Marocco*

Transcript

Marocco*
Coordinamento editoriale
Alessandro Vaccari
Esperienze
internazionali
Supervisione
Anna Clementino, Carla Graziano
Marocco*
di
Giorgio Gigliotti
«
Spinn - Servizi per l’impiego network nazionale - è il progetto
che Italia Lavoro realizza, nell'ambito del PON 2000 - 2006,
per conto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali
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Indice
Prefazione
(L. Battistoni)
Capitolo I
Carta d’identità del Marocco
1. Scheda sintetica
2. Profilo storico e politico
2.1 Fenici, Romani, Vandali e l’invasione araba
2.2 Le grandi dinastie del Marocco:
dagli Idristi agli Alawiti
2.3 L’ingerenza dell’Europa coloniale e il protettorato
francese
2.4 Verso l’indipendenza: Mohammed V
2.5 Hassan II: 38 anni di potere
3. Organizzazione istituzionale dello Stato
3.1 Mohammed VI verso le riforme politiche
3.2 Gli istituti costituzionali
3.3 Amministrazione e Governo
Capitolo II
Economia e occupazione
1. Mohammed VI. Verso un’economia di mercato
2. Struttura dell’economia e settori produttivi
2.1 Agricoltura e industria
2.2 Altri settori produttivi
2.3 Bilancia commerciale import-export
3. Occupazione e disoccupazione
I° edizione luglio 2005
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Capitolo III
Mercato del lavoro
1. Caratteristiche del mercato del lavoro
1.1 Cenni di politica economica
1.2 Analisi dei flussi occupazionali:
offerta e domanda di lavoro
1.3 Il Codice del lavoro
1.4 Politiche per il lavoro
1.5 Politiche per l’occupazione e formazione professionale
1.6 Il sistema scolastico e formativo
Capitolo IV
Relazioni internazionali
1. Relazioni con organismi internazionali
2. Relazioni con l’Italia
3. Flussi migratori
3.1 Il fenomeno dell’immigrazione nella storia
3.2 Il Marocco e il problema migratorio
3.3 Flussi migratori e Unione europea
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Appendice
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Bibliografia e pagine web consultate
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Prefazione
L'allargamento dell'Unione europea - processo che continua
con gli ingressi oramai prossimi di Romania e Bulgaria - e le opportunità
offerte dalla vicinanza delle economie emergenti del bacino del Mediterraneo e dei Balcani, impongono all'Italia di prepararsi ad affrontare in
maniera efficace la mobilità transnazionale dei lavoratori e la delocalizzazione delle imprese. Si fa sempre più pressante la necessità che il nostro
sistema produttivo e il mercato del lavoro si dotino degli strumenti per
affrontare in maniera costruttiva le sfide poste dalla globalizzazione.
In un contesto dove, tra gli obiettivi più importanti, abbiamo il
calo della disoccupazione e la capacità di assicurare occasioni lavorative
al maggior numero di persone, il nostro Paese deve quindi continuare
lungo il cammino intrapreso dell'abbandono dei sostegni al reddito - tipico strumento di politica passiva - per incentivare invece l'ingresso nel
mercato del lavoro. Un cammino diretto sempre più verso le politiche
per l'occupabilità, che stimoli gli investimenti in capitale umano e innovazione, puntando sugli strumenti di supporto all'orientamento e alla
formazione, e sul sostegno alla ricerca per aumentare la qualità dei processi, dei prodotti e dei lavori.
L'Italia condivide questa sfida sia con i suoi partner europei
sia con il resto del mondo. Ma per posizione geografica e storia, il no-
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stro Paese è al centro di un più vasto processo di integrazione tra i popoli, che investe sia il Vecchio Continente sia i Paesi che si affacciano
sul Mediterraneo.
In quest'ottica diventa fondamentale la conoscenza delle dimensioni economiche e sociali non solo dei Paesi dell'Unione europea e di quelli che
sono prossimi all'ingresso, ma anche della situazione dei Paesi che si
trovano nel bacino del mediterraneo e nell'area dei Balcani. Conoscenza
sempre più importante - sia per il Governo centrale e per il Ministero del
Lavoro e delle Politiche Sociali, che per i diversi attori del territorio quali
Regioni e Province - per avvicinare e far dialogare i Servizi per l'impiego
pubblici e privati, i sistemi di inserimento lavorativo e i servizi alla persona e alle imprese, facilitando così la mobilità dei lavoratori nell'Unione
o all'interno di altre economie europee o extra europee.
E' allora proprio guardando a questi obiettivi che la collana di
Esperienze Internazionali di SPINN - Servizi per l'Impiego Network Nazionale - sviluppa la sua missione e si rafforza, affermandosi come
strumento indispensabile per conoscere sistemi sociali e realtà economiche e politiche diverse, con particolare riguardo alla politiche per
l'occupazione.
alle aziende italiane ed europee. Hassan II, primo firmatario, ha dato
inizio a un progetto più ambizioso, l'idea di aprire un'area di libero
scambio euro-mediterranea. In questa direzione va anche letta l'intensificazione delle relazioni commerciali tra le tre nazioni del maghreb e i
paesi dell'Europa centrale ed orientale (PECO) e con i quattro membri
dell'AELE, Svizzera, Norvegia, Liechtenstein e Islanda.
Con questa prospettiva ci apprestiamo ad illustrare la storia, le vicende
politiche e la situazione economica dei tre paesi maghrebini, così vicini
e poco conosciuti, dal fascino orientale ma con radici ed origini comuni
Un particolare ringraziamento va all'ICE - Istituto per il Commercio Estero - il cui prezioso materiale ci è stato molto utile
soprattutto nella parte concernente le relazioni internazionali e l'interscambio commerciale dell'Italia con i Paesi presi in esame.
Lea Battistoni
Dopo i dieci nuovi Stati che hanno aderito all'Ue il primo
maggio del 2004, vengono affrontati i primi Paesi prossimi all'ingresso, alcuni paesi dell'area balcanica e tre Paesi dell'Africa del nord:
Marocco, Tunisia ed Algeria.
I tre paesi del Maghreb hanno intrapreso da un decennio, con
tempi e modi differenti, un processo irreversibile, la riconversione della
propria economia. Come suggerito dalla Banca Mondiale e dal Fondo
Monetario, Algeria, Marocco e Tunisia hanno avviato l'atteso processo di
privatizzazione del mercato, riformulato il sistema degli interscambi
commerciali con l'Europa, con la speranza che il programma di aggiustamento strutturale sia seguito da un'effettiva democratizzazione delle
istituzioni.
I nuovi trattati firmati con la UE che prevedono tra l'altro lo
smantellamento progressivo delle quote e dei dazi doganali per molti
prodotti agricoli e industriali, aprono nuove prospettive alle imprese e
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1.Carta d’identità del Marocco
FIN
S
EST
IRL
LV
DK
1. Scheda Sintetica
LT
GB
NL
PL
B
D
L
Forma di governo
Monarchia costituzionale
Composizione etnica
Arabi 63%, berberi 36%, 1% altro
Stemma
Religione
Musulmani sunniti 98,7%, cristiani
1,1%, ebrei 0,2%.
Bandiera
Città principali
Casablanca (2.500.000 ab.), Tangeri (200.000 ab.), Marrakech
(1.400.000), Fez (850.000 ab.),
Meknes (825.000 ab.).
CZ
SK
F
A
H
RO
SLO HR
SCG
P
I
E
BG
AL
GR
M
TN
MA
DZ
Superficie
710.850 kmq
Popolazione
30.088.000 abitanti (luglio 2003)
•
TANGER
RABAT
CASABLANCA
OUJDA
•
•
MEKNÈS
•
•
MARRAKECH
•
FÈS
AGADIR
•
Membro di
ONU, Lega Araba, Unione del
Maghreb Arabo (UMA).
•
Suddivisione amministrativa
16 regioni, 39 province,
8 prefetture.
Capitale
Rabat (1.255.258 abitanti)
Moneta
Leu (ROL), suddiviso in 100 Bani
Lingua
Arabo (ufficiale), francese, berbero
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2. Profilo storico e politico
2.1 Fenici, Romani, Vandali e l’invasione araba
Nel VII secolo d.C. l’incontro tra la popolazione berbera e
l’etnia di origine araba ha portato a una lenta e graduale formazione di
quegli stati che si affacciano sul Mediterraneo e che noi oggi chiamiamo
Libia, Tunisia, Marocco ed Algeria. La conseguente islamizzazione della
regione ha fatto sì che l’Islam diventasse non solo una semplice religione ma un intimo esercizio spirituale e che ne permeasse profondamente
la cultura, le tradizioni, le relazioni sociali. L’Islam negli ultimi due secoli
è diventato l’unico vero baluardo contro il colonialismo europeo, quel
valore intorno a cui si è coagulato lo spirito di identità nazionale e che
ha fatto di un insieme di etnie differenti il popolo del Maghreb.
I primi insediamenti umani nella regione risalgono al 15.000
a.C., quando due gruppi neolitici, gli Oraniani, chiamati così dalla città
algerina di Orano in cui furono trovati i primi resti, e i Capsiani, provenienti dall’odierna Gafsa nel sud della Tunisia, si unirono alle tribù
autoctone dando origine all’etnia berbera, quella che tutt’oggi occupa i
vasti territori montagnosi degli Atlas maghrebini.
Tra il X e l’VIII secolo, quando il Mediterraneo fu dominato dalla potenza marinara dei Fenici, si sviluppò una fervente attività mercantile. Sulla
costa nordafricana si attrezzarono porti, nacquero nuclei cittadini che
poi, come Cartagine, diventarono potenze militari ed economiche del
Mare Nostrum. In Marocco a tale scopo furono fondate le città di Lixos e
di Tangeri.
Durante il secolo seguente, con il progressivo decadimento
della civiltà fenicia e con l’espansione militare dell’ex colonia tunisina,
le coste e i centri marinari continuarono a rimanere il fulcro degli interessi bellici e commerciali del mondo conosciuto.
I Mauri estesero indisturbati la propria autorità su gran parte dell’interno, fondando nel IV secolo il regno mauritano. Alla fine dell’ultima guerra punica, quando Roma divenne l’unica grande potenza del
Mediterraneo, il regno di Mauritania continuò a mantenere la propria
indipendenza. Fu il re Bocco II aiutato dai Romani ad ampliare il proprio
dominio sull’intero Marocco e su buona parte di Algeria.
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Tra la fine del primo secolo a.C. e l’inizio di quello successivo, il regno
mauritano passò dallo stato di vassallaggio a quello di provincia
dell’Impero romano e fu suddiviso in Mauritania cesariense (l’odierna
Algeria) e Mauritania tingitana (l’attuale Marocco) con capitale Tangeri.
Nonostante la romanizzazione della regione, la costruzione di ponti, di strade e di fortezze, sembrò già delinearsi quella che sarebbe divenuta la costante della
storia del Marocco: l’aspra resistenza che i berberi
avrebbero opposto alle invasioni straniere.
Abbarbicate tra le montagne dell’Atlas e nella regione del Rif,
molte tribù indigene mantennero di fatto una propria indipendenza.
Costantino, in seguito, annesse la provincia tingitana alla diocesi spagnola, ma oramai, iniziato il lento e inesorabile declino dell’Impero romano, la Mauritania tingitana iniziò lentamente ad essere
abbandonata e solo Tangeri rimase un fermo caposaldo dell’Urbe.
Nel 429, i Vandali conquistarono l’intera provincia romana, federandosi
successivamente all’Impero. Ma già dopo qualche decennio, le popolazioni berbere ricacciarono gli invasori oltre il confine che delimitava il
vecchio regno mauritano. Il generale Belisario prima e successivamente
l’imperatore di Bisanzio Giustiniano, riannessero la provincia e gran parte del Mediterraneo sotto l’egida dell’Impero romano d’Oriente, limitandosi come gran parte degli invasori precedenti ad esercitare la propria
autorità sulla città di Tangeri.
Nel 682 il generale arabo Oqba Ibn Nafi, dopo aver conquistato
l’Egitto e tutte le regioni nordafricane, arrivò a lambire le coste atlantiche. Già l’anno successivo le tribù berbere ricacciarono gli arabi da tutto
il Maghreb. Solo nel 710 l’esercito dal drappo verde occupò nuovamente
la regione. Se la storia dell’intero Nord Africa si combinò definitivamente
con quella del mondo arabo non fu solo merito delle armi.
La religione islamica professata dai nuovi dominatori si
diffuse profondamente nel Paese e numerose tribù berbere affluirono nell’esercito del Profeta contribuendo alla vittoriosa campagna di Spagna.
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E se da un lato le bellicose popolazioni del Rif si sottomisero
all’autorità spirituale del califfato, dall’altro combatterono contro la dominazione e l’ingerenza politica della lontana Baghdad.
Successivamente, quando la dottrina Kharagita (che predicava un profondo puritanesimo morale) invisa alla potente dinastia al potere, gli
Omayyadi, si diffuse nella regione, le tribù delle montagne guidate dal leggendario Maysarta allontanarono nuovamente gli arabi da tutto il Maghreb.
Una volta riconquistata buona parte del Nord Africa, l’esercito dei califfi
dovette rinunciare al Marocco per quasi 5 secoli, segnati dall’alternarsi
al potere delle grandi dinastie berbere.
Nella prima metà dell’ VIII secolo, a Baghdad si era aperta una
cruenta lotta per la conquista del potere tra la famiglia degli Omayyadi,
allora regnanti e quella degli Abbasidi, che nel 750 riuscirono ad imporre la propria egemonia. Molti membri della dinastia sconfitta dovettero
rifugiarsi all’estero. Tra questi Moualay Idriss, discendente di Alì (a cui
facevano riferimento i Kharagiti, cugino e genero del Profeta), che fuggito in Marocco stabilì un’alleanza con i capi berberi della regione.
2.2 Le grandi dinastie del Marocco: dagli Idristi agli Alawiti
In poco tempo Idriss riuscì a costituire un vero e proprio regno, fondando la città di Fès che divenne la capitale politica nonché
centro intellettuale e religioso di notevole prestigio. Ripresero a svilupparsi gli scambi commerciali e si riorganizzò la struttura amministrativa
dello stato.
La dinastia Idrista controllò il potere fino alla fine del 900, quando, i
Fatimidi, la famiglia che regnava su buona parte del Nord Africa (un principato sorto dalla frammentazione dell’impero arabo), per conquistare
l’estremo lembo del Maghreb, inviò un esercito composto da beduini del
deserto che per breve tempo riuscirono a conquistare la capitale Fès.
All’inizio del X secolo un movimento di rinnovamento religioso,
che predicava il ritorno alla purezza delle origini, sviluppatosi inizialmente nella tribù dei Sanhagia riuscì in meno di trent’anni a riunificare sotto
la propria autorità l’intero Marocco, l’Algeria, la Tunisia e il Senegal.
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Ebbe inizio l’epoca degli Almoravidi, passati alla storia
come i monaci-guerrieri. Nel 1062 venne fondata
Marrakech che sarebbe diventata la capitale del regno.
In nome dell’Islam gli Almoravidi entrarono nella penisola iberica sconfiggendo l’esercito di Alfonso VII di Castiglia e occupando gran
parte della Spagna centromeridionale.
Le arti vissero un momento di grande rinnovamento, Marrakech diventò
un centro propulsore di istruzione e di sapere, un crocevia tra la cultura
andalusa, sahariana e marocchina.
Come tutte le dinastie precedenti anche quella Almoravida visse la sua
decadenza legata all’incapacità e alla dissolutezza dei suoi regnanti.
Ad approfittarne fu una tribù berbera proveniente dagli Atlas
settentrionali, quella dei cosiddetti Almohadi, che nel 1147 sotto la guida di Abd el Moumen conquistarono Marrakech deponendo l’ultimo
degli Almoravidi.
Abd el Moumen è ricordato come un grande statista. Ristrutturò e riorganizzò l’amministrazione pubblica, creò una potente flotta mercantile,
costruì strade e palazzi.
La corte si fregiò di grandi artisti, di filosofi, di eminenti scienziati, primo
fra tutti il famoso Averroè. Si abbellirono le città del regno erigendo
monumenti importanti come la Koutoubia a Marrakech e la Giralda di
Siviglia.
Nel 1212 con la sconfitta di Las Navas de Tolosa, la Spagna fu
definitivamente lasciata in mano alle truppe dei cristiani. Resistette solo
il regno di Granada. Il Maghreb iniziò a disgregarsi dando luogo a quelle
entità statuali che sarebbero diventate in seguito le odierne Tunisia, Marocco ed Algeria. Dopo la successiva perdita delle rotte del Sahara, nel
1248, la tribù dei Beni Merin, entrò a Marrakech e si insediò al potere.
La dinastia Merinide che regnò fino al 1465, è ricordata per il grande
impulso dato alle opere architettoniche ed artistiche più che per meriti
strettamente politici e militari.
Con Abou el Hassan, si diffuse l’arte ispano-moresca. Si
costruirono le famose mederse (scuole coraniche), tra
cui la bellissima università Attarin di Fès.
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Verso la fine del regno Merinide, iniziarono le prime penetrazioni europee sul suolo marocchino.
I Portoghesi occuparono Ceuta nel 1415 sbarcando successivamente ad Anfa
mentre l’intera zona di Tetouan fu alla mercé delle scorribande spagnole.
La caduta del regno di Granada e l’avanzata delle truppe portoghesi
lungo le coste atlantiche che arrivarono fino ad Agadir, portò alla destituzione dei Merinidi.
Caduta la dinastia Wattaside che salì al potere per appena qualche
decennio, dopo quasi cinque secoli di reggenza berbera, il potere passò
a una famiglia di etnia araba.
I Saaditi, originari della valle del Souss, dopo aver conquistato
Marrakech e Fès nel giro di 30 anni (1554), espugnarono Agadir, Safi e
Azemour, ricacciando i Portoghesi da buona parte del Paese.
Nonostante il largo consenso ottenuto dai Saaditi, acclamati vincitori
della jihad contro il nemico cristiano, il loro regno diventò teatro di
un’aspra guerra civile.
Gli Ottomani, che avevano riunificato l’Impero arabo, passando
la capitale ad Istanbul, avevano organizzato un colpo di stato per deporre il sultano Al Mutawwaki e di fatto unire il regno del Marocco al nuovo
grande impero. Dalla parte del sultano spodestato si schierò il re del
Portogallo preoccupato per l’avanzata dei Turchi nei Balcani. Nella famosa battaglia denominata dei tre re persero la vita tutti i contendenti.
Ahmed al Mansur, approfittando del vuoto di potere venutosi a creare a
Marrakech, con l’aiuto di parte della corte salì sul trono, divenendo ben
presto uno dei sovrani più importanti nella storia del Marocco.
All’inizio del suo regno (1579-1603), la riconquista della rotta del Sahara, la caduta dell’impero del Mali e l’espugnazione di Timbuctu portarono notevoli ricchezze nelle casse dell’erario. Gli esuli arabi ed ebrei che
tornarono dalla Spagna dopo la riconquista cristiana del Paese ravvivarono la vita economica e culturale del Paese.
I Saaditi proseguirono l’opera dei loro predecessori, costruendo palazzi
riccamente decorati e Marrakech, capitale del regno, ne conserva ancora
le vestigia. L’artigianato, l’agricoltura e il commercio con l’Europa, soprattutto con Olanda e Gran Bretagna, ebbero un notevole sviluppo, si
rafforzò l’esercito, si avviò un’importante riforma fiscale.
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Ma alla morte del sultano, per quasi sessant’anni il Paese fu teatro di turbolenze e agitazioni, fin quando nel
1669 Moulay Rachid, della famiglia Alawita, proveniente
dal Tafilalet, conquistò la capitale. Salì al potere quella
dinastia che ancora oggi regna in Marocco.
A Moulay Rachid caduto vittima di un attentato, successe il fratello Moulay Ismail che resse il sultanato per più di 50 anni, fino al 1727.
Ismail è considerato uno dei più grandi sovrani del Marocco, nonostante
il lungo periodo della sua reggenza sia stato segnato da tumulti, guerre
e repressioni. Soffocò con veemenza le sommosse organizzate dalle indomite tribù berbere del Rif e degli Atlas, arrestò la penetrazione turca e
cristiana riconquistando molte delle città perdute lungo la costa atlantica, ricorrendo al suo esercito personale formato da uomini del Sud, passato alla storia come la famigerata Guardia Nera.
Ondivago in politica estera, intrattenne rapporti diplomatici con Gran
Bretagna e Francia, per poi interromperli proprio con quest’ultima e con
la Spagna. Trasferita la capitale a Meknes, costruì il nuovo palazzo imperiale: uno dei più belli che il mondo conosca.
2.3 L’ingerenza dell’Europa coloniale e il protettorato francese
Alla morte di Ismail, si aprì l’ennesimo periodo di instabilità all’interno del Paese. L’ingerenza sempre più sfrontata delle potenze coloniali, soprattutto della Francia che dall’avvio dell’Ottocento aveva
attestato le sue truppe in Algeria, portò a un bombardamento su Tangeri
per l’aiuto accordato dal sultano Abderramman alla resistenza dei vicini
maghrebini.
Dopo un breve periodo di rappacificazione politica e di riconciliazione
nazionale dovute all’abile governo di Sidi Mohammed Ben Abdallah, il
Marocco sprofondò in una profonda crisi economica e sociale causata
dalla diminuzione dei traffici commerciali con l’Europa e da una serie di
disastrose epidemie che falciarono decine di migliaia di abitanti.
Nel 1873 salì sul trono Moulay Hassan. Il suo tentativo di riordinare
l’amministrazione dello stato, di riorganizzare la riforma fiscale, di ricostituire l’esercito e di ridurre la presenza economica del capitale straniero
nel Paese fallì miseramente. Le casse del Marocco languivano da anni e
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la decisione di costruire una serie di fortezze lungo i confini del reame
spossò ulteriormente le finanze del Paese.
Il sultano fu costretto a chiedere sussidi alle potenze occidentali, offrendo a Francia, Spagna e Gran Bretagna l’ennesimo pretesto per interferire
negli affari dello stato.
Iniziarono così i lucrosi approcci coloniali. Spagna e
Gran Bretagna impiantarono le prime attività industriali
lungo le rive dell’Atlantico.
Già nel 1880 la Conferenza di Madrid stabilì, con un trattato
promulgato in tutta fretta, un ulteriore legame commerciale tra le potenze coloniali ed il regno sceriffale.
Nel 1912, il seguente negoziato sancì il protettorato francese sul Marocco e l’anno successivo gli accordi tra i francesi e gli spagnoli di fatto
spartirono in due il Paese: la Spagna ebbe la fascia costiera del Nord e
parte dei territori meridionali del Sahara, la Francia il resto del reame.
Alla fine del XIX secolo, l’occupazione francese in Tunisia provocò la reazione dell’Italia. Inoltre le sue mire sull’Egitto le avevano causato contrasti e dissapori con la monarchia britannica. Dal canto suo, la
Germania non nascondeva le sue mire espansionistiche sul Marocco urtando gli interessi della Spagna e della Francia.
Questo rapace e confuso disegno coloniale, che si sarebbe concluso con
la mera spartizione del Nord Africa, portò sull’orlo di una crisi spaventosa, che sfiorò in taluni casi un faccia a faccia militare (come nel 1911 tra
francesi e tedeschi sul suolo marocchino), finché il trattato stipulato nel
1906 ad Algesiras e l’intesa siglata a Fès nel 1912 portarono ad un accordo conclusivo che fece dell’ormai smembrato Impero ottomano il
giardino delle cupidigie dell’Europa.
L’Inghilterra si insediava in Egitto, l’Italia in Libia, la
Francia in Tunisia e in Algeria, la Germania in Congo e in
Camerun. Il Marocco veniva smembrato in due compartimenti amministrati dalla Francia e dalla Spagna.
Il trattato di Fès prevedeva che la Francia rappresentasse il
Paese maghrebino al di fuori dei confini nazionali e che difendesse l’in-
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tegrità delle frontiere, ma ben presto fu chiaro che i francesi gestivano
gli affari dello stato e che il sultano era diventato un burattino in mano
alla potenza coloniale.
Se è vero che durante i primi anni di occupazione, grazie al generale
Lyautey, la Francia si astenne dall’ingerenza diretta negli affari interni
del Marocco, mirando alla modernizzazione dello stato, costruendo
quelle infrastrutture necessarie per sfruttare al meglio le risorse del Paese, in seguito con l’afflusso sempre più cospicuo di immigrati (alla fine
del ventennio i francesi erano più di 100.000) l’arroganza coloniale prese il sopravvento.
L’idea di assimilazionismo già peraltro collaudata all’interno del Maghreb, portò il governo di Parigi in nome di un misanderstanding storico (l’applicazione sul campo dell’ideale di uguaglianza tra i popoli che
poi si sarebbe concretizzato in un’omologazione di leggi tra la potenza
madre e la colonia, ignorando le differenze culturali e storiche tra i due
stati) ad annichilire la cultura, i valori religiosi e la storia del Paese.
In questa circostanza l’Islam funse da baluardo contro l’invasione culturale occidentale, si erse a difesa della propria identità nazionale, il solo
collante che sarebbe riuscito a tenere insieme il fronte autonomista, riunendo interessi economici e sociali, etnie e classi differenti.
Il governo spagnolo, concentrando invece i propri sforzi economici e militari nelle grandi città della costa, aveva abbandonato in
uno stato di degrado le regioni del Sahara e le zone interne del Rif, che
di fatto mantenne una sorta di bellicosa indipendenza. Il pessimo stato
economico in cui versava la popolazione portò le tribù berbere della regione ad una rivolta che durò 5 anni, alla cui testa si impose la straordinaria figura di Abd al Krim. Lo stesso Abd al Krim fondò una
repubblica indipendente tra le montagne dell’interno. Solo nel 1926, la
Spagna riuscì a ristabilire la propria autorità con l’aiuto delle truppe coloniali della Francia.
Se da un lato l’appartenenza alla cultura musulmana fu per il regno sceriffale il ritrovato motivo d’identità nazionale che portò al rifiuto della
politica di assimilazionismo, dall’altro, tale status fu l’obiettivo dell’azione dei francesi.
Fu così che nel 1930 l’amministrazione di Rabat promulgò un decreto
con il quale vennero istituzionalizzate alcune consuetudini tribali, retaggio dei gruppi berberi degli Atlas, con l’intento di separare sul piano
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giuridico e culturale le stesse popolazioni berbere da quelle di etnia
araba, fedeli alla legislazione dell’Islam.
