Italian Sounding - Camere di Commercio

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Italian Sounding - Camere di Commercio
Italian Sounding
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UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI TORINO
FACOLTÁ DI ECONOMIA
RELAZIONE DI LAUREA
Italian Sounding:
opportunità di mercato o nuova frontiera della
contraffazione?
Relatore:
Prof.ssa Anna Claudia Pellicelli
Correlatore:
Prof. Oreste Calliano
Anno Accademico 2008/2009
Tesi Specialistica – Economia e Direzione delle Imprese
Italian Sounding
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Questa tesi è stata realizzata con la collaborazione e supervisione del Dott. Filippo Petz
– Responsabile del Desk per la Tutela della Proprietà Intellettuale della sede di Taipei –
e con il sostegno del Dott. Leopoldo Sposato
– Direttore dell’Italian Economic, Trade and Cultural Promotion Office di Taipei –
durante un periodo di stage e studio a Taiwan.
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Newsletter da Ministero dello Sviluppo Economico – Dipartimento per l’impresa e
l’internazionalizzazione – Ipr Desk per la Tutela della Proprietà Intellettuale, sede di
Taipei, maggio 2009.
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TAIWAN
Italian Sounding
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Indice
Premessa
Capitolo 1 – Il “made in” come garanzia per il cliente
1.1.
Il principio “Paese di Provenienza”
1.2.
Il Made in Italy: cenni e settori chiave
1.3.
Gli attributi collegati al “Made in Italy”
Tabella 1.3.1. Gli attributi riconosciuti al Made in Italy
1.4.
Classificazione del “Made in”: procedure e difficoltà
Allegato 1.4.1. Normativa per la definizione dell’origine delle merci
1.5.
Metodi per la salvaguardia e critiche
1.6.
Evoluzione verso il “Designed in”
1.7.
Situazione di mercato: l’apprezzamento all’estero e le due vie
Grafico 1.6.1. Il mercato estero e le due vie per il Made in Italy
Capitolo 2 – Il “Trade Dress” e l’ “Italian Sounding”
2.1.
Il Trade Dress
2.2.
Prodotti ingannevoli e non
2.3.
I prodotti “Italian Sounding”
Grafico 2.3.1.
2.4.
Mezzi e categorie distintive per l’”Italian Sounding
Tabella 2.4.1.: Manifestazioni dell’Italian Sounding
2.4.1. Il marchio simil italiano
2.4.2. Due linee di prodotto e una sounding
2.4.3. Marchio “civetta” nei negozi
2.4.4. Stesso marchio ma diversa categoria
2.4.5. La bandiera o i riferimenti geografici
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2.4.6. Il sounding da carenza di offerta
2.4.7. Dicitura “prodotto italiano”
2.5.
Individuare i prodotti “Italian sounding”
Tabella 2.5.1. Individuazione del prodotto “sounding” non originale
2.5.1. Approfondimento della dubbia percezione iniziale
Allegato 2.5.1.1: Brand Story “Macanna”
Tabella 2.5.1.1.: Rivenditori e monomarca Macanna
Allegato 2.5.1.2.: Brand Story “Marcobelli”
2.5.2. Importanza della ricerca per marchi e brevetti
2.5.3. Determinazione del “sounding” tramite variabili
Tabella 2.5.3.1: Assegnazione punteggi per variabili
Immagine 2.5.3.1.: Classificazione dell’italian sounding per variabili - positivo
Immagine 2.5.3.2.: Classificazione dell’italian sounding per variabili - negativo
2.6.
Evoluzione da sounding a brand
2.7.
Il differenziale di prezzo
Grafico 2.7.1.: Differenziale di prezzo prodotti ingannevoli e non
Grafico 2.7.2.: Differenziale di prezzo prodotti ingannevoli e non
Tabella 2.7.1: Prodotti ingannevoli e non a Taiwan – sughi pronti
Grafico 2.7.3.: Differenziale di prezzo dei prodotti ingannevoli e non a
Taiwan – sughi pronti
2.8.
La ristorazione nella determinazione del “sounding”: un settore particolare
Tabella 2.8.1. La ristorazione: variabili considerate (27)
2.9.
Considerazioni conclusive
Capitolo 3 – La Regolamentazione per il “sounding”: il ruolo del consumatore
3.1.
Il fine del “fare impresa” ed i diritti dei consumatori
3.2.
La regolamentazione anti-contraffazione
3.3.
Il quadro normativo internazionale e l’attuazione europea
3.4.
La legislazione sulle indicazioni di provenienza in Italia e limiti
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Tabella 3.4.1.: Indicazioni necessarie sul packaging di prodotto circa la
provenienza
3.4.
L’accordo TRIPS
Tabella 3.4.1. Aree di intervento del TRIPS
Tabella 3.4.2.: Principi alla base del TRIPS
Tabella 3.4.3.: Dettaglio requisiti per i Paese aderenti al TRIPS
3.5.
Una legislazione per il “sounding” con riferimenti a Taiwan
Allegato 3.5.1.: TRIPS Sez. II sui Trademark, Articolo 15, Cosa si può
proteggere
Allegato 3.5.2.: TRIPS Sez. III sulle Indicazioni Geografiche, Articolo 22,
Protezione delle indicazioni geografiche
Allegato 3.5.3.: TRIPS Parte III sul Rafforzamento dei Diritti di Proprietà
Intellettuale, Articolo 41, Obblighi Generali
Tabella 3.5.1. Paesi con la minor attenzione alla tutela di IPR
Tabella 3.5.2. Priority Watch List, “Special 301 Report” dell’ USTR – United
States Trade Representative - aprile 2009.
Tabella 3.5.3. Watch List, “Special 301 Report” dell’ USTR – United States
Trade Representative - aprile 2009.
3.6.
Il ruolo delle indicazioni geografiche
Capitolo 4 – Osservazioni conclusive per competere
4.1.
Conclusioni sul “sounding”
Allegato 4.1.1.: Critica alla visione italiana dell’Italian Sounding
4.2.
Protezionismo vs liberismo
4.3.
Le vie per la competitività
Allegato 4.3.1. Workshop Agroalimentare “Sapori d’Italia nel mondo 4” – Ho
Chi Minh, Taipei
4.4.
Enti a sostegno della promozione economica e culturale
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Premessa
Trovandomi in un paese estero ed occupandomi tra le altre cose di individuare
problematiche che colpiscano le imprese italiane nell’odierno contesto di serrata
competizione, ma soprattutto avendo a disposizione un sostegno alla ricerca sul
campo da parte di organi competenti, ho avuto la possibilità di focalizzare la mia
ricerca su un fenomeno che si sta sempre più diffondendo e per il quale non esistano
ancora molte fonti di letteratura economica.
Questo lavoro prenderà in considerazione aspetti dell’economia italiana sorti negli
ultimi anni e che stanno raggiungendo dimensioni importanti. Verrà analizzato in
particolare il fenomeno dell’Italian Sounding, trattando l’argomento partendo dalla
teoria per arrivare ad esempi pratici riscontrati sul mercato. I particolari riferimenti
saranno su quello Taiwanese. Si cercherà dunque di chiarire se questa tendenza sia
dovuta ad opportunità di mercato non pienamente sfruttate dai produttori italiani, ma
bensì individuate dagli imprenditori stranieri o se vi sia una componente di illegalità.
Verrà toccato in parte l’argomento “contraffazione”, ci riferiremo al concetto di
“provenienza dei prodotti”, porremo alcune importanti considerazioni sul valore del
“Made in” e lo sfruttamento del bagaglio di attributi che lo caratterizzano. Faremo
riferimento al suo utilizzo a volte illegittimo ed ai metodi di certificazione utilizzati per
la sua determinazione.
Andremo poi a presentare e descrivere il fenomeno del cosiddetto “trade dress”
parlando nello specifico del “sounding”. Definiremo alcune categorie e ci
soffermeremo su alcuni settori strategici per individuare così quale sia il vantaggio
nello sfruttamento di tale strategia da parte degli operatori stranieri e quali le
opportunità discendenti da un uso delle informazioni al limite della legittimità.
Parleremo del ruolo centrale rivestito dal consumatore, dell’importanza della sua
tutela ai giorni nostri e degli accordi WTO internazionali per garantire una corretta
informazione.
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Ci addentreremo a parlare della protezione della proprietà intellettuale mediante i vari
tipi di registrazioni, individuando le delicate problematiche inerenti la definizione di ciò
che sia o meno tutelabile.
Le divergenze legislative, in un’economia che opera ormai su scala globale, crea ancora
di più i presupposti per lo sfruttamento di nomenclature, denominazioni o riferimenti
in modo illegittimo, ovvero che non si fondano sulla vera natura del prodotto.
