A PORTATA DI MANO

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A PORTATA DI MANO
A PORTATA
DI MANO
Poste Italiane. Spedizione in A.p. - Art.2 Comma 20/C - Legge 662/96 - D.R.T./D.C.B. Torino - n. 1/anno 2015
Sommario
Comitato di redazione:
UICI/011
Direttore responsabile:
Enzo Tomatis
Autorizzazione del tribunale
di Torino n. 4803 del 07/06/1995
Redazione:
Francesco Fratta,
Federica Miraglia,
Flavia Navacchia
Hanno collaborato:
Anna La Ferla
Alessio Lenzi
Franco Lepore
Silvia Lova
Alex Melis
Nunziata Panzarea
Sergio Prelato
Giuseppe Salatino
Carla Tinti
Caporedattore: Lorenzo Montanaro
Editoriale L’unione quanta burocrazia
Mobilità accessibile: Vince l’UICI Torino Una vittoria storica. Ora vogliamo i fatti Belli impossibili Fiori Recisi
Conoscere il buio Torino Tour For All
“Vedere” con la mente
Le mani pigre
Abili per l’arte: Palazzo Madama per tutti
L’arte da toccare, ascoltare, annusare I mondi di Primo Levi Alla scoperta delle ceramiche di Mondovì
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pag. 9
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La copertina di questo numero
A PORTATA
DI MANO
IN QUESTO NUMERO
“
A portata di mano
È con un titolo volutamente provocatorio che desideriamo aprire questo nuovo spazio di confronto con i nostri lettori e i nostri
amici. Già, perché spesso, per i ciechi e gli ipovedenti la vita non
è affatto “a portata di mano”. Lo dimostrano, ad esempio, le
battaglie per il diritto alla mobilità (nonostante una storica sentenza del Consiglio di Stato abbia accolto il nostro ricorso), lo
dimostrano le difficoltà insite in una città che non sempre tiene
conto delle esigenze dei disabili visivi, lo dimostrano le fatiche
nel costruirsi una vita affettiva piena e soddisfacente (tema coraggiosamente affrontato nel convegno “Fiori Recisi”).
Il titolo però vuole anche sottolineare le piccole o grandissime
conquiste che si possono raggiungere con esercizio, caparbietà
e un uso accorto dei sensi residui (tattilità compresa). Per chi
non ci conosce possono sembrare traguardi irraggiungibili; per
noi sono già “a portata di mano”.
la Redazione
Poste Italiane. Spedizione in A.p. - Art.2 Comma 20/C - Legge 662/96 - D.R.T./D.C.B. Torino - n. 1/anno 2015
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UICI/011
SEZIONE PROVINCIALE TORINO
EDITORIALE
L’Unione? Quanta burocrazia
Se chiedete a qualsiasi straniero trasferitosi in Italia quale sia l’aspetto del nostro Paese che più l’abbia
colpito negativamente, vi risponderà senz’altro: la burocrazia. Negli ultimi anni qualche tentativo per
metterci al passo con il resto d’Europa, seppur coi nostri tempi, l’abbiamo fatto: firma digitale, fatturazione elettronica, posta elettronica certificata, dematerializzazione, home banking. Ma come spesso
accade, le rivoluzioni italiane vengono castrate alla nascita. Così è accaduto alla nostra Unione Italiana
dei Ciechi e degli Ipovedenti, una volta ente pubblico e ora onlus con tanti, troppi doveri e pochi diritti.
Quelli che avevamo li abbiamo praticamente persi con il passaggio a ente di diritto privato, ma abbiamo
conservato in dote tutto l’impianto organizzativo e gestionale tipico delle pubbliche amministrazioni. La
contabilità è praticamente quella pubblica, e il bilancio rispecchia quello di qualsiasi ente territoriale.
Solo le piccole sezioni possono avvalersi della cosiddetta contabilità semplificata, mentre tutte le altre
devono ancora fare i conti con i famigerati servizi di tesoreria dei pochi istituti bancari che ancora li offrono, in quanto – loro sì – puntano a snellire, incentivando in tutti i modi i servizi online. A noi rimane il
fardello dei mandati e delle reversali, del bilancio consuntivo e di quello di previsione, con annesse variazioni, la gestione dell’economato, rendicontazione, collegio dei sindaci revisori, vigilanza da parte del
Ministero dell’Interno e Corte dei Conti. Ci sono almeno tre livelli di burocrazia che ci riguardano: quello
derivante dall’essere una Onlus, quello derivante dal nostro Statuto e Regolamento, e per concludere
quello che le singole strutture, soprattutto quelle periferiche, decidono di adottare nell’ambito della
propria (ben delimitata e soprattutto limitata) autonomia. La prima è dovuta per legge, e da lì non
si scappa. L’ultima è quella che ci consentirebbe,
nell’immediato, di rendere più snella la gestione,
e non sempre facciamo del nostro meglio per riuscirci. Ma quella su cui ci si dovrebbe concentrare
maggiormente è la mole di lavoro che deriva dallo
Statuto e Regolamento UICI. Pur se con una semplificazione estrema, e con una certa dose di retorica, non possiamo fare a meno di notare quanto
poco lo Statuto sia cambiato nel corso degli anni.
E quando lo ha fatto, non sempre lo ha fatto in
meglio (vedasi lo spazio alle minoranze, prima
previsto e poi negato). Come è cambiata poco, pochissimo, anche l’elefantiaca organizzazione della
nostra Sede Centrale, che fagocita – direttamente
o indirettamente – gli ultimi finanziamenti statali
che ci arrivano, retaggio del nostro passato di ente
pubblico ma sempre più a rischio, continuamente
tagliati e ripristinati con provvedimenti eccezionali e quindi tutt’altro che scontati nel prossimo futuro.
“
A noi rimane il fardello dei mandati e delle reversali, del bilancio
consuntivo e di quello di previsione, con annesse variazioni, la gestione
dell’economato, rendicontazione, collegio dei sindaci revisori, vigilanza da
parte del Ministero dell’Interno e Corte dei Conti.
Il nostro presidente nazionale Mario Barbuto ha parlato più volte di riorganizzazione non solo dell’Uici,
ma anche dell’Irifor, che dell’Unione è braccio operativo. Voglio credergli, perché è una necessità improrogabile e perché questi due enti prestano il fianco a paradossi di fondo che non ne favoriscono un
completo inserimento nei rispettivi contesti. L’Unione si trova a operare come fosse un ente pubblico
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e la sua principale finalità è quella di assistere i disabili visivi e rappresentarne gli interessi “morali e
materiali” a livello istituzionale, compito che diviene via via più esclusivo man mano che si sale a livello
gerarchico, partendo dalle rappresentanze zonali per arrivare alla Sede Centrale. Le sezioni Irifor, che
invece dovrebbero poter concorrere con tutti gli altri attori sociali per l’acquisizione di appalti in ambito educativo, riabilitativo, sociale e formativo, per presentare progetti volti a ottenere finanziamenti,
insomma per fare tutto ciò che possa garantire risorse e implementare le proprie attività, non possono
farlo ogni qual volta ai partecipanti di quel progetto o quell’appalto viene chiesto di presentare un
bilancio. Le strutture Irifor infatti non devono tenere un bilancio, che se da un lato può sembrare una
facilitazione nella gestione, in realtà ne limita notevolmente il raggio d’azione.
“
Alcuni potrebbero non aver bisogno della nostra presenza, altri
probabilmente hanno solo bisogno di una parola di conforto, ma per questi che
hanno problemi relativi, ve ne sono tanti altri ancora che versano in condizioni
di disagio, acuite dal fatto che oramai i servizi sociali latitano, i comuni hanno
risorse davvero limitate per gli interventi a domicilio e le aziende ospedaliere
faticano a star dietro persino ai casi davvero disperati.
