inserimento nei rispettivi contesti. L’Unione si trova a operare come fosse un ente pubblico Numero 1 - Aprile 2015 3 e la sua principale finalità è quella di assistere i disabili visivi e rappresentarne gli interessi “morali e materiali” a livello istituzionale, compito che diviene via via più esclusivo man mano che si sale a livello gerarchico, partendo dalle rappresentanze zonali per arrivare alla Sede Centrale. Le sezioni Irifor, che invece dovrebbero poter concorrere con tutti gli altri attori sociali per l’acquisizione di appalti in ambito educativo, riabilitativo, sociale e formativo, per presentare progetti volti a ottenere finanziamenti, insomma per fare tutto ciò che possa garantire risorse e implementare le proprie attività, non possono farlo ogni qual volta ai partecipanti di quel progetto o quell’appalto viene chiesto di presentare un bilancio. Le strutture Irifor infatti non devono tenere un bilancio, che se da un lato può sembrare una facilitazione nella gestione, in realtà ne limita notevolmente il raggio d’azione. “ Alcuni potrebbero non aver bisogno della nostra presenza, altri probabilmente hanno solo bisogno di una parola di conforto, ma per questi che hanno problemi relativi, ve ne sono tanti altri ancora che versano in condizioni di disagio, acuite dal fatto che oramai i servizi sociali latitano, i comuni hanno risorse davvero limitate per gli interventi a domicilio e le aziende ospedaliere faticano a star dietro persino ai casi davvero disperati. Detto che alcuni cambiamenti si possono fare e altri no, su un sono sicuro: questa impostazione è un ostacolo alle precipue finalità dell’ente, anche se non può e non deve rappresentare un alibi. Abbiamo perso di vista il cardine dell’associazione: il socio e le sue necessità. Credo che sia questo il motivo per cui è in atto un’emorragia nel numero dei tesserati che sembra impossibile da tamponare. E’ vero che c’è una generale disaffezione da parte del cittadino a qualsiasi forma di aggregazione: siamo anche sempre più restii a pagare un contributo per il quale non ci viene immediatamente reso qualcosa di concreto, tangibile. Spesso i soci ci chiedono: io pago la tessera, ma quali servizi ho in cambio? Sulla molteplicità di servizi messi a disposizione non intendo soffermarmi in questa sede: qualunque socio (e chiunque altro) volesse appurarlo, può chiedere di leggere la relazione sulle attività svolte nell’anno 2014. A me spiace constatare che la riconoscenza non è di questo mondo: posti di lavoro, istruzione, tutela, pensioni e indennità di accompagnamento sono tutte conquiste ottenute dall’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, quando tutti i soci erano pronti a sostenerla incondizionatamente. Ecco, il principale motivo di un tesseramento risiede nel sostegno all’associazione, a ciò che ha rappresentato e rappresenta, per ciò che quotidianamente fa per difendere i diritti dei minorati della vista. Ma, come dicevo, al pari della burocrazia, neanche quello del “sostegno a tutti i costi” può rappresentare un alibi, un motivo per pretendere che le persone continuino ad affiliarsi. Sono cambiati i tempi, e sono cambiati i bisogni. Dobbiamo trovare la forza, le idee per andar noi a cercare il contatto con i nostri soci, vedere dove vivono, come vivono, quali sono le loro necessità e cosa si può fare nel concreto per aiutarli. Alcuni potrebbero non aver bisogno della nostra presenza, altri probabilmente hanno solo bisogno di una parola di conforto, ma per questi che hanno problemi relativi, ve ne sono tanti altri ancora che versano in condizioni di disagio, acuite dal fatto che oramai i servizi sociali latitano, i comuni hanno risorse davvero limitate per gli interventi a domicilio e le aziende ospedaliere faticano a star dietro persino ai casi davvero disperati. Per questo l’Uici dovrà esser più presente nei comuni della provincia, non solo a Torino, portando conforto, servizi e soluzioni. La nostra sezione ha dato un segnale forte in questo senso, aggiudicandosi la gestione del Centro di Riabilitazione Visiva di Ivrea e rilanciando le rappresentanze zonali. Ora non resta che favorire anche il coinvolgimento attivo, e non solo passivo, dei soci che vogliono impegnarsi nella vita associativa e in favore di coloro che hanno più bisogno. C’è tanto da fare, ma questo è un momento unico e irripetibile per dare un segnale, imprimere una svolta. Grazie anche alle elezioni, il 2015 può e deve essere un anno di rinnovamento, di rilancio: facciamo in modo che non sia un’altra rivoluzione a metà. Enzo Tomatis 4 UICI/011 SEZIONE PROVINCIALE TORINO Mobilità accessibile: Vince l’UICI Torino La sentenza del Consiglio di Stato Con la sentenza n. 518/2015 depositata lo scorso 3 febbraio il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso presentato dalla nostra sezione e ha dichiarato illegittimi alcuni articoli del Regolamento sul trasporto accessibile adottato dal Comune di Torino. Due i punti centrali della sentenza, che ribalta completamente il giudizio emesso in primo grado dal Tar Piemonte. In primo luogo i giudici ravvisano un’inaccettabile disparità di trattamento tra disabili visivi (per i quali il servizio è vincolato alle fasce di reddito Ise) e disabili motori gravi (che invece possono usare i mezzi attrezzati con una spesa equivalente a quella di un biglietto del trasporto urbano). Il Consiglio di Stato inoltre riconosce che la difficoltà di usare i mezzi pubblici per le persone cieche non riguarda solo il salire e lo scendere dai veicoli. Spostarsi con un tram o un autobus richiede varie abilità sensoriali: per un cieco assoluto non accompagnato gli ostacoli possono diventare insormontabili. Questo storico risultato si deve all’impegno di tanti: alla tenacia dell’ex presidente Enzo Tomatis e dell’attuale presidente Giuseppe Salatino, che non si sono mai arresi al giudizio del Tar, ma anche al lavoro degli avvocati Franco Lepore di Torino e Antonio Organtini di Roma che hanno rappresentato l’UICI. Una vittoria storica. Ora vogliamo i fatti Il Comune deve assumersi le sue responsabilità. La sentenza del Consiglio di Stato, che, dopo una battaglia legale durata oltre due anni ha accolto il ricorso Uici Torino, per noi significa molto, moltissimo: riteniamo sia una conquista che riguarda tutte le persone disabili e non solo i ciechi. La nostra sezione, unica tra le associazioni interessate dal problema della mobilità accessibile, ha scelto di non fermarsi al verdetto del Tar Piemonte (che aveva rigettato le nostre richieste), ma di ricorrere al secondo grado di giudizio: una decisione per certi versi