MATRIMONIO CRISTIANO = "ICONA" DELLA TRINITA`ertinotti

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MATRIMONIO CRISTIANO = "ICONA" DELLA TRINITA`ertinotti
MATRIMONIO CRISTIANO = "ICONA" DELLA TRINITA’
Di don Aldo Bertinotti – Psicopedagogista - Torino
1 - La vocazione cristiana = vocazione all’Amore Trinitario
In tutta la Bibbia, ad iniziare dal Vecchio Testamento, e in modo particolare proprio nei primi
capitoli del Genesi, l'uomo è essenzialmente denotato nella sua natura come un essere che si
realizza attraverso il "rapporto con" ("Non è bene che l'uomo sia solo..."): rapporto prima di tutto
con Dio e poi con l'"altro" essere umano (Eva è donata ad Adamo proprio per questo : l'uomo è
"immagine" piena e completa di Dio nella coppia). Questa rapporto è definito dal termine di
"conoscenza", e ben sappiamo come il verbo "conoscere" nella Bibbia (ben lungi dal connotare
semplicemente l'aspetto intellettualistico-razionale tipico del nostro mondo occidentale) significa
una conoscenza profonda e totale (anche fisica nella coppia) che investe tutto l'essere, compresi
sentimenti ed affetti. Dunque l'uomo è creato per l'amore. Ed è proprio quest'amore che,
realizzandolo, lo apre anche ad una "diffusione", cioè alla comunicazione dello stesso amore ad
altri ("Crescete e moltiplicatevi"), completando l'opera del Creatore che nasce dall'analoga
"necessità" diffusiva del Suo Amore infinito.
Conseguentemente il rapporto sponsale è assunto da tutto il Vecchio Testamento (cfr. soprattutto il
Cantico del Cantici ed Osea) come simbolo e segno del rapporto d'amore libero e reciproco che
Dio offre all'uomo, sia come singolo che come Suo popolo.
Questa concetto è ripreso e portato alle massime altezze da Gesù. La vita eterna nel Regno è
simboleggiata da una eterna festa di nozze (a cominciare dal "segno" di Cana). Gesù poi svela la
vita intima di Dio, rivelato come "comunità", cioè come una "famiglia" trinitaria, in una comunione
profonda e piena di persona distinte (altrimenti non ci potrebbe essere rapporto...) ma
indissolubilmente unite nell'amore reciproco.
La vita cristiana diventa perciò una sempre progressiva unione sponsale del singolo con Gesù
(pensiamo all'esperienza dello "sposalizio mistico" nei grandi santi), che, rendendolo figlio nel
Figlio, lo introduce nella comunione trinitaria col Padre ("Che conoscano Te...") mediante l'amore
dello Spirito Santo. Ma questa comunione con Cristo richiede, tramite il "comandamento nuovo"
("Amatevi l'un l'altro..."), la comunione col fratello fino all'unità di cuore e mente ("Come Tu Padre
in Me ed Io in Te..."; cfr. gli Atti: tutto in comune), comunione che, feconda, "genera" la presenza
del Risorto in mezzo alla comunità ("Dove due o più...") e quindi riproduce la realtà della Famiglia
Trinitaria, che diventa perciò il modello della comunità cristiana. Tale modello, poi, attuato nella
Chiesa, dovrebbe poco per volta proporsi, nell'evangelizzazione, e dilatarsi verso il mondo intero,
diventando il modello stesso della nuova umanità, cioè dei nuovi rapporti fra gli uomini, le nazioni,
le culture, nella "comunione delle diversità", rispettate e valorizzate ma donate reciprocamente agli
altri.
Riassumendo dunque, poiché l'uomo è essenzialmente "relazione" verso Dio e gli altri, l'Amore è il
senso stesso della vita: consiste nell'uscire dal proprio egoismo per entrare in comunione con
l'altro. E', al suo livello massimo, l'AGÀPE, cioè il dono completo di sé agli altri, che attua la
comunione piena "come Tu Padre in Me e Io in Te...".
Ricordiamo dunque, come abbiamo già rilevato nel precedente capitolo, che esiste un unico vero
AMORE, che si manifesta sotto diverse forme e a diversi livelli, ma sempre secondo il modello
trinitario del dono che tende alla piena comunione:
- la CARITA' come fratellanza e aiuto verso tutti gli uomini ("ogni prossimo")
- la comunione nell'AMORE RECIPROCO che si attua nella comunità cristiana (cfr. Atti)
- l'AMICIZIA, come rapporto intenso e profondo che si vive con qualcuno in particolare
- e poi, come vocazione specifica: l'AMORE CONIUGALE come unione totale fra due persone
("come Cristo con la Chiesa"), dove si dà TUTTO (donde l'unicità e la fedeltà) e PER SEMPRE
(donde l'indissolubilità) e il conseguente amore genitori/figli
oppure la CONSACRAZIONE CELIBATARIA, dove si sceglie il rapporto con Dio come unico
"tutto" per il servizio di tutti i fratelli.
Tutte queste dimensioni dell'Amore realizzano insieme, complementandosi, la vita del singolo
uomo e della comunità ecclesiale e umana.
2 - Il matrimonio, "icona" della Trinità nella Chiesa e nel mondo
Dunque l'amore sponsale (con la conseguente realtà familiare), ben lungi dall'essere una strada di
"serie B", è e rimane (prima ancora del sacerdozio e della vita consacrata) il simbolo e il segno
FONDAMENTALE e costitutivo del rapporto con Dio e della stessa Chiesa (come afferma Paolo
nella lettera agli Efesini, non esitando a definirlo "grande mistero").
Proprio, però, nel momento in cui Gesù porta il rapporto di coppia alla massima espressività umanizzante e divinizzante - lo "trascende" rendendo CON-prensibile e CON-possibile la verginità
per il Regno dei Cieli, come segno "escatologico" del rapporto che ci sarà nell'eternità ("come
angeli nel cielo", cfr. Mt. 22, 30). Nel matrimonio il cristiano "rivela" al mondo il disegno di Dio
sull'uomo e sulla donna e sulla loro fecondità, nel TEMPO che ormai è tuffato nell'eterno ed in esso
vive. Nella verginità per il Regno dei Cieli il cristiano "rivela" al mondo l'ETERNO che cresce nel
tempo sino a trasfigurarlo pienamente in sé.
Però ogni persona, nei diversi stati di vita, ha la vocazione di "generare ‘in mezzo’ Cristo Risorto "
nel rapporto con OGNI altra persona "sposandola" sino ad essere "uno" con essa divenendo così
pienamente Cristo: Cristo "tutto in tutti" (Col. 3, 11). E ogni forma di comunità cristiana (la
famiglia, il presbiterio di sacerdoti, la comunità di vergini), deve realizzare una reale vita di
"famiglia" secondo il modello trinitario. (Perciò il celibato e la consacrazione verginale non devono
essere una rinuncia, ma anzi una vera realizzazione, seppure diversa, di "sponsalità", di "paternità" e
di "famiglia"). Ognuna delle tre fondamentali vocazioni (matrimonio, ministero, consacrazione
religiosa) nella vita della Chiesa, potrà così dare alle altre e ricevere da esse ciò che è proprio di
ognuna: rispettivamente, Cristo sposo, Cristo pastore, Cristo povero casto ed obbediente;
arricchendosi ciascuna vocazione delle sfumature dell'amore tipiche delle altre e riconducendole,
ciascuna, alla sostanza dell'amore sponsale, in Cristo, con Dio e col prossimo.
