il contributo dell`aiaf al xxx congresso nazionale forense
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il contributo dell`aiaf al xxx congresso nazionale forense
XXX CONGRESSO NAZIONALE FORENSE Genova, 25-27 novembre 2010 Esigenza di rinnovamento dell’avvocatura Ruolo dell’avvocato specializzato in diritto di famiglia Esigenza di riforme del diritto di famiglia sostanziali e processuali Sede e segreteria nazionale: Milano, Galleria Buenos Aires, 1 – tel. 02 29525195 [email protected] – www.aiaf-avvocati.it Sommario ESIGENZA DI RINNOVAMENTO DELL’AVVOCATURA E SPECIALIZZAZIONE. IL CONTRIBUTO DELL’AIAF LA POSIZIONE DELL’AIAF SULLA MEDIA-CONCILIAZIONE LA FORMAZIONE SPECIALISTICA E LA SCUOLA NAZIONALE DELL’AIAF LE RIFORME NECESSARIE LA RIFORMA DEL DIRITTO DI FAMIGLIA UN GIUDICE UNICO E SPECIALIZZATO PER I DIRITTI RELAZIONALI DELLA PERSONA L’ESIGENZA DI MODIFICA DEI PROCEDIMENTI DI FAMIGLIA E MINORILI: UN PROCEDIMENTO CON RITO UNICO, SNELLO E VELOCE LA DEONTOLOGIA DELL’AVVOCATO NELLA GESTIONE DEL CONFLITTO FAMILIARE E NEI PROCEDIMENTI MINORILI. PROPOSTE DI INTEGRAZIONE DEL CODICE DEONTOLOGICO FORENSE RUOLO DELL’AVVOCATO MATRIMONIALISTA E LIQUIDAZIONE DELLE PARCELLE: UNA QUESTIONE DI PARI OPPORTUNITÀ? 2 ESIGENZA DI RINNOVAMENTO DELL’AVVOCATURA E SPECIALIZZAZIONE. IL CONTRIBUTO DELL’AIAF Milena Pini, Presidente AIAF L’AIAF sin dalla sua costituzione, risalente al 1993, ha raccolto su tutto il territorio nazionale l’adesione di avvocati che svolgono attività in via esclusiva o prevalente nell’ambito del diritto di famiglia, dei minori e delle persone, sviluppando una attività di studio della legislazione e della giurisprudenza, il confronto tra le diverse esperienze e l’elaborazione del diritto di famiglia e minorile, indicando la via per una effettiva e completa riforma, sostanziale e processuale, di questa materia, nell’ottica di recepire le modifiche intervenute nella società civile e nella famiglia e dare adeguate risposte normative alle esigenze dei cittadini. L’AIAF si è fatta promotrice di richieste di modifiche legislative per un diverso ordinamento giudiziario, al fine di costituire le sezioni specializzate in diritto di famiglia, dei minori e delle persone, con soli giudici togati, presso i tribunali ordinari sedi di circondario e limitare la competenza dei tribunali per i minorenni ai soli procedimenti relativi all’adozione dei minori e al penale minorile. Nel corso di circa vent’anni l’AIAF ha svolto, con spirito di servizio e ininterrottamente, una attività di formazione e aggiornamento professionale a favore degli avvocati e dei praticanti avvocato, in materia di diritto di famiglia e minorile, e si è battuta per garantire ai cittadini una difesa e assistenza legale qualificata, fondata sul riconoscimento della specializzazione e l’obbligo della formazione continua. Con questo suo patrimonio di attività ed esperienza, e con la finalità di contribuire a tracciare la strada per un rinnovamento dell’avvocatura e consentire migliori condizioni e prospettive di lavoro agli avvocati, l’AIAF ha partecipato sin dal 2008 al “tavolo” costituito dal Consiglio Nazionale Forense per la redazione di un testo unitario dell’avvocatura sulla riforma della professione forense. Il nostro contributo non ha riguardato solo la questione della specializzazione, ma ogni aspetto della nostra professione, sin dall’accesso. Quanto avviene da tempo nel settore che riguarda l’attività in diritto di famiglia e minorile costituisce un osservatorio di estremo interesse, che consente di rilevare con chiarezza tendenze, problemi, contraddizioni ed esigenze che connotano la professione forense. Ad esempio, il diritto di famiglia e minorile è una scelta di intervento professionale privilegiata dalle colleghe, e che da sempre attrae le giovani che si affacciano alla professione; d’altro lato è una materia che (almeno per quanto riguarda separazioni e divorzi) molti colleghi che si occupano prevalentemente di altri ambiti giuridici ritengono di facile approccio e che non necessiti di particolare competenza, e in relazione alla quale non esitano pertanto ad assumere incarichi; il mancato riconoscimento della specializzazione dell’avvocato che tratta il diritto di famiglia e minorile ha contribuito a sviluppare nell’immaginario collettivo, incentivato dai mass media, una visione negativa della figura dell’avvocato, spesso accusato di incrementare la conflittualità familiare e di speculare economicamente sulle “disgrazie” delle persone; ne è conseguito lo sviluppo di figure “alternative” all’avvocato, che si sono proposte come capaci di mediare il conflitto familiare in tempi brevi e a basso costo, e questo è stato per lungo tempo il messaggio pubblicitario della maggioranza dei centri di mediazione familiare, ed è in tempi recenti il messaggio che tentano di far passare notai e commercialisti. Nell’ambito del diritto di famiglia si sono manifestati – spesso prima ancora che in altri campi di attività forense – i principali “fenomeni” di tendenza, positivi o negativi, che hanno inciso sulla nostra professione: incremento nell’accesso, soprattutto femminile; attacchi dei mass media 3 all’immagine e al ruolo dell’avvocato; intervento invasivo di altre professioni (mediatori familiari, psicologi, consulenti familiari, notai, commercialisti) che rivendicano per sé le nostre funzioni e competenze. L’AIAF si è posta rispetto a queste tendenze recependone gli aspetti positivi, accogliendo al proprio interno i giovani avvocati, soprattutto donne, e proponendo, in relazione agli aspetti critici e negativi, soluzioni per rafforzare il ruolo e l’immagine dell’avvocato, che con le necessarie conoscenze e competenze specifiche e l’acquisita esperienza anche metodologica, svolge attività di consulenza, assistenza stragiudiziale e difesa in giudizio, a tutela dei diritti e degli interessi dei cittadini, in primo luogo dei minori. Conoscenza ed esperienza sono condizioni indispensabili per poter fornire una prestazione professionale qualificata in questo ambito. Il diritto di famiglia è materia complessa che comprende numerosi istituti e riguarda lo status delle persone, i loro rapporti personali e patrimoniali, i diritti dei minori e delle persone incapaci, e si intreccia con altre discipline giuridiche e psicopedagogiche. E’ dunque necessaria una approfondita conoscenza teorica, ma altrettanto importante è il metodo con il quale si interviene, essendo necessario che l'avvocato acquisisca strumenti per la gestione dei conflitti interpersonali e familiari, privilegiando, laddove possibile, le tecniche di negoziazione e mediazione per giungere a conciliare le diverse posizioni, salvaguardando in primo luogo gli interessi dei figli minori. Queste valutazioni che si sono tradotte in progettualità e concreta attività ventennale, sono alla base della nostra richiesta di riconoscimento della specializzazione, e del nostro impegno e contributo al “tavolo” costituito dal Consiglio Nazionale Forense per redigere in modo unitario un progetto dell’avvocatura per la riforma della nostra professione. L’AIAF sta anche contribuendo fattivamente ad elaborare nuovi progetti che possano agevolare la soluzione dei conflitti familiari in sede stragiudiziale e alternativa a quella contenziosa. Le procedure stragiudiziali di risoluzione dei conflitti costituiscono uno dei temi più attuali e importanti nel dibattito della politica giudiziaria, e comportano anche un radicale mutamento, culturale e non solo legislativo, che coinvolge cittadini e operatori della giustizia. Un mutamento culturale che riguarda in prima persona gli avvocati, e il ruolo professionale che andranno a svolgere in un futuro scenario. E’ prioritario sottolineare che le procedure fondate su metodi di negoziazione, mediazione e conciliazione in sede stragiudiziale, da svolgersi con l’assistenza degli avvocati, consentono di valorizzare l’autonomia negoziale delle parti e il potere di autoregolamentazione dei loro rapporti. Nell’ambito del diritto di famiglia, la soluzione migliore per le parti coinvolte in un conflitto familiare è indubbiamente quella di mediare le reciproche posizioni e rivendicazioni, di trovare una soluzione condivisa che possa consentire, soprattutto se ci sono figli, la prosecuzione di una relazione genitoriale fondata sul dialogo e la collaborazione. D’altra parte, l’AIAF ha sempre sostenuto che il metodo di soluzione dei conflitti alternativo a quello giudiziario contenzioso, non è, nè deve essere, una alternativa che porta ad un processo di degiurisdizionalizzazione e, dunque, per quanto riguarda i procedimenti di famiglia deve rimanere salvo il controllo del giudice in materia di status delle persone e di tutela dei diritti indisponibili, soprattutto per quanto riguarda i minori. Così, per quanto riguarda la mediazione familiare, riteniamo che sia uno strumento utile per la ripresa e il rafforzamento delle relazioni genitoriali, per sviluppare la loro collaborazione nell’interesse dei minori, ma non può costituire una alterazione del diritto, e quindi non siamo d’accordo sulla negoziazione di diritti patrimoniali e di natura economica in sede di mediazione familiare, poiché tale negoziazione richiede un’attenta valutazione di situazioni giuridiche, che diversamente potrebbe comportare una irreversibile decadenza di diritti in sede giudiziaria. Ciò premesso si deve ricordare, con soddisfazione, che i dati statistici confermano che nel nostro Paese la quasi totalità delle separazioni sono definite consensualmente (nel 2008 il dato era dell’86,3%, e la tendenza alla consensualizzazione è da anni in continua crescita), e nella stragrande maggioranza dei casi con l’assistenza di almeno un avvocato. 4 I dati statistici confermano dunque che gli avvocati svolgono un ruolo di negoziazione e mediazione nel conflitto familiare, ma questo ruolo non viene riconosciuto e valorizzato dai mass media che influenzano l’opinione pubblica, e neppure da quei politici che, in progetti di legge, individuano altre figure professionali come più idonee a definire un procedimento di famiglia. Il riconoscimento della specializzazione può senza dubbio contribuire a migliorare l’immagine dell’avvocato presso i cittadini, e consente di porre le basi per un cambiamento culturale all’interno della stessa avvocatura, di integrare il codice deontologico forense in relazione al dovere di competenza e alla responsabilità professionale e disciplinare anche l’attività di difesa dei minori, di valutare con una visione nuova la funzione di tutela e difesa dei diritti delle persone, ma anche la ricerca e applicazione di nuovi metodi e strumenti di lavoro che valorizzino la negoziazione e la mediazione, fondate sulla autonomia negoziale delle parti, assistite dai rispettivi legali. Consente di ribadire il ruolo insostituibile dell’avvocato nella consulenza e assistenza stragiudiziale così come nella difesa giudiziale nei conflitti coniugali e familiari, nella tutela dei diritti ed interessi delle persone in relazione alle loro scelte di vita individuali e familiari, e nella tutela dei diritti dei minori. L'AIAF, Associazione italiana degli avvocati per la famiglia e per i minori, che è già stata inserita come associazione tra avvocati specialisti nel Regolamento sul riconoscimento del titolo di avvocato specialista approvato dal CNF il 24 settembre scorso, in forza del suo percorso, della sua storia e della sua rappresentatività e diffusione territoriale, è pronta ad assumersi ulteriori responsabilità nell’interesse della avvocatura. 