rischiosa, che ha comportato un impiego di risorse non trascurabile, ma che sulla distanza ha premiato la nostra caparbietà e dato i suoi frutti. Le persone disabili, chiunque esse siano – afferma il Consiglio di Stato – non possono essere discriminate in base alla loro patologia e devono ricevere parità di trattamento: è un principio di giustizia, che deriva dal dettato costituzionale, ma che a quanto pare non è poi così scontato nella prassi ordinaria di Stato ed Enti Locali. Di certo però non possiamo fermarci qui. La vittoria che abbiamo conseguito presuppone una nuova e forse ancora più impegnativa battaglia: perché la sentenza non resti lettera morta bisogna studiare un’attuazione efficace, equa ed economicamente sostenibile. Su questo punto siamo al lavoro da mesi e abbiamo intrapreso un serrato confronto con le autorità cittadine. Già a fine febbraio abbiamo presentato la nostra proposta: istituire un regime transitorio con ripristino del buono taxi a 9 € e abolizione delle fasce di reddito Ise, tanto per i ciechi quanto per gli altri disabili utenti del servizio (questa era infatti la situazione nel 2012, prima che entrasse in vigore il tanto contestato Regolamento). Tutto ciò in atte- Numero 1 - Aprile 2015 sa di una più radicale revisione del servizio, con l’obiettivo di arrivare a sistemi di trasporto funzionali e meno dispendiosi del taxi. Dal Comune hanno obiettato che molto probabilmente tale regime sarebb incompatibile con le esigenze di bilancio e che, applicando a tutti il contributo di 9 €, i fondi disponibili rischierebbero di esaurirsi in pochi mesi, scaduti i quali non si potrebbe far altro che smantellare il servizio di trasporto accessibile. Abbiamo incontrato più volte il sindaco Piero Fassino, il vicesindaco ElideTisi e l’assessore ai trasporti Claudio Lubatti: ci è stato prestato ascolto, ma all’atto pratico si è trattato di incontri infruttuosi. Abbiamo concesso del tempo a dirigenti e tecnici di Palazzo Civico per studiare delle misure alternative e lo scorso 30 marzo siamo stati convocati ancora una volta nella sede dell’Assessorato ai Trasporti. Purtroppo anche questo ennesimo incontro non ha dato gli esiti sperati. La proposta del Comune ci ha lasciati molto perplessi, al punto che, unanimemente, abbiamo deciso di rifiutarla. L’amministrazione torinese vorrebbe risolvere il problema introducendo delle fasce di reddito Ise differenziate. In sostanza a coloro che non possono in nessun modo accedere ai mezzi pubblici (quindi i disabili motori gravi e i ciechi assoluti) verrebbe applicato un Ise con tariffe agevolate, mentre per i disabili motori “meno gravi” (cioè coloro che non si spostano col mezzo attrezzato ma col taxi) le fasce Ise sarebbero quelle attuali. Riteniamo che non sia questa la strada da percorrere. Come si può pensare di porre rimedio a una disparità di trattamento introducendone un’altra? Come possiamo, noi che ci siamo battuti per l’equità, accettare di ottene- 5 re un vantaggio a spese di qualcun altro? Se il Comune pensa di coinvolgerci in un’odiosa “guerra tra poveri” si sbaglia: non daremo in nessun modo il nostro avallo a proposte discriminatorie. Che siano gli amministratori comunali, a questo punto, a prendere una decisione, assumendosi le loro responsabilità nei confronti dei disabili. L’unico dato positivo è che, per la prima volta, l’amministrazione cittadina riconosce la cecità come patologia grave, le cui conseguenze condizionano pesantemente la possibilità di muoversi in autonomia. Questo è un punto a nostro favore, sul quale lavoreremo. Intanto andremo avanti e chiederemo un giudizio di ottemperanza sull’applicazione della sentenza. Purtroppo la soluzione non è dietro l’angolo, ma non ci lasceremo scoraggiare: l’UICI Torino continuerà a far sentire la sua voce, con la disponibilità al dialogo e contemporaneamente con la fermezza e il rigore che da sempre la contraddistinguono. Giuseppe Salatino Presidente UICI Torino Belli impossibili Tra rotonde e piste ciclabili, i nuovi quartieri nascondono insidie per i disabili visivi A Torino (ma il fenomeno è più diffuso di quanto si creda) sempre più spesso l’abbattimento delle barriere per i disabili motori rischia di mettere nei guai i disabili visivi: i quartieri vengono ristrutturati o costruiti ex novo con criteri a noi ostili. Tutto ciò per pura ignoranza delle nostre esigenze. Nel quartiere Mirafiori Nord, ad esempio, è stata recentemente introdotta la cosiddetta zona 30, un modello urbanistico molto interessante, che però per noi disabili visivi può essere ghettizante e pericoloso. In sintesi, la “zona 30” è un’idea di quartiere a bassa velocità per le auto, (che, appunto, possono viaggiare al massimo a 30 chilometri orari): questo comporta più silenzio, meno incidenti, meno inquinamento. Le carreggiate vengono ridotte al minimo e si creano curve sinuose, anche in pochi metri, per impedire eccessive accellerazioni. Lo spazio guadagnato dalla minor ampiezza della strada carrabile rende possibile ampliare i marciapiedi e solitamente consente anche l’inserimento di una pista ciclabile, nonché di aree sosta con panchine. Altro valore aggiunto sono le rotonde, che sostituiscono i semafori (abbattendo anche i relativi costi di manutenzione) e rendono più bello il quartiere, anche perché spesso sono dotate di di manto verde. Purtroppo per noi, la distanza dalla cosiddetta guida naturale all’attraversamento della strada si allunga fino a otto o dieci metri e può non essere in asse con l’edificio che fornisce la guida stessa. Inoltre, per approdare a ridosso delle strisce bianche, bisogna superare la pista ciclabile, il tutto senza dislivelli né scalini che possano fare da riferimento. Per noi diventa quasi impossibile muoversi in un’area così critica, piena di strutture articolate e comprensibili solo per chi riesca a leggere la segnaletica orizzontale a terra. Questo è il modello che (soprattutto in presenza di ritonde) viene generalmente adottato nelle riqualificazioni grandi e piccole. Purtroppo, per noi il risutato è un “deserto dei tartati”. Proprio perché vogliono incidere positivamente sulla vivibilità del quartiere, questi progetti prevedono il coinvolgimento attivo dei cittadini. Noi però siamo spesso dimenticati. Per fortuna non è stato questo il caso di Mirafiori Nord. Lì siamo riusciti a far sentire la nostra voce e abbiamo incontrato interlocutori sensibili. Le nostre proposte hanno in parte risolto le criticità. Ad esempio siamo riusciti a ottenere che negli attraversamenti più disorientanti venissero creati dei percorsi col Loges. Inoltre abbiamo fatto in modo che alcuni