Leggi il dettaglio - Istituto Nazionale per la Dieta Mediterranea e la

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L’economia alimentare della Calabria tra antiche garanzie e nuove opportunità
(Il futuro della tradizione nella terra dei miti)
Prof. Fausto Cantarelli
PARTE PRIMA: CALABRIA E SPAZIO MEDITERRANEO
Premessa
Ai tempi della Magna Grecia, Calabria, Campania e Sicilia costituivano l’area storica più qualificata e significativa delle terre
mediterranee per l’integrazione economico-culturale della Penisola italica e della Sicilia con la sponda greco-balcanica del
Mediterraneo; la fortuna di quest’area era legata alla rotta tirrenica che, nonostante Scilla e Cariddi, era la più frequentata per il
commercio del ferro, di cui avevano l’esclusiva gli Etruschi. Non è un caso che Pitecussai, nell’isola d’Ischia, sia stato il primo
emporio e Capua, non lontana, la prima colonia greca, in ordine di tempo. Oggi Campania e Sicilia sono territori turistici di rilievo con
ampie possibilità di ulteriore sviluppo, come testimoniano le spese promozionali che, nel 2006, hanno raggiunto i 91 milioni di euro,
contro i 10 milioni della Calabria.
In prospettiva, fra un paio di lustri, queste tre regioni, che finalmente saranno collegate da una viabilità all’altezza dei tempi e della
nobiltà dei territori, torneranno a essere il centro della classicità mediterranea con una presenza che non è solo storica, fatta di
armonia, bellezza e grazia, ma è anche espressione di moderna dialettica economica.
Il periodo più innovatore dell’Occidente, che è stato il Rinascimento, non ha fatto altro che innestare il classicismo mediterraneo
nelle terre che non ne avevano conosciuto l’origine. Oggi il mondo ha ancora bisogno di cambiare, ripetendo un altro Rinascimento di
tipo biopolitico, come ha suggerito l’economista americano Geremy Rifkin che, nella terra del classicismo più autentico,
significherebbe riaprire, nel terzo millennio, sulla natura e sulla storia dell’uomo in un’area che sarà, secondo ragionevoli previsioni,
tra le più frequentate dal turismo nel mondo, per rinverdire il passato, interpretandolo in chiave moderna, dove non c’è più posto per
l’agricoltura, ma solo per orti, giardini, case e alberi fioriti, espressioni della moderna biologia, da coniugare con l’azzurro del mare e
il verde della foresta.
Le altre due regioni citadfrte, una volta recuperato il turismo alla Calabria e organizzata ogni altra attività complementare,
otterranno effetti straordinari, se agiranno insieme e con la terra che è diventata la terra di adozione di Pitagora e altri. La
rivalutazione dell’agricoltura della Calabria è solo un aspetto del problema, che però può essere decisivo, in una regione che non
potrà mai rinunciare ai suoi paesaggi, ai suoi colori, ai suoi profumi, tra zagare, gelsomini e salsedine; noi abbiamo visto la regione
in questo modo, senza farci ingannare dal prodotto interno lordo (Pil) che, in questi casi, non può essere l’unico indicatore del
successo raggiunto dal territorio, perché esclude dal giudizio i valori qualitativi; occorre allora individuarne altri più significativi, come
alcuni uomini di scienza cercano di fare; ha tentato di farlo uno dei più piccoli e meno sviluppati Paesi del mondo, il Buthan
sull’Himalaya, il cui re, Jegme Singye Wangchuck, è alla ricerca di chi possa sancire la felicità del suo popolo. Non è il solo; analoghe
aspirazioni sono già state espresse dall’economista inglese Richard Layard, consulente economico di Tony Blair, che ha proposto un
indicatore che tenga conto di tutti i motivi che creano benessere, comprese le relazioni familiari, la situazione finanziaria, il lavoro, la
comunità, gli amici, la salute, la libertà e i valori personali. Negli Usa, nonostante la forte spinta produttiva, cominciano a
serpeggiare proposte analoghe: lo psicologo Daniel Kahneman, premio Nobel per l’economia nel 2002, ha costituito presso
l’università di Princeton, insieme con Alan Krueger, un gruppo interdisciplinare, il Center for Health and Wellbeing, per mettere a
punto il “conto nazionale del benessere”, il “National wellbeing Account”, che dovrebbe misurare il grado di soddisfazione
proveniente dall’esperienza di vita. Altra iniziativa è quella del Genuine Progress Indicator (Gpi) che, sempre negli Usa, è calcolato
dal 1995 in un’entità per la quale il Pil sarebbe sovrastimato di tremila miliardi di dollari.
Anche noi, non potendo ignorare la caduta di significato del Pil pro capite per territori, come la Calabria e non solo per quelli, stiamo
affrontando lo stesso tema, alla ricerca di un indicatore che non sia solo economico, ma comprenda anche informazioni sulla qualità
della vita e, nel caso della Calabria, non escluda neppure il rispetto della cultura, della tradizione, della storia, della convivialità e del
costume alimentare mediterraneo, che sono presupposti del benessere, non alternativi, e contribuiscono a determinarlo, con
modalità diverse da quelle dei territori più produttivi, il cui confronto sulla base del Pil è improponibile.
Non parliamo, quindi, del prodotto interno lordo pro-capite che, in Calabria, è il più basso tra quelli delle regioni italiane,
certificandone la peggiore vivibilità; noi, che conosciamo queste terre e ne apprezziamo le componenti culturali, sociali, ambientali e
alimentari, non ci sentiamo di condividere né questo né altri verdetti, che anzi convincono sempre più a mettere in discussione
ancora una volta il Pil, perchè non tiene conto delle valori a cui, invece, l’uomo moderno sta assegnando un peso sempre maggiore,
puntando alla qualità della vita, alla salubrità dell’ambiente, al benessere del corpo, alla serenità mentale, al piacere della
convivialità ecc. Così, cambiano, con gli obiettivi dell’umanità, l’agricoltura che, in Calabria, copre meno del 7,0% del valore aggiunto
regionale, e il suo sistema agro-alimentare, che lo fa salire a un quarto, premiando l’esistenza della gente, come ha fatto un biologo
americano che, venuto in Calabria, ha aperto gli occhi a tutti.
Le prospettive, che abbiamo di fronte, potranno essere molto più ambiziose, se la popolazione locale saprà finalmente valorizzare la
“Dieta mediterranea”, che affonda le radici più profonde in questa terra.
Dopo avere chiarito che l’uomo può ottenere ampie soddisfazioni, anche senza ricorrere ad alte referenze produttive, non possiamo
non richiamare due concetti cardine che, in quest’area, sono stati determinanti e torneranno ad esserlo: lo “Spazio mediterraneo” e
la “Dieta mediterranea”, a cui la regione deve la salvaguardia dell’antica civiltà classica, che altrove è andata spesso sgretolandosi, e
le felici scelte alimentari. Chi non ha inseguito il profitto, rimanendo in questo spazio, è rimasto ligio alla saggezza degli avi, che non
era fatta solo di storia, ma anche di tradizioni, cultura, complicità, carica umana ecc., antico corredo, non vetusto, di prerogative
virtuose che non può essere ridotto a poca cosa da chi si preoccupa solo del profitto. Quanto prima il Pil sarà sostituito da altri
indicatori, oggi allo studio, come l’“Indice di sviluppo umano“ (Hdi), elaborato dall’economista Pakistano Mahbub ul Haq nel 1990 e
adottato dalle Nazioni Unite che ogni anno lo utilizzano per classificare i diversi Paesi (negli anni scorsi, al primo posto c’era la
Norvegia, gli Usa erano all’ottavo, l’Italia al diciassettesimo, dopo la Francia e prima della Gran Bretagna). Oggi, mentre
intravediamo aprirsi all’orizzonte nuove opportunità per la Calabria possiamo affermare la validità del recupero, dopo la costruzione
del ponte sullo stretto di Messina e il potenziamento della relativa viabilità autostradale, della più importante area dell’antica Magna
Grecia, in un’area che è destinata a diventare tra le più appetite dal turismo internazionale.
La Calabria oggi ha il tempo necessario per predisporsi a vivere queste nuove esperienze che diverranno operative tra un paio di
lustri; c’è appena il tempo di prepararsi al grande evento!
Cenni di storia
Prima di entrare in argomento, è utile ricordare brevemente il ruolo svolto dalla regione nell’antichità che, per molti versi, è stato
determinante e potrà esserlo anche in futuro, se l’uomo saprà assumere le scelte corrette e le porterà a termine con l’impegno
richiesto.
La Calabria è stata all’avanguardia agro-alimentare nel periodo che intercorre dall’arrivo dell’agricoltura, proveniente dal MedioOriente in anticipo di 2000 anni sul Messico e la Cina, fino all’occupazione romana che ha concluso l’epoca della Magna Grecia; il
successo epocale è stato provocato dall’accelerazione dello sviluppo, avvenuto in Grecia tra il 530 e il 400 a.C., con il cosiddetto
“miracolo greco”; grazie ai Fenici, che, inventata la scrittura alfabetica nel 1100 a.C., hanno permesso a qualche centinaia di migliaia
di persone di dare più ampie e provate spiegazioni a fenomeni che, in precedenza. solo i miti erano riusciti a chiarire.
A ricordare gli elevati valori della civiltà trascorsa, basterebbero i guerrieri di Riace, che oggi fanno bella mostra di sè nel
seminterrato del Museo Archeologico di Reggio Calabria. Degli esordi oggi restano antiche testimonianze dappertutto, in regione, a
cominciare da quelle dei primi abitanti, nel Paleolitico, che hanno lasciato tre belle incisioni rupestri nella grotta del Romito a
Papasidero (Cosenza). Nel Neolitico, l’uomo, una volta che si è fermato sul territorio, cominciando a praticare l’agricoltura, si è
insediato nei villaggi, costruendo i vasi di ceramica “impressa” con le più antiche decorazioni apparse sulle coste del Mediterraneo.
Con l’arrivo dell’agricoltura, la nuova attività si è diffusa attraverso la coltivazione di cereali, legumi e l’allevamento degli animali,
appena domesticati in Medio Oriente, e arrivati in Calabria, Campania, Sicilia, Lucania e Puglia, dove erano del tutto sconosciuti,
salvo il suino; non è agevole stabilire tempi e modi di questo passaggio, ma sono stati resi possibili certamente dalla via d’acqua,
dalla vicinanza del Medio Oriente e dalle condizioni ambientali offerte dalla costa ionica. Così la regione è diventata il primo
laboratorio europeo per la elaborazione delle nuove materie prime, dando origine a un nuovo sistema produzione-consumo,
completamente diverso da quello precedente e destinato a consolidarsi nell’intero territorio europeo. La popolazione della Calabria,
nell’antichità, ricevendo, circa ottomila anni or sono, l’agricoltura e gli allevamenti dal Medio-Oriente, ha saputo farne tesoro,
sviluppando le coltivazioni nelle pianure litoranee e gli allevamenti nelle aree interne di collina e montagna.
Più tardi, a cominciare dal Settecento avanti Cristo. gli stessi territori sono stati raggiunti dalle comunità greche in cerca di terre da
coltivare che vi hanno fondato una serie di colonie, diventate colte per il rapporto con la madrepatria e ricche per la vendita delle
eccedenze alimentari alle città d’origine. Le colonie, che erano autonome e indipendenti, grazie a questo commercio, hanno
raggiunto, in breve tempo, l’apice del benessere e della cultura nel mondo. Oggi la posizione della Calabria, tra Occidente, Oriente e
Continente Nero, nell’angolo sud-est del bacino del Mediterraneo, è ancora strategica, come una volta, ma solo potenzialmente, per
l’importanza crescente che il bacino di questo mare sarà destinato a recuperare in un prossimo futuro. È stata una localizzazione di
grande utilità fino a quando le rotte marittime sono rimaste all’interno delle Colonne d’Ercole ed è andata scemando man mano che il
centro nevralgico dell’economia si spostava verso nord fino a quando, con la scoperta delle Americhe, ne ha raggiunto i litorali, dove
la navigazione, divenuta oceanica, ha abbandonato il Mediterraneo.
Questo spostamento, che ha fatto la fortuna delle Nazioni del nord Europa, da dove partivano e attraccavano le navi, è stato
agevolato anche dai Paesi protestanti, quando si sono appropriati dei traffici internazionali. F. Braudel ha annotato che i “Nordisti
trasportavano legname, catrame, assi, tavole, grano, segale, delle tonnellate di aringhe, di stagno, di piombo e, in tempi brevi,
anche le loro manifatture, sovente semplici contraffazione di prodotti veneziani o di altre città italiane, paccottiglia con marchi italiani
alterati, simili a quelli autentici”. Il nuovo assetto dell’economia europea ha permesso alle Nazioni del nord di appropriarsi dei sistemi
di comunicazione nelle terre del Mediterraneo, arrivando a modificare in profondità la stessa economia continentale che, ancora nel
Rinascimento, si reggeva sulla circolazione delle merci piuttosto che sui prodotti trasformati. Nello stesso periodo, si è investito
molto, per risanare le pianure malariche e migliorare l’attività irrigua e le trasformazioni in agricoltura che era rimasta l’attività
preminente; le filiere erano corte e il valore aggiunto modesto. È la natura stessa dell’economia degli scambi a essere stata messa in
discussione alla fine del XVII secolo e soprattutto nel XVIII e nel XIX secolo a seguito dello sviluppo industriale, che si è rapidamente
diffuso nei territori del nord Europa.
Le terre mediterranee, mancando l’appuntamento con la rivoluzione industriale, hanno dovuto subire una competizione che ha finito
per lacerare i territori mediterranei, a vantaggio dei Paesi del nord Europa che l’hanno fatto da padroni con Francia, Germania, e
Gran Bretagna in testa, gli stessi Paesi che si sono impegnati, più degli altri nella ricerca agronomica, zootecnica, meccanica, nella
conservazione dei prodotti ecc., condotta tra fine Settecento e prima metà dell’Ottocento, da cui prenderanno origine i due secoli
dell’agribusiness.
Cenni di storia alimentare
Il mare Mediterraneo, tra Africa, Asia ed Europa, ha agevolato fin dai tempi più antichi i rapporti umani tra popolazioni diverse,
provocando gli eventi storici che ne hanno fatto la culla della civiltà occidentale; tra questi, i più importanti sono stati i primi approcci
con i popoli medio-orientali, avvenuti inizialmente con zattere favorite dalle correnti marine e, più tardi, con i primi natanti. Degli
esordi oggi restano antiche testimonianze a cominciare da quelle dei primi abitanti, nel Paleolitico, che hanno lasciato tre belle
incisioni rupestri nella grotta del Romito a Papasidero (Cosenza). Nel Neolitico, l’uomo, una volta che si è fermato sul territorio e ha
cominciato a praticare l’agricoltura e a insediarsi nei villaggi, costruendo i vasi di ceramica “impressa” con le più antiche decorazioni
apparse sulle coste del Mediterraneo.
Omero ce ne offre le prime testimonianze scritte a cominciare dalla città calabrese di Temesa, di cui parla la dea Atena a Telemaco
nel primo canto dell’Odissea, fino alla localizzazione della reggia di Alcinoo, re dei Feaci, che, secondo alcuni studiosi, sarebbe stata
nell’istmo tra i fiumi Amato e Corace. Secondo la leggenda, a Temesa sono approdati i discendenti di Naubalo; Menesteo, compagno
di Ulisse, si fermò alla foce del Corace per fondare Skylletion, i cui resti stanno per tornare alla luce; l’arciere Filottete, dopo aver
combattuto sotto le mura di Troia, ha donato il proprio arco al dio Apollo, destinandolo nel tempio di Krimisa. La tranquilla esistenza
dei Bruzi, la locale popolazione indigena, è stata bruscamente interrotta dall’arrivo dei Greci, che hanno provocato, nel territorio, un
improvviso salto di qualità, di cui la scuola pitagorica di Crotone è solo una delle tante testimonianze. Quando, nell’VIII secolo a.C.,
la Calabria è stata raggiunta dai flussi migratori, provenienti dalla Grecia, è stata fondata Rhegion (Reggio) e Zancle (Messina) da
parte dei Calcidesi, mentre gli Achei fondavano, sulla costa ionica, Sibari, Crotone e Caulonia (Monasterace) e i Locresi Locri
Epirephiri (Locri). Queste nuove colonie hanno provocato delle fratture nel tessuto sociale precedente che sono sfociate
nell’autonomia e in una identità culturale, specie nelle espressioni artistiche (terracotta, bronzistica, grandi sculture di marmo ecc.).
Con la precolonizzazione, le nuove poleis si sono stabilite lungo 1300 chilometri di costa dando corpo al territorio della Magna Grecia
(ne era esclusa la Sicilia), la cui cultura si è imposta alle popolazioni locali; l’aggettivo magna sta ad indicare l’importanza dei luoghi
coinvolti, allora dominati dalle città di Sibari, Crotone, Taranto e Metaponto, delle quali i Greci erano particolarmente orgogliosi. Con
l’arrivo dei colonizzatori è avvenuto l’incontro-scontro con le diverse popolazioni indigene, che vivevano nei boschi di cui erano ricchi
i monti e le pianure. I nuovi pionieri sono stati partecipi del mito e dell’utopia della tradizione ellenica, che si sono consolidati come
carattere peculiare degli intellettuali calabresi: era un sentito bisogno di giustizia in attesa degli avvenimenti. Ne fa fede la scuola di
Pitagora, che, ponendosi alla base del pensiero scientifico moderno, contribuirà a delineare i contorni di un nuovo stato, in regime di
giustizia e razionalità, che per gli antichi Greci erano sinonimi. Altre testimonianze sono la prima costituzione messa a punto
dall’uomo (Zeleucos di Locri), le grandi architetture templari, gli edifici pubblici ecc.; tutto questo fervore di opere ebbe termine nel
IV secolo a.C., quando, assediate dai Lucani e dai Bruzi, le popolazioni locali chiesero aiuto a Roma che trasformò il territorio in una
delle regioni greco-latine. Con la fine della prima guerra punica (prima metà del III secolo a.C.) iniziò la decadenza delle città e del
territorio calabresi; arrivarono nuovi coloni dal Lazio e dalla Campania e l’antica proprietà contadina venne sostituita dal latifondo
con il lavoro degli schiavi.