5 DOCUMENTO SULLA MEDIAZIONE “OBBLIGATORIA” EX DLGS 28/2010 L’AIAF – Associazione Italiana Avvocati per la Famiglia e per i minori PREMESSO che dall’esame del Decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali) emerge: che il legislatore delegato disegna la mediazione come procedimento di risoluzione delle controversie c.d. “autonomo” e facilitativo, poiché l’art.1 lett. a) definisce la mediazione quale “attività svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa”; che il mediatore viene definito dall’art. 1 lett.b, come la persona che svolge la mediazione “rimanendo priva, in ogni caso, del potere di rendere giudizi o decisioni vincolanti per i destinatari del servizio”, e secondo l’art.8, comma terzo, “il mediatore si adopera affinché le parti raggiungano un accordo amichevole”; il ruolo del mediatore così disegnato dal legislatore pare dunque essere quello di agevolare la emersione degli interessi delle parti, anche non immediatamente coinvolti nella controversia, in vista del raggiungimento di un accordo, e non di valutazione delle loro ragioni; che i requisiti di professionalità, indipendenza e imparzialità del mediatore non sono specificatamente disciplinati dal dlgs, che rinvia ad emanandi regolamenti ministeriali e ai regolamenti degli organismi, fonti di disciplina che diventano quindi essenziali (tale schema normativo può dar luogo a dubbi di costituzionalità in relazione alla riserva assoluta di legge ex artt. 101, 105 Cost. in materia di giurisdizione, l’accesso alla quale è condizionato dal dlgs all’esperimento di un procedimento non regolato compiutamente quanto alle caratteristiche del mediatore); che rispetto a questo disegno e al modello di mediazione che è stato scelto dal legislatore delegato, risulta contraddittoria la previsione di una “mediazione obbligatoria” (art.5), che contrasta con la struttura e la ratio di un procedimento volto all’accordo delle parti, e risulta rispondere non a finalità di ampliamento di tutela ma solo a un mero intento deflattivo dell’accesso alla giurisdizione; che peraltro la obbligatorietà non è menzionata dalla legge delega, e la normativa comunitaria non indirizza verso ipotesi di tentativi obbligatori limitandosi a consentirne la previsione da parte del legislatore nazionale; che la previsione di obbligatorietà è riferita a materie eterogenee, sì da potersi dubitare della sua ragionevolezza e quindi della sua conformità alla Costituzione in relazione sia all’art.3 Cost. (“al generale postulato di razionalità ed uguaglianza che esso presuppone”) sia all’art.24 Cost. (in riferimento all’orientamento della giurisprudenza costituzionale che considera la giurisdizione condizionata ammissibile solo ove l’eccezione al principio dell’accesso immediato alla giurisdizione si presenti appunto come ragionevole, cfr. Corte cost. n.296/2008); che il modello di mediazione adottato nel dlgs 4 marzo 2010 n.28 prevede la possibilità che il mediatore, in difetto di raggiungimento di un accordo, possa formulare una proposta conciliativa destinata ad entrare nell’eventuale processo e ad avere degli effetti nello stesso, con conseguenze pregiudizievoli dei diritti delle parti; che ciò rende non accettabile l’esclusione dell’assistenza tecnica obbligatoria nel procedimento di mediazione; 6 che la proposta conciliativa – anche in considerazione della potenziale idoneità a produrre tali effetti – non può prescindere dalla ricognizione delle norme di diritto applicabili nella fattispecie, come è confermato dalla scelta effettuata con il Decreto in questione, il cui art. 12 prevede che il contenuto dell’accordo non debba essere contrario all’ordine pubblico o a norme imperative; ciò premesso, RITIENE che debba essere adottato, quale modello maggiormente compatibile con il nostro ordinamento e con la nostra tradizione, un modello di mediazione che, nella ricerca della definizione conciliativa, operi nell’ambito della cornice giuridica; che l’accesso agli organismi di mediazione senza l’assistenza di un avvocato sia inconcepibile in un procedimento di mediazione che può concludersi con proposte conciliative che debbano fare riferimento ai parametri normativi che regolano il rapporto, quantomeno col riferimento al fatto che il contenuto dell’accordo non deve essere contrario all’ordine pubblico o a norme imperative; che in ogni caso senza assistenza del difensore diminuisce la tutela della parte, favorendosi altresì possibili conciliazioni non eque o fondate su errori di diritto, e vanificherebbero l’attendibilità della formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa; che la previsione della obbligatorietà della mediazione in materie quali la divisione di beni tra coniugi sia contraria all’esigenza di definire i rapporti personali e patrimoniali dei coniugi in un unico e omogeneo contesto, quale quello della separazione e del divorzio, avanti ad un unico giudice specializzato, e con un unico rito, richieste che da tempo l’AIAF avanza al Legislatore, sollecitando una riforma sostanziale e processuale del diritto di famiglia; che la figura del mediatore del tutto priva di specializzazione nelle materie previste nel dlgs 28/2010 soprattutto in materie quali la divisione dei beni conseguenti lo scioglimento di una comunione legale tra coniugi, il diritto delle successioni e i patti di famiglia - non consenta a questi neppure di comprendere i termini sostanziali della controversia e gli interessi delle parti in relazione a tali questioni, CHIEDE che, ove possibile già con la normativa attuativa, sull’elaborazione della quale domanda l’avvio di un costruttivo confronto: 1. s’introduca il principio che l’attività del mediatore non prescinda dalla cornice normativa che regola il rapporto; 2. s’introduca l’obbligo dell’assistenza del difensore nei limiti previsti dall’art. 82 C.P.C; 3. vengano previsti adeguati criteri di competenza e specializzazione che assicurino al cittadino la conoscenza da parte del mediatore, oltre che delle tecniche di conciliazione, della cornice normativa che regola il rapporto, ad esempio prevedendosi dei requisiti specifici, quali l’avere frequentato corsi di formazione nelle specifiche materie e trattato un determinato numero di vertenze nella materia oggetto della controversia; 4. venga eliminata la previsione della mediazione obbligatoria, in particolare per le materie relative alla divisione dei beni in comunione legale, al diritto delle successioni e dei patti di famiglia; 5. venga previsto che il mediatore formuli la proposta di conciliazione solo su richiesta delle parti; 6. siano previste regole procedurali che garantiscano il rispetto del diritto di difesa, e dei principi etici e deontologici; 7. siano individuati criteri chiari sulla competenza territoriale. Milano, 30 maggio 2010 COMITATO DIRETTIVO NAZIONALE AIAF 7 LA FORMAZIONE SPECIALISTICA E LA SCUOLA NAZIONALE DELL’AIAF Marina Marino, Direttrice della Scuola di Alta Formazione dell’AIAF e Presidente AIAF Lazio L’AIAF da molti anni discute e si confronta con i Colleghi che operano nella materia del diritto di famiglia, minorile e delle persone sul ruolo dell’avvocato, sulla necessità di rivedere l’ordinamento forense vigente, del tutto inadeguato alle esigenze della classe forense, dedicando un rilevante impegno alla formazione specifica che, fin dalla costituzione dell’associazione e ben prima dell’introduzione dell’obbligo di aggiornamento e formazione continua dell’avvocato, era da noi considerata estremamente importante. In questo senso l’AIAF ha operato organizzando una molteplicità di convegni, seminari, corsi e giornate di studio sulle singole specifiche problematiche che si proponevano in relazione al diritto di famiglia, minorile e della persona. L’importanza riconosciuta ad una formazione specialistica è un dato che si pone a tutela dei cittadini, ma anche a tutela della classe forense. La migliore risposta a coloro che hanno piacere che la classe forense rimanga impreparata ed inadeguata a contribuire alla soluzione dei problemi dei cittadini è una sola: quella di costituire una classe forense che, riscoperta l’importanza della funzione della difesa dei diritti, rivendichi un valore fondamentale - quello dell’unità della avvocatura -, ed al contempo si ponga come una comune risposta di elevato livello culturale e di preparazione professionale ineccepibile. Questi valori debbono essere comuni e sono importanti per tutti gli avvocati, indipendentemente dal fatto che, per ragioni di scelte personali o dettate dalle contingenze di luogo e di tempo, gli stessi abbiano dedicato la propria attività a curare solo un ramo specifico del diritto ovvero si siano dedicati a curare tutti le diverse tematiche. Secondo l’AIAF non è utile all’Avvocatura creare una contrapposizione tra i cd specialisti ed i cd generalisti, non vi sono né devono esservi giudizi di valore o disvalore verso nessuno, in quanto l’obiettivo è comune per gli uni quanto per gli al- tri ed è la rivalutazione del ruolo del difensore, il rivendicare con forza la propria totale autonomia, e per fare questo in modo credibile è necessario fare una operazione di riqualificazione di tutta l’avvocatura, che deve proporsi come altamente preparata, seria, rispettosa degli obblighi deontologici, in grado di tutelare al meglio i diritti dei cittadini. L’impegno dell’avvocatura deve essere rivolto alla promozione di un’offerta formativa sempre più qualificata in grado di coinvolgere i suoi destinatari in modo sempre crescente, anche perché le modifiche normative e le interpretazioni giurisprudenziali si modificano con sempre maggiore velocità e soprattutto con una complessità davvero straordinaria, e gli avvocati debbono essere al passo con tutto questo. Per cui l’augurio che possiamo fare a noi tutti è quello di superare vecchie ed improduttive, ove non dannose dicotomie . L’AIAF dal 2008 ha partecipato ai lavori del cd “tavolo” e - oltre al proficuo ed interessante confronto con tanti colleghi che venivano da esperienze diverse, dato che a questi lavori partecipavano rappresentanti del CNF, Presidenti degli Ordini Forensi, rappresentanti distrettuali, dell’OUA ed i rappresentanti di tutte le associazioni rappresentative quali UCPI, UNCAT, UNCC, AIGA, AGI, ANF, Avvocati amministrativisti - ha contribuito con tutti questi a formare la proposta complessiva dell’Avvocatura sulla riforma della professione forense. Il dato innovativo della proposta di ordinamento forense cui ha lavorato l’Avvocatura è la qualificazione professionale e deontologica dell’ avvocato, e in questa ottica sono stati individuati alcuni punti qualificanti come: a) l’accesso alla professione caratterizzato dal rigore e dalla attenzione alla preparazione tecnica dei giovani senza più cedimenti di ordine demagogico, ponendo fine all’inganno perpetrato nei confronti dei giovani, 8 facendo loro credere che la semplice acquisizione del titolo di avvocato avrebbe risolto i loro problemi occupazionali; b) la necessità che venga effettivamente svolta l’attività e che lo svolgimento sia verificato dell’aggiornamento tanto per gli specialisti che per i generalisti, al fine di centrare l’obiettivo della qualificazione; c) l’introduzione e la regolamentazione della specializzazione forense; d) la reintroduzione dei minimi tariffari; e) la reintroduzione del divieto del patto di quota lite; f) l’introduzione del numero programmato nelle facoltà di giurisprudenza; g) la previsione dell’esercizio effettivo della professione quale condizione per la conservazione dell’iscrizione all’albo. Tutto ciò dimostra che l’AIAF, associazione di rappresentanza della categoria, ha caratteristiche e funzioni che la diversificano sostanzialmente da altre associazioni che hanno finalità ed obiettivi del tutto diversi da quelli nostri, quali l’Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia presieduto da Gianfranco Dosi, l’Unione Camere Minorili presieduta da Luca Muglia, o la Camera Minorile in Cammino presieduta da Maria Giovanna Ruo, che svolgono una attività di studio ed elaborazione del diritto di famiglia e minorile e di formazione, senza però attivarsi con interventi più complessivi che