Il modello primo, più semplice ma proprio per questo più radicale e perfetto di tale "famiglia"
attuata nella comunione delle tre diverse vocazioni è naturalmente la casa di Nazareth, forma di
ogni tipo di convivenza nella vita della Chiesa, perché essa stessa Chiesa nella sua forma
essenziale: il "dove due o più", la Trinità vissuta in terra. E al centro del focolare di Nazareth, con
Gesù e per Gesù, vi è Maria, in cui si sommano, nella piena sponsalità con Dio, la verginità, lo
stato matrimoniale e la maternità: Ella è "amore allo stato puro", segno ed esempio di ognuna
delle molteplici vocazioni nella Chiesa.
Nella complementarietà delle diverse vocazioni, ma contemporaneamente nella loro identità di
chiamata a formare "famiglia trinitaria", si deve trovare anche in concreto l’aiuto reciproco per
realizzare insieme la pienezza, del segno dell’Amore divino nella Chiesa. Insomma, gli sposati
imparano dai consacrati che il loro amore di coppia e verso i figli (pur dovendo giustamente
rispettare l’ordine progressivo di questi "cerchi concentrici") non deve mai fermarsi, ma anzi
tendere a diventare universale ed essere strumento per raggiungere sempre più la comunione con
Dio, unico vero Amore. E i consacrati devono imparare, vivendo in comunione con gli sposati, ad
umanizzare il proprio amore universale, per non correre il rischio che, non avendo dei "primi" da
amare, non diventino tutti "ultimi"...(cioè per non essere... "casti come angeli, ma cattivi come
demoni"!).
Sempre in questo contesto deve avvenire l’armonizzazione dei "due amori" nei ministri sposati.
Certo non sarebbe secondo l’ordine voluto da Dio che il ministro trascurasse la famiglia per il suo
servizio alla Chiesa! Ma è chiaro che tale servizio, richiede, per altro verso , una "consacrazione" a
tempo pieno, in cui viene coinvolta la famiglia (ma prima di tutto e soprattutto la coppia), per cui
tutte le scelte (professione, residenza, ecc.) dovranno essere viste in funzione di esso (pur sempre
nel rispetto concreto e reale della situazione familiare...).
3 - Il matrimonio come autentica "via di santità"
Possiamo allora capire le "regole" dell'amore cristiano partendo proprio dal significato specifico
del matrimonio cristiano.
L'amore cristiano del comandamento nuovo ("Amatevi l'un l'altro COME IO ho amato voi", e cioè
nel dono completo e assoluto di sé, come il Padre verso il Figlio e il Figlio verso il Padre) prescrive
dunque, sull'esempio appunto di Cristo, di essere disposti a donare tutto, fino alla vita ("Nessuno ha
un amore più grande di chi dona la vita per i suoi amici", Gv. 15, 13). Questo, se deve essere
tendenzialmente vero per qualsiasi rapporto con ogni "altro", lo è chiaramente in modo
concretamente totalitario (cioè sotto ogni aspetto della vita, anche quelli più feriali, e anche nella
dimensione fisica) nel rapporto matrimoniale (si pensi alla formula del "sì" matrimoniale: una
"resa" SENZA CONDIZIONI...).
Naturalmente tale dono, per essere veramente amore, deve essere vissuto nella libertà, e non
rubato, violentato. Perciò si ha diritto, anzi dovere, di difendersi dalla prepotenza e dalla violenza
dell'altro (è un dovere anche proprio verso di lui, per non lasciarlo compiere un'ingiustizia...). Ma,
dopo che hai difeso il tuo mantello (se l'altro tentava di rubartelo con la forza), glielo doni insieme
alla tunica con amore...
E tale dono non deve aspettare il ricambio, e tantomeno condizionarsi ad esso: altrimenti, da dono
di amore, diventa semplicemente uno... "scambio" commerciale.
Il vero amore però deve tendere ad essere "reciproco", perché solo così si compie la realtà
trinitaria. Perciò, senza nulla pretendere, dobbiamo anche aiutare l'altro a diventare capace di
donare a noi ed... accettare con gioia di "farci amare".
Questo reciproco "farsi vuoto" nel donarsi tutto all'altro, è l'unica condizione possibile perché fra i
due si crei davvero l'unità trinitaria, si crei il "NOI", che non è la semplice somma matematica dei
due "io", ma è una nuova realtà, diversa dalle due che l’hanno generata (e che sono "morte" l’una
nell’altra per amore), ma che le comprende e le realizza pienamente. Morendo l'uno nell'altro, la
nostra personalità (cioè la nostra individualità) non viene distrutta, ma anzi potenziata perché,
proprio nell'essere dono che completa l'altro (e dalla diversità dell'altro è completata) trova la sua
vera realizzazione: esattamente come nella Trinità, "comunione di distinti". Il caso più evidente del
frutto di questo "noi" è il figlio, che pur essendo ben diverso da ognuno dei genitori, assomiglia e in
qualche modo "riassume" tutti e due. Ma questo "miracolo" può avvenire in tutto, anche nelle
piccole cose, come nella "composizione" dei gusti, degli interessi, ecc. della coppia.
Tale unità genera, come abbiamo detto, "Gesù Risorto in mezzo", portando una reale esperienza di
comunione con la Trinità e quindi quella piena "pace e gioia" che Cristo ha già promesso fin da qui
sulla terra, nonostante la rinuncia (sempre dolorosa...) che abbiamo dovuto fare del "mio" e le mille
sofferenze della vita, che in questa dinamica, sull'esempio e in unione con Cristo Crocifisso,
uccidendo il mio "uomo vecchio", mi rendono sempre più libero di amare e rendono anche me
capace di "spirare lo Spirito", cioè emanare intorno la potenza dell'Amore trasformante di Dio. Del
resto Gesù afferma (ed è questa la "scommessa cristiana") che "c'è più gioia nel dare che nel
ricevere".
Anche l'aspetto fisico dell'amore matrimoniale dovrebbe essere vissuto in quest'ottica: l'essere "una
sola carne" (cfr. Gen. 2, 24; Mt. 19, 5; Ef. 5, 31; 1 Cor. 6, 16) previsto dal piano originale di Dio sul
matrimonio, si realizza, reciprocamente, donando all'altro il proprio corpo, come nell'Eucarestia
avviene per Cristo nella sponsalità verso la Sua Chiesa: così l'amore degli sposi, anche e proprio
sotto l'aspetto fisico, vissuto in Cristo "eucaristicizza" per così dire la loro reciproca donazione,
facendoli diventare, nello specifico della loro vocazione sponsale, "una cosa sola" come il Padre e il
Figlio.
Sembra addirittura ovvio, a questo punto, affermare che dunque il matrimonio cristiano è una vera
via verso la PERFEZIONE, cioè un'autentica strada di santità, e che PROPRIO NEL LORO
RAPPORTO consiste per gli sposi il mezzo di santificazione, che è però naturalmente "reciproca" o
non è (come, d'altra parte, - per quanto si è detto - capita anche, sia pure in forme diverse, per tutte
le altre vocazioni). Insomma nel cristianesimo ci si salva, cioè ci si santifica, solo INSIEME.