I prodotti alimentari
In un ambiente ricco di tradizioni popolari e di folklore, che costituiscono una delle peculiarità maggiori della Calabria, tra l’austerità
delle aree montane e il fasto dei costumi albanesi, è emersa, in tutta la sua originalità e policromia, una alimentazione che risente
delle tante culture passate in regione nel corso dei secoli; prevalgono così le combinazioni di aromi, sapori, colori, odori ecc., messi a
punto e calibrati in secoli di storia con esiti originali, nei quali la cultura mediterranea è sempre presente. La produzione alimentare
della Calabria costituisce una quota importante e peculiare dell’agro-alimentare storico del Belpaese e d’Europa, specie per talune
produzioni pregiate: ortive, frutticole, agrumicole ed olivicole, della vivaistica avanzata, di altre essenze arboree come il cedro, il
bergamotto e il gelsomino, senza escludere quelle di origine animale. Questa è la migliore Calabria arrivata in tavola, con gli
elementi più importanti della “Piramide dei cibi sani”: pane e prodotti da forno in genere, pasta fresca, oli, vini liquori regionali,
dolciumi, conserve, formaggi e salumi, prodotti conservati sott’olio, miele, fichi, cipolle, la filiera del frutto di castagna e quella
derivata dai prodotti di attività marinare con tonno, sardine e novellame di pesce azzurro; uno scrigno di delizie rare, un tesoro unico
di salute e sapori.
La triade originaria giunta dal Medio-Oriente prima della Magna Grecia, era costituita da frumento, olio e vino, accompagnati da erbe
coltivate e spontanee (le spezie locali), da legumi e da frutta; è la cultura alimentare molto partecipata, nata tra antichi riti e
rappresentazioni religiose, retaggio delle case, delle famiglie e dei villaggi, che hanno fatto arrivare fino a noi l’antica tradizione della
salsa di pesce (garum), della bottarga, della conserva vegetale, degli arrosti caprini, dei dolci al miele di marca orientale, di cui
parleranno più tardi Archestrato, Apicio e Columella. È calabrese anche l’uso medievale del mosto, delle spezie, delle erbe
aromatiche, quali ingredienti di una cucina che non aveva ancora ricevuto i vegetali del nuovo mondo (peperoncino, pomodoro,
patata, mais e molti altri). La solida resistenza della cultura e dei riti alimentari, in Calabria, è conseguenza dell’isolamento delle
comunità, che hanno preferito proteggere il passato piuttosto che avventurarsi nel futuro. In famiglia si lavorano ancora i cereali per
produrre pane e pasta, quasi sempre con grano duro (lagane, tagghiarini, fusiddi, fileja, cavateddi, sciabateddi, maccaruni al
ferretto ecc.) e poi le minestre preparate con pesce, legumi, verdure e ortaggi freschi, di cui sono famose quelle di fagioli, erbe dei
campi e quelle maritate con carni di maiale, cotiche, ciccioli ecc.
Famosi sono anche gli insaccati, sempre di produzione familiare: salsicce e soppressate, la ‘nduja, preparata con le parti grasse del
maiale aggiungendo con abbondanza peperone dolce e piccante (quasi un quarto dell’impasto), la ‘nciervellata (insaccato di polmoni
di maiale), i capicollo ecc. Sempre tra i prodotti della terra vanno ricordati anche i funghi porcini della Sila e delle Serre, le olive
variamente lavorate, aromatizzate e conservate, noti sono anche alcuni oli, tra cui citiamo quello della Sibaritide, del Lametino, della
zona di Maida, delle colline del Mesima, della piana di Gioia. Poi vi sono le conserve di ortaggi estivi sott’olio, sott’aceto e sotto sale
(peperoni, pomodori, melanzane). Nonostante i numerosi aromi vegetali, quali prezzemolo, basilico, sedano, salvia, cipolla, aglio,
rosmarino, finocchio selvatico, alloro, menta, chi la fa da padrone da quasi mezzo millennio è il solito peperoncino che, a partire dal
XVI secolo, è entrato con forza nei piatti e nella preparazione alimentare, diventando il punto di orgoglio e di originalità
dell’agroalimentare e della cucina regionali.
Anche la frutta locale si distingue per i sapori, tra cui spiccano quelli di agrumi e fichi secchi farciti di uva o mandorle e qualche volta
ricoperti di cioccolata; tra i dolci numerosi sono quelli semplici, di origine antica, con i soliti ingredienti (farina, uova, zucchero,
miele, olio, grasso), sempre preparati con molta meticolosità; diffuse anche la produzione dei torroni, soprattutto a Serra San Bruno,
Soriano Calabro e nel Reggino, e quella dei gelati (Pizzo e Reggio). Tra i formaggi eccellono il Caciocavallo podolico, la Provola
silana, il Pecorino del Monte Paro, il Pecorino crotonese, il Canestrato, la Juncata, la Ricotta affumicata, il Butirro, la Felciata e il
Cacioricotta. I vini, in Calabria, hanno tutti una storia millenaria a cominciare dal Cirò rosso (Doc), che viene prodotto dai tempi della
Magna Grecia nel comune omonimo, in vicinanza di Crotone, per finire con il Savut rosso (Doc). Non esiste alimento calabrese che
non sia coerente con la storia della regione, crocevia di popoli e terra di passaggio tra Oriente e Occidente, che conserva ancora
tracce evidenti dei tanti dominatori che sono passati dalle sue terre. L’entità della produzione agricola ha spinto da sempre i
calabresi a cercare nel mare la parte complementare agli alimenti di terra e così sono diverse le varietà ittiche entrate a pieno titolo
nelle preparazioni culinarie della regione e tra queste spiccano il pesce spada, catturato tra Scilla e la Marina di Palmi, e il tonno,
pescato nel Tirreno, tra Tropea e Pizzo ed esportato in tutto il mondo.
Nei Paesi avanzati, oggi grandi e piccole imprese si presentano sul mercato con adeguata organizzazione e idonei supporti
commerciali, dalla cui presenza e funzionalità dipende in gran parte il successo; nelle aree mediterranee, o comunque nei territori di
antica cultura, dove prevale, in modo quasi esclusivo, la presenza di piccole imprese a capitale familiare, l’organizzazione delle
vendite è quasi sempre debole e comporta molto spesso bassi gradi di competitività; se hanno resistito ugualmente è perché gli
alimenti sono di alta qualità e perché rispecchiano storia e cultura locali, che il consumatore continua a guardare con rispetto e a
consumare; in questi casi però, i mercati penalizzano questi alimenti comprimendone il prezzo con il rischio di allontanare i
produttori dalla loro attività principale, per insufficiente remunerazione del lavoro e del capitale.
Il contesto attuale
La situazione della Calabria moderna è precipitata, quando, nell’ultimo mezzo secolo, l’Italia, a seguito del “miracolo economico”, è
entrata nel novero dei Paesi più avanzati del mondo, mentre la regione non si muoveva più di tanto a causa del suo isolamento.
Oggi, raggiunto il terzo millennio, possiamo affermare senza tema di smentita che è iniziata una nuova era nel mondo e, quindi,
anche in Calabria, nella quale perderanno sempre più d’importanza le quantità prodotte, anche per la mancata crescita della
domanda a vantaggio della qualità; sono stati i consumatori a preoccuparsi più di prima della propria salute e a optare per una.
particolare attenzione e cura da dedicare alla qualità alimentare e, per essa, alla biodiversità, alla storia, alla cultura e alla tradizione
che hanno le radici in Calabria, dove hanno ancora maggiori intensità e significato. Con queste riflessioni non poteva non riemergere
la primogenitura dell’attività agricola e della produzione alimentare di cui godono le antiche regioni della Magna Grecia, con la
Calabria, la Campania e la Sicilia in testa, con il loro costume alimentare, quello che è stato studiato e apprezzato da Ancel Keys, che
ne ha dimostrato i pregi per la salute della gente e la longevità.
Durante la lunghissima crisi della regione, iniziata nel lontano III secolo a.C., l’annullamento di ogni possibile prospettiva di
successo, in un territorio collinare e montano, che è già difficile per conto suo e oltretutto è vittima di un isolamento penalizzante, è
diventato una realtà imprescindibile a causa della difficoltà dei rapporti interni ed esterni al territorio; pertanto, riversandosi
sull’agricoltura locale, il contesto ha fatto venire meno l’adozione di nuove tecnologie, di nuovi investimenti e l’aggiornamento degli
indirizzi produttivi, mentre altrove, specie nelle ampie aree di pianura, gli agricoltori riuscivano a progredire fino ad avere, come
hanno fatto, aziende multifunzionali di ampio respiro, per non dovere rinunciare al benessere. Delle nuove prospettive, solo
l’agriturismo è entrato tra le attività delle imprese agricole di 330 unità che sono già in grado di trasmettere dall’agricoltura
all’economia urbana nuovi messaggi di adattamento al futuribile.
Popolazione totale
Tasso di natalità (Tn )
e di mortalità (Tm)
I – Società tradizionale storica
II – Accelerazione demografica
III – transizione
IV - stabilizzazione
Grafico 1. L’andamento demografico nelle economie avanzate. Fonte: Malassis (1992)
Negli ultimi lustri poi, è comparsa, con la volontà dei consumatori di potere contare su trasparenza e flessibilità del mercato
alimentare, l’esigenza di disporre di alimenti capaci di garantire la migliore qualità esistenziale, in netta controtendenza con i
numerosi artifizi, che il mercato voleva imporre, come i cibi standardizzati, le merendine, i fast food, il catering ecc., di cui la società
moderna si è avvalsa a piene mani. L’atteggiamento critico dei consumatori ha richiesto l’affrancamento dagli scandali alimentari, la
cui frequenza, che è in continuo aumento, è uno dei motivi che ne ha scosso la tranquillità, facendo rivalutare il cibo mediterraneo
che, per genuinità, qualità e sicurezza, è sempre più ricercato. Pertanto, se le principali risorse, di cui beneficia l’agricoltura
calabrese, non hanno potuto recuperare per molto tempo l’appeal del passato, la causa è da attribuire, in massima parte,
all’isolamento della regione che ha pesato anche quando, dalla fine degli anni Cinquanta, l’Italia si è emancipata dal sottosviluppo
con il “miracolo economico”.
I presupposti
Vi sono alcuni presupposti che, fra tanti, sono i più incisivi e permettono di valutare l’agricoltura della Calabria nei suoi vari aspetti,
consentendo di esaminarne le prospettive: lo “Spazio mediterraneo” e la “Dieta mediterranea”. Il primo ha acquistato rilievo, nella
preistoria, grazie al gap tecnologico esistente tra Medio-Oriente ed Europa e ai traffici commerciali, che erano particolarmente
frequenti all’interno del Mediterraneo, come testimoniano i ritrovamenti continui di natanti carichi di merci sul fondo del mare; è lo
stesso fenomeno che ha permesso al Museo Archeologico di Reggio Calabria di esporre i Bronzi di Riace, trovati a 8 metri di
profondità a 300 metri dalla costa a Riace da un giovane sub romano. Questi scambi erano iniziati molto presto ad opera dei primi
pionieri e avventurieri per speculazione che, più tardi, hanno fatto nascere gli empori, veri e propri centri commerciali che, a loro
volta, hanno aperto la strada alla massiccia colonizzazione greca; è stata quest’ultima ad intensificare ulteriormente i traffici
marittimi, dando luogo a lo “Spazio mediterraneo”, nonostante che il mare non fosse dei più facili da navigare.
La maggiore frequenza dei viaggi per mare avveniva in direzione da ovest a est, a seguito dei rapporti commerciali per la
compravendita di alimenti, come si riscontra dal carico dei relitti ritrovati, per soddisfare lo stato di necessità della popolazione greca
e di altre medio-orientali, che erano in forte aumento demografico; i Greci erano molto più avanti culturalmente, organizzativamente
e civilmente di molte altre popolazioni, ma non avevano pianure da coltivare, sufficienti per potere nutrire tutta la popolazione. In un
simile contesto, non poteva non nascere la “Dieta mediterranea”, la cui funzione era anche quella di calibrare i consumi; la nuova
opzione è diventata, in poco tempo, il costume alimentare delle terre bagnate dal Mediterraneo, fino a quando, arrivati i Celti, hanno
cambiato le carte in tavola in tutto l’Occidente, escluse le poche regioni più intimamente inserite nel mare, sempre angolo sud-est e
coinvolte da sempre nella “Dieta mediterranea”. Mentre le abitudini alimentari hanno avuto origine direttamente dall’agricoltura che,
mettendo a disposizione un numero limitato di materie prime, ha finito per determinare, sulla base di queste, i contenuti alimentari
prevalentemente vegetali con poca carne e poco pesce., secondo le abitudini dei Medio-Orientali, che ne sono gli inventori con
l’adagio “pane e birra”.
Lo “Spazio mediterraneo”
Sull’economia e sulla finanza mondiali, in quest’inizio di millennio, sono esplose due crisi mondiali, che hanno dato ragione al
comportamento dell’uomo della Calabria, i cui abitanti non hanno partecipato, non importa per quale motivo, agli espedienti, portati
avanti dall’uomo, negli ultimi decenni, per rendere più efficace la caccia al profitto. La regione fa ancora parte di quei territori che,
con pochi altri, è ancora espressione di quella sobrietà calibrata e avveduta di gente che ha tenuto aperte le porte alla sana vita
quotidiana d’un tempo con l’eco delle soddisfazioni per una buona tavola imbandita, che è sempre gratificante per tutti. La stessa
cultura agricola e alimentare attuale, che non è sempre compatibile con la corretta fisiologia, anticamente lo era, grazie all’istinto, e
lo è ancora in Calabria, dove da allora non è cambiato molto.
Il modello agro-alimentare della Calabria è nato con lo “Spazio mediterraneo”, quando Roma era ancora un villaggio, ma già erano
sorte, lungo le coste, a sud della Penisola e della Sicilia, numerose città greche, grandi e piccole, le colonie e le subcolonie, che
hanno vissuto alcuni secoli di grande prosperità e diffuso benessere, ellenizzando gran parte delle terre più facilmente raggiungibili.
Ai primi navigatori greci, che hanno attraversato le cinquanta miglia di un mare impietoso, che separano Corfù dall’Italia, si era
presentata una pianura costiera con fertili retroterra, quasi sempre trascurati dagli indigeni. Oltre il golfo di Taranto, i Calcidesi,
hanno fondato Rhegion e Zancle per controllare lo stretto di Messina, mentre gli Achei costituivano sulle coste ioniche le colonie rivali
di Sibari e Crotone, oltre a Paulonia. La prima di queste città era l’approdo principale per coloro che arrivavano dalla Grecia
occidentale e che di lì ripartivano con muli e carri, trasportando merci e masserizie oltre i monti per arrivare, dopo altri cinquanta
chilometri, a Laos, sul Tirreno, da dove raggiungevano per mare Posidonia, (Paestum), e quindi si irradiavano nelle zone interne. Per
questo posizionamento strategico la città di Sibari è cresciuta più rapidamente di altre, diventando grande, ricca ed emblematica,
dove gli abitanti (Diodoro Siculo ne ha contati 300.000), affidato il lavoro agli schiavi, vivevano nel lusso sfrenato, indossando abiti
di porpora ricamati d’oro, dedicandosi ai piaceri più raffinati e coltivando la musica, la danza e le lettere e, soprattutto. l’arte della
buona tavola.
La civiltà greca, evolvendosi, ha continuato ad aumentare la popolazione e a risolvere il problema alimentare, valorizzando lo
“Spazio mediterraneo”con nuove colonie che, tra Sicilia, Calabria, Lucania e Puglia, hanno continuato ad arrichirsi di nuova cultura di
natura tecnica, filosofica, artistica e alimentare, come dimostrano le scuole di Pitagora a Crotone (più tardi a Metaponto) e di
Parmenide e Zenone a Elea (Velia), oltre a quelle artigianali e di preparazioni alimentari. Sono state queste colonie e i loro traffici
commerciali con la madrepatria a dare vita allo “Spazio mediterraneo”, dove hanno diffuso sviluppo e benessere. Così le nuove
comunità greche, in Calabria, hanno raggiunto insieme agli indigeni agiatezza e crescita culturale, di cui fanno fede, oltre alle scuole
filosofiche citate, i poeti Glauco e Ibico, lo storico Ippy di Reggio, la poetessa Nosside di Locri, il musico Senocrito di Locri ecc.
Lo “Spazio mediterraneo”, che è stato realizzato ad integrazione di due etnìe diverse, è sano per definizione – non è poco! – e può
vantare la primogenitura dello sviluppo economico, in Occidente, con le radici in Medio-Oriente, dove, diecimila anni fa, è avvenuto il
decollo della prima produzione agricola, trasferita due mila anni dopo, in Calabria. In seguito, l’abbondanza di cereali e di altre
materie prime agricole della pianura crotonese si è perfettamente integrata con la mancata copertura interna di Grecia e di altre
aree orientali, dando luogo a diffuse forme di integrazione e di scambio del cibo con oggetti d’arte e di cultura orientale, di cui sono
stati testimoni i poeti Glauco e Ibico, lo storico Ippy, la poetessa Nosside, il musico Senocrito e specialmente Pitagora che ha fondato
a Crotone la sua famosa scuola filosofica (più tardi a Metaponto) e di cui oggi fanno fede i Bronzi di Riace. Queste attività,
intensificando i traffici, sono state all’origine del nuovo “Spazio mediterraneo”che ha offerto alla gente di Calabria, ulteriori
opportunità di sviluppo.
Sono state le numerose colonie greche, disseminate lungo le coste meridionali della Penisola e della Sicilia, a fare grande la
prosperità di aree agricole non facili e a diffondere comunque benessere e cultura in Calabria e nell’hinterland, ellenizzando gran
parte delle terre più facilmente raggiungibili per mare, mentre Roma era ancora un villaggio di pastori.