Detto che alcuni cambiamenti si possono fare e altri no, su un sono sicuro: questa impostazione è un
ostacolo alle precipue finalità dell’ente, anche se non può e non deve rappresentare un alibi. Abbiamo
perso di vista il cardine dell’associazione: il socio e le sue necessità. Credo che sia questo il motivo per
cui è in atto un’emorragia nel numero dei tesserati che sembra impossibile da tamponare. E’ vero che
c’è una generale disaffezione da parte del cittadino a qualsiasi forma di aggregazione: siamo anche
sempre più restii a pagare un contributo per il quale non ci viene immediatamente reso qualcosa di
concreto, tangibile. Spesso i soci ci chiedono: io pago la tessera, ma quali servizi ho in cambio? Sulla
molteplicità di servizi messi a disposizione non intendo soffermarmi in questa sede: qualunque socio
(e chiunque altro) volesse appurarlo, può chiedere di leggere la relazione sulle attività svolte nell’anno
2014. A me spiace constatare che la riconoscenza non è di questo mondo: posti di lavoro, istruzione,
tutela, pensioni e indennità di accompagnamento sono tutte conquiste ottenute dall’Unione Italiana
dei Ciechi e degli Ipovedenti, quando tutti i soci erano pronti a sostenerla incondizionatamente. Ecco, il
principale motivo di un tesseramento risiede nel sostegno all’associazione, a ciò che ha rappresentato e
rappresenta, per ciò che quotidianamente fa per difendere i diritti dei minorati della vista.
Ma, come dicevo, al pari della burocrazia, neanche quello del “sostegno a tutti i costi” può rappresentare un alibi, un motivo per pretendere che le persone continuino ad affiliarsi. Sono cambiati i tempi, e
sono cambiati i bisogni. Dobbiamo trovare la forza, le idee per andar noi a cercare il contatto con i nostri
soci, vedere dove vivono, come vivono, quali sono le loro necessità e cosa si può fare nel concreto per
aiutarli. Alcuni potrebbero non aver bisogno della nostra presenza, altri probabilmente hanno solo bisogno di una parola di conforto, ma per questi che hanno problemi relativi, ve ne sono tanti altri ancora
che versano in condizioni di disagio, acuite dal fatto che oramai i servizi sociali latitano, i comuni hanno
risorse davvero limitate per gli interventi a domicilio e le aziende ospedaliere faticano a star dietro persino ai casi davvero disperati.
Per questo l’Uici dovrà esser più presente nei comuni della provincia, non solo a Torino, portando conforto,
servizi e soluzioni. La nostra sezione ha dato un segnale forte in questo senso, aggiudicandosi la gestione
del Centro di Riabilitazione Visiva di Ivrea e rilanciando le rappresentanze zonali. Ora non resta che favorire
anche il coinvolgimento attivo, e non solo passivo, dei soci che vogliono impegnarsi nella vita associativa e
in favore di coloro che hanno più bisogno. C’è tanto da fare, ma questo è un momento unico e irripetibile
per dare un segnale, imprimere una svolta. Grazie anche alle elezioni, il 2015 può e deve essere un anno
di rinnovamento, di rilancio: facciamo in modo che non sia un’altra rivoluzione a metà.
Enzo Tomatis
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UICI/011
SEZIONE PROVINCIALE TORINO
Mobilità accessibile:
Vince l’UICI Torino
La sentenza del Consiglio di Stato
Con la sentenza n. 518/2015 depositata lo scorso 3 febbraio il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso presentato
dalla nostra sezione e ha dichiarato illegittimi alcuni articoli del Regolamento sul trasporto accessibile adottato dal
Comune di Torino.
Due i punti centrali della sentenza, che ribalta completamente il giudizio emesso in primo grado dal Tar Piemonte.
In primo luogo i giudici ravvisano un’inaccettabile disparità di trattamento tra disabili visivi (per i quali il servizio
è vincolato alle fasce di reddito Ise) e disabili motori gravi
(che invece possono usare i mezzi attrezzati con una spesa
equivalente a quella di un biglietto del trasporto urbano).
Il Consiglio di Stato inoltre riconosce che la difficoltà di
usare i mezzi pubblici per le persone cieche non riguarda
solo il salire e lo scendere dai veicoli. Spostarsi con un tram
o un autobus richiede varie abilità sensoriali: per un cieco
assoluto non accompagnato gli ostacoli possono diventare
insormontabili.
Questo storico risultato si deve all’impegno di tanti: alla
tenacia dell’ex presidente Enzo Tomatis e dell’attuale presidente Giuseppe Salatino, che non si sono mai arresi al
giudizio del Tar, ma anche al lavoro degli avvocati Franco
Lepore di Torino e Antonio Organtini di Roma che hanno
rappresentato l’UICI.
Una vittoria storica. Ora vogliamo i fatti
Il Comune deve assumersi le sue responsabilità.
La sentenza del Consiglio di Stato, che, dopo una battaglia legale durata oltre due anni ha accolto il ricorso Uici
Torino, per noi significa molto, moltissimo: riteniamo sia
una conquista che riguarda tutte le persone disabili e non
solo i ciechi.
La nostra sezione, unica tra le associazioni interessate dal
problema della mobilità accessibile, ha scelto di non fermarsi al verdetto del Tar Piemonte (che aveva rigettato le
nostre richieste), ma di ricorrere al secondo grado di giudizio: una decisione per certi versi rischiosa, che ha comportato un impiego di risorse non trascurabile, ma che sulla
distanza ha premiato la nostra caparbietà e dato i suoi
frutti. Le persone disabili, chiunque esse siano – afferma
il Consiglio di Stato – non possono essere discriminate in
base alla loro patologia e devono ricevere parità di trattamento: è un principio di giustizia, che deriva dal dettato
costituzionale, ma che a quanto pare non è poi così scontato nella prassi ordinaria di Stato ed Enti Locali.
Di certo però non possiamo fermarci qui. La vittoria che
abbiamo conseguito presuppone una nuova e forse ancora più impegnativa battaglia: perché la sentenza non resti lettera morta bisogna studiare un’attuazione efficace,
equa ed economicamente sostenibile. Su questo punto
siamo al lavoro da mesi e abbiamo intrapreso un serrato
confronto con le autorità cittadine.
Già a fine febbraio abbiamo presentato la nostra proposta: istituire un regime transitorio con ripristino del buono
taxi a 9 € e abolizione delle fasce di reddito Ise, tanto per
i ciechi quanto per gli altri disabili utenti del servizio (questa era infatti la situazione nel 2012, prima che entrasse in
vigore il tanto contestato Regolamento). Tutto ciò in atte-
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sa di una più radicale revisione del servizio, con l’obiettivo di arrivare a sistemi di trasporto funzionali e meno dispendiosi del taxi. Dal Comune hanno obiettato che molto
probabilmente tale regime sarebb incompatibile con le
esigenze di bilancio e che, applicando a tutti il contributo
di 9 €, i fondi disponibili rischierebbero di esaurirsi in pochi
mesi, scaduti i quali non si potrebbe far altro che smantellare il servizio di trasporto accessibile.
Abbiamo incontrato più volte il sindaco Piero Fassino, il
vicesindaco ElideTisi e l’assessore ai trasporti Claudio
Lubatti: ci è stato prestato ascolto, ma all’atto pratico si è
trattato di incontri infruttuosi.
Abbiamo concesso del tempo a dirigenti e tecnici di
Palazzo Civico per studiare delle misure alternative e lo
scorso 30 marzo siamo stati convocati ancora una volta
nella sede dell’Assessorato ai Trasporti. Purtroppo anche
questo ennesimo incontro non ha dato gli esiti sperati.