Si parlerà quindi dello sfruttamento di strategie di marketing basate sull’uso parziale di
caratteri distintivi italiani per spuntare prezzi superiori sul mercato e riscuotere un
maggiore successo, e fondate su studi di mercato che vedono i prodotti nostrani come
detentori di alta qualità.
Parleremo dunque di:
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Opportunità di mercato o nuova frontiera della contraffazione?
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Capitolo 1 – Il “made in” come garanzia per il cliente
1.1.
Il principio “Paese di Provenienza”
Il principio “Paese di Provenienza”, denominato “Country of Origin” ed abbreviato
usualmente con la sigla COO, costituisce la base da cui partire per seguire questa
trattazione.
Se questa informazione, oggi, permette al consumatore di conoscere caratteristiche
non particolarmente evidenti riguardo il prodotto, come il luogo in cui sia stato
costruito o lavorato, la provenienza dei materiali impiegati e la proprietà intellettuale,
le origini della sua applicazione non prevedevano gli stessi obiettivi. Negli anni ’60,
infatti, l’indicazione di provenienza veniva imposta dagli importatori Tedeschi e
Francesi sulla merce tessile e calzaturiera, al fine di indicare ai consumatori locali che
tali prodotti non venivano realizzati nel loro paese (1).
La scritta “Made in Country” ha l’obiettivo di facilitare il libero movimento di merci o
servizi al fine di incoraggiare la competizione transnazionale, o per incoraggiare
individui od imprese a testare altri mercati senza doversi stabilire in altri paesi e
doversi adattare anche alle diverse legislazioni vigenti. Per quanto riguarda la
legislazione dell’Unione Europea, per risolvere situazioni di conflitto all’interno degli
stati membri, vengono applicati il principio di “Country of Origin”, oltre che del Paese
Ricevente” secondo il quale la transazione debba essere regolata dalla legislazione
dello stato che riceve la prestazione.
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(1)Le industrie manifatturiere tessili e calzaturiere, infatti, gia’ dall’immediato dopoguerra erano state
scartate da economie come Germania, Francia e Gran Bretagna in quanto piu’ povere ed adatte a paesi
non tecnologicamente sviluppati quale ad esempio l’Italia, a quei tempi, e le regioni del Sud Est Asiatico,
ai giorni nostri.
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Tale principio afferma inoltre che se un’azione o servizio venga realizzato in un paese
ma ricevuto in un altro, la legge applicabile sia quella dello stato in cui sia stato
realizzato, e l’obiettivo è informare l’utente sull’origine del prodotto che sta
acquistando, poiché questa caratteristica non può essere sempre evidente. Mira
dunque a consentire di prendere scelte consapevoli sui propri acquisti. In alcuni casi, il
fatto di sapere che cosa si stia comprando è un elemento che il consumatore non
trascura, si pensi al cibo od ai medicinali.
Va anche ricordato che la denominazione di paese d’origine viene ancor più
considerata quando il consumatore sia meno coinvolto e meno familiare con il
prodotto e risulta essere ancor più una variabile chiave quando si consideri l’acquisto
di prodotti di lusso (2).
Nagashima può essere considerato uno dei precursori della teoria dell’immagine del
Paese di origine, scrisse infatti nel 1970 un insieme di contributi dedicati alla
complessa tematica dell’immagine delle nazioni. Egli definì l’immagine Paese come “la
rappresentazione, la reputazione, lo stereotipo che gli uomini d’affari e i consumatori
associano ai prodotti di un paese”. Sottolineò l’influenza di variabili quali le
caratteristiche nazionali, il background economico e politico, la storia, le tradizioni e i
prodotti rappresentativi per la determinazione dello stereotipo proprio di una nazione.
Secondo lui esisteva, dunque, un legame percettivo tra gli stereotipi nazionali e precise
categorie merceologiche dove i prodotti sono considerati tipici di alcuni paesi, si pensi
ai profumi francesi, alla pasta italiana e agli zoccoli olandesi. In questi casi le strategie
di marketing utilizzate per tali prodotti in genere utilizzano riferimenti espliciti alle
origini nazionali per affermarsi all’estero. Tali stereotipi di paese tendono quindi a
diventare specifici per quel settore o prodotto.
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(2) Piron, Journal of Consumer Marketing, 2000, “Consumers’ perceptions of the country-of-origin effect
on purchasing intentions of (in)conspicuous products”. Analizza l’effetto dell’importanza del Country of
Origin tra i prodotti di lusso vs quelli necessari (e tra quelli pubblici vs i privati) raggiungendo la
conclusione che l’impatto e’ più grande sui primi.
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Da un punto di vista marketing, tali classificazioni, consentono di differenziare il
prodotto dai concorrenti. Per spiegare meglio questo concetto possiamo fare
riferimento ad alcuni articoli e ricerche (3) che sostengono che il “country of origin” ha
un grande impatto sulla percezione da parte del consumatore del prodotto,
determinando o meno la sua volontà ad acquistare, ed ad altri studi che dimostrano
che i consumatori possono avere una relativa preferenza per prodotti provenienti dal
proprio paese o, per quelli provenienti da altre nazioni, predilezione o avversità (4).
L’effetto della dichiarazione del Paese di Provenienza sugli acquisti è tuttavia dibattuto
dagli accademici dato che altri studi hanno evidenziato che sta diventando sempre più
importante la componente del “design di prodotto” piuttosto che il luogo di effettiva
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(3) Josiassen and Harzing, European Management Review, 2008, "Descending from the ivory tower:
Reflections on the relevance and future of country-of-origin research". In questo articolo gli autori
criticano Jean-Claude Usunier (2006), che afferma che la ricerca riguardo l’impatto del paese di origine
(COO) nel processo di acquisto sia di scarsa rilevanza sia per i consumatori che per le imprese,
dichiarando l’importanza del concetto di COO e confutando le passate ricerche. Queste, infatti,
dovrebbero essere guidate da fattibilità invece che da rilevanza teoretica o pratica.
(4) Shimp and Sharma, Journal of International Business Studies, 1987. Hanno sviluppato il Consumer
Ethnocentric Tendencies Scale (CETSCALE) per misurare l’impatto morale sui consumatori e la loro
tendenza ad acquistare prodotti stranieri od etnocentrici. La studio propone un questionario di 17
domande che si e’ rivelato molto piu’ accurato delle variabili demografiche.
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produzione (5).
Secondo la Commissione Europea, il COO, ovvero Country of Origin, è la nazionalità
“economica” delle merci nel commercio internazionale e ve ne sono di due tipi, ovvero
di natura preferenziale e non. L’origine preferenziale conferisce alcuni vantaggi per le
merci scambiate tra particolari paesi, e cioè l’ingresso con tassi di dazio ridotti o nulli.
La natura economica non preferenziale, invece, determina l'origine dei prodotti
soggetti a tutti i tipi di misure di politica commerciale (ad esempio, le misure
antidumping, le restrizioni quantitative) od i contingenti tariffari.
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(5) A) Usunier e Ghilsaine, Journal of International Marketing, 2007, "Product ethnicity: Revisiting the
match between products and countries". Gli autori affermano che i consumatori fanno associazioni
stereotipate tra prodotti e paesi di produzione a seconda della loro soggettiva percezione riguardo il
know-how, la reputazione in progettazione, la qualità di fabbricazione, o i marchi del paese. Quando tali
associazioni sono condivise su scala mondiale, si ha un’etnicità di prodotto che si basa su associazioni
dei consumatori tra un paese ed un particolare prodotto. Con i loro studi gli autori individuano la
"tendenza ad un’associazione con il proprio contesto" perché gli intervistati tendono ad associare le
merci con il proprio paese. Gli autori, analizzando paesi tra cui Cina, Messico, Germania e USA, correlano
l’etnicità di prodotto e la tendenza ad associazione con il proprio paese con la letteratura riguardante il
“paese d’origine”, arrivando alla conclusione che i consumatori preferiscono comprare prodotti che
sono più congruenti con l’etnicità di prodotto (un particolare prodotto è percepito migliore se
proveniente da un determinato paese). B) Usunier, European Management Review, 2006, "Relevance
versus convenience in business research: The case of country-of-origin research in marketing"; Usunier,
Revue Française du Marketing, 2002, "Le pays d'origine influence-t-il encore les évaluations des
consommateurs?". In questi articoli l’autore presenta l’argomento di marketing internazionale su come
un prodotto del paese d'origine influenzi le valutazioni dei consumatori e ne analizza lo sviluppo nel
tempo.
1.2.