2.4 Verso l’indipendenza: Mohammed V
Il decreto di Rabat mise a repentaglio l’unità della nazione musulmana. In tutte le mederse, i giovani studenti si opposero fermamente
all’intollerabile ingerenza dell’amministrazione coloniale negli affari del
Paese. Anche quella parte di intellettuali del Marocco, affascinati dalle
teorie liberali e democratiche della Repubblica francese si unirono nella
lotta contro l’occupazione coloniale. Giornali nazionali come L’Action du
Peuple ampliarono l’eco della resistenza marocchina. Il bislacco tentativo
da parte del governatorato di Rabat fallì miseramente e il decreto venne
ritirato.
Intanto le proteste avevano generato un influente movimento d’opinione
che nel ’34 si era raccolto intorno a un circolo chiamato Comitato d’Azione Marocchino. Il Comitato, in una carta programmatica fatta pervenire al
governatore francese, ispirandosi a quella presentata nei distretti amministrati dalla Spagna, esigeva l’attuazione delle istanze reclamate, dei diritti politici e civili.
Nonostante la sinistra avesse vinto le elezioni in madrepatria ed enunciasse un’indubbia apertura liberale, la Francia si attestava sulle proprie
posizioni continuando a perseguire una politica sfibrante, sperimentata
già negli altri possedimenti coloniali.
Alla liberazione di numerosi detenuti politici e alla tollerata riapertura dei
giornali indipendenti seguì lo scioglimento nel 1937 del “Comitato
d’Azione”. Dalle sue ceneri nacquero due gruppi, il Movimento Popolare
di Hassan Al Wazzani e il Partito Nazionalista di Allal al Fasi. Nello stesso
periodo iniziarono sommosse in tutte le principali città del Paese che
portarono ad uno stretto giro di vite da parte dei francesi.
Contemporaneamente alla diffusione delle dottrine panarabe e
panislamiche, scoppiò la seconda guerra mondiale e il Marocco diventò il
protagonista del riscatto alleato in territorio africano. Nel ’42 gli angloamericani sbarcarono sul suolo marocchino e nel ’43, grazie alla Conferenza di Casablanca, Stati Uniti e Inghilterra organizzarono l’offensiva
contro l’asse italo-tedesca in un’Europa devastata.
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Nonostante il Presidente Roosvelt in persona avesse promesso al sultano
Mohammed V, salito al trono nel ’27, che gli USA avrebbero fatto rispettare il diritto all’autodeterminazione dei popoli e che gli stessi principi
avrebbero ispirato gli alleati durante la lotta contro la dominazione tedesca, la situazione per il Marocco non cambiò.
Intanto nel ’43 nasceva il partito dell’Istiqlal in cui l’anno successivo
avrebbe militato l’odiato-amato Ben Barka. Il partito reclamava formalmente la fine del protettorato della Francia e della Spagna e l’indipendenza del Paese.
L’alleanza tra l’Istiqlal e Mohammed V aveva generato un fronte compatto dell’intera opposizione. Il sultano aveva rifiutato di firmare un decreto
emesso dalle autorità francesi che in parte concedeva, ma al tempo stesso snaturava, le richieste politiche formulate dell’Istiqlal. Allo scopo di dividere il fronte unitario del movimento nazionalista la Francia tentò
dapprima un accordo separato col sultano e poi, sostenendo i privilegi
del grande latifondo, provò a mobilitare le forze più retrive del Paese.
Falliti i due macchinosi tentativi e tramata una congiura di palazzo, i francesi costrinsero all’esilio Mohammed v, sostituendolo con il
più duttile nipote Ben Arafa. L’ultima disperata controffensiva della autorità coloniale. Dopo una stagione incandescente, segnata da sommosse
e rivolte popolari che si estesero dalle zone berbere ai sobborghi cittadini, la Francia fu costretta nel 1955 a far rientrare il sultano dall’esilio e
appena un anno dopo il 2 marzo 1956 a firmare l’accordo che avrebbe
sancito l’indipendenza.
Come avvenuto in Tunisia e soprattutto in Algeria, i francesi
conservarono ancora a lungo i propri privilegi, difendendo gli interessi
strategici, economici e militari nel Paese. Un mese dopo, il Marocco stipulò un secondo accordo grazie al quale la Spagna lasciò tutti i territori
occupati tranne l’enclave di Ifni, Ceuta e Melilla e naturalmente fino al
1975 i territori del Sahara Occidentale.
Mohammed V a partire dal 1956 si trovò a regnare su uno stato
ricco di infrastrutture civili e con un’economia in rapida espansione. La
sua popolarità in ascesa e la Carta Regia emanata nel 1957 gli conferivano ampi poteri, in assenza di una vera e propria Costituzione.
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Volendo rafforzare ulteriormente il suo potere personale, Mohammed V
provò a ridimensionare l’ingerenza dell’Istiqlal negli affari dello stato, il
partito nazionalista che aveva espresso tutto il suo potenziale durante la
lotta d’indipendenza e che rimase l’unico soggetto in grado di contrastare la sacra autorità.
Nonostante il leader dell’UNFP si proclamasse estraneo all’intrigo di palazzo, dopo un rapido processo, fu condannato a morte in contumacia.
L’esponente del dissenso, a due anni dall’inizio dell’esilio venne misteriosamente assassinato. Tale episodio portò per un breve periodo alla
rottura delle relazioni diplomatiche tra la Francia ed il Marocco.
Nel ’58 fu nominato Primo Ministro Ahmed Belafrej, un moderato filomonarchico in lotta all’interno del partito con Ben Barka, esponente dell’ala più oltranzista. Assicuratosi l’appoggio del Marocco berbero e
rurale, promettendo di difenderne diritti e tradizioni culturali, il re si adoperò affinché si componesse un nuovo partito contrapposto all’Istiqlal.
Allo scopo si formò il Movimento Popolare. Nello stesso anno si distaccò
dall’Istiqlal una nuova forza progressista, l’Unione delle Forze Popolari,
fondata dallo stesso Ben Barka.
Mohammed V, nel ’60, si autonominò Primo Ministro facendo diventare
suo figlio Moulay Hassan Vicepresidente del regno sceriffale. Quando il
sultano morì nel 1961, Moulay Hassan divenne re con il nome di Hassan
II. Iniziò un lungo quarantennio che nel bene e nel male segnò la storia
della giovane monarchia nordafricana.
La convulsa fase politica e una serie di violente proteste generate dal clima esasperato venutosi a creare nel Paese indussero Hassan
II a proclamare lo stato d’emergenza, annullando ogni garanzia parlamentare. Tale anomalia istituzionale, che generò proteste in tutto l’Occidente, si protrasse fino al 1970. Nonostante il ritorno alla
normalizzazione e le modifiche apportate alla Costituzione nello stesso
anno e nel 1972, la situazione politica e i disagi sociali in cui versava il
Paese maghrebino portarono alla recrudescenza dei movimenti popolari
culminati con due attentati contro Hassan (sventati nel ’71 e nel ’72),
organizzati dagli alti comandi dell’esercito.
2.5 Hassan II: 38 anni di potere
Trascorso appena un anno dalla sua incoronazione, Hassan II
promulgò la prima Costituzione del Regno del Marocco, in cui vennero sancite le regole e le norme acquisite lungo il corso della storia che facevano
del re un coacervo di poteri illimitati. Lo stesso anno, la Costituzione fu
sottoposta a referendum popolare ed approvata a larga maggioranza.
L’anno successivo, nel 1963, si svolsero le prime elezioni del Marocco,
vinte dal partito monarchico appena istituito, il FDIC, Fronte per la Difesa
delle Istituzioni Nazionali a cui fu affidato il compito di formare il governo del Paese.
L’opposizione, con in testa Ben Barka e il suo UNFP, accusò il
monarca e il suo entourage di brogli elettorali. In un clima arroventato,
fu annunciato un complotto contro il re e Ben Barka, accusato ufficialmente di avere preparato la congiura, fu costretto ad espatriare in
Francia.
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Il preoccupante deficit della bilancia commerciale e la crescita del debito pubblico, dovuti in parte a una congiuntura internazionale sfavorevole (l’aumento dei prezzi del petrolio e di tutti i suoi
derivati industriali di cui il Marocco è un ingente importatore e, al
tempo stesso, il calo dei prezzi dei fosfati, voce importante delle
esportazioni marocchine) accrebbe il malcontento popolare, aggravato
poi dal fallimento del piano di stabilizzazione triennale approvato dal
governo nel 1978.
Dopo 5 anni di stato d’emergenza, Hassan, avviò un periodo di riforme moderate, aprendo nuovi spazi ai partiti
d’opposizione, cercando di dare più equilibrio ad un governo traballante.
Nel 1975, approfittando dell’accordo sancito con la Spagna con
cui venivano affidati a Marocco e Mauritania l’amministrazione del Sahara Occidentale, Hassan II imbastì il caso più eclatante di politique etrangère del suo regno rivendicando l’annessione dell’intero territorio. La
questione appassionò molto l’opinione pubblica marocchina e la nazione
intera si coese intorno al re, dai partiti di destra a quelli di sinistra, dall’esercito alle autorità religiose.
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La questione del Sahara Occidentale non ancora risolta portò il Marocco
ad anni di tensione con la Mauritania, ma soprattutto con la vicina Algeria con la quale era legato da vari trattati di cooperazione, primo fra tutti
l’adesione alla Lega Araba.
L’Algeria appoggiò il movimento per l’indipendenza del popolo Sahrawi,
il Fronte Polisario che arrivò a proclamare nel 1976 la nascita della Repubblica Democratica Araba Sahariana in esilio, reagendo al grande colpo di mano mediatico predisposto da Hassan II, che nel 1975 organizzò
quella che è passata alla storia come la marcia verde: centinaia di migliaia di coloni marocchini invasero pacificamente il vicino Sahara Occidentale.
Dopo fasi alterne e la costruzione di un lungo perimetro di filo
spinato elettrizzato che oggi divide i territori del Sahara Occidentale dalla Mauritania, grazie alla mediazione dell’ONU si è arrivati nel ’99 ad
un’intesa tra le parti. Lo stato marocchino ha accettato che si tenga un
referendum all’interno dei territori disputati. L’ex Sahara Spagnolo dovrà
decidere se far parte del Marocco o proclamare la propria indipendenza.
A cinque anni di distanza dall’intesa, la data della consultazione non è
stata ancora stabilita.
Per scongiurare nuovi malcontenti, dopo la vittoria alle duplici
elezioni (’77 e ’84) dei partiti di governo (con l’affermazione del Raggruppamento Nazionale degli Indipendenti), Hassan II propose un esecutivo di unità nazionale coinvolgendo l’intera opposizione.
Per tutti gli anni Ottanta la severa politica economica adottata dal governo per far fronte agli impegni presi con il Fondo Monetario allo scopo di risanare i conti pubblici, assicurarsi nuovi finanziamenti e
ottenere un credito maggiore in occidente, portò il Paese ad affrontare
un decennio attraversato da forti proteste popolari, creando i presupposti per una rischiosa diffusione della propaganda islamica e del movimento integralista.
Più di un attentato ha disseminato inquietudine e paura nel
Paese lungo il corso degli ultimi 10 anni. Ma il movimento integralista
non è riuscito a trasformare il Marocco in un’arena insanguinata, scossa
dai fremiti di una guerra barbara e incivile, quella che, in appena dodici
anni ha causato 120.000 morti in Algeria.
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Negli anni Novanta il timido processo liberale avviato da Hassan II ha
contribuito a scongiurare lo scadimento della protesta popolare. La liberazione di numerosi oppositori politici, tra l’altro, ha portato il movimento islamico a circoscrivere per buona parte la sua lotta nell’ambito dei
cosiddetti canali istituzionali.
Con questa chiave di lettura si giustificano i 2 seggi conquistati nelle elezioni del 1997 dal partito di formazione islamica MPCD, Movimento Popolare Costituzionale e Democratico e la vittoria elettorale realizzata nel
’97 e nel 2003 dal Blocco Democratico, la coalizione che ricompone tutti
i partiti dell’opposizione di sinistra.
Dal 1998 al 2003, il Primo Ministro marocchino è stato un leader socialista, Abd Arrahman al Youssoufi, segretario dell’Unione Socialista delle Forze Popolari.
Poco prima delle elezioni legislative, il re ha modificato nuovamente la
Costituzione del Paese, rafforzando i poteri del Parlamento, affiancando
alla Camera dei Rappresentanti la Camera dei Consiglieri.
Il Marocco nell’ultimo ventennio ha avviato una politica economica improntata alla liberalizzazione del mercato come richiesto dal Fondo Monetario e dalla Banca Mondiale, e di avvicinamento alla UE.
A settant’anni, nel 1999 Hassan II è morto lasciando in eredità al suo primogenito un Marocco in piena evoluzione economica, politica e sociale
ma con tante contraddizioni e con tanti problemi tra cui doversi districare. Mohammed VI da sei anni siede al trono di Rabat.
3. Organizzazione istituzionale dello Stato
3.1 Mohammed VI verso le riforme politiche
L’ascesa al trono di Mohammed VI ha suscitato attese e aspettative sia in Marocco che nel mondo. Le prime parole pronunciate dal
sovrano rivolte alle masse oppresse e sofferenti, ai disoccupati, a favore
delle riforme politiche, economiche e sociali, della libertà, dei diritti civili e delle donne, condannando gli arresti arbitrari e le torture compiuti
negli anni precedenti, hanno riacceso le speranze, dopo una lunga fase
repressiva attenuata solo in parte dal corso hassaniano dell’ultimo decennio.
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E in effetti a due mesi di distanza dalla presa del potere, il licenziamento
di Driss Basri, per lunghi anni Ministro degli Interni ed eminenza grigia
dell’era Hassan, ha confermato quanto di buono aveva espresso il giovane sovrano.
La nascita della Commissione per la Riconciliazione Nazionale,
che sta indagando sulle illegalità commesse tra il ’65 e il ’99 da servizi e
polizia, ha suggellato l’eclatante rimozione. In un quadro di audizioni,
nell’ambito della cosiddetta Istanza di Equità e Riconciliazione (IER), sono
decine le persone ascoltate che denunciano gli abusi e le violenze di cui
sono state vittime in passato.
Il rientro in patria dopo un lungo esilio della famiglia di Ben Barka, e di
Serfaty, la liberazione di prigionieri politici del calibro del leader islamico
Yassine, continua a far ben sperare.
Il Marocco d’altronde è stato tra i primi paesi firmatari
della Carta Araba, in cui si afferma l'universalità dei diritti umani, garantendo pari dignità a tutti gli individui,
uomini e donne, la libertà di religione, pensiero ed opinione, senza distinzione di razza, sesso e confessione religiosa.
La promessa di difendere le minoranze etniche è stata in parte
mantenuta con la realizzazione di un’istituzione per la difesa della cultura berbera. Per quanto i berberi, che rappresentano circa il 40% della popolazione del Paese, aspirino a riforme strutturali, come per esempio
l’introduzione della lingua imazighen nelle scuole e nella pubblica amministrazione.
Considerando l’alto tasso di analfabetismo che affligge il Paese e che la
popolazione rurale dell’interno, a maggioranza berbera, parla soltanto i
dialetti regionali, possiamo immaginare quanto sia complesso attuare
una riforma organica.
L’approvazione del nuovo Codice di Famiglia (moudawana) ratificato il 16 gennaio 2004 dalla Camera dei Rappresentanti, sancisce la
parità di diritti tra uomo e donna in un Paese ancora caratterizzato da
una società fortemente arcaica, rurale e patriarcale.
Nonostante il Codice sia stato partorito dopo quasi quarant’anni di scontri e compromessi tra le forze politiche e sociali del Paese, sono stati fat-
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ti molti passi avanti. La donna per unirsi in matrimonio deve aver compiuto almeno diciotto anni e decade la previa autorizzazione del padre o
del fratello. Nonostante la poligamia non sia stata definitivamente soppressa, la futura moglie ha la facoltà di impedire che il suo sposo contragga altri matrimoni con una clausola, che quest’ultimo dovrà firmare
prima dell’unione coniugale. Anche la formula del ripudio, strumento
usato esclusivamente dagli uomini, oggi è un diritto acquisito da parte
delle donne.
Se la mannaia della censura durante gli anni Hassan-Basri ha
mostrato più volte la sua lama acuminata, successivamente si è allentata. Molti sono stati i giornali indipendenti vicini ai partiti di destra o di
sinistra che hanno cercato di mantenere a proprie spese un equilibrio tra
“pensiero espresso ed espressione di pensiero”, una forma di autocensura che ha evitato pesanti interventi da parte dell’autorità costituita.
Con Mohammed VI la situazione si è paradossalmente estremizzata. Caduto quel limite precario che la stampa si era imposta nella fase precedente, durante i primi anni di regno del sovrano, gli editoriali infuocati
apparsi sui giornali (il memoriale del leader islamico Yassine su Report,
l’articolo sulle condizioni finanziarie della famiglia reale su Tel Qel) o alcuni servizi andati in onda sulla TV di stato (la prima pagina de Le Journal su cui dominava la foto e l’intervista di Marrakchi leader del Fronte
Polisario) hanno sortito il loro effetto.
Dal sequestro di alcuni quotidiani all’interdizione alla professione o al licenziamento di qualche giornalista, si è passati a formulare
una nuova normativa approvata nel 2002, un codice restrittivo che penalizza la libertà di stampa. La nuova legge consentirà all’esecutivo di
sospendere o sequestrare prodotti editoriali stranieri o nazionali se essi
attenteranno all’istituzione dell’Islam e della monarchia, all’integrità del
territorio o alla morale.
Una nuova sfida si è intanto preannunciata per il Marocco e per
tutto il mondo arabo, la minaccia del movimento integralista islamico. Le
popolazioni islamiche sono le prime a dover subire la brutalità del terrorismo di matrice religiosa. I governi nordafricani e mediorientali dovranno
comunque assumersi le proprie responsabilità davanti al corso della storia.
I regimi autoritari del passato e in alcuni casi del presente hanno soffocato ogni opposizione democratica, hanno impedito per lunghi anni
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l’evoluzione di una società civile (movimenti, associazioni) e fatto crescere il dissenso all’interno dei movimenti religiosi, con le loro capillari interazioni tra moschee, scuole, e associazioni. Movimenti attivi nei quartieri
più poveri delle città, pronti ad aiutare i bisognosi, a sostenere i deboli e
gli oppressi (forte è la presenza del volontariato islamico nel Paese, dalle
bidonville urbane ai sobborghi rurali) portando in molti casi a compimento un’operazione politica travestita da intervento umanitario.
Che il sovrano sia il diretto discendente del cugino del
Profeta, che sia il capo dei credenti o che il rito sunnitamalichita professato nel Marocco induca a moderazione e
tolleranza, non ha impedito che il Paese diventasse
obiettivo di sanguinosi attentati .
Il primo vero atto di terrore è stato realizzato dal movimento
integralista nell’agosto del 1994 quando a Marrakech furono ammazzati
due turisti di origine spagnola. Ma è il 16 maggio del 2003 che il terrorismo islamico ha compiuto il delitto più efferato. A Casablanca 45 clienti
di un caffè, tra arabi e stranieri sono morti dilaniati da una bomba. Il 29
maggio, il re ha annunciato in un discorso a reti unificate: “Da oggi è finita l’era del lassismo”.
In seguito all’attentato di Casà, il 28 maggio del 2003 il Parlamento ha adottato una legge antiterrorismo il cui testo rafforza enormemente i poteri di servizi e polizia. È ritenuto terrorista qualunque atto
premeditato, individuale o collettivo, abbia lo scopo di attentare all'ordine pubblico con il terrore o la violenza. Inoltre il governo ha avviato una
riforma che ha lo scopo di controllare l'operato nelle moschee e nelle
scuole per arginare la propaganda integralista.
Il più grande partito di opposizione oggi è il PJD, Partito Islamico della Giustizia e dello Sviluppo, che alle elezioni politiche del 2002 ha
triplicato i suoi voti ed oggi con i 42 seggi conquistati è la terza forza politica esistente nel Paese. Ma la vera anima del movimento, quella capace di mobilitare le piazze e di sviluppare una sottile rete capillare nei vari
settori dell’intera società, è il Movimento Giustizia e Carità, guidato dallo
sceicco Abd al Salam Yassine, più volte incarcerato, una formazione tollerata ma non legalizzata che si colloca tra il PJD e il radicalismo islamico.
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3.2 Gli istituti costituzionali
Il Regno del Marocco è uno stato sovrano musulmano, la cui
lingua ufficiale è l’arabo. L’ampio potere che esercita il re, sancito dalla
Costituzione del Paese, è stato al centro di numerosi dibattiti lungo il
corso degli anni Novanta e anche in seguito, con l’avvento al trono di
Mohammed VI.
Nonostante la spinta alla modernizzazione impressa dal re e dal suo entourage, una parte del movimento di opinione marocchina ha salutato le
riforme approvate negli ultimi sei anni con sollievo ed interesse considerandole però incline elargizione di un sovrano aperto e moderato più che
un diritto acquisito da parte di tutti i cittadini. L’involuzione verso un regime autoritario o l’evoluzione verso forme autenticamente democratiche
sono prerogativa dell’ampio potere che è riservato alla più alta istituzione dello stato.
La Costituzione
La Costituzione, che ha sostituito la Carta Regia in vigore i primi anni di vita del Regno del Marocco, dall’esecuzione della sua stesura
avvenuta il 1962, ha subito tre modifiche importanti, rispettivamente nel
’70, nel ’72, nel ’92 ed è stata infine emendata tramite referendum nel
1996.
L’articolo primo sancisce che il Marocco è una monarchia costituzionale, democratica e sociale. La Costituzione dà ampi poteri al sovrano, che è Amir al Mouminine, capo dei credenti, rappresentante supremo
della nazione e fa del suo figlio primogenito l’erede al trono. Definisce la
divisione tra potere legislativo, esecutivo e giudiziario.
Il potere legislativo è delegato al Parlamento, la cui composizione è stata di recente modificata con l’introduzione di un sistema
bicamerale.
Il potere esecutivo è assegnato al Governo, a cui è affidata inoltre
l’amministrazione dello Stato.
Il sistema giudiziario è emanazione diretta della persona del re che nomina i magistrati su suggerimento dell’Alto Consiglio della Magistratura.
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I principi del sistema giudiziario sanciti dalla Costituzione sono cinque: uguaglianza davanti alla legge, libero
accesso alla giustizia, pluralità della rappresentanza dei
giudici, doppio livello di giurisdizione tramite Corte Ordinaria e d’Appello, natura pubblica delle udienze.
L’articolo 3 stabilisce che il Marocco è una democrazia pluralista, e che i partiti politici, le organizzazioni sindacali, le collettività locali
e le associazioni di categoria concorrono all’organizzazione e alla rappresentazione dei cittadini.
Con le modifiche apportate lungo il corso degli anni, oltre ad avere riaffermato il rispetto dei diritti dell’uomo, la nuova Costituzione, in relazione alle figure economiche ha reintrodotto i Piani di Sviluppo, che vanno
a sostituire i Programmi Economici e Sociali Integrati. La loro elaborazione è di competenza del Consiglio Superiore della Promozione Nazionale
del Piano.
Definisce inoltre l’istituzione della Corte dei Conti, la cui missione è quella di garantire il controllo superiore dell’esecuzione delle leggi della finanza, affiancandole le Corti dei Conti regionali.
Da un punto di vista strettamente amministrativo, infine, promuove l’istituzione regionale a collettività locale, accanto alle Prefetture, alle Province e ai Comuni.
Da un punto di vista politico i suoi poteri sono pressoché illimitati. Tramite i dahir, ovvero i decreti reali, il re nomina il Primo Ministro e su
sua proposta gli altri membri del Governo, che al tempo stesso può licenziare o far decadere. Presiede il Consiglio dei Ministri e il Consiglio
Superiore della Magistratura. Promulga le leggi, firma e ratifica i trattati.
Il sovrano è inoltre capo supremo delle Forze Armate e ha facoltà di dichiarare lo stato d’emergenza. Tutte le più alte cariche istituzionali sono
responsabili davanti alla sua persona.
Il Parlamento
Il Parlamento, grazie alla riforma costituzionale emendata nel
’96, è oggi composto da due Camere, l’Assemblea dei Rappresentanti,
costituita da 325 membri eletti a suffragio universale (per la durata di un
quinquennio) e la nuova Assemblea dei Consiglieri, i cui membri, 270,
sono espressione per 3/5 dei consigli locali e per il rimanente delle associazioni professionali e dei commercianti. La carica ha la durata di nove
anni ed è rinnovabile per 1/3 ogni 36 mesi.
La Camera dei Rappresentanti ha facoltà di approvare le leggi proposte
dal re, dal Primo Ministro o da uno dei suoi consiglieri, può esercitare
inoltre il diritto di veto sulla base di una maggioranza assoluta o sfiduciare l’esecutivo. Entrambe le camere hanno la facoltà di dibattere i progetti governativi.
Il Re
Il re del Marocco incarna sia l’autorità spirituale che quella
temporale, essendo al tempo stesso la più alta carica religiosa e della
nazione.
La sua persona è sacra e inviolabile e in quanto garante dell’unità dello
Stato, trascende le divisioni sociali, economiche e politiche, divenendo
arbitro tra le parti.
Con la Bey’a, l’antico rituale di giuramento di fedeltà al re, tutte le più
alte cariche dello Stato, militari, politiche e religiose, assicurano fedeltà
alla sua persona.
Egli è il garante della continuità e della perennità dello Stato, veglia sul
rispetto dell’Islam e della Costituzione. Garantisce l’indipendenza della
nazione e l’integrità territoriale del reame.
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3.3 Amministrazione e Governo
È ormai dagli anni Novanta che il Paese ha impostato una politica di decentralizzazione della gestione del potere. La recente modifica
della Costituzione indica che Regioni, Prefetture, Province (o wylaiat) e
Comuni sono organismi appartenenti alla collettività locale, sotto il diretto controllo del Ministero dell’Interno. Oggi il Paese è diviso in 16 Regioni, governate da un Consiglio.