oggetti dell’arredo urbano (cestini, cassette delle lettere, rastrelliere per le biciclette), venissero allontanati dallo spazio 6 UICI/011 SEZIONE PROVINCIALE TORINO della guida naturale, così da non essere d’intralcio. Infine abbiamo chiesto che, in corrispondenza di un attraveramento particolarmente insidioso, venisse installato un semaforo sonoro. Questi accorgimenti sono senz’altro utili per chi si voglia muovere in autonomia. Al di là del caso specifico, comunque, quello della riqualificazione dei quartieri (magari con creazione di aree pedonali) resta un punto dolente. Intervenire a cose fatte è difficilissimo, a volte impossibile. L’unica strada davvero efficace è quella della progettazione condivisa. Sergio Prelato Consigliere UICI Torino con delega all’eliminazione delle barriere architettoniche Fiori Recisi Perché tutte le donne imparino a distinguere l’amore malato dal vero amore Fra le iniziative promosse in occasione della giornata dedicata a Luigi Braille, il Comitato per le Pari Opportunità della Sezione UICI di Torino ha ritenuto utile organizzare un convegno che non si limitasse a parlare della violenza sulle donne e dell’attuale malessere della coppia in cui anche il maschio fatica a ritrovare un suo ruolo, ma della violenza in tutti i suoi aspetti, subita particolarmente dai più deboli, dai più fragili, dai più emarginati. In questi ultimi anni molti psicologi dissertano su questi argomenti, proponendo possibili soluzioni; noi abbiamo scelto come relatori uomini e donne forse meno importanti ed acculturati ma senza alcun dubbio più veri e più a contatto con la fragilità e la disabilità. Abbiamo scelto come titolo del convegno “fiori recisi” ed il significato è certamente chiaro a tutti: la violenza può giungere fino al punto di togliere la vita, sia in senso reale sia figurato. La falce che miete il grano e recide anche i papaveri che si trovano in mezzo alle spighe é paragonabile alla violenza che in una terribile escalation è in grado di travolgere tutto, finanche ad uccidere. In questo senso è stata oltremodo significativa la relazione di apertura di Tiziano Storai che insieme a Fernanda Flamigni, coautrice e protagonista del romanzo Non volevo vedere, ci ha posto di fronte alla tragica realtà di una donna che dopo aver creduto di avere accanto a sé un uomo innamorato, intelligente e sensibile, si è drammaticamente accorta della sua vera personalità e del suo amore: si trattava, in realtà amore - malato, amore - possesso. Mentre Fernanda narrava la sua storia tutti l’ascoltavamo in profondo silenzio trattenendo a stento l’emozione. Un passaggio del suo racconto ci ha particolarmetne colpiti: dopo l’ennesima lite colui che all’inizio era per lei un “principe azzurro”, armatosi di una pistola, la raggiunge Numero 1 - Aprile 2015 a casa dei genitori dove si era rifugiata col suo bambino. Intende ucciderla: non riuscirà in questo intento, ma la tragedia sarà ancora più grave in quanto morirà la sorella di Fernanda nel tentativo di proteggerla e Fernanda, colpita alla testa, perderà la vista. Noi donne spesso pensiamo che il nostro amore potrà cambiare chi ci sta accanto, ma non è così, specialmente quando l’uomo in questione in realtà non ci ama, ci vuole soltanto e per di più ci vuole sottomesse. A questa relazione è seguito l’intervento del dott. Domenico Matarozzo che si è soffermato sulla condizione attuale del maschio all’interno della coppia. Se fino a non molti anni fa l’uomo aveva un suo ruolo ben preciso, ovvero quello di provvedere economicamente alla famiglia e per questo motivo si sentiva forte e indispensabile, sicuro che la sua compagna non lo avrebbe mai lasciato ed avrebbe sopportato le sue “distrazioni” e i suoi malesseri, ora, nelle coppie, uomo e donna lavorano ed hanno quin- 7 di una loro indipendenza economica: la donna, tutelata da maggiori diritti legislativi, non è più disposta a subire. È necessario pertanto, che, per superare questo disagio che si ripercuote sulla coppia, l’uomo trovi una sua nuova dimensione ovvero comprenda che “il progetto famiglia”, per poter funzionare, deve essere condiviso e voluto da entrambi i partner: l’amore, quello vero, non lega e non limita nessuno, ma dà forza coraggio e libertà ad entrambi di crescere insieme; è fondato non sul possesso e sull’attrazione sessuale (che pure è necessaria), ma sulla stima, sul rispetto e sulla condivisione. La psicologa Eleonora Castellano che è anche insegnante di sostegno ai disabili, con la sua relazione ha chiarito, semmai ce ne fosse stato bisogno, quanto sia necessario che i disabili, sia sensoriali che cognitivi, per sviluppare pienamente le loro capacità, si sentano accettati, compresi e sopratutto amati. Spesso questa società, basata essenzialmente sull’apparire, finge di non vedere e si interessa superficialmente di tutti coloro che vengono definiti “diversi”, soltanto perché non corrispondono ai modelli proposti dai mass media. La diversità è fonte di arricchimento, di confronto e di dialogo. Le famiglie e sopratutto la scuola dovrebbero occuparsi di insegnare ai bambini che le diversità arricchiscono... basta soltanto saperle cogliere e prendere da ognuna ciò che di positivo può trasmetterci. È seguita poi la relazione della psicoterapeuta Margherita Toscano incentrata sopratutto sull’importanza, da parte della famiglia, della piena accettazione di un bambino disabile: certamente non si tratta del bimbo che la coppia aspetta e desidera ed il momento della scoperta della disabilità è traumatico, tanto che a volte rischia di far naufragare la relazione di coppia. È quindi indispensabile che queste mamme e questi padri siano seguiti da una equipe preparata professionalmente e dotata di grande sensibilità umana affinché l’iniziale rifiuto si trasformi gradatamente nell’accettazione della disabilità del figlio e nell’amore per lui; sappiamo infatti, che l’amore non conosce ostacoli e aiuta a superare tutte le difficoltà che si possono incontrare nel duro cammino di riabilitazione e 8 di sostegno di un bambino con handicap. “Dallo sguardo alla carezza”, un titolo che indica la strada da percorrere: lo sguardo evidenzia una relazione ancora distaccata, uno stato di osservazione; la carezza invece, sottolinea il punto d’arrivo: “questo è il mio bambino, lo amo così com’è e sarò sempre al suo fianco”. Infine la giovane psicologa Federica Ariani, che da pochi mesi offre consulenze psicologiche presso la nostra Sezione, ha trattato il tema della sessualità nei disabili, soffermandosi particolarmente sulla nuova figura del consulente sessuale, necessario per tutti ma particolarmente