Il Made in Italy: cenni e settori chiave
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Soprattutto a partire dagli anni ’80, i prodotti italiani hanno subito una rivalutazione
sia per quanto riguarda la produzione artigianale che industriale. Pian piano si e’
venuta a costruire quella fama che, riconosciuta ampiamente all’estero, ha permesso
di ottenere il vantaggio commerciale proprio dei prodotti di qualità facenti riferimento
al “Made in Italy”.
Una rivista giapponese, in quegli anni, svolse accurate ricerche per cercare di indivuare
quale fosse il segreto che permettesse alle piccole imprese italiane, apparentemente
fragili, di ottenere tanti successi. Il risultato non fu una semplice strategia imitabile,
poiché la possibilità di competere poggiava su una cultura di prodotto molto forte che
proveniva da lontano, ovvero dalla storia artistica ed artigianale che fondava le sue
radici nelle botteghe rinascimentali e nell’ingente patrimonio storico, dove la cultura
estetica insieme all’orgoglio artigiano conducevano alla realizzazione di un prodotto di
alta qualità, dove l’artefice, prima ancora che per denaro, cercava di raggiungere la
propria soddisfazione personale in un prodotto quasi d’arte.
Possiamo evidenziare due modi in cui considerare il “Made in Italy”. Il primo come un
fenomeno relativamente recente, ovvero degli ultimi cinquant’anni, sviluppatosi per
una serie di coincidenze: il basso costo del lavoro del dopoguerra, la nascita di una
nuova generazione imprenditoriale, il successo di alcuni stilisti e designer e la voglia del
popolo italiano di riscattarsi dopo le Seconda Guerra Mondiale; il secondo, invece, si
riferisce ad una prospettiva tradizionalista della cultura italiana, dove cultura, arte,
artigianato, abilità manifatturiera, territorio e memorie storiche interagiscono
reciprocamente.
Oggi però, con il crescere della commercio globale, la fama di un tempo si sta
erodendo e si necessita di interventi che facciano fronte alla difficoltà di competere
con economie dove la forza lavoro sia a basso costo e dove la qualità manifatturiera
sta vedendo sempre più miglioramenti.
Probabilmente a causa del tradizionale individualismo italiano, anche per quanto
riguarda la frammentazione settoriale delle organizzazioni imprenditoriali, le azioni
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coordinate, seppur nell’ambito di un solo settore, sono molto difficili e raramente
raggiungono i risultati sperati.
Inoltre, proprio a causa del gran numero di piccole e medie imprese prevalentemente
a conduzione familiare tipiche della nostra economia, sembra opportuno pensare che
la valorizzazione del “made in Italy” sia compito degli organismi pubblici, ma così
facendo si rischia di incorrere in un’illusione politico-economica. Azioni quali la tutela
dei marchi italiani ed il marketing operativo da sviluppare nelle fiere internazionali
sono compiti sostenuti principalmente dagli enti governativi per lo sviluppo di
un’economia di esportazione, ma l’azione imprenditoriale in primo luogo, che
dovrebbe puntare sulla valorizzazione della cultura e dello stile italiano e su come
questi elementi interagiscano con i prodotti, porterebbe anch’essa immediati risultati.
Le azioni dovrebbero dunque basarsi su un pensiero imprenditoriale comune, al fine di
ottenere una riscoperta del valore universale della cultura italiana e dei suoi prodotti.
In generale possiamo dire che i prodotti italiani si contraddistinguono per l'elevato
contenuto creativo attraverso l'intero processo industriale, elemento che giustifica la
nascita del termine “Italian style”.
Alcuni settori merceologici godono, più di altri, di un’elevata fama per la qualità del
“Made in Italy”. Esempi eclatanti sono l’industria automobilistica “veloce”, la moda,
l’artigianato (che comprende al suo interno la gioielleria, gli occhiali, la pelletteria e
l’abbigliamento calzaturiero e sartoriale) e l’industria alimentare (tra cui prodotti da
forno, pasta e pizza, la pasticceria, la gelateria, le carni e gli insaccati, l’industria
casearia, gli alcolici e l’acqua), le biotecnologie, l’arredamento e le machine utensili.
Sebbene si parli di recessione economica e i rapporti di Confartigianato denuncino la
necessità di maggiori azioni a tutela delle PMI, a livello macroeconomico aggregato
sembra che la situazione non sia pessima (6).
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(6) Paola Jadeluca, La Repubblica, 18 febbraio 2008, “Le 'quattro A' del made in Italy compensano tutti i
settori in rosso”.
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Le
"quattro
16
A"
ovvero
l’abbigliamento,
l’arredamento,
l’alimentare,
e
le
apparecchiature industriali sono settori che risultano ottenere buoni risultati anche
paragonati agli altri paesi europei. In questi ultimi 2 o 3 anni, le vendite extra Europa
assumono un grande peso, basti pensare al sistema moda che vede la crescita di
vendite in queste aree aumentate di oltre il 10% portando il giro d'affari italiano a EUR
104,7 miliardi, superando Francia e Regno Unito con rispettivamente EUR 103,1
miliardi e EUR 98,9 miliardi. Anche le macchine industriali vedono ottimi risultati
extra UE con EUR 23,5 miliardi di esportazioni. Altri settori che raggiungono ottimi
risultati sono i vini, dove l’Italia supera la Francia per bottiglie vendute, e
l’arredamento, dove l’Italia ha persino il primato nel “vestire” gli hotel superlusso di
Dubai.
Considerando l’economia italiana in generale, secondo una ricerca condotta per
Symbola e Fondazione Edison (7), la situazione del paese nel confronto dei mercati
internazionali non è malvagia. Gli elementi che esprimono le nuove geografie del Made
in Italy sarebbero riconducibili ad un anagramma del termine “Italia”, ovvero Industria,
Turismo, Agroalimentare, Localismo e terzo settore, Innovazione, Arte e Cultura.
Secondo questa suddivisione, vengono messe in evidenza varie caratteristiche di
competitività e successo sui mercati internazionali, dati che a volte sembrano in
disaccordo con quanto dichiarato dalle associazioni di categoria.
Secondo questo studio, infatti, l’industria, per esempio, porta l’Italia ad essere il
secondo Paese manifatturiero d’Europa subito dopo la Germania, secondo l’indice di
competitività Tpi (Trade Performance index) elaborato da ONU e WTO.
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(7) Ricerca “ITALIA – Geografie del nuovo Made in Italy” presentata presso la fiera Campionaria delle
Qualita’ Italiane di Milano, dal 7al 10 maggio 2009, dove vengono presentati i capolavori delle aziende
italiane. Ente promotore Symbola e Fondazione Edison.
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In tale ambito al primo posto si colloca il tessile, l’abbigliamento, il cuoio e la
pelletteria e le calzature. Mentre per la meccanica sia non elettronica che elettrica, che
negli elettrodomestici, nella chimica, nei manufatti di base (metalli, marmi, piastrelle in
ceramica), nell’occhialeria e nell’oreficeria risulta al secondo posto. L’Italia e’ poi anche
leader negli yacht di lusso.
Per quanto riguarda il Turismo, le entrate risultano essere al quarto posto nella
classifica mondiale dei Paesi piu’ visitati e solo al secondo posto in Europa dopo la
Spagna. I siti classificati dall’Unesco nella lista dei partimoni culturali sul territorio
italiano sono i più elevati al mondo, cosa che sembra attirare i turisti cinesi e russi che
preferiscono visitare l’Italia più di ogni altra nazione.
L’agroalimentare nel 2008 ha registrato un incremento tra i più elevati nelle
esportazioni, generando il 10% in più rispetto l’anno precedente. I prodotti Dop e Igp (8)
registrati sono al primo posto in Europa seguiti da Francia e Spagna. Il vino prodotto è
il 40% in meno rispetto alla meta’ degli anni ’80 ma le esportazioni sono aumentate in
valore di 4 volte raggiungento Eur 3,5 miliardi. Inoltre risultiamo esportatori anche del
metodo adottato nella produzione biologica di alimenti.
Con il termine localismo e terzo settore viene esaltata la caratteristica di sussidiarietà
orizzontale tipica dei distretti italiani dove le varie fasi delle attività produttive
vengono separate e derivano da importanti forme di collaborazione tra vari
imprenditori, associazioni ed istituzioni locali.
L’innovazione poi risulta essere una carta vincente poiché le PMI nel 2008 hanno
incrementato la qualità dei prodotti cercando di raggiungere il mercato globale (71%
contro il 64% della media europea). Inoltre la fotonica ed il biotech stanno portando
l’Italia ad essere un leader mondiale. Buona anche la posizione nell’aerospaziale in cui
il paese risulta essere il settimo al mondo.
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(8) Dop - Denominazione di origine protetta- e Igp – Indicazione geografica protetta.
