Sicilia e immigrazione- C. MONZONE

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Sicilia e immigrazione- C. MONZONE
Immigrazione e Sicilia: un dramma irrisolto
di Chiel Monzone
Porto di mare: questa metafora racchiude una certa immagine della Sicilia.
Considerata essenzialmente per «l’industria della violenza e del delitto»1, l’isola va ricordata
piuttosto come luogo ospitale. La storia dimostra: in 2.500 anni la Trinacria è stata una terra che ha
accolto stranieri (dominatori) di ogni dove: fenici, romani, bizantini, spagnoli, francesi, arabi,
normanni, tedeschi, greci, austriaci, piemontesi – Maupassant concordava2 –. Senza dimenticare i
popoli più antichi: Siculi, Sicani ed Elimi, rispettivamente laziali – secondo Ignazio Sucato3 –,
iberici e troiani – segnala Tucidide4 –.
Tutte le popolazioni arrivate in Sicilia hanno lasciato tracce indelebili della propria cultura in quella
isolana – un osservatore attento può ancora respirarle – nei più diversi settori: gastronomia,
architettura, folclore, idioma, ecc. Insomma grande è la ricchezza culturale dell’isola e ne fa un
mondo a parte, pieno di contrasti, che si riverberano sul carattere e sugli atteggiamenti degli abitanti
– è la “sicilitudine” di Sciascia5 –. Quasi certamente non c’è al mondo niente di altrettanto
composito: chapeau!
Di questo background culturale prestigioso i siciliani hanno oggi poca consapevolezza, presi
dall’italianizzazione e dalla anglicizzazione relativamente agli aspetti linguistici, oltre che dalla
globalizzazione che coinvolge molti aspetti della vita. Ma ciò non cancella la sostanza delle cose,
anzi la evidenzia in filigrana: nonostante la posizione geografica – Pirandello affermava che il mare
«taglia fuori e fa soli» i siciliani6 –, la Sicilia è terra di accoglienza, luogo aperto al mondo,
promesse du bonheur7 di stendhaliana memoria.
Anche la cronaca di oltre un decennio conferma. Il riferimento è al fenomeno, ripreso nella sua
drammaticità, degli immigrati: come tanti novelli Ulisse – naufrago, arriva nella terra dei Feaci –, a
bordo di barconi attraverso quella “porta” costituita dal Canale di Sicilia arrivano sull’isola e a
Lampedusa in particolare. Molte le cause evidenziate da studi sociologici: povertà, problemi di
lavoro, guerre, regimi politici oppressivi, persecuzione delle minoranze, traffico di esseri umani,
ecc.
Ricerche appositamente condotte dimostrano che una volta soccorsi, il destino degli immigrati è
vario: oltre al rimpatrio, alcuni riescono a fuggire e iniziano una vita di clandestinità e di lavoro in
nero, a volte di criminalità. All’opposto, altri mostrano la volontà di regolarizzarsi per iniziare una
vita “normale” e “legale”. In alcuni casi viene chiesto asilo politico. Altri immigrati, invece, vanno
verso il Nord Europa: la Sicilia è solo una tappa intermedia del viaggio, posta com’è al crocevia del
mare nostrum, “ponte” fra continenti diversi.
Tutti gli immigrati, al di là del percorso geografico seguito e del destino che li aspetta, hanno dei
tratti in comune. Innanzitutto lo spaesamento culturale: altre analisi sociologiche sottolineano che
ogni individuo accetta i modelli culturali del gruppo sociale cui appartiene8, ma quando parte perde
ciò che è stato il proprio “mondo” e il sistema di riferimenti materiali e morali in esso insiti. Di
conseguenza la cultura originaria diventa inadeguata al nuovo contesto e il passato ritorna come
un’eco, ma a fronte di esso ci sono un presente e un futuro da costruire sulla base di nuovi codici
culturali da apprendere e che ingenerano un senso di “estraneità”. È una destrutturazioneristrutturazione dell’esistenza e del progetto di vita propri. Insomma lo straniero viene a trovarsi in
bilico tra due universi che si confondono e si sovrappongono9. Giustamente si sostiene che
l’emigrato-immigrato si trova in una situazione difficile nella misura in cui è straniero sia nel paese
di arrivo sia progressivamente in quello di origine10. Allo spaesamento va aggiunta perciò la perdita
della différence culturale di cui essi immigrati sono portatori11. Inoltre, una volta approdati a
Lampedusa, vengono ospitati in una struttura, ma secondo testimonianze (di immigrati, operatori12,
giornalisti, ecc.) riportate dalla stampa, essa sarebbe una “prigione”, un posto sovraffollato in cui
non c’è rispetto dei diritti umani e nel quale, invece, si verificherebbero situazioni al limite della
legalità. Per tali caratteristiche la struttura in questione sarebbe assimilabile ai “non-luoghi” di Marc
Augé: posti di passaggio che ostacolano i rapporti umani, espaces che non contrassegnano l’identità
di chi vi si trova e nei quali si verifica la negazione dei diritti e delle possibilità, della felicità cui si
aspira.