In quest'ottica i cosiddetti "tre consigli evangelici" (povertà castità, obbedienza), che sono assunti
come caratterizzanti la consacrazione dei religiosi, sono in realtà dimensioni da attuare pienamente sia pure in una loro diversa e specifica caratterizzazione - anche nella vita matrimoniale. Nel mio
dono totale all'altro, io rinuncio al mio piacere, alla realizzazione egoistica della mia sessualità ed
affettività, per ricercare la SUA felicità (in fondo è questo il vero senso del "ti voglio bene": cioè
voglio il TUO bene, ed ecco la castità matrimoniale); e così faccio per i miei averi, che metto in
comunione con lui (diventando "povero"), e per la mia volontà, posta completamente (e
liberamente!) al suo servizio, realizzando quella reciproca sottomissione dell'uno all'altro di cui
parla Paolo nella lettera agli Efesini (5, 21) (ed ecco l'"obbedienza").
A questo punto diventano addirittura dei semplici corollari, più che ovvi, quelle note caratteristiche
del matrimonio cristiano, che oggi sembrano fare così problema:
-l'unicità (cioè un rapporto sponsale che non può essere che di uno a uno per raggiungere questa
pienezza e totalità);
-l'assoluta fedeltà e l'indissolubilità (dovuta al fatto che la mia donazione, per essere veramente
totale, non può che essere per sempre, anche tenendo conto del fatto che io non posso ritenermi
sciolto dal mio impegno, anche nel caso che l'altro non lo osservi per la sua parte: nessuna
situazione mi scusa, dal momento che - come abbiamo detto - io ho dichiarato una... "resa senza
condizioni").
E quindi capibile che queste tre note siano richieste dall'essenza profonda del rapporto, e non
semplicemente da regole giuridiche e/o morali, che si limitano a ratificarle e le concretizzano nella
realtà storico-culturale del momento (e che quindi, in quanto regole "esterne" possono anche essere
ripensate e riformulate, soprattutto nell'ottica di risolvere i casi "difficili", purché però si
mantengano i valori di fondo, inalienabili).
Diventa anche evidente conseguenza l'ultima nota caratteristica del matrimonio cristiano: la
fecondità. Un autentico amore, modellato su quello trinitario che si è aperto alla Creazione, non
può non "espandersi" diventando fecondo e creando altra vita nell'amore. Naturalmente la
fecondità della coppia non è e non deve essere solo quella fisica (come diremo meglio più avanti),
né deve essere una fecondità puramente "biologica", che non tiene conto che la nuova vita, proprio
perché "umana", non necessità solo di essere messa al mondo, ma anche accettata e "cresciuta", e
quindi educata (con tutta la conseguente problematica della "paternità responsabile"). Ma in
quest'ottica non si può pensare ad una coppia che escluda a priori la trasmissione della vita! Né che
la limiti egoisticamente: solo i figli che si è davvero in grado di "crescere", ma anche TUTTI quelli,
non uno in meno... Ricordiamo ancora, come abbiamo precedentemente sottolineato, che la
fecondità deve essere intesa come un tendere progressivamente ad una paternità/maternità
universali. Ne riparleremo.
4 - La famiglia è Chiesa, la Chiesa è famiglia
Non è dunque solo una metafora quella del Concilio che definisce la famiglia come "Chiesa
domestica". La famiglia è veramente Chiesa, cioè momento autentico e completo di essa (anche se
ovviamente non è tutta la Chiesa...). Infatti possiede tutte le caratteristiche che definiscono la
Chiesa stessa.
Innanzitutto la Chiesa può essere pensata come formata da due "componenti": in quanto presenza
della persona di Cristo nel mondo, ha un aspetto "esterno" (corrispondente in qualche modo al
nostro corpo) e un aspetto "interno", che gli dà vita (corrispondente analogamente alla nostra
"anima"). L'aspetto esterno della Chiesa (certo indispensabile, proprio perché viviamo nel mondo
concreto) è costituito dal visibile: strutture, edifici, organizzazioni, cerimonie.... L'aspetto "interno"
(l'anima che le dà vita) è proprio quell'essere uno "nel nome di Gesù", cioè nella reciproca carità,
che genera la presenza dello stesso Gesù Risorto col Suo Spirito "in mezzo".
E' ovvio che l'aspetto essenziale è quello "interno", che garantisce l'efficacia della presenza di
Cristo, al di là di ogni mezzo ed elemento umano (anche laddove, per vari motivi concreti, questi si
trovano ad essere poveri o quasi nulli). Ed è altrettanto ovvio che se esiste solo l'aspetto esterno
(anche se molto ben fatto...) e non c'è l'amore reciproco (tante nostre pseudo-comunità!...), la realtà
è quella di un corpo morto, che, pur nel caso sia bellissimo, è comunque un cadavere che certo non
attira nessuno, ma anzi repelle. (Quante volte può essere questo il motivo per cui uomini, pur attirati
da Cristo, fuggono dalle nostre chiese?). Senza amore reciproco, e quindi senza la presenza del
Risorto, ogni opera, ogni fatica risulta assolutamente inutile ed inefficace... Tutto nella vita della
Chiesa è finalizzato a questa comunione nel Signore: anche la Parola e i Sacramenti, con la stessa
Eucarestia, mezzi per attuare sempre più l'"essere una cosa sola" in Gesù.
In questo senso, la famiglia cristiana, se vive nell'amore reciproco, è momento già autentico di vera
Chiesa, avendo appunto la presenza di Gesù. E il suo solo vivere, il suo solo esistere, se ha questa
presenza, non può che attirare ed evangelizzare il mondo circostante (come nei primi tempi, a detta
di Tertulliano, i pagani erano attirati dal "vedere come i cristiani si amavano", e non di per sé
semplicemente dalla loro predicazione, che in certi periodi era addirittura inesistente perché proibita
dalle persecuzioni...).
Ma, più in particolare, la famiglia realizza anche, nel suo modo specifico, il "triplice incarico" della
missione di Gesù, trasmesso alla Chiesa: profetico (l'annuncio della salvezza, nell'evangelizzazione
e nella catechesi), sacerdotale (il portare, nella preghiera, la vita di Dio agli uomini e la vita degli
uomini a Dio) e regale (nel trasformare il mondo, attraverso l'impegno della carità e del servizio,
perché esso diventi sempre più il Regno di Dio, regno dell'amore, anche nelle sue strutture sociali e
politiche).
Questo la famiglia realizza prima di tutto al suo interno: l'annuncio del Vangelo (fatto soprattutto di
testimonianza, ma anche, speriamo sovente, di parola) reciprocamente nella coppia e, insieme,
verso i figli (la prima e fondamentale catechesi!); la santificazione comune tra gli sposi (di cui
abbiamo ampiamente parlato), che coinvolge quella dei figli, anche nei momenti specifici della
preghiera familiare (che non dovrebbe mai mancare...); la carità, che trasforma poco per volta il
piccolo mondo della casa, nel servizio al più bisognoso (nella convivenza amorosa delle diverse
generazioni: bimbi, giovani, vecchi...), al più piccolo (ad iniziare dal servizio fondamentale
dell'educazione dei figli, intesi non come "proprietà" dei genitori in cui realizzare i progetti di
questi, ma come persone autonome, con un progetto del tutto particolare ed irripetibile che Dio ha
previsto per loro, da scoprire nell'umiltà e verso la realizzazione del quale mettersi in servizio:
l'accettazione delle vocazioni speciali!...).