Grafico 2= I comportamenti alimentari del’uomo nella storia Fonte: nostre stime
PARTE SECONDA: LA “DIETA MEDITERRANEA”
Cultura e ricerca agro-alimentare
Il sistema agro-alimentare della Calabria si distingue dagli altri non solo per l’origine più antica, ma anche per la diversa cultura che
sta dilagando in tutto il mondo con il nome di “Dieta mediterranea”. Nonostante che la storia sia chiara nel definire l’area di
competenza di questo particolare costume, non c’è luogo del bacino del Mediterraneo che non vorrebbe appropriarsene. Anche
questo motivo si aggiunge agli altri per arricchire le spinte a disposizione della regione, quando sarà terminato il ponte sullo stretto
di Messina e le tre regioni insieme, Calabria, Campania e Sicilia, potranno ricostituire l’area forte delle antiche terre mediterranee,
quella che ha insegnato all’Occidente a scegliere i cibi, a prepararli e a nutrirsene in regime di convivialità, cioè allegramente, in
buona compagnia e conversando amabilmente. A tavola non s’invecchia sostenevano gli anziani, continuando a mangiare e a bere
anche in tarda età, come se fossero sempre giovani. Il sistema mediterraneo, in conseguenza di questa breve presentazione, merita
nuove ricerche, per saperne di più, visto che l’argomento si presta a svolgere la più moderna delle azioni di marketing territoriale per
espandere il turismo internazionale e risolvere una volta per tutte la “Questione calabrese”. L’ipotesi che avanziamo riguarda la
costituzione di un Centro di ricerche che possa perseguire il lavoro iniziato da Ancel Keys mezzo secolo fa.
Nei tempi successivi, gli sviluppi agro-alimentari hanno confermato, nello “Spazio mediterraneo”, l’esistenza di un comune
comportamento, frutto dell’istinto, che ha guidato l’uomo nella caccia e nella pesca prima e nella scelta delle coltivazioni e degli
allevamenti dopo, per soddisfare il loro nutrimento, in assenza della cultura. Questo atteggiamento è risultato particolarmente
proficuo per la armonica corrispondenza tra cibo e natura biologica dell’uomo e per la salvaguardia dell’ambiente. Quando l’istinto
non ha più retto al sopravvenire della cultura, l’uomo ha assunto in proprio la guida della propria esistenza, imparando, nei casi
migliori, a gestirla con responsabilità, senza discostarsi troppo dalle abitudini precedenti fino a quando, all’inizio dell’Ottocento, è
cominciata la caccia al profitto, che si è protratta per due secoli, raggiungendo maggiore intensità negli ultimi decenni che sono
quelli che hanno fatto traboccare il vaso. Così la vicenda dell’uomo, che era iniziata nel modo migliore, si è conclusa
drammaticamente quasi un decennio or sono e, nella pratica, sarà completamente riassorbita alla fine di questa crisi. Prima di allora,
la cultura aveva ampliato la gamma delle specie da coltivare e da allevare e aveva avviato la trasformazione e la lavorazione
industriale delle materie prime, che, in Calabria, avveniva per lo più nelle aziende, in assenza di una forte struttura industriale, per
ricavarne nuovi prodotti duraturi. È nato così il sistema agro-alimentare, divenuto, nel tempo, nelle economie avanzate, sempre più
complesso e oneroso per il consumatore finale a causa della lavorazione delle materie prime, del confezionamento e della catena del
freddo, mentre in Calabria tutto è restato legato, come per il passato, alla famiglia contadina.
Le popolazioni delle terre mediterranee hanno preso coscienza del loro diverso ruolo alimentare, quando, a seguito di lunghe
ricerche, Ancel Keys ha potuto rilevare che molte delle patologie da benessere dell’uomo moderno (trombosi, arteriosclerosi, infarto,
diabete, ipertensione, obesità, tumori), si verificano con minore frequenza nelle terre mediterranee; in conseguenza di questi fatti,
oggi sta dilagando nel mondo la volontà di recuperare i valori dell’antica cultura mediterranea e di trasferirli anche altrove,
coinvolgendo la produzione agricola e l’intero sistema alimentare e facendo riemergere una sorta di “Umanesimo di ritorno” che,
dopo mezzo millennio, torna a dare utili suggerimenti all’uomo e a respingere ogni eccesso del tipo Organismi geneticamente
modificati (Ogm). Da questo rifiuto e dalla volontà di salvaguardare l’ambiente è partita la terza rivoluzione alimentare. Sono stati i
vari movimenti culturali che, rafforzandosi, hanno finito con il portare acqua al mulino della “Dieta mediterranea” e della Calabria,
che ne è la maggiore responsabile, con il sostegno scientifico dell’Istituto Nazionale di Ricerca sugli Alimenti e sulla Nutrizione
(Inran) che, dopo avere avviato una serie di confronti di costumi alimentari antichi e moderni, ha preso atto della superiore salubrità
dei cibi di queste terre per il basso contenuto in grassi animali saturi e in zuccheri semplici e per la presenza di fibre, di carboidrati
complessi e di grassi vegetali insaturi.
Altra particolarità del costume alimentare mediterraneo è la persistenza nel tempo, con la quale l’uomo di questa terra è riuscito a
tenere a bada le emergenze alimentari, che ultimamente hanno imperversato oltreoceano, e a evitare nuovi stravolgimenti.
L’origine della “Dieta mediterranea”
Gli abitanti della Calabria, insieme con i loro colleghi dell’antica Magna Grecia, sono diventati inquieti, ma pronti a reagire di fronte ai
numerosi rischi corsi dalla loro ricca tradizione alimentare e gastronomica, che le prime avvisaglie di un benessere generico hanno
tentato di minare, in nome di un’effimera modernità. Oggi anche altre popolazioni vorrebbero impadronirsi della “Dieta
mediterranea”, quando, invece, è patrimonio storico che riguarda soltanto i territori che l’hanno ricevuta via mare e l’hanno fatta
propria, utilizzando i riproduttori animali e le sementi delle specie domesticate due mila anni prima nella “Mezzaluna fertile”, in
Medio-Oriente, per produrre le stesse materie prime su cui impostare la stessa alimentazione. Anche i consumatori estranei alla
cultura mediterranea che non possono contare sulle stesse garanzie di sicurezza e di qualità, di cui godono i Mediterranei, stanno
imparando a fare delle distinzioni, cercando di scartare, se e quando è possibile, ogni forma di standard alimentare per rivalutare le
consuetudini storiche, quelle stesse che hanno aperto la strada alle nuove materie prime della neonata agricoltura, arrivate
direttamente sui litorali calabresi e di altre regioni del sud della Penisola, dopo solo duemila anni dall’invenzione dell’agricoltura, in
Medio-Oriente.
Il riconoscimento della valenza di questa primogenitura alimentare, nata dall’istinto, il solo che allora dominasse le scelte alimentari,
la dobbiamo a un biologo americano, docente nell’università del Minnesota, Ancel Keys che, avendone intuito i caratteri essenziali,
ha voluto verificarne la valenza attraverso una serie di ricerche cmparate, svolte dalla sua èquipe in diverse parti del mondo. Dopo
un lungo e approfondite lavoro di ricerca, durato alcuni lustri, e le analisi scientifiche, il Keys è arrivato a definire la “Dieta
mediterranea”. Quest’uomo di scienza, dimostrando l’esistenza di una correlazione tra abitudini alimentari calabresi e malattie
metaboliche, l’ha pubblicata nel Consensus Statement del 2000 su “Dietary fat, the mediterranean diet and lifelong good health”,
approvato nel corso della Conferenza internazionale sulla “Dieta Mediterranea”, tenuta a Londra il 13-14 gennaio del 2000. In tale
occasione, questo costume alimentare è stato definito “il modello alimentare tipico di alcune regioni del Mediterraneo nei primi anni
’60”. Tra i collaboratori italiani del prof. Keys un ruolo particolare hanno svolto anche il prof. Flaminio Fidanza, principale ricercatore
italiano del “Seven country study” e il prof. Alfonso Del Vecchio.
I prodromi
I prodromi che hanno riportato alla ribalta la “Dieta mediterranea” vengono da oltreoceano; mentre era in corso la conferenza del
World Trade Organization (Wto), a Seattle, nel 1999, alcune decine di migliaia di persone hanno improvvisato un “controvertice”,
definito più tardi no global o new global o “antimondiality”, per manifestare in difesa dei diritti fondamentali dell’individuo contro i
grandi gruppi economici, la globalizzazione e le guerre. Per la prima volta, un movimento di consumatori è riuscito a fare sentire la
propria voce e ad avanzare proposte, andando oltre la mera protesta; il movimento, tutt’ora attivo, si appoggia a gruppi che
comunicano tra loro per mezzo della posta elettronica e per questo sono per lo più presenti nei Paesi a economia avanzata. Questo è
stato il primo segnale di uno scontento popolare che serpeggiava nel mondo più sviluppato, rifiutando le intemperanze dei grandi
gruppi finanziari ed economici che condizionavano pesantemente e continuamente le scelte politiche più importanti. Le proteste sono
andate in direzione opposta alla globalizzazione, che aveva fatto parte parte dei cambiamenti promossi, voluti e realizzati dai più
grandi apparati dell’economia e della finanza internazionale.
La comparsa del nuovo atteggiamento dei consumatori, che è stata tanto improvvisa quanto consistente, ha richiamato l’attenzione
dell’opinione pubblica e dei mass media sul nuovo cammino che stava intraprendendo il mondo, con la previsione di continuare ad
aumentare la popolazione, per ricorrere agli Ogm per poterla nutrire, affossando ogni tipo di tradizione e di cultura e coinvolgendo la
qualità della vita, la qualità alimentare e la qualità ambientale. Il movimento avrebbe voluto riportare, in sostanza, l’uomo all’interno
di una linea evolutiva più coerente con la sua natura biologica, con l’evoluzione storica, con la corretta emancipazione della cultura e
con la salvaguardia dell’ambiente, liberandolo dalle deviazioni perseguite, specialmente nel passato più recente, con l’agribusiness;
lo scopo è fare riaffiorare i principi di una moderna società civile che testimoni, con interventi sempre più frequenti, significativi e
condivisi, il rammarico dell’uomo per essersi allontanato troppo dalle proprie radici naturali.
Lo stesso Vecchio Continente, che si sta riorganizzando con la nuova costituzione dell’Ue e si è ampliato, inserendo altri dieci Paesi,
ha raggiunto la popolazione di 454 milioni di abitanti e il Pil di 10.500 miliardi di euro, che fanno assurgere l’Europa al vertice delle
potenze economiche e dei mercati mondiali con conseguenti responsabilità sociali, culturali ed ambientali.
Conferma questa riflessione anche l’economista americano Jeremy Rifkin, che considera gli eccessi degli Usa come l’espressione di
un consumismo sfrenato, non molto diverso dallo stacanovismo di marca sovietica. In questo contesto, il consumatore americano si
sente insicuro e si comporta in modo nevrotico a causa di quello che lo stesso Autore definisce “il progressivo deterioramento della
qualità della vita dell’americano medio”. Un terzo degli Americani, continua Rifkin, non crede più al sogno di una società che “offre a
tutti l’opportunità di conquistare la prosperità, purché siano disposti a lavorare sodo e a contare sui propri mezzi”, mentre ritiene più
credibile e accettabile “il sogno europeo”, che è il titolo che Rifkin ha dato al suo ultimo libro. Per i nuovi Americani ciò che conta
sono “la crescita economica, la ricchezza individuale e l’indipendenza”; per gli Europei sono prioritari “lo sviluppo sostenibile, la
qualità della vita e l’interdipendenza”. Due concezioni diverse della società e della vita che, in epoca di agribusiness, hanno visto
prevalere gli Americani, mentre oggi sono gli Europei ad alzare la testa.
Le ricerche di Ancel Keys
Nel nuovo scenario, non poteva rimanere indifferente lo “Spazio mediterraneo” né poteva mancare il riferimento alla “Dieta
mediterranea”, che tanta parte hanno avuto nella costruzione della cultura europea ed occidentale; oggi sono i Mediterranei, prima
degli altri, a chiedere il recupero storico-culturale dell’antico “Spazio mediterraneo” con tutto quello che segue, per riconsegnare
all’uomo moderno alcuni dei privilegi del passato, quando, nella culla della civiltà occidentale, c’era chi guidava non solo il
comportamento alimentare dell’Occidente, in una condizione umana che si reggeva, oltre che sul rispetto della natura, sulla
preferenza per gli alimenti tradizionali e tipici, anche sui cibi locali e la convivialità, che sono le classiche espressioni dello stile
mediterraneo a tavola e che traducono nei fatti l’intimo rapporto tra uomo e territorio. Il mondo mediterraneo è una realtà
complessa, nella quale non è ammessa la destinazione casuale della materia prima alimentare, che si coltiva solo per farne
quell’unico prodotto finale a cui è destinato, secondo un’integrazione che non è concepibile altrove.
Tutto è iniziato mezzo secolo fa, quando, dopo uno studio della “Rockfeller Foundation”, che aveva sondato il regime alimentare
mediterraneo, l’iniziativa è passata di mano, arrivando, nel 1957, al biologo americano Ancel Keys dell’università del Minnesota che
si era interessato delle condizioni minime di sopravvivenza e dei biochimismi cellulari del corpo umano a seguito di digiuno
prolungato; aveva concluso le ricerche con la “razione K” di sopravvivenza, la stessa che aveva sostenuto i soldati americani nel
corso dell’ultima guerra mondiale. Concluse queste ricerche, Ancel Keys ha voluto risalire alle. cause delle malattie metaboliche,
quando, giunto a Roma per un congresso nel 1955 e venuto a conoscenza che in alcune regioni dell’Italia meridionale esistevano
territori con popolazioni immuni da infarto e ictus, si è recato a visitarle, decidendo di indagare lo stato di salute e, per farlo, si è
costruito una casa a Pioppi, nel salernitano, dove ha trasferito la famiglia. Lo stesso ricercatore ha predisposto una base operativa
anche a Nicotera, in Calabria, per indagare le abitudini alimentari della gente del luogo e per estendere poi le ricerche ad altri Paesi
(Grecia, Jugoslavia, Finlandia, Olanda, Usa e Giappone) per effettuare i confronti.
Dall’indagine pilota, svoltasi qui a Nicotera dal 1957 al 1960, è uscito negli anni Settanta il “Seven Countries Study”, che riporta la
correlazione esistente tra le abitudini alimentari e le malattie metaboliche in sei campioni di popolazione; sono stati pubblicati anche
altri lavori che hanno portato a conoscenza degli studiosi il life style mediterraneo e hanno indotto il Presidente della Repubblica
Carlo Azeglio Ciampi ad assegnare al prof. Ancel Keys nel 2004 la medaglia d’argento al merito per la salute publica. Il prof. Keys è
deceduto il 20 novembre 2004 all’età di poco più di cento anni.
Nel “Consensus Statement” del 2000 su “Dietary Fat, The Mediterranean Diet and Lifelong Good Health”, approvato nel corso della
Conferenza internazionale sulla “Dieta mediterranea”, tenuta a Londra il 13-14 gennaio del 2000, i consumi in quest’area sono stati
considerati “il modello alimentare tipico di molte regioni del Mediterraneo nei primi anni ’60, senza evidenziare l’esistenza di un
rapporto causa effetto, che non è stato mai dimostrato.
Rispetto ai consumi di origine mediterranea, nei quali hanno sempre prevalso largamente i vegetali, sono intervenute nel tempo
molte variazioni per l’arrivo di nuovi prodotti dall’Oriente (olivo, vite e agrumi, in primis) e per altri importati dall’Occidente a seguito
della scoperta delle Americhe e in altre occasioni (il riso, ad esempio); inoltre l’italiano medio, a partire dagli anni Sessanta del
secolo scorso, a seguito del “miracolo economico”, ha cominciato ad aumentare i consumi di carne anche in area mediterranea. Chi
se ne è occupato è stato ancora una volta il richiamato Ancel Keys, che ha condotto altre ricerche qui in Calabria, a Nicotera, con la
collaborazione del prof. Flaminio Fidanza e di Adalberta Alberti, sulle malattie metaboliche e, più tardi, in Grecia, a Creta, e ancora,
nel 1958-1961, in Finlandia, Giappone, ex-Iugoslavia, Olanda e Usa.
Alcune riflessioni sulla “Dieta mediterranea”
Le ricerche citate, come spesso avviene, sono passate inosservate ai più, in Italia, senza conseguenza alcuna, rischiando di fare
perdere al Paese e alla Calabria un’occasione straordinaria. Per fortuna il prof. Antonino De Lorenzo, che è nutrizionista all’università
di Roma Tor Vergata, quando è venuto a conoscenza delle ricerche, resosi conto della loro importanza, ha riaperto il dibattito
scientifico con diverse iniziative tuttora in corso che valorizzano i risultati, coinvolgendo i principali ricercatori italiani che avevano
collaborato con il Keys: proff. Flaminio Fidanza e Alfonso Del Vecchio.
Nello scenario mediterraneo continua a trovare conferma innanzitutto la continuità dei consumi mediterranei, che reggono ancora
bene, nel rispetto di tradizioni, feste, riti e anniversari, usanze e abitudini locali. L’importanza della persistenza è la conferma che le
innovazioni alimentari sono ”morbide”, coerenti cioè con i principi della “Dieta mediterranea”, che ha continuato ad ignorare, in tal
modo, l’influenza non sempre fisiologicamente corretta dei nuovi apporti alimentari. Gli alimenti arrivati più tardi (pomodoro, patate,
mais, peperoncino, zucche, fagioli ecc.) hanno solo ritoccato i consumi, senza stravolgerne le peculiarità, mentre la qualità ha
continuato imperterrita ad avvalersi della biodiversità e della salubrità originarie, quelle dettate dall’istinto. Non ci sono mai state
grandi innovazioni, ma solo conferme di abitudini e tradizioni antiche con i cereali e i legumi in primo piano, con il pesce conservato
(tonno, sardine, stoccafisso, baccalà ecc.), entrato nel consumo dei poveri a partire dal XIV secolo, e oggi tornato in auge (lo stocco
di Cittanova ne è un esempio), con la pasta secca, il cui consumo ha, in parte, sostituito il pane da alcuni secoli, con il pomodoro e
altri vegetali, che hanno portato altri sapori, odori e colori al cibo, con la pizza, nata a metà del XIV secolo, con la patata della Sila,
con i finocchi di Reggio, le cipolle di Tropea ecc.