riguardano la professione forense, e al più limitandosi a fare proposte per l’integrazione del codice deontologico. Chiarito il pensiero dell’AIAF sulla formazione specialistica, va detto che la nostra Associazione ha organizzato una “Scuola di alta formazione in diritto della famiglia, minorile e della persona ” . La finalità della Scuola è, come si legge nel regolamento: “quella di consentire agli avvocati che vi accederanno, di effettuare un approfondimento a carattere avanzato e non istituzionale, con temi non ripetitivi di quelli affrontati nel corso di laurea, interdisciplinari e strettamente connessi alle attività pratiche ed alle esercitazioni scritte svolte nella parte tecnico pratica del corso, la quale a sua volta prevede esercitazioni (pareri e atti giudiziari) e simulazione di processi di procedimenti giudiziari e di consultazioni con il cliente. Attenzione particolare viene data all’approfondimento della deontologia professionale, nello specifico ambito del diritto di famiglia e minorile. In tale ottica la Scuola individua come docenti del corso, in prevalenza avvo- cati esperti nel settore del diritto di famiglia, minorile e delle persone, ed inoltre magistrati, psicologi, neuropsichiatri, mediatori familiari, assistenti sociali, commercialisti, appartenenti alla GDF e alla PG, che abbiano esperienza comprovata nel campo del diritto di famiglia e minorile. La scuola è denominata “Scuola AIAF di alta formazione in diritto di Famiglia , minorile e della persona” ed è unica per l’intero territorio Nazionale”. Un dato importante della scuola è costituito dal metodo didattico che si articola in diversi punti: in via preliminare alcuni giorni prima della lezione i docenti dovranno inviare le slides, la bibliografia essenziale sull’argomento oggetto della lezione, e i riferimenti giurisprudenziali, materiale che verrà messo a disposizione degli iscritti al corso in modo da consentire la massima partecipazione interattiva alle lezioni; i docenti dovranno affrontare dei singoli argomenti sia l’aspetto sostanziale che processuale nelle sue linee dottrinali e giurisprudenziali, individuando i diversi orientamenti interpretativi, sempre tenuto conto che i fruitori della scuola sono avvocati e quindi dando per scontate le nozioni di base. Dovranno poi essere esaminati i casi giurisprudenziali di merito e di legittimità di maggiore rilevanza relativi all’argomento della lezione. Ciascuna lezione di 3,5 ore sarà seguita da 1,5 ore dedicata ad esercitazioni pratiche come elaborazione di atti, role playng, simulazione di udienze, o di attività dedicata al ruolo dell’ avvocato nella gestione del conflitto familiare. A questo proposito va detto che assieme alle altre Associazioni specialistiche è stato avviato un lavoro comune che ha prodotto l’unanime decisione di individuare il migliore strumento, compatibile con le possibilità anche di carattere economico-finanziario di associazioni come le nostre, al fine di poter disporre di una struttura di servizio della quale servirsi per la gestione, sotto il profilo esclusivamente organizzativo, delle scuole nazionali di ogni singola Associazione, attività che rientra nelle indicazioni del Regolamento sulla specializzazione. Il perché di questa scelta è evidente al di là di quelle che sono le valutazioni, per cui si attribuiscono alle associazione specialistiche presunte volontà di lucrare, espresse da alcuni soggetti che potremmo definire quantomeno poco edotti del fatto che le Associazioni, così come per altro gli 9 Ordini, non possono esercitare attività che per la loro caratteristica e natura sono considerate attività commerciali, tanto è vero che l’Ordine di Firenze per lo svolgimento di questo tipo di attività ha costituito una fondazione. Questo tipo di comunicazione è poco utile, non serve a fare chiarezza, e soprattutto disinforma, attività che, evidentemente in questo momento è decisamente in voga nel nostro Paese. Nel momento in cui è stato varato dal CNF il regolamento sulle specializzazione abbiamo espresso la nostra soddisfazione per il suo operato, anche per il segnale che ha saputo mandare alla politica, che al di la di una serie di promesse, finora sempre puntualmente disattese, aveva assicurato il varo della Riforma dell’Ordinamento forense senza poi mantenere gli impegni assunti. plina transitoria che a giudizio di chi scrive dovrebbe reintrodurre la possibilità per i colleghi che abbiano più di 10 anni di iscrizione all’albo di divenire specializzati sostenendo un esame senza necessità di frequentare la scuola, ha avuto l’indubbia capacità di comprendere l’importanza di questo strumento per tutta l’Avvocatura. Oggi ci auguriamo che la riflessione e l’attenzione che l’Avvocatura deve porre su questi temi non sia condizionata dal clima congressuale e che con attenzione si valuti come il lavoro comune, la collaborazione, il confronto sereno e privo di pregiudizi, possano consentire al Congresso di esprimere una posizione unitaria della Avvocatura stessa, unica strada che potrà consentire a quest’ultima di non diventare bottino di guerra per i diversi tipi di poteri forti. Questo regolamento, pur avendo punti che meritano una rivisitazione, quali ad esempio la disci- 10 LE RIFORME NECESSARIE. LA RIFORMA DEL DIRITTO DI FAMIGLIA Da anni l’AIAF denuncia la mancanza di un progetto globale di riforma legislativa, di alto profilo, che si ponga l’obiettivo di portare a compimento la riforma del diritto di famiglia del 1975, tenendo conto delle trasformazioni avvenute nella società e nella famiglia italiana. Oggi nel nostro Paese non siamo in grado di fornire ai cittadini un servizio di qualità e di efficienza che consenta una soluzione dei conflitti familiari, per quanto possibile soddisfacente sotto il profilo della tutela e della mediazione dei reciproci diritti ed interessi, nonchè la tutela dei minori e delle persone più deboli e incapaci, in tempi rapidi. Non può neppure essere data una soddisfacente risposta alle sempre più numerose domande dei cittadini che tentano di ottenere in sede giudiziaria il pieno riconoscimento di diritti civili (ad esempio nascenti da un rapporto di convivenza, o determinati dall’impossibilità di una procreazione naturale, o dalla scelta di porre fine a terapie mediche ormai inefficaci a ripristinare una capacità di relazione con il mondo esterno ed una dignità umana), diritti che sono loro negati in questo Paese, che sempre più si allontana dalla comunità europea. Nel corso di diverse Legislature che hanno visto avvicendarsi Governi di diverso orientamento, sono state depositate in Parlamento numerose proposte di legge relative ai diritti delle persone e alle problematiche familiari. Tuttavia quasi nessuna è giunta ad approvazione! Una considerevole massa di questioni – che riguardano ad esempio il cognome dei figli, l’abbreviazione dei termini per richiedere la pronuncia di divorzio, l’unicità dello status di filiazione, i rapporti personali e patrimoniali tra i coniugi in ambito di separazione e divorzio, i rapporti tra persone conviventi – continuano ad essere oggetto di discussione da parte delle Commissioni Giustizia dei due rami del Parlamento senza che si riesca a pervenire all’approvazione di un testo di legge definitivo. Le riforme da apportare al diritto di famiglia sostanziale sono numerose, e, solo per citarne alcune a titolo esemplificativo, dovrebbero provvedere a : eliminare ogni differenza tra i figli nati da persone coniugate o meno, prevedendo uno status unico di figlio e con l’eliminazione di ogni differenziazione anche linguistica nel testo di legge; tutelare i diritti di parentela e di successione dei figli nati da persone non coniugate, eliminando le attuali differenze rispetto ai figli legittimi; consentire il riconoscimento dei figli nati da un rapporto incestuoso tra i genitori; consentire ai genitori, coniugati o meno, la scelta del cognome del figlio; riformare la legge sul divorzio, consentendo la possibilità di ottenerne la pronuncia, in determinati casi, senza dover previamente promuovere il giudizio di separazione personale, e prevedendo tempi più brevi di quelli attuali; modificare la normativa in materia di scioglimento della comunione legale, così che decorra dalla data del provvedimento ex art 708 cpc, con conseguente competenza del giudice della separazione a definire tutte le questioni di natura personale e patrimoniale dei coniugi; riconoscere l’efficacia giuridica dell’atto autenticato dall’avvocato, che potrebbe comportare nel caso dei procedimenti di separazione consensuale e divorzio congiunto, con ricorso sottoscritto dalle parti e dai rispettivi avvocati, la diretta emissione del decreto di omologa del tribunale, previo parere motivato del PM, senza la previa udienza di comparizione personale dei coniugi avanti il presidente, fatti salvi i casi in cui si ravvisi una lesione degli interessi dei figli. dare piena applicazione alla legge 149/2001 consentendo l’effettiva nomina dell’avvocato del minore. 11 UN GIUDICE UNICO E SPECIALIZZATO PER I DIRITTI RELAZIONALI DELLA PERSONA Luisella Fanni, Vicepresidente AIAF e Presidente AIAF Sardegna Su questo tema l’AIAF si è spesso interrogata e ha organizzato convegni e seminari. Tra i tanti ricordo quello tenutosi dall’11 al 13 settembre 2003 in collaborazione con l’ufficio per la formazione decentrata dei magistrati presso la Corte d’Appello di Cagliari. Gli atti sono stati pubblicati nel Quaderno dell’AIAF n. 2 del 2004. Il tema era “Il giudice e la persona: famiglia, individui, relazioni”. Il Seminario si concluse con una relazione di sintesi del prof. Andrea Proto Pisani che, sul piano culturale, affermò “la necessità di rompere la commistione tra giurisdizione sui diritti fondamentali dei genitori e dei figli e amministrazione dell’interesse pubblico alla buona educazione del minore” (pag. 227 atti) e tracciò le linee di una modifica del processo civile minorile (pagg. 228 e 229 atti) da trattarsi innanzi alla sezione specializzata, il cui primo punto era “Previsione di un processo speciale accelerato e semplificato rispetto al processo ordinario di cognizione, ma a cognizione piena, cioè con forme e termini tendenzialmente predeterminati dal legislatore”, mentre l’ultimo punto era “Previsione della temporaneità delle funzioni di giudice, o di pubblico ministero, minorile: ciò per assicurare al massimo la garanzia della terzietà del giudice ed evitare che esso diventi troppo “parente” degli interessi su cui è chiamato a decidere”. In nota si riportano integralmente le linee guida tracciate dal prof. Proto Pisani nelle quali, tra l’altro, al punto i) si evidenzia che “l’applicazione della difesa d’ufficio, nei procedimenti de potestate e di adottabilità, deriva dalla contiguità col processo penale, contiguità consistente nel carattere fondamentalissimo dei diritti su cui incide questa giurisdizione” e al punto m) si indica “la previsione che il minore debba acquisire la qualità di parte necessaria perché oggetto del processo sono innanzitutto suoi diritti” Quanto alla riunificazione delle competenze, in materia di famiglia e di persone, davanti a una sezione specializzata da istituire presso i tribunali ordinari tendenzialmente aventi sedi nei capoluoghi di provincia, evidenziò “l’assoluta necessità di assicurare che i giudici e i pubblici ministeri assegnati alla sezione specializzata non possano in alcun modo essere adibiti ad altre funzioni”. All’ordine del giorno vi era allora la discussione in Parlamento dei disegni di legge dell’On. Castelli n. 4294/c, approvato alla Camera il 15 luglio 2004, passato all’esame del Senato con il numero 3048/s. Come è noto il disegno di legge prevedeva le sezioni specializzate per tutte le materie civili, familiari e minorili presso i Tribunali ordinari, con attribuzioni alle stesse di tutte le competenze, ad esclusione