Ma la famiglia deve realizzare tutto questo anche nei confronti della Chiesa "più grande", secondo i
suoi carismi specifici. Ecco allora che essa si mette a disposizione (sia nei singoli membri, che
anche proprio come comunità familiare: in questo senso deve avvenire l'educazione dei figli ad
aprirsi ad un amore più grande, sia con le proposte che soprattutto con l’esempio dei genitori). E ciò
può avvenire particolarmente per la catechesi, la celebrazione e il servizio nella sua comunità di
Chiesa locale, specificatamente verso le altre famiglie, cioè nella cosiddetta "pastorale familiare"
(il cui carisma ce l'hanno in modo specifico appunto gli sposi per il loro sacramento, prima e più
peculiarmente che gli stessi sacerdoti...), pastorale che comprende l'educazione dei giovani
all'amore, la preparazione dei fidanzati, l'aiuto alle famiglie in difficoltà.... Quest'ultimo aspetto, in
modo particolare, dovrebbe rendere capace la famiglia cristiana ad accogliere le molte e diverse
"situazioni difficili" (separati, divorziati,....), ricordando che Gesù, nella Sua Morte in croce, s'è
fatto uno con ogni situazione umana. Di tutti e di ciascuno Egli si fa sposo, offrendo la grazia di
potersi riconoscere in Lui e di rinascere nel cuore per opera dello Spirito Santo nonostante qualsiasi
situazione, e poi anche - per quanto possibile - nel risolvere le proprie concrete problematiche di
vita. Così in Gesù ogni scacco della vita umana può trasformarsi in una chance di salvezza, anche
trasfigurando le piaghe di una famiglia "crocifissa". La pienezza di questa accoglienza,
comprensione e trasformazione può essere portata solo da famiglia a famiglia.
E inoltre la nostra famiglia cristiana, insieme alla altre famiglie cristiane, tende a formare una
"famiglia di famiglie" (a cominciare dai "gruppi famiglia" che esercitano una comunione concreta,
nel cammino spirituale comune e anche nel materiale, nell'aiuto quotidiano attraverso la
disponibilità dei beni, il sostegno reciproco nella gestione e nell'educazione dei figli, ecc.),
realizzando così quello che dovrebbe essere idealmente l'intera comunità ecclesiale locale, cioè
insegnando alla Chiesa ad essere veramente "famiglia", dove appunto regna l'amore reciproco e si
esercita la paternità/maternità amorosa verso tutti. In questo senso non è un semplice slogan quello
detto da Giovanni Paolo II che indica nella famiglia "la via della Chiesa".
Visti così, molti aspetti della Chiesa acquistano una luce nuova: la comunione, in quanto "unità fra
diversi" come nella Trinità, non deve essere un appiattimento, una uniformità, ma anzi deve
rispettare e valorizzare tutte le differenze, che, diventando però dono reciproco, non solo non sono
causa di divisioni, ma di arricchimento di tutti. Così si dovrebbe intendere lo spazio, e il rapporto,
che ogni realtà dovrebbe avere nella comunità: anziani, giovani e bambini; diverse associazioni e
gruppi... Anche in quest'ottica deve essere vista la funzione dei "responsabili" all'interno della
comunità (preti o laici nei vari incarichi): ben lontano da un'ottica di obbedienza e autorità come nel
mondo ("Nel mondo chi ha autorità..., ma invece fra di voi chi vuol essere il primo..."), chi ha un
incarico dovrebbe essere capace prima di tutto di fare egli stesso per primo "unità" agli altri,
nell'ascoltarli e nel non voler imporre le sue idee, ma, "vuoto di sé", cercare solo davvero la volontà
di Dio. Di conseguenza gli altri, a loro volta "vuoti" della loro volontà, sapranno "fargli unità" e
riconoscergli il carisma (non dato dalla persona, ma dalla grazia insita nell'incarico!) di
"discernere".
Ancora, la Chiesa "famiglia" saprà vivere il suo essere MADRE prima ancora che il suo essere
MAESTRA. Certo non esiste vera carità senza verità, e il primo atto d'amore è proprio quello di
illuminare con la verità di Cristo (ma non con la propria!) gli altri. Ma, in Dio, non esiste verità
senza carità: altrimenti nascono solo condanne e roghi...
Ecco dunque perché deve avvenire il reciproco specchiarsi della famiglia nella Chiesa e della
Chiesa nella famiglia.
5 - La famiglia, la Chiesa e il mondo
Ma non basta ancora, Infatti la Chiesa non è chiamata a realizzare tale comunità fine a se stessa,
chiusa nel suo mondo. Tutto questo è donato (e quindi richiesto) da Cristo alla Chiesa perché Ella
vada "in missione", cioè si apra al mondo, per trasformarlo secondo il progetto dell'amore di Dio.
E anche qui la famiglia (oltre naturalmente come singoli membri nell'insieme della comunità e nei
servizi specifici delle vocazioni particolari di ognuno nella professione, nell'impegno politicosociale, nel volontariato...) ha dei compiti e dei carismi specifici. Ci sono degli ambiti in cui la
famiglia può e deve intervenire come tale con un peso ed un'autorevolezza sue proprie: pensiamo
ad esempio alla presenza negli organismi scolastici, all'impegno nelle associazioni di famiglie che
possono far sentire la loro voce qualificata nei vari problemi economico-socio-politici che toccano
specificatamente l'istituzione familiare, o che possono portare un contributo importante ai problemi
- così attuali oggi - della dignità della donna e del rispetto della vita e dell'infanzia...
Ma pensiamo soprattutto alla possibilità (unica della famiglia) di aprirsi all'accoglienza di vecchi,
handicappati, bimbi abbandonati, ragazze madri...., garantendo a tutti questi l'unica cosa di cui
hanno veramente bisogno, cioè di un vero focolare, e che nessuna istituzione, neppure la più
perfetta, potrà mai dare loro. Se tutte le famiglie cristiane vivessero questa dimensione (sia pure
ognuna secondo le modalità concrete viste in un equilibrato, ma anche coraggioso, discernimento),
si svuoterebbero gli orfanotrofi ed i ricoveri. E questo significherebbe che la coppia è andata oltre
lo stadio della semplice fecondità fisica (pur intenzionalmente necessaria, come abbiamo detto) e si
è aperta all'esperienza della paternità/maternità universale.
Il grado di vita cristiana veramente vissuto da una comunità non deve essere misurato sulla
bellezza dei riti o sull'efficienza dell'organizzazione, ma su quante opera di carità essa riesce a
compiere! Non per nulla i vescovi italiani hanno scelto come tema centrale delle nostre Chiese, in
questi ultimi anni prima del 2.000, la "TESTIMONIANZA DELLA CARITA'" come base
dell'evangelizzazione (cfr. il documento "E.T.C." già precedentemente citato).
E con lo stesso spirito di carità, il cristiano (come singolo, come famiglia e come comunità) deve
operare nelle realtà sociali e politiche, difendendo il rispetto e la libertà di ogni uomo e,
contemporaneamente, ponendo la solidarietà come essenza del vivere sociale, conscio che - come
dice il Papa - l'attuale situazione è dominata da "strutture di peccato" sia economiche che politiche.
Anche qui non deve importare di per sé la forza degli schieramenti e meno che meno un'ottica di
interessi e competizione politica come quella del "mondo": bisogna credere alla forza nascosta
dell'Amore, vero lievito nella massa, fonte della nostra capacità di "sperare contro ogni speranza",
poiché Cristo "ha vinto il mondo": "non abbiate paura"... E’ davvero possibile costruire una "civiltà
dell’amore"!
Ma tutto questo non è solo un sogno, un utopia irrealizzabile? E' troppo superiore alle nostre forze!