Le Prefetture e le Province sono guidate da un governatore di nomina
reale che ha il compito di far eseguire le direttive del re e del governo e
di mantenere l’ordine pubblico. Esse sono gestite da un’assemblea locale
ed hanno autonomia amministrativa e finanziaria. I Comuni, nati nel 1960
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per opera di Mohammed V, sono amministrati da un consiglio comunale
e coordinati da un presidente, eletti entrambi a suffragio universale.
di questa tornata elettorale è stato il PJD, il Partito per la Giustizia e lo
Sviluppo, che ha conquistato 42 seggi arrivando a ridosso dell’USFP e
dell’Istiqlal. Il PJD è l’unico partito islamico riconosciuto legalmente dalle
istituzioni marocchine.
Governo ed elezioni
Il Governo è composto da un Primo Ministro nominato dal re.
Esso è formato da più dicasteri presieduti da un responsabile a cui il sovrano conferisce l’incarico su proposta del premier. Il Primo Ministro
esercita il potere regolamentare e si assume la responsabilità del coordinamento delle attività ministeriali.
Nessun progetto di legge può essere depositato in parlamento se prima
non sia stato ratificato in sede di Consiglio dei Ministri. Il Consiglio dei
Ministri viene consultato previamente su questioni riguardanti la politica
generale dello Stato, la dichiarazione di stato di assedio o di guerra, il
progetto di Piano e la revisione della Costituzione.
Nelle ultime elezioni tenutesi il 27 settembre del 2002, i socialisti dell’USFP e i nazionalisti dell’Istiqlal, sono stati i due partiti più votati e hanno conquistato rispettivamente 45 e 43 seggi. La coalizione
uscente si è quindi riconfermata al potere, disponendo della maggioranza relativa alla Camera dei Rappresentanti, 167 seggi su 295. Esautorando il vecchio premier socialista Youssoufi che dal 1998 guidava
l’esecutivo di sua maestà, il re ha optato per un nuovo capo di governo,
un tecnico di provata esperienza politica. La scelta è caduta sull’indipendente Driss Jettou.
La percentuale ufficiale dei votanti si è attestata intorno al 52%
degli aventi diritto. Su 14 milioni di persone poco più di 7 milioni hanno
espresso la loro preferenza alle urne. Confrontando il dato con quello relativo alle elezioni precedenti, si può rilevare che la crescita del tasso di
astensionismo (48% oggi contro il 41,7% del ’97) e l’elevato numero di
schede bianche, 1.085.366, confermano quel processo in atto di disaffezione dell’elettorato marocchino alla vita politica del Paese.
Le ultime consultazioni elettorali svoltesi in Marocco hanno rispettato complessivamente i canoni della democrazia e della correttezza
istituzionale. Qualche passo avanti si è fatto rispetto al 1997, quando le
elezioni legislative sono state caratterizzate da un impiego considerevole
di denaro, legale e illegale, adoperato per finanziare la campagna elettorale ma soprattutto per comprare voti e rinforzare le reti di clientela, come ammesso dallo stesso Ministro degli Interni e da Hassan II che
ammonì l’istituzione politica del Paese dichiarando: “Colui che si vende
per te, si venderà contro di te”.
Interessante l’introduzione del sistema proporzionale che obbliga l’elezione di una rappresentanza femminile non inferiore al 10%.
Il nuovo Primo Ministro ha cambiato solo in parte la squadra
del governo, confermando Mohammed Benaissa agli Affari Esteri, Fathalla
Oualalou alle Finanze e Sbai Abderrahmane alla Difesa. In uno dei posti
chiave dell’esecutivo, gli Interni, è stato nominato l’indipendente Mustafa
Sahael. Di sapore “tecnico” è anche la nomina del nuovo Ministro della
Salute Mohammede Biadillah mentre sulla poltrona di Grazia e Giustizia
si è insediato il socialista Mohammed Bouzouba.
Per il nuovo premier, l’attuale legislatura deve affrontare priorità di carattere economico, come la rivitalizzazione del sistema produttivo
e la promozione degli investimenti esteri nel Paese. Vera grande sorpresa
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. 33
2. Economia e occupazione
1. Mohammed VI. Verso un’economia di mercato
Sin dagli anni ottanta, il Marocco ha avviato un rapido processo di liberalizzazione del mercato che in tempi relativamente brevi lo ha
portato a ratificare nel 1996 un accordo con l'Unione Europea (entro il
2012 si arriverà alla progressiva instaurazione di una zona di libero
scambio), il 15 giugno del 2003 a stipulare un analogo trattato con gli
States e a realizzare una free zone nella città di Tangeri.
La manovra di avvicinamento tra Stati Uniti e Paese maghrebino si è completata l'11 dicembre scorso, quando il Marocco ha
sponsorizzato il Forum for the Future, un incontro svoltosi a Rabat sotto
l'egida americana, che vedeva riuniti i ministri degli esteri e delle finanze di 35 paesi tra nord Africa, medio oriente e G8, allo scopo di
ridisegnare un nuovo "Grande Medio Oriente" sulla base di principi democratici e di liberalizzazioni economiche.
Aver privilegiato la partnership commerciale con gli Stati Uniti
d'America non è stata una scelta condivisa da tutta la classe dirigente
del Paese e non solo per una pregiudiziale politica.
Il timore che l'abbattimento dei dazi doganali possa
stritolare le piccole e medie imprese marocchine, una
realtà fino a poco tempo fa in forte espansione, è giudiziosamente fondato e si basa su numeri e statistiche ricavate da esperienze già operate all'estero.
Oggi, le imprese con meno di 200 dipendenti rappresentano
il 92% delle unità produttive nel settore del privato, impiegano il
66% della manodopera e producono il 33% del PIL. Ma il Marocco
sembra voler giocare le sue carte su due fronti differenti, visto il trat-
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tato siglato con l'Europa e la richiesta fatta a Bruxelles di aderire come membro esterno dell'Unione.
Già nel 1983, come detto in precedenza, dopo il fallimento del
piano di stabilizzazione triennale approvato dal governo in carica nel
1978 e il conseguente aggravarsi della crisi economica, Hassan, aveva
sottoscritto un programma di aggiustamento strutturale dei conti pubblici con la Banca Mondiale, accogliendo i suggerimenti del Fondo
Monetario Internazionale e aderendo infine nel 1987 all'Organizzazione
Mondiale per il Commercio.
Il primo impulso dato alla privatizzazione negli anni '80 aveva
portato a una ridistribuzione delle forze produttive a discapito del settore pubblico. Il censimento realizzato nel 1998 vedeva iscritti nei registri
del fisco ben 65.000 imprese che generavano il 65% degli investimenti
complessivi, il 90% del totale dell'occupazione e l'80% del prodotto interno lordo. La legge sulle privatizzazioni entrata in vigore nel 1991 ne
aveva accelerato l'incremento.
Più di 114 imprese, anche quelle ritenute fino a poco tempo
prima incedibili erano passate di mano, Alcune vendute altre date in
concessione. Dall'Ente Marocchino dei Fosfati, ai primi posti tra le società esportatrici del Paese, all'Ente Nazionale per l'Energia Elettrica,
dall'Ente Nazionale per le Acqua Potabile, alle Ferrovie, dalla Compagnia
di Bandiera alle Poste e Telecomunicazioni.
Dal 1998, con il nuovo governo socialista nominato da Hassan
II dopo le elezioni vinte l'anno precedente, il processo di privatizzazione
ha subito un relativo rallentamento. Si è finalmente realizzata la riforma
del lavoro che ha portato dopo 5 anni di annunci e dilazioni, nel giugno
del 2004, all'approvazione di un nuovo Codice del Lavoro e a un aggiustamento del sistema assistenziale con la creazione di un'Agenzia
Nazionale per l'assicurazione sulle malattie. Anche in questo caso, lo
Stato, dopo aver legiferato e riorganizzato il sistema nazionale, ne ha
decentralizzato l'apparato, rimandando a strutture esterne la responsabilità e la gestione. Molti sono infatti gli organismi che regolano i
rapporti tra i lavoratori e il sistema sanitario tra cui la Fondazione Mohammed V, i Fondi Hassan II, l'Agenzia di Sviluppo Sociale.
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Solo un terzo della popolazione ruota intorno al sistema sanitario nazionale, i lavoratori assunti con regolare contratto, perlopiù terziario
e operai delle medie e grandi industrie.
Alcuni tra questi giovani organismi hanno promosso una serie di ambiziosi progetti realizzati da strutture pubbliche e private.
Il solo Fondo Hassan II, nel 2000, ha finanziato una quarantina di programmi legati allo sviluppo economico e sociale del Paese, relativi all'evoluzione delle infrastrutture, all'approvvigionamento dell'acqua potabile, alla
realizzazione di poli industriale e alla costruzione di centri turistici.
Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale hanno spinto il Marocco ad attuare una riforma generale, sperando di potere
realizzare una maggiore distribuzione delle risorse del Paese, facendo
accedere al sistema economico globale nuovi soggetti, creando quella
classe media che avrebbe ridato forza al mercato del lavoro, nuovo impulso ai consumi e all'occupazione. Fare del Paese maghrebino il
motore propulsore dell'economia nord africana, aprendo la strada a un
profondo cambiamento politico e sociale. Ma il dilemma che si pone
per il regno del Marocco come per tutti quei paesi in cammino sulla via
dello sviluppo è il seguente: le riforme economiche e la liberalizzazione
del mercato portano automaticamente a rinnovare la vita politica e sociale, la privatizzazione e la deregulation economica in un mercato
giovane e inesperto possono accentrare ancora di più il capitale in mano a pochi e far esplodere nuovi conflitti d'interesse?
2. Struttura dell’economia e settori produttivi
2.1 Agricoltura e industria
La grande riforma avviata dal Marocco ha portato a straordinari
risultati in tempi relativamente brevi. I fondamentali dell’economia sono
sostanzialmente sani, il Paese presenta un buon equilibrio macroeconomico, conti pubblici in ordine, debito estero in diminuzione inflazione sotto
controllo e stabilità valutaria. Il PIL si è attestato al 4,4% (5,5% nel 2003),
l’inflazione all’1,6% (1,2% nel 2003), il cambio è stabile e le riserve in ulteriore crescita. Nonostante ciò vi sono inquietanti coni d’ombra. Lo sviluppo
economico e sociale è minacciato da un atavico ritardo strutturale.
. 37
Il 15% della popolazione vive al di sotto della soglia di
povertà e oltre il 40% non sa né leggere e né scrivere. I
servizi sanitari sono inefficienti.
Il reddito pro capite marocchino nel 2003 ha raggiunto 1.513
dollari, al di sotto del 75% della media dei paesi dell’Unione Araba
del Maghreb.
La disoccupazione registra un tasso annuo pari all’11,6% (11,2% nel
2003) che raggiunge il 19,3% nelle aree urbane e il 26,3% tra coloro
che posseggono un titolo di scuola media superiore. L’accesso all’acqua potabile e il costante aumento delle zone desertiche minaccia il
settore agricolo, ancora troppo legato alle condizioni atmosferiche, carente d’innovazione tecnologica.
Di seguito riportiamo in tabella l’indice del costo della vita calcolato
su un paniere composto da 385 beni.
Il primo settore, che comprende agricoltura, miniere, pesca e forestali, occupa il 51% della forza lavoro e produce soltanto il 15% del PIL nazionale.
Il secondo, che abbraccia industria, artigianato ed edilizia, occupa il
16% della forza lavoro e genera il 33% del PIL.
Il terzo, che include il commercio, la pubblica amministrazione, i trasporti e le attività di servizio impegna il 33% della forza lavoro producendo il 52% del PIL annuo del Paese.
La riforma agraria in passato è stata oggetto di una grande
propaganda populista ed introdotta in tutti i piani di sviluppo nazionale. In realtà la produzione agricola ha risentito del costante processo di
urbanizzazione e dell’abbandono graduale di una politica di ammodernamento strutturale. Le problematiche legate alla mancanza d’acqua e
all’avanzamento costante del deserto sono oramai considerate forme
endemiche. Più della metà dei coltivatori diretti è rimasto senza terra e
l’alta percentuale dei piccoli appezzamenti agrari non contribuisce alla
INDICE DEL COSTO DELLA VITA PER GRUPPI (385 ARTICOLI; BASE 100 IN 1989)
INDICE GENERALE
2002
2003
VARIAZIONE IN
162,7
164,6
1,2
%
PRINCIPALI PRODOTTI AGRICOLI
SETTORI
-
IN MIGLIAIA DI QUINTALI
CEREALI INVERNALI
2001-2002
2002-2003
50.423,1
77.895,9
VARIAZIONE IN
%
54,5
ALIMENTARI
164,2
166,4
1,3
ABBIGLIAMENTO
166,2
167,6
0,8
GRANO DURO
10.315
17.662,2
71,2
23.251,8
33.806,2
45,4
16,689,8
26.203,9
57
2.335,3
1.609,6
-31,1
1.988,8
1.385,8
-30,3
81,2
143,1
76,2
ABITAZIONE
165
167
1,2
GRANO TENERO
EQUIPAGGIAMENTO DOMESTICO
139,2
139,8
0,4
ORZO
CEREALI PRIMAVERILI
CURE MEDICHE
144,1
146,7
1,8
TRASPORTI E COMUNICAZIONI
163,4
163,7
0,2
MAIS
TEMPO LIBERO E CULTURA
164,8
168,1
2
SORGO
ALTRI BENI E SERVIZI
170,3
172,1
1,1
RISO
FONTE : DIREZIONE DELL’ AGENZIA DI STATISTICA NAZIONALE ,
2004.
Se paragoniamo i parametri economici e occupazionali dei tre
settori produttivi dell’economia marocchina, risulta evidente lo squilibrio
in atto tra forza lavoro occupata e PIL prodotto. Tutto ciò conferma
quanto l’economia della regione viaggi su due binari differenti. Uno
scomparto tradizionale legato all’agricoltura e alla pesca e un altro più
dinamico e moderno che fa capo all’industria.
. 38
265,3
81
-69,5
2.365,1
2.321,4
-1,8
FAVE
887,8
1.030,6
16,1
LENTICCHIE
416,7
336,2
-19,3
LEGUMI
CECI
CULTURE INDUSTRIALI
BARBABIETOLA
CANNA DA ZUCCHERO
FONTE : MINISTERO DELL’ AGRICOLTURA
513,4
430,2
-16,2
39.365,5
43.272,9
9,9
29.868
34.285,1
14,8
9.490,8
8.986,2
-5,3
, 2004.
. 39
competitività in un mercato sempre più legato alla produzione industriale,
meccanizzata e gestita in consorzi o imprese collettive.
Il 55% del terreno produttivo è coltivato a cereali, leguminose e oleaginose (girasole e arachidi). In estensione è la coltura di barbabietola e di canna da zucchero. Un discreto incremento si è registrato nella produzione
degli agrumi, 1.315 migliaia di tonnellate con un +15% rispetto al 2002.
CUOIO , SCARPE E ARTICOLI IN CUOIO
126,1
130,9
3,8
LEGNO , ARTICOLI IN LEGNO , VIMINI E MOBILI
121,1
126
4
CARTA E CARTONE , STAMPA
160
185
15,6
TRASFORMAZIONE DI MINERALI DI CAVA
132,8
145,2
9,3
INDUSTRIE METALLURGICHE DI BASE
168,4
188,7
12,1
127
138,8
9,3
LAVORAZIONE IN METALLO
La produzione industriale dopo un’incoraggiante fase di espansione è ora in netta stagnazione (ultimi dati ufficiali non ancora riportati).
Le privatizzazioni e la relativa stabilità politica continuano comunque a
richiamare investimenti dall’estero. Il settore agroalimentare è il pilastro
portante dell’industria marocchina. Tra le varie aziende si distinguono
oleifici, conservifici e zuccherifici (particolarmente alta è la produzione
dello zucchero raffinato, 1.028.053 tonnellate nel 2003).
Nel tessile si distinguono le industrie del cotone e dell’abbigliamento
mentre il comparto dei fertilizzanti ha segnato una buona crescita.
MACCHINE E MATERIALE DI ATTREZZATURA
116,3
123
9,3
MATERIALE DI TRASPORTO
134,8
134,1
-0,5
132
135
2,3
MATERIALE D ’ UFFICIO , OTTICA , OROLOGERIA
125,7
126,1
0,3
CHIMICA E PARACHIMICA
145,2
130,7
0,3
CAUCCIÙ E PLASTICA
130,3
130,7
0,3
102,4
100
-2,2
MATERIALE ELETTRICO ED ELETTRONICO
ALTRE INDUSTRIE MANIFATTURIERE
FONTE : MINISTERO DELL’ INDUSTRIA ,
2004.
PRODUZIONE INDUSTRIALE PER GRANDI SETTORI
2001-2002
2002-2003
INDUSTRIA AGRO ALIMENTARE
55.671
57.343
TESSILE E DEL CUOIO
26.165
26.360
0,9
61284
64305
4,9
MECCANICA E METALLURGICA
18.974
19.573
3,2
ELETTRICA ED ELETTRONICA
7.047
8.154
15,7
169.101
175.735
3,9
SETTORI
-
IN MIGLIAIA DI QUINTALI
CHIMICA E PARACHIMICA
TOTALE
FONTE : MINISTERO DELL’ INDUSTRIA ,
VARIAZIONE IN
%
3
2004.
INDICE DELLA PRODUZIONE INDUSTRIALE (BASE 100 IN 1992)
2002
2003
INDUSTRIE DI TRASFORMAZIONE
132,7
137,4
INDUSTRIE ALIMENTARI
135,2
135,5
0,2
142
151,8
6,9
134,8
137,5
2
101,1
98,6
-2,5
129,2
120,8
-6,5
ALTRE INDUSTRIE ALIMENTARI
BEVANDE E TABACCHI
PRODOTTI TESSILI E BONNETERIE
ABBIGLIAMENTO
. 40
VARIAZIONE IN
%
3,5
La produzione mineraria ha aiutato a tamponare il passivo, registrato dalla bilancia commerciale del Paese, grazie ai proventi ricavato
dall’estrazione dei fosfati. Nel 2003 ne sono stati estratti 21.996 migliaia di tonnellate (di cui 10.376 sono stati destinati all’esportazione) con
un incremento dello 0,9% rispetto all’anno precedente. L’indice relativo
a barritine, sale, argento, zinco, fluoro e piombo ha subito un forte calo.
L’introito legato all’attività della pesca, un’altra importante fonte di reddito del Marocco, nel 2003 ha segnato una flessione rilevante.
Interessante confrontare i dati tra le tonnellate di pescato, rimasto pressoché invariato rispetto all’anno precedente e il valore in dirham che
questi ha generato, rispettivamente 914.253 tonnellate, -4,8% rispetto
al 2002 e 4.695.503 dirham ricavati, 21,8% in meno dell’anno precedente. Questo notevole divario, se da un lato è stato provocato dall’andamento dei prezzi all’ingrosso e nel dettaglio, dall’altro è il semplice
prodotto della scarsa competitività dell’industria della pesca all’interno
di un mercato vivacizzato dalla creazione delle zone di libero scambio.
Stesso discorso vale per l’artigianato tradizionale del Marocco
che, tranne l’exploit della bigiotteria di lusso e delle calzature, che han-
. 41
no segnato in chiave di esportazione rispettivamente +1.246 e +109%,
ha notevolmente ridimensionato i suoi confini commerciali, dai tappeti,
al vasellame, dagli articoli in vimini alla pelletteria, dagli oggetti in rame
all’abbigliamento.
2.2 Altri settori produttivi
Il settore del turismo nel 2003 ha registrato una pesante battuta d’arresto, dovuta all’attentato terroristico di Casablanca (-25% di
tedeschi, -13% di portoghesi, -20% di austriaci e -11% di italiani). Secondo gli ultimi dati, nel 2004 la situazione si è ristabilita e la ripresa
ha segnato oltre 15 punti in più rispetto al nefasto 2003.
Nonostante il calo turistico, gli aeroporti hanno fatto registrare un incremento del traffico di passeggeri (6.716.930 unità) e la compagnia di
bandiera, la Royal Air Maroc ha aumentato le ore di volo, (104.028, +1,8
rispetto all’anno precedente) un risultato maturato anche grazie al comparto nazionale.
Gli spostamenti su ferrovia sono andati altrettanto bene, il numero di
passeggeri è cresciuto del 12,5%. Il traffico delle merci su rotaia ha avuto un incremento del 2%, mentre ha subito un brusco ridimensionamento quello stradale che secondo l’Ufficio Nazionale dei Trasporti è
diminuito del 35,8%.
Rileggendo i parametri economici del 2003, nel settore delle
telecomunicazioni spicca la performance dei portatili. La telefonia mobile vanta una crescita del 18,8%: 7.364.124 sono i telefonini immessi nel
circuito nazionale, una cifra di affari che muove quasi 9.300 milioni di
dirham, con un +30,2 % di utile contro il -1,7% della telefonia fissa.
Il mercato dell’auto invece, adeguandosi al trend negativo che
ha colpito il mondo occidentale, ha subito una battuta d’arresto. Le
vendite hanno segnato un -4,9% rispetto all’anno precedente (i dati si
riferiscono al 2002).
L’attività edile è in pieno fermento. Numeri alla mano (mai come in questo caso le cifre ufficiali possono discostarsi dalla realtà del
Paese), l’abusivismo pare segnare una forte contrazione. Regioni come
. 42
Tangeri, sulla costa del Mediterraneo o Tadia Azilal all’interno, sembrano
coniugare sviluppo e rispetto per l’ambiente. Spicca il compartimento di
Casablanca, che ad una diminuzione del numero di autorizzazioni edili
(-16,9%) contrappone un sensibile aumento delle superfici fabbricate
(+43,7%).
Il consumo del cemento è passato da 8 milioni e mezzo di tonnellate
nel 2002 ai quasi 9 milioni e trecento del 2003 (con un incremento pari
al 9,3%).
Settore finanziario
In Marocco operano al momento 14 banche commerciali. Un
settore in piena espansione considerando che, entro il 2012, anno in cui
entrerà in vigore il trattato di libero scambio con l’Unione Europea, il
governo marocchino sarà obbligato ad abbattere la barriera che fissa il
limite della partecipazione del capitale straniero nel settore al 49%.
Ad oggi, la maggior parte degli istituti di credito è parzialmente in mano
alle grandi famiglie bancarie europee.
Anche la Borsa, attualmente molto attiva nel Paese, autorizza la partecipazione diretta di capitale estero, quotando 60 società straniere nei
suoi listini.
2.3 Bilancia commerciale import-export
La bilancia commerciale del Marocco abitualmente passiva,
continua ad erodere il proprio tasso di copertura a sfavore delle esportazioni, avendo perso 5 punti percentuali rispetto al 2003 e raggiungendo il poco invidiabile traguardo del 55,7%.
La realizzazione delle zone di libero scambio con la Tunisia, la Giordania
e l’Egitto, ma soprattutto con la Turchia e con l’agguerritissima concorrenza degli Stati Uniti, ha penalizzato l’esportazione del Paese. In vista
poi dell’apertura del mercato con l’UE, il Marocco dovrà rilanciare e sostenere il fragile tessuto connettivo che sostiene le PMI e quello dell’economia agricola già in forte depressione.
. 43
Le voci passive della bilancia commerciale sono comunque compensate
dalle entrate delle rimesse degli emigranti, 3,13 miliardi di euro negli ultimi 11 mesi del 2004, l’8% in più rispetto allo stesso periodo del 2003
e dalle entrate relative all’industria del turismo, 2,86 miliardi di euro,
+10,6% rispetto all’anno precedente.
TURCHIA
128
991
226
1.614
2,0
+62,8
ARGENTINA
496
1.211
596
1.418
1,8
+17,0
-
-
-
-
-
-
14.034
66.965
15.332
78.058
100
+16,6
ALTRI
TOTALE
FONTE : UFFICIO DEL CAMBIO ,
2005.
ELEMENTI BILANCIA PAGAMENTI (DIRHAM MILIARDI. DIRHAM 10,90 = EURO 1)
2004 (GEN/NOV )
2003
2002
2001
IMPORTAZIONI
141
135
128
125
ESPORTAZIONI
78
83
85
81
RIMESSE EMIGRANTI
34
35
31
29
31
29
27
29
INTROITI TURISMO
FONTE : BANCA AL MAGHRIB ,
Negli ultimi 11 mesi del 2004, le esportazioni sono cresciute
del 3,6% mentre le importazioni del 15,6%, una pesante erosione che
aggrava lo stato della bilancia commerciale.
Le voci più importanti del comparto esportazioni sono state: abbigliamento, fosfati, componenti elettrici, prodotti alimentari e della pesca.
Per quanto riguarda l’importazione: attrezzature industriali, petrolio, tessuti e filati e infine cereali.
2004.
PRINCIPALI PAESI CLIENTI DEL MAROCCO
PRINCIPALI PAESI FORNITORI DEL MAROCCO
PAESE
GEN / GIU
GEN / GIU
GEN / GIU
GEN / GIU
2003
2003
2004
2004
TONNELLATE
FRANCIA
MILIONI
TONNELLATE
2004
% SU
VALORE TOT.
2003/2004
PAESE
VARIAZIONE
%
DIRHAM
(000)
DIRHAM
1.418
14.130
1.053
14.032
17,9
GEN / GIU
GEN / GIU
GEN / GIU
2003
2003
2004
2004
TONNELLATE
MILIONI
TONNELLATE
MILIONI
VALORE
MILIONI
(000)
GEN / GIU
-0,7
SPAGNA
834
8.393
879
9.470
12,1
+12,8
ITALIA
383
4.785
319
5.095
6,5
+6,5
GERMANIA
356
3.495
281
5.005
6,4
+43,2
USA
989
2.704
1.494
3.997
5,1
+47,8
1.379
2.137
2.101
3.565
4,6
+66,8
ARABIA SAUDITA
1.672
3.380
1.581
3.539
4,5
+4,7
CINA
167
2.251
244
3.135
4,0
+39,2
168
2.525
209
2.518
3,2
-0,3
BRASILE
368
1052
890
2.372
3,0
+125,5
6.668
799
6
1.894
2,4
+137,0
15
1.326
16
1.652
2,1
+24,6
GIAPPONE
. 44
%
VALORE
DIRHAM
(000)
DIRHAM
857
14.969
996
14.975
34
0
SPAGNA
1.846
6.862
1.585
7.593
17
+10,6
REGNO UNITO
187
3.094
184
3.298
7,5
+6,6
ITALIA
343
2.186
351
2.159
4,9
-1,2
1.293
1.297
1.627
1.699
3,8
+30,9
206
961
345
1.409
3,2
+46,6
161
1.781
102
1.326
3,0
-25,5
INDIA
589
845
815
1.273
2,9
+50,6
BRASILE
666
881
876
1.216
2,8
+38,0
-
-
-
-
-
-
10.409
42.127
10.901
43.872
100
+4,1
USA
PAESI BASSI
ALTRI
FONTE : UFFICIO DEL CAMBIO ,
SVIZZERA
VARIAZIONE
(000)
TOTALE
REGNO UNITO
2003/2004
FRANCIA
GERMANIA
RUSSIA
2004
% SU
VALORE TOT.