Risulta chiaro che quella degli immigrati in Sicilia è da diversi punti di vista un’emergenza
umanitaria al contempo isolana e nazionale, europea13 e internazionale. Innanzitutto, troppo piccola
per offrire un’adeguata ospitalità, la struttura lampedusiana non può di per sé garantire granché ai
“disperati” che vi arrivano, in termini dell’“oggi” loro offerto e del “domani” prospettato. Il che è
anche peggio. La definizione di Augé riportata sopra, purtroppo, vale già da sola a confermare: non
esistono percorsi di sviluppo soddisfacenti per uomini, donne e bambini in cerca di migliore sorte.
Inoltre è emergenza perché questi “viaggi” si concludono spesso con la morte di numerosi
immigrati, il che suona come beffa: partono in modo avventuroso in cerca della felicità, ma il
Mediterraneo diventa il loro cimitero: sono dei “morti senza tomba” – qualche analogia corre con
quelli di Sartre –.
Ma è emergenza anche per Lampedusa, isoletta ridotta quasi a “lager”. Essa non può sopportare il
“peso” di questo fenomeno: le tensioni che anche gli abitanti vivono in conseguenza del flusso
immigratorio rivelano un contesto che chiede urgentemente una soluzione adatta a contemperare le
esigenze di tutti. Non può infatti scontrarsi con l’identità dell’isola – è meta di turismo, da cui
dipende l’economia14 – l’intento e il dovere di accogliere. Tuttavia gli abitanti sono sensibili alla
sofferenza degli immigrati e talvolta sono coinvolti nelle operazioni di soccorso: probabilmente il
fatto che i siciliani vivano una realtà di isolamento, immobilità e arretratezza da sempre – «Non è
una terra di felicità, la Sicilia» fa dire Edmonde Charles-Roux a uno dei suoi personaggi15 –, o,
quantomeno, dagli svevi in poi – ad eccezione del periodo romano, si è essenzialmente chiuso con i
normanni il periodo d’oro isolano16 –, e il dover affrontare da soli i problemi – le cose non sono
cambiate nemmeno con l’avvento dell’Italia unita – ha sviluppato in essi una qualche empatia con
chi è in difficoltà e li spinge a porsi nei panni dell’Altro, a prodigarsi per creare un milieu
favorevole.
Il “problema” ha poi una dimensione internazionale: si vedano i recenti accordi italo-libici sui
respingimenti, che costituiscono un tentativo di arginare il fenomeno, ma ancora non ci sono grandi
risultati e l’immigrazione continua – la Libia è accusata di giocare con la vita umana e le aspettative
del governo italiano17 –. Tuttavia Kant sosteneva il diritto di entrare nel territorio altrui in virtù del
fatto di essere “coinquilini della terra”18. Inoltre si ricordino i redivivi contrasti con Malta, che ha
mollato la “patata bollente” all’Italia: si parla di insensibilità, razzismo e xenofobia dei maltesi nei
confronti degli immigrati19, oltre che di mancata collaborazione20. Jacqueline Risset giustamente
parla de «la fin de l’hospitalité» e di «menace portée sur l’idée d’humanité»21. Ma si sa: etica e
politica, opponendosi spesso reciprocamente, individuano un’antinomia “classica” – Jacques
Derrida conferma –. Non solo: vengono anche indicate corresponsabilità di altri Paesi, rei di non
dare soccorso22.