Le lievi interferenze alimentari, che non devono essere ignorate, come sostengono anche gli antropologi (Levi-Strauss, Mary
Douglas, Jack Goody) e gli storici (F. Braudel, M. Aymard, J.L. Flandrin, A. Capatti, M. Montanari), hanno migliorato la salubrità e la
sapidità del cibo, che sono rimaste sostanzialmente le stesse, traducendosi in altrettante occasioni di conferma dello “Spazio
mediterraneo”, dove non ci sono state fratture tra vecchio e nuovo. In Calabria, sono particolarmente evidenti i segni della continuità
alimentare, effetto della compatibilità tra tradizione e azioni modernizzatici, compresa l’immissione di nuovi vegetali, che non hanno
fatto altro che arricchire e migliorare la varietà del cibo locale, senza interferire sul vegetarismo di fondo, che prevale, e sull’uso
dell’olio d’oliva come condimento esclusivo.
Per questi motivi, non può che risultare corretta l’evoluzione storica del consumo nello “Spazio mediterraneo”, che ha continuato ad
avvalersi della biodiversità, che è rimasta ampia, coinvolgendo la tavola, a cominciare dal pane, che, era bianco per i ricchi e nero
per i poveri, il primo di frumento e il secondo di cereali minori, come il mais, o di legumi o di castagne o di ghiande ecc.; in passato,
solo i consumi vegetali erano alla portata dei poveri, mentre i prodotti di origine animale erano acquistati dalle classi più abbienti,
secondo una tradizione antica, rimasta in auge fino al secolo scorso; anche il pesce, che solo i ricchi potevano permettersi il lusso di
consumare allo stato fresco, arrivava sulla tavola dei poveri essiccato al sole o conservato sotto sale o affumicato, come sarde,
aringhe e merluzzo, e veniva cucinato secondo semplici ricette, quando non erano consumati crudi; anche l’acqua potabile, che
comportava delle varianti per censo, è arrivata solo negli anni Sessanta nei centri più importanti.
Nello “Spazio mediterraneo” non c’è mai stato appiattimento di consumi per l’ampia varietà degli alimenti disponibili, che hanno reso
la tavola abbondante e varia per tutti, ricchi e poveri, senza eccezioni. La presenza delle diverse tessere del mosaico alimentare dei
microambienti calabresi ha fatto cadere anche l’accreditamento di effetti particolari sulla salute dell’uomo che, quando ci fossero,
sarebbero del tutto casuali, secondo una riflessione che nulla toglie al valore e al significato delle ricerche di Keys e collaboratori.
La “Dieta mediterranea” e patologie
Da parte nostra, non riteniamo del tutto corretto il termine “dieta”, che è espressione con la quale il medico prescrive al paziente gli
alimenti da assumere a tutela della propria salute; mentre, nel nostro caso, assumerebbe il significato di costume alimentare, la cui
persistenza di norma dipende dalla stabilità dell’uomo sul territorio. Abbiamo deciso però di non cambiare il termine, perché ormai è
entrato nel lessico ordinario e perché rende più evidente l’utilità delle scoperte, previa analisi comparata delle due culture alimentari
presenti in Italia, quella mediterranea e quella celtica.
A seguito delle sue ricerche il Keys, ha potuto rendersi conto che gli uomini delle terre mediterranee avevano visto giusto, quando,
per istinto, avevano fatto le prime scelte alimentari, che sono state ampiamente confermate più tardi dalle verifiche scientifiche delle
citate ricerche, secondo le quali i decessi per cardiopatia coronarica sono risultati 978 ogni 10.000 persone, in area mediterranea,
contro i 1.947 in altre aree (Finlandia, Slovenia e Velika Krsna nella ex Iugoslavia).
Senza addentrarci ulteriormente nei meandri dei risultati delle ricerche, che sono più che evidenti, ci siamo accontentati di leggere
quanto ha scritto Ancel Keys e hanno illustrato Flaminio Fidanza e altri uomini di scienza, per i quali l’alimentazione più sana, oggi
ancora più di ieri, la si trova nei cibi in uso nelle terre mediterranee, olio d’oliva, ortofrutta, cereali, legumi e pesce per questi motivi:
• olio vergine d’oliva perché contiene diverse sostanze antiossidanti (tirosolo e idrossitirosolo) e loro derivati idrolizzabili,
tocoferoli, β-carotene, lignani;
• frutta, verdure, pane scuro, pasta, cereali integrali, legumi secchi perché provocano diversi effetti fisiologici (in particolare
mettono a disposizione composti fenolici con spiccata azione antiossidante);
• pesce, perché apporta acidi grassi Omega3.
A questo punto alla Calabria non rimane che attendere la costruzione del ponte sullo stretto di Messina e il potenziamento della
viabilità autostradale collegata per assistere al passaggio di un consistente flusso di turisti e di merci e un nuovo assetto della
regione, disponibile a occuparsi dei servizi al nuovo traffico e dell’accoglienza dei turisti, ricevendone in cambio un più alto grado di
benessere in senso lato.
L’oggetto del nostro interesse riguarda anche la valorizzazione delle abitudini alimentari locali, negli aspetti antropologici, salutistici
ed economico-sociali che sono argomenti interdisciplinari con i quali rassicurare i consumatori. La sicurezza va intesa in senso lato,
cioè come disponibilità di alimenti salubri per tutti, opportunità che, nel mondo, si presenta in misura diversa da Paese a Paese e da
regione a regione. Nell’area mediterranea e nei Paesi più tradizionalisti, l’immagine del mosaico territoriale è rimasta viva, attiva e
ricca
di
piccole
tessere
che
la
cultura
moderna
ha
indicato
con
il
termine
biodiversità.
Nel corso degli ultimi decenni, inoltre, la percezione del ruolo della nutrizione che condiziona lo stato di salute dell’uomo è emersa
con forza; la nuova attenzione è stata provocata dalla diffusione delle malattie da benessere e da cattiva nutrizione, come
l’anoressia, la bulimia, l’ortoressia e dal crescere della frequenza delle patologie cardiocircolatorie, ictus, diabete e di altre malattie
metaboliche, che oggi dilagano nelle società a economia avanzata.
L’analisi sanitaria poi ha identificato i fattori sociali, economici e culturali a cui spetta in parte la responsabilità per il grado di
salubrità degli alimenti e l’igiene dell’ambiente.
Il territorio della regione
La regione, che ha una superficie di Kmq 15.080,32, pari al 5% di quella nazionale, si ripartisce in 5 province e 409 comuni, con una
popolazione di poco superiore ai due milioni di abitanti (3,6% della popolazione nazionale). Così l’agricoltura si realizza
prevalentemente in collina e montagna, spesso su versanti impervi e rocciosi, di natura calcarea e cristallina paleozoica. L’orografia
regionale concorre a diversificare una serie numerosa di microambienti che, all’interno della regione, si differenziano anche per i
caratteri socio-economici, che, variando da zona a zona, danno origine a un mosaico di molte piccole tessere, molto diverse le une
dalle altre. Il rilievo montuoso è costituito da un susseguirsi di massicci separati da valloni o da selle con brevi corsi d’acqua,
escludendo il Crati e il Neto, a regime torrentizio, le cosiddette fiumare. Molto belle sono le coste, che si sviluppano per circa 800
chilometri, caratterizzate da una grande varietà di paesaggi, con insenature e ampie spiagge con acqua limpida. Nel complesso, sono
l’incanto dei suoi mari e l’asprezza selvaggia dei suoi monti a fare della regione un unicum, dove la Sila Grande assomiglia alle
foreste scandinave, mentre a Cutro e a S. Severina si incontrano i desolati deserti di creta del Marchesato di Crotone, dove una volta
si coltivavano i cereali, in forma estensiva, e si praticava il pascolo transumante, mentre oggi, dove è arrivata l’acqua irrigua, la
coltivazione si è fatta intensiva. Sull’Aspromonte è la foresta di pini e faggi a dominare la natura aspra, mentre, scendendo poco più
sotto si incontrano i colori e il lussureggiamento tipico delle aree subtropicali.
Quanto al clima, occorre distinguere tra le aree interne che, essendo montuose, subiscono l’influenza dell’altitudine, con inverni
freddi e carichi di neve ed estati piuttosto fresche, mentre, lungo le pianure litoranee, domina il clima mediterraneo con estati calde
e asciutte e inverni miti e piovosi. Mediamente le temperature si aggirano sui 16°C e le precipitazioni sui mm 620. La città più calda
è Cosenza (31°C).
Le caratteristiche geo-fisiche della regione sono le uniche responsabili dell’isolamento che affligge la regione e ne ha determinato
l’arretratezza economica che emerge dagli indicatori, quale la più elevata incidenza della popolazione agricola (12%) e una delle più
alte spese alimentari in rapporto alle remunerazioni o ai redditi.
I collegamenti esterni e interni sono assicurati dall’ autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria, che collega direttamente o per mezzo di
raccordi tutti i capoluoghi delle cinque province della regione, dalla statale SS 18, che segue la costa tirrenica, e dalla statale SS
106, che segue la costa ionica, dalla ferrovia, tirrenica, oggi raddoppiata, Battipaglia-Reggio Calabria e dagli aeroporti di Lamezia
Terme, Reggio Calabria e Crotone.
Area
%
Ogm
6,4
Standard
13,6
Biologica
2,0
Gastronomica
1,5
Vegetariana
2,4
Tipica e
tradizionale
74,1
L’agricoltura della Calabria risente molto della sua posizione geografica, che si espande nell’angolo sud-est del Mediterraneo, che la
circonda su tre lati (il Tirreno per Km 329 e lo Ionio per Km 413) mentre, sul quarto, a nord, confina con la Basilicata, da cui la
separano Km 80 di ripidi versanti del gruppo del Pollino; c’è chi l’ha definita la regione un’isola nella Penisola. Altri motivi della
difficoltà del primario si incontrano nella tormentata orografia del territorio, che ha solo tre aree pianeggianti a S. Eufemia, Gioia
Tauro e Sibari che non arrivano insieme, al 10% della superficie regionale (montagna 42% e collina 49%), nella debole
organizzazione del settore, mentre un punto a favore proviene dagli ottimi prodotti, tra cui 11 tra i Dop e le Igp, 13 tra i vini Doc e
Igt e 273 di prodotti alimentari tradizionali.
cultura
agribusiness
Cultura (100%)
Grafico 3= Popolazione mondiale per aree alimentari
Le ricerche della Società Geografica Italiana, dalle quali abbiamo preso le mosse per svolgere alcune riflessioni, non potevano tenere
conto dei mutamenti di scenario che sono stati approvati dal governo italiano più tardi, senza che fossero previsti né prevedibili.
Tra le nuove risposte possibili, vanno inserite anche e, direi, soprattutto quelle agricole che – è bene ricordarlo –, nella preistoria e
nella protostoria, erano state le uniche responsabili dei successi economici delle aree mediterranee che la Calabria oggi potrebbe
recuperare grazie ai nuovi collegamenti. Negli ultimi decenni, la capacità dell’agricoltura della regione di produrre reddito è stata
sacrificata dalla morfologia montuosa, dalla patologia fondiaria e aziendale, dalla mancanza di alternative, dalla modesta disponibilità
di capitali e dalla mancata organizzazone di mercato. La lunga e travagliata evoluzione di agricoltura e allevamenti non ha mai
prevalso, nell’area mediterranea, sull’ iniziale imprinting istintivo alimentare; tra i prodotti quelli tipici, che sono numerosi,
provengono dall’ingegno, dall’abilità e dalla cultura con cui l’uomo ha trasformato o lavorato le materie prime, impiegando il sale,
che è il conservante locale per eccellenza, assurto più tardi esso stesso a espressione di tipicità dell’area.
Dalla Magna Grecia e dalla Sicilia la “Dieta mediterranea” è risalita nel tempo lungo la Penisola italica fino a raggiungere l’area
continentale, dove, con circa due mila anni di ritardo, sono arrivati i Celti con una dieta completamente diversa a seguito del lungo
viaggio sulla terra ferma. Comunque la “Dieta mediterranea” non ha mai rinunciato a premere con i suoi prodotti migliori, come è
avvenuto con con alcuni dei suoi prodotti principali, a cominciare dalle olive e dall’olio per arrivare alla vitivinicoltura e all’ortofrutta,
che hanno esteso coltivazioni e consumi un po’ dappertutto in Italia, in Europa e nel mondo, dove il clima lo ha permesso
(l’ortofrutta in Val d’Adige, Romagna, provincia di Ferrara e Cuneo; l’olio d’oliva nelle vicinanze dei laghi prealpini; uva e vino sono
arrivati in Piemonte, Veneto, Friuli-Venezia Giulia ecc., oltre che in Francia, in Germania, in Ungheria ecc. e, oltre oceano, in Usa,
Cile, Argentina, Australia ecc.). Nell’area continentale europea, i prodotti mediterranei si sono affiancati a quelli di origine animale di
matrice celtica, che hanno continuato a prevalere.
La continuità nel tempo, di consumare gli stessi alimenti, divenuti con il tempo tradizionali, non è fatto straordinario in sé, visto che
poco più del 74% della popolazione mondiale li preferisce, nonostante la maggiore aggressività dei prodotti standardizzati, che non
sono riusciti però ad andare oltre il Nuovo Mondo e l’Europa centro-settentrionale e, più tardi, il Giappone. Questi Paesi, quando ne
sono stati coinvolti, lo sono stati per modeste entità, comunque sempre in misura marginale, per non più del 10-15% (crackers,
patate fritte, hamburger, Coca cola, popcorn, salse varie ecc.) per circa un miliardo di consumatori equivalenti su 6,4, con qualche
maggiore difficoltà, apparsa nei tempi recenti. L’Ue, dopo Maastrich, si è inserita nella politica alimentate, avendo riscontrato
l’aumento progressivo dei rischi alimentari per i consumatori europei, dando origine alla European Food Safety Agency di Parma e
alla tutela della qualità degli alimenti più meritevoli. Di questi la Calabria ne possiede 9 a denominazione d’origine protetta (Dop), e
1 con Indicazione geografica protetta (Igp), che sono i seguenti:
-
Caciocavallo Silano Dop;
Capocollo di Calabria Dop;
Pancetta di Calabria Dop;
Salsiccia di Calabria Dop;
Soppressata di Calabria Dop;
Olio extravergine di oliva Alto Crotonese Dop;
Olio extravergine di oliva Bruzio Dop;
Olio extravergne di oliva Lamezia Dop;
Clementine di Calabria Igp;
Bergamotto di Calabria Dop.
Le ricerche della Società Geografica Italiana
L’argomento riguarda l’evoluzione dei sistemi agricoli italiani dal 1961 al 1990, sulla base dei relativi censimenti. Nel caso della
Calabria, l’Autore, Domenico Trischitta, è arrivato a concludere le ricerche, affermando, giustamente, che la regione “si ritrova
nell’Europa del 1993 con un’agricoltura povera che ha bisogno di una ristrutturazione radicale negli indirizzi produttivi e nelle formule
giuridiche di possesso fondiario”. Non poteva essere altrimenti, considerando che il gruppo di studio” Progetto Ricerca Aree Agricole
“(P. R. A. A.) aveva preso in esame, né poteva fare altrimenti, i tradizionali schemi agricoli che, alla luce dei recenti avvenimenti, si
sono rivelati insufficienti ad avanzare qualsivoglia ipotesi di lavoro a seguito del cambio degli obiettivi alimentari dell’umanità e della
recente comparsa del turismo internazionale, che superando le varie categorie industriali, è diventato da pochi anni la più importante
attività del mondo per reddito e occupazione.
Poiché è utile riuscire a cogliere i motivi che non hanno permesso alla Calabria di raggiungere, in passato, il maggiore benessere
rispetto alle altre regioni italiane, con la presente introduzione, abbiamo cercato di evidenziarne i motivi del successo e, in seguito, le
cause del declino e del perpetuarsi dell’arretratezza regionale nel tempo, prima di avanzare qualche proposta che riesca a rimuovere
il blocco storico e a rimettere in movimento il processo evolutivo della regione, in armonia con i contesti nazionale e mondiale.
Gli studi della Società Geografica Italiana, sottoponendo ad attenta analisi i sistemi agricoli della Calabria hanno sottolineato la
sostanziale staticità dell’attività primaria regionale, ricordando che le innovazioni si sono verificate negli anni Sessanta e Settanta, in
pieno “miracolo economico”, quando l’esodo dalle campagne è stato più forte. Le unità produttive sono spesso piccole e piccolissime,
tipiche di un’agricoltura di sussistenza, presenti in ognuna delle cinque province della regione con un’unica eccezione, nell’area del
latifondo crotonese. Vengono, quindi, illustrati i caratteri economici e sociali dell’agricoltura nel suo complesso, evidenziandone la
lenta evoluzione dal 1961 al 1990, sulla base delle rilevazioni dei censimenti.
L’estensore del rapporto finale, Domenico Trischitta, non poteva concludere le ricerche che affermando correttamente che la regione
“si ritrova nell’Europa del 1993 con un’agricoltura povera che ha bisogno di una ristrutturazione radicale negli indirizzi produttivi e
nelle formule giuridiche di possesso fondiario”. Ebbene noi riteniamo che questa occasione possa essere arrivata puntuale, quando,
nei tempi recenti, si sono abbattute sul mondo le pesanti ripercussioni di due gravi crisi mondiali, arrivate dalle lontane Americhe,
senza che fossero annunciate, quella economica e quella finanziaria. A seguito della catastrofe conseguente, le Autorità politiche
regionali e gli Amministratori locali devono sentirsi sollecitati ad approfittare della costruzione del ponte sullo stretto di Messina e del
potenziamento della relativa viabilità autostradale, per fare riprendere il cammino allo sviluppo regionale, che era stato interrotto da
tempo, cominciando da una profonda riorganizzazione dell’agricoltura e degli allevamenti, finalizzandoli al turismo nelle sue varie
forme, che non potrà non aumentare progressivamente, man mano che crescerà la ricettività alberghiera specifica e miglioreranno
infrastrutture e servizi.