La proposta del Comune ci ha lasciati molto perplessi, al
punto che, unanimemente, abbiamo deciso di rifiutarla.
L’amministrazione torinese vorrebbe risolvere il problema
introducendo delle fasce di reddito Ise differenziate. In sostanza a coloro che non possono in nessun modo accedere ai mezzi pubblici (quindi i disabili motori gravi e i ciechi
assoluti) verrebbe applicato un Ise con tariffe agevolate,
mentre per i disabili motori “meno gravi” (cioè coloro che
non si spostano col mezzo attrezzato ma col taxi) le fasce
Ise sarebbero quelle attuali.
Riteniamo che non sia questa la strada da percorrere.
Come si può pensare di porre rimedio a una disparità di
trattamento introducendone un’altra? Come possiamo,
noi che ci siamo battuti per l’equità, accettare di ottene-
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re un vantaggio a spese di qualcun altro? Se il
Comune pensa di coinvolgerci in un’odiosa “guerra tra poveri” si sbaglia: non daremo in nessun
modo il nostro avallo a proposte discriminatorie.
Che siano gli amministratori comunali, a questo
punto, a prendere una decisione, assumendosi le
loro responsabilità nei confronti dei disabili.
L’unico dato positivo è che, per la prima volta,
l’amministrazione cittadina riconosce la cecità
come patologia grave, le cui conseguenze condizionano pesantemente la possibilità di muoversi
in autonomia. Questo è un punto a nostro favore,
sul quale lavoreremo. Intanto andremo avanti e
chiederemo un giudizio di ottemperanza sull’applicazione della sentenza. Purtroppo la soluzione
non è dietro l’angolo, ma non ci lasceremo scoraggiare: l’UICI Torino continuerà a far sentire la sua
voce, con la disponibilità al dialogo e contemporaneamente con la fermezza e il rigore che da sempre la contraddistinguono.
Giuseppe Salatino
Presidente UICI Torino
Belli impossibili
Tra rotonde e piste ciclabili, i nuovi quartieri
nascondono insidie per i disabili visivi
A Torino (ma il fenomeno è più diffuso di quanto si creda) sempre più spesso l’abbattimento delle barriere per i disabili
motori rischia di mettere nei guai i disabili visivi: i quartieri vengono ristrutturati o costruiti ex novo con criteri a noi
ostili. Tutto ciò per pura ignoranza delle nostre esigenze.
Nel quartiere Mirafiori Nord, ad esempio, è stata recentemente introdotta la cosiddetta zona 30, un modello urbanistico
molto interessante, che però per noi disabili visivi può essere ghettizante e pericoloso. In sintesi, la “zona 30” è un’idea
di quartiere a bassa velocità per le auto, (che, appunto, possono viaggiare al massimo a 30 chilometri orari): questo
comporta più silenzio, meno incidenti, meno inquinamento. Le carreggiate vengono ridotte al minimo e si creano curve
sinuose, anche in pochi metri, per impedire eccessive accellerazioni. Lo spazio guadagnato dalla minor ampiezza della
strada carrabile rende possibile ampliare i marciapiedi e solitamente consente anche l’inserimento di una pista ciclabile,
nonché di aree sosta con panchine. Altro valore aggiunto sono le rotonde, che sostituiscono i semafori (abbattendo
anche i relativi costi di manutenzione) e rendono più bello il quartiere, anche perché spesso sono dotate di di manto
verde.
Purtroppo per noi, la distanza dalla cosiddetta guida naturale all’attraversamento della strada si allunga fino a otto o
dieci metri e può non essere in asse con l’edificio che fornisce la guida stessa.
Inoltre, per approdare a ridosso delle strisce bianche, bisogna superare la pista ciclabile, il tutto senza dislivelli né scalini
che possano fare da riferimento. Per noi diventa quasi impossibile muoversi in un’area così critica, piena di strutture
articolate e comprensibili solo per chi riesca a leggere la segnaletica orizzontale a terra.
Questo è il modello che (soprattutto in presenza di ritonde) viene generalmente adottato nelle riqualificazioni grandi e
piccole. Purtroppo, per noi il risutato è un “deserto dei tartati”.
Proprio perché vogliono incidere positivamente sulla vivibilità del quartiere, questi progetti prevedono il coinvolgimento attivo dei cittadini. Noi però siamo spesso dimenticati.
Per fortuna non è stato questo il caso di Mirafiori Nord. Lì siamo riusciti a far sentire la nostra voce e abbiamo incontrato
interlocutori sensibili. Le nostre proposte hanno in parte risolto le criticità. Ad esempio siamo riusciti a ottenere che
negli attraversamenti più disorientanti venissero creati dei percorsi col Loges. Inoltre abbiamo fatto in modo che alcuni
oggetti dell’arredo urbano (cestini, cassette delle lettere, rastrelliere per le biciclette), venissero allontanati dallo spazio
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SEZIONE PROVINCIALE TORINO
della guida naturale, così da non essere d’intralcio. Infine
abbiamo chiesto che, in corrispondenza di un attraveramento particolarmente insidioso, venisse installato un semaforo sonoro. Questi accorgimenti sono senz’altro utili
per chi si voglia muovere in autonomia.
Al di là del caso specifico, comunque, quello della riqualificazione dei quartieri (magari con creazione di aree pedonali) resta un punto dolente. Intervenire a cose fatte è
difficilissimo, a volte impossibile. L’unica strada davvero
efficace è quella della progettazione condivisa.
Sergio Prelato
Consigliere UICI Torino con delega
all’eliminazione delle barriere architettoniche
Fiori Recisi
Perché tutte le donne imparino a distinguere l’amore
malato dal vero amore
Fra le iniziative promosse in occasione della giornata dedicata a Luigi Braille, il Comitato per le Pari Opportunità
della Sezione UICI di Torino ha ritenuto utile organizzare
un convegno che non si limitasse a parlare della violenza sulle donne e dell’attuale malessere della coppia in cui
anche il maschio fatica a ritrovare un suo ruolo, ma della
violenza in tutti i suoi aspetti, subita particolarmente dai
più deboli, dai più fragili, dai più emarginati.
In questi ultimi anni molti psicologi dissertano su questi
argomenti, proponendo possibili soluzioni; noi abbiamo
scelto come relatori uomini e donne forse meno importanti ed acculturati ma senza alcun dubbio più veri e più
a contatto con la fragilità e la disabilità. Abbiamo scelto
come titolo del convegno “fiori recisi” ed il significato è
certamente chiaro a tutti: la violenza può giungere fino al
punto di togliere la vita, sia in senso reale sia figurato. La
falce che miete il grano e recide anche i papaveri che si
trovano in mezzo alle spighe é paragonabile alla violenza
che in una terribile escalation è in grado di travolgere tutto, finanche ad uccidere.
In questo senso è stata oltremodo significativa la relazione di apertura di Tiziano Storai che insieme a Fernanda
Flamigni, coautrice e protagonista del romanzo Non volevo vedere, ci ha posto di fronte alla tragica realtà di una
donna che dopo aver creduto di avere accanto a sé un
uomo innamorato, intelligente e sensibile, si è drammaticamente accorta della sua vera personalità e del suo amore: si trattava, in realtà amore - malato, amore - possesso.
Mentre Fernanda narrava la sua storia tutti l’ascoltavamo
in profondo silenzio trattenendo a stento l’emozione. Un
passaggio del suo racconto ci ha particolarmetne colpiti: dopo l’ennesima lite colui che all’inizio era per lei un
“principe azzurro”, armatosi di una pistola, la raggiunge
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a casa dei genitori dove si era rifugiata col suo bambino.