2005.
. 45
L’associazione marocchina del tessile e dell’abbigliamento
(AMITH) ha diffuso gli ultimi dati relativi alla performance fatta registrare dal settore, che ricordiamo è quello ha prodotto più posti di lavoro
nel Paese ed è la voce più importante del comparto esportazione, avendo realizzato all’estero nell’ultimo anno una cifra di affari pari a 25 miliardi di dirham.
Nei primi quattro mesi del 2005 le esportazioni del tessile sono
precipitate del 30%. Più di un campanello di allarme, un tonfo colossale
che rischia di trascinarsi dietro l’intera economia. E già gli ha fatto eco
l’Alto Commissariato al Piano che, tra le cifre relative al tasso di disoccupazione in piena crescita, ha reso noto la performance negativa del settore che ha perduto in poco più di un anno 95.000 posti di lavoro, il 43%
della manodopera totale (220.000 persone impiegate nel settore). 475
imprese tessili con 200 dipendenti hanno fermato la loro attività.
Prima conseguenza: il riacutizzarsi del deficit commerciale già cresciuto
con costanza negli ultimi sei anni (dal 1999 al 2004 da 30 miliardi ha
raggiunto 70 miliardi di dirham).
Il forte aumento delle importazioni ed il crollo delle esportazioni sono state causa dell’aumento del passivo del bilancio. Nel periodo 1999-2004, le importazioni del Marocco sono passate da 105 a 156
miliardi di dirham (+48%) mentre le esportazioni da 69 a 86 miliardi segnando un progresso di appena il 26%.
Per l’ASMEX, l’Associazione Marocchina degli Esportatori, l’elevata e
complessa quantità di interventi non sempre coordinati ha pesato enormemente sul problema.
Troppi istituti e troppi enti hanno voce in capitolo nella
politica commerciale estera del Paese (il Centro Marocchino di Promozione delle Esportazioni, il Ministero per
il commercio estero, il Consiglio nazionale per il commercio estero), un coro di voci disarmoniche, interferenze e intromissioni che hanno provocato dispersione di
energia e frammentato l’intervento dello Stato.
La causa del graduale deterioramento del tasso di copertura
commerciale secondo Abdellatif Belmadani, presidente dell’ASMEX, è da
. 46
addebitarsi inoltre alla politica economica degli ultimi sei anni. Il grosso
delle esportazioni del Marocco si è limitato a una dozzina di prodotti
che hanno generato mediamente un giro di affari pari a una sessantina
di miliardi di dirham. Non aver diversificato i segmenti produttivi è stato
uno degli errori commessi dal Paese. Nel momento in cui uno dei comparti registra una performance negativa, la bilancia commerciale ne risente. Non essendo inoltre cresciuto il volume della merce esportata,
cioè la quantità venduta all’estero, le entrate in proporzione si sono assottigliate.
Questo è il caso dei prodotti tessili e dell’abbigliamento ma
anche dei fosfati e dell’acido fosforico, di prodotti agricoli quali agrumi
e pomodori freschi.
Prendiamo il caso dell’abbigliamento e dei cappelli che hanno esportato
per 26,2 mld di dirham nel 2004 contro i 24,2 mld del 1999, una crescita minima, l’8,3% in sei anni. Questo è spiegato dalla performance negativa che registra costantemente il settore dei cappelli e che fa da
contraltare al comparto confezioni.
Un’altra grande divisione è quella dei fosfati e di tutti i derivati come l’acido fosforico. I prodotti minerari hanno generato ogni anno
in occidente un giro di affari che va dai 9 ai 10 mld di dirham. Il problema è che dal 1999 questa forchetta rimane inalterata. Un’analisi più accurata ne rivela le ragioni: il volume ed i prezzi degli articoli venduti.
Per quanto concerne il volume, la stagnazione è flagrante. Nel periodo
1999-2004 il Marocco ha esportato tra i 10 e gli 11 milioni di tonnellate
di fosfati senza riuscire ad incrementare la propria produzione.
In relazione ai prezzi leggiamo questi dati. Nel 1998 una tonnellata di
fosfati esportati valeva all’incirca 400 drhm contro i 340 del 2004 e addirittura i 315 del 2003. Conclusione, in sei anni l’esportazione di acido
fosforico ha segnato un incremento di appena il 13%, 6,5 mld nel 2004
contro i 5,8 del 1999. Gli altri prodotti non si sottraggono alla regola.
L’esportazione di agrumi è crollata del 25% passando da 630
tonnellate immesse nel mercato estero nel 1999 alle 380 del 2004 (da 2,6
mld di dirham a 1,9 mld) e l’esportazione di pomodori freschi accusa un ribasso ancora più evidente. Per fortuna la contrazione di questi ultimi prodotti è stata in parte ammortizzata dalla crescita di altri beni di consumo.
. 47
È il caso dei componenti elettronici (transistor soprattutto). Nel 1999 il
Paese ne ha esportato per 1,8 mld e nel 2004 ha triplicato il suo giro di
affari, 5,5 mld. Ottima performance di fili e cavi elettrici, il cui introito è
più che raddoppiato (da 1,6 a 3,5 miliardi di dirham).
Ma il progresso più importante è stato registrato dall’industria della lamiera e del ferro che nel 1999 era pressoché assente sul mercato internazionale e che ora ha prodotto un giro di affari di 780 milioni di
dirham.
ciale. Nel primo semestre 2004 ha investito oltre 3.000 milioni di dirham,
crescendo dell’84% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Seguono Svizzera (328 mln di dirham, +29,6%), Regno Unito (217 mln di
dirham, +90,4 %), Stati Uniti (245 mln di dirham, +52,7) e Spagna, che
ha subito un tonfo inaspettato (205 mln di dirham, -74,9%). L’Italia è all’undicesimo posto con 70 milioni di dirham e un -8,5 % rispetto al semestre dell’anno precedente.
3. Occupazione e disoccupazione
Investimenti esteri
Negli ultimi anni gli investimenti esteri diretti, si sono moltiplicati grazie ad una buona legislazione
che ha equiparato le imprese straniere che operano nel territorio a quelle nazionali.
In poco più di quarant’anni, il Regno del Marocco è passato
da 11 milioni e mezzo di abitanti, censiti agli albori degli anni Sessanta,
a poco più di 30 milioni nel 2003, triplicando la sua popolazione. Cifre
impressionanti se sostenute poi da un altro dato. I giovani al di sotto
dei trent’anni sono 18 milioni e 200 mila, il 60% della sua totalità, mentre gli ultrasessantenni sono appena 3 milioni.
INVESTIMENTI STRANIERI PER SETTORI *
SETTORE
GEN / GIU
GEN / GIU
GEN / GIU
GEN / GIU
VARIAZIONE
2003
2003
PESO %
2004
MLN DIRHAM
MLN DIRHAM
2004
PESO %
MLN DIRHAM
BANCHE
IMMOBILI
INDUSTRIA
TURISMO
VARIAZIONE
%
POPOLAZIONE ATTIVA OCCUPATA PER SETTORI
SETTORI
VARIAZIONE
66
1,6
1.474
27,6
+1.408
+2133
AGRICOLTURA , FORESTA E PESCA
43,9
852
21,2
1.059
19,8
+207
+24,3
INDUSTRIE ( COMPRESE ACQUA , ELETTRICITÀ ED ENERGIE )
13,4
1.254
31,2
1.004
18,8
-250
-19,9
117
2,9
676
12,7
+559
+477
6,8
EDIFICI E LAVORI PUBBLICI
12,8
COMMERCIO
COMMERCIO
ASSICURAZIONI
ENER . MINIER .
GRAN . LAVORI
AGRICOLTURA
ALTRI
TOTALE
FONTE : UFFICIO DEL CAMBIO ,
* DA
%
386
9,6
305
5,7
-82
-21.2
116
2,9
165
3,1
+49
+42,0
53
1,3
159
TRASPORTO , DEPOSITI E COMUNICAZIONI
3,5
1,9
5,1
3,0
+106
+200
RESTAURI
9
0,2
77
1,4
+68
+755
AMMINISTRAZIONE GENERALE
20
0,5
41
0,8
+21
+105
SERVIZI FORNITI ALLA COLLETTIVITÀ
-
-
-
-
-
-
4.022
100
5.336
100
+1.315
+32,7
2005.
NOTARE LA CRESCITA ESPONENZIALE DEGLI INVESTIMENTI STRANIERI NEL SETTORE BANCARIO E DEL TURISMO .
5
ALTRI SERVIZI
7,5
ATTIVITÀ NON INDICATE
0,1
100
TOTALE
9.602.772
EFFETTIVI TOTALI
FONTE : DIREZIONE DELL’ AGENZIA DI STATISTICA NAZIONALE ,
2005.
La Francia, che storicamente ha legami profondi con il regno del Marocco, continua a mantenere una posizione privilegiata nel settore commer-
. 48
. 49
3. Mercato del lavoro
EVOLUZIONE DELLA POPOLAZIONE PER LUOGHI DI RESIDENZA
CITTÀ
CAMPAGNA
1960
3.389.613
8.236.857
11.626.470
1971
5.409.725
9.969.534
15.379.259
ANNI
TOTALE
1982
8.730.399
11.689.156
20.419.555
1994
13.407.835
12.665.882
26.073.717
1. Caratteristiche del mercato del lavoro
FONTE : DIREZIONE DELL’ AGENZIA DI STATISTICA NAZIONALE .
Un veloce processo di urbanizzazione ha interessato il Paese negli ultimi trent’anni. A causa di una politica agricola inadeguata, si è passati da una forte sproporzione a favore delle campagne (dato relativo al
1960), al sorpasso preannunciato (realizzato nel 1994). Il fattore urbanizzazione legato all’alto tasso di disoccupazione registrato nel contesto cittadino, ha portato all’incremento della microcriminalità e della piaga del lavoro
nero. Il lavoro sommerso è una realtà di notevole impatto sull’economia
marocchina ma non è stato realizzato alcuno studio di settore che ne determini l’effettiva consistenza. La disoccupazione in risalita ha sfiorato nel
2004 il 12% della popolazione attiva, investendo soprattutto la fascia giovanile urbana e femminile.
TASSO DI DISOCCUPAZIONE NELLA FASCIA URBANA PER SESSO ED ETÀ (VAL. %)
GRUPPI DI ETÀ
15-24
ANNI
25-34
UOMINI
DONNE
TOTALE
33,4
37,7
34,5
24,8
35,3
27,7
35-44
OLTRE
45
TOTALE
9,2
14
10,3
4,2
3,9
4,2
17,4
25,8
19,3
TASSO DI DISOCCUPAZIONE NELLA FASCIA RURALE PER SESSO ED ETÀ (VAL. %)
GRUPPI DI ETÀ
15-24
UOMINI
DONNE
TOTALE
6,7
2,2
5,5
25-34
4,8
3
4,3
35-44
2,4
0,7
1,9
OLTRE 45
1,2
0,3
0,9
4,2
1,6
3,4
ANNI
TOTALE
FONTE : DIREZIONE DELL’ AGENZIA DI STATISTICA NAZIONALE ,
. 50
1.1 Cenni di politica economica
La pressione esercitata dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario ha contribuito a determinare negli ultimi anni la politica
economica del Marocco.
La riduzione della spesa pubblica ha messo il governo in condizione di
ristabilire i parametri fondamentali della macroeconomia, segnando però
un netto fallimento nella lotta alla disoccupazione e alla povertà, disattendendo le aspettative del Paese. Alcuni provvedimenti come la diminuzione degli organici dell'amministrazione dello Stato o il contenimento
salariale (la spesa per gli stipendi pubblici ha inciso per il 12,5 % sul PIL
nazionale), non bilanciati dalla creazione di nuovi posti di lavoro (conseguenza delle privatizzazioni e dall'apertura dei mercati), ha inciso nella
struttura e negli equilibri occupazionali esistenti tra pubblico e privato.
Laddove lo Stato è intervenuto, come nel sostegno alla produzione di
cereali e colture industriali quali la barbabietola da zucchero, non ha prodotto sostanziali cambiamenti.
La riduzione del deficit pubblico è stato il cavallo di battaglia della politica fiscale del Paese maghrebino. Il rapporto deficit/PIL è passato dal
4,1% del '97 al 2,1% del 2000, per poi risalire al 2,7 l'anno successivo e
al 3,1 nel 2002, dati positivi che includono i proventi derivanti dalle privatizzazioni. Ma è l'interesse sul debito pubblico che grava enormemente
sui conti dello Stato. Nel 2001 ha inciso per il 16% sul bilancio del Paese.
Un notevole sforzo è stato compiuto per ridare slancio
all'occupazione, riformando la normativa relativa al settore degli investimenti, il Codice del lavoro, ammodernando il sistema giudiziario, dando nuovo impulso alla
ricerca di giacimenti petroliferi e allo sfruttamento di
quelli minerari.
2005.
. 51
1.2 Analisi dei flussi occupazionali: offerta e domanda di lavoro
Sono due i fattori che in Marocco hanno fatto enormemente
crescere l'offerta sul mercato del lavoro, oltre a imponderabili variabili
economiche (come il crollo della produzione agricola causata dalla siccità e la performance negativa dell'industria agroalimentare): i
cambiamenti socio-culturali che hanno segnato la storia del Paese negli
ultimi vent'anni e lo sviluppo demografico.
Nonostante si stia registrando un moderato rallentamento delle nascite,
oggi si paga il convulso aumento della natalità registrato negli ultimi
decenni.
Il ruolo crescente della donna nella vita economica e sociale ha profondamente inciso nella tradizione culturale, producendo un forte impatto
sul mercato del lavoro.
Oggi il Marocco è insieme alla Turchia il Paese MENA, (Middle East and
North Africa) in cui è più elevata la percentuale di donne occupate nel
circuito nazionale. Ma i dati fino ad ora conseguiti sottostimano il peso
effettivo dell'apporto del lavoro femminile sui mercati marocchini. Una
gran parte è infatti attiva nel comparto informale o a livello familiare.
Nel 1990 il tasso di attività si è attestato intorno al 37%
(25,6% per le donne e 48,6% per gli uomini) facendo registrare un aumento progressivo fino al 2000. Dall'anno successivo ha iniziato a
ridursi nuovamente (52,9% nel 2000 e 50,7% nel 2002). Tale contrazione è stata indotta da un aumento del tasso di scolarizzazione e dalla
conseguente fuoriuscita dal mercato del lavoro di una buona fetta dei
giovani.
Il maggiore tasso di attività registrato è stato conseguito in una fascia di
età compresa tra i 25 e i 34 anni, il 61,2% nel 2002, nonostante il valore realizzato abbia poi segnato una riduzione di tre punti rispetto al
1996. In aumento invece in quel settore che va dai 15 anni ai 24, il 41,7%
del 2002 contro il 40,1% del '96.
In notevole calo è l'attività lavorativa sotto i 15 anni. In questo caso,
come in quello relativo alla fascia prescolare, una flessione può essere
legata al maggiore tasso di scolarizzazione registrato nel Paese.
Quest'analisi è tra l'altro avvalorata dal raffronto realizzato tra i dati relativi alle zone rurali e quelle cittadine (47% nel 2000 e 45,4% nel 2002
. 52
contro il 61,4% e il 58,5%), con un valore più elevato nelle aree di campagna in cui il tasso di scolarizzazione è notoriamente meno alto.
Più aumenta il grado di istruzione e più è difficile trovare impiego. Il
tasso di attività relativo ai diplomati è più elevato rispetto a chi non ha
conseguito un titolo di studio (per i primi ci si attesta al 52,7% e per i
secondi al 49,7%, nel 2002). Si registra quindi una preoccupante disparità tra la popolazione attiva occupata dotata di diploma e quella senza
titolo di studio. Le percentuali ferme al 2001 ci indicano che i secondi
raggiungono il 74% del totale, mentre per il restante quarto, il 15,5% ha
conseguito un livello di formazione base e solo il 10,5 % ha portato a
termine gli studi secondari superiori o l'università.
L'insufficienza della domanda di lavoro è una costante della
storia del Paese ed è in stretta relazione alla crisi dell'agricoltura e a
quella dell'industria, compensata solo in parte dalla capacità di assorbimento dimostrata dal settore del terziario e soprattutto da
quello informale.
L'agricoltura, è il comparto che ha assorbito la maggiore quantità di
occupazione. Un destino comune a tutti i PVS sparsi per il mondo.
Con la fine degli anni Settanta, la crisi del sistema, dovuta a una riforma mai attuata e a un impianto strutturale inefficiente, ha portato a una consistente riduzione
dell'occupazione nel settore agricolo.
I dati diffusi dalla Banca Mondiale rivelano che nel 1980 la
mano d'opera occupata è stata del 60% (con una sostanziale differenza
tra uomini e donne, il 48% i primi e il 72% le seconde) e nel 1997 si è
ridotta al 49% (rispettivamente 35% e 63%).
Se la gran parte del settore è rimasto ancorato a uno sfruttamento vetusto che lo ha tagliato fuori dal mercato (piccoli lotti parcellizzati a conduzione familiare e latifondi), una quota minoritaria si è industrializzata,
praticando coltivazioni intensive mirate all'esportazione, creando la maggior parte di nuova occupazione.
Questo spostamento della forza del lavoro, ha prodotto un
processo di urbanizzazione incontrollato e un incremento dell'impiego
nel campo del terziario.
. 53
Con l'aumento dei posti di lavoro nel settore pubblico, se da un lato lo
Stato ha garantito maggiore occupazione, dall'altro ha fatto progressivamente lievitare la spesa del Paese. Tant'è che l'attuazione di rigorose
politiche di aggiustamento dei conti nazionali, ha prodotto nel decennio successivo un ridimensionamento del ruolo dello Stato nel mercato
del lavoro.
Alla fine degli anni Ottanta, il settore pubblico (amministrazione, sanità,
corpo docente ecc.) impiegava il 15% della forza lavoro occupata complessiva. Percentuale che scendeva nel 1999 all'8,3%. Nonostante questa
forte flessione il settore del terziario offre ancora oggi un importante
sbocco per l'impiego.
Nel comparto dei servizi l'aumento di occupazione è stato rilevante, passando da un 21,5% nel 1980 a un 27,5% del '97, un balzo in
avanti di 7 punti (la percentuale maschile è doppia rispetto a quella
femminile). Il commercio ha oramai conquistato una quota importante
nel settore, aumentando il suo peso nel mercato del lavoro, l'8% nel
'98 e il 12,5% nel 2001.
Un brusco ridimensionamento è stato registrato dal comparto
dell'industria che dopo il boom degli anni Ottanta con il 25% della forza lavoro occupata, è stato investito da una crisi prolungata le cui
cause sono da ricollegarsi ad una serie di fattori. Per rendere più competitivo il settore sul mercato internazionale è stato realizzato un
aggiustamento strutturale che ha prodotto una notevole riduzione dell'impiego. Inoltre la progressiva crescita delle importazioni dovuta
all'apertura del libero mercato ha avuto un peso rilevante. Nel '98 l'occupazione nel settore è scesa al 13,8% e nel 2001 al 12,8%.
È proprio il crollo di domanda nelle aree lavorative formali, nel
settore privato e soprattutto in quello pubblico, in concomitanza alla
crescita demografica, alla dispersione scolastica e all'assenza di una
struttura di garanzia e di protezione sociale, che ha portato ad una rapida ascesa del fenomeno del lavoro informale.
Dopo anni in cui il governo ha tollerato la questione, sperando di poterla definire e finalmente debellare con una moderna
riforma del mercato del lavoro, dalla fine degli anni Ottanta ha cam-
. 54
biato strategia, riconoscendo i meriti del settore e promuovendo la
sua maturazione.
In un contesto di stagnazione economica e di recessione, il lavoro informale è stato in grado di limitare i danni causati da una crisi prolungata
e di una perdita reiterata di posti di lavoro.
Il comparto informale ha avuto piena espansione in tutti i settori della
società, in ambito urbano e rurale, adattandosi alle varie condizioni
socio-economiche, sviluppando varie forme di realtà lavorative, dall'attività a conduzione familiare all'autoimpiego.
L'informale in effetti si è diffuso in tutte le strutture economiche esistenti: dall'agricoltura al commercio, dai sevizi al sistema dei trasporti, dal
campo edile al credito privato.
Per quanto sia difficile produrre una stima del fenomeno in questione,
escludendo l'agricoltura e i settori ad essa collegati, possiamo calcolare
che, alla fine degli anni Ottanta, il comparto informale impiegava il 57%
dell'occupazione complessiva e che negli anni successivi il 41% della
popolazione attiva delle aree urbane e addirittura l'82% delle aree rurali era occupata nel settore. Nel 1997, il Ministero del Lavoro ha censito
513.450 attività informali produttive con un impiego di oltre un milione
di persone. Una cifra eccezionale approssimata per difetto. Parte rilevante del settore è costituito dal lavoro autonomo e dalle microimprese.
Nel '99, un secondo studio condotto dal Ministero del Lavoro ha rilevato che oltre il 50% delle microimprese sono state costituite nei primi
sette anni del '90 e che hanno occupato 700.000 tra donne e uomini.
Un'indagine integrativa realizzata nel '97 dal Ministero dell'Occupazione e della Formazione professionale ha fatto il punto sul grado
di istruzione scolastica conseguito dagli operatori del settore. Oltre il
50% dei lavoratori del comparto ha rivelato un grado formativo molto
basso, non avendo compiuto gli studi elementari, il 28% si è fermato al
livello di scuola secondaria inferiore. In questi ultimi anni è comunque
cresciuta la percentuale di lavoratori laureati o diplomati che sono impiegati nel settore del lavoro informale. Il livello di disoccupazione in
forte crescita soprattutto nelle aree urbane ha spinto i giovani ad adattarsi alla domanda prodotta dal mercato del lavoro.
Al fine di valutare le politiche in campo formativo promosse dai governi
che si sono succeduti negli ultimi otto anni è interessante notare che
l'83% dei giovani occupati ha conseguito la propria formazione all'inter-
. 55
no della struttura in cui ha lavorato, sottoforma di apprendistato o di
corso organizzato.
Meno del 10% è coperto da assicurazione sociale e il salario percepito è più
basso rispetto a quello guadagnato da un lavoratore del settore formale.
ne penalizza seriamente chi ha un grado d'istruzione superiore, la dispersione scolastica diventa un fenomeno difficilmente contrastabile e
tutti gli sforzi attuati dal governo Jettou e prima ancora da quello di
Youssoufi per combattere l'analfabetismo e rendere più competitivo il
Paese maghrebino rischiano di diventare vani.
TIPOLOGIA DI RAPPORTO DI LAVORO PIÙ DIFFUSA - RAFFRONTO TRA IL 1994 E IL 2001
1994
2001
TIPOLOGIA DI LAVORO
LAVORO DIPENDENTE
48,5%
38%
LAVORO IN FAMIGLIA ( COMPRESO APPRENDISTATO )
20,8%
30,4%
LAVORO AUTONOMO O A DOMICILIO
28,3%
25,8%
------
2,1%
ALTRO
2,4%
3,7%
TOTALE
100%
100%
IMPRENDITORE
FONTE : MINISTERO DELL ' OCCUPAZIONE E DELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE .
Nel 2000, l'ultima parte dell'inchiesta ha fatto il punto sul rapporto tra tipologie lavorative e zone di residenza. Nelle aree urbane il
61,1% di occupati svolgeva un lavoro dipendente, il 24,3% un lavoro a
domicilio, l'8,1% faceva l'apprendista o lavorava all'interno di un nucleo
familiare, il 3,5% era imprenditore.
Nelle aree rurali il 56,4% del lavoro era svolto in un circuito familiare o
come apprendistato, il 26,6% domiciliare o autonomo, il 16,2% indipendente e lo 0,8% imprenditoriale.
In crescita l'occupazione femminile (in agricoltura, nell'industria e nei servizi sociali), che ha raggiunto nel 2001 il 22,3% (rispetto al 21,8% del '92).
Il fenomeno della disoccupazione è un problema endemico per il Paese maghrebino. È la causa di tutte le fratture che hanno attraversato il sistema produttivo e
l'obiettivo delle politiche del lavoro adottate in quest'ultimo decennio.
Il legame tra occupazione e sistema formativo è alla base di
tutte le riforme attuate dal governo. In un Paese in cui la disoccupazio-
. 56
Il confronto tra i dati relativi alle fasce di disoccupati diplomati
e a quelle dei “senza titolo di studio” nelle zone urbane non lascia dubbi. Nel 2000, i primi hanno raggiunto il tasso del 26,8%, il 25% nel
2001 e il 23,7% nel 2002, con un trend che è apparso in lieve calo; i
secondi una percentuale molto più bassa, il 7,1% nel 2000, il 6,4 nel
2001 e il 5,6% l'anno successivo.
Una situazione insostenibile che rischia di diventare deflagrante nelle grandi aree metropolitane (i livelli più alti di disoccupazione si
registrano nell'area della Grand Casablanca - il 21,4% nel 2001 - la regione più popolosa del Marocco). Anche all'interno della fascia degli
alfabetizzati più aumenta il grado d'istruzione più aumenta la percentuale dei disoccupati (i diplomati arrivano a registrare un tasso vicino al
34,1% e i diplomati con qualifica professionale il 30,1%).
Nelle aree rurali si sfiora addirittura il 60,4% per i disoccupati diplomati
e appena il 3% per quelli senza licenza secondaria.
Solidarietà e istituto familiare (valori fortemente radicati
nel tessuto connettivo del Marocco) giocano un ruolo
fondamentale nel mantenimento dell'equilibrio economico e sociale del Paese.
Il 93% della popolazione disoccupata ed inattiva (nel 1999 quasi
20 milioni di persone) era a carico o viveva nel proprio nucleo familiare. È
da ricordare che il 79,7% degli ultrasessantenni non gode di un trattamento pensionistico e non possiede alcuna rendita. La situazione economica di
un numero crescente di famiglie ha raggiunto infatti uno stadio preoccupante e il grado di emarginazione sociale dei giovani disoccupati è sempre
più grave e persistente, se è vero come afferma la Direzione della Statistica Nazionale che la durata dei tempi di inattività e disoccupazione si
allunga in prospettiva (per la disoccupazione di lunga durata, almeno 12
mesi, la percentuale è salita al 69,3% nel 2001 contro il 62 del 1990).