della cause per adottabilità, adozione e del penale minorile su cui residuava una competenza del Tribunali per i Minorenni con presenza dei giudici onorari. Il Parlamento non procedette all’esame del disegno per una pregiudiziale di costituzionalità. Sono passati ormai quasi 7 anni e ancora le competenze sono disperse tra tribunali ordinari, tribunali minorili e giudice tutelare. E’ pur vero che, in applicazione delle norme sull’ordinamento giudiziario, in gran parte dei tribunali, ma non in tutti, si sono istituite le Sezioni Famiglia, cui è demandata tutta la materia di competenza dei giudici ordinari; ed è anche vero che nel frattempo l’ordinanza della Cassazione n. 8362 del 22 marzo 2007, emanata a seguito di un conflitto di competenza tra Tribunale Ordinario e Tribunale per i Minorenni di Milano, ha stabilito che il giudice che provvede all’affidamento del minore è anche competente ad emanare i provvedimenti relativi al suo mantenimento (in particolare per l’ assegno e la casa familiare); così realiz- 12 zando una sorta di competenza unificata per i figli naturali, ma innanzi al giudice minorile, già ritenuto competente per il loro affidamento sotto il profilo della regolamentazione dell’esercizio della potestà genitoriale ex art. 317 bis c.c.. La Cassazione così decideva interpretando la legge sull’affido condiviso (L. 54/2006) che, avendo espressamente esteso la sua applicabilità ai figli di genitori non coniugati, avrebbe stabilito il principio della inscindibilità del profilo personale da quello patrimoniale. Tale soluzione non è stata condivisa dall’AIAF, che ha sempre privilegiato la competenza del Giudice ordinario e la istituzione di sezioni specializzate a competenza unitaria presso il Tribunale Ordinario e comunque, a prescindere dal nome, se Sezione Specializzata o Tribunale delle Persone piuttosto che solo della famiglia, ha ritenuto e ritiene essenziale l’adozione di un rito processuale che garantisca la difesa, il contradditorio, la terzietà del giudice e, non ultima per importanza sociale, la prossimità del giudice ai cittadini sul territorio per garantire a tutti l’accesso alla giustizia. La legge 149 del 2001, entrata finalmente in vigore, per la parte processuale, nel luglio 2007, ha introdotto il giusto processo nella giustizia civile minorile; anche in applicazione dell’art. 111 della Costituzione, come modificato dalla legge costituzionale n. 2/1999; nel rispetto dei diritti fondamentali solennemente proclamati per l’Unione Europea con la Carta di Nizza il 7/12/2000 e dei principi sanciti dalla Convenzione di Strasburgo del 1996 sull’esercizio dei diritti dei minori (ratificata dall’Italia con la Legge 77/2003 ). Ciò ha reso possibile la tutela giurisdizionale dei diritti della personalità del fanciullo, riconosciuti dalla Convenzione di New York del 1989, ratificata dall’Italia sin dal 1991 con la legge n. 176; ma ha legittimato anche la tutela giurisdizionale dei diritti degli adulti, incisi dai provvedimenti dei giudici minorili, in materia di potestà genitoriale sotto il profilo personale ed ora anche sotto il profilo patrimoniale a seguito dell’ordinanza della Cassazione n. 8362 del 22 marzo 2007. Pur in presenza di questa normativa, della legge 54 del 2006 e della sentenza della Corte Costituzionale n. 1 dell’anno 2002, che sin d’allora aveva stabilito che è obbligo del giudice utilizzare le argomentazioni letterali e sistematiche per sorreg- gere un’interpretazione costituzionalmente orientata al rispetto dei principi del giusto processo, tali principi faticano ad imporsi, soprattutto innanzi ai giudici minorili. Nonostante l’ordinanza, peraltro criticabile, della Cassazione, persiste la confusione e sovrapposizione di giudizi in quanto sia il Tribunale Ordinario che il Tribunale per i Minorenni frequentemente sono chiamati a pronunciarsi entrambi sulla potestà genitoriale; inoltre adottano riti e procedure differenti e non sempre rispettano, entrambi, la distinzione tra giurisdizione e amministrazione e i principi del giusto processo, che troviamo individuati nelle linee del prof. Proto Pisani, elaborate sin dal 2003 (v. *Nota 1). Infatti anche i giudici ordinari assumono provvedimenti nei quali affidano ai servizi sociosanitari verifiche, indagini, monitoraggi e relazioni a cui riconoscono valore probatorio; mentre i giudici minorili decidono sui diritti, relazionali e patrimoniali, con istruttorie carenti e ora, al contrario del passato, fanno frequente ricorso alle consulenze, spesso spostando l’onere di decidere sul C.T.U. ed anche con aggravio di costi per le parti. Pensare ad un giudice unico e specializzato sui diritti della persona significa innanzitutto rappresentarsi quali sono, allo stato, le materie e i problemi portati alla cognizione e decisione dei giudici, sia del Tribunale Ordinario che del Tribunale per i Minorenni ed anche del Giudice Tutelare; significa valutare in che misura l’esercizio, la lesione e la tutela di questi diritti interferiscono nella vita familiare e sociale, per comprendere quanto la vicinanza o lontananza del giudice dai luoghi dove le persone vivono ne consenta una reale tutela. Essendo consapevoli, come cultura giuridica nazionale e internazionale insegnano, che nella tutela giurisdizionale, minore o adulta che sia la persona, si esprime la dignità e l’autonomia di ogni essere umano, che riafferma la propria soggettività agendo in giudizio per la tutela dei propri diritti, come riconosce l’art. 24 della Costituzione, che allo stesso tempo qualifica la difesa in ogni stato e grado del procedimento come diritto inviolabile. Ricordiamo quindi che al Tribunale Ordinario, che ha sede quasi sempre in un capoluogo di provincia, è demandata la competenza a decidere per quel circondario, spesso non coincidente con i 13 confini dell’ente locale, tra l’altro, in materia di: separazione, divorzio, modifiche dei relativi provvedimenti, nullità del matrimonio, azioni ai sensi degli art. 147 e 148 c.c. per il mantenimento dei figli; azioni a tutela degli obblighi familiari ex art. 156 c.c. e art. 8 l. divorzio; ordini di protezione ex art. 342 bis c.c.; azioni di stato tra cui riconoscimenti della genitura naturale per gli adulti ed impugnazione degli stessi, disconoscimento della genitura anche per i minori, azioni a tutela dei diritti familiari degli stranieri; procedure per interdizione, inabilitazione e adozione per gli adulti, etc. Al Giudice Tutelare si ricorre per le tutele, le curatele e l’amministrazione di sostegno; a protezione degli incapaci. Il Tribunale per i Minorenni, che ha in genere sede in un capoluogo di Regione e competenza per il distretto della Corte d’Appello, che spesso coincide con il territorio regionale, tratta le dichiarazioni di adottabilità (artt. 8,11,15 L.184/83); gli interventi sulla potestà dei genitori (artt. 330 e 333 c.c.); la regolamentazione della potestà fra genitori naturali (art. 317 bis c.c.); l’ inserimento nella famiglia legittima (art. 252 c.c.); la sottrazione internazionale di minori (art. 7 L. 64/94); il riconoscimento del figlio naturale (art. 250 c.c.); i procedimenti per la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale (art. 269 c.c.); le interdizioni ed inabilitazioni di minori (art. 416 c.c.); Sono tutti procedimenti bilaterali o plurilaterali, che devono svolgersi nel rispetto del modello del giusto processo disegnato dall’art. 111 della Costituzione. Il Tribunale per i Minorenni è inoltre competente per: le domande di disponibilità all'adozione (art. 22 L. 184/83); le domande di adozione ai sensi dell'art. 44 L 184/83; le domande di disponibilità e idoneità all'adozione internazionale (art. 29 bis L 184/83); i procedimenti di adozione ai sensi degli artt. 35 e 36 L 184/83; l’ammissione al matrimonio per i minorenni (art. 84 c.c.); l’assunzione di cognome del genitore da parte del figlio naturale (art. 262 c.c.); l’ autorizzazione all'impugnazione di riconoscimento di paternità o maternità (art. 74 e 264 c.c.); le autorizzazioni al rilascio di atti dello stato civile (art. 28). Si tratta di procedimenti unilaterali di volontaria giurisdizione. A questi vanno aggiunti altri procedimenti unilaterali tra cui in particolare quelli previsti da: art. 45 co. 2° disp. att. c.c. (reclami contro decreti del G. T.); art. 35 disp. att. c.c.(autorizzazione al riconoscimento ex art. 251 c.c.); art. 171 co 2° c.c. (norme per l’amministrazione del fondo patrimoniale); art. 194 co 2° c.c. (costituzione di usufrutto in caso divisione della comunione); art. 264 co. 2 c.c. (autorizzazione ad impugnare il riconoscimento); art. 371 u.c. c.c. (autorizzazione all’esercizio impresa); art. 31 d.lvo 286/98 (immigrazione); artt. 84 e 174 T.U.S.G. (opposizione a decreto di liquidazione ai difensori e consulenti); art. 100 DPR 396/2000; art. 11 L.184/83 (adottabilità di minore non riconosciuto), art. 22 co.5 L. 184/1983 (scelta della coppia per l’affidamento preadottivo); Misure amministrative (R.D.L. 20/7/1934 n. 1.404, artt.25 e 25 bis). Non può sfuggire a nessuno che si tratta di diritti fondamentalissimi, come ha precisato il prof. Proto Pisani, (e certo non solo nei giudizi minorili), la cui tutela necessita spesso di interventi urgenti e immediati e della conoscenza diretta degli ambienti socio-familiari di appartenenza. Le statistiche giudiziarie indicano e confermano che il carico prevalente di questi giudici è dato da giudizi de potestate, art. 317 bis; separazioni, divorzi e amministrazioni di sostegno. Sono giudizi nei quali è quasi sempre necessaria la comparizione personale delle parti e la loro audizione diretta; tanto più ora che la giurisprudenza ritiene sempre dovuto (non così la scrivente) l’ascolto del minore anche nelle vicende separative e divorzili in virtù della L.54/2006 sull’affido condiviso e in applicazione della Convenzione di Strasburgo. Si pensi anche, per es., alle procedure per l’amministrazione di sostegno, che richiedono una valutazione diretta del giudice sullo stato dell’amministrando e l’ascolto dei parenti; o si pensi ai coniugi e ai genitori nelle vicende separative la cui audizione è frequente non solo nelle fasi iniziali ma nei numerosi sub-procedimenti per le modifiche, anche in corso di causa. Né può essere sottovalutato il diritto delle parti a consultarsi, frequentemente e in lunghi e faticosi colloqui, con il proprio difensore e a farsi assistere e rappresentare in ogni giudizio e davanti a tutti i giudici; attività attraverso cui si esercita e realizza 14 il diritto costituzionale alla difesa (art. 24 cost.); tanto più importante nelle vicende familiari che coinvolgono tutte le fasce sociali. Non può essere ignorato che la stragrande maggioranza dei patrocinii a spese dello Stato riguarda cause di materia familiare, nelle quali si può disporre di un solo legale che, necessariamente, deve essere vicino al luogo di residenza delle parti interessate, se la difesa deve essere un diritto reale e non un simulacro formale. rio della provincia, appare la soluzione più rispettosa del diritto dei cittadini alla giustizia; mentre l’ipotesi, che è stata prospettata, di un Tribunale per la famiglia con sede e competenza distrettuale e quindi regionale, che accorpi tutte le competenze e praticamente coincida con i Tribunali per i Minorenni attuali e con giudici, anche onorari, itineranti presso le sedi territoriali, appare violare i più elementari diritti dei cittadini all’accesso alla giustizia e alla difesa dei loro fondamentalissimi diritti. Anche oggi la sezione specializzata presso i tribunali ordinari, che abbracciano in genere il territo---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- *Nota n. 1 Dagli atti del Quaderno dell’AIAF n. 2 dell’anno 2004, “Il giudice e la persona: famiglia, individui, relazioni” pag. 227/230; relazione di sintesi del prof. Andrea Proto Pisani: linee di una modifica del processo civile minorile : a) previsione di un processo speciale accelerato e semplificato rispetto al processo ordinario di cognizione, ma a cognizione piena, cioè con forme e termini tendenzialmente predeterminati dal legislatore; b) inizio del processo, su domanda di parte o del P. M. con ricorso, con previsione di termini minimi a difesa del genitore o dei genitori (e del figlio) nei cui confronti si chiede il provvedimento; c) trattazione e decisione collegiale, con possibilità di delega a un singolo componente tendenzialmente del solo ascolto “protetto” del minore; d) tipicità della prova e delle sue modalità di assunzione nel processo nel contradditorio tra le parti; conseguente soppressione del valore probatorio delle relazioni dei servizi sociali che devono avere come unico destinatario il P. M.; e) attribuzione al giudice di poteri istruttori d’ufficio, nel rispetto del divieto di utilizzazione del proprio sapere privato (cioè del divieto di andare alla ricerca delle fonti materiali di prova, fonti che invece devono essere indicate dalle particompreso il P. M.