Introducendo le ricerche della Società Geografica Italiana, abbiamo preso atto della superficie delle aziende agricole che è di ha
1.221.000, pari al 90% della superficia agraria e forestale e al 50% della superficie coltivata , con il valore minimo del 35,8%, in
provincia di Cosenza, e il massimo del 58% a Catanzaro (il coefficiente di boscosità è del 40,6%). Se ne ricava una superficie media
per azienda di ha 5,50, di cui solo la metà è coltivata e la restante è forestale o incolta, con diffuse frammentazione e dispersione.
Se ne ottiene una superficie coltivata per azienda inferiore a ha 3, senza la possibilità di piena occupazione della famiglia del
coltivatore e senza raggiungere un reddito comparabile, a meno che la superficie non sia coltivata più volte a ortaggi, nei fondivalle,
vicini ai centri urbani, con il ricorso al mercato diretto, da poco tempo riesumato in California e rapidamente riproposto in tutto il
mondo (farmer market). La valutazione complessiva riporta l’osservatore a una situazione regionale tra le più compromesse dalla
qualità del sistema agricolo che ci riconduce a “un’agricoltura che sfrutta soltanto una parte delle proprie potenzialità e pertanto non
risulta sufficientemente competitiva in ambito nazionale”, nel momento in cui dalla compettitività dei prodotti alimentari dipende il
successo dell’economia.
Nella provincia di Cosenza, l’agricoltura ha assunto il doppio indirizzo di un sistema di tipo mediterraneo alle altitudini medio-basse e
di un secondo conservativo dell’ambiente, in montagna, dove il bosco la fa da padrone. Diminuendo l’altitudine, il paesaggio agrario
di collina e pianura è occupato da seminativo e colture arboree, compreso l’olivo. In provincia, segnatamente nell’hinterland di
Cetraro, si coltiva il Cedro di Calabria, detto anche Cedrone per la dimensione dei suoi frutti. Diverso dal precedente è il sistema, in
provincia di Catanzaro – allora le province calabresi erano solamente tre –, per la quota coltivata, che raggiunge il 58,02% (81,26%,
in pianura e 63,26%, in collina), e per l’intensità colturale, per la concentrazione delle aziende e, infine, per le aziende medio grandi
che costituiscono il sostegno dell’agricoltura provinciale. Negli spazi, che sono dominati dalla morfologia tormentata, le aziende
prevalenti hanno una dimensione media che viene destinata a seminativi e erborati. Anche, nella piana lametina, una volta paludosa
e redenta con cerealicoltura, bieticoltura e pascolo bufalino, non ci sono stati effetti particolarmente utili, nonostante fosse stata
utilizzata, come potenziale laboratorio per colture di pregio ad alto rendimento.
Reggio Calabria è la provincia del Bergamotto e dell’unica grande pianura della regione, Gioia Tauro, ed è marittima in quanto
valorizza gli spazi litoranei con la coltivazione di agrumi, di oliveti, intervallati dagli orti e dai vigneti e con la presenza di una
superficie forestale a bassa altitudine. In generale, nell’agricoltura reggina sono più importanti che nelle altre province le
microaziende, specialmente per le coltivazioni mediterranee a bassa altitudine. Concludendo l’analisi, gli estensori del rapporto sulle
ricerche hanno voluto precisare, con molta chiarezza, l’esistenza dello scollamento, in regione, tra realtà produttiva e azione politica,
chiarendo che sono numerosi gli errori che si stanno commettendo e che questi ”oscureranno le prospettive di crescita
dell’agricoltura calabrese”. Se, successivamente, si sono verificate delle occasioni straordinarie, non possiamo, per questo, non
essere d’accordo con le osservazioni fatte, riconoscendo che, senza il contributo attivo e serio delle popolazioni, anche le occasioni
straordinarie non servono.
La produzione dell’agricoltura
Le produzioni del settore primario rispecchiano lo stato di profonda debolezza dell’attività che proviene dalle preminenti esigenze
sussistenziali delle famiglie agricole, dall’assenza di organizzazioni che tutelino i produttori, specie quando gestiscono piccole e
piccolissime imprese, e, infine, dalla concorrenza commerciale di altri territori più e meglio organizzati. Anche l’isolamento del
territorio fa sentire il suo peso, quando non permette ai piccoli produttori di potere contare su possibili integrazioni di lavoro, sulla
partecipazione ad attività più e meglio remunerate, su una più ampia esperienza ecc.; è tale lo stato di debolezza contrattuale dei
produttori da avere provocato forti cadute di prezzo, nonostante la qualità dei prodotti.
La prima produzione è quella spontanea, che si va a raccogliere nel territorio che la natura mediterranea ha infittito di specie
vegetali, frutto della biodiversità e del rigoglio mediterraneo, che si esprime specialmente nelle terre alte dove i microclimi
abbondano; è lì che vegetano spontanei il Tarassaco, il Lampascione, il Rafano, l’Asparago selvatico, il Finocchietto, l’Origano ecc.; è
una flora selvatica, che viene raccolta soprattutto in primavera, quando gli orti non sono ancora in produzione, e svolgono, come
avviene tuttora, una funzione importante, come risorsa vitale delle famiglie, sempre a fini di sussistenza. Tutto questo ricco e vario
patrimonio di essenze vegetali, che ritroviamo puntualmente nella “Dieta mediterranea”, non è destinato a sparire, anzi dovrà essere
rivalutato, presentadolo anche sulla tavola dei turisti, a testimonianza della cultura alimentare di queste terre, così diverse da tutte
le altre.
La produzione agricola della regione è di buona e ottima qualità e molto varia ed è destinata, per la maggiore parte, alla sussistenza
delle famiglie rurali e, in parte, alla popolazione urbana. Tra i prodotti alimentari dell’agricoltura storica che, in Calabria, sono
abbondantemente integrati dalla raccolta di vegetali spontanei e dalla cattura di animali selvatici e pesci, di cui è ricco il territorio,
spiccano i cereali, con il grano duro in testa, e i legumi, a cui vanno aggiunti alcuni ortaggi arrivati dalle Americhe che hanno trovato
grande fortuna in Calabria, come il peperoncino, il pomodoro e la patata e alcuni frutti di piante arboree, e gli agrumi, come arance,
clementine e mandarini, oltre al Bergamotto e al Cedro, che sono le punte di diamante dell’agricoltura locale, non tanto per l’entità
della produzione, quanto per la loro presenza, in Calabria, che è esclusiva. Quanto al peperoncino, è arrivato nel XVI secolo, come
condimento e conservante delle carni suine, diventando ben presto un emblema della regione, con usi terapeutici e connotazioni
simboliche, spesso anche oltre i confini della regione. Le coltivazioni vegetali si concludono con la vitivinicoltura, la cui attività sta
ottenendo, con un’ottima qualità, successo crescente, con l’olivicoltura, di cui tre oli Dop sono già affermati, ma passibili di ulteriori
progressi, con il florovivaismo che è particolarmente sviluppato e dinamico nella piana di Sibari, ma in fase di flessione dagli anni
Novanta e, infine, con la selvicoltura che, con un indice di boscosità del 40,6%, è una delle più estese nel Mezzogiorno d’Italia (con
ha 612.931 i boschi della Calabria sono secondi, nel Mezzogiorno d’Italia, solo a quelli della Sardegna: ha 1.213.250 d’Italia).
La produzione delle coltivazioni erbacee è quella più povera, ma, dovendo supplire alla carenza di prodotti di origine animale, ha
puntato specialmente sulle leguminose, fave, fagioli, ceci e altre, che, in zona costituiscono la carne dei poveri. Tra le colture
arboree, oltre al Bergamotto e al Cedro, esclusivi del territorio, vanno segnalati, in ordine d’importanza, le clementine, i fichi freschi,
gli aranci, i mandarini, le olive da tavola ecc. Altre produzioni vegetali provengono dal florovivaismo, dalla selvicoltura e da altre
coltivazioni.Un riferimento particolare merita la produzione biologica italiana che, anche nel 2006, si è confermata leader in Europa
con 1,1 milioni di ettari (+ 7,5% nel 2006 rispetto all’anno precedente) e al quinto posto nel mondo dopo Australia, Cina, Argentina
e Usa. In questa realtà, non può meravigliare scoprire che la Calabria si trova al secondo posto, con 6.566 aziende di produzione e
165 aziende di trasformazione, dopo la Sicilia ( 7.512 aziende di produzione e 467 aziende di trasformazione).
Tra le produzioni di origine animale che, in Calabria, sono ragguardevoli, grazie all’abbondante foraggicoltura della montagna e della
collina, dobbiamo distinguere l’allevamento intensivo, diffuso nelle poche pianure, dall’allevamento tradizionale estensivo di collina e
montagna che interessa gran parte dell’attività (95,7%). Tra i due ultimi censimenti, il patrimonio di animali allevati ha subito una
falcidia da cui non si è salvata nessuna specie. Gli animali che hanno subito le maggiori perdite, in ordine d’importanza sono: Caprini
(-52,10%), Equini (-51,20%), Bovini (-50,50%), Ovini (-41,50%), Suini (-28,50%), Avicoli (-18,10%). La forte flessione del
patrimonio animale allevato è molto preoccupante, perché sta riducendo drasticamente una delle produzioni tradizionali,
aumentando lo stato di dipendenza della regione dall’estero. Per fortuna, la riorganizzazione dell’agricoltura regionale, a seguito della
costruzione del ponte sullo stretto i Messina, permetterà di frenare le perdite, grazie a un assetto dell’economia del tutto nuovo.
Un nuovo modello di sviluppo
“Spazio e Dieta mediterranei” sono due dei concetti su cui ha agito inizialmente l’istinto dell’uomo di queste terre, per impostare,
quando non c’era ancora la cultura, la propria esistenza biologica individuale e di gruppo, dando origine a nuovi valori che, in
seguito, sono stati rispettati in Calabria, non sempre altrove. I maggiori scostamenti dalla prassi mediterranea si sono verificati
molto tempo dopo, nel Nuovo Mondo e nell’ultimo mezzo secolo, arrivando a sfociare, dopo tanti sforzi per fare profitto, nelle due
crisi attuali, quella economica e quella finanziaria che, a breve distanza tra loro, hanno rischiato di mettere in ginocchio il mondo
intero e stanno demolendo gli artifizi economici con cui gli Usa erano riusciti a raggiungere la leadership mondiale. Le terre
mediterranee, invece, specialmente quelle dell’angolo sud-est del bacino, sono sempre rimaste coerenti con la loro origine, anche
quando la cultura ha preso il sopravvento sull’istinto. Così, mentre il modello delle macroaziende, le multinazionali del Nuovo Mondo,
si è trovato improvvisamente di fronte a una domanda che non cresceva più con i ritmi del passato, ha dato forfait, l’economia del
modello della tradizione mediterranea non ha fatto una piega, anche se dovrà subirne le conseguenze, senza avere responsabilità, i
contraccolpi finanziari, a seguito dei rapporti con gli Usa e della globalizzazione.
L’agricoltura e l’economia della Calabria, in genere, oggi si sono trovate di fronte, per la prima volta dopo molti secoli, a prospettive
di raggio globale del tutto nuove, la cui portata è di grande rilievo. Nell’introdurre le ricerche sui sistemi agricoli della regione, svolte
dalla Società Geografica Italiana, non abbiamo potuto esimerci dal prendere atto del nuovo contesto mondiale, europeo e nazionale
che sta per concludersi con interventi annunciati poco dopo che sono state pubblicate, la cui influenza sarà determinante, come
abbiamo previsto in questo studio, sull’assetto futuro di Campania e Sicilia. In conseguenza delle innovazioni regionali e, a seguito
della costruzione del ponte più volte citato, la popolazione della Calabria, che è di poco più di due milioni di abitanti, approfittando
degli investimenti anticrisi nazionali, potrà farsi carico di un rapido e consistente recupero di modernità con un balzo in avanti
dell’economia locale, grazie alla tradizione, che è ancora presente e vivace; sono altri, gli abitanti del Nuovo Mondo, quelli che
avevano optato per altri modelli esistenziali, a dovere rientrare nella tradizione. I nuovi provvedimenti, anche se non provengono da
sollecitazioni endogene, sono destinati ugualmente ad incidere sui futuri assetti economici dei territori, sulle metodologie di sviluppo
e sulle attività della gente.
La società globale, dopo alcuni decenni di contrasti e di vicissitudini spesso contradditorie, nell’ultimo mezzo secolo, è caduta in una
serie di grossi inconvenienti, a carico dell’economia e della finanza mondiali, che stanno sconvolgendo i precedenti equilibri
territoriali, settoriali e aziendali e cambiando le prassi che l’uomo aveva preteso di innovare ad ogni costo, anche quando
immettevano nella precarietà e nell’incertezza. Sono tutti cambiamenti che, nel caso della Calabria, non potranno che avere dei
ritorni positivi, come dimostra la decisione di anticipare la costruzione del ponte sullo stretto di Messina, opera di grande complessità
e di prospettive straordinarie per la regione, destinata a fare scalpore, quando sarà completata con il potenziamento della viabilità
autostradale che lo collegherà alla Sicilia e al golfo di Napoli. Per queste opere sono già aperti i cantieri, ma occorreranno circa due
lustri per completarle. Sono enormi investimenti, che la regione non avrebbe mai potuto sostenere in proprio, ma che, una volta
assunti dallo Stano, non potranno non scaricare effetti utili sull’intero territorio calabrese, innanzitutto con l’abbattimento del suo
atavico isolamento e con l’apporto di lavoro e, in secondo luogo, con l’espansione dell’economia di servizio al passaggio e, infine,
approfittando del nuovo flusso di uomini e merci, con lo sviluppo del turismo in tutte le sue forme.
Con questa nuova impostazione, l’agricoltura della Calabria non sarà più la stessa, come non lo sarà neppure il sistema alimentare
né l’assetto dell’economia generale, senza, per questo dovere ripudiare nulla della propria storia e della propria cultura, ma
integrandole con quelle attività che l’isolamento non aveva permesso di anticipare, il turismo in testa. Eliminato l’handicap
dell’isolamento, che era l’ostacolo da abbattere, verranno ripristinati gli storici rapporti esterni con la Sicilia e con il golfo di Napoli e
con il resto della Penisola, dando la stura a una grande circoscrizione territoriale di grande visibilità, tra le più attrattive del mondo.
Dal nuovo flusso di uomini e merci, che transiterà per la costa tirrenica, non potrà non svilupparsi l’attività turistica della Calabria in
tutte le forme possibili e immaginabili che, fra l’altro, è anche congeniale con le risorse della regione. La suscettività delle prossime
variazioni di scenario è tanto importante per la Calabria da potersi tramutare in quella grande occasione che la regione attendeva da
tempo e che le potrà permettere di emanciparsi dalla schiavitù della marginalità agricola ed economica, a cui era stata condannata
da più di duemila anni di isolamento.
Terza rivoluzione almentare e crisi finanziaria
La prima crisi mondiale, quella economica, è stata provocata, a fine millennio, dal blocco della domanda alimentare a causa della
caduta dell’aumento demografico e, in attesa della prevista regressione che gli studi statistici hanno annunciato per la metà del
secolo. Ebbene, la stagnazione dei consumi, apparsa all’inizio del terzo millennio, anche se è da considerare fisiologica, come ha
mostrato il prof. Louis Malassis nel grafico 1, riportato all’inizio del testo, è destinata, in futuro, ad accrescere la concorrenza in base
alla qualità. Il cambiamento, che è epocale, non potrà non portarsi dietro una serie di difficoltà per i Paesi, come gli Usa e il
Giappone che, per volere aumentare i profitti, hanno scelto le economie di scala e i prodotti standard, a scapito della qualità, mentre
i Paesi e le regioni più tradizionalisti, come l’Italia e la Calabria, non hanno mai modificato le proprie abitudini alimentari, per cui si
ritrovano alimenti di alta qualità che oggi sono i più ambiti. Quindi, le prospettive, aperte da questa terza rivoluzione alimentare,
sembrano fatte apposta per privilegiare indirettamente la Calabria e i suoi alimenti attraverso gi investimenti di grande utilità che il
governo si appresta a fare tra Calabria e Sicilia, per abbattere lo stato di isolamento della prima regione e a ricostituire l’area più
significativa dell’antica Magna Grecia; i benefici attesi sono condizionati però dalla partecipazione attiva delle Autorità, degli
Amministratori e della popolazione locali; senza il loro impegno le risorse non bastano a risolvere i problemi.
Se la crisi economica può essere considerata fisiologica – in realtà, non la è, perché, di fatto, corregge l’eccessivo aumento
demografico che l’uomo ha voluto per aumentare il profitto – la seconda è frutto di banali errori politici, a partire dalla formula della
“finanza creativa” che non poteva stare in piedi, come poi non c’è stata. È tutt’altro che fisiologico, infatti, lo sconvolgimento
provocato, nel mondo, dalla successiva crisi che è stata annunciata dagli espedienti che si sono conclusi poi con la bolla immobiliare
che ha coinvolto, in breve tempo, la popolazione dell’intero pianeta, mettendo in crisi profonda i maggiori colossi finanziari del
mondo, con effetti devastanti. In presenza di un tale contesto, che ha messo in allarme l’umanità intera, la Calabria non può
comportarsi come se nulla fosse, anche perché, dovendo reimpostare la propria agricoltura, in vista del suo futuro turistico, ha
bisogno di fare numerosi e rilevanti investimenti, con particolare riguardo per aumentare la ricettività alberghiera per il turismo
internazionale (catene di grandi alberghi) e migliorare infrastrutture e servizi. La Calabria non può trascurare l’occasione che il
riassetto mondiale sta offrendo al suo territorio. In conseguenza di questi accadimenti, ci siamo sentiti in dovere di aggiornare il
contesto dell’agricoltura regionale, coinvolgendo anche le altre componenti dello sviluppo, per il peso che potranno esercitare sul
nuovo assetto della regione, per aumentare il benessere della popolazione. Alla base di tutto ciò, sta il convincimento che quanto sta
accadendo nel mondo possa costituire direttamente e indirettamente un’occasione straordinaria per sollevare l’economia della
Calabria, sapendo che non basta lo sviluppo di un solo settore ad assicurare il benessere di un territorio.