Intende ucciderla: non riuscirà in questo intento, ma la
tragedia sarà ancora più grave in quanto morirà la sorella
di Fernanda nel tentativo di proteggerla e Fernanda, colpita alla testa, perderà la vista.
Noi donne spesso pensiamo che il nostro amore potrà
cambiare chi ci sta accanto, ma non è così, specialmente
quando l’uomo in questione in realtà non ci ama, ci vuole
soltanto e per di più ci vuole sottomesse.
A questa relazione è seguito l’intervento del dott.
Domenico Matarozzo che si è soffermato sulla condizione attuale del maschio all’interno della coppia. Se fino a
non molti anni fa l’uomo aveva un suo ruolo ben preciso,
ovvero quello di provvedere economicamente alla famiglia e per questo motivo si sentiva forte e indispensabile,
sicuro che la sua compagna non lo avrebbe mai lasciato ed
avrebbe sopportato le sue “distrazioni” e i suoi malesseri,
ora, nelle coppie, uomo e donna lavorano ed hanno quin-
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di una loro indipendenza economica: la donna, tutelata
da maggiori diritti legislativi, non è più disposta a subire.
È necessario pertanto, che, per superare questo disagio
che si ripercuote sulla coppia, l’uomo trovi una sua nuova
dimensione ovvero comprenda che “il progetto famiglia”,
per poter funzionare, deve essere condiviso e voluto da
entrambi i partner: l’amore, quello vero, non lega e non
limita nessuno, ma dà forza coraggio e libertà ad entrambi
di crescere insieme; è fondato non sul possesso e sull’attrazione sessuale (che pure è necessaria), ma sulla stima,
sul rispetto e sulla condivisione.
La psicologa Eleonora Castellano che è anche insegnante di sostegno ai disabili, con la sua relazione ha chiarito,
semmai ce ne fosse stato bisogno, quanto sia necessario
che i disabili, sia sensoriali che cognitivi, per sviluppare
pienamente le loro capacità, si sentano accettati, compresi e sopratutto amati. Spesso questa società, basata essenzialmente sull’apparire, finge di non vedere e si interessa
superficialmente di tutti coloro che vengono definiti “diversi”, soltanto perché non corrispondono ai modelli proposti dai mass media. La diversità è fonte di arricchimento,
di confronto e di dialogo. Le famiglie e sopratutto la scuola
dovrebbero occuparsi di insegnare ai bambini che le diversità arricchiscono... basta soltanto saperle cogliere e
prendere da ognuna ciò che di positivo può trasmetterci.
È seguita poi la relazione della psicoterapeuta Margherita
Toscano incentrata sopratutto sull’importanza, da parte
della famiglia, della piena accettazione di un bambino
disabile: certamente non si tratta del bimbo che la coppia aspetta e desidera ed il momento della scoperta della disabilità è traumatico, tanto che a volte rischia di far
naufragare la relazione di coppia. È quindi indispensabile
che queste mamme e questi padri siano seguiti da una
equipe preparata professionalmente e dotata di grande
sensibilità umana affinché l’iniziale rifiuto si trasformi
gradatamente nell’accettazione della disabilità del figlio e
nell’amore per lui; sappiamo infatti, che l’amore non conosce ostacoli e aiuta a superare tutte le difficoltà che si
possono incontrare nel duro cammino di riabilitazione e
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di sostegno di un bambino con handicap. “Dallo sguardo
alla carezza”, un titolo che indica la strada da percorrere:
lo sguardo evidenzia una relazione ancora distaccata, uno
stato di osservazione; la carezza invece, sottolinea il punto
d’arrivo: “questo è il mio bambino, lo amo così com’è e
sarò sempre al suo fianco”.
Infine la giovane psicologa Federica Ariani, che da pochi mesi offre consulenze psicologiche presso la nostra
Sezione, ha trattato il tema della sessualità nei disabili,
soffermandosi particolarmente sulla nuova figura del consulente sessuale, necessario per tutti ma particolarmente
per i portatori di handicap sensoriali, fisici o mentali e per
le loro famiglie. Anche i disabili hanno diritto alla propria
sessualità che va riconosciuta, non ignorata e repressa.
Di questo argomento, almeno in Italia, finora si è parlato
molto poco, sia per ragioni etiche, sia nell’erronea convinzione che il sesso possa anche non far parte della vita di
un disabile, non essere indispensabile. Un comportamento di questo genere è chiaramente sbagliato e repressivo.
Si tratta, ammettiamolo, di una sorta di violenza, forse non
voluta, ma sempre violenza: essa può generare nel disabile reazioni che possono sfociare, nei casi più gravi, in comportamenti patologici. È dunque auspicabile che, come già
avviene in molti altri Stati, anche nel nostro Paese, vengano formate e preparate figure professionali atte a svolgere
questo compito così intimo e delicato.
Il dibattito finale ha permesso al numeroso pubblico presente in sala di rivolgere a ciascun relatore alcune domande per ottenere ulteriori delucidazioni. In sala erano
presenti personaggi politici autorevoli del Comune e della
Regione oltre ad alcuni giornalisti che, unitamente ai nostri Soci, si sono complimentati con noi per la scelta degli
argomenti trattati e per la competenza dei relatori.
Ci ripromettiamo, in un prossimo futuro di organizzare altri incontri di sensibilizzazione, in collaborazione con altre
associazioni femminili torinesi.
Titti Panzarea e Flavia Navacchia
Responsabili UICI per le Pari Opportunità
UICI/011
SEZIONE PROVINCIALE TORINO
Conoscere il buio
L’I.Ri.Fo.R. Torino nelle scuole
Anche quest’anno la sezione torinese I.Ri.Fo.R. (Istituto
per la Ricerca, la Formazione e la Riabilitazione) rinnova il
suo impegno nelle scuole torinesi, ben sapendo che solo
l’educazione precoce può costruire nei cittadini di domani
una coscienza vigile e rispettosa di ogni diversità (iniziando dalla disabilità nelle sue diverse forme). Tre sono i percorsi realizzati, grazie al sostegno del Comune di Torino,
nell’ambito del progetto “Crescere in Città”, per un totale
di 18 complessi scolastici coinvolti, cui va aggiunto il Cesm
(Centro Educativo Specializzato Municipale).
La prima attività, proposta agli alunni di 40 classi (quasi
tutti delle scuole elementari) si intitola “I nostri amici sensi” ed è incentrata sulla percezione. In un mondo dominato dall’immagine, nel quale il vedere finisce per assorbire
la quasi totalità dell’attenzione, è fondamentale che i più
piccoli imparino a scoprire le potenzialità insite negli altri
sensi, preziosi alleati nella vita quotidiana e nello sviluppo
della persona. Questa riflessione diventa poi un efficace
strumento per introdurre il tema della disabilità sensoriale
(in particolare della minorazione visiva) che viene illustrata anche attraverso giochi e testimonianze di persone non
vedenti.
Ha invece un taglio più creativo il secondo percorso, “Vedo
con le mani”, che coinvolge gli studenti nella creazione di
libri tattili, usando la tecnica del disegno in rilievo. Questa
esperienza, che offre anche la possibilità di riflettere sul legame tra immagine e parola, è iniziata nel mese di marzo
in una classe con un bambino non vedente.
La terza proposta si chiama “Conoscere il buio” e si concentra principalmente sulle difficoltà che ciechi e ipovedenti incontrano nella vita quotidiana. Si parte dall’analisi
di casi pratici, con l’aiuto dell’opuscolo “Non così, ma così”,
una pubblicazione realizzata dall’UICI per spiegare ai vedenti come essere d’aiuto ai disabili visivi.