per i portatori di handicap sensoriali, fisici o mentali e per le loro famiglie. Anche i disabili hanno diritto alla propria sessualità che va riconosciuta, non ignorata e repressa. Di questo argomento, almeno in Italia, finora si è parlato molto poco, sia per ragioni etiche, sia nell’erronea convinzione che il sesso possa anche non far parte della vita di un disabile, non essere indispensabile. Un comportamento di questo genere è chiaramente sbagliato e repressivo. Si tratta, ammettiamolo, di una sorta di violenza, forse non voluta, ma sempre violenza: essa può generare nel disabile reazioni che possono sfociare, nei casi più gravi, in comportamenti patologici. È dunque auspicabile che, come già avviene in molti altri Stati, anche nel nostro Paese, vengano formate e preparate figure professionali atte a svolgere questo compito così intimo e delicato. Il dibattito finale ha permesso al numeroso pubblico presente in sala di rivolgere a ciascun relatore alcune domande per ottenere ulteriori delucidazioni. In sala erano presenti personaggi politici autorevoli del Comune e della Regione oltre ad alcuni giornalisti che, unitamente ai nostri Soci, si sono complimentati con noi per la scelta degli argomenti trattati e per la competenza dei relatori. Ci ripromettiamo, in un prossimo futuro di organizzare altri incontri di sensibilizzazione, in collaborazione con altre associazioni femminili torinesi. Titti Panzarea e Flavia Navacchia Responsabili UICI per le Pari Opportunità UICI/011 SEZIONE PROVINCIALE TORINO Conoscere il buio L’I.Ri.Fo.R. Torino nelle scuole Anche quest’anno la sezione torinese I.Ri.Fo.R. (Istituto per la Ricerca, la Formazione e la Riabilitazione) rinnova il suo impegno nelle scuole torinesi, ben sapendo che solo l’educazione precoce può costruire nei cittadini di domani una coscienza vigile e rispettosa di ogni diversità (iniziando dalla disabilità nelle sue diverse forme). Tre sono i percorsi realizzati, grazie al sostegno del Comune di Torino, nell’ambito del progetto “Crescere in Città”, per un totale di 18 complessi scolastici coinvolti, cui va aggiunto il Cesm (Centro Educativo Specializzato Municipale). La prima attività, proposta agli alunni di 40 classi (quasi tutti delle scuole elementari) si intitola “I nostri amici sensi” ed è incentrata sulla percezione. In un mondo dominato dall’immagine, nel quale il vedere finisce per assorbire la quasi totalità dell’attenzione, è fondamentale che i più piccoli imparino a scoprire le potenzialità insite negli altri sensi, preziosi alleati nella vita quotidiana e nello sviluppo della persona. Questa riflessione diventa poi un efficace strumento per introdurre il tema della disabilità sensoriale (in particolare della minorazione visiva) che viene illustrata anche attraverso giochi e testimonianze di persone non vedenti. Ha invece un taglio più creativo il secondo percorso, “Vedo con le mani”, che coinvolge gli studenti nella creazione di libri tattili, usando la tecnica del disegno in rilievo. Questa esperienza, che offre anche la possibilità di riflettere sul legame tra immagine e parola, è iniziata nel mese di marzo in una classe con un bambino non vedente. La terza proposta si chiama “Conoscere il buio” e si concentra principalmente sulle difficoltà che ciechi e ipovedenti incontrano nella vita quotidiana. Si parte dall’analisi di casi pratici, con l’aiuto dell’opuscolo “Non così, ma così”, una pubblicazione realizzata dall’UICI per spiegare ai vedenti come essere d’aiuto ai disabili visivi. “Questi percorsi sono accolti dai ragazzi con interesse e curiosità – spiega Silvia Lova, coordinatrice I.Ri.Fo.R. Torino – Cerchiamo sempre di privilegiare la concretezza e in molti casi il gioco diventa un filtro per sperimentarsi (scoprendo ad esempio la ricchezza di sensi, come il tatto o l’olfatto, che nella vita quotidiana vengono trascurati). Ma il valore di queste esperienze sta anche nell’incontro con la disabilità sensoriale: desideriamo stimolare negli alunni un atteggiamento equilibrato, lontano da ogni forma di pietismo e contemporaneamente attento ai piccoli o grandissimi ostacoli che una persona disabile incontra nella sua vita”. Torino Tour For All Quando il turismo è per tutti In questo numero della nostra rivista, desidero parlarvi di un’iniziativa nata per dare la possibilità anche a chi è disabile di fruire in tutta tranquillità di alcuni itinerari del centro di Torino. L’iniziativa si chiama Torino Tour For All e comprende un sito internet e un’applicazione da installare su uno smartphone Apple o Android. Il progetto è stato presentato a Torino il 17 febbraio scorso presso la Fondazione CRT ed ha visto la partecipazione dell’Istituto Italiano per il turismo per tutti, la consulta per le persone in difficoltà e ATL, Turismo Torino e Provincia. L’applicazione, scaricabile gratuitamente dagli store di Apple e Google, permette di fruire di un itinerario circolare che parte da Piazza Castello, toccando 30 punti d’interesse di particolare importanza del centro di Torino. L’applicazione permette di impostare la tipologia di disabilità che fruirà del percorso: disabilità motorie, ipovisione, cecità o difficoltà uditive. A seconda del tipo di disabilità Numero 1 - Aprile 2015 impostata sull’applicazione, verranno fornite durante il percorso specifiche informazioni e modalità di orientamento. Per fare qualche esempio, se selezioniamo la disabilità motoria, verranno evidenziate durante il tour le tipologie di pavimentazione, le barriere architettoniche eventualmente presenti e verranno anche segnalati i punti di interesse che offrono servizi igenici accessibili e così via. Se scegliamo la modalità “ipovisione”, le mappe saranno ingrandibili in varie dimensioni. Per la cecità, l’applicazione sarà fruibile in voce attraverso le tecnologie assistive disponibili direttamente sugli smartphone (Voiceover per Apple e Talkback per Android) e fornirà specifiche istruzioni su come affrontare i percorsi. Infine, per quanto riguarda le difficoltà uditive, sono previsti video esplicativi in lingua dei segni italiano, LIS, e sottotitolazione. Come accennato, l’applicazione permette di esplorare un percorso circolare che parte ed arriva in Piazza castello, costituito da tre sottopercorsi: Percorso Quadrilatero, 9 Percorso San Carlo e Percorso Via Po. I 30 punti di interesse sono suddivisi in 6 categorie: botteghe storiche, chiese, edifici storici e musei, siti archeologici, monumenti e architetture urbane. Fruire dei percorsi è molto semplice, una volta lanciata l’applicazione e scelta la nostra tipologia di disabilità, si ha la possibilità