La svolta
Con il “miracolo economico”, sono sorte gravi difficoltà per le aziende agricole di montagna e di alta collina, che non potevano essere
competitive con quelle della pianura. Non potendo reagire, anche per mancanza di contributi ad hoc, la popolazione agricola ha
imboccato la strada dell’esodo agricolo e all’esodo rurale, riducendo al lumicino le antiche produzioni. Nel particolare caso della
Calabria, il fenomeno è stato più contenuto per la mancanza di alternative interne, come è avvenuto spesso anche nell’arco alpino e
nell’Appennino settentrionale. Attualmente, con il passaggio dagli obiettivi quantitativi alla qualità della vita, la gente torna a
riflettere sull’argomento e guarda con maggiore attenzione all’ampiezza degli spazi delle aree marginali per il tempo libero, la
salubrità dell’aria, l’amenità dei paesaggi, le testimonianze di cultura e tradizione, le espressioni geografiche, il patrimonio preistorico
e storico, la cui entità, in Calabria, richiama l’attenzione e l’interesse a seguito dei cambiamenti, verificatisi tra secondo e terzo
millennio.
Dopo due secoli, vissuti intensamente in un’unica direzione, le energie migliori della regione si sono allontanate dalla terra agricola,
alle volte anche dalla terra d’origine alla ricerca di occupazione nella Pianura Padana o oltre i confini nazionali, mentre oggi, gli stessi
uomini, ricordandosi della montagna di un tempo, possono riprovare a rimettere le cose a posto, con nuove attività e nuovi metodi,
per avvalersi di vecchie garanzie e nuove opportunità; queste ultime sono legate al tempo libero e, quindi, possono riguardare gli
sport, l’agriturismo, la produzione biologica, le attività ricreative, culturali, ambientali ecc., senza più le vecchie preoccupazioni per i
livelli di profitto. Le occasioni più importanti, capaci di provocare il ritorno, si trovano facilmente nell’ampia gamma dei possibili
obiettivi, che ognuno può liberamente scegliersi tra i più gratificanti per sé e per il tempo libero, avendo un occhio rivolto al
benessere, alla salute, alla longevità, alla sicurezza ecc. In effetti gli orientamenti più aggiornati e le prospettive più moderne stanno
rivolgendosi per lo più ai beni culturali che sono i testimoni che hanno maggiore valore di civiltà, se e quando si traducono in
emancipazione delle comunità e in arricchimento sociale dell’uomo che, oltre a rivalutare l’ambiente delle terre alte, promuove
attività nuove che il volontariato, diffuso un po’ ovunque, non mancherà di attivare.
Nel nostro ordinamento, l’Italia conferisce ai beni culturali la funzione precettiva, che è di natura sociale e culturale. La Calabria, che
oggi ha a portata di mano una svolta decisiva, per rilanciare la propria economia in termini moderni, aprendola alla cultura e al
sociale, può cominciare a preoccuparsi del cammino che dovrà intraprendere alla chiusura dei cantieri sullo stretto di Messina.
Dall’occasione che abbiamo iptizzato dovrebbe derivare:
-
la rottura dell’isolamento della regione con aumento del flusso dei turisti e delle merci, in attraversamento del territorio
regionale, a seguito del potenziamento della viabilità e della costruzione del ponte sullo stretto di Messina, di cui sono stati
già aperti i cantieri;
l’arrivo in regione di numerosi turisti;
nuovi modelli multifunzionali delle imprese agricole;
l’aggiornamento delle coltivazioni e degli allevamenti;
la riscoperta e la rivalutazione della cultura alimentare mediterranea attraverso la valorizzazione della “Dieta mediterranea”,
che è coerente con i nuovi orientamenti a favore della qualità alimentare e della qualità della vita;
le opportunità offerte da nuovi sostegni all’economia e al microcredito.
Questi sono i principali motivi che fanno ritenere possibile il rilancio dell’economia regionale, aprendo, nel terzo millennio, l’altopiano
dalle mille sfaccettature e dalle mille risorse, per lo più paesaggistico-ambientale, storico-culturali e alimentare-gastronomiche, a un
ventaglio di nuove prospettive che, facendo dell’agricoltura una serie di “valle degli orti” e di giardini, valorizza la biodiversità
mediterranea e, variando le materie prime alimentari, intensifica la produzione delle piccole imprese e aumenta i redditi. Questo
nuovo tipo di agricoltura, viene incontro alla ristorazione commerciale che, nella regione è bene rappresentata (3.373 ristoranti e
4.398 bar).
In Calabria, terra della “Dieta mediterranea”, la ristorazione trova nel turista una maggiore aspettativa rispetto ad altri luoghi per la
notorietà di diversi cibi locali, come la pitta, piatto antico (forse una stoviglia commestibile) che assomiglia alla pizza senza
formaggio, le numerose paste asciutte, preparate con semola e acqua con forme diverse, e le minestre, le zuppe della cultura
contadina dell’entroterra, come la licurdia, preparata con cipolle, patate e pane ecc. La cucina calabrese, in sostanza, ha sempre
coltivato, senza mai cambiarlo, il gusto della buona tavola con ingredienti semplici, ma autentici e legati a tradizioni secolari. La
motivazione gastronomica ha un peso piuttosto consistente nella scelta del luogo delle vacanze, per cui, dotando la cucina di cibi
tradizionali, distinti per valli, e abbellendo queste di siepi, aiuole e fiori, la regione può contare su una domanda di tutto rispetto.
La nuova occasione proviene dalla crisi alimentare mondiale che, anticipando d’un soffio quella finanziaria, ha messo in ginocchio i
Paesi più prosperi del mondo, prospettando una specie di ritorno alle origini con antichi obiettivi alimentari, da interpretare alla luce
dello sviluppo moderno della società degli uomini. Riteniamo che la prima delle due rivoluzioni, quella economica, possa costituire la
terza rivoluzione alimentare, non molto dissimile da quella agricola di dieci mila anni fa, che ha visto la Calabria protagonista in
Occidente, nel comparto che è il più importante della regione e, oltretutto, contribuisce più di ogni altro a trasmetterne all’estero
un’immagine positiva, e da quella industriale del XVIII secolo, che, invece, non ha interessato più di tanto il territorio regionale.
La crisi economica mondiale è stata provocata dal blocco della domanda alimentare a causa della riduzione dell’aumento demografico
mondiale e della prevista regressione che, in base agli studi demografici, dovrebbe iniziare verso la metà di questo secolo. Questa
inversione di tendenza, che è apparsa all’inizio del terzo millennio, è da considerare fisiologica, come ha mostrato il prof. Louis
Malassis con il grafico riportato. Tuttavia, il futuro contesto dell’economia agroalimentare aumenterà lo stato della concorrenza sulla
base dei nuovi obiettivi, che non saranno più quantitativi, ma qualitativi, riferiti cioè alla qualità della vita e alla qualità alimentare.
La nuova attenzione rivolta alla qualità alimentare non potrà non portarsi dietro una serie di difficoltà per i Paesi che hanno scelto le
macroaziende, le multinazionali, e i prodotti standard, mentre andrà a vantaggio dei Paesi e delle regioni più tradizionalisti, come
l’Italia e la Calabria. Inoltre ne beneficeranno, in misura maggiore, i Paesi più ricchi di storia e di cultura alimentari.
Le prospettive aperte da questa terza rivoluzione alimentare e i previsti investimenti, quindi, sembrano fatti apposta per privilegiare
la Calabria, anche se i benefici citati sono condizionati dalle iniziative che assumerà la popolazione locale.
In conseguenza di queste circostanze, ci siamo sentiti in dovere di coinvolgere tutte le componenti dello sviluppo, non solo quella
agro-alimentare, per il peso che saranno chiamate a esercitare sulla futura evoluzione del territorio regionale. Alla base di queste
considerazioni, vi è il convincimento che quanto è accaduto nel mondo possa costituire direttamente o indirettamente un’occasione
straordinaria per la Calabria, per i cambiamenti di scenario che non potranno non sollecitare gli abitanti a rivedere le scelte del
passato, alla luce della nuova situazione, ricordando che il benessere di una popolazione non può arrivare dal solo settore primario,
anche quando fosse particolarmente attivo.
Con le crisi attuali stiamo assistendo a una flessione generalizzata dei consumi, che non ha intaccato però quelli culturali, che
vengono indicati come il modo dell’uomo di emanciparsi dal consumismo più spinto, sulle cui sponde era approdato, negli ultimi
lustri, con il diffondersi delle mode, divenute simbolo di prestigio personale; per reazione, oggi l’uomo ha finito con l’optare per l’arte
di arrangiarsi, evitando di ricorrere per le proprie esigenze, per quanto possibile, ad operatori esterni alla famiglia. Con il nuovo
recupero, sono tornati in auge, anche il desiderio di sapere e il gusto di agire per il meglio, ritrovando i valori della cultura, dell’arte,
dei libri, dei musei ecc.
Nella storia della Calabria, le vicende dell’agricoltura e degli allevamenti hanno assunto fin dall’inizio, com’è naturale, un ruolo
sussistenziale, che è mutato solo nel tempo delle colonie greche, quando sono cessate le esportazioni alimentari verso la
madrepatria che procuravano abbondanti ritorni di ricchezza. Queste alte produzioni cerealicole provenivano dal granaio della
Calabria, posto nelle basse colline plioceniche, dette “il collepiano di Crotone”, dove il grano e altri cereali minori trovavano e trovano
l’habitat e la produttività migliori. La cerealicoltura era solo una delle produzioni di queste terre perché, d’inverno, scendevano dalla
Sila i pastori con migliaia di pecore ad alimentarsi sulle terre a maggese e nei boschi addossati alle marine.
Al termine di questo periodo straordinario, l’unico di grandi successi economici e culturali nella storia della Calabria, l’agricoltura è
tornata alla sussistenza con l’unica eccezione dei territori occupati dal latifondo, dove, durante l’inverno, affluivano migliaia di
pecore, provenienti dalla Sila, ad alimentarsi sul maggese e nei boschi litoranei, dando origine alla transumanza di breve percorso
che gli uomini e gli animali praticavano, seguendo i ritmi delle stagioni. L’agricoltura, quando è povera, come i Calabria, non può
esimersi dallo spingersi anche in altre direzioni, fino a divenire, nell’attualità, multifunzionale che oggi è prassi normale, ma, in
futuro, potrà spingersi ancora più avanti in direzione del tempo libero e specialmente dell’agriturismo. Alla fine saranno i rapporti
complementari tra spazi urbani e periurbani, a costruire l’ambiente nuovo, fondato sull’integrazione economica e sulla tutela
dell’ambiente. Il legame tra territorio agricolo e risorse locali si è sempre tradotto nella migliore risposta possibile, quale simbolo di
realtà antiche, quasi mitiche, dominate da un’agricoltura istintiva che ha sempre risposto puntualmente alle esigenze delle famiglie.
Nel territorio della Calabria, la pianura, che non arriva al 10% della superficie della regione, si concentra nelle aree di Gioia Tauro, di
Lamezia Terme, in zona tirrenica, e di Sibari, sul versante adriatico. Più del 90% è territorio di montagna e di collina, dove i
mplteplici microambienti, tipica espressione della biodiversità mediterranea, sono la conseguenza della variabilità climatica, della
piovosità, in primis. Sulla scorta di questi dati, lo studio ha evidenziato l’importanza del fattore altimetrico e climatico che incidono
sulla produttività, provocando il più delle volte fenomeni di marginalità diffusa.
L’agricoltura della Calabria è congeniale con la posizione che occupa nel Mediterraneo e con l’orografia interna, che è dominante e
che assimilano la regione a un grande parco naturale di straordinaria bellezza che avrebbe bisogno di maggiori cure di quelle che
riceve.
PARTE TERZA: AGRICOLTURA, ALIMENTAZIONE E TURISMO
Una nuova ipotesi di lavoro
L’espanione del turismo internazionale è stata la grande novità dell’ultima metà del secolo scorso, con l’entrata di nuovi Paesi e con
una nuova domanda che è sempre più individuale, come lo era stata in passato, per il desiderio di avere più esperienze in un unico
viaggio. L’attività è diventata oggi e dappertutto, un’occasione di sviluppo economico, come potrà succedere anche in Calabria.
La collocazione strategica dell’agricoltura della Calabria, nel centro dell’angolo sud-est del bacino del Mediterraneo e ultima
propaggine, a sud, della Penisola italica, è la più idonea a farne il centro di un itinerario ideale che unisca il golfo di Napoli alla più
grande delle isole del Mediterraneo. Collegandosi a queste due regioni, che hanno, alla pari della Calabria, importanti e suggestivi
presupposti storico-culturali dai tempi della Magna Grecia e vasti orizzonti paesaggistici, dove i monti si mescolano ai mari,
rallegrando l’esistenza dell’uomo, la regione dovrà vedersela con i loro livelli più avanzati, sapendo però che le prospettive non
possono che migliorare per tutti, sempre che i Calabresi si diano da fare in questa direzione. Si prospetta così una nuova vita e una
nuova economia, all’interno di una grande circoscrizione territoriale, con ottima visibilità mondiale e con offerte turistiche di vario
tipo, tutte ad alto e altissimo livello, a cui non può mancare il successo, in parte già presente; sono le uniche regioni in grado di
mostrare e illustrare vicende storiche che hanno emancipato le popolazioni dell’Occidente, attraverso le testimonianze dei tempi
andati, quando, nella protostoria queste regioni rientravano nei territori più ricchi e colti del mondo, a cui è spettato il compito di
mettere a punto i sistemi esistenziali che ancora oggi regolano la condotta degli uomini e delle comunità.
Trattandosi di terre mediterranee, dove la forza della vegetazione esalta la natura, il paesaggio assume un ruolo di primo piano, a
cui non potrà rinunciare, in linea con una nuova sensibilità mondiale per l’ambiente che sta superando finalmente le tattiche dilatorie
e l’ostruzionismo di Bush; è solo il caso di ricordare che, nel nuovo scenario mondiale, nonostante l‘emergere di Paesi
particolarmente dotati, come Cina e India, con cui l’America dovrà misurarsi, il presidente Obama non ha rinunciato a convocare il
“Forum per il clima e l’energia”.
Città e campagna del Mezzogiorno d’Italia comprendono, nel patrimonio genetico, una propensione quasi istintiva per l’accoglienza e
l’ospitalità con idee e proposte in grado di offrire agli abitanti e agli ospiti momenti sereni in ambienti da favola.
Affrontare il tema del futuro economico e culturale con anni di anticipo sulla costruzione del ponte è un gesto insieme di coraggio e
di ottimismo, che sono ingredienti rari a tutte le latitudini. Nell’anno delle grandi crisi, la Calabria, anziché perdersi, potrebbe uscire
dal tunnel, compiendo, grazie agli investimenti del governo, il suo più importante passo, quando altri si dibattono in situazioni di
generale ripiegamento. Il nuovo territorio, che abbiamo ipotizzato, oggi ha tuttie le carte in regola per ricuperare, in futuro,
cominciando adesso, tramite il turismo internazionale, i successi del passato e andare anche oltre. Oggi, questo itinerario ideale,
abolendo l’isolamento e migliorando la scorrevolezza con la costruzione del ponte sullo stretto di Messina, ha tutti i numeri, per
diventare il supporto di un’ampia e straordinaria area interregionale di alto valore storico-culturale e paesaggistico, sempre che i
Calabresi siano abbastanza lungimiranti da attrezzare città e campagna per risolvere una volta per tutte la loro “Questione
regionale”.
Calabria e turismo
In questa prospettiva, l’agricoltura, se verrà ristrutturata e riorganizzata in chiave multifunzionale, potrà, da un lato, superare la
marginalità interna, per accedere alle diverse attività del tempo libero di locali e ospiti e, dall’altro, partecipare attivamente, grazie
alle sue doti paesaggistiche, alla ripresa delle attività economiche. Per farlo, già si avvale del turismo interno e nell’agriturismo che,
in Calabria sono presenti da tempo. La maggiore parte del turismo interno utilizza le case private, per cui non è facile conoscerne
l’entità; in Italia, ci sono 16.765 (2006) aziende agrituristiche, di cui solo poco meno del 20% sono al sud; tra le tre regioni citate è
la sola Campania ad averle aumentate del 38%, nel 2006, rispetto al 2005, arrivando a 734, contro le 377 della Sicilia e le 320 della
Calabria. Queste aziende possono essere molto utili, in attesa del ponte, per preparare la regione ai compiti che dovrà svolgere poco
dopo. per accogliere degnamente il turismo internazionale.
Sono numerosi i motivi che dovrebbero sollecitare l’agricoltura a muoversi per tempo in questa direzione, adattandosi alle future
attività turistiche del territorio. Siamo convinti, infatti, che, in un Paese moderno, l’unico modo di emancipare la montagna sia
predisporre l’uso dei suoi ampi spazi per le attività del tempo libero che, oltretutto, va incontro alla trasformazione, in chiave
multifunzionale, delle aziende agricole.
In questa ipotesi di lavoro, questa importante area dell’antica Magna Grecia farebbe riemergere le tracce di quello che è stato il
periodo più glorioso di queste terre; sono prerogative che fanno rientrare, a pieno titolo, il territorio regionale nella culla della civiltà
occidentale, facendo riemergere il ruolo magistrale esercitato dalla Calabria in campo alimentare, come ha riconosciuto Ancel Keys,
quando ha scoperto i pregi della “Dieta mediterranea” di cui fa fede, già nel V secolo a.C., la superiorità del gusto locale, l’abilità dei
cuochi e la dolce vita dei Sibariti, che hanno insegnato ai Romani prima e all’Occidente poi, come stare a tavola, come scegliere e
gustare i cibi, guadagnando in salute, dando vita alla convivialità mediterranea. L’interesse per questi argomenti oggi si va
ampliando all’intero bacino del Mediterraneo, che si sta dando tanto da fare per organizzarsi, come ha tentato di fare di recente la
Spagna, proponendo di fare entrare la “Dieta mediterranea” nel patrimonio dell’umanità dell’Unesco o come sta facendo il
“Conservatoire International des Cusines Medditeanéennes” di Marsiglia. In campo alimentare è la Calabria ad avere il diritto di
rivendicare il suo ruolo storico, magari insieme a Campania e Sicilia, che ha fatto nascere e ha consolidato la “Dieta mediterranea”
che storicamente riguarda solo alcune regioni dell’Italia meridionale.