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Anche l’arte e la cultura contribuiscono al PIL per un valore circa del 6%.
L’Italia risulta essere il leader europeo nel cinema di animazione e seconda al mondo
per registrazione di brevetti dal 2003 all’inizio 2009, ma il potenziale di crescita di
questi settori è elevatissimo.
Si vede dunque come l’Italia risulti vincente in vari settori e sembra quindi di poter
dare ragione al rapporto della Goldman Sachs intitolato “L’Italia va meglio di quanto si
creda” dal quale risulta che il Paese è tra i meno indebitati, le imprese hanno bilanci
solidi, le famiglie sono risparmiatrici e ricche ed il cui sistema bancario sembra in grado
di resistere meglio di altri alla turbolenza finanziaria dovuta alla crisi attuale (9).
Se comunque il Made in Italy ed il commercio con l’estero risulti in buona posizione,
bisogna però considerare le perdite dovute alla contraffazione o le opportunità di
mercato non ancora sfruttate pienamente.
Per questo, fino a 4 anni fa, veniva dichiarato che la contraffazione sottraeva alle
aziende intorno ai 6 miliardi di euro l’anno, individuando tra i settori più colpiti la
moda (tessile, abbigliamento e calzature) e l’oreficeria (10). Inoltre un sentimento di
quasi “paura” della contraffazione si era diffuso tra le imprese che iniziavano a capire
che nessun settore poteva ritenersi sicuro. Ad esempio anche le ceramiche di Vietri sul
Mare, cittadina del Salernitano, sono state copiate e vendute come autentiche
seguendo gli stessi disegni ma con prezzi decisamente inferiori. Ed inoltre, spesso, il
prodotto contraffatto viene importato, ma sono presenti anche casi in cui la copia
viene prodotta nello stesso distretto industriale in cui risiede la produzione originale.
In definitiva, non solo la contraffazione risulta danneggiare l’artigianato e le PMI, ma
anche quella merce che seppur fabbricata all’estero, riporti il marchio Made in Italy,
sfruttando il posizionamento di qualità elevata usando un prezzo congruo, toglie
ovviamente opportunità ai prodotti con la reale provenienza italiana.
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(9) Rapporto pubblicato ad inizio maggio 2009.
(10) Pubblicazione del Rapporto di Confartigianato di
luglio 2005, analizza il problema della
contraffazione a livello delle PMI italiane.
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Questa considerazione, dunque, ci avvicina a parlare di quello che poi vedremo essere
chiamato “Italian Sounding”.
1.3.
Gli attributi collegati al “Made in Italy”
Al concetto di Made in Italy sono legate le esperienze sensoriali dei consumatori e gli
stereotipi comuni riguardanti il Paese. La produzione avvenuta in un paese, piuttosto
che un’altro, puo’ influenzare grandemente il processo decisionale e d’acquisto del
consumatore (11).
Gli attributi del Made in Italy rispecchiano il contesto peculiare in cui operano le
imprese del comparto produttivo che nel caso del nostro Paese si differenziano a
seconda dei settori o dei distretti ad alto grado di specializzazione che fanno della
flessibilità connaturata alla piccola dimensione il proprio punto di forza.
Il possesso di competenze e di capacità specifiche risultano attibuti “core” legati al
concetto di Made in Italy (12), ancora più che alle qualità tecniche, alle performance, o
alle leadership tecnologiche di prodotto.
Dunque risulta essere “chiave” la specializzazione in alcuni settori, dove le conoscenze
raggiungono un alto livello di interrelazione tra imprese, si pensi ai distretti, che
portano ad un riconoscimento del Sistema Paese a livello internazionale. L’esistenza
dei distretti, infatti, con la presenza di numerose PMI specializzate in micro aree
produttive, è una caratteristica del sistema italiano che portano valore aggiunto ad
interi settori in cui questo sistema risulta essere particolarmente competitivo.
__________________________
(11) Paragrafo 1.1. Principio “Country of Origin”.
(12) “Valore del Made in, Identita’ di marca e comunicazione di marketing nelle imprese distrettuali
italiane”, C. Guerini, A, Uslenghi, 2006 Luic.
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La competitività delle imprese italiane si basano spesso inoltre su una “capacità di
innovazione senza ricerca”, ovvero una sintesi di creatività e capacità di applicare nei
prodotti e nei processi innovazioni radicali, ma non originali. Ciò è dovuto n generale al
fatto che le imprese sono per lo più PMI con scarse risorse disponibili per investimenti
in ricerca, ma che comunque riescono ad innovare mantenendo alto il grado di
competitività e cambiamento necessari per svilupparsi (questo è il caso per esempio
del settore della meccanica strumentale dove a seconda delle nuove necessità
vengono apportate modifiche da parte dell’impresa sfruttanto le competenze esistenti
e non dovendo studiare dall’inizio come risolvere una problematica, l’innovazione
senza ricerca appare dunque essere come un’innovazione incrementale).
La clientela straniera riconosce dunque questi elementi riconducendoli all’immaginepaese: esso riesce a far fronte ai competitor emergenti, almeno nel medio periodo,
grazie alle conoscenze tacite proprie di ciascuna azienda o distretto, poiche’
difficilmente imitabili.
In definitiva, quindi, i caratteri distintivi o attributi generalmente riconosciuti, risultano
essere l’esperienza, le competenze od il know-how, la specializzazione in alcuni settori
in particolare per i quali una configurazione frequente nel Paese si identifica nei
distretti dove spesso le conoscenze sono tacite, l’innovazione senza ricerca che si
identifica con la flessibilita’ delle aziende che hanno buona capacità di
personalizzazione dei loro prodotti.
Quest’ultima infatti è caratteristica principale per un ottimo servizio al cliente, dove la
capacita’ di adattamento, anche per piccole componenti, può determinare un valore
aggiunto od un carattere distintivo nel prodotto finale.
Otteniamo dunque la Tabella 1.3.1. che raggruppa gli attibuti del “Made in Italy”
individuati.
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Tabella 1.3.1. Gli attributi riconosciuti al Made in Italy
a. l’esperienza
b. competenze e know-how specifico
c. conoscenze tacite
d. innovazione senza ricerca
e. flessibilità e personalizzazione
f. creatività
Queste caratteristiche generali però possono variare a seconda del settore a cui ci si
riferisce, basti pensare per esempio al settore tessile dove si aggiungono le
caratteristiche di qualità e stile.
1.8.
Classificazione del “Made in”: procedure e difficoltà
Per capire come un prodotto ottenga la possibilità di dichiararsi Made in Italy,
dobbiamo fare riferimento alla normativa CEE. In particolare, il Regolamento
N.2913/92 del Consiglio del 12 ottobre 1992. Secondo quanto riportato nel capitolo 2
sull’ “Origine delle merci”, la normativa degli articoli 23 e 24 risulta essere piuttosto
ampia.
L’origine del paese, dunque, non sembra di difficile valutazione, ma ben regolamentata.
Il problema sorge, però, nel momento in cui il prodotto che debba ottenere la dicitura
“Made in” non sia un prodotto naturale o animale o di derivazione o lavorazione, ma
sia un insieme di parti componenti provenienti da diversi paesi.
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Allegato 1.4.1. Normativa per la definizione dell’origine delle merci (13)
Articolo 23
1. Sono originarie di un paese le merci interamente ottenute in tale paese.
2. Per merci interamente ottenute in un paese s’intendono:
a) i prodotti minerali estratti in tale paese;
b) i prodotti del regno vegetale ivi raccolti;
c) gli animali vivi, ivi nati ed allevati;
d) i prodotti che provengono da animali vivi, ivi allevati;
e) i prodotti della caccia e della pesca ivi praticate;
f) i prodotti della pesca marittima e gli altri prodotti estratti dal mare, al di fuori delle
acque territoriali di un paese, da navi immatricolate o registrate in tale paese e
battenti bandiera del medesimo;
g) le merci ottenute a bordo di navi–officina utilizzando prodotti di cui alla lettera f),
originari di tale paese sempreché tali navi–officina siano immatricolate o registrate in
detto paese e ne battano la bandiera;
h) i prodotti estratti dal suolo o dal sottosuolo marino situato al di fuori delle acque
territoriali, sempreché tale paese eserciti diritti esclusivi per lo sfruttamento di tale
suolo o sottosuolo;
i) i rottami e i residui risultanti da operazioni manifatturiere e gli articoli fuori uso,
sempreché siano stati ivi raccolti e possono servire unicamente al recupero di materie
prime;
j) le merci ivi ottenute esclusivamente dalle merci di cui alle lettere da a) ad i) o dai
loro derivati, in qualsiasi stadio essi si trovino.3. Per l’applicazione del paragrafo 2, la
nozione di paese comprende anche il rispettivo mare territoriale.