Certo! Non per nulla la vita della Chiesa è alimentata e sostenuta dai SACRAMENTI (e primo fra
questi proprio quello della famiglia umana, il matrimonio) che, garantendo l'azione stessa di Dio
con la Sua forza e onnipotenza, rendono realizzabile anche l'umanamente irraggiungibile. "Tutto è
possibile a Dio"...
6 - Il matrimonio come "sacramento"
a - Breve definizione di "sacramento"
La definizione classica di "sacramento" recita: "segno efficace della Grazia".
* "segno", cioè rito visibile, identificabile nel tempo e nello spazio;
* "efficace", che produce veramente, col suo stesso essere compiuto, la cosa che significa.
E’ chiaro che il segno NON E’ la cosa che significa: la bandiera, segno e simbolo della Patria, non è
la Patria... Il segno è solo l’aspetto esterno, anche se - nel caso sacramentale - è il "vettore"
necessario della realtà.
L’efficacia del segno, nei sacramenti, è garantita dal fatto che essi sono "azioni dello stesso
Cristo", che opera immancabilmente, al di là di ogni limite umano: questo è quello che di solito si
definisce come "ex opere operato". Ma è altrettanto chiaro che tale efficacia non è "magica", non
avviene cioè solo in quanto si pone comunque materialmente il segno, ma richiede determinate
condizioni, perché tale segno sia veramente "significante" e cioè posto in modo pienamente
"umano". In particolare si richiede la coscienza di quanto si compie e l’effettiva volontà di
compierlo. Tali condizioni sono richieste sia da chi "celebra" il segno (il ministro) che da chi lo
"riceve" (il destinatario). Ci sono alcuni casi particolari in cui la coscienza del ricevente non è così
piena (battesimo dei neonati, unzione degli infermi in stato di incoscienza, ecc...), ma sono
comunque casi particolari, in cui si ritiene intervenga comunque la fede (dei genitori, della Chiesa
stessa, quella supposta nel soggetto anche se in quel momento non consapevole...).
Per completezza, ricordiamoci che il primo vero e assoluto sacramento è Cristo stesso, con la Sua
costante presenza nella Chiesa. E di conseguenza il sacramento "storicamente" operante è la
Chiesa stessa nella sua globalità. I "sacramenti" non sono che la concretizzazione, in alcuni
particolari momenti della vita cristiana, di tutto ciò, e presuppongono quindi la presenza di Cristo
attuata in una Chiesa autenticamente "viva".
Comunque, il sacramento ricevuto dà la pienezza della Grazia specifica che significa, al di là della
nostra debolezza: "tutto è possibile a Dio". Naturalmente però tutto è condizionato dalla nostra
disponibilità alla Grazia stessa e dalla nostra corrispondenza: "al di là" di noi, ma non "senza" noi...
In particolare nei sacramenti che costituiscono in una stato di vita (in una stabile "conformazione" a
Cristo: battesimo, cresima, ordine sacro, e - a modo suo - matrimonio), questa Grazia è data una
volta per sempre, e - anche se fosse lasciata "assopire" - può essere sempre "ravvivata" in pienezza
(come dice San Paolo).
E’ proprio il fatto che Cristo abbia istituito il Matrimonio come "sacramento" che rende possibile,
con la Grazia di Dio, attuare le cose che abbiamo detto nelle lezioni precedenti e rendere la famiglia
"segno efficace" di Chiesa. Ciò non sarebbe possibile con le sole forze umane... E la Grazia stabile
di tale sacramento fa sì che sia possibile "ricominciare" e crescere in ogni momento della vita, e
anche dopo ogni fallimento.
b - Condizioni necessarie per il "sacramento" del Matrimonio
Diventa dunque chiara la sostanziale differenza fra il matrimonio civile e quello sacramentale. Il
primo - pur già di alta dignità, necessario ed efficace per la società umana - consiste essenzialmente
in un "contratto", in un’intesa puramente umana, sia pure già tendenzialmente piena e definitiva, e
necessariamente regolata dalla società stessa.
Il matrimonio sacramento, pur presupponendo e anzi "esaltando" questo stesso aspetto, è ben
altro... E’, all’interno della vita cristiana, vissuta integralmente, la chiamata ad una vocazione
particolare, che assimila secondo un aspetto specifico a Cristo e realizza un momento particolare
di Chiesa per la salvezza del mondo intero.
Per questo le note caratteristiche dello stato matrimoniale (indissolubilità, ecc.), già in qualche
modo tendenzialmente presenti nel matrimonio civile, diventano assolute e inderogabili in quello
sacramentale. Ed è chiaro che gli "obblighi" morali e spirituali che si assumono sono a ben altro
livello...
Ma perché tutto ciò sia effettivo, e cioè ci sia quella piena consapevolezza e volontà di cui si è
parlato, sia nel ricevere che poi nel vivere il sacramento, sono necessarie alcune condizioni:
* un’effettiva vita di fede, cioè il vivere con pienezza il proprio battesimo in una reale situazione di
comunità di Chiesa, e la conseguente cosciente e matura accettazione della vocazione cristiana
universale all’Amore, attraverso il dono totale di sé a Dio e al prossimo;
* l’aver fatto un adeguato discernimento della propria vocazione al matrimonio (vocazione
AUTENTICA, e quindi da verificare e non semplicemente da presupporre...), il che comporta:
- la certezza della chiamata ad uno stato di vita sponsale e familiare (con la verifica di tutte le
necessarie attitudini umane e cristiane);
- la certezza di essere chiamati a ciò proprio con "quella" specifica persona;
* la preparazione remota e immediata e la conseguente piena coscienza e volontà nel celebrare il
sacramento (anche con la particolare ed esplicita accettazione di tutti gli impegni da assumere in
riferimento alle "note" caratteristiche).
Credo che a questo punto nasca immediatamente in tutti la domanda: ma, se così stanno le cose,
quanti sono i matrimoni con autentico significato ed efficacia sacramentale, fra tutti quelli che
attualmente si celebrano? E in effetti questo è oggi uno dei più grandi tormenti dei pastori...
E’ chiaro che non possono bastare, a rimediare il tutto, quei pochi incontri prematrimoniali...
Bisognerà seriamente incominciare a pensare ad un cammino di "neo-catecumenato", che faccia
riscoprire e riscegliere, prima ancora del sacramento, la sostanza del battesimo e della vita
cristiana, in particolare con l’inserimento effettivo nella comunità. E giungere poi ad attuare tutta
un’educazione (a partire dai primi anni fino - con un’intensità particolare - al tempo del
fidanzamento), che porti ad una consapevolezza piena del significato della chiamata ad uno stato
sponsale e familiare, e aiuti ad operare il necessario discernimento.
Appendice - Note per una pastorale di alcuni casi "difficili"
1 - Principi generali
La salvezza di Gesù è portata ad ogni uomo, in qualsiasi situazione si trovi. Ogni uomo perciò può
e deve trovare in Cristo le risposte adatte per vivere nel concreto del suo stato e realizzarsi
pienamente sia come uomo che. se credente, come cristiano. La Chiesa perciò lungi
dall’abbandonare a se stesso qualcuno, deve maternamente prendersi carico di tutte le situazioni.