. 57
Una crescita economica modesta, che si è attestata intorno al
3,6% negli ultimi vent'anni, la politica di aggiustamento strutturale attuata dal governo e il conseguente taglio della spesa pubblica, il
rilancio del settore privato che non ha ancora dato grandi risultati,
hanno inciso sul delicato equilibrio tra domanda e offerta di lavoro.
Si è calcolato che in base alla crescita della popolazione attiva (il 3,2%
annuo) e dell'aumento medio della produttività (appena il 2%), per
bilanciare ogni anno la nuova domanda e la nuova offerta di lavoro, il
prodotto interno lordo dovrebbe crescere del 5% contro il 4,4% registrato nel 2004.
Il problema della disoccupazione è annoso e assai complesso.
Ogni dato si deve rapportare a contesti differenti, quali sesso, aree di
residenza, età, grado d'istruzione che meritano riflessioni scrupolose.
Inoltre è molto complicato inglobare in statistiche ufficiali realtà molto
diffuse nel Paese come quelle del lavoro stagionale ed informale.
La differenza tra uomini e donne si va sempre assottigliando
ma mantiene rilevanti discrepanze tra area rurale e urbana. In quest'ultima il tasso di disoccupazione femminile è nettamente più alto di quello
maschile. La discordanza tra i due dati si è andata lentamente riducendo. La disoccupazione femminile ha mantenuto una percentuale stabile
(il 25,3% nel '92 contro il 25,8% del 2004) mentre quella maschile è
cresciuta enormemente passando dal 13% nel '92 al 17,4% nel 2004.
Nelle aree rurali, al contrario, prevale la disoccupazione di sesso maschile (il 6,5% degli uomini nel 2000 contro l'1,7% delle donne) che è calata poi nel 2004 raggiungendo rispettivamente il 4,2% e 1,6%.
Le fasce giovanili sono state quelle più penalizzate dalla crescita della
disoccupazione. Il segmento che va dai 25 ai 35 anni è quello che ha
segnato la maggior percentuale di disoccupati senza registrare importanti distinzioni tra gli uomini e le donne.
1.3 Il Codice del lavoro
Nelle aree rurali per esempio, il tasso di disoccupazione appare più ridotto, ma è difficile poter valutare un fenomeno così complesso.
La flessione o l'aumento del tasso registrato può dipendere dallo spostamento delle masse contadine alla ricerca di lavoro verso le aree
cittadine o dall'estensione dell'impiego nel circuito familiare.
Nelle zone di campagna il tasso di disoccupazione ha comunque raggiunto il picco dell'8,5% durante gli anni Ottanta per poi ridiscendere
al 3,4% nel 2004.
Nelle aree urbane invece è stato altalenante ma si è sempre mantenuto
a livelli molto alti. Dal 15,8% del 1990 ha raggiunto il 22% nel '99 per
poi ridiscendere progressivamente al 19,4% nel 2004.
Tra il 2000 e il 2001 sono stati prodotti 164.000 nuovi posti di
lavoro (42.000 nel settore del commercio e 32.000 nei servizi) che hanno permesso di invertire brevemente la tendenza negativa. L'industria
dopo aver segnato 30.000 unità lavorative in meno nel 2000 ha recuperato in parte l'anno successivo, registrando 11.000 nuove assunzioni.
Anche nel 2002 il trend è stato positivo, con 169.000 nuovi posti di
lavoro (14,4% l'aumento nei servizi, 4,8% nell'industria, e 2,2% nel
settore edile).
. 58
Dopo 25 anni di illusoria attesa, il 3 luglio del 2003 il Codice
del lavoro ha ottenuto finalmente l'avvallo in parlamento.
Il Codice, non soltanto introduce grandi e importanti novità, ma ha il
merito di raccogliere tutta la normativa promulgata dalla nascita del
Regno del Marocco fino ai nostri giorni. Consacra i grandi principi su cui
è fondato il mondo del lavoro negli stati più avanzati, dall' emancipazione sindacale all'esercizio del diritto, al rispetto della libertà dei lavoratori e rafforza le sanzioni contro chi ne viola deliberatamente le regole.
Il 2000 è stato un anno travagliato per il Marocco e le tensioni
sociali hanno raggiunto un livello preoccupante. Scioperi, imprese occupate, fabbriche ferme, migliaia di posti di lavoro perduti. L'escalation
della protesta ha seriamente impensierito i grandi investitori stranieri
presenti nel Paese. Dopo una flessione registrata intorno alla metà degli
anni Novanta, dal 1997 il malcontento ha ripreso ad aumentare. L'intera
economia ne ha risentito, perdendo 249.042 giornate di lavoro nel
2001, 369.377 nel 2000 e 414.742 nel 1999. Ma la grave crisi che ha attraversato il Marocco nell'ultimo quinquennio ha persuaso le istituzioni
e le stesse parti sociali ad accelerare il processo di concertazione ed approvare urgentemente una nuova normativa.
. 59
Dal giorno della sua adozione le reazioni da parte delle varie
componenti del modo del lavoro non si sono fatte attendere. Per il patronato e per i sindacati, il testo è diventato la colonna vertebrale
dell'intero sistema, un primo passo verso la riconciliazione nazionale.
Dall'inizio del suo mandato, il primo ministro Driss Jettou ha fatto del
Codice una delle priorità del nuovo esecutivo. Il rapporto con il sindacato ha vissuto momenti di tensione e oggi la partita si gioca sulla regolamentazione del diritto allo sciopero che sarà oggetto di un progetto di
legge separato.
Nonostante qualche preoccupazione manifestata dalle piccole
e medie imprese e dalle aziende di lavoro temporaneo (soprattutto da
parte di chi opera nel settore del lavoro stagionale, c'è chi aveva sospeso i progetti operativi in attesa di maggiori chiarimenti) che hanno
contestato costi e tempi per potersi conformare al contenuto delle leggi, il Codice del lavoro è stato accolto positivamente, con la
consapevolezza che, durante la propria applicazione, alcune modifiche
potranno essere apportate.
Numerosi sono gli articoli che difendono le conquiste sociali e i diritti
dei lavoratori: la diminuzione dell'orario di lavoro, da 48 a 44 ore settimanali, l'assicurazione sanitaria, la tutela dei minori, la sicurezza nelle
fabbriche.
Il libro preliminare del Codice definisce il campo di applicazione della legislazione sul lavoro. Identifica le imprese e i datori
assoggettati. Le categorie di dipendenti che non sono interessati dalla
normativa sono ugualmente menzionate (per esempio le professioni che
hanno una propria regolamentazione).
Il primo libro regola i contratti individuali, i contratti della sottoimpresa, la negoziazione collettiva del lavoro e i licenziamenti attuati
per ragioni economiche, tecnologiche e strutturali.
I contratti a tempo determinato. Per evitare un ricorso smodato ai contratti a tempo determinato, che sono all'origine della precarietà nel
mondo del lavoro, il codice definisce i casi in cui è possibile concludere
lo specifico contratto. Essi saranno fissati da più norme regolamentari
stabilite dopo la consultazione con le parti sociali e saranno segnalate
in una convenzione collettiva.
. 60
Il testo precisa per esempio, che nel settore non agricolo, l'impresa che
inizia una propria attività o che lancia un nuovo prodotto può formulare
un CDD per la durata di un anno, rinnovabile una volta. Nel settore agricolo il CDD ha un decorso di sei mesi e può essere rinnovato a condizione che il contratto cumulativo non superi un biennio. Queste condizioni decadranno se i lavoratori cambieranno ruolo o posto nell'azienda.
Per un contratto a tempo indeterminato, il periodo di prova stabilito per
ogni candidato è stato suddiviso in 3 mesi per i dirigenti, un mese e
mezzo per gli impiegati e 15 giorni per gli operai. Questo periodo è rinnovabile una volta.
L'articolo 43 del Codice stabilisce che la rottura del contratto di lavoro
indeterminato e subordinato deve essere preceduto da un preavviso. La
scadenza e la durata del preavviso da una parte sono regolate dalle leggi
dello Stato ma dall'altra stabilite dal contratto di lavoro, dalle convenzioni collettive, dal regolamento interno dell'azienda o a seconda
“l'uso”. Queste ultime due clausole hanno suscitato le riserve sindacali. Infatti sono molte le postille che annullano la scadenza di otto giorni fissata dalla legge. Inoltre il legislatore dispensa il datore e il salariato dal rispettare il termine fissato per una non specificata “causa di
forza maggiore”.
Per tutti i dirigenti che hanno maturato un'anzianità non superiore a due
bimestri il preavviso è di soli 30 giorni, sale fino a due mesi per chi ha
lavorato da 1 a 5 anni e per più di 5 anni di servizio diventano 3 mesi.
Per impiegati ed operai, in relazione a un anno di servizio il preavviso non
può essere inferiore ad 8 giorni, per un periodo che va da 1 a 5 anni di
lavoro la scadenza sale a 30 giorni e per più di 5 anni il limite è 2 mesi.
Le negoziazioni collettive sono istituzionalizzate e armonizzate con le
disposizioni della convenzione n. 98 sul diritto di organizzazione e di
negoziazione collettiva e pianificate annualmente a livello d'impresa e di
settore. Altri termini possono essere fissati nei quadri delle convenzioni
collettive.
Lo scopo di queste negoziazioni è migliorare il rapporto tra l'imprenditore e i salariati, e le relazioni tra il patronato e il sindacato. La negoziazione collettiva è regolata su scala nazionale in un quadro tripartito, tra
il governo, il sindacato e il patronato. Il testo prevede la creazione di un
consiglio di negoziazione. Il contenuto di una convenzione collettiva è
definito per legge. Il licenziamento collettivo e la chiusura totale o parziale di un'impresa giustificata da ragioni tecnologiche, strutturali o eco-
. 61
nomiche devono essere autorizzate preventivamente dal governatore. In
questo caso i rappresentanti dei lavoratori (delegati del personale o sindacali) sono consultati dal datore di lavoro. Quest'ultimo deve fornire
spiegazioni sulle cause del licenziamento, l'effettivo che è coinvolto e la
durata di questa operazione. Il governatore ha due mesi di tempo per
annullare o confermare un licenziamento o per autorizzare la chiusura
dell'impresa.
Le indennità di licenziamento. Le indennità in caso di licenziamento illegittimo, non possono superare una cifra equivalente a un mese e mezzo
di stipendio per ogni anno o parte d'anno di lavoro conteggiato (il limite è fissato a 36 mesi). Il rimborso previsto in caso di licenziamento è
pari a 96 ore di salario per i primi 5 anni di lavoro, 192 ore di salario per
un periodo di anzianità compreso tra 11 e 15 anni e 240 ore di salario
per oltre i 15 anni di servizio maturati.
I salariati possono inoltre far valere il diritto di indennità per la perdita
del lavoro dovuto a ragioni economiche o tecnologiche. Le indennità per
il licenziamento illegittimo sono esonerate da IGR e dai costi di Sicurezza
sociale.
Il secondo libro regola le condizioni del lavoro e del salario. Il
datore di lavoro che occupa almeno dieci salariati è obbligato a redigere un regolamento interno dopo aver consultato i rappresentanti dei
propri dipendenti, entro due anni dall'apertura dell'attività.
Il terzo libro definisce la rappresentanza sindacale professionale, dei delegati del personale, del comitato d'impresa e dei
rappresentanti sindacali nell'ambito della stessa impresa. L'articolo
424 sancisce che le unioni dei sindacati professionali e tutte le organizzazioni similari possono ricevere delle sovvenzioni dallo Stato in
natura o sotto forma di contributo finanziario, per coprire le spese
dell'affitto, degli stipendi di alcuni dirigenti o del personale distaccato
e di attività relative all'educazione sul lavoro. I criteri terranno conto
del numero delle sedi dei delegati eletti nelle ultime elezioni professionali nel settore pubblico e privato.
Nella scelta dei beneficiari sono prese in considerazione l'attitudine
contrattuale dell'organismo sindacale (ovvero il numero delle convenzioni stipulate), l'intervento e la presenza nei programmi di alfabetizzazione e formazione.
. 62
Il controllo delle funzioni sindacali è esercitato da una commissione presieduta da un magistrato e composta da un rappresentante del dipartimento del lavoro, della finanza e dell'interno. La commissione si riunisce
prima del 31 marzo alla scadenza dell'anno finanziario.
In conformità con le convenzioni internazionali, è proibita l'ingerenza
negli affari interni delle organizzazioni professionali, degli impiegati e dei
lavoratori, in maniera diretta o indiretta, per tutto quello che concerne la
loro formazione, la loro gestione e la loro amministrazione.
Per la prima volta la rappresentanza sindacale è istituzionalizzata all'interno dell'impresa.
Rappresentatività del sindacato. Affinché un sindacato sia rappresentato a livello nazionale deve essere un soggetto indipendente,
dimostrare di saper concludere i contratti e deve comprendere almeno il
6% di tutti i delegati eletti nel settore pubblico e privato.
L'organizzazione sindacale principale all'interno di un'impresa è quella
che raccoglie almeno un terzo di tutto il personale eletto. Il sindacato
che ha ottenuto il più alto numero di voti durante le ultime elezioni è
tenuto a designare i suoi rappresentanti tra i membri dell'ufficio sindacale in seno all'impresa o alle istituzioni.
Esso ha diritto ad un rappresentante se nell'impresa è impiegato un
numero minore di 250 dipendenti, 2 rappresentanti tra 250 e 500 salariati, 3 tra 501 e 2000, 4 tra 2001 e 3500, 5 tra 3500 e 6000 e infine 6
se il numero effettivo ha superato 6000 dipendenti. I delegati sindacali
beneficiano di uno statuto che li protegge e dispongono degli stessi
mezzi di azione che hanno i delegati del personale.
Delegati del personale e dei sindacati. Le disposizioni interne che coinvolgeranno gli impiegati di un'impresa saranno concertate insieme ai
delegati del personale e ai rappresentanti sindacali. L'esercizio della loro
missione in seno alla società è tutelato da garanzie istituzionali.
Forme di rappresentanza. Il Codice contempla due forme di rappresentanza professionale, in conformità alla convenzione internazionale del
lavoro n. 135 ratificata recentemente dal Marocco. Oltre a prevedere le
elezioni sindacali, le aziende con almeno 50 dipendenti dovranno organizzare un comitato d'impresa. Questo organo si avvale di una funzione
consultiva in termini di ristrutturazione tecnologica, di bilancio sociale e
di strategia dell'impresa.
. 63
Il quarto libro si occupa di intermediazione nel lavoro. Legalizza
l'esistenza delle agenzie private e dell'agenzia dell'impiego temporaneo
consentendo al settore privato di partecipare all'intermediazione tra l'offerta e la domanda di lavoro.
Le agenzie di lavoro private sono autorizzate ad utilizzare salariati per
impiegarli temporaneamente in strutture di lavoro. Esse dovranno depositare una cauzione equivalente a 50 volte il valore annuale dello SMIG presso la Cassa di deposito e gestione. Questa somma servirà a risarcire i salariati in caso di chiusura o di ritiro della sua autorizzazione. A condizione
che essa non abbia provveduto ad onorare i suoi impegni salariali o con
la CNSS. Nella domanda che autorizza l'esercizio, l'agenzia dovrà allegare
un documento che attesti la cauzione depositata presso la CDG e fornire
informazioni relative all'indirizzo e alla nazionalità del proprio direttore.
L'agenzia, che farà da intermediario nella stesura di un contratto di lavoro al di fuori dal territorio nazionale, si dovrà far carico delle spese per
il rimpatrio del salariato e di tutte quelle relative al suo mantenimento
se il contratto non sarà portato a conclusione per ragioni indipendenti
dalla propria volontà.
L'agenzia ad interim si limiterà ad impiegare i salariati allo scopo di prestare temporaneamente la loro professione a un datore di lavoro. La missione è rinnovabile una volta e può durare per tre mesi. Nei casi di esecuzione del lavoro stagionale o di un lavoro che non necessita di contratto, la durata della missione si limita a sei mesi e non gode di rinnovo. L'impresa che ricorre al lavoro interinale, deve assicurare il personale contro gli incidenti sul lavoro e le malattie professionali.
Il quinto libro disciplina l'ispezione sul lavoro. L'ispettore del
lavoro, oltre a dover esercitare le sue mansioni di controllo generale, ha
la funzione di vegliare sulla corretta applicazione delle disposizioni delle
convenzioni collettive. I medici ispettori del lavoro hanno facoltà di redigere i processi verbali. Una divisione specializzata ha il compito di fare
rispettare le norme che tutelano l'igiene e la sicurezza sul lavoro. Le
procedure di trasmissione dei processi verbali sono stati egualmente
semplificati. Questi saranno trasmessi direttamente alla procura della repubblica senza dover passare dall'amministrazione centrale.
Il sesto libro riordina le norme in materia di conflitti collettivi,
di conciliazione e di arbitraggio, designa gli organi che gestiscono le
. 64
trattative tra le parti, fissando i limiti entro cui dovranno essere risolte.
In caso di contenzioso all'interno di un'impresa, un ispettore del lavoro
dovrà tentare di mediare tra le parti. Se le imprese coinvolte nel conflitto saranno almeno due, il contenzioso dovrà essere risolto in presenza
dei delegati del lavoro presso la Prefettura o la Provincia. In caso di
insuccesso l'ispettorato del lavoro o il delegato, dovranno fare appello,
dopo massimo tre giorni, alla commissione provinciale della conciliazione. Questa nuova istanza inviata in Prefettura o alla Provincia viene esaminata dalla commissione presieduta dal governatore, costituita in parti
uguali da funzionari dell'amministrazione dello Stato, dal datore di lavoro e dai rappresentanti sindacali. Il presidente della commissione è tenuto a convocare le parti in conflitto entro 48 ore. Per evitare che il negoziato si dilunghi il legislatore ha fissato una scadenza di 6 giorni entro i
quali la commissione dovrà concludere i lavori. Il presidente dispone di
ampi poteri. Può aprire un'inchiesta, accedere alla documentazione o a
informazioni inerenti alla questione. Il giudizio sul dissidio sarà depositato tramite un processo verbale. Nel caso in cui la negoziazione fallisca
è previsto un ricorso alla Commissione Nazionale della Conciliazione.
Presieduta dal Ministro per l'Impiego, la CNC è composta dai rappresentanti sindacali, dal datore di lavoro e dall'amministrazione dello Stato e
ha a disposizione sette giorni per trovare un accordo tra le parti. Il ricorso alla Commissione Nazionale è previsto inoltre nel caso in cui il conflitto coinvolga imprese residenti in più Province o Prefetture. Se il contenzioso non dovesse ricomporsi, la CNC sottoporrà il dossier a un giudizio super partes, l'arbitraggio. Il nome del giudice prescelto dalle parti
è inserito in una lista di persone compilata dal Ministro dell'Impiego che
in caso di dissenso potrà nominarne uno di ufficio. Il giudice prescelto
ha 4 giorni di tempo per riconvocare i contendenti e per emettere il verdetto. Una copia del PV gli sarà trasmessa tramite la Commissione
Nazionale. Per annullare la sentenza le parti contendenti potranno rivolgersi alla Camera sociale presso la Corte suprema dello Stato entro 25
giorni dall'emissione del giudizio. La Camera ha a disposizione 30 giorni per decidere l'annullamento o la conferma del verdetto. Se l'appello
viene accolto il dossier sarà riesaminato da un ulteriore arbitro prescelto dalle parti e se anche l'ennesima sentenza viene contestata la Camera
trasmetterà il dossier a uno dei suoi membri e il verdetto emesso in non
più di 30 giorni sarà il definitivo.
. 65
1.4 Politiche per il lavoro
Visti i dati relativi alla disoccupazione giovanile, non stupisce
che le politiche per il lavoro e per l'occupazione siano mirate a chi possiede in genere un grado di istruzione superiore.
Se è vero che per tutto il ventennio successivo all'indipendenza dalla Francia, il governo del Paese aveva perseguito una politica
industriale capital intensive, stabilendo una linea economica di stretto
autocentrismo (comune in quel periodo a tutti gli stati maghrebini), negli anni Ottanta Hassan II ha cambiato la strategia, e la vecchia politica
è stata rimpiazzata da una politica industriale labour intensive, mirata
alla crescita di quei comparti votati all'esportazione.
L'aumento progressivo del costo del lavoro unito ad una crescita modesta della produttività (attenuata in parte dalla pressione
esercitata dal flusso migratorio, una valvola di sfogo per un offerta senza sbocco) ha determinato l'incremento della disoccupazione nel Paese.
Dunque il problema occupazionale è diventato il fulcro del nuovo corso
marocchino.
I vincoli imposti dal Fondo Monetario e dalla Banca Mondiale e la conseguente riduzione della spesa dello Stato, spostano il baricentro dello
sviluppo sul settore privato.
S'imposta una politica che tende ad abbassare il costo del lavoro e cerca
di plasmare l'offerta alla domanda sempre più specifica delle aziende e
delle imprese, promuovendo formazione, microimprenditoria, mediazione
e assistenza per chi è alla ricerca di lavoro.
Nel 1998 si è svolta la prima assise nazionale per l'occupazione a cui hanno preso parte tutti i soggetti attivi del mondo del lavoro e
in cui è stato determinato un piano suddiviso in cinque punti, la base
dell' intervento di rilancio:
• aumento della crescita economica, sostegno all'iniziativa privata, alla
creazione di nuove imprese e allo sviluppo delle PMI;
• formazione professionale del capitale umano all'interno delle aziende
e flessibilità del lavoro;
• stabilità dell'occupazione;
• sviluppo del comparto associativo e dei servizi alla persona;
. 66
• ricerca di partenariato e di collaborazione all'interno delle realtà locali per lo sviluppo economico e occupazionale.
Tre, quindi, i vettori su cui dovrà viaggiare la politica
economica del nuovo corso marocchino: sviluppo delle
aree rurali, sostegno alle PMI, formazione del mercato
del lavoro.
Dello sviluppo delle aree rurali si è già detto in precedenza,
arrestare il flusso migratorio indirizzato verso zone a residenza urbana e
sostenere quei progetti volti a potenziare le strutture dell'economia della regione.
A sostegno delle PMI, il governo nel 2002 ha promosso la Carta delle piccole e medie imprese, un documento programmatico che
riassume le iniziative avviate dal governo per incrementare lo sviluppo
del mondo dell'imprenditoria.
La Carta prevede la creazione di una nuova struttura che aiuti a promuovere sul territorio nazionale la nascita di PMI, lo snellimento dell'iter
burocratico fiscale e un contributo a favore dei servizi di appoggio e promozione.
Allo scopo di informare ed assistere i nuovi diplomati che aspirano a
diventare imprenditori, il Consiglio Nazionale della Gioventù e
dell'Avvenire ha istituito un apposito programma, il PIACE, (programma
d'informazione e di assistenza alla creazione d'impresa).
Ma il progetto in parte è destinato a fallire, visto che da un'inchiesta condotta nella regione a più alta densità abitativa, la Grand Casablanca, è
risultato che solo lo 0,2% dei nuovi imprenditori ha usufruito dell'assistenza del programma.
Le difficoltà maggiori incontrate dal mondo dell'autoimpiego sono legate ad una scarsa capacità di affrontare
non tanto le prove di gestione, quanto la realizzazione
di un progetto.
Un esempio, la mancanza di risorse personali e l'impossibilità
di accedere ai finanziamenti previsti a causa delle garanzie richieste dalle istituzioni creditizie.
. 67
Il terzo asse, il centrale e il più complesso, è quello relativo alla formazione nel mercato del lavoro, modellare il capitale umano in
base alla domanda dell'impresa, utilizzando strumenti di mediazione
creati dallo Stato.
Sin dal 1993 è attivo un progetto di formazione e integrazione, il PNFI
che prevede corsi e stage per l'inserimento nel mercato del lavoro. È previsto inoltre un programma di sgravio o esonero fiscale per tutte quelle
imprese che assumono i candidati che escono dai corsi.
Nello stesso anno è stata realizzata un'agenzia di mediazione, la CIOPE
(Centro d'Informazione e Orientamento per l'Occupazione) diffusa a livello regionale e rivolta ai soli diplomati, con l'intento di coordinare le
richieste delle imprese e le offerte di lavoro, formando i candidati in base
alla domanda.
Dopo appena sette anni si è deciso di sciogliere la CIOPE e di creare una
nuova struttura nazionale l'ANAPEC (l'Agenzia Nazionale della
Promozione dell'Impiego e delle Competenze).
L'ANAPEC (che conta 16 agenzie sparse nelle corrispettive regioni del
Paese), dopo avere rilevato le mansioni assegnate all'istituto CIOPE, ha
esteso la propria attività oltre i confini nazionali, coordinando la domanda proveniente dai paesi occidentali con l'offerta di lavoro dei candidati
iscritti alle sue liste. Inoltre ha funzione di promuovere partnership con
imprese, organizzazioni non governative e strutture locali nelle regioni a
basso tasso di sviluppo. Vi sono anche iniziative a carattere privato che
concorrono agli sforzi compiuti dallo Stato. La concessione di microcrediti a persone economicamente e socialmente sfavorite è uno dei progetti promossi dalle ONG.
L' ANAPEC è un'agenzia di intermediazione e quindi la sua
funzione principale è quella di coordinare domanda e offerta di lavoro.
In quest'ambito, ha il compito di aiutare i soggetti più deboli all'interno
del mercato occupazionale, dalle aree meno sviluppate agli individui
con maggiore difficoltà d'inserimento, sostenere i progetti di utilità sociale e promuovere la piccola e media impresa. Assistere quindi
lavoratori e aziende nei loro percorsi professionali e offrire informazioni
sul mondo del lavoro.
Nel campo della formazione, l' ANAPEC ha la funzione di individuare i settori pronti a recepire offerta di lavoro e preparare i candidati a sostenere un esame di ammissione. Tale iter formativo può essere gratuito o a
. 68
carico delle imprese a cui verrà assegnato un rimborso spese per il periodo relativo allo stage.