di seguire passo passo uno dei tre sottopercorsi proposti o, attraverso i servizi di localizzazione del nostro smartphone, scoprire i punti d’interesse che si trovano nelle vicinanze e scoprirne tutti i dettagli. Questa iniziativa è molto importante per la mobilità e l’inclusione sociale di persone con disabilità e permette di fruire in autonomia o anche accompagnati di un’interessante guida del centro della nostra città. Per ulteriori informazioni eper scaricare tutto il materiale presente sull’applicazione, potete consultare il sito internet http://www.torinotourforall.it. Alessio Lenzi Responsabile Comitato Informatico UICI Torino “Vedere” con la mente Udito, tatto, descrizioni verbali e tanta memoria: ecco come le persone cieche arrivano a costruire una rappresentazione dello spazio Come si orientano le persone cieche? Quali punti di riferimento hanno e qual è la loro rappresentazione dell’ambiente circostante? Diversi studiosi in tutto il mondo hanno tentato di rispondere a questi interrogativi. Nella nostra città è attivo un vitale gruppo di ricerca guidato dalla professoressa Carla Tinti (psicologa dell’Università di Torino) che lavora su vari aspetti dell’esperienza dei non vedenti e che negli ultimi anni si è concentrata con particolare attenzione sulla rappresentazione spaziale. Grazie a una consolidata collaborazione con la nostra sezione UICI Torino, sono stati condotti vari esperimenti 10 per capire in che misura i ciechi siano in grado di produrre immagini mentali dello spazio. «L’immagine mentale – spiega la professoressa Tinti – è un ‘vedere con la mente’. Nel caso delle persone vedenti questa immagine si costruisce a partire da un’esperienza visiva, che poi il cervello immagazzina ed elabora così da renderla disponibile anche quando la realtà non sia fisicamente sott’occhio. La mancanza della visione però non impedisce al cervello di produrre delle immagini e delle rappresentazioni spaziali: esse si possono costruire partendo da percorsi alternativi, come sollecitazioni uditive, tattili, indicazioni circa la posizione del proprio corpo oppure descrizioni verbali». «Per ciò che concerne in particolare l’ambiente esterno– prosegue la psicologa – esistono due tipi di rappresentazione importanti per muoversi e orientarsi. La prima, di tipo survey, è sincronica e tende a osservare la realtà dall’alto, collocando i vari punti all’interno di una mappa ideale. La seconda, di tipo route, è diacronica: lavora ‘a livello della strada’ e si concentra sul percorso necessario per arrivare da un punto ad un altro. Già a metà degli anni ‘90 si è capito che i non vedenti sono in grado di formare entrambe queste rappresentazioni. Quindi anche a partire da un’esperienza diacronica (come può essere quella tattile, nella quale manca una visione d’insieme) si possono produrre immagini mentali sincroniche». UICI/011 SEZIONE PROVINCIALE TORINO Recentemente gli studi della professoressa Tinti hanno esplorato nuovi filoni di ricerca, sempre nell’ambito della rappresentazione spaziale. «Ci siamo chiesti se e in che misura nelle persone non vedenti si possa attivare il perspective taking, ovvero la capacità di osservare lo spazio mettendosi nella posizione di qualcun altro. Questa abilità è fondamentale nell’essere umano, anche perché è alla radice dell’empatia». Nei mesi scorsi sono stati condotti vari esperimenti usando la riproduzione tattile del centro di Torino disponibile presso la nostra sezione. Una trentina i soci UICI coinvolti nel progetto. Sulla mappa tattile sono stati individuati tre punti di interesse (il Duomo, la Mole Antonelliana, la stazione di Porta Nuova), contrassegnati da altrettanti marcatori sonori. «Si è osservato che, quando il suono proveniente dal punto di interesse centrale, ovvero la Mole, suggeriva la presenza di una persona posta di fronte al partecipante, circa la metà delle persone coinvolte (sia vedenti che non vedenti) ne adottavano la prospettiva nell’indicare la reciproca posizione degli altri due punti. Questo dimostra che percepire la presenza di un’altra persona attraverso l’udito, così come attraverso la vista, induce uno spatial perspective taking spontaneo, confermando la possibilità che il meccanismo alla base di tale fenomeno sia di tipo sovramodale (cioè indipendente dal canale sensoriale specifico)». Non solo: «Questi studi confermano che i non vedenti sono in grado di costruire rappresentazioni allocentriche dello spazio, cioè indipendenti dalla posizione del proprio corpo». Naturalmente, così come accade nei vedenti, la capacità di creare e utilizzare rappresentazioni spaziali dell’ambiente, varia da persona a persona. Di sicuro però, conclude la professoressa Tinti «essa aumenta con l’esperienza e l’allenamento e un nostro recente studio ha proprio dimostrato come tali capacità siano più evidenti nelle persone abituate a muoversi in maniera autonoma’ambiente». Ecco allora perché è fondamentale che le persone non vedenti (soprattutto quelle in cui la disabilità è congenita) vengano stimolate fin da piccole a esplorare l’ambiente circostante con curiosità e interesse. I corsi di mobilità e autonomia personale fortemente voluti dall’UICI Torino vanno proprio in questa direzione. Assodato dunque che una persona cieca “vede con la mente”, tutto sta a capire «quanto complesse e manipolabili possano essere queste immagini e quali strutture cerebrali permettano di elaborare immagini acquisite in modo non visivo». Per questo la ricerca prevede, come prossimo passo, di eseguire indagini anche con l’ausilio della risonanza magnetica, così da capire quali aree del cervello siano coinvolte nel processo immaginativo in assenza di visione. Lorenzo Montanaro Le mani pigre Senza educazione, tattilità e manualità non si sviluppano In questo nostro tempo caratterizzato da una sempre più larga diffusione, anzi da un vero e proprio dilagare di apparati tecnologici nella vita di tutti i giorni, le abilità manuali e in particolare quella definita “manualità fine”, arretrano sempre di più, tanto che specie fra gli adolescenti e i giovanissimi molti sono abilissimi nel touch – specie sugli smarthphone – ma altrettanto impacciati in operazioni piuttosto ordinarie come cucire un bottone o fare un taglio diritto con le forbici. Intendiamoci: non è che le due manualità siano necessariamente in contrasto fra loro. Il fatto è che lo sviluppo delle abilità manuali è sempre più trascurato, anche all’interno del sistema scolastico. Non è infrequente, infatti, che alle medie, nelle ore dedicate alle applicazioni tecniche, ci si limiti a mostrare illustrazioni o video su vari