Come dice il "Direttorio di Pastorale familiare", "la sua sollecitudine pastorale, perciò, deve farsi
più viva anche verso [coloro] che si trovano in situazioni difficili o irregolari. Ma tutto questo "sulla
misura del Cuore di Cristo", cioè attraverso un'azione pastorale che riproponga la stessa missione di
Cristo nei suoi contenuti e che riviva il suo stesso spirito di amore e di donazione... La Chiesa deve
possedere e sviluppare un unico e indivisibile amore alla verità e all'uomo: "la chiarezza e
l'intransigenza nei princìpi e insieme la comprensione e la misericordia verso la debolezza umana in
vista del pentimento sono le due note inscindibili che contraddistinguono" la sua opera pastorale...
Nello stesso tempo occorre richiamare l'appartenenza alla Chiesa anche dei cristiani che vivono in
situazione difficile o irregolare: tale appartenenza si fonda sul battesimo con la "novità" che esso
introduce e si alimenta con una fede non totalmente rinnegata. È una consapevolezza che deve
crescere anche dentro la comunità cristiana: è in tale consapevolezza che la comunità cristiana può e
deve prendersi cura di questi suoi membri; è nella stessa consapevolezza che essi possono e devono
partecipare alla vita e alla missione della Chiesa, sin dove lo esige e lo consente la loro tipica
situazione ecclesiale"; anche se non si può loro nascondere che "non sono in piena comunione" e
che quindi non si possono ammettere alla riconciliazione sacramentale e alla comunione
eucaristica... Non si mancherà' infine di proclamare l'esigenza del pentimento e della conversione:
essi devono portare ad un reale cambiamento della condizione di vita e si pongono, per ciò stesso,
come premessa insostituibile per la riconciliazione e la piena comunione sacramentale con la
Chiesa". In conclusione, "il riferimento all'atteggiamento pastorale di Gesù e la sua riproposizione
nell'oggi esigono, da parte della Chiesa, che si abbia a sviluppare un'azione pastorale accogliente e
misericordiosa verso tutti".
In pratica, bisogna distinguere se lo stato irregolare in cui la persona si trova, è irreformabile o
può invece sanarsi.
1) Se la situazione può essere effettivamente cambiata, si deve richiedere che questo avvenga,
anche attraverso scelte che talvolta possono essere eroiche. Però:
* è necessario rispettare, con caritatevole pazienza, i necessari tempi di maturazione ed evoluzione,
che sovente possono anche essere lunghi;
* in ogni caso, ricordiamoci che il cambiamento è il frutto della vita di grazia, non una condizione
che la blocchi aprioristicamente...
2) Se invece la situazione è oggettivamente irreformabile:
* si deve concludere che lo "status" in cui ci si trova non è di per sé "peccaminoso" ("ad
impossibilia nemo tenetur");
* tuttavia ognuno è tenuto, in coscienza, ad adeguarsi, in quanto alle azioni, alle norme della
morale (pur sempre nella misericordia e in una visione di crescita progressiva e non di richiesta
immediata di "perfezione", mai esistente per l’uomo);
* anche in questo status, come dice il Direttorio citato, ognuno deve essere convinto della
possibilità di realizzarsi pienamente come uomo e come cristiano, pur accettando, e anzi proprio
partendo, nella dimensione della Croce di Cristo, dalla sofferenza dei propri limiti personali, sociali
ed ecclesiali.
2 - Situazioni matrimoniali irregolari
A) SEPARATI
Di per sé, nessun problema. Tale situazione infatti non esclude in nessun modo dalla piena
comunione ecclesiale e anche dall’ammissione dei sacramenti. Naturalmente bisogna richiedere la
fedeltà al vincolo matrimoniale e ai doveri verso i figli e (nella carità) allo stesso coniuge lontano.
La Chiesa, da parte sua, deve "farsi loro vicina con attenzione, discrezione e solidarietà", oltre
naturalmente con tutti gli aiuti necessari, psicologici e materiali. (Cfr. nn. 207-209)
B) DIVORZIATI NON RISPOSATI
- Se hanno subìto il divorzio sena volerlo: sono in tutto assimilabili ai separati.
- Se sono stati loro a chiedere il divorzio: idem, se si dimostrano pentiti del male compiuto e
disponibili a ritentare, se possibili, la riunione; se questa è oggettivamente impossibile, devono
comunque dichiararsi convinti della permanenza del vincolo, con tutte le conseguenze. (Cfr. nn.
210-212)
C) DIVORZIATI RISPOSATI
Per questo, che è indubbiamente il caso più complesso, preferiamo riportare direttamente il testo del
Direttorio (nn. 213-220):
"Ogni comunità cristiana eviti qualsiasi forma di disinteresse o di abbandono e non riduca la sua
azione pastorale verso i divorziati risposati alla sola questione della loro ammissione o meno ai
sacramenti... nella certezza che [essi] sono e rimangono cristiani e membri del popolo di Dio e
come tali non sono del tutto esclusi dalla comunione della Chiesa... Ogni comunità ecclesiale, di
conseguenza, li consideri ancora come suoi figli e li tratti con amore di madre; preghi per loro, li
incoraggi e li sostenga nella fede e nella speranza; non si stanchi di illuminarli con la parola di
Cristo, di stimolarli a un'esistenza morale ispirata alla grande legge della carità, di invitarli alla
conversione. Da parte della comunità cristiana e di tutti i suoi fedeli, pur qualificando come
disordinata la loro situazione, ci si astenga dal giudicare l'intimo delle coscienze, dove solo Dio
vede e giudica. Con grande delicatezza e cogliendo le diverse occasioni propizie (quali la nascita di
un figlio e l'eventuale richiesta del battesimo, una sofferenza o un lutto familiare, la visita alle
famiglie...), i sacerdoti, i parenti, i vicini di casa, altre coppie particolarmente sensibili e preparate
sappiano avvicinarli e iniziare con loro "quel dialogo che potrebbe illuminarli circa la posizione
della Chiesa verso di loro, senza ingannarli sulla verità della loro situazione, ma insieme
testimoniando una sincera carità fraterna"...
Con genuina sollecitudine pastorale, i presbiteri e l'intera comunità cristiana aiutino questi fratelli e
queste sorelle a non sentirsi separati dalla Chiesa; li invitino e li sollecitino, anzi, a prendere parte
attiva alla sua stessa vita. Li esortino, in particolare, ad ascoltare la parola di Dio, per conservare
la fede ricevuta nel battesimo e seguirne la dinamica di conversione: in tal senso, i divorziati
risposati siano invitati a prendere parte agli incontri di catechesi e alle celebrazioni penitenziali
comunitarie non sacramentali. Li aiutino a perseverare nella preghiera, certi di potervi trovare gli
aiuti spirituali necessari per la loro situazione di vita; specialmente ricordino loro di partecipare
fedelmente alla Messa, anche se non possono accostarsi alla comunione eucaristica. Li spronino ad
un'esistenza morale ispirata alla carità, nella quale trovi spazio la partecipazione alle opere
materiali e spirituali di carità e alle iniziative in favore della giustizia; un aiuto particolare venga
loro offerto perché possano vivere pienamente il loro compito educativo nei confronti dei figli.
La partecipazione dei divorziati risposati alla vita della Chiesa rimane comunque condizionata dalla
loro non piena appartenenza ad essa. È evidente, quindi, che essi "non possono svolgere nella
comunità ecclesiale quei servizi che esigono una pienezza di testimonianza cristiana, come sono i
servizi liturgici e in particolare quello di lettori, il ministero di catechista, l'ufficio di padrini per i
sacramenti. Nella stessa prospettiva, è da escludere una loro partecipazione ai consigli pastorali, i
cui membri, condividendo in pienezza la vita della comunità cristiana, ne sono in qualche modo i
rappresentanti e i delegati... La Chiesa comunque non può ammettere alla riconciliazione
sacramentale e alla comunione eucaristica i divorziati risposati".