Non esistono pertanto le condizioni perché gli Stati collaborino, mentre risulta essenziale un
partenariato politico che abbia a cuore la pace, intesa anche come “servizio” a favore di popoli
lontani, e la vita di migliaia di esseri umani – la CEI paragona questa tragedia alla Shoah23: il
paragone è probabilmente azzardato, ma il senso è chiaro –. Non viene perciò attuato quel “diritto
sacrosanto” che è il principio di accoglienza24 – non sarebbe pure un dovere? –, non si costruisce un
mondo migliore, né una fratellanza terrestre e nemmeno quella «splendida ragazza dai capelli
corvini»25 che è la pace. Questa si realizza solo con il dialogo e l’incontro dei popoli, quello tra
culture e identità diverse nel pieno mutuo rispetto, nella comprensione, solidarietà, lealtà, giustizia.
Invece la differenza reciproca non unisce e separa – Rousseau26 sosteneva il contrario –. È
l’individualismo attuale che produce solo l’indifferenza degli uomini e il sentimento di xenofobia
nella società27.
Sorge a questo punto una domanda: ma la globalizzazione non dovrebbe avvicinare le Nazioni e
aumentare la reciproca conoscenza tra gli individui? Sembra di no, o quantomeno lo fa solo in
ambito economico e commerciale.
È un paradosso: l’uomo si divide tra il desiderare la pace, e il parlarne finanche troppo, e la sua
incapacità a realizzarla, compresso com’è da tanti interessi divergenti, dentro e fuori di lui, che alla
fine annullano ogni buon proposito. È la dissonanza cognitiva di Leon Festinger. È, in definitiva, la
storia dell’eterna lotta tra il Bene e il Male, kierkegaardiano assoluto aut aut28. Insomma l’ennesima
occasione persa. Eppure Ortega y Gasset asseriva: «L’uomo non appare nella solitudine (…)
L’uomo appare nei rapporti sociali come l’Altro, come colui che si alterna con l’Uno»29. Eppure la
letteratura riporta talvolta l’eco di quanto avviene – il commissario Montalbano riflette «supra ai
clandestini che murivano affocati in mari»30 –, segno che l’affaire colpisce la sensibilità di alcuni e
che, in fondo, le coscienze non sono completamente abbrutite e amorali.
Giorgio La Pira31 parlava di costruzione della “tenda della pace”: il momento è già
abbondantemente arrivato e ogni ulteriore ritardo aggraverà il dramma che è in scena nel
Mediterraneo e allontanerà ulteriormente la pace.
NOTE
1
Sono parole che Piero Chiara cita da altri per definire la mafia. Cfr. Con la faccia per terra e altre storie, Arnoldo
Mondadori Editore, Milano, 1977, p. 106.
2
Maupassant infatti diceva che «la Sicile a eu le bonheur d’être possédée, tour à tour, par des peuples féconds, venus
tantôt du nord et tantôt du sud». Cfr. Viaggio in Sicilia (La Sicile), Edrisi, Palermo, 1977, p. 20.
3
Cfr. I. Sucato, La lingua siciliana, Edizioni LA VIA, Palermo, 1975, p. 25.
4
Cfr. Tucidide, La guerra del Peloponneso, VI, 2, 1-2, Einaudi-Gallimard, Torino, 1996, pp. 771-773.
5
Cfr. L. Sciascia, Sicilia e similitudine in La corda pazza. Scrittori e cose della Sicilia, Giulio Einaudi editore, Torino,
1970, p. 13.
6
Ivi.
7
Il riferimento di Stendhal è alla bellezza. Cfr. De l'amour, Tome 1er, Paris, Librairie Ancienne Honoré Champion,
1926, p. 74 (nota 1).
8
Cfr. V. Cotesta, Lo straniero, Editori Laterza, Roma-Bari, 2002, p. 43.
9
Ivi, passim.
10
Cfr. A. Sayad, La doppia assenza. Dalle illusioni dell’emigrato alle sofferenze dell’immigrato, Raffaello Cortina
Editore, Milano, 2002, passim.
11
In genere si tratta di africani “neri”, nordafricani, mediorientali, asiatici.
12
Cfr. La Stampa, Questi centri di accoglienza sono prigioni, 15-8-2009.
13
Il Ministro degli Esteri italiano, On. Franco Frattini, sostiene che l’immigrazione è un problema che riguarda l’Europa
tutta, non solo i Paesi nei quali avvengono gli sbarchi degli immigrati, ma fino a questo momento non ci sono stati
riscontri da parte sua. Cfr. La Stampa, Frattini striglia la UE: “Parla e non fa nulla”, 24-8-2009.