__________________________
(13) Regolamento (CEE) N. 2913/92 del Consiglio del 12 ottobre 1992 che istituisce un codice doganale
comunitario (G.U. L. 302 DEL 19.10.1992 ), Capitolo 2 “Origine delle merci”, Articoli 23 e 24.
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Articolo 24
Una merce alla cui produzione hanno contribuito due o più paesi è originaria del paese
in cui è avvenuta l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, economicamente
giustificata ed effettuata in un’impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con
la fabbricazione di un prodotto nuovo od abbia rappresentato una fase importante del
processo di fabbricazione.
Secondo l’articolo 24 del regolamento EEC 2913/1992, infatti, se una parte sostanziale
o l’ultima trasformazione viene realizzata in un Paese, sarà possibile considerare il
prodotto risultante come “italiano”. Quindi se un prodotto che è stato realizzato in
molti paesi, è considerato comunque originario del paese in cui l’ultima trasformazione
o lavoro sostanziale ha avuto luogo.
Non sono presenti però regolamenti specifici circa il processo di valutazione delle
percentuali di incidenza sul “Made in Italy” ovvero come valutare le attività di
progettazione e produzione o come analizzare i componenti ordinati in outsourcing.
Le problematiche sorgono immediate a causa di questa normativa piuttosto generica,
si pensi ai termini qualitativi che vengono utilizzati come “trasformazione o lavorazione
sostanziale” e “fase importante”.
Ciò rivela dunque che se un articolo venga prodotto per il 70% all’estero e per la
restante parte in Italia, quello stesso prodotto può essere classificato e quindi
etichettato come Made in Italy (14).
Oppure un altro caso ancor più grave che si può verificare è che un articolo addirittura
completamente prodotto all’estero potrebbe recare il marchio Made in Italy se
commissionato da un’azienda con sede in Italia.
__________________________
(14) Nel caso di una borsa, per esempio, il 30% corrisponderebbe all’incirca all’assemblaggio dei manici e
dell’etichetta al prodotto finito.
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Diciamo che si verificano due tendenze opposte tra gli imprenditori italiani, una parte
appartenente ad aziende di medie e grandi dimensioni che ottengono da tale
legislazione vantaggi, e quelli invece di piccole dimensioni che ne risentono.
Se i grandi gruppi risparmiano grandemente rivolgendosi all’estero per le parti
componenti e completando in Italia solo le ultime fasi, incrementando così il loro
margine di guadagno, la stessa cosa non si può dire per quei produttori che lavorano
solamente nel mercato italiano. Entrambe le aziende infatti fanno ricorso al “Made in
Italy” come simbolo di qualità, anche se la prima ha una percentuale di lavorazione
all’estero maggiore e la seconda produce interamente sul mercato locale (15).
Mediante questa strategia di mantenimento del marchio pur ricorrendo a parti di
produzione straniera, le grandi imprese riescono a far fronte alla situazione economica
attuale dove la manodopera italiana sarebbe troppo costosa e non competitiva.
Ottenendo un prezzo competitivo sul mercato, le imprese continuano ad eccellere
nelle vendite. Le piccole e medie imprese che, invece, producono da generazioni il
“puro” Made in Italy e vorrebbero continuare a farlo offrendo ottima qualità, si
trovano sopraffatte. Il processo produttivo in Italia comporta costi molto elevati visto
che i lavoratori sono artigiani professionisti la cui paga deve essere adeguata, le
macchine devono garantire un elevato livello di finitura e controllate regolarmente ed,
elemento importante, i materiali hanno un costo ingente se non direttamente
provenienti dal paese e sono dipendenti dall’andamento economico.
Per quanto riguarda l’etichettatura, dunque, la Cassazione penale (16), con Sentenza
della Sez. III del 23.9.2005 n. 34103 ha chiarito che devono sussistere le condizioni di
intera fabbricazione sul territorio nazionale o aver subito una trasformazione o
lavorazione sostanziale o fase importante nel paese.
__________________________
(15) Vero è anche però che anche se il margine di profitto dei grandi gruppi aumenta, la qualità risente
della qualificazione del personale e quindi aumenta la necessità di incrementare il controllo.
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25
Esempi dell’impatto della strategia aziendale sui costi operativi possono essere, ad
esempio nel caso di borse in pelle, il costo di Eur 70-100 se prodotta in Italia e di Eur
14-20 nel caso sia realizzata in Cina. Così, articoli prodotti al 100% in Italia hanno prezzi
più alti ed a volte non risultano accessibili. Sembra quindi l’unica soluzione rivolgersi a
mercati stranieri per continuare a vendere cercando di mantenere la qualità e la
reputazione mediante un forte controllo della filiera produttiva.
Sempre di più la produzione, quindi, viene spostata all’estero, realizzando operazioni di
perfezionamento passivo in Italia cercando di mantenere così le connotazioni del Made
in Italy (17).
L’incerta legislazione del Codice Doganale determinata dalla frase “o abbia
rappresentato una fase importante del processo di lavorazione” (18) si concretizza in
interpretazioni diverse anche da parte dei singoli funzionari in ambito doganale. Un
caso rilevante e’ per esempio quello di un marchio di lenti a contatto prodotte a
Taiwan per via dei costi troppo alti che si avrebbero in Italia. Si dovrebbero considerare
dunque Made in Taiwan. Trattandosi però di un presidio medico chirurgico, occorre
l’autorizzazione comunitaria, ed essa prescrive che il “manufacturer” è chi vende il
bene, non chi lo produce, per cui c’è un contrasto nelle etichettature tra
“manufacturer”, ovvero Toscano che è un’azienda di Parma, ed il produttore iniziale
taiwanese.
__________________________
(16) Con Sentenza della Sez. III del 23.9.2005 n. 34103. la Cassazione penale ha chiarito che se non
sussistono le condizioni dell’art. 24. del regolamento (CEE) N. 2913/92 del Consiglio del 12 ottobre 1992,
si violerebbero gli art. 517 c.p. e 4, comma 49 della legge 24.12.2003 n. 350, in quanto condotta idonea
ad ingannare il consumatore circa l’origine della merce.
(17) Studio di Consulenza Commercio Estero S.r.l., osservazioni del Dott. A. Toscano, Camera di
Commercio di Bologna.
(18) Art. 24 regolamento (CEE) N. 2913/92 del Consiglio del 12 ottobre 1992.
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Poiché le lenti arrivano in Italia grezze e poi controllate, pulite, messe nel liquido ed
inscatolate ciò costituisce una fase importante del processo di lavorazione.
Siccome non è semplice interpretare la normativa, essendo facile reperire materie
prime o semilavorati dall’estero e vista la necessità da parte di un’impresa di sapere
come debbano essere etichettati i prodotti in maniera corretta, l’assemblaggio di
diversi elementi pone il problema della definizione dell’origine.
Si può, in casi di incertezza, far ricorso all’Istituto preposto a questa funzione, ovvero
l’autorità doganale. Si puo’ richiedere l’IVO, ovvero Informazioni Vincolanti Sull’Origine.
Deve essere presentata un’istanza a tale ente la cui risposta sara’ il modo in cui sarà
possibile etichettare i prodotti. Nel momento in cui l'Informazione Tariffaria Vincolante
(I.T.V.) venga espressa, questa è vincolante per tre anni ed applicabile in tutta Europa.
Il formulario per la richiesta è contenuto negli allegati al regolamento di attuazione del
Codice Doganale Comunitario (19). L'I.V.O. ha efficacia vincolante per tutte le merci
della stessa natura per il periodo di validità dell'informazione.
1.9.
Metodi per la salvaguardia e critiche
Il problema della perdita di competitività del “Made in Italy” non è di poco conto se si
pensi che, insieme al mercato dei prodotti contraffatti e di quelli “Italian Sounding”, si
stima che abbiano un impatto negativo sull’economia italiana per un valore addirittura
superiore a EUR 6 miliardi (20).
Difficile è stimare un numero esatto per via della difficoltà di venire a conoscenza
dell’effettivo fatturato delle imprese che producono contraffazioni, ma a livello
__________________________
(19) Il formulario e’ contenuto nel Regolamento 2454/93 e seguenti, nell’ allegato 1 bis.
(20) Fonte: Rapporto di Confartigianato nel 2004. Si e’ stimato inoltre che questo valore sia cresciuto
dagli anni 1994 al 2004 addirittura del 1700%!
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mondiale, questo tipo di prodotti, secondo WTO e Ocse, si aggira intorno a USD 450
miliardi (21).