Talvolta, qualora comunque non ci sia pericolo di "scandalo" per la comunità, divorziati, che
assicurino di vivere "come fratello e sorella" il loro rapporto coniugale, vengono "con discrezione"
riammessi ai sacramenti. Ma è un caso ovviamente un po’ inconsueto, anche perché non sempre
realistico e talvolta neppure veramente consigliabile per l’armonia di coppia e di famiglia... Non si
può neppure nascondere che alcuni sacerdoti, sotto propria e personale responsabilità, ammettono
(sempre in modo assolutamente "discreto") alcuni divorziati ai sacramenti (proprio perché intesi
come "mezzi" di grazia e di forza per vivere sempre più profondamente), purché comunque, oltre ad
evitare il suddetto "scandalo", essi camminino veramente con impegno nella loro vita cristiana,
comprendendo con ciò anche il continuo sforzo di adeguarsi sempre più alle norme morali e l’essere
sempre attenti al sorgere di possibilità di risolvere la loro situazione.
Nei tre casi precedenti (separati e divorziati) può essere sempre opportuno consigliare,
delicatamente e con prudenza, di esaminare le cause del precedente fallimento matrimoniale, per
vedere se, nel caso, non ci fossero gli estremi per iniziare un processo di riconoscimento di nullità.
Crediamo infatti che molti matrimoni falliti (specialmente quelli conclusisi molto precocemente)
possano avere alla base una incapacità, cosciente o meno, di contrarre gli impegni richiesti,
specialmente per quanto riguarda in modo specifico la dimensione sacramentale con tutte le sue
conseguenze, tenuto conto di quanto abbiam detto sulla necessità di una fede esplicita e matura per
tale passo.
D) CONVIVENTI
E’ evidente che in questo caso (sempre salvando la carità, l’accoglienza, l’assoluta assenza di
giudizi personali, e infine la pazienza di un cammino talvolta lungo e faticoso) tutta l’opera
pastorale deve tendere a "spianare la strada verso la regolarizzazione del loro rapporto" (nn. 227230).
Ricordiamo in modo particolare che la scelta del sacramento deve avvenire solo quando si è
veramente arrivati alla comprensione piena del suo significato, e che inoltre è necessario che il
membro della coppia, che arriva eventualmente prima a ciò, attenda ed aiuti con pazienza e rispetto
anche la maturazione del suo compagno.
E) SPOSATI SOLO CIVILMENTE
Idem coma sopra, tenendo ben presente però che in quest’ultimo caso la base di partenza può
essere molto diversa, dal momento che bisogna riconoscere "in tale scelta qualche elemento
positivo connesso con la volontà di impegnarsi in un preciso stato di vita, di assumere i diritti e gli
obblighi e di chiedere il pubblico riconoscimento da parte dello Stato" (nn. 221-226).
Per quanto riguarda poi IL PROBLEMA DEI FIGLI (nn. 231-233), "la comunità cristiana deve
mostrare grande apertura pastorale, accoglienza e disponibilità nei loro confronti: essi, infatti "sono
del tutto innocenti rispetto all'eventuale colpa dei genitori"... In occasione della richiesta dei
sacramenti per i figli, la comunità cristiana sia particolarmente attenta a cogliere questa opportunità
per una discreta ma puntuale opera di evangelizzazione innanzitutto dei genitori, per aiutarli a
riflettere sulla loro vita alla luce del Vangelo , per invitarli a "regolarizzare", per quanto possibile, la
loro posizione, per esortarli e accompagnarli nel loro compito educativo... Si proceda alla
celebrazione del battesimo a condizione che ambedue i genitori, o almeno uno di essi, garantiscano
di dare ai loro figli una vera educazione cristiana. In caso di dubbio o di incertezza circa la volontà
e la disponibilità dei genitori a dare tale educazione, si valorizzi il ruolo dei ‘padrini’, scelti con
attenzione e oculatezza.
Nel caso di genitori conviventi o sposati solo civilmente, ai quali nulla impedisce di ‘regolarizzare’
la loro posizione, di fronte alla richiesta del battesimo per i figli, il sacerdote non tralasci una così
importante occasione per evangelizzarli. Mostri loro come ci sia contraddizione tra la domanda del
battesimo per il figlio e la loro situazione di conviventi o di sposati solo civilmente... Di
conseguenza, prima di procedere, con le necessarie garanzie di educazione cristiana, al battesimo
del figlio, vigilando per evitare ogni atteggiamento ricattatorio o apparentemente tale, li inviti a
sistemare la loro posizione, o almeno a intraprendere il cammino e a fare i passi necessari per
arrivare a tale regolarizzazione.
Di fronte alla richiesta della cresima e della comunione eucaristica, nell'esprimere un giudizio e
nell'operare una scelta pastorale, i sacerdoti facciano riferimento non solo alla situazione e alla
disponibilità religiosa e di fede dei genitori, ma anche alla crescente personalità dei figli, alla loro
progressiva maturazione nella conoscenza e nell'adesione alla fede cristiana".
Nessun problema invece per i FUNERALI RELIGIOSI per tutte queste persone, salvo l’invito di
cogliere eventualmente l’occasione per fugare possibili perplessità dei fedeli e per fare una
catechesi sul matrimonio (n. 234).
3 - Gli omosessuali
Parliamo naturalmente di uno "status" che sia ormai ritenuto oggettivamente irreformabile. Negli
altri casi, bisogna ovviamente anche preoccuparsi di fornire tutti gli aiuti (psicologici, educativi,
ecc.) per cercare di superare tale situazione.
Se dunque lo stato omosessuale è irreformabile, bisogna innanzitutto convincersi (e convincere
l’interessato) che la situazione in cui si trova non è di per sé peccaminosa.
Di conseguenza è doveroso attuare nei confronti di tale persone il massimo dell’accoglienza senza
pregiudizi. Dice molto bene l’Ange:
"Prima di rivolgermi direttamente a giovani che sentono di essere orientati all'omosessualità, vorrei dire una parola a
quelli che li giudicano dall'esterno. Per correggere qualche cliché duro a morire. Cliché che ferisce e colpevolizza. Ti
prego, non imprigionare mai una persona omosessuale sotto un'etichetta che la emargina e svaluta. Non definire mai un
essere dal suo comportamento. Non ridurlo mai a certi suoi atti e tendenze... Oso, dunque, semplicemente chiederti di
non farne dei colpevoli né degli eroi, ma di riconoscerli - come chiunque tra noi - veri figli di Dio... Peccatori come
tutti, chiamati come tutti a diventare santi. In breve: ne incolparli ne discolparli, ma compatire e guarire. Né riderne né
approvare, ma accogliere e sostenere. Né distruggere né applaudire, ma costruire e far maturare. Né accusare né
legittimare, ma aiutare e servire. Amare, amare, amare. Amare tutto nell'omosessuale: fino al punto di non avallare la
sua omosessualità. Amarlo profondamente in modo da rifiutare ciò che lo fa sprofondare. Amarlo abbastanza da sapere
che la sua omosessualità non lo fa veramente felice. Amarlo per ciò che è, non per ciò che fa.