“Questi percorsi sono accolti dai ragazzi con interesse
e curiosità – spiega Silvia Lova, coordinatrice I.Ri.Fo.R.
Torino – Cerchiamo sempre di privilegiare la concretezza
e in molti casi il gioco diventa un filtro per sperimentarsi
(scoprendo ad esempio la ricchezza di sensi, come il tatto
o l’olfatto, che nella vita quotidiana vengono trascurati).
Ma il valore di queste esperienze sta anche nell’incontro
con la disabilità sensoriale: desideriamo stimolare negli
alunni un atteggiamento equilibrato, lontano da ogni forma di pietismo e contemporaneamente attento ai piccoli
o grandissimi ostacoli che una persona disabile incontra
nella sua vita”.
Torino Tour For All
Quando il turismo è per tutti
In questo numero della nostra rivista, desidero parlarvi
di un’iniziativa nata per dare la possibilità anche a chi è
disabile di fruire in tutta tranquillità di alcuni itinerari del
centro di Torino.
L’iniziativa si chiama Torino Tour For All e comprende
un sito internet e un’applicazione da installare su uno
smartphone Apple o Android. Il progetto è stato presentato a Torino il 17 febbraio scorso presso la Fondazione
CRT ed ha visto la partecipazione dell’Istituto Italiano per
il turismo per tutti, la consulta per le persone in difficoltà
e ATL, Turismo Torino e Provincia.
L’applicazione, scaricabile gratuitamente dagli store di
Apple e Google, permette di fruire di un itinerario circolare che parte da Piazza Castello, toccando 30 punti d’interesse di particolare importanza del centro di Torino.
L’applicazione permette di impostare la tipologia di disabilità che fruirà del percorso: disabilità motorie, ipovisione,
cecità o difficoltà uditive. A seconda del tipo di disabilità
Numero 1 - Aprile 2015
impostata sull’applicazione, verranno fornite durante il
percorso specifiche informazioni e modalità di orientamento. Per fare qualche esempio, se selezioniamo la disabilità motoria, verranno evidenziate durante il tour le
tipologie di pavimentazione, le barriere architettoniche
eventualmente presenti e verranno anche segnalati i punti
di interesse che offrono servizi igenici accessibili e così via.
Se scegliamo la modalità “ipovisione”, le mappe saranno
ingrandibili in varie dimensioni. Per la cecità, l’applicazione sarà fruibile in voce attraverso le tecnologie assistive
disponibili direttamente sugli smartphone (Voiceover per
Apple e Talkback per Android) e fornirà specifiche istruzioni su come affrontare i percorsi. Infine, per quanto riguarda le difficoltà uditive, sono previsti video esplicativi
in lingua dei segni italiano, LIS, e sottotitolazione.
Come accennato, l’applicazione permette di esplorare un
percorso circolare che parte ed arriva in Piazza castello,
costituito da tre sottopercorsi: Percorso Quadrilatero,
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Percorso San Carlo e Percorso Via Po.
I 30 punti di interesse sono suddivisi in 6 categorie: botteghe storiche, chiese, edifici storici e musei, siti archeologici,
monumenti e architetture urbane.
Fruire dei percorsi è molto semplice, una volta lanciata l’applicazione e scelta la nostra tipologia di disabilità, si ha la
possibilità di seguire passo passo uno dei tre sottopercorsi
proposti o, attraverso i servizi di localizzazione del nostro
smartphone, scoprire i punti d’interesse che si trovano nelle vicinanze e scoprirne tutti i dettagli.
Questa iniziativa è molto importante per la mobilità e l’inclusione sociale di persone con disabilità e permette di fruire in autonomia o anche accompagnati di un’interessante
guida del centro della nostra città.
Per ulteriori informazioni eper scaricare tutto il materiale
presente sull’applicazione, potete consultare il sito internet
http://www.torinotourforall.it.
Alessio Lenzi
Responsabile Comitato Informatico UICI Torino
“Vedere” con la mente
Udito, tatto, descrizioni verbali e tanta memoria:
ecco come le persone cieche arrivano a costruire
una rappresentazione dello spazio
Come si orientano le persone cieche? Quali punti di riferimento hanno e qual è la loro rappresentazione dell’ambiente circostante? Diversi studiosi in tutto il mondo
hanno tentato di rispondere a questi interrogativi. Nella
nostra città è attivo un vitale gruppo di ricerca guidato
dalla professoressa Carla Tinti (psicologa dell’Università
di Torino) che lavora su vari aspetti dell’esperienza dei
non vedenti e che negli ultimi anni si è concentrata con
particolare attenzione sulla rappresentazione spaziale.
Grazie a una consolidata collaborazione con la nostra
sezione UICI Torino, sono stati condotti vari esperimenti
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per capire in che misura i ciechi siano in grado di produrre immagini mentali dello spazio.
«L’immagine mentale – spiega la professoressa Tinti – è
un ‘vedere con la mente’. Nel caso delle persone vedenti
questa immagine si costruisce a partire da un’esperienza visiva, che poi il cervello immagazzina ed elabora così
da renderla disponibile anche quando la realtà non sia
fisicamente sott’occhio. La mancanza della visione però
non impedisce al cervello di produrre delle immagini e
delle rappresentazioni spaziali: esse si possono costruire partendo da percorsi alternativi, come sollecitazioni
uditive, tattili, indicazioni circa la posizione del proprio
corpo oppure descrizioni verbali».
«Per ciò che concerne in particolare l’ambiente esterno–
prosegue la psicologa – esistono due tipi di rappresentazione importanti per muoversi e orientarsi. La prima,
di tipo survey, è sincronica e tende a osservare la realtà
dall’alto, collocando i vari punti all’interno di una mappa
ideale. La seconda, di tipo route, è diacronica: lavora ‘a
livello della strada’ e si concentra sul percorso necessario per arrivare da un punto ad un altro. Già a metà degli
anni ‘90 si è capito che i non vedenti sono in grado di formare entrambe queste rappresentazioni. Quindi anche
a partire da un’esperienza diacronica (come può essere
quella tattile, nella quale manca una visione d’insieme)
si possono produrre immagini mentali sincroniche».
UICI/011
SEZIONE PROVINCIALE TORINO
Recentemente gli studi della professoressa Tinti hanno
esplorato nuovi filoni di ricerca, sempre nell’ambito della
rappresentazione spaziale. «Ci siamo chiesti se e in che
misura nelle persone non vedenti si possa attivare il perspective taking, ovvero la capacità di osservare lo spazio mettendosi nella posizione di qualcun altro. Questa
abilità è fondamentale nell’essere umano, anche perché
è alla radice dell’empatia». Nei mesi scorsi sono stati
condotti vari esperimenti usando la riproduzione tattile
del centro di Torino disponibile presso la nostra sezione. Una trentina i soci UICI coinvolti nel progetto. Sulla
mappa tattile sono stati individuati tre punti di interesse (il Duomo, la Mole Antonelliana, la stazione di Porta
Nuova), contrassegnati da altrettanti marcatori sonori.
«Si è osservato che, quando il suono proveniente dal
punto di interesse centrale, ovvero la Mole, suggeriva la
presenza di una persona posta di fronte al partecipante,
circa la metà delle persone coinvolte (sia vedenti che non
vedenti) ne adottavano la prospettiva nell’indicare la reciproca posizione degli altri due punti. Questo dimostra
che percepire la presenza di un’altra persona attraverso
l’udito, così come attraverso la vista, induce uno spatial
perspective taking spontaneo, confermando la possibilità che il meccanismo alla base di tale fenomeno sia di
tipo sovramodale (cioè indipendente dal canale sensoriale specifico)». Non solo: «Questi studi confermano
che i non vedenti sono in grado di costruire rappresentazioni allocentriche dello spazio, cioè indipendenti dalla
posizione del proprio corpo».