Dal 1997 al 2001 è stato promosso un nuovo piano programmatico per
conformare il sistema formativo al mondo del lavoro, il Programma
Azione Impiego che ha avuto la funzione di promuovere la prima occupazione per tutti i disoccupati di lunga durata, prevedendo inoltre un
contributo, la cosiddetta indennità d'inquadramento per tutte quelle
imprese che avrebbero assunto nuovi dipendenti dopo averli destinati ad
un periodo di formazione professionale. Ma anche il Programma Azione
Impiego, dopo quattro anni di attuazione è stato sostituito nel 2002 da
un programma più incisivo promosso dal Ministero delle Finanze e da
quello per l'Occupazione.
La recente normativa ha prospettato un credito formativo e
quattro nuovi contratti di lavoro. Il contratto di sviluppo dell'occupazione, il contratto di occupazione qualificata di utilità sociale e il contratto
di accesso all'impiego, si rivolgono a diplomati di livello superiore, baccalaureati più due anni e laureati di formazione professionale o di
livello tecnico con meno di 35 anni di età.
Il primo è indirizzato a chi cerca lavoro da più di 36 mesi in piccole e
medie imprese, in regioni economicamente svantaggiate e prevede un
contributo da assegnare al datore di lavoro per ogni nuovo contratto di
assunzione.
Il secondo ha il fine di promuovere l'attività associativa nelle aree più
arretrate. I progetti presentati devono avere valore di utilità sociale e
sono finanziati da un contributo semestrale.
Il terzo promuove l'inserimento di persone portatrici di handicap che cercano lavoro da un periodo che supera i tre anni. Anche in questo caso è
previsto un budget d'ingresso per le imprese che assumono i disoccupati aventi tali requisiti.
L'ultimo contratto, quello di inserimento, sostiene tutti i giovani baccalaureati alla ricerca di un primo impiego e prevede incentivi
fiscali per le imprese che dispongono assunzione di stagisti. Il credito
formativo si indirizza a quelle aziende che hanno assunto personale in
base ad uno dei contratti proposti in precedenza e mira a formare il lavoratore in relazione alla specifica domanda dell'impresa. Le spese sono
sostenute dai privati ma è previsto un contributo dello Stato.
. 69
L' ANAPEC inoltre ha proposto tre programmi:
• il programma di formazione qualificante offre corsi formativi a giovani
diplomati alla ricerca di lavoro da più di un anno;
• il programma d'inserimento dei laureati in istituti di insegnamento agricolo superiore organizza moduli formativi a 300 laureati del settore;
• il programma di appoggio all'auto impiego contribuisce al finanziamento di progetti presentati da giovani baccalaureati con due anni di studio superiore o che abbiano conseguito una formazione professionale.
In una realtà avviata oramai al pluralismo in campo politico,
economico e sociale, vi sono associazioni, movimenti che anelano ad
un riconoscimento formale della loro esistenza e della loro posizione.
Tra questi, l'Associazione Nazionale dei Disoccupati Diplomati del Marocco - ANDCM - (creata nel 1991, raccoglie più di 20.000 iscritti divisi in
140 sezioni) che, alla luce dei risultati economici ottenuti finora dal governo, chiede a gran voce che sia messa in discussione la politica
finanziaria attuata nell'ultimo decennio.
marocchine cercare di adattare il mercato del lavoro alle esigenze delle
imprese attraverso la formazione professionale.
Nel capitolo precedente è stata illustrata quella parte di programma realizzato dal governo allo scopo di ridurre la disoccupazione e di creare
nuovi posti di lavoro. Un sistema rinnovato, costellato da tanti piccoli
interventi e qualche modesto risultato conseguito in attesa di un'auspicata inversione di tendenza.
La disoccupazione dunque, come appreso dai sondaggi, colpisce la
fascia giovanile e più istruita, la dispersione scolastica tende a compensare un incremento della scolarizzazione dell'infanzia (nell'anno 20002001 il 53,4% degli studenti ha abbandonato la scuola prima di raggiungere gli studi secondari), la formazione pubblica è ancora inadeguata.
In un quadro poco incoraggiante, il settore del privato e soprattutto quello relativo al lavoro informale, ha coperto un ruolo decisivo in campo formativo attraverso i modelli più tradizionali, l'apprendistato nelle microimprese, per esempio, che ha coinvolto in prevalenza la fascia giovanile
e analfabeta residente nelle zone di campagna.
Considerando il fatto che il settore privato ha dimostrato di
non essere in grado di creare nuovi posti di lavoro e di sostenere la crescita industriale, che il Paese necessita di investimenti pubblici nel
campo dell'educazione, dei trasporti, della salute e dell'abitazione,
l'ANDCM chiede interventi rapidi ed urgenti proponendo una propria
piattaforma: l'annullamento del debito, la razionalizzazione e il controllo
della spesa pubblica, la riduzione degli stipendi degli alti funzionari e
dei parlamentari, la lotta contro il clientelismo, il cumulo delle funzioni
e la corruzione, la riforma della politica fiscale, un sussidio di disoccupazione e l'abolizione del nuovo Codice del lavoro.
Un'analisi compiuta nel 1996 dal Dipartimento per la Formazione Professionale, ha permesso di redigere un elenco contenente le
cinque attività che hanno fatto registrare il tasso di occupazione più elevato nel Paese. Al primo posto il settore delle acconciature con il 70,9%,
seguito dalla meccanica agricola con il 62,3%, il modellismo del reparto
confezione con il 61,2%, la meccanica automobilistica con il 57,7%.
Le categorie professionali che hanno registrato più disoccupati sono: al
primo posto progettazione edile e pianificazione urbanistica con il
36,9%, seguita da gestione dell'impresa e dattilografia al 36,8%, contabilità al 34,5% e segretariato di direzione con un 33,5%.
1.5 Politiche per l'occupazione e formazione professionale
Il fallimento parziale delle politiche del lavoro è prodotto e
causa di tutti quei problemi che affliggono il Paese, la disoccupazione,
la dispersione scolastica, gli scarsi risultati ottenuti nel settore formativo e la mancanza di coordinamento in un sistema troppo frammentario
e disperso tra pubblico e privato.
È stato già detto quanto possa essere importante per le istituzioni
. 70
In ambito statale, oltre alla Direzione della Formazione del Ministero dello Sviluppo Sociale, della Solidarietà e del Lavoro, anche
l'Ufficio della Formazione Professionale e della Formazione del Lavoro
(OFPPT) è incaricato di coordinare e proporre corsi formativi.
L'OFPPT, fondato nel 1974 con sede a Casablanca, è un ente pubblico
composto da tutti quei soggetti che hanno preso parte attiva nel mondo
del lavoro. È costituito da un consiglio presieduto dal Ministro per la
Formazione Professionale e rappresentato da 7 imprenditori, 7 sindacalisti e da 14 membri scelti tra i numerosi ministeri.
. 71
L'OFPPT svolge un ruolo formativo, indirizzato a giovani disoccupati
sotto la soglia dei 30 anni, distribuito su quattro livelli: tecnico, tecnico
di specializzazione, tecnico specializzato, tecnico qualificato.
I programmi dell'agenzia sono indirizzati a tutti quei soggetti
che fanno parte del mercato del lavoro, alle imprese in primo luogo
(fornendo servizi quali valutazione sulle capacità del personale ed elaborazione dei piani formativi), agli istituti di credito, all'amministrazione
pubblica (formando impiegati, tecnici e quadri dirigenti) e ai singoli individui con corsi personalizzati quali formazione a distanza,
apprendistato (regolarizzato con un decreto approvato nel 2000 che
prevede uno stage nell'impresa che dovrà assumere il candidato e una
parte dedicata alla teoria), la formazione alternata (svolta in parte nell'azienda e in parte nella sede dell'ufficio competente).
Per chiunque voglia realizzare un progetto di lavoro, l'OFPPT offre la propria consulenza, seguendo le varie tappe del processo esecutivo, dal
montaggio all'assistenza
tecnica, dal monitoraggio alla realizzazione pratica.
Per le imprese già avviate vi è uno speciale programma di formazione
per i propri dipendenti che prevede un contributo dell'80% sulle spese
complessive.
Le statistiche parlano di un calo delle imprese che hanno usufruito delle
agevolazioni statali nel 2002 rispetto all'anno precedente ma di una
maggiore partecipazione alla domanda di ammissione.
1.6 Il sistema scolastico e formativo
La scuola pubblica
Il complesso settore dell'insegnamento e dell'educazione è
gestito da più di un dipartimento a seconda dei cicli scolastici e delle
specializzazioni che comprendono. Esso dipende dal Ministero dell'Educazione nazionale, dell'Insegnamento superiore, della Formazione
dei quadri e della ricerca scientifica, dello Sviluppo sociale, della Solidarietà, dell'Impiego e della formazione professionale e della
Promozione del lavoro.
. 72
Nel 1985 il Marocco ha approvato una riforma del sistema
educativo che ha rinnovato la struttura della scuola e della formazione
professionale, ma l'ultima vera riorganizzazione nazionale è stata attuata nel settembre del 1990.
La scuola pubblica è completamente gratuita ed è obbligatoria fino a quindici anni, con il passaggio dalla scuola fondamentale (dell'obbligo) all'insegnamento
secondario.
Una rete capillare di scuole private a pagamento si sta diffondendo in tutto il Paese. Le lingue adottate sono il francese e l'arabo.
Continuano ad esercitare la loro funzione educativa le scuole coraniche
riformate, che abbracciano tutto l'arco formativo, dalle scuole fondamentali all'università.
Sono numerosi gli istituti per stranieri, aperti ai cooperanti o a chiunque
voglia frequentarli, legati o finanziati alle iniziative dei governi a cui il
sistema fa riferimento.
Le scuole materne sono organizzate da iniziative private. In effetti non
esiste un sistema pubblico prescolare. I bambini iniziano a frequentare
la prima classe delle fondamentali all'età di sette anni.
L'anno scolastico inizia ad ottobre e finisce il mese di giugno. Sono previste due lunghe interruzioni, le vacanze d'inverno e le vacanze di primavera (corrispondenti alle nostre festività natalizie e pasquali).
Il programma scolastico è uniformato ed è comune per le scuole pubbliche e private. Nei primi sei anni delle fondamentali si frequentano i corsi
per cinque giorni a settimana, rispettando la festività religiosa islamica
che cade il venerdì e la domenica.
La giornata scolastica è suddivisa in due parti: si entra nelle classi alle
8.00 del mattino e si esce alle 11.00 e dopo una breve pausa per il
pranzo si ritorna il pomeriggio. Nei primi due anni di fondamentali si
insegna l'arabo letterario e dal terzo anno in poi si inizia a studiare la
lingua francese.
Nel grafico successivo si riportano il prospetto del programma scolastico
del primo ciclo della scuola fondamentale, materie insegnate ed ore settimanali ad esse dedicate.
. 73
Al termine delle secondarie si ottiene il diploma, il baccalaureat con il
quale si può accedere all'insegnamento superiore.
MATERIE - PRIMO CICLO SCUOLA FONDAMENTALE
MATERIE
I ANNO
II ANNO
III ANNO
IV ANNO
11
11
6,5
6,5
6
6
4
4
3
3
3
3
1,5
1,5
8
8
8
8
ARABO
CULTURA ISLAMICA
V ANNO
STORIA E GEOGRAFIA
FRANCESE
5
5
5
5
5
5
1,5
1,5
1,5
1,5
1,5
1,5
MATEMATICA
SCIENZE NATURALI
VI ANNO
EDUCAZIONE FISICA
2
2
2
2
2
2
DISEGNO E GRAFIA
4,5
4,5
2
2
1
1
28
28
28
28
28
28
TOTALE
Da notare come l'impegno prodigato per l'apprendimento del sistema
multilinguistico assorba gran parte del piano di studi scolastico.
CORSI DI STUDIO ED ETÀ CORRISPETTIVA DI FREQUENZA
CORSI DI STUDIO
DURATA
ETÀ PREVISTA
MATERNA
FINO A
7
ANNI
FONDAMENTALE PRIMO CICLO
6
ANNI
7
A
12
ANNI
FONDAMENTALE SECONDO CICLO
3
ANNI
DA
13
A
15
ANNI
INSEGNAMENTO SECONDARIO
3
ANNI
DA
16
A
18
ANNI
DA
Alla fine dei sei anni di primaria (atta'lim al'ibtida'i) un esame
(shahada) fa accedere al secondo ciclo della fondamentale (atta'lim al i'dadi), da cui un ulteriore verifica promuove agli ultimi tre anni di
insegnamento secondario. Al passaggio tra il secondo ciclo della fondamentale e l'insegnamento secondario, in base alle attitudini dimostrate
lungo il corso degli studi si è orientati verso due indirizzi, quello generale o quello tecnico.
Nelle scuole superiori l'arabo è utilizzato per studiare le materie letterarie, il francese per i corsi tecnici, professionali e per tutti gli indirizzi e i
piani di studio universitari.
. 74
L'insegnamento superiore a sua volta si divide in cinque settori:
•
•
•
•
•
Università (attualmente 14 in Marocco)
Istituti o scuole superiori
Centri di formazione professionale
Università e istituti stranieri
Centro di Formazione degli Istitutori (CFI), Centro Pedagogico Regionale
(CPR) e Scuola Normale Superiore (ENS).
Il settore della formazione professionale è stato riorganizzato con la riforma approvata nel 1984.
Gli oggetti della riforma del sistema possono essere riassunti in tre
punti principali:
• sviluppo della formazione professionale, strumento per valorizzare
le risorse umane e la promozione economica e sociale;
• miglioramento costante della qualità della formazione, in relazione
al rapporto tra la formazione stessa e il lavoro;
• promozione dell'impiego dei laureati, organizzazione e valorizzazione dei mestieri.
Il sistema della formazione professionale è suddiviso in quattro livelli:
• il livello più basso è quello Tecnico a cui si può accedere dopo il
terzo anno della scuola fondamentale e dopo aver conseguito un
esame d ammissione. La frequenza del corso comporta l'acquisizione del diploma di tecnico.
• Il secondo livello è quello di Specializzazione a cui si accede dopo
il sesto anno di scuola fondamentale tramite ulteriore esame ed è
attestato dal certificato di formazione professionale. Questo ciclo è
prevalentemente frequentato da chi vuole accedere al campo dell'artigianato, delle costruzioni o dell'agricoltura.
• Al terzo livello, quello di Qualificazione, si accede con un esame di
ammissione dopo avere terminato il nono anno di scuola fondamen-
. 75
tale. Al termine degli studi viene rilasciato il certificato di formazione professionale.
• Il quarto livello, di Tecnico Specializzato, che è una sorta di corso
parauniversitario, è aperto a tutti i baccalaureati e rilascia il diploma di tecnico specializzato.
Gli indirizzi sono tre. Il Centro di Formazione degli Istitutori (CFI), il
Centro Pedagogico Regionale (CPR) e la Scuola Normale Superiore (ENS).
L'Università
La riforma per l'insegnamento superiore è entrata in vigore il
primo gennaio del 2000 accordando all'Università l'autonomia necessaria che le ha permesso di organizzare la propria struttura a livello
didattico. Ogni sede universitaria è quindi libera di proporre la formazione che giudica più adeguata in relazione alle proprie risorse umane e
materiali in sintonia con i bisogni della regione in cui è ubicata.
Tutto ciò non ha comunque impedito ai 14 istituti del Paese di omologare la struttura portante dell'insegnamento che oggi è comune a
livello nazionale e che prevede il conseguimento di tre tipi di lauree:
la licenza in tre anni, il master in cinque e il dottorato in otto.
Questo rende possibile un migliore orientamento e una maggiore
mobilità degli studenti, non solo nell'ambito della formazione dei quadri, ma nell'istituzione universitaria internazionale a cui si adegua.
Un'altra importante novità introdotta è la nozione della capitalizzazione acquisita, ovvero un sistema modulare raggruppato in periodi
semestrali. Ogni modulo superato dall'allievo resterà a suo appannaggio. Potrà quindi utilizzarlo per potersi iscrivere ad altre facoltà. Tutto
ciò consente allo studente di poter abbandonare i propri studi conseguendo diplomi intermedi che può utilizzare per entrare nel mondo del
lavoro o per riprendere a frequentare i corsi a distanza di anni.
La valutazione delle conoscenze, delle attitudini e delle
competenze relative a ciascun modulo è effettuato da controlli periodici, realizzati sotto forma di esami, di test, di compiti e di stage.
. 76
Tuttavia, per ottenere la promozione, si dovrà superare un esame finale.
Se la preparazione in alcune materie all'interno del modulo è risultata
insufficiente si può recuperare prima del semestre successivo.
Il primo diploma di studi universitari si ottiene quindi dopo aver compiuto il ciclo introduttivo (quattro semestri) e comporta il superamento di 16 moduli.
I primi due semestri sono comuni a tutti gli indirizzi e permettono allo studente di orientarsi con l'aiuto dei suoi insegnanti, e
possono portare ad un diploma di studi universitari generali (DEUG)
o ad un diploma di studi universitari professionale (DEUP). I DEUG e i
DEUP daranno modo di accedere alle differenti facoltà.
Dopo il primo anno di studio collettivo, gli insegnanti, come
si è già detto, dovranno aiutare lo studente a fare le sue scelte in base alla sua capacità, alle sue preferenze, ai posti disponibili nelle
varie facoltà e alle prospettive di sviluppo regionali e nazionali.
Questa scelta è coordinata da una commissione di orientamento creata in seno a ciascuna università. La commissione ha il compito di
orientare attraverso i moduli acquisiti e la proposta fatta da una giuria di insegnanti.
Il diploma di studio universitario generale o professionale
dà diritto all'iscrizione per la licenza degli studi fondamentali o per la
licenza professionale (che corrispondono alle nostre lauree brevi).
La durata degli studi è di due semestri con otto moduli da superare.
Per accedere alla licenza sono fondamentali i crediti, ovvero l'insieme
del bagaglio culturale (per esempio note ottenute in alcuni moduli) o
di esperienze professionali nel caso lo studente provenga dal mondo
del lavoro, che garantisca la riuscita nella materia prescelta.
Le licenze di studi fondamentali sono numerose e per evitare
il sovraffollamento delle facoltà si dà la precedenza ai residenti nella regione in cui è ubicata l'università. Gli studenti che conseguono tale
licenza sono destinati a proseguire i loro studi con il ciclo master o a lasciare i corsi universitari ed entrare nel mondo del lavoro.
. 77
La licenza professionale è il primo vero diploma che può ottenere uno studente per accedere a una professione. Esso, come il
precedente, si compone di due semestri autonomi ma l'accesso è limitato in funzione dei posti disponibili (qualche esempio di licenza
professionale: assicurazione bancaria, diritto e gestione immobiliare, gestione alberghiera, management e nuove tecnologie, formazione
multimediale, interventi specialistici nel campo della sordità ecc.).
Dopo il master si possono proseguire gli studi per altre tre anni arrivando al dottorato.
Nel grafico seguente è riportato il numero di insegnanti impiegati nel
sistema formativo nazionale, dalle scuole primarie all'università.
SCUOLE PUBBLICHE
2002
2003
2003
2004
TOTALE
DONNE
TOTALE
DONNE
INSEGNANTI SCUOLA FONDAMENTALE PRIMO CICLO
135.199
54.799
135.570
59.728
INSEGNANTI SCUOLA FONDAMENTALE SECONDO CICLO
54.012
19.371
55.357
24.638
INSEGNANTI SCUOLA SECONDARIA
33.875
10.190
34.528
13.942
INSEGNANTI UNIVERSITARI
10.064
2.432
10.032
2.489
FONTE : MINISTERO DELL 'EDUCAZIONE, DELL'INSEGNAMENTO SUPERIORE , DELLA FORMAZIONE E DELLA RICERCA SCIENTIFICA ,
2004.
Cenni storici sul sistema scolastico e formativo
Nell'età precoloniale, il sistema formativo era affidato esclusivamente alle scuole di matrice religiosa. Alle scuole coraniche, le
kuttab, era affidata l'istruzione dei bambini, ai collegi o alle madrasa la
preparazione superiore, il diritto e la dottrina islamica.
Nel periodo coloniale, dagli anni venti fino all'anelata indipendenza, si
fondarono le prime scuole pubbliche a cui fu affidata la funzione di formare i nuovi quadri dirigenti della giovane colonia. Il modello didattico
si ispirava a quello adottato in madrepatria e la lingua francese fu promossa ad idioma scolastico nazionale.
Dal 1956, con l'acquisizione dell'indipendenza e la promulgazione della prima costituzione del Regno del Marocco, fu riconosciuto il
diritto all'istruzione per tutti i cittadini sancendo la gratuità dell'intero
percorso del sistema formativo.
Nel 1963 i primi cinque anni delle scuole fondamentali furono resi obbligatori e dal 1985, fu imposta la frequenza al secondo ciclo. I primi risultati furono confortanti.
Nel 1980 più dell'83% dei bambini in età scolare frequentava le scuole elementari. Successivamente la percentuale si è contratta e nell'88 si è ridotta al 63%.
La pressione demografica, la crisi economica che ha investito
la nazione e la conseguente riduzione della spesa pubblica, furono la
causa di un regresso preoccupante.
. 78
Un modello formativo troppo rigido, poco attento ai cambiamenti sociali e culturali che attraversano il Paese, il sovraffollamento
delle classi, infrastrutture e impianti fatiscenti, la diffusione del lavoro
minorile (avallato da una legge dello Stato che limitava a dodici anni
l'età minima per accedere al mercato del lavoro) non hanno certo aiutato a combattere la piaga dell'analfabetismo dilagante.
Secondo un'indagine realizzata nel 1999, oltre il 47% della popolazione
non sapeva né leggere e né scrivere e 24 milioni di marocchini erano
semianalfabeti. Questo dato allarmante, è dovuto in parte alle condizioni economiche delle famiglie disagiate, residenti soprattutto nelle zone
di campagna. Ma anche il fenomeno del multilinguismo pesa enormemente nell'approccio al sistema formativo.
La maggior parte dei ragazzi, soprattutto quelli residenti nei
distretti di montagna e nelle zone rurali, parlano correntemente forme
dialettali e l'arabo usato tutti i giorni è un idioma nazionale ben lontano dalla lingua classica adottata nelle scuole. Possiamo immaginare la
difficoltà che incontrano i bambini ad apprendere materie sconosciute in
una lingua che di fatto non è quella materna.
La sola etnia berbera, adopera molteplici dialetti per comunicare nella
vita quotidiana, a seconda della zona in cui risiede. Nel medio atlante si
parla imazighen, nel Rif il tarifit, nell'alto atlante il chleuch. Nelle oasi
meridionali risiede la tribù degli Haratin, discendente dagli schiavi neri
importati dai paesi subsahariani. Nel deserto del Sahara vivono i Tuareg,
con cultura, lingua e tradizioni proprie.
. 79
Un dato confortante è fornito dalla rivista online “Marocco news”, secondo la quale il divario tra scolarizzazione
maschile e femminile è sempre più ridotto.
NUMERO DI STUDENTI CHE FREQUENTANO LE SCUOLE DELL'OBBLIGO, LE SECONDARIE
E L'UNIVERSITÀ
INSEGNAMENTO FONDAMENTALE I° CICLO
PUBBLICO
PRIVATO
INSEGNAMENTO FONDAMENTALE II° CICLO
PUBBLICO
2002-2003
2003-2004
4.101.157
4.070.182
3.884.638
3.864.950
-1
216.519
223.232
3,1
VARIAZIONE IN
%
-0,8
1.119.580
1.161.390
3,7
1.097.729
1.134.223
3,3
21.851
27.167
24,3
INSEGNAMENTO SECONDARIO
559.497
603.397
7,8
PUBBLICO
530.761
573.648
8,1
28.736
29.749
3,5
PRIVATO
PRIVATO
BREVETTO DI TECNICO SPECIALIZZATO
1.762
1.747
-0,9
CLASSE PREPARATORIA
3.036
3.208
5,7
280.599
277.442
-1,1
INSEGNAMENTO UNIVERSITARIO PUBBLICO
una cifra confortante: 345.000 bambini non hanno frequentato la scuola
obbligatoria, un grande passo avanti se si considera il dato riportato da
un censimento risalente alla fine degli anni Novanta secondo il quale 2
milioni di bambini tra i 7 e i 15 anni non aveva frequentato l'insegnamento fondamentale.
FONTE : MINISTERO DELL'EDUCAZIONE, DELL'INSEGNAMENTO SUPERIORE , DELLA FORMAZIONE E DELLA RICERCA SCIENTIFICA ,
2004.
CENSIMENTO DELLA POPOLAZIONE DI ETÀ SCOLARE PER FASCE DI ETÀ E RESIDENZA - 2003
GRUPPO DI ETÀ
7-12
ANNI
URBANO
+
URBANO
RURALE
1.815
1.829
RURALE
3.644
13-15
ANNI
975
957
1.932
16-18
ANNI
998
941
1.939
3.788
3.790
7.515
TOTALE
FONTE : MINISTERO DELL 'EDUCAZIONE, DELL'INSEGNAMENTO SUPERIORE , DELLA FORMAZIONE E DELLA RICERCA SCIENTIFICA ,
2004.
Dal confronto delle due tabelle emerge un dato interessante.
Infatti, se alla somma degli studenti della scuola fondamentale (prima
tabella: 5.231.000 unità) sottraiamo la somma della popolazione giovanile che va da 7 a 15 anni (seconda tabella: 5.576.000 unità), si ottiene
. 80
. 81
4. Relazioni internazionali
1. Relazioni con organismi internazionali
Conquistata l'indipendenza, il regno marocchino ha mosso i
primi passi verso il mondo aderendo alle Nazioni Unite nel 1956.
Due anni dopo ha legittimato la sua vocazione islamica entrando nella
Lega Araba, l'organizzazione fondata a Il Cairo nel 1945, finalizzata allo
sviluppo delle relazioni culturali, economiche, sociali e finanziarie tra i
suoi Stati membri. La Lega persegue lo scopo di ricomporre le controversie e di coordinare le politiche estere tra i paesi che vi aderiscono. In più
di un caso, però sono nate dispute all'interno dell'organizzazione.
Annosa è la questione che oramai rischia di spaccare in due la Lega e
che divide Algeria e Marocco sullo status dell'ex Sahara Spagnolo.
L'Unione del Maghreb Arabo (UMA) fondata nel 1989, con sede a Rabat, ha lo scopo di coordinare le politiche economiche dei 5
stati nordafricani che lo hanno fondato e che tutt'oggi lo compongono:
Algeria, Libia, Marocco, Mauritania e Tunisia. L'UMA ancora più della Lega Araba, patisce le tensioni provocate dal caso del Sahrawi,
coinvolgendo inoltre il terzo diretto interessato, la Mauritania. L'idea di
creare una comunità nordafricana sul modello di quella realizzata dall'Europa è stata accantonata, tanto è vero che il Marocco ha proseguito
quella politica economica auspicata dal trattato con alcuni Stati membri
dell'Unione del Maghreb, come la Tunisia di Ben Ali (rimangono comunque validi gli accordi vigenti con gli altri tre membri dell'Unione),
concentrando i suoi sforzi verso nuove relazioni (Europa, Stati Uniti e
Medio Oriente).