14
Le implicazioni non sono, in genere, solo economiche, ma più profonde e articolate: l’immigrazione è un fenomeno
che investe anche l’organizzazione sociale di un luogo e costringe a rivedere la concezione di socialità, ospitalità,
democrazia, cittadinanza.
15
16
Cfr. E. Charles-Roux, Dimenticare Palermo, Bompiani, Milano, 1967, p. 318.
Giovanni De Simone sostiene che le presenze rilevanti per la storia siciliana sono quella greca, araba e normanna,
assieme alla borbonica. Cfr. La vera cucina di Sicilia, SIAI Edizioni d’Arte Nuovo Sud, Caltanissetta, 1974, p. 13.
17
Così scrive Gad Lerner. Cfr. la Repubblica, L’umanità calpestata, 22-8-2009.
18
Secondo Kant lo straniero ha il possesso in comune della superficie del pianeta terra e questo gli attribuirebbe il
diritto ad entrare in un territorio abitato da una comunità diversa dalla propria. Cfr. L. Tundo Ferente, Introduzione in I.
Kant, Per la pace perpetua, L. Tundo Ferente (a cura di), BUR, Milano, 2004, p. 36.
19
Cfr. il Giornale, Viaggio nel buco nero d’Europa che butta a mare gli immigrati, 24-8-2009.
20
Cfr. Corriere della Sera, Sbarchi, tensione Italia-Malta, 22-8-2009.
21
Cfr. J. Risset, Nota, in V. Pompeiano (a cura di), L’ospitalità e le rappresentazioni dell’Altro nell’Europa moderna e
contemporanea, Artemide Edizioni, Roma, 2004, p. 18.
22
Cfr. la Repubblica, Assurde quelle leggi, soccorrerli è rischioso, 22-8-2009.
23
Cfr. La Repubblica, Immigrati, l’ira della Chiesa: “Stragi in mare come la Shoah”, 22-8-2009.
24
Così si esprime il cardinale Crescenzio Sepe. Cfr. La Repubblica, Il cardinal Sepe: troppa indifferenza, l’accoglienza
è un diritto sacrosanto, 22-8-2009.
25
Santo Calì rappresenta così la pace nel componimento dialettale Visti assira la paci. Era picciotta: «(…) picciotta
sblènnita (…) Avia capiddi niuri la paci» (‘ragazza splendida (…) Aveva capelli neri, la pace’: traduzione nostra). Cfr.
La notti longa, vol. II, La Paci, Centro Studi Santo Calì, Linguaglossa, 1972.
26
Rousseau pensava a un “patto sociale” in cui eguaglianza e libertà, socialità e individualità fossero riunite. Cfr. Il
contratto sociale, Giulio Einaudi editore, Torino, 1975.
27
È una congiuntura sociale che può prodursi in occasione dei contatti tra gruppi culturali diversi. Nel caso dell’incontro
e della mescolanza di civiltà diverse – il fenomeno dell’immigrazione può farsi rientrare in questa tipologia –, infatti,
non si può parlare di “semplice” contatto perché a volte possono determinarsi ulteriori e rilevanti conseguenze, un
“surplus” come appunto la xenofobia.
28
Cfr. S. Kierkegaard, Aut-aut, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1993, pp. 12-13.
29
Cfr. J. Ortega y Gasset, L’uomo e la gente, Armando, Roma, 2005, pp. 98-99.
30
Il commissario Montalbano riflette ‘sui clandestini che morivano affogati in mare’ (traduzione nostra). Cfr. A.
Camilleri, La danza del gabbiano, Sellerio editore, Palermo, 2009, p. 14.
31
Cfr. A. Scivoletto, Giorgio La Pira. La politica come arte della pace, Edizioni Studium, Roma, 2003, p. 68.
BIBLIOGRAFIA
Testi
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Giornali
Corriere della Sera, Sbarchi, tensione Italia-Malta, 22-8-2009
il Giornale, Viaggio nel buco nero d’Europa che butta a mare gli immigrati, 24-8-2009
la Repubblica, Assurde quelle leggi, soccorrerli è rischioso, 22-8-2009
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la Repubblica, L’umanità calpestata, 22-8-2009
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