Figura 1= Conservatoire international des cuisines mediterranéennes (negli ovali l’indicazione dei Paesi aderenti)
Dobbiamo ammettere che, nell’età moderna, le conquiste culturali del passato non hanno ancora trovato, in Italia, il modo di
esprimersi compiutamente, nonostante che i tempi per farlo siano maturi e non manchi la domanda. Oggi la Calabria ha davanti a sé
l’occasione di farsi parte diligente di un nuovo modo di fare cultura con il turismo storico-culturale, coinvolgendo, in un moderno
disegno di sviluppo sotteso alla “Dieta mediterranea”, anche Sicilia e Campania.
Nuovi obiettivi e contesto
Un sistema di offerta turistica è costituito da un insieme di attrattive che, in regione, sono abbondanti e di prestigio, ma anche di
servizi; se le prime sono tali da convincere il turista alla visita, non può mancare poi chi lo motivi a rimanere e visitare il territorio,
contribuendo a sostenere l’economia locale. I servizi primari, che sono ospitalità, ristorazione e trasporti, mostrano, in regione,
evidenti carenze alberghiere, non tanto per l’assenza, quanto per il mancato adeguamento al turismo internazionale che ha bisogno
di catene di grandi alberghi, come si trovano solo in alcune località attrezzate (Gambarie d’Aspromonte, Camigliatello Silano ecc.). I
tour operator, la cui importanza non si può discutere, in regione sono 202, pari all’1,9% del totale nazionale con 508 addetti.
Il primo e più ambizioso obiettivo, che aspettiamo di vedere realizzato in Calabria, riguarda la rottura dell’atavico isolamento della
regione che dovrebbe provenire dalla costruzione del ponte sullo stretto di Messina e dal potenziamento della viabilità autostradale
tirrenica del sud, da cui la popolazione regionale può aspettarsi un consistente flusso di turisti e di merci e un nuovo assetto del
territorio, disponibile a occuparsi dei servizi al nuovo traffico e dell’accoglienza degli ospiti, ricevendone in cambio un più alto grado
di benessere in senso lato. Il turismo non è una novità in Calabria; anzi, negli ultimi tempi, la partecipazione di questa attività
all’economia della regione si è rafforzata significativamente.
Il secondo obiettivo riguarda la capacità della regione di farsi carico delle incombenze che il nuovo corso dell’economia contempla.
Fanno parte di questi compiti, che sono determinanti per il successo dell’operazione, la ricettività alberghiera dei luoghi più
significativi e il miglioramento delle infrastrutture e dei servizi. Il terzo obiettivo riguarda l’agricoltura, l’alimentazione e le relative
evoluzioni; le abitudini alimentari locali, che pure sono importanti, ma anche gli aspetti antropologici, salutistici ed economico-sociali
che sono temi interdisciplinari che coinvolgono diverse materie scientifiche e umanistiche, ponendo ai consumatori il problema della
sicurezza, da intendere in senso lato.
Il quarto obiettivo riguarda la “Dieta mediterranea” che è espressione di equilibrio nutrizionale, in quanto si avvale di alimenti salubri
per tutti, opportunità che, nel mondo, si presenta in misura diversa da Paese a Paese e da regione a regione. Nell’area mediterranea
e nei Paesi più tradizionalisti, l’immagine del mosaico alimentare territoriale è rimasta viva, attiva e ricca di tante piccole tessere che
danno origine alla formulazione del costume alimentare. che è sempre lo stesso, anche quando cambiano i singoli alimenti. È la
biodiversità. Nel corso degli ultimi decenni, le nuove conoscenze scientifiche e i frequenti scandali alimentari hanno sollevato, da un
lato, la preoccupazione per gli alimenti che vengono consumati e, dall’altro, ha introdotto la maggiore cura da dedicare al corpo.
Ormai è diventata comune a tutti la convinzione, per la quale la nutrizione condiziona lo stato di salute dell’uomo; la nuova
attenzione è stata provocata, oltre che dalla preoccupazione per la frequenza degli scandali alimentari, dalla diffusione delle malattie
da benessere e da cattiva nutrizione e dal crescere della frequenza delle patologie cardiocircolatorie, ictus, diabete e di altre malattie
metaboliche, che oggi dilagano nelle società a economia avanzata. Anche l’aumento delle conoscenze, provenienti dalla ricerca
medica, ha fatto la sua parte, identificando i fattori sociali, economici e culturali a cui spetta in parte la responsabilità per il grado di
salubrità degli alimenti, l’igiene dell’ambiente e la salute dell’uomo.
Il secondo millennio, concludendo i secoli impegnativi dell’agribusiness, ha iniziato a ridurre la forte spinta allo sviluppo industriale e
alla la caccia del profitto. Alla fine della corsa, infatti, quando ormai il pianeta terra aveva raggiunto un’eccessiva densità di uomini e
animali con grave pregiudizio per l’ambiente, l’umanità ha reagito alle utopie della modernità e alla volontà di potenza degli Stati,
che avevano portato uomo e ambiente al collasso. È stato l’ultimo mezzo secolo, infatti, ad avviare il processo di globalizzazione
dell’economia e della finanza, usando seduzione, fascino e incantesimi, senza riuscire però a concluderlo; è stato anche il tempo che
ha permesso alla mente dell’uomo di raggiungere spazi enormi, che gli hanno avvalso forme di delirio per le quali il tempo doveva
essere sempre impegnato a raggiungere nuovi profitti. Questo esagitato modo di vivere e di fare vivere, alla fine, ha convinto
l’umanità a reagire, a rivalutare la sobrietà del passato e a voltare pagina, voltandosi indietro a guardare senza nostalgia le ultime
sfide di un mezzo secolo che aveva preteso di andare oltre ogni limite naturale, rivoluzionando il mondo, in tempo reale.
Tra un’utopia e l’altra, al termine del millennio, l’umanità si è resa conto dell’esigenza di cambiare registro con il risultato, ormai
evidente per tutti, di imporre al mondo una svolta epocale che recuperi la biologia, l’etica e il sociale, senza cancellare il profitto,
come sta puntualmente avvenendo, in modo più drammatico del previsto. Comunque i sovvertimenti in corso, come avviene spesso
in questi casi, non vanno considerati solo in chiave negativa, perché, pur sollevando gravi problemi a carico dei Paesi che, come gli
Usa e il Giappone, avevano approfittato di più di altri, nei due secoli dell’agribusiness, per avvalersi delle economie di scala,
accelerando i tempi dell’ingrossamento aziendale e ampliando i mercati di sbocco con alimenti standard, hanno finito per
avvantaggiare altri Paesi e altri territori più tradizionalisti, come la Calabria, offrendo loro nuove opportunità.
Per potere segnare, in Calabria, il nuovo cammino da percorrere, ci siamo imposti di capire, anche e soprattutto in base alle ricerche
della Società Geografica Italiana, i motivi del perpetuarsi così a lungo dello stato di arretratezza, in una regione che, all’origine delle
vicende umane, era stata all’avanguardia, in Europa e nel mondo, e che, dopo breve tempo, è stata penalizzata dai cambiamenti di
scenario. Oggi, al presentarsi del terzo millennio, la congiuntura sta offrendo alla regione un’occasione straordinaria per recuperare i
successi di un tempo; è questa occasione ad averci fatto prospettare le azioni da compiere, una volta rimosso il blocco storico del
territorio, rimettendo in moto il processo evolutivo, in armonia con il contesto nazionale e internazionale.
Il turismo internazionale
Il successo delle ambiziose prospettive indicate dipende, in primo luogo dal turiso internazionale e, in secondo, dal turismo interno.
Senza questa precisazione, le considerazioni riportate non avrebbero molto senso, come non lo avrebbero se trascurassimo la
particolare congiuntura mondiale, nella quale le prospettive si stanno facendo precarie per molti. Il riferimento al turismo
internazionale, piuttosto che a quello interno, dipende dal moltiplicatore del Keynes, per il quale la disponibilità di capitali addizionali
consente di ottenere benefici superiori alla loro entità, fenomeno che non avviene con il turismo interno. Per fortuna, a livello
internazionale,il turismo è in continua espansione, in ogni parte del mondo, con una domanda che non guarda più soltanto alle
spiagge esotiche, ma si interessa anche e specialmente alla storia, all’arte e alla cultura. Questo forte sviluppo, negli ultimi decenni,
riguarda specialmente il turismo internazionale, che ha offerto nuove opportunità al Belpaese; oggi quest’attività si distingue da tutte
le altre, nel mondo, per avere raggiunto il primo posto in assoluto per reddito e occupazione, anche nel confronto con i vari comparti
industriali, e per avere raggiunto questi traguardi, a dir poco straordinari, in meno di mezzo secolo. L’Italia, che era ai vertici del
turismo mondiale quarant’anni fa, ha perso, nel frattempo, molto terreno e oggi si trova preceduta, nonostante le sue ricche risorse,
da Francia, Spagna, Usa e Cina a causa di un certo disinteresse della politica, della bassa e inadeguata ricettività, delle carenze
infrastrutturali e dei servizi.
Nei giorni scorsi è stata fissata una convenzione turistica tra Italia, Spagna e Francia per sviluppare insieme l’attività, specie quella
internazionale, di ognuno dei tre paesi, in modo analogo a quello che noi abbiamo proposto di fare con le tre regioni del Mezzogiorno
d’Italia. L’esordio del turismo internazionale risale al 1960 con 100 milioni di arrivi nel mondo che oggi sono saliti a circa nove cento
milioni, facendone l’attività top. La Calabria, nonostante la ricchezza di risorse, si colloca agli ultimi posti nella graduatoria nazionale
per il numero di presenze turistiche. Lo scarto esistente tra potenzialità e utilizzazione si spiega con la serie di insufficienze dovute ai
collegamenti stradali e ferroviari della regione, alla ricettività alberghiera, alle infrastrutture e ai servizi. Anche le Sovrintendenze dei
beni culturali, impegnate a conservare i reperti archeologici, spesso dimenticano la loro importanza a fini economici. Anche i parchi
naturali, che sono di grande rilevanza ambientale, rimangono soltanto delle oasi potette per mancanza di un’organizzazione che ne
faciliti la fruizione. In sostanza, pare che la Calabria abbia dimenticato che il turismo è settore trasversale a tante altre attività e,
quindi, può provocare, in via diretta e indiretta, un indotto di rilievo, da cui deriva l’importanza economica di numerose altre attività.
I vantaggi del turismo internazionale sono più che evidenti e riguardano specialmente le piccole e medie imprese. Infatti, oltre ad
avvalersi della ristorazione commerciale e della struttura alberghiera e a fare aumentare la domanda alimentare, gli ospiti portano
nuovo ossigeno a quelle imprese che, per essere di modesta dimensione, si trovano in perenne difficoltà, non riuscendo, in ragione
del basso volume d’offerta, a comunicare con il mercato; in presenza dei turisti, invece, si possono rapportare agli ospiti
direttamente, continuando ad approvvigionarli anche dopo il loro ritorno a casa, grazie al mercato elettronico. Quindi, ogni territorio,
che come la Calabria, avesse delle risorse utili da spendere con il turismo internazionale, farà bene a darsi da fare per consolidare la
cultura locale, rivalutare le proprie eccellenze alimentari, quelle tipizzate della piccola e media impresa industriale, e prepararsi alle
spedizioni.
Qualcosa si è mosso di recente anche in Italia: è stato nominato finalmente un sottosegretario alla Presidenza del consiglio dei
ministri con delega al turismo, che presto diventerà ministro al turismo. Qualche anno fa, inoltre, abbiamo preso atto della nascita di
un’importante cordata, di cui fanno parte Marcegaglia di Mantova, l’Ifil della famiglia Agnelli, e Banca Intesa, a cui più tardi si è
aggregata anche Pirelli Real Estate, alla pari con gli altri partner, che ha dato vita a una nuova società, la “Turismo immobiliare”,
dopo avere acquisito il 49% del capitale sociale di Sviluppo Italia Turismo, che doveva diventare il 65% entro l’anno scorso. La
nuova società, che può contare anche su altri investimenti, già approvati dal Cipe, è diventata proprietaria, con questa operazione
finanziaria, di sette comprensori nel Mezzogiorno, in Puglia (Otranto), Calabria (Sibari-Simari, Crichi), Campania (Acropoli),
Basilicata (Pisticci) e Sicilia (Sciacca) e di due villaggi, uno sito nel comprensorio di Alimini e l’altro (Villaggio Floriana) nel
comprensorio di Sieri Crichi, entrambi gestiti da Alpitour (Gruppo Ifil). Così ha decollato il primo e più importante polo turistico del
Paese, aprendo, nel Mezzogiorno d’Italia, una strada che sarà seguita da altri, Italiani e stranieri, che approfitteranno dell’espansione
dell’attività, che fa bene sperare per il futuro. È il grande capitale interno che finalmente è entrato in un comparto di attività che non
è tradizionale, aprendosi al mondo, in chiave moderna, ma sempre in collegamento con le molte risorse di un’Italia ricca di storia e
di cultura, e in coerenza con una sorta di “Umanesimo di ritorno”, di vichiana memoria, che sta rimettendo l’uomo al centro della
società, sostenendolo con la qualità alimentare che, in queste terre, ha mantenuto radici solide. Le attuali crisi mondiali non pare che
possano determinare forti flessioni di domanda da parte dei turisti internazionali.
Il turismo in Calabria
La Calabria, con le altre regioni del sud dell’Italia, è tra le meno attrezzate sotto il profilo dell’ospitalità internazionale; non ha
bisogno però di escogitare artifizi, ma solo di organizzarsi e di attrezzarsi per cogliere il momento favorevole, che durerà almeno per
diversi decenni. Occorrono nuove infrastrutture interne di rapido scorrimento, il potenziamento degli aeroporti di Reggio Calabria e di
Crotone, l’espanione della ricettività di livello internazionale per sbloccare la situazione e nuove proposte, che siano coerenti con le
risorse locali. Comunque la Calabria non si presenta all’appuntamento turistico senza attrezzature; basterebbe citare, per la
montagna, i luoghi di vacanza e di turismo invernale come Camigliatello Silano (Cosenza) i tanti villaggi della Sila Piccola, i centri
della Serra tra Chiaravalle, S. Bruno e Polia e la zona dello Zomaro; si possono segnalare, inoltre, sulla costa tirrenica, il fascino
dell’area tra Praia a mare e Scoclea, Cirella, Diamante, Belvedere Marittimo, Sangineto, Cetraro, Acquappesa, Guardia Piemontese,
Fuscaldo, Paola, S. Lucido e ancora Amantea fino al golfo di S. Eufemia; sulla costa ionica, si trovano spiagge bellissime e assolate,
che segnano le tappe dell’affascinante storia della Calabria: Bova, Roghudi, Roccaforte del Greco, Condofuri, con i loro centri
collinari, un tempo rifugio delle popolazioni dalle incursioni saracene. Risalendo lo Ionio, l’epopea della Magna Grecia si intreccia con
i successivi centri bizantini: Locri, Gerace, Caulonia, Riace, patria dei mitici Bronzi, Monasterace, Punta Stilo, Guardavalle, Soverato,
Copanello, Squillace – patria di Cassiodoro – Capo Colonna, Crotone, città di Pitagora, Cirò terra di vino e altri delle olimpiadi greche,
Punta Alice, fino alla magnifica Sibari.
Con tutte queste risorse il turismo diventa l’occasione da non perdere, più che per altri territori, avendo tanti centri da agganciare,
per rivitalizzare l’economia, a cominciare da quella agro-alimentare, per corrispondere all’aumento dei consumi; in coerenza è anche
l’occasione per riavvicinare i prezzi degli alimenti tipici ai loro valori reali.
La nuova agricoltura
Se il deus ex machina, nel futuro della Calabria deve essere il ponte citato con la viabilità collegata, secondo le decisioni del governo
italiano e, per essi, il flusso di uomini e merci che lo percorreranno, appena sarà completato il percorso, scatterà la molla, che
permetterà di rilanciarne l’agricoltura nel mondo è anche la svolta biologica che Rifkin ha previsto a causa della profonda e condivisa
insoddisfazione di come vanno le cose nel mondo di oggi; competerà al turismo internazionale, al turismo interno e all’agriturismo il
compito di rilanciare l’economia del territorio, cominciando dal rifondare l’agricoltura mediterranea, a cui non si può più chiedere di
produrre materie prime per un consumo di massa, per il quale non ci sono i presupposti. Il futuro assetto economico-sociale
dell’agricoltura regionale dipenderà dalla volontà delle Autorità, delle organizzazioni economiche e degli uomini del luogo di agire
insieme per un unico obiettivo, per fare sistema, che è il modo più efficace e rapido per ottenere dei risultati utili, in tempi brevi,
specialmente quando vi è collaborazione del pubblico con il privato, per raggiungere gli obiettivi concordati, senza lasciare nulla al
caso.