- o emergere da atti legittimamente acquisiti al processo); f) definizione del processo con sentenza appellabile e ricorribile in cassazione; g) applicazione, per quanto non diversamente previsto, delle norme del primo libro e dei titoli primo e terzo del secondo libro del c.p.c. (e non già delle norme di cui agli art.737 ss. c.p.c.); h) attribuzione al P.M. del potere- di ampiezza pari a quello riconosciutogli dal c.p.p.- di ricerca delle fonti materiali di prova, anche con l’ausilio dei servizi sociali; i) previsione di un adeguato sistema di assistenza giudiziaria ai non abbienti nonché della difesa d’ufficio anche alle parti non comparse; l’applicazione dell’istituto della difesa d’ufficio deriva dalla contiguità col processo penale, consistente nel carattere fondamentalissimo dei diritti su cui incide la giurisdizione; l) previsione di provvedimenti cautelari urgenti nel corso o prima dell’inizio della causa di merito, nel rispetto degli articoli 669 bis e segg. e in particolare 669 ter, sexies, octies, terdecies; m) previsione che il minore debba acquisire la qualità di parte necessaria perché oggetto del processo sono innanzitutto i suoi diritti; n) attuazione dei provvedimenti sotto la direzione di un giudice singolo, facente parte della sezione specializzata, con il potere di determinare le modalità di esecuzione più adatte allo scopo; o) attribuzione al giudice che ha curato l’esecuzione del potere di provvedere sulle istanze di modifica che attengano alle modalità di esecuzione e non al contenuto del provvedimento; p) ristrutturazione dell’ufficio del pubblico ministero minorile, con la riappropriazione da parte di tale ufficio della pienezza dei poteri propri dell’organo di indagine, poteri oggi di fatto impropriamente svolti dal giudice. A tale scopo è necessaria una revisione degli organici dell’ufficio del pubblico ministero minorile; q) previsione della temporaneità delle funzioni di giudice (o di pubblico ministero) minorile: ciò per assicurare al massimo la garanzia della terzietà del giudice ed evitare che esso diventi troppo “parente” degli interessi su cui è chiamato a decidere. 15 L’ESIGENZA DI MODIFICA DEI PROCEDIMENTI DI FAMIGLIA: UN PROCEDIMENTO CON RITO UNICO, SNELLO E VELOCE Giulia Sarnari, Direttivo Nazionale AIAF L’AIAF, dal momento della sua costituzione nel 1993, ha sollevato il problema della necessità che il giudizio di separazione e di divorzio avesse una nuova formulazione normativa, dato che le diverse riforme del codice di procedura civile che si erano succedute sino a quel momento, non lo avevano mai intaccato e il processo familiare delineato dal legislatore del ’42, si era di fatto frammentato in tante prassi processuali differenti, tante quasi quanto le sedi giudiziarie esistenti sul territorio. Nel 2005, il legislatore, andando a ritoccare il diritto processuale civile, si è posto anche il problema della revisione del rito familiare e con la Legge 14 maggio 2005, n.80, lo ha modificato pesantemente, intervenendo poi ulteriormente anche con la successiva Legge 8 febbraio 2006, n.54, sull’affidamento condiviso. Tali interventi, tuttavia, lungi dall’avere delineato un processo familiare snello e veloce, un sistema processuale familiare moderno, hanno soltanto rafforzato l’esistente normativo, peraltro, ingarbugliandolo e dopo quattro anni dall’entrata in vigore di queste due leggi, ideate senza alcun raccordo tra loro e pensate come corpi normativi a se stanti, che casualmente si sovrappongono, si può affermare senza mezzi termini, che tale riforma è fallita e che il procedimento familiare oltre a presentare oggi, più di ieri, confini lacunosi ed incerti, gravi e grossolane incongruenze, così insanabili, che nessun pregevole sforzo interpretativo è riuscito a risolvere, é uno strumento assolutamente inefficace ad attuare la giurisdizione nelle controversie familiari. Chiunque si è occupato di trovare soluzioni interpretative coerenti, ha finito sempre con il concludere che è assolutamente necessaria una riforma legislativa del processo familiare, che intervenga in maniera ragionata e dedicata precipuamente alla questione della risoluzione del conflitto coniugale in sede giudiziaria. Il legislatore del ’42, senza voler analizzare la diversità di quel lontano contesto storico e socioculturale, che è cosa ovvia, aveva affidato al Presidente del Tribunale il compito di spendere la sua autorità per salvaguardare l’unità della famiglia, in primis riconciliare i coniugi e rimandarli a casa di nuovo uniti o, al più, separati consensualmente, con l’auspicio della riconciliazione, in un ordinamento che non conosceva il divorzio e nel quale le crisi familiari che si palesavano all’esterno delle mura domestiche erano poca cosa e nel quale non erano approntati sistemi e luoghi di gestione della crisi familiare diversi da quello giudiziario. Qualora il Presidente falliva in questo suo primario compito di riconciliazione e conciliazione, allo stesso il legislatore del ’42 aveva attribuito il potere di disciplinare la separazione con un’attività fortemente d’imperio, quasi censoria, immodificabile e con efficacia ultra attiva, in applicazione di un diritto sostanziale delle relazioni familiari ben diverso da quello attuale. A ben vedere, il tratto caratteristico che definisce il processo familiare riformato dalla Legge 80/2005 e dalla Legge 54/2006, entrambe in vigore da marzo 2006, è proprio quello della salvaguardia di questa funzione conciliativa del Presidente e fallita quest’ultima, della salvaguardia del suo potere di gestione del conflitto coniugale, così come previsto dal legislatore del ’42, attività entrambe che si ritengono fortemente pregiudicate, laddove il sistema dovesse imporre alle parti di formalizzare, a pena di decadenze e di preclusioni, le loro posizioni processuali, sin dall’inizio del giudizio. Le due leggi citate hanno rafforzato i poteri di ufficio del Presidente, sia direttamente (si vedano gli art.155 sexies c.c. e 708 c.p.c), sia attraverso lo svuotamento del potere di indirizzo del processo in capo alle parti, le quali non determinano il processo sin dall’inizio con i propri atti introduttivi del giudizio, ma lo subiscono; la legge 80/2005 ha di16 sposto che non vi è alcun obbligo di costituzione per il convenuto in sede presidenziale e ha reso il ricorso introduttivo del giudizio, un atto incompiuto e fluido, che può essere integrato dalla successiva memoria integrativa, dato che si sta affermando il convincimento che l’atto introduttivo del giudizio è un atto a formazione progressiva che inizia con il ricorso, ma che si può perfezionare con la memoria integrativa, con la quale, ben potrebbe essere avanzata una domanda non avanzata con il ricorso, ad esempio, una domanda come quella di addebito o di assegno coniugale. A nulla vale che il legislatore abbia anche disposto formalmente che dinanzi al Presidente, la parte deve sempre essere assistita dal difensore, perché il difensore è fortemente limitato dinanzi all’eccesso di potere d’ufficio del giudicante e laddove il processo vero inizia di fatto con gli adempimenti di cui all’art. 709 c.p.c. E magra consolazione rappresenta il rimedio del reclamo ex art. 708 c.p.c. dinanzi alla Corte di Appello, avverso il provvedimento presidenziale introdotto dalla legge 54/2006, laddove se è vero che questo è uno strumento che consente di rimettere le cose a posto dinanzi ad un eventuale scorretto esercizio del potere del Presidente, è anche vero che questa fase processuale in Corte di Appello espletata prima della memoria integrativa e della comparsa di costituzione di cui all’art. 709 c.p.c., si riversa sul procedimento di I grado, condizionandolo fortemente, prima ancora che le parti abbiano potuto farlo con gli atti introduttivi. Oggi spesso accade di trovarsi alla prima udienza di comparizione dinanzi al G.I. con alle spalle un’attività processuale molto densa ( ricorso e memoria presidenziale del convenuto, note difensive, qualora il Presidente si riservi, reclamo e costituzione dinanzi alla Corte di Appello, note difensive in sede di reclamo, attività istruttoria della fase Presidenziale e attività istruttoria in sede di reclamo, memoria integrativa e comparsa di costituzione ex art. 709 c.p.c.) e invece processualmente il processo è appena all’inizio, il thema decidendum ancora può essere modificato con l’espletamento delle memorie ex art. 183 c.p.c. 6° comma n. 1, laddove da taluno viene ritenuta ammissibile la c.d. reconventio reconventionis a seguito della domanda che può avere avanzato il convenuto con la comparsa di costituzione a norma dell’art. 709 c.p.c. Premettendo che occorre sempre tenere a mente, che nessun sistema processuale è celere e snello se non vi è possibilità di celere fissazione delle udienze e di celere assunzione dei provvedimenti, sia interinali che definitivi da parte degli uffici giudiziari, per individuare un sistema normativo processuale coerente con l’attesa di giustizia che le parti hanno in questo ambito e per affrontare radicalmente la vexata quaestio del processo familiare moderno, occorre, senza mezzi termini uscire dall’ empasse in cui ci si ritrova. Occorre affermare con schiettezza che la fase presidenziale, così come pensata dal legislatore del ’42, oggi non ha più ragion d’essere, perché esistono specifici luoghi e percorsi di risoluzione dei conflitti, diversi da quello giudiziario, sedi alternative al processo, sicuramente ancora perfettibili e che vanno ancora valorizzate, ma che sviliscono la rilevanza della fase riconciliativa e conciliativa, che in poche battute può svolgere il Presidente del Tribunale , all’udienza Presidenziale. Il ripensamento del processo familiare deve prendere le mosse dalla presa d’atto che se i coniugi giungono dinanzi al Tribunale è perché altri sistemi di risoluzione del conflitto coniugale sono falliti o non vogliono essere perseguiti e che quindi questi soggetti hanno attesa di giustizia, pretendono cioè che l’ordinamento applichi la giurisdizione per la tutela dei loro diritti personali e patrimoniali, scaturiti dalla crisi familiare. Senz’altro il Giudice, in forza della sua autorità giurisdizionale deve rivolgere ai coniugi l’invito a trovare una soluzione concordata ed, in tal senso, deve adoperarsi a sollecitare la conciliazione della lite, sia all’inizio che nel corso del procedimento, illustrando ai coniugi, come già debbono aver effettuato i loro difensori, che esistono anche altre modalità di soluzione del loro conflitto, più partecipate e negoziate, che non contrappongono le parti dinanzi ad un terzo giudicante; ben venga anche il contributo del Giudice alla conciliazione, con la rappresentazione alle parti di quello che è l’ambito della giurisdizione nel loro