tipi di materialie e che le verifiche consistano poi nel far ripetere a voce il contenuto di tali spiegazioni. Per non parlare delle superiori, dove nella maggior parte dei casi tutto ciò che riguarda le capacità pratiche e in particolare quelle manuali non viene in alcun modo considerato. Le mani, nel frattempo, nulla fanno se non “touchare” sullo smarth o sul tablet. Una scarsa abilità manuale, specie per i giovani ciechi, tende a tradursi in una disabilità aggiuntiva, dal momento che, come è noto, il tatto – insieme all’udito – costituisce un senso vicario di fondamentale importanza per chi non vede. Ma affinchè il tatto svolga al meglio le sue funzioni vicarianti, esso deve essere accuratamente educato, poiché non è affatto scontato che – come comunemente si crede – le abilità manuali si sviluppino spontaneamente ed immediatamente in chi è deprivato della vista. Neppure la semplice (semplice poi per modo di dire!) capacità di esplorare tattilmente forme e superfici è innata. Ho incontrato giovani ciechi che non sapevano letteralmente toccare un oggetto posto loro fra le mani, cioè non lo percorrevano con i polpastrelli, o lo facevano con una esitazione quasi timorosa, o con tale levità e rapidità che non ne riuscivano a percepire adeguatamente le caratteristiche. Evidentemente non avevano ricevuto alcuna educazione alla tattilità e, con ogni probabilità, avevano anche una scarsa familiarità col braille. Ci si preoccupa spesso – ed a ragione – di educare all’immagine o all’ascolto, assai meno o quasi nulla di educare alla tattilità, nella convinzione errata che il toccare non abbia alcun bisogno di educazione, che sia una abilità assolutamen- Numero 1 - Aprile 2015 11 te innata e autosviluppantesi, e che se mai, al contrario, debba essere moderata o addirittura inibita, per motivi di eleganza e di rispetto delle regole sociali! Come ebbi a scrivere anche su queste pagine alcuni anni fa, bisogna tener presente che i sensi non veicolano semplicemente informazioni, ma sono quelli che ci consentono di far esperienza delle cose, di entrare in rapporto immediato con esse, di percepirne la forma, la consistenza, il calore, la densità, l’intensità, la modificabilità… con maggiore o minore gradevolezza o sgradevolezza, con maggiore o minore attenzione ed intenzione, con maggiore o minore fatica e facilità, nonché di esprimere in modo non solo reattivo ciò che sentiamo. Orbene, dobbiamo renderci conto che quasi tutte le caratteristiche appena enunciate non possono essere esperite direttamente mediante la vista, ma attraverso quei sensi “più bassi” che agiscono, per così dire, più a diretto contatto con gli oggetti, e fra essi, in primo luogo, il tatto. Bisogna altresì sottolineare che ciò vale per tutti, vedenti e non. Il tatto, diffuso in tutto il corpo e focalizzato nelle mani, possiede infatti capacità cognitive proprie che sono irrinunciabili nella scoperta e nella trasformazione della realtà. Esso è in un certo senso un “luogo di confine”, separa l’”interno” dall’”esterno” e li percepisce simultaneamente entrambi. Il tatto è il senso per via del quale principalmente sentiamo - e anche siamo in grado di far sentire - il dolore e il piacere, senza i quali è difficile immaginare il costituirsi e il procedere dell’esperienza e della cultura. Se dunque il tatto ha tutta questa importanza per l’evoluzione culturale umana, perché mai, specie in Occidente, il toccare è così spesso inibito o “severamente vietato”? Perché proprio i prodotti di una raffinatissima manualità, come ad es. gli oggetti artistici, sono quasi sempre interdetti all’esplorazione delle mani? Tutti, e non solo i ciechi, dovrebbero poter toccare una scultura e l’educazione tattile dovrebbe essere impartita nelle scuole di ogni ordine e grado. Una mia cara amica, cieca dalla nascita, mi diceva qualche tempo fa che ciò che la faceva soffrire maggiormente, specie da bambina, era l’avvertire che in un certo senso ai suoi compagni il mondo andava incontro, le cose note li rassicuravano, quelle nuove li incuriosivano, mentre lei doveva continuamente sforzarsi di superare un limite di oscura e angosciosa indeterminatezza prima di entrare in rapporto con le cose, anche le più familiari. Ecco, ai ciechi le cose non vengono mai semplicemente incontro, è necessario stimolarli ed attrezzarli affinchè apprendano efficaci strategie per entrare in effettivo e soddisfacente rapporto col mondo. E un sapiente uso delle mani è tra le prime cose che ci occorrono per affrontare questo non facile percorso. Francesco Fratta Responsabile Settore Cultura UICI Torino Abili per l’arte: Palazzo Madama per tutti Un’esperienza multisensoriale attraverso immagini in rilievo, suoni e Lingua italiana dei segni Nella Giornata internazionale del Braille, il 21 febbraio 2015, Palazzo Madama ha reso accessibile cinque capolavori della pittura del Gotico e del Rinascimento grazie al sostegno del Rotary Club Torino Nord Ovest. Le opere di Giacomo Jaquerio, Antoine de Lonhy, Antonello da Messina, Defendente Ferrari e Agnolo di Cosimo detto il Bronzino possono essere fruite da persone prive della vista grazie alla riproduzione in rilievo delle immagini e alla possibilità di scaricare la descrizione audio. Le persone ipovedenti possono godere di una visione ravvicinata dell’immagine, mentre i sordi possono usufruire di una traduzione in lingua LIS - lingua italiana dei segni con sottotitolazione. Come altri progetti promossi da Palazzo Madama, l’esperienza ideata per facilitare l’accesso e la visita in autonomia di determinate categorie di persone è in realtà aperta a tutti i visitatori interessati a una visione ravvicinata con l’opera o a una descrizione audio dei contenuti. Come funziona All’inizio della sala Acaia, il visitatore ha a sua disposizione un contenitore con un kit composto da cinque schede, leggere e di grande formato, che possono essere prese in prestito durante la visita al Piano Terra; la serie è completata da una mappa della sala, utile per orientarsi nello spazio e trovare la collocazione delle singole opere. Ogni scheda riproduce il dipinto a colori e in rilievo trasparente: la tecnica di stampa messa a punto da Tactile Vision 12 UICI/011 SEZIONE PROVINCIALE TORINO Onlus permette di delineare tramite uno speciale inchiostro trasparente alcuni elementi salienti dell’immagine caratterizzati da diversi gradi di rilievo e da differenti motivi grafici. La trasparenza dei dettagli in resina non interferisce con la leggibilità del dipinto da parte di tutto il pubblico e favorisce anzi la fruizione congiunta. Sul retro di ciascuna scheda è presente una