Amarlo per se stesso, affinché egli ami se stesso veramente! E affinché possa amare, avere con lui un rapporto
semplice, naturale, franco, libero da ogni secondo fine. Permettergli di dare il meglio, ciò che ha di più bello; di porsi al
servizio degli altri, per aiutarlo a scoprire l'altro nella sua meravigliosa alterità. Di' sempre a te stesso. se avessi vissuto
quello che lui ha vissuto, sarei allo stesso punto. Possano molte comunità cristiane diventare luoghi da cui scaturisca per
loro un profondo rispetto, ben avvertibile; un rispetto che rifiuti il male che lentamente li distrugge, e che sappia vedere
in essi solo il figlio che Dio ama. Possano molte famiglie - ben radicate nella preghiera - abbastanza unite e solide per
non esserne incrinate, udire il grido sordo d'angoscia di questi giovani e accoglierli incondizionatamente".
E’ importante perciò che si aiuti l’omosessuale a convincersi che anche per lui è pienamente
possibile la realizzazione umana e cristiana, anche se deve accettare e vivere serenamente (nella
dimensione della Croce di Cristo) le limitazioni (personali e sociali) che il suo stato comporta.
Ci paiono molto belle le "piste" che suggerisce a questo riguardo lo stesso autore:
"1. RICONOSCERE, REALIZZARE IL MEGLIO DI SE STESSI. Non ridurti alla tua omosessualità, tanto che essa ti
svilisca ai tuoi stessi occhi ! È solo un aspetto della tua personalità. Non lasciartene ossessionare come se si trattasse
dell'unico problema della tua vita, anche se è importante, e tende perciò a complicare, se non ad avvelenare, la tua vita
di relazione. Puoi avere una sessualità sregolata, un'affettività perturbata, restando tuttavia un essere meraviglioso,
pieno di ricchezze, di doni e di carismi. Per non parlare di ciò che è talvolta il positivo di questa ferita: per i ragazzi, una
certa sensibilità, finezza di percezione, intuitività, senso della bellezza, gusto della pace, amore della preghiera. Per le
ragazze, una buona dose di coraggio, temerarietà, audacia, spirito di iniziativa Questi molteplici doni possono essere
messi al servizio di Dio e degli uomini. Punta dunque sul meglio di te; guarisci la parte malata a partire dai tessuti sani,
come fa il buon medico! Ci sono in te tante altre cose oltre l'omosessualità! Cerca in te tutto ciò che non è turbato: tutte
queste qualità neutralizzano il resto.
2. DONARSI AGLI ALTRI DIVENTANDO "ALTRO". Esci dunque dal tuo isolamento, sii attivo, fuggi dalla regione
dell'inattività e dei sogni. Oltrepàssati per ritrovarti in verità! Cerca contatti, incontri, scambi. Conosco persone la cui
omosessualità è diventata nettamente meno costrittiva, si è calmata, se non quasi spenta, semplicemente perché si sono
votate al servizio di persone toccate da un handicap, fisico o psichico; o sono partite per dare il meglio di se stesse nei
Paesi poveri.
3. VIVERE L'AMICIZIA COME UN BELL'AMORE. Un campo in cui puoi dispiegare il meglio di te è l’amicizia. In
tutti i campi della vita umana, aver perduto il senso stesso dell'amicizia è uno dei drammi del nostro moderno mondo
occidentale. Questo ‘amore d'amicizia’ - che si contrappone all’’amore di bramosia’ - tanto lodato, esaltato dagli antichi
in tutte le vere civiltà umane. Amore vero in cui si é pronti anche a dare la propria vita - e talora la si dà davvvero - per
l'essere amato. Ma il nostro mondo ipnotizzato dall'erotismo, ossessionato dal profitto, stregato dal godimento, ha
ucciso le belle amicizie. Bisogna prendere il tuo bisogno d'amore ‘a monte’, prima che diventi sessuale. Il tuo cuore è
fatto per dare amore, e per riceverlo. Questo incontenibile movimento di tutto il tuo essere, non lo devi rinnegare,
comprimere, ancor meno amputare. Ma devi dargli indicazioni di rotta, devi correggerlo, purificarlo, ‘desessualizzarlo’.
Ciò non vuol dire che, tuo cammino per uscirne, debba corazzarti, indurire il cuore. Al contrario: cerca le piste su cui il
tuo cuore possa esprimersi senza essere ‘messo in cortocircuito’ dal corpo... Una relazione può essere perfettamente
autentica senza implicare per forza un rapporto sessuale. Con persone dell'altro sesso ciò è chiaramente più facile e
spesso fonte di grande equilibrio. Conosco molti ragazzi omosessuali che vivono con ragazze un'amicizia profonda,
franca, libera da ogni espressione ed anche da ogni secondo fine sessuale (e a ragione! ). Campo di scelta che può
strapparti alla solitudine, apprendistato di una libertà e di una gratuità forse finora insospettate. Quali ricchezze puoi
valorizzare, in questo modo... Con quelli del tuo stesso sesso, cerca di liberarti da interferenze sessuali, anche se ciò non
è mai facile.
4. DI FRONTE ALL'IPER-EROTISMO, IL SUPER-EROISMO. Dio potrà anche darti la forza di riconquistare la tua
libertà in rapporto al partner con il quale tu forse vivi. Ma non si può farlo immediatamente (in certi casi può essere
pericoloso per lui e per te). Bisogna aspettare che vi sia un altro amore a riempire a poco a poco te e, se possibile, anche
il tuo partner, di una gioia segreta, di una felicità ignorata fino allora. Può trattarsi di un lungo cammino; ma a quali
meravigliose liberazioni non potrà portare. Ho conosciuto giovani che, desiderando vivere la gioia del Vangelo, hanno
avuto il coraggio - persino l'eroismo - di porre termine ai loro rapporti fisici - o a ridurli molto - fino ad abitare
separatamente, pur restando amici, ma ora in profondità. E talvolta, al servizio dello stesso Regno. La loro amicizia,
approfondendosi, si è a poco a poco liberata dai condizionamenti sessuali che la mantenevano ad un livello superficiale.
Allora si passa dall'amicizia sessuale, che consuma l'altro, all'amicizia nella gratuità: rinunciando alla dimensione
‘pseudo~coniugale’. Si incomincia ad amarsi come figli di Dio, cioè: come sorelle o fratelli dello stesso sangue...
Significa restituire all’altro la sua libertà interiore, permettergli di crescere, di diventare se stesso".
In pratica dunque, l’unica cosa che si deve presentare all’omosessuale come a lui preclusa, perché
proibita dalla morale, è l’esercizio fisico della sua sessualità, facendogli anche capire che questa
non è una discriminazione nei suoi confronti, in quanto la stessa richiesta è fatta per tutti coloro che
non sono nella condizione della coppia sposata (celibi, vedovi, ecc.).
Peraltro, a questo punto è chiaro che anche un omosessuale può vivere pienamente la sua vita ed
essere "degno" di svolgere qualsiasi funzione in seno alla Chiesa e alla società (compresa quella
dell’educatore, nella misura in cui, avendo piena coscienza del suo stato, sa porre la massima
attenzione a che esso non influisca negativamente come "modello" sui suoi discepoli). A patto però
che egli ricerchi, come tutti, la sua continua crescita umana e cristiana, nel sempre maggior
rispetto della legge morale, usando di tutti gli strumenti della grazia.
Condizione di partenza per poter attuare tutto ciò, è che sappia essere "autentico"; cioè che, per la
sua stessa dignità e per rispetto di sé, non voglia scimmiottare una falsa coppia sponsale, e
tantomeno genitoriale.
Dello stesso autore: A immagine di Dio, cioè uomo e donna. Uno sguardo al matrimonio Ed. Effata