. 83
Obiettivi in parte ritenuti strategici dal governo marocchino e in parte
obbligati da quello stato d'isolamento contratto a causa del Sahrawi.
L'abbandono dell'OUA (Organizzazione Unitaria Africana) ne è stato il
segno più evidente (rapporti privilegiati permangono comunque con
Guinea e Senegal).
Con il trattato stipulato nel 1996 tra Marocco e Comunità europea (che ha rafforzato l'adesione allo European Free Trade Agreement),
Hassan II ha dato inizio a un progetto più ambizioso, l'idea di aprire
un'area di libero scambio euro-mediterranea. In questa direzione va anche letta l'intensificazione delle relazioni commerciali tra il Marocco e i
paesi dell'Europa Centrale ed Orientale (PECO), e soprattutto il trattato
firmato nel '99 con i quattro membri dell'AELE (Svizzera, Norvegia, Liechtenstein e Islanda) che ricalca sostanzialmente l'accordo di libero
scambio siglato dal Paese maghrebino con l'UE, uno smantellamento tariffario graduale dei prodotti industriali in un arco complessivo di
appena dodici anni.
Inoltre, l'adesione al WTO, l'Organizzazione per il Commercio Mondiale,
che è deputata a controllare i negoziati avviati per gli scambi commerciali e le tariffe doganali è un ulteriore passo in questa direzione.
Che il Marocco sia cerniera tra il Nord e il Sud del bacino del
Mediterraneo è confermato dall'analogo trattato stipulato con la Tunisia,
l'Egitto e la Giordania (l' “intesa di Agadir”) aperto all'adesione dei paesi
ubicati in tutta la regione e di quello sottoscritto di recente con Ankara.
Accordi tariffari sono stati firmati inoltre con l'Arabia Saudita e con l'Iraq.
In parte si è accennato alla diffidenza generata dall'intesa
commerciale che il Marocco ha stipulato con gli Stati Uniti il 15 giugno
del 2003, che avrà l'effetto di sopprimere le barriere doganali sul 95%
dei beni di consumo e dell'industria.
Un accordo a doppio taglio. Se da un lato potrebbe agevolare agricoltori e produttori americani, che esportando mais e grano, pollame e manzo
si troveranno abbattute le barriere tariffarie (per i prodotti made in USA
i tassi doganali sono fissati al 20% contro il 4% di quelli imposti alle
esportazioni marocchine negli States), o le grandi multinazionali (la CMS
Energy costruirà in Marocco un impianto energetico a carbone), dall'altro gli aiuti offerti da Washington sono più che raddoppiati (19,8 milioni
di euro nel 2004 contro il 57,3% previsti per l'anno in corso).
. 84
2. Relazioni con l'Italia
È dal 1995 che il Paese maghrebino, con la ratifica della Carta
degli Investimenti Esteri, ha equiparato giuridicamente le società straniere che lavorano in Marocco con le realtà produttive locali.
Alle dirette dipendenze del Ministero dell'Economia e della Finanza, che
accorpa la divisione delle privatizzazioni e del turismo, opera la Direzione
per gli Investimenti Esteri ([email protected]) che ha la funzione di promuovere il Paese, prospettare i settori più vantaggiosi del
mercato agli investitori stranieri, consigliare come attuare i progetti d'investimento e infine assistere e seguire l'iter burocratico.
Sono ammessi investimenti in tutti i settori tranne quello relativo
all'estrazione dei fosfati e all'acquisizione di terreni agricoli.
Rapporti commerciali Marocco-Italia
Come si può evincere dalla tabella seguente, negli ultimi 10
mesi del 2004 le esportazioni italiane sono aumentate del 3% e le importazioni sono cresciute del 2,6%. I conti della bilancia commerciale si
chiudono nettamente a nostro favore, nonostante le importazioni italiane abbiano subito un lieve aumento, invertendo un trend negativo che
si era prodotto negli ultimi anni.
INTERSCAMBIO CON L'ITALIA (MILIONI DI EURO)
2003
2003
2002
2001
ESPORTAZIONI
GEN / OTT
765
742
892
824
824
IMPORTAZIONI
398
388
460
528
582
SALDO
367
354
432
296
242
FONTE : ICE ,
2004
GEN / OTT
2005.
I settori di rilievo dell'export italiano continuano a far capo all'industria tessile, in crescita dell'8%, (una performance positiva dopo anni di
lievi ma continue flessioni) e alla produzione di apparecchiature per l'industria (malgrado abbia subito una contrazione di quasi il 10% rispetto
all'anno precedente). Bene i prodotti petroliferi e la chimica di base.
. 85
ESPORTAZIONI ITALIANE IN MAROCCO (MILIONI DI EURO)
GEN / OTT
SETTORE
2004
GEN / OTT
123
TESSUTI
2003
2003
2002
2001
105
131
136
141
MACCH . IND . SPEC
82
90
106
86
111
PETROL . RAFF.
65
57
59
6
11
MACCH . IND . GEN
43
53
61
52
59
CHIM . BASE
39
25
31
34
28
.....
.....
.....
.....
.....
ALTRI
FONTE : ICE ,
2005.
Tra le voci più importanti del comparto importazioni spicca il
settore dell'abbigliamento, con un +13% (produzione legata a doppio filo con la nostra esportazione tessile) e soprattutto il settore della
chimica di base, che segna un incremento del 23%.
In netta flessione l'industria del pesce trasformato e conservato che registra un calo del 31%, e dei fili e cavi isolati, -11%.
IMPORTAZIONI ITALIANE DAL MAROCCO (MILIONI DI EURO)
2003
2003
2002
2001
ABBIGLIAMENTO
GEN / OTT
82
73
88
87
96
PESCE CONS . TRASF
50
72
83
91
82
FILI E CAVI ISOLATI
57
64
77
100
101
PROD . CHIMICA
41
33
53
53
55
PROD . AGRICOLT.
15
17
19
11
9
SETTORE
2004
GEN / OTT
12
15
17
20
28
ALTRI
.....
.....
.....
.....
.....
TOTALE
399
389
460
529
582
CALZATURE
FONTE : ICE ,
2005.
L'Italia è il terzo paese fornitore del Marocco. Nel 2004 ha incassato quasi 6.000 milioni di dirham con un incremento annuo del
6,5%, eludendo l'agguerrita concorrenza di Germania e Stati Uniti che
hanno segnato un incredibile performance, rispettivamente il 43% e il
47% in più rispetto all'anno precedente.
. 86
Nell'ultimo periodo, la competizione delle industrie asiatiche e le agevolazioni doganali promosse dai trattati che il Paese maghrebino ha siglato con l'Europa, il Medio Oriente e il continente americano, obbligano
l'Italia a reimpostare la sua politica commerciale.
L'interesse palesato dal Marocco verso alcuni modelli della vita
economica italiana, quali le PMI (interessante l'idea di credito concesso dal
nostro paese alle piccole e medio imprese marocchine per l'acquisizione di
tecnologia italiana), i distretti industriali ed i consorzi, o il riconosciuto expertise del made in Italy nei settori più creativi (abbigliamento, pelletteria
ed arredamento) o del comparto agroalimentare, può portare notevoli vantaggi in vista delle ulteriori privatizzazioni che si stanno realizzando.
Anche nel campo delle infrastrutture, l'Italia gode di un prestigio che può
sfruttare in vista dei lavori di ammodernamento in atto nel Paese:
ampliamenti autostradali, ristrutturazioni di porti e di aeroporti, sviluppo
dell'edilizia popolare (alcune nostre società hanno conseguito degli
appalti per i lavori nel porto di Tangeri, la messa in opera di dighe e la
costruzione di importanti vie di comunicazioni).
Nel settore del turismo il nostro paese si è aggiudicato una concessione
per la realizzazione di un importante progetto sulla costa mediterranea.
Tra le grandi industrie italiane presenti nel Marocco: la Pirelli,
che sta realizzando la congiunzione elettrica sottomarina nello stretto di
Gibilterra, l'Italcementi che ha acquisito la Ciments du Maroc, l'ENI, che
dopo aver rilevato la britannica Lasmo sta eseguendo lavori di ricerca ed
estrazione petrolifera a largo di Essaouira, la Cristalstrass che ha impiantato una filiale per la lavorazione dei cristalli e la ST Microelectronics che
ha installato le sue industrie nell'hinterland di Casablanca.
Nel 2004 sono state numerose le iniziative promosse dall'Istituto per il Commercio Estero Italiano, per incentivare vendite e per
stabilire nuove relazioni commerciali (tra gli altri comparti sostenuti: la
produzione di macchinari industriali per la lavorazione di imballaggi, di
plastica e di legno, dell'arredo turistico e del settore tessile).
Le camere di commercio di molteplici province e città del nord
Italia hanno organizzato incontri e dibattiti nel Paese maghrebino tra industriali e imprenditori.
. 87
Interessante è ad esempio il programma di interscambio economico e culturale avviato nel 2001 tra la Regione Piemonte e le
Regioni marocchine di Rabat-Salè-Zemmour- Zaer e di Chaouia-Ouardigha, nell'ambito della cooperazione internazionale decentrata.
La scelta è ricaduta sul Paese maghrebino per tre ragioni differenti. La
comunità marocchina è tra i primi gruppi di immigrati presenti nel territorio piemontese e il progetto potrebbe aiutare a gestire e a controllare
il flusso migratorio. Inoltre il Marocco ha registrato una forte espansione
economica negli ultimi dieci anni, è un Paese relativamente vicino che
offre discrete infrastrutture e che potrebbe diventare una base logistica
per gli interessi regionali nell'intero continente.
Il programma prevede progetti da avviare in partnership con le due regioni marocchine e il cofinanziamento di piani di lavoro presentati da aziende o imprese piemontesi attraverso bandi pubblici.
I settori interessati sono numerosi, tra cui vogliamo ricordare: lo sviluppo dell'economia locale attraverso l'espansione delle PMI e delle grandi
zone industriali regionali, la formazione professionale, l'apprendistato e
il sistema formativo per incentivare l'occupazione del Paese, lo sviluppo
ambientale compatibile, la realizzazione e la gestione delle risorse idriche e le misure di aiuto relative alla solidarietà internazionale.
Con lo scoppio della seconda guerra mondiale si procedette
alla coscrizione di numerosi nordafricani, che andarono a rimpinguare le
file dell'esercito francese.
Negli anni Cinquanta la necessità di nuova manodopera spinse l'Eliseo a
richiamare 250.000 algerini in madrepatria, molti dei quali ebbero assegnata la cittadinanza in nome dello statuto speciale che li legava alla
grande potenza coloniale. Ancora poche migliaia furono i marocchini e i
tunisini che sospinti dalla fame e dal bisogno attraversarono il Mar
Mediterraneo.
La vera svolta si ebbe negli anni Sessanta quando la guerra d'indipendenza in Algeria arrestò il movimento migratorio e l'indipendenza già
acquisita da parte del Marocco e della Tunisia convogliò la fuoriuscita di
uomini e ragazzi dai due paesi maghrebini. L'obiettivo non fu solo la
Francia. Molti marocchini si diressero verso i Paesi Bassi e la Germania.
Dopo l'acquisizione dell'indipendenza, un analogo flusso migratorio si sviluppò dal regno del Marocco. Negli anni Cinquanta gli
europei presenti nel Paese maghrebino erano all'incirca mezzo milione e
nel '63 più di 300.000 erano tornati in madrepatria. Anche gli ebrei (oltre 200.000 i cittadini residenti nel '50) venti anni dopo, a qualche anno
di distanza dalla guerra dei sei giorni, emigrarono in massa rimanendo
in poco più di 30.000.
3. Flussi migratori
3.1 Il fenomeno dell'immigrazione nella storia
Il “fenomeno” dell'emigrazione, diventato in seguito il “problema” per gli stati occidentali, inizia a prender forma in era
coloniale.
Dopo il conflitto del '15-'18, la Repubblica francese necessitava con
urgenza di mano d'opera straniera per ricostruire le proprie infrastrutture distrutte dalla guerra. Negli anni Venti iniziò il trasferimento dei
primi immigrati marocchini. Furono almeno una decina di migliaia chiamati dal governo di Parigi a sostenere l'industria e l'impresa del Paese.
La profonda crisi del '29 portò alla prime misure restrittive della storia e al drastico calo degli immigrati maghrebini nella Francia coloniale che proseguì per tutto il decennio successivo.
. 88
Dal '63 il flusso migratorio fu regolato dal primo accordo bilaterale della storia e a Casablanca fu istituito un Ufficio Nazionale per
l'Immigrazione. Il risultato fu immediato. Nel giro di un decennio i lavoratori marocchini impiegati in tutta Europa (Francia, Germania, paesi
Scandinavi, Svizzera, Austria, Italia, Spagna) si aggiravano intorno a
300.000. Ma la crisi petrolifera ed economica che investì il continente
nel corso degli anni Settanta portò all'approvazione di nuove misure restrittive e al blocco dei contratti di lavoro.
L'immigrazione avrebbe subito un'incontrollata evoluzione e avrebbe iniziato ad organizzarsi la rete clandestina.
La norma relativa al ricongiungimento familiare nel decennio
successivo è diventata il solo strumento legale a cui far riferimento per
poter varcare la frontiera con un permesso regolare. Per altre centinaia
. 89
di migliaia di uomini e ragazzi in cerca di lavoro si sono aperte le porte
dell'illegalità.
Il fabbisogno di braccianti e di operai legato ad un periodo di tempo limitato (la chiusura di un cantiere o la stagione dei raccolti) costrinse a reinserire sul mercato del lavoro una parte di emigranti attraverso un nuovo
escamotage, il permesso di soggiorno temporaneo. Il resto è attualità.
3.2 Il Marocco e il problema migratorio
Per il regno del Marocco e per tutti i Paesi in via di Sviluppo
nordafricani, il fattore emigrazione è stato certamente uno dei problemi
da affrontare nel corso della storia ma in un contesto generale ha avuto
i suoi risvolti positivi. La partenza di decine di migliaia di disoccupati e
la conseguente riduzione della pressione sul mercato del lavoro, il flusso di denaro proveniente dalle rimesse di tutti i fuorisede e la capacità
professionale acquisita dai suoi emigranti attraverso l'esperienze lavorative prestate in occidente, hanno contribuito alla crescita economica,
politica e sociale del Paese.
Il governo marocchino ha sempre incoraggiato il flusso migratorio sin dal 1968 con il Piano quinquennale promosso da Hassan II,
proseguendo poi negli anni Ottanta nonostante la chiusura progressiva
delle frontiere operata dall'Europa.
Dagli anni Novanta in poi, la trasformazione compiuta per forma e qualità
dal flusso migratorio ha cambiato l'atteggiamento del governo di Rabat.
Con la formazione e la crescita delle associazioni marocchine domiciliate in
occidente (MRE) è nata un'apposita struttura, il Ministero per le Comunità
Residenti all'Estero, con lo scopo di difendere i diritti di tutti gli immigrati,
la diffusione di programmi educativi, sociali e culturali, promuovendo la presenza delle associazioni nei negoziati per la stesura dei trattati con USA ed
Europa (attività rientrata dal 1996 nelle competenze del Ministero degli
Esteri). Nel 1990 è stata creata la fondazione “Hassan II” (dal '96 è un agenzia completamente indipendente dagli enti dello stato) con il compito di
coadiuvare gli sforzi del governo nell'ambito delle politiche migratorie.
Secondo un'analisi compiuta dall'ILO (International Labour Office) è di sesso maschile l'85% degli immigrati marocchini presenti in
. 90
occidente. Il 65% non ha contratto matrimonio, il 54% ha meno di 30
anni ed il 20% è sotto i 15 anni.
In un'indagine fatta dall'OIM nel 2002 risulta che più della metà degli
immigrati residenti nell'UE prima di lasciare il proprio Paese svolgeva un
lavoro non soddisfacente, il 14% era disoccupato, un altro 14% andava
a scuola e il restante 24% non aveva mai lavorato.
La ricerca svolta dall'INSEA invece mira ad acquisire dati sul livello
d'istruzione. Ne esce fuori che, nel 1998 i marocchini con una formazione tecnica e professionale sono stati il 16,7% del totale del campione.
Se negli anni Sessanta, la maggior parte degli emigrati occupati proveniva dal settore agricolo, secondo l' INSEA nel 1998 solamente il 19,8%
lavorava in agricoltura, il 41,4% era impiegato nel comparto del terziario
e il 38,8% nell'industria.
Nel 1999 il Consiglio dell'UE ha redatto un documento, il Piano di azione per il Marocco, in cui individua i cinque fattori che sono
alla base del flusso migratorio:
• la crescita demografica, un aumento esponenziale che ha avuto un
forte peso sul mercato del lavoro;
• il conseguente incremento della disoccupazione e un'inadeguata politica dell'impiego;
• un basso tasso di crescita economica;
• il mercato globalizzato della cultura e dell'informazione che ha prodotto nell'immaginario collettivo l'idea di un occidente ricco e prosperoso;
• la collettività già residente all'estero che gioca un ruolo determinante
nel processo di spostamento fornendo ai nuovi arrivi assistenza logistica e finanziaria.
La decisione di emigrare nasce in seno alla famiglia, è quindi
una scelta collettiva e non compiuta da un singolo individuo, un investimento vero e proprio per tutto il nucleo familiare. Il legame complesso
che si instaura tra la comunità già residente all'estero e i parenti che ancora vivono in Marocco è un ulteriore impulso che spinge alla partenza.
Rimanendo nell'ambito dell'indagine INSEA e riferendosi ai
campioni intervistati, sono almeno quattro i motivi per cui un immigrato
decide di partire.
. 91
Il 68,8% lo fa per migliorare la propria condizione economica, il 13,7%
per risanare una precaria situazione familiare, il 9,8% per motivi di studio e infine il 7,1% per ragioni di ordine sociale.
Nel primo caso la maggior parte degli intervistati, il 40,7%, è alla ricerca di una prima occupazione, il 37,9% di un lavoro più gratificante e il
13,7% di un miglioramento della propria situazione finanziaria.
Nel secondo, la causa prevalente è il ricongiungimento familiare (61,3%
di casi sul totale).
Il quarto e ultimo fattore, quello di origine sociale, ha motivazioni disparate, tra cui l'emulazione degli amici (il 57,5%) e l'insofferenza per la propria condizione.
L'impatto economico e sociale del fenomeno migratorio è fonte di studi e di ricerche da parte di organizzazioni non governative e di
istituti pubblici e privati. Al di là dell'effetto che l'evento ha prodotto
sul mercato nazionale, attutendo l'impatto dell'offerta di lavoro in una
realtà priva di domanda, il fenomeno delle rimesse ha nel caso del Marocco contribuito a risanare i conti dello Stato. Nel 1990 ha coperto
l'84% del deficit commerciale del Paese, costituendo quasi un terzo dell'intera importazione.
Continuando a sfogliare l'inchiesta realizzata dall'INSEA scopriamo che il
94% degli immigrati marocchini ha trasferito parte dei propri guadagni in
madrepatria. Ben due terzi hanno reintrodotto nel loro paese di origine
il 33% del proprio reddito annuale. Un ingente flusso di valuta pregiata,
in continua crescita (16,5 mld di dirham nel '90, 23 mld nel 2000 e 37
mld nel 2001) la cui organizzazione, dagli anni Settanta in poi, è stata
affidata ad una Banca dello Stato, il Credito Popolare del Marocco (CPM).
Un genere diverso di rimessa è costituito da tutti quei beni materiali
(auto, oggetti di vario genere, mobilia, generi alimentari) che l'immigrato spedisce o porta con sé nei viaggi di ritorno.
Secondo i dati disponibili, l'introito dovuto alla rimessa ha inciso profondamente sulla vita quotidiana delle famiglie marocchine.
Secondo un convegno organizzato nel 2000 a Montreal dall'Associazione Internazionale per le Statistiche Ufficiali, le rimesse hanno contribuito
in maniera determinante alla riduzione dello stato di miseria della popolazione marocchina, diminuendo il livello di povertà del 4,2%,
incidendo direttamente su 1.200.000 persone.
. 92
Appagati i bisogni materiali della propria famiglia, l'immigrato medio ha
quindi iniziato ad investire i propri risparmi. Nel 2000 il 70% dei marocchini residenti all'estero avevano investito valuta nel loro paese di origine, l'83,7% nel settore immobiliare, il 7,5% nell'agricoltura e il 4,9% nel
commercio (percentuali che sono variate enormemente in previsione di
futuri investimenti, decrescita del settore immobiliare e incremento del
commercio, del turismo, dell'agricoltura e dell'industria). Gli investimenti delle rimesse hanno prodotto inoltre per la popolazione residente
occasioni di lavoro in tutti quei settori beneficiati dall'entrata valutaria.
Da un punto di vista sociale e culturale il fenomeno dell'immigrazione ha avuto un suo evidente influsso all'interno dei rapporti
familiari e delle relazioni più allargate.
Negli anni Ottanta lo sviluppo dell'associazionismo nelle comunità di
immigrati marocchini, ha portato a un'evoluzione nella qualità degli investimenti. Una parte di interventi ha iniziato a indirizzarsi verso opere di
carattere sociale (infrastrutture, educazione e sanità) e di consumo culturale (internet cafè, rivendite di telefonia portatile).
Si è venuta a creare così una sorta di catena commerciale tra gli abitanti dei villaggi che gestiscono i progetti, le comunità di immigrati che le
finanziano e le ONG (magari gestite da emigranti di seconda o terza
generazione) che forniscono sostegno.
Il fenomeno migratorio va ad incidere profondamente sugli
equilibri sociali e culturali dei paesi di ritorno, accelerando mutazioni e
cambiamenti nel contesto nazionale (l'evoluzione dello stato della donna, molto spesso sola e responsabile del proprio nucleo familiare ne è
un esempio), con l'introduzione di nuovi modelli occidentali.
Negli ultimi tempi si è invertito il processo originario, e la riscoperta di
valori tradizionali a volte estremi e desueti (che servono però a ribadire il diritto di esistere e contare) si contrappongono a un contesto
(Europa e Stati Uniti) che si arrocca su se stesso rifiutando l'immigrato
ed il suo mondo.
Un ulteriore problema, diretta conseguenza del fenomeno dell'emigrazione è il cosiddetto brain drain, ovvero la fuga di cervelli. Il
regno maghrebino ha visto tra gli anni Settanta e Ottanta un vero e proprio esodo di giovani studenti, quasi 10.000 ogni semestre, che in
. 93
buona parte sono rimasti a vivere nel Paese in cui sono emigrati. Dagli
anni Novanta in poi, sono usciti dal Marocco molti diplomati alla ricerca
di un lavoro o iscritti a facoltà universitarie.
Il Marocco è ormai il terzo Paese (dopo Cina e Giappone) che ha più studenti fuori sede, il 3,1% del totale.
Preoccupante è il fatto che ad emigrare siano tra gli altri, specialisti ed
esperti laureati la cui partenza impoverisce l'humus produttivo del Paese.
3.3 Flussi migratori ed Unione europea
Dalla metà degli anni Ottanta, il numero di emigrati marocchini
presenti nella UE, si è almeno triplicato e oggi la comunità residente in
tutta Europa copre la metà dell'intero flusso proveniente dal Maghreb.
Nonostante in Marocco le condizioni politiche e sociali siano
indubbiamente migliorate e la situazione economica sia in netta evoluzione, il flusso migratorio non si arresta. Un marocchino su dieci vive
fuori dal Paese, e secondo un dato diffuso dall'AFVIC, l'Associazione
delle Vittime dell'Immigrazione Clandestina, la maggior parte dei ragazzi
con meno di 30 anni, a prescindere dal grado d'istruzione o dalla condizione familiare, sogna di andare a vivere in Europa e in Occidente.
Un'emorragia che non si arresta da più di 40 anni.
Oggi si stima che più di tre milioni di marocchini vive all'estero: l'86%
nella Comunità Europea, il 9% nel mondo arabo e il 5% in America
del Nord.
L'immigrazione clandestina in Europa e in Italia
L'immigrazione clandestina ha origine in Europa negli anni
Cinquanta, quando il mondo dell'industria coloniale iniziò ad utilizzare la mano d'opera a basso costo proveniente dal Maghreb. Una
massa di indigenti pronta a tutto voluta fortemente dall'industria e
tollerata dal governo.
Oggi, la crescita dell'economia sommersa e del lavoro nero (soprattutto quello precario o stagionale) è terreno fertile per l'immigrazione
clandestina.
. 94
I paesi dell'Europa mediterranea in cui il settore informale dell'economia sfiora un terzo del reddito nazionale, beneficiano più degli
altri dei bassi costi salariali e dell'azzeramento delle spese di gestione
che essa comporta. Le conseguenze sono ben note in Occidente: l'alterazione degli equilibri politici e sociali, l'incremento della
microcriminalità e della malavita organizzata, l'aumento progressivo di
ogni forma di razzismo e di nazionalismo esasperato.
Una reale stima che determini la quantità precisa di immigrati irregolari
presenti nell'Unione, i loro spostamenti e la loro provenienza, non è stata
effettuata in quanto le fonti sono sempre discordanti.
Ogni anno il governo italiano presenta in parlamento un decreto flussi, in cui viene stabilito quanta manodopera straniera può
essere assorbita dal mercato nazionale. Durante l'anno in corso saranno
rilasciati 150.000 permessi di lavoro e saranno presentate più di
450.000 richieste di soggiorno (inchiesta realizzata da “Il Sole 24 ore”),
cifra confermata da un calcolo compiuto dal sito www.stranieriinitalia.it.
Nel 2004 sono stati 100.000 gli ingressi consentiti dal decreto
flussi, e 400.000 i modelli spediti o presentati alle questure in tutto il
territorio; 300.000 richiedenti non hanno visto accolta la domanda ma
sono rimasti a risiedere illegalmente nel Paese. A due anni di distanza
dalla più grande sanatoria nazionale quindi, il ritmo di produzione dei
clandestini in Italia è di 150.000 ogni anno solare. Se il 20% dei residenti stranieri nel territorio nazionale sono immigrati marocchini, si
possono calcolare 60.000 irregolari, escludendo tutti quelli che non
hanno preso parte al lotto dei decreti flussi degli ultimi due anni.