descrizione dell’opera sia in carattere grafico ad alta leggibilità sia a rilievo nel sistema Braille: quest’ultimo testo è realizzato sempre in resina trasparente e coesiste quindi con la descrizione a inchiostro. Sulla scheda, nella parte inferiore, sono presenti un codice QR e un codice NFC (Near Field Communication o Comunicazione in prossimità) che permettono al visitatore in possesso di uno smartphone abilitato e con connessione internet di usufruire del testo descrittivo nella versione di lettura audio e traduzione in lingua visiva in LIS - Lingua italiana dei segni. I partner di progetto Il progetto implementa i servizi di esperienza tattile già presenti in museo (audioguide, percorsi guidati, pannelli tattili sulla Torre Panoramica e nel Giardino Medievale) ed è stato realizzato in collaborazione con le associazioni e i professionisti che da anni operano a Torino per favorire l’accessibilità ai luoghi della cultura e non solo: Tactile Vision onlus, che opera sul tema della disabilità visiva e della ricerca tecnologica fornendo materiali per i principali musei europei (Louvre, British Museum, Musei Capitolini, Museo Nazionale del Cinema), col fondamentale apporto di Rocco Rolli ha progettato e realizzato i pannelli visivo-tattili, la registrazione audio e ha coordinato i diversi interventi; l’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti di Torino ha collaborato al progetto attraverso la consulenza di Francesco Fratta, coordinatore della commissione cultura. L’Associazione Interpreti LIS - di Torino ha fornito la redazione, la traduzione e la registrazione video dei testi nella lingua italiana dei segni. Il carattere tipografico ad alta leggibilità EasyReading™ è stato messo a disposizione a titolo gratuito da EasyReading Multimedia, Torino che ha progettato questo font per favorire la leggibilità e la comprensione dei testi, con particolare attenzione alle esigenze delle persone dislessiche. Anna La Ferla Servizi Educativi e mostre Palazzo Madama L’arte da toccare, ascoltare, annusare Visita al Castello di Rivoli, guidata dal prof. Francesco Fratta Dopo l’esperienza fatta il 31 maggio 2014 a Palazzo Madama, dove il Prof. Francesco Fratta ha guidato una visita dedicata allo Scalone d’onore di Filippo Juvarra, lo scorso 28 marzo lo stesso ha condotto nell’arco della giornata ben 4 gruppi di visitatori lungo un percorso d’arte contemporanea all’interno della collezione permanente ospitata al primo piano del Castello di Rivoli. Ai visitatori (tra i quali studenti di un liceo artistico torinese, alcuni nostri soci, operatori culturali e gente varia) veniva proposto, se lo desideravano, di bendarsi e di farsi accompagnare lungo tutto il percorso a partire dall’atrio esterno che separa la biglietteria dal corpo del Castello, dove sarebbe dovuto sorgere, secondo il progetto di Juvarra, un alto corpo centrale posto fra le due grandi ali simmetriche della reggia, delle quali solo una fu realizzata. Il senso della proposta, specificato espressamente a inizio visita, era non tanto quello di far sperimentare genericamente la condizione di cecità, quanto quello di tentare di appropriarsi, attraverso i sensi rimasti disponibili, delle suggestioni degli ambienti e delle opere in essi ospitate, con il fondamentale ausilio delle parole che li descrivevano. Così, ad esempio, toccare con i piedi le differenti pavimentazioni delle varie sale (molto particolare quella della sala di Bacco e Arianna di Juvarra, che ospita attualmente la “casa palla” di Oldenburg e Van Bruggen), o un’opera calpestabile come il tappeto “il bel paese” di Maurizio Cattelan; toccare con le mani la suddetta Numero 1 - Aprile 2015 13 “casa palla” sentendone anche il particolare odore, o il camino neoclassico della sala dei 4 continenti, dove è ospitato l’appena ricordato “bel paese” di Cattelan; ascoltare, insieme alle parole che le descrivono, le sonorità delle opere (come l’acqua che fuoriesce dal centro della cassa del violino di Marisa Merz e cadendo batte lievemente sulla superfice dell’acqua in cui il violino stesso è immerso), e/o degli ambienti. A proposito delle sonorità di questi ultimi, particolarmente intensa è stata l’esperienza nella sala che ospita attualmente un’opera di Marzia Migliora intitolata “Pasolini 2009”. Quest’opera consiste in una frase tratta dall’ultima intervista rilasciata dal regista-scrittore, che Migliora riproduce in caratteri realizzati su materiale specchiante,alti circa una trentina di centimetri, in stampatello maiuscolo, disposti in modo continuo ad altezza di faccia lungo tre pareti, così che il visitatore, percorrendo la frase, può specchiarsi in ciascuna delle sue lettere. Pronunciando ad alta voce quella frase – che è un grido d’allarme -, essa risuona dentro rinforzando in modo inatteso il suo significato e provocando una intensa emozione, proprio grazie alla particolare acustica di quella sala e al fatto che si è concentrati esclusivamente sull’udito. Dunque, in conclusione, non solo un cieco, opportunamente guidato, può fruire in modo soddisfacente dei contenuti offerti da un museo d’arte contemporanea, ma, se accuratamente preparato, è anche in grado di condurvi una visita godibile da tutti. Questo il duplice messaggio che l’esperienza di Rivoli è riuscita di fatto a lanciare . E fa piacere constatare che il messaggio è stato raccolto, vista la risonanza che l’iniziativa ha avuto sui media. Infatti, oltre al bell’articolo di Renato Rizzo comparso sulla Stampa di lunedì 30 marzo, lunedì 6 aprile su Radio 1 Rai, nel programma “restate scomodi” è andata in onda unampia intervista a Fratta e a Rizzo su quella speciale giornata al Castello. I mondi di Primo Levi Una mostra per non dimenticare Il 13 marzo, presso Palazzo Madama, accolti e seguiti dal professor Fabio Levi, dall’architetto Rocco Rolli e dalla signorina Alessandra abbiamo visitato questa mostra, del tutto inconsueta, quasi priva di elementi tattili, ma molto significativa e toccante grazie agli interventi esplicativi delle nostre guide. Il titolo della mostra mette subito in evidenza che gli allestitori hanno voluto presentarci Primo Levi a tutto tondo: l’uomo, il chimico, il deportato, lo scrittore. Davanti all’ingresso, abbiamo potuto renderci conto delle dimensioni di un carro merci simile a quello in cui gli ebrei venivano deportati dal campo di raccolta di Fossoli, presso Modena, ai lager tedeschi. E’ stata una sensazione sconvolgente immaginare che, in uno spazio così ristretto privo di luce e con scarsa aerazione, venissero ammassati 50, 60 fra uomini donne e bambini, senza la possibilità di muoversi, per 