specifico caso e che l’intervento della giurisdizione nel conflitto familiare deve essere l’ultima ratio, specialmente laddove vi è da disciplinare l’affidamento della 17 prole, le cui sorti meglio sono determinate, se le decisioni sono assunte e attuate dai genitori e non imposte ed eseguite dalla giurisdizione, ma ribadito ciò, deve essere chiaro che continuare, oggi, a far ruotare il sistema processuale familiare intorno alla salvaguardia delle funzioni che il legislatore del ’42 attribuì al Presidente del Tribunale, è assolutamente inadeguato. E’ necessario riconoscere, peraltro, che questo approccio ideologico che ha guidato anche la recente riforma, a maggior ragione con i temperamenti dovuti all’affermazione di quei principi di giurisdizione (come l’obbligatorietà dell’assistenza del difensore all’udienza presidenziale e la necessità del riconoscimento della impugnabilità del provvedimento provvisorio e urgente del Presidente) che da tempo sono ritenuti unanimamente ineludibili, non può che creare un sistema processuale contorto e pieno di incongruenze, come è quello attuale. Non bisogna, dunque, avere il timore di affermare che se la crisi familiare giunge in un aula di giustizia, in un contesto ordinamentale che prevede forme di risoluzione del conflitto diverse da quello giudiziario, che giustizia sia, celere, snella, con meccanismi chiari, vera attività di giurisdizione, come ci si attende in un sistema di diritto che ne rivendica la necessità e non la demonizza, specialmente laddove questo sistema di diritto, propone e riconosce ampi spazi a forme di autotutela e di tutela extragiudiziale. Peraltro, sulla scorta dell’auspicabile istituzione del giudice specializzato del procedimento familiare e sulla presa d’atto che specie nelle sedi giudiziarie dei grandi centri, nelle quali da anni ormai non è certo il Presidente del Tribunale a svolgere l’udienza presidenziale, ma i Giudici della sezione specializzata facenti funzioni di Presidente, l’eliminazione della fase presidenziale non appare come una proposta di riforma così scioccante. E se non ci si dimentica, come spesso avviene, che i diritti che nascono dai rapporti familiari a seguito della crisi della famiglia, sono diritti soggettivi pieni, viene da sé, naturalmente e conseguenzialmente, affermare che il processo familiare deve essere un processo a cognizione piena, con amplissime garanzie giurisdizionali di tutela del contraddittorio e del diritto di difesa, nel qua- le la necessaria fase iniziale volta a disciplinare l’urgenza che la disgregazione della unità familiare impone, sia sotto il profilo dei rapporti personali che dei rapporti patrimoniali, deve senz’altro essere prevista, ma senza alcuna epurazione dalla giurisdizione, per la effettiva applicazione al caso concreto delle norme del diritto sostanziale di famiglia, con contenzione massima dei poteri d’ufficio, laddove anche in materia di minori il legislatore ha da ultimo affermato che il Giudice deve rispettare le scelte dei genitori. In tal senso, il giudice specializzato dovrà essere adito con un atto introduttivo completo a norma dell’art. 163 c.p.c., contenente tutte le domande che il giudice familiare deve esaminare (e sarebbe auspicabile che si ampliassero le sue competenze e l’ambito della giurisdizione del Giudice della famiglia, ritenendo, ad esempio, ammissibile che il Giudice della separazione possa anche disporre sulla amministrazione e sullo scioglimento della comunione legale) e contenente anche la specifica istanza dei provvedimenti da adottare per disciplinare in via immediata e urgente la crisi insorta. I termini a comparire dovranno in questo ambito essere brevi, sicuramente ridotti alla metà rispetto agli ordinari, data la natura della controversia, ma il coniuge convenuto avrà l’onere di comparire alla prima udienza previa costituzione contenente tutte le richieste, nonché le domande e le eccezioni rispetto alla istanza di urgenza, da depositare entro termini adeguati, sia per consentire all’attore di prendere contezza della difesa avversaria, sia per consentire al Giudice di prepararsi adeguatamente per la I udienza deputata alla trattazione dell’urgenza e all’attività di indirizzo del processo . Deve essere sancita per legge, l’obbligatorietà del deposito della documentazione fiscale e della documentazione bancaria delle parti, e della documentazione inerente alla situazione patrimoniale e reddituale che la parte deduce di avere. Alla prima udienza dovranno comparire personalmente le parti, che saranno ascoltate liberamente dal Giudice, ma nel contraddittorio tra loro e con l’assistenza dei difensori a norma di quanto dispone attualmente l’art. 183 c.p.c. 4° comma, poiché l’ascolto separato, come avviene oggi dinanzi al Presidente, non tutela il contraddittorio; oggi avviene che le parti e i loro difensori 18 svolgono la seconda parte dell’udienza presidenziale dedicata all’adozione dei provvedimenti provvisori e urgenti, senza sapere che cosa ha dedotto ed eccepito (talvolta anche documentato!) l’altra parte e l’altro difensore. Espletato tale incombente, il Giudice deve introdurre la discussione dei difensori sulle rispettive richieste di urgenza, all’esito della quale lo stesso adotterà i provvedimenti provvisori, volti a disciplinare nell’immediato come affrontare la crisi familiare. Senz’altro in questa fase il Giudice può avviare una mini istruttoria su istanza di parte e d’ufficio, laddove si verte di minori, a norma dell’art. 155 sexies c.c., e concedere termini difensivi di ampliamento del contraddittorio in merito alle questioni urgenti, ma tale attività deve essere nei limiti dell’adozione di una decisione che è provvisoria e urgente, per cui debbono essere stabiliti dei limiti temporali entro i quali il provvedimento provvisorio, deve essere assunto. Troppo spesso, ormai si assiste alla cattiva prassi di gestire la fase presidenziale in più udienze, tra perizie e indagini istruttorie molto minuziose che avrebbero dovuto essere demandate alla fase istruttoria. Il provvedimento di urgenza deve poter essere reclamato al Collegio della sezione specializzata, al pari di qualsiasi provvedimento cautelare, entro ovviamente rigorosi termini, poiché l’attuale reclamo in Corte di Appello, che come già evidenziato, sicuramente oggi funge da contrappeso all’esercizio errato e/o arbitrario dell’ampio potere del Presidente, non avrebbe ragion d’essere se il provvedimento provvisorio e urgente non è adottato dal Presidente e si eviterebbe quell’appesantimento della procedura al quale oggi assistiamo, laddove il Giudice di I grado si trova a gestire comunque un procedimento nel quale il Giudice di II grado ha già detto la sua, sia pur limitatamente al provvedimento provvisorio e urgente. Esaurita questa prima fase, si deve aprire la seconda fase della prima udienza di comparizione, a norma dell’art. 183 c.p.c. e il procedimento a quel punto seguirà le norme del processo ordinario di cognizione. Sarebbe opportuno stigmatizzare che nel momento in cui il Giudice ritiene la causa matura per la decisione (e ciò può avvenire anche alla seconda udienza, se le parti a norma dell’art. 183 c.p.c. non hanno espletato richieste ammissibili o non le hanno espletate affatto e non via siano mezzi di prova disposti di ufficio a norma dell’art. 183, 8° comma c.p.c.) trattenesse subito la causa in decisione, con i termini per le comparse conclusionali e le repliche conclusive, poiché la diffusissima prassi del rinvio ad altra udienza per “la precisazione delle conclusioni”, non ha proprio alcun fondamento normativo. Se si ampliasse la competenza giurisdizionale del giudice della separazione anche allo scioglimento della comunione legale, potrebbero trovare applicazione anche gli artt.186 ter e 186 quater c.p.c., ma senz’altro, deve essere previsto che nel procedimento familiare, con apposita istanza e nel rispetto del contraddittorio il Giudice possa emettere i provvedimenti di cui all’art. 709 ter. c.p.c., che senz’altro, pur perfezionato, deve essere conservato. Il provvedimento provvisorio, non reclamato o confermato, riformato/modificato in sede di reclamo, potrà essere modificato dal Giudice, solo in presenza di circostanze nuove, diversamente, esso regolerà i rapporti tra le parti sino alla sentenza. Del resto questo è oggi l’orientamento che prevale, laddove cercando di risolvere il contrasto tra l’art. 709 c.p.c. ult.co., introdotto dalla legge 80/2005 e l’art. 708 c.p.c. ult.co., introdotto dalla Legge 54/2006, si afferma in giurisprudenza che il G.I. può modificare il provvedimento presidenziale confermato/ revocato/modificato dalla Corte di Appello, o mai reclamato, solo in presenza di circostanze nuove, come peraltro è previsto per la materia cautelare. A ben vedere, infatti, ammettere che il provvedimento interinale possa essere sempre e comunque modificato è destabilizzante per il processo, che verrebbe ad essere frammentato in sub procedimenti di urgenza (che potrebbero anche essere infiniti) che vanno a minare la velocità e la regolarità della ordinaria attività istruttoria. Sarebbe auspicabile, nell’ottica di una completa riforma, che anche le controversie relative all’affidamento dei figli nati fuori del matrimonio fossero trattate dal medesimo giudice specializza- 19 to, attraverso l’espletamento del medesimo processo familiare, processo che deve assolutamente essere posizionato, nel libro II del codice di procedura civile, come è stato pensato per il processo del lavoro, e non lasciato tra i procedimenti speciali del IV libro del codice di procedura civile, la cui formula “speciali” non ha un accezione posi- tiva, ma significa deviazione dallo schema tipico del processo contenzioso ordinario, con attenuazione del principio del contraddittorio, “autentici modi di risolvere le liti più con la forza che con il diritto, strumenti d’imperio più che di giustizia” (Satta). 20 LA DEONTOLOGIA DELL’AVVOCATO NELLA GESTIONE DEL CONFLITTO FAMILIARE E NEI PROCEDIMENTI MINORILI. PROPOSTE DI INTEGRAZIONE DEL CODICE DEONTOLOGICO FORENSE. Milena Pini, Presidente AIAF La deontologia professionale dell'avvocato deve avere come principale riferimento i principi di responsabilità etica e sociale, poiché non è sufficiente rispettare regole e procedure relative alla prestazione professionale, ma occorre “valutare le conseguenze” del nostro operato, “chiedersi cosa accada se agiamo in un determinato modo ovvero se non compiamo determinate azioni e nei confronti di chi si producano tali conseguenze. Un avvocato può agire nel pieno rispetto delle regole che disciplinano l'esercizio della professione, ma se è incompetente o impreparato non tutela l'interesse del cliente e non svolge un servizio socialmente utile.” (1). Ciò è particolarmente vero nell'ambito dei procedimenti di famiglia e minorili, dove si accentuano i profili di discrezionalità e di responsabilità dell'avvocato, ma ad oggi il nostro codice deontologico non prevede norme specifiche di deontologia cui debba attenersi l'avvocato che tratta tale materia. Da tempo l'AIAF porta avanti, unitamente alla richiesta del riconoscimento della specializzazione, anche la richiesta di modifica del codice deontologico, che preveda norme obbligatorie per tutti gli avvocati, specialisti o meno, laddove assistano una parte in un procedimento di famiglia e norme ancor più specifiche per l'avvocato del minore, ruolo che deve essere esclusivamente demandato ad avvocati formati ed esperti in tale materia, ed iscritti in un elenco tenuto dall'Ordine degli avvocati e costantemente monitorato. Un intervento di modifica del codice deontologico dovrà comportare una più precisa specificazione dei doveri e comportamenti dell'avvocato che assiste la parte nei procedimenti di famiglia, e l'integrazione del codice con nuove norme vincolanti per l'avvocato che assiste il minore, o