Al di là dei dati e delle cifre, il problema legato al fenomeno
dell'immigrazione clandestina nasconde un dramma umano, un'emergenza umanitaria di enormi dimensioni. Sono migliaia gli emigranti
maghrebini e dell'Africa subsahariana che ogni anno perdono la vita
cercando di raggiungere le coste dell'Europa, o privi di aiuto e di sostegno, fermati e rimpatriati, destinati a morire sulla strada del ritorno
(inchiesta 2004, Report). Anche in questo senso gli accordi ed i trattati
nati prima e dopo Schengen devono essere rivisti e regolati.
. 95
Azioni ed interventi internazionali e dell'Italia
Come previsto dal Protocollo approvato dal Congresso di Tampere (ottobre 1999), per regolare i flussi migratori e garantire il rispetto
dei diritti degli stranieri residenti nell'Unione, è necessario aprire una fase di massima collaborazione e di partenariato tra i paesi di origine e di
destinazione di tutti gli immigrati. All'efficace politica che ha promosso i
rapporti bilaterali, bisogna affiancare un'azione comune che tenda ad
omologare la condotta delle singole nazioni.
All'interno della cooperazione euromediterranea, avviata dal
Trattato di Barcellona, ripresa dall'incontro dei Ministri degli Esteri dell'UE del novembre del 2000 e dalla Conferenza dei Ministri degli Interni
del Mediterraneo occidentale del 2001, si sono stabilite cinque direttive
da seguire per controllare il flusso migratorio legale ed illegale:
• fornire ai paesi maghrebini apparecchiature per il pattugliamento delle
aree costiere;
• assistere e riorganizzare le strutture adibite alla riammissione dei cittadini espulsi dalla UE;
• formare professionalmente, nei paesi di accoglienza e di provenienza,
gli immigrati che fanno parte del quadro di flussi concordati;
• intervenire per creare occupazione nelle aree a rischio emigrazione dei
paesi maghrebini, favorendo l'inserimento dei giovani e lo sviluppo della
microimprenditoria;
• incoraggiare l'immigrazione di ritorno, sostenendo con incentivi finanziari le iniziative imprenditoriali degli emigranti che rientrano nei paesi
di provenienza.
Nel 1998 l'Italia ed il Marocco hanno firmato un accordo
per la riammissione degli immigrati irregolari fermati nel
nostro territorio.
Nel 2001, nel settore della piccola e media imprenditoria,
l'Italia ha aperto linee di finanziamento in Marocco nel comparto del
commercio, dell'artigianato, delle banche e del turismo al fine di realizzare un'unità di assistenza tecnica all'interno dell'amministrazione
locale.
. 96
Nel nostro paese, l'afflusso di immigrati è cresciuto annualmente in modo esponenziale. Nella tabella seguente si fa il punto sulla
situazione, confrontando i dati dal 2001 al 2003.
CITTADINI STRANIERI RESIDENTI IN ITALIA SUDDIVISI PER NAZIONALITÀ
ANNO
2001
ANNO
2002
ANNO
2003
MAROCCO
158.094
MAROCCO
172.834
ROMANIA
239.436
ALBANIA
144.120
ALBANIA
168.963
ALBANIA
233.616
ROMANIA
75.377
ROMANIA
95.834
MAROCCO
27.940
CINA
62.314
UCRAINA
112.802
CINA
56.566
FILIPPINE
62.257
CINA
100.109
TUNISIA
46.494
TUNISIA
51.384
FILIPPINE
73.847
USA
43.650
USA
47.645
POLONIA
65.847
SENEGAL
34.811
SENEGAL
36.310
TUNISIA
60.572
SRI LANKA
34.464
SRI LANKA
35.845
USA
48.286
POLONIA
30.658
POLONIA
35.077
SENEGAL
47.762
FILIPPINE
64.215
FONTE : DIREZIONE DEGLI AFFARI SOCIALI ED ECONOMICI
-
EDIZIONI DEL CONSIGLIO D' EUROPA .
Il decimo rapporto sulle migrazioni redatto dalla Fondazione
Iniziative e Studi sulla Multietnicità (ISMU) calcola che a gennaio 2005
gli stranieri presenti in Italia erano più di tre milioni di cui oltre mezzo
milione proveniente dal Marocco, la comunità più nutrita fino al 2002,
oggi superata dai gruppi provenienti dall'America Latina e dall'Europa
orientale.
Al primo gennaio 2004, secondo fonte Istat, erano ben 1.990.159 gli stranieri residenti in Italia, 440.000 in più rispetto allo stesso periodo del
2003, il 3,4% della popolazione complessiva. Considerando il lasso di
tempo che intercorre tra l'acquisizione del permesso di soggiorno e
l'iscrizione all'anagrafe nazionale, si stima che la popolazione straniera
regolare effettiva nel 2004 è stata di circa 2 milioni e mezzo di persone.
. 97
Le leggi sull'immigrazione dall'86 ad oggi
Negli anni '80 un esodo di massa di proporzioni straordinarie
investì il nostro Paese che fu costretto a confrontarsi con un fenomeno
ancora poco conosciuto. Nel 1981, per la prima volta nella storia della
Repubblica italiana, il saldo migratorio diventava positivo. Da Paese di
emigranti ci eravamo trasformati in Paese d'immigranti.
Nel 1986, l'approvazione della 943, la prima legge sull'immigrazione, fu
accompagnata da un acceso dibattito aperto nel Paese e in parlamento.
La nuova legge indicava in linea di principio due direttive da seguire. Da
una parte definiva il trattamento e il collocamento degli immigrati regolari, garantendone i diritti, dall'altra stabiliva nuove norme per frenare il
flusso clandestino. Demandava agli enti locali e alle Regioni il compito
di collocare gli immigrati in base all'esigenza delle imprese e del mercato del lavoro, dando il via alla prima sanatoria della storia.
A causa dell'esiguo numero di imprese che legalizzò la manodopera straniera e dell'esclusione del vasto mondo del precariato che esisteva nel
Paese, ben due terzi dei 150.000 immigrati vennero sanati con la formula introdotta “alla ricerca di lavoro”.
Tre anni dopo, la Legge Martelli provò a colmare le lacune prodotte dalla
943, affidando agli enti locali più poteri operativi.
Ma l'applicazione della legge si rivelò più ostica di quanto si potesse
immaginare, la maggior parte delle Regioni non riuscì a legiferare e le
questure si fecero trovare impreparate.
Nel '98 fu promulgato un nuovo testo che prevedeva la stesura di un documento di programmazione triennale, che doveva analizzare le indicazioni
fornite dal Ministero del lavoro in relazione al numero di stranieri iscritti alle
liste di collocamento. Inoltre venne approvata la pubblicazione di un decreto annuale con cui veniva definita la quota massima di stranieri ammessi
nel mercato del lavoro e nuove norme inerenti al lavoro stagionale.
Fu introdotta la formula del “respingimento con accompagnamento alla
frontiera” per i clandestini fermati sul territorio dello Stato.
Nacquero così i discussi centri di permanenza nazionale allo scopo di
accogliere gli extracomunitari irregolari che dovevano stazionare nel
Paese prima di venire allontanati.
Nel 2002 è stato presentato alle Camere l'ultimo testo legislativo in
materia d'immigrazione, la legge Bossi-Fini.
. 98
La legge Bossi Fini, approvata il 4 giugno del 2002, ha modificato alcuni punti della normativa precedente, introducendo
sostanziali novità.
Nell'ambito dei programmi di aiuto e di cooperazione, ha sollecitato l'impegno dei Paesi terzi per prevenire e reprimere i flussi migratori clandestini.
Ha inasprito le norme che regolano il rilascio dei visti d'ingresso. Il visto
non viene concesso a chiunque abbia subito una condanna penale, non
distinguendo né numero né gravità dei reati commessi.
La programmazione dei flussi d'ingresso che dovrà essere stabilita entro
il 30 novembre dell'anno in corso, prevede un coinvolgimento attivo
delle Regioni.
L'immigrato che richiede un permesso di soggiorno deve essere sottoposto a rilievi fotodattiloscopici. Una misura che ha sollevato molte perplessità e che è stata sottoposta a verifica costituzionale.
Il rigore espresso in materia di alloggi, ha reso più complicato accedere
a un contratto di soggiorno.
E' stata inasprita la sanzione penale per chi impiega manodopera straniera irregolare.
In caso di rimpatrio l'immigrato conserva i diritti previdenziali ma non potrà
più reclamare la liquidazione immediata dei contributi versati a suo favore.
Sono state approvate nuove restrizioni nell'ambito del diritto alla ricongiunzione familiare (è stato previsto il ricongiungimento dei figli maggiorenni solo se a carico e totalmente invalidi e dei genitori solo se gli immigrati, nel Paese di origine, non hanno altri fratelli).
Per quanto riguarda i figli minori è previsto il rilascio del permesso di
soggiorno per motivi di studio, accesso al lavoro o per esigenze sanitarie, fino al compimento della maggiore età. Anche questa norma è stata
censurata dalla prima giurisdizione amministrativa, che ha sottolineato
forme di illegittimità costituzionale.
La regolarizzazione dello statuto d'immigrato è stata estesa solo ai rapporti di lavoro domestico e di assistenza familiare, escludendo gli altri
rapporti di lavoro subordinato.
La normativa che regola l'istituto di asilo politico, prevede la costituzione di apposite strutture, denominate Centri di Identificazione che dovranno ospitare coloro che richiedono lo status di rifugiato. La procedura
semplificata, accelera i tempi di iter dell'esame, dell'appello e del ricorso in terza istanza al Tribunale in Composizione Monocratica (il quale non
sospende nel frattempo il provvedimento di allontanamento dal territo-
. 99
Appendice
rio nazionale). Nonostante l'obbligo per la commissione territoriale di
valutare le conseguenze di un rimpatrio, sono stati fatti molti ricorsi
appellandosi all'articolo 3 della Costituzione Europea che regola la salvaguardia dei diritti dell'uomo.
Infine è stata istituita la Direzione Centrale dell'Immigrazione e della polizia delle frontiere che ha il compito di coordinare le attività di contrasto
al flusso clandestino avendo inoltre giurisdizione in materia d'ingresso e
di soggiorno per gli stranieri.
INDIRIZZI UTILI IN ITALIA
Ricordiamo infine, che da gennaio 2006, chi sarà regolarizzato
da una sanatoria in un qualsiasi Paese dell’UE, dovrà aspettare cinque
anni prima di potersi spostare da uno Stato membro all'altro.
Le competenze in materia di immigrazione illegale sono appannaggio dei
governi nazionali, e l'introduzione della nuova Costituzione Europea
lascerà immutate le regole a riguardo.
AMBASCIATA DEL MAROCCO IN ITALIA
DELEGAZIONE PRESSO LA BANCA COMMERCIALE ITALIANA
Via Spallanzani, 8/10 - 00161 Roma
Piazza della Scala 6 - 20121 Milano
Tel +39 06 4402587
Tel +39 02 8051479
www.ambasciatadelmarocco.it
Fax +39 02 88046130
INDIRIZZI UTILI IN MAROCCO
AMBASCIATA D'ITALIA IN MAROCCO
UFFICIO NAZIONALE MAROCCHINO DEL TURISMO
2, Zankat Idriss Al Ahzar - Rabat
Direttore generale: M. Abbès Azzouzi
Tel +212 37 706597
Rue Oued Fès - Angle Avenue Al Abtal - Agdal
Fax +212 37 706882
Rabat
E-mail: [email protected]
Tel +212 37 68 15 31/32/33 - 68 15 41/42
www.ambitalia.ma
Fax +212 37 77 74 37
[email protected]
CAMERA ITALIANA DEL COMMERCIO E DELL'INDUSTRIA
Presidente: M. Paolo Luigi Cittadini
UFFICIO NAZIONALE DELLE POSTE E TELECOMUNICAZIONI
Rue Amine Kacem - Casablanca
Direttore generale: M. Abdeslam Ahizoun
Tel +212 22 327 82 17/ 26 46 51/ 26 56 53
Avenue Annakhil - Hay Riad - Rabat
Fax +212 22 27 86 27
Tel +212 37 71 26 26/ 71 44 28 à 30
Fax +212 37 70 62 27
BANCA MAROCCHINA DEL COMMERCIO ESTERO
140, Avenue Hassan II - Casablanca
UFFICIO NAZIONALE DELLA PESCA
Tel +212 22.20.03.25
Direttore generale: M. Majid Kaissar El Ghaib
Fax +212 22.20.05.12
13, Rue Lieutenant Mahroud (Ex-Chevalier
Bayard) - Casablanca
Tel +212 22 24 05 51/52
Fax +212 22 24 23 05
. 100
. 101
UFFICIO DEI CAMBI
UFFICIO NAZIONALE DEGLI AREOPORTI
UFFICIO DELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE E DELLA
UFFICIO NAZIONALE DEL THE E DELLO ZUCCHERO
Direttore generale:
Direttore generale: Mohammed Amal Guedira
PROMOZIONE DEL LAVORO
Direttore generale:
M. Omar Alaoui Benhachem
Aéroport Mohamed V - 20250 Nouasseur
Direttore generale: M. Larbi Bencheikh
M. Ahmed Alaoui Abdellaoui
Place Moulay Hassan - B.P. 71- Rabat
B.P. 8101 - Casablanca
231, Rue Boulevard Ibn Tachfine - B.P. 2119
Route Tit Mellil - Boulevard Ahl Loghlam
Tel +212 37 72 61 34/73 19 72
Tel +212 22 33 90 40/ 33 91 40
Casa - Gare Casablanca 20300
B.P. 13618 - Aïn Sebaâ - Casablanca
Fax +212 37 72 12 59/
Fax +212 22 33 99 01
Tel +212 22 40 22 50 / 53 / 89 /90 / 40 32
Tel +212 22 35 08 73 / 35 08 97
36 / 40 35 90
Fax +212 22 35 09 11
Fax +212 22 40 36 50
UFFICIO DEL COMMERCIO E DELLE ESPORTAZIONI
UFFICIO MARITTIMO DEI PORTI
Direttore generale: M. Mohamed Guessous
Direttore generale: M. Mohammed Halab
45, Avenue des FAR - 13ème Etage B.P. 13259
UFFICIO DELLO SVILUPPO E DELLA COOPERAZIONE
175 - 177, Boulevard Zerktouni - Casablanca
UFFICIO MAROCCHINO DELLA PROPRIETÀ INDUSTRIALE
Direttore generale: M. Ahmed Ait Haddout
Casablanca
Tel +212 22 23 23 24
Direttore generale: M. Aziz Bouazzaoui
13, Rue Dayat Aoua - B.P. 1297 - Agdal
Tel +212 22 31 41 03 / 17 / 31 45 40 / 31 15 25
Fax +212 22 23 23 35
Route de Nouasseur - R.S. 114 Km 9,5 - Sidi
Rabat
Maârouf
Tel +212 37 77 10 06/ 33/ 34
UFFICIO PER LO SVILUPPO INDUSTRIALE
B.P. 8072 - Oasis - Casablanca
Fax +212 37 77 10 05
UFFICIO DEI FOSFATI
Direttore generale:
Tel +212 22 33 54 86
ORDINI E ASSOCIAZIONI PROFESSIONALI
Direttore generale: M. Mourad Cherif
M. Mourad Bachir El Bouhali
Fax +212 22 33 54 80
Route El Jadida - Km 7 - B.P. 5196
10, Rue Ghandi - B.P. 211 - Rabat
Casablanca
Tel +212 37 70 84 60/ 70 76 35
Tel +212 22 23 01 25/ 23 10 25
Fax +212 37 70 76 95
Fax +212 22 31 39 79
ORGANISMI DELL'ONU
Fax +212 22 23 06 35
UFFICIO NAZIONALE DEI TRASPORTI
UFFICIO NAZIONALE DELLE RICERCHE E DELLE ESPORTA-
Direttore generale:
PNUD
-
PROGRAMMA DELLE NAZIONI UNITE PER LO
CINU
-
CENTRO D'INFORMAZIONE PER LE NAZIONI UNITE
ZIONI PETROLIFERE
M. Mohammed Lahbib Gueddari
SVILUPPO
Direttore: M. Emanuel Derricks De Casterli
Direttore generale: Mlle. Amina Benkhadra
Rue Al Fadila - Quartier industriel B.P. 596
Rappresentante Residente: M. Emanuel
6, Zankat Tarik Ibnou Ziad (Angle Rue
34, Avenue Al Fadila - Quartier Industriel
Rabat
Derricks De Casterli
Roudana)
Rabat
Tel +212 37 79 78 42 / 43
Angle Avenue Moulay Hassan et Zankat
Quartier la Résidence - B.P. 601 - Rabat -
Tel +212 37 79 60 38 / 79 50 05
Fax +212 37 79 78 50
Assafi - Casier
Chellah
ONU - Rabat - Chellah
Tel +212 37 76 86 33 / 76 32 04
Fax +212 37 76 83 77
UFFICIO NAZIONALE DELLE FERROVIE
UFFICIO DELLE FIERE E DELLE ESPOSIZIONI DI CASABLANCA
Tel +212 37 76 86 33 / 037 70 35 55
Direttore generale:
Direttore generale: M. Abdelkader Barbache
Fax +212 37 70 15 66
M. Mohamed Rabii Lakhlii
11,
8 Bis, Rue Abderrahmane El Ghafiki
Casablanca
FNUAP
B.P. 1029 - Agdal Rabat
Tel +212 22 29 30 71 / 27 15 45
PER LA POPOLAZIONE
9, Rue Tiddas - B.P. 1369 - Rabat R.P.
Tel +212 37 77 47 47
Fax +212 22 26 49 49
Rappresentante: M. Georgie
Tel +212 37 76 57 56 / 76 58 65
Angle Avenue Moulay Hassan et Zankat
Fax +212 37 76 64 68
Fax +212 37 77 44 80
Rue
Boukraa
(Ex-Jules
Mauran)
FAO
-
FONDI DELLE NAZIONI UNITE
Rappresentante: M. Mohamed Rouighi
Assafi - Casier
ONU - Rabat - Chellah
Tel +212 37 70 17 58 / 76 78 31 / 76 78 33
Fax +212 37 70 14 82
. 102
. 103
-
COMMISSIONE ECONOMICA PER L'AFRICA
ORDINI E ASSOCIAZIONI
UNICEF
CEA
Rappresentante: Dr. Sergio Soro
CENTRO
28, Rue Oum Rabia - Agdal - Rabat
DEL
Tel +212 37 77 22 12 / 14 / 54 / 79 / 59 / 66
Direttore: Soodursun Jugessur
ORDINE DEGLI ARCHITETTI
ASSOCIAZIONE DEGLI INGEGNERI DEL MAROCCO
Boulevard Mohammed V - Pavillon
Presidente: M. Said El Fassi Fihiri
5, Rue Mustapha El Mehdaoui - Casablanca
international - B.P.316 - Tanger
21, Rue Abou Hanifa - Agdal - Rabat
Tel +212 22 30 72 24
Tel +212 - 9 32 23 46 / 47
Tel +212 37 67 55 42 / 43 / 44
Fax +212 22 30 72 24
Fax +212 - 9 34 03 57
Fax +212 37 67 55 45o
Fax +212 37 77 24 36
UNISEM
-
FONDI DELLO SVILUPPO DELLE NAZIONI UNITE
PER LA DONNA
Rappresentante:
Mme
Zineb
Touimi
DELLO SVILUPPO SUB REGIONALE PER L'AFRICA
PROFESSIONALI
NORD (CDSR)
CONSIGLIO NAZIONALE DELL'ORDINE DEI MEDICI
[email protected],
ASSOCIAZIONE DEI BARREAUX DEL MAROCCO
Presidente: Pr. Moulay Driss Archane
Angle Avenue Moulay Hassan et Moulay
Presidente: Maître Brahim Semlali
Maternité Souissi - 9 ème étage - B.P 6555
Ahmed loukili
49, Av. Djebel El Ayachi - App. 16 Agdal
Rabat Instituts
Rabat
Tel +212 37 77 93 49 / 77 93 50
NAZIONI UNITE PER I RIFUGIATI
Tel +212 37 67 55 49
Fax +212 37 77 13 49
Delegato Onorario: M. Mohamed M'JID
Fax +212 37 67 55 51
Benjelloun
[email protected]
Tel +212 37 70 35 55
OMS
-
ACNUR
ORGANIZZAZIONE MONDIALE PER LA SANITA'
-
UFFICIO DELL'ALTO COMMISSARIATO DELLE
Rappresentante: M. Taoufik ZERIBI
13, Rue Blida - B.P. 13434 - Casablanca
Ministero della Sanità - B.P. 812 Rabat
CONSIGLIO DELL'ORDINE DEI FARMACISTI
Principal
ORDINE DEGLI AVVOCATI
Presidente: M. Said El Gharbi
Méchouar
Tel +212 22 20 03 96 / 27 98 55
Avenue Mohammed V. Cour d'Appel - Rabat
Hay Ryad secteur 10 n° 6 - Rabat - BP 1374
Tel +212 37 76 67 44
Fax +212 22 27 98 55
Tel +212 37 76 41 23
(R.P.).
Fax +212 37 76 60 88
Tel +212 37 71 33 14
Place Mohammed V. Tribunal de Première
Fax +212 37 71 19 04
Fax +212 37 76 68 05
Instance - Casablanca
CAMERE PROFESSIONALI
Tel +212 22 22 11 72 / 26 28 46
ASSOCIAZIONE DEGLI INTERPRETI PROFESSIONISTI
Fax +212 22 27 02 74
Presidente: M. Farouk Chraibi
17, Rue Abou Dhabi - Casablanca
FEDERAZIONE
DELLE
CAMERE
D'AGRICOLTURA
DEL
FEDERAZIONE DELLE CAMERE DEL COMMERCIO E DELLE
ASSOCIAZIONE
PROFESSIONALE
DELLE
BANCHE
DEL
MAROCCO
INDUSTRIE DEL MAROCCO
MAROCCO
Presidente: M. Mohcine Bekkali
Presidente: M. Ahmed Lamrabet
Presidente: M. Othmane Benjelloun
2, Rue Ghandi - Rabat
6, Rue Arfoud - Hassan - Rabat
71, Avenue des FAR. 11 ème étage.
Tel +212 37 70 69 29/ 70 34 75
Tel +212 37 76 70 78 / 76 78 81
B.P. 13577 - Casablanca
Fax +212 37 70 69 22/ 20 09 48
Fax +212 37 76 70 76 / 76 78 96
Tel +212 22 31 17 00 / 31 16 24 / 31 48 31
Tel +212 22 98 63 49 / 25 65 58
Fax +212 22 25 26 12
Fax +212 22 31 49 03
FEDERAZIONE DELLE CAMERE DELL'ARTIGIANATO
Presidente: M. Mohamed El Kabbaj
236, Avenue John Kennedy Route des Zaërs
Rabat
Tel +212 37 75 67 52 / 75 67 58
Fax +212 37 75 67 66
. 104
. 105
Bibliografia e pagine Web consultate
MAROCCO, storia società e tradizioni, arte e cultura religione di Hakim
Mohamed Belhatti, Edizioni Pendagron, 2000.
LA QUESTIONE DELLA DEMOCRAZIA NEL MONDO ARABO stati società e
conflitti di F. Bicchi, L. Guazzone e D. Pioppi, Edizioni Polimetrica, 2004.
LE MAROC EN CHIFFRES 2003. Haut Commissariat au Plan. Royaume du
Maroc, 2004.
IL MERCATO DEL LAVORO IN MAROCCO TRA MIGRAZIONI E SVILUPPO
SOCIALE di P. Salemi, CESPI, 2003.
ICE, Marocco.
ISTAT, Marocco.
www.minicom.gov.ma
È il sito del Ministero della Comunicazione. Lo consigliamo a chiunque
volesse approfondire la conoscenza sui funzionamenti istituzionali del
Paese. Il sito inoltre offre la possibilità al navigatore di accedere a ulteriori links per ottenere informazioni su: ministeri (indirizzi e funzionamento), organismi pubblici, enti, soggetti e istituzioni della vita economica e
sociale del Paese, media, ultime riforme approvate in parlamento e risultati elettorali.
www.maec.gov.ma
È il sito del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione. Accedendo
all'indirizzo si otterranno informazioni sui programmi ministeriali, sulle
azioni diplomatiche e consolari, approfondimenti su convenzioni, accordi e protocolli stipulati dal Marocco con il mondo arabo, con l'Europa e
con gli Stati Uniti.
. 107
www.statistic-hcp.ma
È il sito dell'ufficio della Direzione della Statistica che fornisce i risultati
sulle ultime analisi compiute nel mondo dell'economia.
www.ambasciatadelmarocco.it
www.invest-in-morocco.gov.ma
È il sito del Dipartimento degli Investimenti esteri, utile per chi volesse
acquisire informazioni sulla normativa che regola il mondo degli affari e
statistiche sugli investimenti stranieri in Marocco.
www.educationweb.it
www.maec.gov.ma (Il sito ufficiale del governo del Marocco)
www.marocconews.it
www.proteo.it
Per gli imprenditori che volessero avere notizie sui grandi progetti
strutturali avviati nel Paese offriamo 7 siti utili.
www.equilibri.net
www.osservatoriosullalegalità.org
Trasporti: www.adm.co.m
(autostrade piano di azione e progetti in corso)
www.mtmm.gov.ma (Ministero del Trasporto, programmazione dello sviluppo del trasporto ferroviario, marittimo e stradale)
www.cestim.org
www.provincia.torino.it
Elettricità: www.one.org.ma
(Ufficio nazionale dell'elettricità: piano strutturale dei progetti in programma)
www.onep.org.ma
(acqua potabile)
www.intermax.com
Agricoltura: www.agripartenariat.ma
(concessione ai privati delle proprietà agricole dello Stato)
www.ilPassaporto.it
www.stranieriinitalia.it
www.velagratis.it
www.ilmanifesto.it
Telecomunicazione: www.anrt.nat.ma
(piano strutturale dei progetti in programma)
Cinema: www.mincom.gov/cinemaroc
(potenzialità e investimenti nell'industria cinematografica marocchina)
www.lavieconomique.ma
www.LeMondeDiplomatique.fr
www.employ.gov.ma
www.mcinet.gov.ma
Ministero del Commercio dell’ Industria e dell’ Artigianato
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