Per questa ragione le dispute sull’argomento sono sempre accese e gli imprenditori
piccoli e medi cercano di far valere la loro voce presso gli enti governativi italiani e
comunitari.
Nasce così ad esempio il Consorzio Made in Italy (22), che si pone come obiettivo di
certificare quelle aziende che volontariamente decidono di iscriversi. Questo è
patrocinato sia dalla CNA Federmoda che da Confartigianato, ma il suo impatto è
minimo, visto che le aziende che ricevono il marchio si registrano autonomamente e
non avrebbero interesse a farlo se non producessero interamente, o per la maggior
parte, in Italia. Da ciò ne risulta che siano prevalentemente i piccoli produttori a fare
richiesta di tali certificazioni e non i grandi gruppi, che come abbiamo detto hanno
meno interesse ad avere l’intero sistema produttivo in loco.
Diversi altri consorzi o associazioni, nate da matrici private, cercano di sostenere il
“Made in Italy” con l’apposizione di un marchio garante. In questi casi, però, il
procedimento è sempre lo stesso, viene proposto uno statuto a cui l’impresa decide di
aderire a cui seguirà la fase di controllo da parte di esperti per la conformità alle regole
__________________________
(21) Fonte: Il Sole 24 Ore, articolo di V. Del Giudice, “Un chip per garantire il made in Italy”, 20 maggio
2009, pag. 25.
(22) Fonte consultabile è il sito web www.consorziomadeinitaly.it
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siglate nello stesso e, se ritenuta conforme, l’impresa potrà apporre il brand di
riconoscimento dell’ente a cui ha aderito.
Altri esempi di questo tipo di certificazione sono quello “Italy made” (23) e l’Istituto per
la Tutela dei Produttori Italiani (24) e l’ITF (Italian Textile Fashion) che si occupa della
filiera tessile e moda riunendo oltre 20 Camere di Commercio (25).
Questi numerosi tentativi, però, incidono minimamente sulla situazione, operando un
miglioramento limitato.
Vero è che un piccolo produttore con una certificazione aggiuntiva puo’ ottenere una
chiave strategica per colpire l’acquirente, ma d’altro canto, non essendo obbligatoria
ed essendoci molti istituti certificatori si rischia di indurre il consumatore in confusione.
Gli statuti infatti possono prevedere regole diverse sulla tracciabilità di prodotto o sulle
percentuali di produzione che debbono essere eseguite in Italia, ad esempio l’Istituto
di Tutela del consumatore richiede che siano fabbricati interamente in Italia e l’ente
Italy Made si basa sui costi di produzione che per almeno l’80% devono essere
imputabili a fasi lavorative che avvengano in Italia. Potrebbe dunque sorgere
spontaneo che si iniziasse a dubitare di tali certificazioni poiché ci si potrebbe chiedere
quale sia quella che tuteli di più il Made in Italy.
__________________________
(23) Fonte consultabile è il sito web www.italymade.it
(24) L’istituto si prefigge di certificare prodotti 100% Made in Italy, 100% Handmade in Italy ed anche
una Certificazione igienico sanitaria e di sicurezza.
(25) Fonte consultabile è il sito web www.itfashion.org
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L’unione in associazioni da parte dei piccoli produttori puo’ permettere di dar loro la
possibilità di un maggior peso durante gli incontri delle autorità legislative al fine di
vagliare proposte di legge per un miglioramento della situazione. Ad esempio, Matteo
Ribon, referente di CNA Federmoda (26), sostiene che la vacatio normativa sembra
voluta appositamente da grandi lobby commerciali e costituisce un forte svantaggio
competitivo per le imprese artigiane il cui obiettivo, invece, è quello di cercare di
raggiungere la trasparenza normativa, al fine di dare una corretta informazione al
consumatore.
Un tentativo diverso per la certificazione del Made in Italy, sta venendo messo a punto
da parte di alcune aziende trentine, che hanno visto nell’utilizzo della tecnologia la
possibilità di renderlo maggiormente identificabile. Il loro obiettivo infatti non e’ quello
di creare un sistema di marchiatura aggiuntiva, come trattato precedentemente, ma
invece implementare un microcip di circa 4 mm² nel quale sia integrato un certificato
miniaturizzato riportante un insieme di loghi e marchi dei produttori e codici di tipo
biometrico, grafici, alfa numerici ed a barre e che sia riconoscibile mediante appositi
apparecchi elettronici (27). Questa idea è fondata sull’accordo di diversi soggetti tra cui
la Z2M, che possiede il 60% delle quote azionarie e che progetta e produce il chip, la
Finanziaria Trentina, la Fondazione Bruno Kessler, che mette a disposizione le
competenze del suo laboratorio di microtecnologie, e Scribanetstudio. Lo studio mira
ad essere riconosciuto a livello internazionale e sarà presentato ufficialmente durante
importanti manifestazioni dell’alta moda.
__________________________
(26) CNA Federmoda tutela e rappresenta circa 25.000 imprese artigiane e PMI dei settori tessile,
abbigliamento, calzature, pellicceria, sartoria ed attività connesse.
(27) Fonte: Il Sole 24 Ore, articolo di V. Del Giudice, “Un chip per garantire il Made in Italy”, 20 maggio
2009, pag. 25.
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Se da un lato, dunque, gli enti di certificazione volontaria non risultino poi
particolarmente efficienti, si vede come l’innovazione in questo senso possa giovare
non solo ai piccoli produttori ma anche ai grandi marchi che così potrebbero usufruire
di un ulteriore sistema di tutela anticontraffazione. Non essendo però ancora lanciato
il microchip, dobbiamo attendere gli sviluppi.
1.10. Evoluzione verso il “Designed in”
Siccome il “Made in Italy”, come abbiamo visto, è appetibile da parte dei consumatori
ed anche le aziende straniere sono propense a copiarlo al fine di attirare maggiori
acquirenti o maggiori margini, possiamo considerare questa dicitura, a tutti gli effetti,
un marchio globalmente riconosciuto.
La difficoltà nel tutelarlo è stata trattata, ma non abbiamo ancora menzionato un
tentativo, ovvero quello di portare il marchio a trasformarsi in “Designed in Italy”.
Inizialmente la proposta era ritenuta positiva, nel senso in cui si voleva dare risalto alla
componente di stile e design caratteristico del nostro paese e, poiché effettivamente è
difficile che la produzione avvenga interamente in Italia, si voleva dare risalto alla
componente di progettazione.
Con questa nuova dicitura, però, dopo un’ulteriore riflessione al riguardo, si è
individuato un effetto negativo derivante dal cambiamento dell’immagine di un
marchio inizialmente molto forte.
Se, infatti, un prodotto che viene considerato Made in Italy è progettato in Italia, ma
prodotto in parti maggioritarie all’estero, contiene un alto grado di qualità di
produzione, non lo stesso avviene nel caso in cui venga indicato solamente il
“Designed in Italy”.
Questo perché avviene? Principalmente perché qualunque impresa potrebbe far
risalire una progettazione, veritiera o meno, ad uno studio italiano, ma produrre anche
senza qualità e danneggiando l’immagine del vero Made in Italy.
La dicitura quindi fa parte di tutti quei tentativi come “Made in Eu”, “Designed for Eu”,
“Product of Eu” che pian piano stanno venendo accantonati in quanto troppo generici.
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31
1.11. Situazione di mercato: l’apprezzamento all’estero e le due vie
La volontà di copiare i marchi di successo avviene quindi anche in generale per il Made
in Italy. L’importanza del cosiddetto “branding” e potere del marchio non si limita al
nome di una singola impresa, ma anche in diciture riguardanti una classe di prodotti.
Questo accade anche in situazioni in cui il Country of Origin gioca un ruolo influente sul
consumatore con riferimento a specifici settori.
Il “made in” risulta così appetibile da essere inserito nella descrizione dei prodotti che
in realtà non abbiano le caratteristiche necessarie per dichiararlo, sia perché prodotti
all’estero, sia perché seppur considerati prodotti all’interno del paese, la lavorazione
aggiuntiva risulta minima.
Abbiamo detto in precedenza che il mercato stimato per i prodotti non italiani, ma che
si dichiarino tali, supera di gran lunga i EUR 6 miliardi (al 2004), ciò significa che
dobbiamo guardare la situazione dei produttori esteri.
Da un lato possiamo identificare il problema della contraffazione che incide
enormemente sui fatturati dei grandi marchi o gruppi inducendo loro a prendere
sempre ulteriori provvedimenti (come ologrammi identificativi, minimi dettagli o forse
nel futuro un microchip di cui abbiamo parlato nel paragrafo 1.5.).