che è nominato suo curatore speciale. Sul dovere di competenza e di aggiornamento professionale (artt. 12 e 13), l'AIAF ritiene che in materia di diritto di famiglia e minorile la competenza debba necessariamente coincidere con una specifica formazione continua in materia, che peraltro non comporta il conseguimento della specialità. Il termine competenza è troppo generico, e deve essere inteso come acquisita esperienza, così come deve essere esplicitato il dovere dell’avvocato di accettare l’incarico solo se ha conseguito una formazione continua ed aggiornata in questa materia. La formazione dell’avvocato che assiste la parte in procedimenti di famiglia e minorili deve comportare l’acquisizione di conoscenze delle discipline sociali e psicologiche, e di competenze di negoziazione e mediazione nella gestione del conflitto familiare. Con la conseguenza di previsioni disciplinari laddove, nell'ipotesi di inadeguata o scorretta difesa lamentata dal cliente o accertata dall'Ordine, dovesse risultare la mancanza o carenza di formazione continua in diritto di famiglia e minorile, e nelle connesse discipline. Ad integrazione dell'art. 36, sull’autonomia del rapporto, è necessario precisare che l’avvocato, nell’assistere la parte nei procedimenti di famiglia e minorili, deve privilegiare gli strumenti della negoziazione e della mediazione per raggiungere, laddove possibile, soluzioni conciliative. Le Linee Guida elaborate dall'AIAF Veneto, inserite in un protocollo di intesa con gli Ordini e i tribunali locali, già hanno tramutato in pratica questi propositi, prevedendo che sia compito dell’avvocato: 1) Assumere l’incarico con l’obiettivo di aiutare la parte a confrontare le proprie aspettative/pretese con il dettato normativo e con gli orientamenti 21 giurisprudenziali, offrendo soluzioni che meglio la preservino dal disagio che sta vivendo, aiutandola anche a comprendere le ragioni dell’altra parte, svolgendo in tal modo una prima opera di mediazione. 2) Farsi carico di fare emergere in via prioritaria le esigenze della prole, nel tentativo di salvaguardare entrambe le figure genitoriali, stimolando nei genitori la consapevolezza che, malgrado i loro dissensi, non cesseranno di essere tali e come tali dovranno continuare a comportarsi nell’esercizio dei loro diritti-doveri al fine di una corretta valutazione delle esigenze morali e patrimoniali correlate al rapporto con i figli. 3) Prima di dar corso ad un procedimento contattare la controparte invitandola a confrontarsi stragiudizialmente con l’assistenza di altro legale per cercare una soluzione concordata. Promuovere a tal fine, con spirito di trasparente collaborazione, incontri e scambio di ogni documentazione atta a favorire l’intesa. 4) Farsi comunque carico di avvalersi di una competenza interdisciplinare servendosi, d’accordo con l’altra parte, di consulenti pubblici e/o privati per una migliore identificazione degli interessi delle parti e della prole, evitando di ricorrere unilateralmente a consulenze o perizie di parte. 5) Esaurita la possibilità di raggiungere un’intesa, nel caso in cui si debba promuovere un’azione giudiziaria, cercare di contenere l’atto introduttivo ed eventualmente la comparsa di risposta, evitando di acuire irrimediabilmente il conflitto, al fine di consentire una ripresa di tentativi di definizione conciliativa della vertenza, da privilegiare anche provocando l’intervento ad hoc del Giudicante. In merito all’obbligo di informazione (art. 40), che prevede il dovere di “informare chiaramente il proprio assistito all’atto dell’incarico delle caratteristiche e dell’importanza della controversia o delle attività da espletare, precisando le iniziative e le ipotesi di soluzione possibili” deve essere precisato che l’avvocato ha il dovere di informare il cliente sulle diverse procedure alternative di soluzione del conflitto. In particolare, nei procedimenti di famiglia e minorili, l’avvocato dovrebbe avere l’obbligo di informare il proprio assistito sulle pro- cedure finalizzate al raggiungimento di una soluzione concordata, mediante la negoziazione, il processo collaborativo, la mediazione familiare. E’ pure necessario prevedere che l’avvocato che assiste la parte nei procedimenti di famiglia e minorili non abbia colloqui con i figli minori del proprio cliente sulle circostanze oggetto del procedimento. L’avvocato deve piuttosto adoperarsi, anche con la parte che assiste, affinché i figli minori non vengano coinvolti nel conflitto. A tutela degli interessi dei minori, devono essere esplicitati gli obblighi dell’avvocato che assiste il minore, anche in veste di curatore speciale, e i limiti dei suoi rapporti con i genitori dei minori e altri terzi. Quanto alle norme deontologiche che vincolino l'operato dell'avvocato del minore, dovranno essere previsti (2): i doveri e i limiti del ruolo dell'avvocato del minore: l’avvocato del minore assiste il minore in piena indipendenza; gli fornisce una assistenza e consulenza legale; non si sostituisce al suo pensiero, ma lo aiuta a discernere e a far conoscere il suo pensiero. le modalità del rapporto che si instaura tra avvocato e minore: ad esempio, le modalità di incontro con questi, l'informazione sull'incarico e sui principi che disciplinano il mandato difensivo; alcune leggi che regolamentano in altri Paesi il rapporto tra l’avvocato e il minore, prevedono che l’avvocato riceva il minore solo, senza la presenza dei genitori e di altre persone che lo accompagnano, salva domanda contraria del minore stesso e in assenza di evidenti rischi o di conflitto di interessi; i compiti dell'avvocato nell'assistenza del minore che viene ascoltato dal giudice nei procedimenti che lo riguardano, ivi compresi quelli di separazione e divorzio; il dovere di segretezza e riservatezza che copre il rapporto tra l’avvocato e il minore, a tutela di questi, anche verso il giudice e verso i genitori, se esercenti la potestà il dovere, per l’avvocato che assista il minore, di preservare per quanto possibile la sua famiglia d’origine; 22 il dovere di proteggere il minore da ogni pregiudizio, durante il procedimento, e di vigilare e adoperarsi per il rispetto dei suoi interessi e della sua dignità; il dovere di adoperarsi affinchè il procedimento che coinvolge il minore si svolga con celerità, e con modalità organizzative che tengano conto della sua età, del suo grado di maturità, e delle sue esigenze; il dovere di creare e intrattenere un rapporto di fiducia con il minore, e di cessare l'incarico quando questo rapporto viene meno. Per quanto riguarda il rapporto dell’avvocato che assiste o abbia assistito un minore, e i genitori di questi, è necessario prevedere, ad integrazione dell’art. 51 (assunzione di incarichi contro exclienti) l’obbligo di astensione dal prestare attività a favore di uno o di entrambi i genitori in successivi procedimenti familiari. Alcuni di questi principi etici e di deontologia professionale, ad esempio per quanto riguarda le modalità di ascolto del minore nei procedimenti familiari, sono già stati recepiti nei Protocolli elaborati in diverse sedi dagli Osservatori della giustizia civile, cui partecipano avvocati, tra cui numerosi aderenti all’AIAF, e magistrati. Questo lavoro è stato molto utile per sensibilizzare gli avvocati e i magistrati e renderli più attenti nella tutela dei diritti delle persone e dei minori, ma resta l’esigenza di integrare il codice deontologico forense con norme giuridicamente vincolanti. Note: (1) Alarico Mariani Marini, Deontologia e responsabilità sociale:l'avvocato del minore, in Quaderni AIAF, 2004/1, 346. (2) Questi principi sono contenuti nella Charte nationale de l'avocat d'enfant, elaborata dalla Commission Droit des Mineurs de la Conférence des Bâtonniers de France, approvata dallAssemblea Generale del 25.1.2008 23 RUOLO DELL’AVVOCATO FAMILIARISTA E LIQUIDAZIONE DELLE PARCELLE: UNA QUESTIONE DI PARI OPPORTUNITÀ? Gabriella de Strobel, Giunta esecutiva nazionale AIAF È ormai sotto gli occhi di tutti che il ruolo dell’avvocato che tratta il diritto di famiglia non si limita alla contesa giudiziaria, e quindi alla fase processuale in cui le parti si confrontano davanti ad un giudice, ma investe, in un’ottica multi disciplinare, tutti gli aspetti della vita della famiglia che si separa. Il contesto giudiziario-processuale spesso è il punto di arrivo di un lungo e precedente processo mediativo- collaborativo-conciliativo che si svolge tra le parti, assistite dai rispettivi difensori e molto spesso anche con l’apporto di altri professionisti (notai, commercialisti, psicologi). La collaborazione tra avvocati si esplica con l’intento di favorire la conciliazione delle vertenze in fase stragiudiziale e ha come obiettivo quello di aiutare la parte a confrontare le proprie aspettative con il dettato normativo e con gli orientamenti giurisprudenziali, aiutandola a comprendere anche le ragioni dell’altra parte. Accanto a ciò, nel caso ci siano anche dei minori, il compito degli avvocati è quello di far emergere le esigenze dei minori, tentando di salvaguardare entrambe le figure genitoriali, valorizzando le relazioni genitori-figli che non dovranno subire traumi o interruzioni a causa della separazione dei genitori. Il tema della salvaguardia delle relazioni genitorifigli, di fronte anche al nuovo istituto dell’affido condiviso, è diventato delicato e fonte di lunghe discussioni e approfondimenti tra le parti. La nuova organizzazione della famiglia divisa con prole deve quindi tendere a salvaguardare le relazioni familiari, a rafforzare quelle relazioni già difficili, a favorire realmente l’accesso al genitore non collocatario. I genitori tra loro dovranno anche essere consapevoli della necessità-urgenza di mantenere una re- lazione tra loro, che gli consenta di condividere veramente tutte le scelte che riguardano i minori. Accanto a ciò, è necessario sempre più spesso addivenire ad una nuova regolamentazione globale dei rapporti patrimoniali, che non si limita alla definizione degli assegni di mantenimento per il coniuge più debole e/o per i figli minori, ma che involge tutto il patrimonio familiare. È sempre più pressante, infatti, l’esigenza, nel momento della separazione, di definire anche tutti i rapporti patrimoniali in essere tra i coniugi: conti correnti, titoli, fondi, proprietà immobiliari e mobiliari e ciò al fine di consentire ad entrambi i coniugi di poter offrire ai propri figli un nuovo e ricostruito contesto familiare adeguato. Queste operazioni, da effettuarsi nell’ambito del dettato normativo e da confrontarsi con le rispettive pretese delle parti, necessitano di un lungo periodo nel quale le parti si scambiano proposte e soluzioni. Ma altrettanto tempo è necessario per il difensore, per comprendere le ragioni e le pretese del proprio assistito, che poi devono essere confrontate con le ragioni e le pretese dell’altra parte. Frequentemente le trattative si concludono con accordi condivisi, che sempre di più riguardano sia gli aspetti personali della separazione (assegno-affidamento/assegnazione casa) che tutti gli “altri” aspetti patrimoniali della famiglia. Se si vanno a confrontare tutte queste attività con le tariffe vigenti, ma soprattutto con i criteri di liquidazione delle parcelle adottati nelle cause di separazione e di divorzio dai vari consigli dell’Ordine, ci si rende immediatamente conto come in realtà l’enorme mole di lavoro profusa dagli avvocati di famiglia , non viene affatto valorizzata, ma, anzi, forse svilita. 