Naturalmente, così come accade nei vedenti, la capacità
di creare e utilizzare rappresentazioni spaziali dell’ambiente, varia da persona a persona. Di sicuro però,
conclude la professoressa Tinti «essa aumenta con l’esperienza e l’allenamento e un nostro recente studio ha
proprio dimostrato come tali capacità siano più evidenti
nelle persone abituate a muoversi in maniera autonoma’ambiente». Ecco allora perché è fondamentale che
le persone non vedenti (soprattutto quelle in cui la disabilità è congenita) vengano stimolate fin da piccole a
esplorare l’ambiente circostante con curiosità e interesse. I corsi di mobilità e autonomia personale fortemente
voluti dall’UICI Torino vanno proprio in questa direzione.
Assodato dunque che una persona cieca “vede con la
mente”, tutto sta a capire «quanto complesse e manipolabili possano essere queste immagini e quali strutture
cerebrali permettano di elaborare immagini acquisite in
modo non visivo». Per questo la ricerca prevede, come
prossimo passo, di eseguire indagini anche con l’ausilio
della risonanza magnetica, così da capire quali aree del
cervello siano coinvolte nel processo immaginativo in assenza di visione.
Lorenzo Montanaro
Le mani pigre
Senza educazione, tattilità e manualità non si
sviluppano
In questo nostro tempo caratterizzato da una sempre più larga diffusione, anzi da un vero e proprio dilagare di apparati
tecnologici nella vita di tutti i giorni, le abilità manuali e in particolare quella definita “manualità fine”, arretrano sempre
di più, tanto che specie fra gli adolescenti e i giovanissimi molti sono abilissimi nel touch – specie sugli smarthphone –
ma altrettanto impacciati in operazioni piuttosto ordinarie come cucire un bottone o fare un taglio diritto con le forbici.
Intendiamoci: non è che le due manualità siano necessariamente in contrasto fra loro. Il fatto è che lo sviluppo delle abilità manuali è sempre più trascurato, anche all’interno del sistema scolastico. Non è infrequente, infatti, che alle medie,
nelle ore dedicate alle applicazioni tecniche, ci si limiti a mostrare illustrazioni o video su vari tipi di materialie e che le
verifiche consistano poi nel far ripetere a voce il contenuto di tali spiegazioni. Per non parlare delle superiori, dove nella
maggior parte dei casi tutto ciò che riguarda le capacità pratiche e in particolare quelle manuali non viene in alcun modo
considerato. Le mani, nel frattempo, nulla fanno se non “touchare” sullo smarth o sul tablet.
Una scarsa abilità manuale, specie per i giovani ciechi, tende a tradursi in una disabilità aggiuntiva, dal momento che,
come è noto, il tatto – insieme all’udito – costituisce un senso vicario di fondamentale importanza per chi non vede. Ma
affinchè il tatto svolga al meglio le sue funzioni vicarianti, esso deve essere accuratamente educato, poiché non è affatto
scontato che – come comunemente si crede – le abilità manuali si sviluppino spontaneamente ed immediatamente in
chi è deprivato della vista. Neppure la semplice (semplice poi per modo di dire!) capacità di esplorare tattilmente forme
e superfici è innata. Ho incontrato giovani ciechi che non sapevano letteralmente toccare un oggetto posto loro fra le
mani, cioè non lo percorrevano con i polpastrelli, o lo facevano con una esitazione quasi timorosa, o con tale levità e rapidità che non ne riuscivano a percepire adeguatamente le caratteristiche. Evidentemente non avevano ricevuto alcuna
educazione alla tattilità e, con ogni probabilità, avevano anche una scarsa familiarità col braille.
Ci si preoccupa spesso – ed a ragione – di educare all’immagine o all’ascolto, assai meno o quasi nulla di educare alla
tattilità, nella convinzione errata che il toccare non abbia alcun bisogno di educazione, che sia una abilità assolutamen-
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te innata e autosviluppantesi, e che se mai, al contrario,
debba essere moderata o addirittura inibita, per motivi di
eleganza e di rispetto delle regole sociali!
Come ebbi a scrivere anche su queste pagine alcuni anni
fa, bisogna tener presente che i sensi non veicolano semplicemente informazioni, ma sono quelli che ci consentono di far esperienza delle cose, di entrare in rapporto immediato con esse, di percepirne la forma, la consistenza, il
calore, la densità, l’intensità, la modificabilità… con maggiore o minore gradevolezza o sgradevolezza, con maggiore o minore attenzione ed intenzione, con maggiore o
minore fatica e facilità, nonché di esprimere in modo non
solo reattivo ciò che sentiamo. Orbene, dobbiamo renderci conto che quasi tutte le caratteristiche appena enunciate non possono essere esperite direttamente mediante la
vista, ma attraverso quei sensi “più bassi” che agiscono,
per così dire, più a diretto contatto con gli oggetti, e
fra essi, in primo luogo, il tatto. Bisogna altresì sottolineare
che ciò vale per tutti, vedenti e non. Il tatto, diffuso in tutto
il corpo e focalizzato nelle mani, possiede infatti capacità
cognitive proprie che sono irrinunciabili nella scoperta e
nella trasformazione della realtà. Esso è in un certo senso
un “luogo di confine”, separa l’”interno” dall’”esterno” e
li percepisce simultaneamente entrambi. Il tatto è il senso per via del quale principalmente sentiamo - e anche
siamo in grado di far sentire - il dolore e il piacere, senza
i quali è difficile immaginare il costituirsi e il procedere
dell’esperienza e della cultura.
Se dunque il tatto ha tutta questa importanza per l’evoluzione culturale umana, perché mai, specie in Occidente,
il toccare è così spesso inibito o “severamente vietato”?
Perché proprio i prodotti di una raffinatissima manualità, come ad es. gli oggetti artistici, sono quasi sempre
interdetti all’esplorazione delle mani? Tutti, e non solo i
ciechi, dovrebbero poter toccare una scultura e l’educazione tattile dovrebbe essere impartita nelle scuole di ogni
ordine e grado.
Una mia cara amica, cieca dalla nascita, mi diceva qualche tempo fa che ciò che la faceva soffrire maggiormente,
specie da bambina, era l’avvertire che in un certo senso
ai suoi compagni il mondo andava incontro, le cose note
li rassicuravano, quelle nuove li incuriosivano, mentre lei
doveva continuamente sforzarsi di superare un limite di
oscura e angosciosa indeterminatezza prima di entrare in
rapporto con le cose, anche le più familiari. Ecco, ai ciechi le cose non vengono mai semplicemente incontro, è
necessario stimolarli ed attrezzarli affinchè apprendano
efficaci strategie per entrare in effettivo e soddisfacente
rapporto col mondo. E un sapiente uso delle mani è tra
le prime cose che ci occorrono per affrontare questo non
facile percorso.
Francesco Fratta
Responsabile Settore Cultura UICI Torino
Abili per l’arte: Palazzo Madama per tutti
Un’esperienza multisensoriale attraverso immagini
in rilievo, suoni e Lingua italiana dei segni
Nella Giornata internazionale del Braille, il 21 febbraio 2015, Palazzo Madama ha reso accessibile cinque capolavori
della pittura del Gotico e del Rinascimento grazie al sostegno del Rotary Club Torino Nord Ovest.