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Grafico 1.6.1. Il mercato estero e le due vie per il Made in Italy
Made in Italy
Italian Sounding
Contraffazione
Dall’altro lato un’azione più “soft”, sulla quale ci soffermeremo nel seguito della
trattazione, è perseguita dagli imprenditori stranieri che si “ispirano” alla nostra
tradizione, prendendone i caratteri e gli elementi più caratteristici, al fine di soddisfare
una domanda di mercato che spesso si configura in una nicchia. Parliamo dunque del
fenomeno chiamato con il nome di “Italian Sounding”, il quale sta prendendo
proporzioni sempre maggiori. Vedremo cosa preveda questa strategia, come si
configuri, come sia identificabile, come sia reso possibile dalla legislazione e quali
possano essere le vie per i produttori italiani di ottenere quote di mercato che
spetterebbero loro in un contesto di globalizzazione dei mercati e libera concorrenza.
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33
2. Capitolo 2 – Il “Trade Dress” e l’ “Italian Sounding”
2.1. Il Trade Dress
Con il termine “Trade Dress” si vuole indicare la “veste” che contraddistingue ogni
singolo commerciante o produttore di beni o servizi al fine di renderlo distinguibile e
riconoscibile rispetto agli altri. Il “Trade dress” di un prodotto coinvolge la totalità
dell’immagine, vi sono in gioco diversi elementi tra cui:
2.1.1. Tabella: Elementi del “Trade Dress”
a. il logo
b. il packaging
c. il design
d. la forma o la struttura
e. la dimensione
f. il colore o la combinazione di colori
g. la configurazione delle merci
Queste variabili, appunto, sono le principali determinanti dell’apparenza fisica che
determinano la prima percezione. Durante il processo di acquisto solitamente non si
può avere la possibilità di sperimentare od utilizzare il prodotto, ovvero non si usano
altri sensi, come gusto, olfatto o tatto, ma ci si affida ad un processo di scelta
principalmente visivo (si pensi per esempio agli acquisti effettuati nella grande
distribuzione). Da qui l’importanza degli studi di comportamento del consumatore, che
fa riferimento sia ad elementi di psicologia, scienze sociali ed economia, che a quelli di
grafica e di packaging oltre all’utilizzo dei colori relativi alla sensazione che si voglia
trasmettere.
A causa della labilità della definizione di “Trade Dress” così ampia ed ambigua, risulta
piuttosto facile e frequente la manipolazione abusiva di tali variabili.
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Solitamente si procede alla registrazione degli elementi facenti capo al “Trade Dress”
dal momento che, per alcuni business, la loro infrazione potrebbe essere di vitale
importanza per la sopravvivenza. Anche la creazione di un falso senso di appartenenza
o di collaborazione con un’altra impresa al fine di deviare il consumatore può indurre
l’azienda colpita ad impugnare un’azione legale. In questo caso infatti il pubblico
riconosce in un’azienda anche prodotti non facenti capo alla stessa.
Requisito fondamentale per parlare di “Trade Dress” è che la sua “veste” sia
rappresentativa del proprio business e riconoscibile.
Se mentre la registrazione dei marchi riguarda prettamente una serie di parole o un
logo, quella riguardante la “veste” complessiva riguarda diversi elementi (1) tra cui
forse i più difficili da tutelare risultano l’atmosfera di un ristorante o di un negozio, il
packaging di prodotto e le dimensioni (si pensi agli standard che la GDO impone e alla
necessità di differenziare i prodotti per distinguerli).
Si fa ricorso, perciò, alla legislazione relativa ai trademark (2) se venga dimostrato che il
consumatore medio venga confuso circa l’effettiva origine del prodotto se un
concorrente presentasse un “vestito” simile (3).
__________________________
(1) Vedi 2.1.1 Tabella: Elementi del Trade Dress.
(2) Il termine “trademark”, invero “marchio”, viene indicato con i simboli ™ (se non ancora registrato) e
® (se registrato). Questo è l’indicazione distintiva di un logo, un nome, un design od una loro
combinazione, che possono essere usati sia da individui, che da organizzazioni, per rendersi riconoscibili.
I marchi fanno parte di una branca dei diritti di proprietà intellettuale e godono di una precisa
legislazione che in alcuni casi vede un obiettivo di unificazione a livello internazionale. Nel caso di
infrazioni verso marchi registrati, il proprietario può muovere azioni legali.
(3) Molto diversa e’ la tutela del copyright o diritto d’autore. Categorie che rientrano in tale forma di
tutela che non richiede registrazione sono scritti letterari, musica e parole, opere teatrali, coreografie e
pantomime, dipinti o arti grafiche, sculture, audiovisivi, registrazione di suoni, architetture. Non
rientrano invece quei lavori, performance, improvvisazioni che non siano stati registrati, o titoli, nomi e
slogan, simboli comuni, idee, concetti, processi, informazioni di proprietà comune.
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Al fine di tutelare il trademark ed il trade dress ci si rivolge presso gli enti nazionali per
i brevetti ed i marchi (4) al fine di ottenere la registrazione in ambito nazionale,
comunitario od internazionale.
2.1.2. Tabella: Categorie di registrazione
a. brevetto per invenzione industriale
b. brevetti europei
c. brevetti internazionali
d. marchio di impresa
e. marchi comunitari
f. marchi internazionali
g. varietà vegetale
h. modello di utilità
i.
disegno e modello
j.
disegni e modelli internazionali
k. disegni e modelli comunitari
E’ possibile non solo ottenere tutela del proprio logo, marchio, invenzione industriale e
varietà vegetali ai vari livelli da nazionale ad internazionale, ma anche di modelli di
utilità e di disegni e modelli.
__________________________
(4) In Italia l’ente competente è l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi. La regolamentazione è contenuta
negli articoli da 7 a 28 del Codice della proprietà industriale (decreto legislativo n. 30 del 10 febbraio
2005). Il tempo di validità per la registrazione di un marchio è dieci anni dalla data di deposito della
domanda, salvo rinuncia del titolare, ed al termine è possibile rinnovarlo per altri dieci anni.
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36
In particolare, secondo il diritto industriale, il modello di utilità consiste in una
caratteristica o forma nuova del prodotto che lo rende maggiormente efficace o
comodo. La forma di tutela necessaria, in questo caso, viene definita “brevetto per
modello di utilità” che differisce sia dal “brevetto per invenzione” in quanto non
risolvono un problema in modo innovativo ma migliorano qualcosa di preesistente, sia
dai “brevetti di disegni e modelli” in quanto questi ultimi sono inerenti a caratteristiche
estetiche piuttosto che funzionali. Nel 1987 i brevetti per invenzione e per modello di
utilità sono stati distinti dal legislatore così come la tecnologia è stata distinta dal
design. I disegni e modelli ornamentali sono pertanto divenuti parte delle materie
tutelate dal diritto d’autore (5).
Per ottenere la protezione, i disegni e modelli devono disporre di alcuni requisiti,
ovvero devono essere nuovi, avere carattere individuale, se si tratta di un prodotto
componente una volta incorporato deve essere visibile e con caratteristiche di novità
ed individualità (6).
__________________________
(5) Decreto Legislativo 2 febbraio 2001, n. 95. "Attuazione della direttiva 98/71/CE relativa alla
protezione giuridica dei disegni e dei modelli". Definizioni estratte dalla direttiva 98/71/CE: “Art. 1
a) "disegno o modello": l'aspetto dell'intero prodotto o di una sua parte quale risulta, in particolare,
dalle caratteristiche delle linee, dei contorni, dei colori, della forma, della struttura superficiale e/o dei
materiali del prodotto stesso e/o del suo ornamento; b) "prodotto": qualsiasi oggetto industriale o
artigianale, compresi tra l'altro i componenti che devono essere assemblati per formare un prodotto
complesso, gli imballaggi, le presentazioni, i simboli grafici e caratteri tipografici, esclusi i programmi per
elaboratore; c) "prodotto complesso": un prodotto formato da più componenti che possono essere
sostituiti consentendo lo smontaggio e un nuovo montaggio del prodotto.
(6) Dalla direttiva 98/71/CE: “Art. 3 (Requisiti per la protezione).
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Una volta completata la registrazione presso gli uffici centrali della proprietà
industriale degli Stati membri o comunque a norma di accordi internazionali aventi
efficacia in uno Stato membro, il titolare del disegno o modello ottiene determinati
diritti. Tra questi per esempio la possibilità di usufruirne commercialmente e di vietare
a terzi il suo utilizzo se non consensuale (7).
La durata della protezione secondo la legislazione comunitaria e’ di 5 anni prorogabili
fino ad un massimo di 5 volte della stessa durata (8).