24 Criteri di liquidazione Il principio che regola la liquidazione delle parcelle, infatti, è dato dal valore della controversia e nel diritto di famiglia si è stabilito che nelle cause di separazione e divorzio, sia per quanto riguarda gli onorari che i diritti da applicare (in uno scaglione da 25.900 euro ad 51.700 euro e il massimo dello scaglione tra 51.700 euro e 103.300,00 euro), si applica lo scaglione del valore indeterminabile. Eppure, l’art. 6 della tariffa stabilisce che “nella liquidazione degli onorari a carico del soccombente, il valore della causa è determinato a norma del codice di procedura civile, avendo riguardo … nei giudizi per pagamento di somme … alla somma attribuita alla parte vincitrice piuttosto che a quella domandata”. Orbene per quale irragionevole motivo si deve, invece, considerare indeterminabile una controversia di separazione e divorzio, quando vi è sempre (o quasi) una parte soccombente, che deve quantomeno versare un assegno per molti anni, mettere a disposizione una casa (che ha un valore economico, considerato anche nel giudizio di separazione e divorzio) e magari pagare un risarcimento per la violazione di obblighi discendenti dal matrimonio? Non è accettabile che in tali situazioni venga applicato il valore indeterminabile, ma è certo che il criterio nasce da un’unica sentenza della Cassazione (Cass. Civ. Sez. II, 22.01.1999, n. 610) secondo la quale in una causa di separazione consensuale, per determinare l’onorario spettante all’avvocato, occorre riferirsi al valore della controversia, determinato in base alle norme del codice di procedura civile, ed “è pertanto da ritenersi di valore indeterminabile la controversia di separazione dei coniugi, non incidendo in alcun modo sulla determinazione del valore della controversia l’ammontare delle richieste economiche connesse”. Evidente è il salto logico della massima e l’attività assolutamente interpretativa della Corte, là dove afferma apoditticamente che “è da ritenersi” indeterminabile il valore della controversia. La Corte, insomma, in ipotesi di separazione non ritiene che si debba guardare al valore patrimonia- le degli assegni ad esempio o delle altre questioni patrimoniali trattate. Cosicché nei giudizi di separazione e di divorzio, che portano riconoscimenti patrimoniali anche ingenti, l’attività dell’avvocato viene calcolata mediamente e non rapportata all’attività effettivamente svolta. A tale criterio viene portato un correttivo, da alcuni Consigli dell’Ordine, con il quale si applica il valore patrimoniale superiore, nel caso in cui l’ammontare degli assegni di due annualità, superi nel massimo gli onorari del valore indeterminabile. Si deve anche segnalare un orientamento minoritario, seguito da alcuni Consigli dell’Ordine, secondo il quale ai procedimenti di separazione consensuale e divorzio congiunto andrebbe applicato l’onorario unico stabilito dalla tabella A paragrafo 7, cove 50 sub A, relativo ai procedimenti speciali avanti al Tribunale (si noti che tali procedimenti speciali comprendono: procedimenti avanti il giudice tutelare, le separazioni e i divorzi consensuali, i procedimenti per modifica delle condizioni di separazione o divorzio, i procedimenti civili avanti al Tribunale dei Minorenni, i procedimenti concorsuali per dichiarazione di fallimento, istanze di insinuazione al fallimento o convalide di sfratto, accertamenti tecnici preventivi, correzione errore della sentenza, procedimenti ex art. 101 L.F, altri procedimenti in Camera di Consiglio) Ora è noto che, per arrivare ad accordi di separazione consensuale e di divorzio congiunto, vi è molto spesso da un lato un’attività stragiudiziale ingente, delicata e complicata e dall’altro sempre più frequentemente in tali accordi viene condensata la ridefinizione di tutti i rapporti della famiglia in questione, sia relazionali che patrimoniali. Riguardo alla definizione delle questioni patrimoniali, oltre agli assegni, spesso vengono raggiunti accordi che riguardano la proprietà immobiliare (prevedendo assegnazione di immobili in proprietà o il trasferimento di proprietà immobiliari, non solo con riferimento alle case coniugali, ma anche ad altri immobili, ad esempio di vacanza), la divisione di beni in comunione legale, il trasferimento o la cessione di quote societarie, l’attribuzione dei saldi dei conti correnti, titoli, azioni, l’attribuzione 25 in proprietà di auto e beni mobili senza dimenticare la “liquidazione una tantum” che viene concordata in sede di divorzio, che molto spesso riguarda somme molto ingenti. A proposito della redazione di tali accordi, la tariffa speciale non prevede l’onorario per la redazione del verbale di separazione o di divorzio, semplicemente perché non è previsto e l’onorario da liquidare è unico, anche se tali verbali comprendono operazioni patrimoniali di ingente valore, che evidentemente non trovano un adeguato compenso nelle tariffe. Nè è prevista l’opera prestata per la conciliazione, perchè tale voce è applicabile solo se la vertenza già pende in fase giudiziale. Nell’ipotesi di assistenza di entrambi i coniugi da parte di un unico difensore è riconosciuta la semplice maggiorazione del 20% degli onorari, art. 5 n. 4 della tariffa, per l’assistenza prestata ad una parte oltre le prime. Si redige quindi, in tal caso, un’unica nota con onorario complessivo, più il 20% che verrà suddiviso a metà tra i coniugi e con emissione di 2 fatture (i diritti invece rimangono esposti una sola volta!). Nel caso di separazione o divorzio giudiziale si ritengono, stante sempre il valore indeterminabile della controversia, applicabili tutte le voci previste per il procedimento avanti il Tribunale nelle sue varie voci: 1) 2) 3) 4) vo 5) 6) Studio della controversia Consultazioni con il cliente Ricerca documenti Preparazione e redazione dell’atto introduttiAssistenza alle udienze Assistenza ai mezzi di prova eccetera Si ritiene infatti che la natura contenziosa del procedimento non sia esclusa dalla fase presidenziale, preordinata all’esperimento del tentativo di conciliazione. Secondo un consolidato orientamento, il provvedimento di separazione personale dei coniugi è unico, seppur distinto in due fasi, delle quali anche la presidenziale ha carattere contenzioso (Cass. Civ. 24.6.1989, n. 3095). Nell’ipotesi invece in cui, instaurata la separazione giudiziale, all’udienza Presidenziale si trovi una soluzione consensuale, con la redazione di un verbale d’udienza avente valore conciliativo/transattivo con conclusioni concordate, verrà applicato l’onorario per il procedimento ordinario (studio della controversia, consultazione, preparazione e redazione atto introduttivo, udienza in Camera di Consiglio) al quale può essere aggiunto la voce dell’onorario previsto per “l’opera prestata per la conciliazione ove avvenga in sede giudiziale”, riconosciuto peraltro anche nel caso in cui la causa venga transatta stragiudizialmente (Cass. 1997/7223) Spesso, come già detto, l’attività dell’avvocato matrimonialista si esplica anche in un ambito stragiudiziale prodromico al processo e in altre fasi stragiudiziali a latere del processo, che si concludono con convenzioni, scritture private, accordi stragiudiziali. In presenza di tale duplice attività, poiché la regola è che gli onorari richiesti per prestazioni stragiudiziali relative a questioni oggetto di successivo sviluppo giudiziale o comunque strumentali, devono ritenersi assorbiti negli onorari maturati nella fase giudiziale, vi è la possibilità secondo alcune decisioni dei C.O. di aumentare gli onorari nello scaglione appena successivo di “particolare importanza ed indeterminabile”. Cosicché non sono previste singole voci di onorario, ad esempio, per una promessa di compravendita, per un accordo di assegno di mantenimento maggiore di quello previsto nella causa, per una liquidazione per lo scioglimento di una comunione legale o ordinaria eccetera. Il cumulo (tariffa giudiziale e stragiudiziale) è previsto, infatti, solo qualora la prestazione svolta non trovi adeguato compenso nella tariffa giudiziale (art. 2 DM 127/04) e l’attività stragiudiziale non sia prodromica a quella giudiziale: è evidente in tal caso che la discrezionalità con cui si opera la liquidazione, appare assoluta e slegata da ogni criterio oggettivo. Il C.O. di Verona ha posto un correttivo a tale criterio prevedendo, ad esempio, la possibilità di aumentare gli onorari nello scaglione appena successivo “di particolare importanza ed indeterminabile”. Per completezza si segnala che tutti i procedimenti in Camera di Consiglio o davanti al Giudice tu- 26 telare, non contenziosi, sono considerati procedimenti speciali, e quindi viene ad esempio applicato l’onorario unico di valore indeterminabile nelle seguenti procedure: procedimento avanti al Tribunale per i Minorenni art. 330 ss. c.c., procedimento davanti al Tribunale per i Minorenni per la regolamentazione dei rapporti tra genitori naturali, procedimento ex art. 148 c.c., procedimento ex art. 708 ultimo comma c.p.c. ( reclamo contro i provvedimenti presidenziali) avanti la Corte d’Appello procedimento ex art. 739 c.p.c. avanti al Tribunale ( contro i decreti del Giudice Tutelare) Mi pare superfluo commentare che i procedimenti camerali sopra indicati sono a volte più delicati e complessi dei procedimenti contenziosi che si svolgono avanti il Tribunale ordinario e che la competenza attribuita al TM anche in materia economica genera una diversa e quindi anche illegittima liquidazione degli onorari a seconda del giudice adito, certamente censurabile. Esempio. Attività proc. ex art. 155 c.c. avanti il Tribunale per i Minorenni Attività minima (1 udienza, 2 atti), nessuna Ctu, nessun rinvio per ricerca accordo transattivo Valore indeterminabile ONORARI Studio della controversia Consultazioni con il cliente Preparazione e redazione atto introduttivo Assistenza a ciascuna udienza Memorie depositate fino all’udienza di pc TOTALE MINIMO 210 MASSIMO 1.255 110 630 170 995 45 245 100 580 635 3.705 Onorario fisso per procedimenti speciali – avanti ai Tribunali MINIMO 250 MASSIMO 1.725 Da ultimo segnalo, invece, un’interessante sentenza del Tribunale di Modena sent. 1113 del 03.08.2009 che, evidentemente, recependo le nuove e aumentate competenze degli avvocati di famiglia, ha liquidato un onorario superiore al valore indeterminato, applicando il criterio della causa di valore rilevante e di particolare importanza, in una separazione personale piuttosto complessa e riferita solo alla regolamentazione dei rapporti della prole minorenne con i genitori, valorizzando quindi nel massimo l’opera intellettuale prestata dell’avvocato. E in questo caso non vi erano questioni patrimoniali! L’importanza delle questioni sollevate, la delicatezza degli argomenti trattati nelle cause di famiglia, impone una profonda rivisitazione dei criteri per la liquidazione delle parcelle. L’applicazione del valore indeterminabile, il non cumulo tra attività stragiudiziale e giudiziale, la mancata valorizzazione dei reali rapporti patrimoniali in gioco e risolti, la non valorizzazione degli accordi a latere, la mancata liquidazione dell’opera per la conciliazione o il solo semplice aumento del 20% quando si assistono entrambi i coniugi, l’onorario unico per i procedimenti speciali, inducono a chiedere in primis agli stessi Ordini di rivedere radicalmente i criteri oggi applicati che non corrispondono affatto al tempo, lavoro e professionalità che gli avvocati di famiglia dedicano a tali attività. Infine è doverosa una riflessione conclusiva: i criteri di liquidazione adottati dai C.O. formati principalmente da avvocati di sesso maschile, di fatto penalizzano l’enorme attività altamente professionale che le avvocatesse dedicano alla trattazione del diritto di famiglia e minorile, dove è notoriamente preponderante l’attività svolta dalle donne professioniste. Anche la liquidazione delle parcelle in materia di diritto di famiglia, diventa dunque una questione di pari opportunità, riguardando prestazioni effettuate prevalentemente da colleghe, ed è urgente porvi al più presto un rimedio, sia all’interno dei C.O. sia attraverso la revisione delle tariffe professionali. 27