Le opere di Giacomo Jaquerio, Antoine de Lonhy, Antonello da Messina, Defendente Ferrari e Agnolo di Cosimo detto
il Bronzino possono essere fruite da persone prive della vista grazie alla riproduzione in rilievo delle immagini e alla
possibilità di scaricare la descrizione audio. Le persone ipovedenti possono godere di una visione ravvicinata dell’immagine, mentre i sordi possono usufruire di una traduzione in lingua LIS - lingua italiana dei segni con sottotitolazione.
Come altri progetti promossi da Palazzo Madama, l’esperienza ideata per facilitare l’accesso e la visita in autonomia di
determinate categorie di persone è in realtà aperta a tutti i visitatori interessati a una visione ravvicinata con l’opera o
a una descrizione audio dei contenuti.
Come funziona
All’inizio della sala Acaia, il visitatore ha a sua disposizione un contenitore con un kit composto da cinque schede, leggere e di grande formato, che possono essere prese in prestito durante la visita al Piano Terra; la serie è completata da
una mappa della sala, utile per orientarsi nello spazio e trovare la collocazione delle singole opere.
Ogni scheda riproduce il dipinto a colori e in rilievo trasparente: la tecnica di stampa messa a punto da Tactile Vision
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SEZIONE PROVINCIALE TORINO
Onlus permette di delineare tramite uno speciale inchiostro trasparente alcuni
elementi salienti dell’immagine caratterizzati da diversi gradi di rilievo e da differenti motivi grafici. La trasparenza dei dettagli in resina non interferisce con
la leggibilità del dipinto da parte di tutto il pubblico e favorisce anzi la fruizione
congiunta.
Sul retro di ciascuna scheda è presente una descrizione dell’opera sia in carattere grafico ad alta leggibilità sia a rilievo nel sistema Braille: quest’ultimo testo
è realizzato sempre in resina trasparente e coesiste quindi con la descrizione a
inchiostro.
Sulla scheda, nella parte inferiore, sono presenti un codice QR e un codice NFC
(Near Field Communication o Comunicazione in prossimità) che permettono al
visitatore in possesso di uno smartphone abilitato e con connessione internet
di usufruire del testo descrittivo nella versione di lettura audio e traduzione in
lingua visiva in LIS - Lingua italiana dei segni.
I partner di progetto
Il progetto implementa i servizi di esperienza tattile già presenti in museo (audioguide, percorsi guidati, pannelli tattili sulla Torre Panoramica e nel Giardino
Medievale) ed è stato realizzato in collaborazione con le associazioni e i professionisti che da anni operano a Torino per favorire l’accessibilità ai luoghi della
cultura e non solo: Tactile Vision onlus, che opera sul tema della disabilità visiva
e della ricerca tecnologica fornendo materiali per i principali musei europei (Louvre, British Museum, Musei Capitolini,
Museo Nazionale del Cinema), col fondamentale apporto di Rocco Rolli ha progettato e realizzato i pannelli visivo-tattili,
la registrazione audio e ha coordinato i diversi interventi; l’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti di Torino ha collaborato al progetto attraverso la consulenza di Francesco Fratta, coordinatore della commissione cultura.
L’Associazione Interpreti LIS - di Torino ha fornito la redazione, la traduzione e la registrazione video dei testi nella lingua
italiana dei segni.
Il carattere tipografico ad alta leggibilità EasyReading™ è stato messo a disposizione a titolo gratuito da EasyReading
Multimedia, Torino che ha progettato questo font per favorire la leggibilità e la comprensione dei testi, con particolare
attenzione alle esigenze delle persone dislessiche.
Anna La Ferla
Servizi Educativi e mostre Palazzo Madama
L’arte da toccare, ascoltare, annusare
Visita al Castello di Rivoli, guidata
dal prof. Francesco Fratta
Dopo l’esperienza fatta il 31 maggio 2014 a Palazzo Madama, dove il Prof.
Francesco Fratta ha guidato una visita dedicata allo Scalone d’onore di
Filippo Juvarra, lo scorso 28 marzo lo stesso ha condotto nell’arco della
giornata ben 4 gruppi di visitatori lungo un percorso d’arte contemporanea all’interno della collezione permanente ospitata al primo piano del
Castello di Rivoli.
Ai visitatori (tra i quali studenti di un liceo artistico torinese, alcuni nostri
soci, operatori culturali e gente varia) veniva proposto, se lo desideravano, di bendarsi e di farsi accompagnare lungo tutto il percorso a partire
dall’atrio esterno che separa la biglietteria dal corpo del Castello, dove
sarebbe dovuto sorgere, secondo il progetto di Juvarra, un alto corpo centrale posto fra le due grandi ali simmetriche
della reggia, delle quali solo una fu realizzata. Il senso della proposta, specificato espressamente a inizio visita, era non
tanto quello di far sperimentare genericamente la condizione di cecità, quanto quello di tentare di appropriarsi, attraverso i sensi rimasti disponibili, delle suggestioni degli ambienti e delle opere in essi ospitate, con il fondamentale ausilio
delle parole che li descrivevano. Così, ad esempio, toccare con i piedi le differenti pavimentazioni delle varie sale (molto
particolare quella della sala di Bacco e Arianna di Juvarra, che ospita attualmente la “casa palla” di Oldenburg e Van
Bruggen), o un’opera calpestabile come il tappeto “il bel paese” di Maurizio Cattelan; toccare con le mani la suddetta
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“casa palla” sentendone anche il particolare odore, o il camino neoclassico
della sala dei 4 continenti, dove è ospitato l’appena ricordato “bel paese” di
Cattelan; ascoltare, insieme alle parole che le descrivono, le sonorità delle
opere (come l’acqua che fuoriesce dal centro della cassa del violino di Marisa
Merz e cadendo batte lievemente sulla superfice dell’acqua in cui il violino
stesso è immerso), e/o degli ambienti. A proposito delle sonorità di questi
ultimi, particolarmente intensa è stata l’esperienza nella sala che ospita attualmente un’opera di Marzia Migliora intitolata “Pasolini 2009”. Quest’opera
consiste in una frase tratta dall’ultima intervista rilasciata dal regista-scrittore,
che Migliora riproduce in caratteri realizzati su materiale specchiante,alti circa una trentina di centimetri, in stampatello
maiuscolo, disposti in modo continuo ad altezza di faccia lungo tre pareti, così che il visitatore, percorrendo la frase,
può specchiarsi in ciascuna delle sue lettere. Pronunciando ad alta voce quella frase – che è un grido d’allarme -, essa
risuona dentro rinforzando in modo inatteso il suo significato e provocando una intensa emozione, proprio grazie alla
particolare acustica di quella sala e al fatto che si è concentrati esclusivamente sull’udito.
Dunque, in conclusione, non solo un cieco, opportunamente guidato, può fruire in modo soddisfacente dei contenuti
offerti da un museo d’arte contemporanea, ma, se accuratamente preparato, è anche in grado di condurvi una visita
godibile da tutti. Questo il duplice messaggio che l’esperienza di Rivoli è riuscita di fatto a lanciare . E fa piacere constatare che il messaggio è stato raccolto, vista la risonanza che l’iniziativa ha avuto sui media. Infatti, oltre al bell’articolo di
Renato Rizzo comparso sulla Stampa di lunedì 30 marzo, lunedì 6 aprile su Radio 1 Rai, nel programma “restate scomodi” è andata in onda unampia intervista a Fratta e a Rizzo su quella speciale giornata al Castello.
I mondi di Primo Levi
Una mostra per non dimenticare
Il 13 marzo, presso
Palazzo Madama, accolti e seguiti dal professor
Fabio Levi, dall’architetto
Rocco Rolli e dalla signorina Alessandra abbiamo
visitato questa mostra,
del tutto inconsueta,
quasi priva di elementi
tattili, ma molto significativa e toccante grazie
agli interventi esplicativi
delle nostre guide. Il titolo della mostra mette
subito in evidenza che gli
allestitori hanno voluto
presentarci Primo Levi a tutto tondo: l’uomo, il chimico, il
deportato, lo scrittore.