5 o 6 giorni fino al momento dell’arrivo. In uno di questi carri anche Primo Levi, nell’ottobre del ’44, ha raggiunto il lager di Auschwitz, uno dei campi di concentramento in cui, con spietata ferocia e con scientifica 14 organizzazione, veniva attuata “la soluzione finale”, ovvero lo sterminio di circa 6 milioni di ebrei. Nel percorso della mostra alcune figure rievocano la vita dei deportati e la perdita di ogni dignità: il nome sostituito da un numero di matricola tatuato sul braccio, le umiliazioni e le aberrazioni che portavano a una condizione subumana in cui pietà, amicizia e solidarietà non contavano più nulla. Coloro che si sono salvati sono quelli che, grazie alla loro forza interiore e alla loro razionalità sono riusciti a non cedere, a resistere alle sopraffazioni e alle umiliazioni, a continuare a sentirsi, nonostante tutto, uomini. Una pagina del libro, letta da Alessandra, ci ha rivelato non solo lo stile dello scrittore, semplice, chiaro ed essenziale ma l’importanza di una testimonianza da cui non traspare né odio né rancore, ma soltanto il desiderio di portare a conoscenza del mondo intero ciò che là è accaduto e che non dovrà mai più ripetersi. Abbiamo imparato a conoscere e ad apprezzare Primo Levi anche nella sua veste di chimico, attraverso alcuni passi del libro Il sistema periodico e quel piccolo atomo di carbonio che è presente ovunque, nell’aria, nella terra, nella Natura, in ciascuno di noi, ci appare non solo come un elemento della tavola periodica ma nella sua importanza di fattore indispensabile per la nostra vita su questo Pianeta. Altri aspetti a noi sconosciuto erano quelli di Primo Levi operaio verniciatore in una fabbrica di Settimo; scrittore di articoli su numerosi quotidiani tra cui La Stampa; uomo sempre pronto a recarsi ovunque lo chiamassero per te- UICI/011 SEZIONE PROVINCIALE TORINO stimoniare la sua storia e rispondere alle numerose domande, soprattutto dei giovani. Infine abbiamo compreso il significato e l’importanza che lo scrittore attribuiva al lavoro come forma di creatività umana e di professionalità acquisita attraverso un lungo esercizio: dallo scrittore che cerca e sceglie con fatica le parole più appropriate, al protagonista del romanzo La chiave a stella, l’operaio Faussone, orgoglioso della propria bravura di montatore di gru, sempre pronto a viaggiare, a conoscere altri usi e altri costumi, a cimentarsi con se stesso per raggiungere una maggiore perizia nel proprio lavoro. Al termine Alessandra ci ha letto una poesia “Il superstite”, attraverso la quale Primo Levi ci svela i suoi incubi interiori: gli anni sono passati ma quegli orrori, quegli uomini scarni e macilenti, “i sommersi”, non lo hanno abbandonato e specialmente la notte sembrano circondarlo, tendere le mani verso di lui e chiedergli perché: perché tu sì e noi no? Incubi terribili simili a quelli dei veterani del Vietnam e delle Guerre del Golfo che possono condurre, pur di farli smettere, all’annientamento, al suicidio. Un grazie a tutti coloro che attraverso questa mostra hanno voluto ricordarci che occorre sempre lottare contro la barbarie umana di essere dei testimoni che sanno, che hanno capito e che vogliono per le future generazioni, un mondo migliore. Flavia Navacchia Alla scoperta delle ceramiche di Mondovì Una tradizione secolare Questa volta l’UNIVoC ha scelto come meta della gita la cittadina di Mondovì, posta sulla “via del sale”, circondata dalle montagne e a poca distanza dal più famoso santuario di Vicoforte. Il motivo che ha indotto a decidere di visitarla è particolarmente legato al museo della ceramica; dopo tanti musei artistici con quadri e statue famosi, volevamo conoscere l’antica arte di fabbricazione della ceramica. Il museo della ceramica ha sede nel Palazzo Fauzone ed è sostenuto dalla Fondazione costituita nel 1999 dal Dott. Marco Levi che, per arricchirlo, ha donato la collezione Baggioli e la sua collezione personale. Le guide cui hanno accolto con grande gentilezza e, con l’aiuto dell’architetto Rocco Rolli, è iniziato il nostro percorso esplorativo; la prima parte è stata incentrata sugli antichi metodi di estrazione e di fabbricazione della ceramica nel XIX secolo. Gli operai scavavano e poi battevano coi piedi l’argilla bagnata per liberarla il più possibile dai silicati di ferro; il materiale veniva poi posto ad asciugare e modellato con antichi torni di legno per assumere le forme desiderate: vasi, piatti, tazze, etc. Seguiva poi la prima cottura e la seconda fase di lavorazione durante la quale gli oggetti venivano dipinti con pennelli e spugnette e successivamente immersi in una vernice silicea in sospensione acquosa prima di essere cotti una seconda volta ed essere finalmente pronti all’uso. Abbiamo potuto esplorare tattilmente alcuni di questi vasi e piatti del primo periodo per confrontarli poi con quelli del secolo successivo quando le tecniche di fabbricazione erano decisamente più evolute e complesse e permettevano di realizzare suppellettili da tavola e da arredo di grande pregio. Interessante è risultato un tavolo multimediale che in base all’oggetto posto al di sopra di esso apparecchiava la tavola virtualmente nello stesso stile dell’oggetto posizionato mentre una voce narrante citava il menù fornendo anche le relative ricette: peccato che la multimedialità non si ancora in grado di riprodurre i profumi! Dal punto di vista tattile è stato interessante il confronto tra due zuppiere: quella più antica si presentava più ruvida ma ricca di fregi all’interno e sui bordi; quella più moderna era invece molto più liscia, dalle linee essenziali e vicina ai nostri giorni. Flavia Navacchia INFORMAZIONE DI SERVIZIO Sportello fiscale all’UICI Torino Servizi CAF gratuiti o a tariffe agevolate Come ogni anno, ritorna la campagna fiscale. Ricordiamo che nella nostra sezione è attivo uno sportello che si occupa di pratiche di patronato e svolge anche servizi CAF, con particolare riferimento alle dichiarazioni dei redditi. Per i nostri soci e i loro familiari questi servizi sono gratuiti o a tariffe fortemente scontate. Presso i nostri uffici potrete richiedere i modelli 730, UNICO e similari, oltre al modello CU, che l’INPS non invia più a casa. Per informazioni potete contattare i nostri uffici al numero 011 53 55 67 (dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13 e dalle 14 alle 18) oppure scrivere una e-mail all’indirizzo [email protected] Numero 1 - Aprile 2015 15 UICI Sezione provinciale di Torino, corso Vittorio Emanuele II 63 10128 Torino Tel: 011/535567 011/5628028 Web: www.uictorino.it E-mail: [email protected]