Poiché riteniamo che il nuovo assetto economico generale dipenderà dall’attrazione esercitata dalla bellezza e dalla varietà del
territorio, una delle condizioni del successo non potrà che venire dell’assetto dell’agricoltura e dalla sua gestione, senza dovere
arrivare all’architettura del paesaggio. Cambiando l’agricotura, si trasformeranno anche le aziende con tendenza a specializzarsi o a
diventare multifunzionali con indirizzo produttivo orto-floro-frutticolo, con l’aggiunta di vari indirizzi riguardanti l’uso del tempo libero
degli ospiti, come ippoturismo, vari tipi di sport, caccia, pesca ecc. La multifunzionalità dell’impresa agraria e del territorio, che sono
espressioni tipiche delle aree agricole più prospere, diventerà comune, nelle aree con piccole imprese non autonome, che potranno
così integrare i redditi agricoli. Fino ad ora questa strada non è stata molto frequentata per la scarsa entità del turismo locale. Una
seconda opportunità riguarda la variazione delle colture che dovranno privilegiare, oltre alle produzioni biologiche, come espressione
di qualità, i frutti degli alberi mediterranei, gli ortaggi e i fiori, moltiplicando frutteti, orti e giardini, per valorizzare la biodiversità e
presentare, nei vari panorami, l’immagine di un territorio mediterraneo che unisce alle bellezze della natura i colori della biologia
La produzione biologica
L’agricoltura biologica costituisce un’altra occasione di ritorno al passato, quando i fertilizzanti erano organici e non c’era l’abitudine
di esagerare nell’uso di sostanze estranee all’eco-sistema. Quando anche l’Italia ha fatto il suo ingresso nel novero dei Paesi che la
esercitavano, ne ha approfittato, tanto che, anche nel 2006, si è confermata leader in Europa con oltre 1,1 milioni di ettari,
compreso l’aumento della superficie del 7,6% rispetto all’anno precedente e la quinta nel mondo, dopo Australia, Cina, Argentina e
Usa. L’agricoltura biologica, secondo la Commuissione del Codex alimentarius, “è un sistema di produzione olistico che evita
l’impiego di fertilizzanti sintetici, di pesticidi e di organismi geneticamente modificati (Ogm), che minimizza l’inquinamento dell’aria,
delle piante, del suolo e delle risorse idriche ed ottimizza la salute e la produttività delle comunità interdipendenti di piante, animali e
persone”.
Dopo la Sicilia, la Calabria è la regione che ha il numero maggiore di aziende biologiche (6.566 contro le 7.512 della Sicilia); le
regioni Calabria, Sicilia e Campania insieme hanno un terzo delle aziende biologiche del Paese, formando un eco-sistema in cui
l’insieme delle popolazioni vegetali e animali, che si influenzano reciprocamente in modo dinamico, non danno luogo a forzature
esterne che spostino gli equilibri della natura. Nello sviluppo dell’agricoltura di Calabria, la produzione biologica costituisce una delle
componenti fisiologiche più utili e coerenti con gli obiettivi che, comunque, fanno sempre riferimento alla genuinità del cibo. Sono le
vaste aree della collina e della montagna, in parte abbandonate e male utilizzate ad essere abilitate all’espansione delle colture e
degli allevamenti biologici.In particolare, nel settore frutticolo si stanno recuperando gli ecotipi della Sila, il pero, il melo, il ciliegio e
il susino, per farne dei campi catalogo e si cerca di introdurre la coltivazione dei piccoli frutti, come ribes, more, lamponi, fragole e
mirtilli. Così facendo si prepara la Calabria al futuro rilancio economico.
Il paesaggio
Da alcuni anni il paesaggio agrario è cresciuto nella considerazone della gente, tanto da avvicinarsi sempre di più a quello urbano,
dove i produttori agricoli hanno trasferito, ad esempio, i farmer market e i distributori self service di latte fresco, mentre la città ha
costellato l’ambiente rurale di punti vendita e supermercati. Di recente l’Unesco ha dichiaratio la Val d’Orcia, patrimonio
dell’umanità, grazie al buon governo del territorio, andando ad aggiungerla alla Costa Amalfitana, alle Cinque terre ecc. Questi
riconoscimenti ufficiali della valenza del paesaggio agrario, nella loro autonoma autorevolezza, arrivano ad anticipare i movimenti
culturali che si preoccupano dell’ambiente, che intendono difendere e valorizzare; il paesaggio, comunque, sta cambiando il ruolo di
una componente significativa del territorio, che non può che fare bene all’ambiente rurale italiano.
Nel caso della Calabria il paesaggio agrario è spesso un giacimento archeologico, dove, in qualsiasi momento e in qualsiasi posto, ci
si può imbattere in un “pezzo” antico e dove l’azienda, multifunzionale o meno, non si limita più a produrre alimenti, ma è, allo
stesso tempo, un laboratorio alimentare-gastronomico o di altro tipo con un’immagine in cui si specchiano i colori dei fiori dell’orto e
del giardino con scorci di mari e montagne da fare invidia a Zeffirelli. Non si può essere generici, quando si parla dei paesaggi delle
montagne calabresi, a partire dal gruppo del Pollino che per millenni ha tenuto isolata la regione dalla Lucania, per arrivare al cuore
della Calabria, dove l’altopiano della Sila, granitico e cristallino, scimmiottando le Alpi, si copre di fitte foreste, solcate da limpidi
torrenti, le cui acque di tanto in tanto si riposano nei molti laghi. Quando si arriva al massiccio dell’Aspromonte, che è il decano dei
monti italiani, si scopre, contraddicendone il nome, la più bella, spaziosa e limpida terrazza sul Mediterraneo e la Sicilia. Una
montagna dopo l’altra, si arriva, infine, alle Serre, tra Sila e Aspromonte, con altri paesaggi straordinari.
Oltre ai monti e al mare, chi fa il paesaggio in Calabria è l’albero solitario o in comunità. Nella Sila si incontrano faggi dal tronco di
alcuni metri di diametro ed esemplari di pino laricio che raggiungono altezze vertiginose; nella Sila è ancora presente “la Sila Bruttia”
dei Romani, uno dei più grandi boschi di conifere d’Europa, dove gli alberi si alternano ai faggi, presenti anche nel Pollino e
nell’Aspromonte, dove è possibile incontrare esemplari vecchi di molti anni; partendo dal basso, è facile incontrare maestosi lecci e
querce, castagni e, verso l’alto, pini abeti e faggi: oltre agli alberi spiccano, nella terra della biodiversità una ricca flora e
un’abbondante fauna, dove non mancano caprioli, cinghiali, volpi, lupi, ricci, scoiattoli, gufi ecc.
Nei paesaggi montani, è sempre presente lo scorcio di almeno un mare, qualche volta di più d’uno. Nei mari di Calabria si concentra
la presenza turistica che vive l’immaginario dei luoghi dove non c’è montagna senza mare, così non c’è mare senza montagne. Le
coste del Tirreno, con un percorso di circa km 300, si sviluppano tra spiagge, scogli e testimoni della storia, come torri, castelli con
uliveti, aranceti e vigneti alle spalle, fino ad arrivare ai faraglioni di Parghelìa che annunciano Tropea, la perla del basso Tirreno che,
da un masso di arenaria, fa bella mostra della sua urbanistica medievale e dei palazzi del Seicento e del Settecento. Più avanti, a
Cetrano, si scopre il Cedro che è, con il Bergamotto, l’agrume più tipico della Calabria , con frutti che pesano più d’un chilogrammo.
I litorali ionici, che sono i più vicini alla Grecia, trasudano cultura medio-orientale in ogni agolo, comprese le città di Crotone, Sibarii
e Locri. Sulla costa c’è anche Riace, dove il 16 agosto del 1972 sono stati trovati i famosi bronzi del V secolo a.C., divenuti oggi i
simboli della regione che il mondo c’invidia, insieme a tanti altri. Descrivere la Calabria è impossibile per l’eccessivo patrimonio
naturale e antropico che oggi costituisce la migliore garanzia per un futuro turistico di gran lunga superiore a quello attuale.
Orti e giardini mediterranei
Le straordinarie bellezze naturali della Calabria con le due eccellenze botaniche, come il Bergamotto e il Cedro, sono le perle di uno
straordinario scenario artistico, storico e culturale che rende la regione unica e inimitabile. Nei litorali dell’’estremo lembo dello
stivale, in provincia di Reggio Calabria, per le particolari carattestiche climatiche e del terreni, si trova il giardino della regione, la
“patria dei fiori e delle essenze”, di cui citiamo, oltre al Bergamotto, l’essenza del Neroly, estratta dai fiori di arancio amaro, la cui
acqua di lavorazione, l’acqua di zagara, è anch’essa famosa come tonico della pelle, l’essenza di Achillea, che è un cicatrizzante di
colore blu (ne sarebbe stato lavato Achille alla nascita), gli estratti di gelsomino, per la cui raccolta vengono impiegate centinaia di
donne che, aiutate dai figli, lavorano per diverse ore (per distillare un chilogrammo di essenza, servono mille chilogrammi di fiori), e
di ginestra, lavanda e menta.
Le colture orticole occupano già oggi l’8,5% della Sau regionale con elevate produzioni tanto primizie che tardizie; si tratta di ha
45.000 di colture orticole in pieno campo e ha 358 in coltura protetta. I territori maggiormente interessati sono il Lametino, il
Vibonese, la Sibaritide e la valle del Crati. Le produzioni principali riguardano pomodori (q 2.352.500) e patate (q 1.777.500);
queste ultime sono coltivate specialmente sull’altopiano silano che presenta caratteri climatici ed altimetrici idonei alla coltura. Tra le
maggiori produzioni ortive, si distinguono per entità anche i finocchi (q 1.058.000), cavolfiori e cavoli broccoli (q 504.500),
melanzane (q 310.500), zucchine ( q 238.500), lattuga (q 176.500) ecc. Si aggiungono a queste quantità le produzioni degli orti
familiari che sono destinate al consumo interno all’azienda. Alla base di tutto questo, oltre al paesaggio, ci sono i colori dei fiori, del
mare, del cielo, dei boschi, ecc. Dove ci sono orti, giardini e aree coltivate a fiori e a ortaggi insieme, sorprende, nelle giuste
stagioni, la concentrazione dei colori che sembra una tavolozza.
Gli orti e i giardini sono un un modo molto moderno di fare agricoltura, specialmente in territori sviluppati con piccole unità
produttive. Ci sono anche altre applicazioni, come orti e giardini previdenziali, sociali, didattici, condivisi, ornamentali, giardorti,
kitchen gardens e vanno tutti di moda, ruotando, in diverso modo, attorno al “fenomeno verde”, ampiamente trattato dai media e al
centro dell’attenzione dei paesaggisti e degli operatori del verde. L’uomo, riscoprendo la natura, si trova davanti, per primi, orti e
giardini che sono l’espressione più antica del suo interesse per l’ambiente. Oggi possiamo confrontare il “giardino preistorico
dell’uomo primitivo” che era, delimitato da pietre, con piante commestibili, indispensabili per la sopravvivenza, e fiori con quello più
moderno, quasi futuribile, l’eco-orto che svetta sul grattacielo di Metanopoli, frutto di ambiziosi progetti ambientali-chic. Comunque
ambedue rappresentano una forma della cultura alimentare ed estetica dell’uomo che da sempre accompagna la sua esistenza.
I Babilonesi, gli Arabi, i Romani, le comunità ecclesiastiche ecc. ci hanno fatto conoscere esempi magistrali dei loro laboratori verdi e
delle elaborazioni alimentari, spesso creativi, alle volte fantastici, dove ha sempre dominato la cultura dei vegetali, delle erbe, dei
frutti e dei fiori e del miele. Oggi, dietro gesti responsabili di largo respiro, si celano, aspetti educativi e sociali, messaggi mirati a
sensibilizzare gli uomini all’attuazione di progetti pubblici e privati di natura ecologica, all’insegna del risparmio energetico,
all’impiego delle categorie sociali più emarginate, quali anziani, carcerati oppure, e più semplicemente semplicemente, all’educazione
delle nuove generazioni nel concetto dell’autonomia alimentare e della produzione in proprio, al recupero delle aree dismesse o alla
salvaguardia ambientale. Chi coltiva un orto o un giardino non si limita a zappare, seminare e irrigare, ma dimostra di avere a cuore
il territorio ed il paesaggio, di avere conoscenze botaniche e senso creativo, indispensabili per progettare una produzione biologica
che soddisfi le nostre eigenze e i nostri gusti alimentari. Fondamentali risultano lo spirito di aggregazione e la comunicazione che
animano le forze che vi operano.
Nutrirsi dei prodotti dell’orto appena raccolti o raccogliere i fiori del giardino potrebbe non corrispondere allo spirito degli
ambientalisti, ma danno a chi lo fa una grande soddisfazione personale. Non a caso i Paesi più progrediti stanno sperimentando
queste forme di giardinaggio, anche collettive. Bastano però anche un piccolo fazzoletto di terra o alcune vasche su una terrazza per
inventarsi un piccolo orto o un giardino, nel quale dare sfogo alle proprie fantasie estetiche, assecondando gli aspetti ornamentali di
ortaggi e frutta per ricavarne dirette e immediate soddisfazioni anche per il proprio palato e per l’estetica della casa. A Torino, un
intraprendente industriale ha adibito il tetto della sua fabbrica ad orto-fattoria con 400 metri quadrati di superficie coltivata a
pomodori e verdure; alleva anche i polli e presto introdurrà un bovino per ricavarne latte.
I frutteti
In Calabria, l’olivo accompagna la vite dal mare alle pendici della Sila, arricchendo i panorami della regione; aggiungendo gli agrumi
agli altri alberi, aumentano i colori e i profumi, completando l’estetica unica dei paesaggi calabresi. Quanto alla produzione il primo
posto spetta agli agrumi, in particolare le arance (quasi i 3/5), le clementine (1/4) e i limoni, i mandarini, i pompelmi, i bergamotti e
i cedri. Con una produzione media di 9,7 milioni di quintali di agrumi, la regione si trova ai primi posti in Italia. La produzione della
frutticoltura, che è destinata prevalentemente al consumo fresco, nell’ultimo decennio, ha ridotto il grado di competitività con
conseguente flessione delle esportazioni e aumento dele importazioni di mele e pere, oltre alla frutta tropicale. Le produzioni più
importanti sono costituite dalle mandorle (il 70% della produzione nazionale), dai kiwi (il 25% della produzione nazionale), dalle
pesche e dalle nettarine. La diffusione degli alberi di olivo, spesso in territori difficili, e l’impatto paesaggistico di questo albero
straordinario, ne sanciscono l’alto valore nella funzione ambientale, a prescindere dagli aspetti produttivi che oggi, in Calabria,
raggiungono il quarto dell’olio nazionale, di cui solo il 3% però viene imbottigliato. Sono 136.243 le aziende olivicole in regione con
una superficie complessiva di tutto rispetto (ha 162.400).
Brevi conclusioni
Non sappiamo se il capitalismo è arrivato al capolinea, come sostiene Ruffolo. Sappiamo, però, per certo, senza voler trascurare
l’economia materiale, che la qualità della vita sarà la principale gratificazione esistenziale, nella quale troveranno posto, in quantità
ridotta, anche per il profitto e la remunerazione del capitale, non più in posizione dominante, ma con nuove aperture al sociale e alla
cura dell’ambiente, al patrimonio artistico-culturale, alla qualità alimentare ecc., che stanno per rivestire un ruolo altrettanto utile e
confortante per l’esistenza umana, specie in una regione, come la Calabria, che è particolarmente dotata. Questa regione costituisce
oggi lo spazio più antico che galleggia sul Mediterraneo, assomigliando più a un’isola che alla punta dello stivale nazionale, dove “il
mare non ha ancora finito di plasmarla né le piogge di spianarla”, come ha scritto Corrado Alvaro. È la terra di Saturno, padre degli
dei, e di Aleshenaz, pronipote di Noè, che i navigatori micenei hanno costeggiato, sacralizzando il territorio. Ebbene questa terra è
rimasta sempre uguale a se stessa, avendo i mari e il Pollino a sorvegliarne l’esistenza, e avendo scelto la qualità della vita che, in
questa terra, si può facilmente e utilmente coniugare con l’essenza biologica dell’uomo, oltre che con l’utopia, l’arte, la civiltà, la
cultura e la magia, che l’hanno resa mitica al punto da suggerire a Tommaso Campanella l’idea della “Città del sole”, l’utopia di un
mondo perfetto ordinato con le leggi dell’armonia celeste.
Nell’ultimo mezzo secolo, è maturata la convinzione dell’utilità del ponte sullo stretto di Messina, da cui la Calabria trarrà vantaggio
più di ogni altra regione e territorio, anche perché, oltre a rompere il suo atavico isolamento, potrà avvantaggiarsi per l’espansione
del turismo internazionale. Tra un paio di lustri, quando ne sarà terminata la costruzione, si apriranno nuove porte allo sviluppo
regionale, in grado di rivalutare storia, cultura, arte, paesaggio e gastronomia, tutti valori a supporto della qualità della vita e della
qualità alimentare e ostili alle omologazioni, premiando tipicità e tradizioni, insieme alle migliori gastronomie mediterranee, di cui la
regione è particolarmente dotata. Questi sono gli elementi di un nuovo benessere, gli stessi che suggeriscono il rifiuto del Pil.
Intanto, il Paese, come l’Europa e gli Usa, sta subendo le prime conseguenze del ristagno della domanda ed è in attesa di ulteriori
peggioramenti che compariranno con la regressione della popolazione italiana, prevista per il 2010, e di quella mondiale per il 2050.
In queste condizioni, la Calabria può ambire a raggiungere un maggiore benessere, puntando sulle risorse proprie, rese disponibili
alla luce dei nuovi orientamenti dell’umanità, che sono numerosi e consistenti, potendo agire da sola o insieme a Campania e a
Sicilia, per riproporre i successi dei tempi eroici, quando le due regioni erano abitate dalla popolazione più ricca e colta del mondo
occidentale, di cui sono testimoni i templi, le scuole filosofiche, la cultura di Omero e di Archestrato, i traguardi alimentari ecc.
L’ampliamento dello scenario calabrese al golfo di Napoli e alla più grande delle isole del Mediterraneo faciliterà l’individuazione del
territorio in termini geografici e storici e renderà l’operazione ancora più facile, specie quando ci sarà il ponte a unire le sponde tra
Scilla e Cariddi; il riferimento ad un territorio più ampio raggiungerebbe più facilmente il turista, dando corpo a un’immagine
complessiva, più somigliante allo “Spazio mediterraneo” del passato, che tanta importanza ha avuto nello stabilire modelli
esistenziali, rimasti sempre compatibili con la qualità della vita e la qualità alimentare.
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