Davanti all’ingresso, abbiamo potuto renderci conto delle dimensioni di un carro merci simile a quello in cui gli
ebrei venivano deportati dal campo di raccolta di Fossoli,
presso Modena, ai lager tedeschi. E’ stata una sensazione
sconvolgente immaginare che, in uno spazio così ristretto
privo di luce e con scarsa aerazione, venissero ammassati
50, 60 fra uomini donne e bambini, senza la possibilità di
muoversi, per 5 o 6 giorni fino al momento dell’arrivo. In
uno di questi carri anche Primo Levi, nell’ottobre del ’44,
ha raggiunto il lager di Auschwitz, uno dei campi di concentramento in cui, con spietata ferocia e con scientifica
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organizzazione, veniva attuata “la soluzione finale”, ovvero lo sterminio di circa 6 milioni di ebrei. Nel percorso della
mostra alcune figure rievocano la vita dei deportati e la
perdita di ogni dignità: il nome sostituito da un numero di
matricola tatuato sul braccio, le umiliazioni e le aberrazioni che portavano a una condizione subumana in cui pietà,
amicizia e solidarietà non contavano più nulla. Coloro che
si sono salvati sono quelli che, grazie alla loro forza interiore e alla loro razionalità sono riusciti a non cedere, a
resistere alle sopraffazioni e alle umiliazioni, a continuare
a sentirsi, nonostante tutto, uomini. Una pagina del libro,
letta da Alessandra, ci ha rivelato non solo lo stile dello
scrittore, semplice, chiaro ed essenziale ma l’importanza
di una testimonianza da cui non traspare né odio né rancore, ma soltanto il desiderio di portare a conoscenza del
mondo intero ciò che là è accaduto e che non dovrà mai
più ripetersi.
Abbiamo imparato a conoscere e ad apprezzare Primo
Levi anche nella sua veste di chimico, attraverso alcuni
passi del libro Il sistema periodico e quel piccolo atomo
di carbonio che è presente ovunque, nell’aria, nella terra,
nella Natura, in ciascuno di noi, ci appare non solo come
un elemento della tavola periodica ma nella sua importanza di fattore indispensabile per la nostra vita su questo
Pianeta.
Altri aspetti a noi sconosciuto erano quelli di Primo Levi
operaio verniciatore in una fabbrica di Settimo; scrittore
di articoli su numerosi quotidiani tra cui La Stampa; uomo
sempre pronto a recarsi ovunque lo chiamassero per te-
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SEZIONE PROVINCIALE TORINO
stimoniare la sua storia e rispondere alle numerose domande, soprattutto dei giovani. Infine abbiamo compreso
il significato e l’importanza che lo scrittore attribuiva al
lavoro come forma di creatività umana e di professionalità acquisita attraverso un lungo esercizio: dallo scrittore
che cerca e sceglie con fatica le parole più appropriate,
al protagonista del romanzo La chiave a stella, l’operaio
Faussone, orgoglioso della propria bravura di montatore
di gru, sempre pronto a viaggiare, a conoscere altri usi e
altri costumi, a cimentarsi con se stesso per raggiungere
una maggiore perizia nel proprio lavoro.
Al termine Alessandra ci ha letto una poesia “Il superstite”, attraverso la quale Primo Levi ci svela i suoi incubi
interiori: gli anni sono passati ma quegli orrori, quegli uomini scarni e macilenti, “i sommersi”, non lo hanno abbandonato e specialmente la notte sembrano circondarlo, tendere le mani verso di lui e chiedergli perché: perché
tu sì e noi no? Incubi terribili simili a quelli dei veterani
del Vietnam e delle Guerre del Golfo che possono condurre, pur di farli smettere, all’annientamento, al suicidio.
Un grazie a tutti coloro che attraverso questa mostra hanno voluto ricordarci che occorre sempre lottare contro la
barbarie umana di essere dei testimoni che sanno, che
hanno capito e che vogliono per le future generazioni, un
mondo migliore.
Flavia Navacchia
Alla scoperta
delle ceramiche di Mondovì
Una tradizione secolare
Questa volta l’UNIVoC ha scelto come meta della gita la
cittadina di Mondovì, posta sulla “via del sale”, circondata dalle montagne e a poca distanza dal più famoso
santuario di Vicoforte.
Il motivo che ha indotto a decidere di visitarla è particolarmente legato al museo della ceramica; dopo tanti musei artistici con quadri e statue famosi, volevamo
conoscere l’antica arte di fabbricazione della ceramica.
Il museo della ceramica ha sede nel Palazzo Fauzone
ed è sostenuto dalla Fondazione costituita nel 1999 dal
Dott. Marco Levi che, per arricchirlo, ha donato la collezione Baggioli e la sua collezione personale.
Le guide cui hanno accolto con grande gentilezza e,
con l’aiuto dell’architetto Rocco Rolli, è iniziato il nostro
percorso esplorativo; la prima parte è stata incentrata
sugli antichi metodi di estrazione e di fabbricazione della ceramica nel XIX secolo. Gli operai scavavano e poi
battevano coi piedi l’argilla bagnata per liberarla il più
possibile dai silicati di ferro; il materiale veniva poi posto ad asciugare e modellato con antichi torni di legno
per assumere le forme desiderate: vasi, piatti, tazze, etc.
Seguiva poi la prima cottura e la seconda fase di lavorazione durante la quale gli oggetti venivano dipinti con
pennelli e spugnette e successivamente immersi in una
vernice silicea in sospensione acquosa prima di
essere cotti una seconda
volta ed essere finalmente
pronti all’uso.
Abbiamo potuto esplorare tattilmente alcuni di questi
vasi e piatti del primo periodo per confrontarli poi con
quelli del secolo successivo quando le tecniche di fabbricazione erano decisamente più evolute e complesse
e permettevano di realizzare suppellettili da tavola e
da arredo di grande pregio. Interessante è risultato un
tavolo multimediale che in base all’oggetto posto al di
sopra di esso apparecchiava la tavola virtualmente nello stesso stile dell’oggetto posizionato mentre una voce
narrante citava il menù fornendo anche le relative ricette: peccato che la multimedialità non si ancora in grado
di riprodurre i profumi!
Dal punto di vista tattile è stato interessante il confronto tra due zuppiere: quella più antica si presentava più
ruvida ma ricca di fregi all’interno e sui bordi; quella più
moderna era invece molto più liscia, dalle linee essenziali e vicina ai nostri giorni.
Flavia Navacchia
INFORMAZIONE DI SERVIZIO
Sportello fiscale all’UICI Torino
Servizi CAF gratuiti o a tariffe agevolate
Come ogni anno, ritorna la campagna fiscale. Ricordiamo che nella nostra sezione è attivo uno sportello che si occupa
di pratiche di patronato e svolge anche servizi CAF, con particolare riferimento alle dichiarazioni dei redditi. Per i nostri
soci e i loro familiari questi servizi sono gratuiti o a tariffe fortemente scontate.
Presso i nostri uffici potrete richiedere i modelli 730, UNICO e similari, oltre al modello CU, che l’INPS non invia più
a casa.
Per informazioni potete contattare i nostri uffici al numero 011 53 55 67
(dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13 e dalle 14 alle 18) oppure scrivere una e-mail all’indirizzo [email protected]
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UICI
Sezione provinciale di Torino,
corso Vittorio Emanuele II 63
10128 Torino
Tel: 011/535567
011/5628028
Web: www.uictorino.it
E-mail: [email protected]