2.2. Prodotti ingannevoli e non
Per affrontare la tematica riguardo i prodotti originali e quelli che inducono il
consumatore alla confusione circa la loro provenienza, dobbiamo distinguere tra
prodotti ingannevoli e non. Durante la rilevazione di dati sul campo, questo processo è
risultato piuttosto complesso in quanto sono diversi gli elementi da prendere in
considerazione e ha confermato che un occhio non particolarmente attento può
facilmente essere tratto in inganno.
La categoria “Prodotti Ingannevoli” comprende tutti i prodotti, tra quelli che
richiamano l’Italia, ma che non sono fatti da aziende italiane e non seguono ricette,
tecnologie di preparazione e materie prime “chiave” italiane.
__________________________
(7) Dalla direttiva 98/71/CE: “Art. 12 (Diritti conferiti dal disegno o modello) 1. La registrazione di un
disegno o modello conferisce al titolare il diritto esclusivo di utilizzarlo e di vietare a terzi di utilizzarlo
senza il suo consenso. Costituiscono in particolare atti di utilizzazione la fabbricazione, l'offerta, la
commercializzazione, l'importazione, l'esportazione o l'impiego di un prodotto in cui il disegno o
modello è incorporato o cui è applicato, ovvero la detenzione di tale prodotto per tali fini. 2. Qualora il
diritto di uno Stato membro non consenta di impedire gli atti di cui al paragrafo 1 prima della data di
entrata in vigore delle disposizioni attuative della presente direttiva, i diritti conferiti dal disegno o
modello non possono essere fatti valere per impedire la continuazione dei suddetti atti da parte di
persone che li abbiano iniziati anteriormente a tale data.
(8) Art. 10 (Durata della protezione).
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Italian Sounding
38
Sono invece stati definiti “prodotti non ingannevoli” tutti i prodotti Italian Sounding
che non appartengono alla categoria dei prodotti ingannevoli. (9)
Per capire meglio che cosa sia un prodotto ingannevole, si deve affrontare un’ulteriore
distinzione riguardo il termine, già utilizzato ma non definito, di “Italian Sounding”.
Questa categoria non ha originalmente una connotazione negativa, anzi comprende
tutte quelle merci che facciano riferimento all’Italia. Tra questi, però, come tratteremo
meglio in seguito, non vi sono solo quei prodotti che, a ragione, utilizzino la forza del
“Made in” per attrarre il consumatore, ma vi sono anche prodotti ingannevoli, che
come è intuibile pensare, sembrano essere di provenienza italiana, ma a torto.
Nei punti vendita sono stati individuati tutti i prodotti “simil italiani” e poi suddivisi tra
Italian Sounding e non, ed ingannevoli e non.
2.3. I prodotti “Italian Sounding”
Come accennato, i prodotti “Italian Sounding” comprendono tutti quei prodotti che
facciano riferimento all’Italia e tra questi si inseriscono sia quelli cosiddetti “originali”
che quelli che facciano pensare ad un’erronea provenienza.
Questa definizione sembra discordare con il dibattito che sia sta aprendo su questo
tema nel nostro Paese, in quanto, ad oggi, con questo termine, si è soliti includere
nella categoria tutti i prodotti che sono “made in Italy” più tutti i prodotti, autentici e
non, che presentano un mix di nomi italiani, loghi, immagini, slogan, eccetera,
chiaramente e inequivocabilmente afferenti all’Italia.
__________________________
(9) Definizione da Buonitalia Ricerca Alimentari Stati Uniti in collaborazione con Ice, New York. Anno
2008.
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39
I prodotti originali all’estero hanno solitamente packaging adattati ai mercati locali,
diversi da quelli che si è soliti trovare nel Bel Paese, possono indurre in confusione
all’atto delle rilevazioni, ma se si analizzino tutti gli “Italian Sounding” verranno divisi
nella giusta sottocategoria.
Volendo rappresentare le suddette definizioni con un semplice grafico avremmo:
Grafico 2.3.1.
Prodotti Italian Sounding
Prodotti ingannevoli
Prodotti non ingannevoli/
Made in Italy
Fonte: Ricerca Prodotti Alimentari, Buonitalia con la collaborazione di Ice-New York, 2008.
Nel riquadro in basso a destra, dunque, troviamo anche i prodotti originali,ovvero
esportati nei mercati esteri.
2.4. Mezzi e categorie distintive per l’”Italian Sounding
Vi sono alcuni elementi ricorrenti nei prodotti “Italian Sounding”, ovvero quei canoni
che vogliono rappresentare o far ricordare caratteristiche distintive del Sistema Italia.
Nel momento in cui si apra lo sguardo all’individuazione di tali elementi, saltano agli
occhi non solo gli elementi del nostro paese, ma anche di quelle regioni che godono di
fama internazionale circa la qualità dei loro prodotti in particolari settori, o per la
rinomanza della loro cucina (si pensi ad esempio agli orologi o al cioccolato svizzero, od
ai formaggi ed al vino francese).
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40
Gli elementi caratteristici non si trovano solamente nella confezione del prodotto, o
nell’etichetta, ma può capitare di imbattersi in negozi singoli o vere e proprie catene
dalle insegne dai nomi equivoci, od in marchi con riferimenti linguistici ad altri paesi.
Raggruppando in una tabella le categorie o livelli di “Italian Sounding” con alcuni casi
concreti sul mercato taiwanese, otteniamo la Tabella 2.4.1.
Spesso queste distinzioni o modi di attuare l’Italian sounding non si presentano da sole,
ma il trademark consiste in un insieme di queste variabili insieme. Alcuni degli esempi
riportati infatti potrebbero essere associati a più categorie, ma per semplificazione
andremo a parlare in questa sede solo della manifestazione in cui sono stati associati
nella tabella, rimandando a più avanti l’analisi della presenza nello stesso prodotto di
più elementi (10).
Tabella 2.4.1: Manifestazioni dell’Italian Sounding
N.
1
Categoria / Manifestazione
Marchio simil italiano
Esempi esistenti
Morita Roberta, Milano & Italy
Cookies, Lindarico, Giardino di Luca
Milano
2
Due linee di prodotto e una sounding
Marcobelli
3
Marchio “civetta” nei negozi o “Italy dal...”
Vaddi, Macanna, SST & C.
4
Stesso marchio ma diversa categoria
Bellini Pasta Pasta
5
La bandiera od i riferimenti geografici
6
Il sounding da carenza di offerta
Zhèng Tǒng, Duroyal, Zhéng Fēng, Jīn
Pĭng
Guèi Guàn
7
Dicitura “prodotto italiano”
Gūang Quáng, Cocobello
__________________________
(10) Vedi Appendice dati: tabelle e ricerche.
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41
2.4.1. Il marchio simil italiano
Il marchio simil italiano consiste nella scelta, da parte di un operatore straniero, di
chiamare i propri prodotti con un nome che faccia riferimento all’Italia, mediante una
o più parole della lingua italiana o con una forte assonanza. Può accadere infatti che la
marca abbia una parvenza di italianità ma che in realtà sia una storpiatura per
assonanza. Un orecchio straniero che non conosca la lingua non individua l’errore, ma
è indotto a pensare che si tratti di un prodotto con una qualche origine italiana.
Possiamo trovare alcune di queste traslature nei brand Loranzo Ramanza, Galeno
Fiddino e Jenova.
Riportando gli esempi per questa categoria dalla Tabella 2.4.1. abbiamo:
-
Morita Roberta:
azienda operante nel settore cosmetico con un’ampia varietà di prodotti tra
cui: bagnoschiuma, creme corpo, salviette, sali da bagno, eccetera. Il marchio
è posto insieme alla bandiera italiana.
-
Milano, Italy Cookies:
sono i nomi di due tipi di biscotti presentati dal marchio Féng Hái (逢海) del
gruppo Seven Seven facendo riferimento alla pasticceria italiana.
-
Lindarico:
produttore di abiti di qualità media, facente riferimento all’Italia, ma con
alcuni prodotti dallo stile asiatico. Seppure le etichette riportino indicazione di
provenienza italiana, non risulta essere un marchio registrato ne’ in Taiwan
ne’ in Italia ed il sospetto è sorto per via dello stile della merce piuttosto
riconoscibile ed orientale.
-
Giardino di Luca Milano:
prodotti di biancheria e per la casa di alta qualità, ma non risulta essere un
brand registrato.
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42
2.4.2. Due linee di prodotto e una sounding
Alcune imprese giocano su due livelli producendo due linee di prodotti omogenei, ma
presentandoli al mercato mediante due strategie di marketing diverse. In pratica la
produzione viene presentata come locale e di qualità nel primo caso, e nel secondo
come di alta qualità perché prodotta in Italia o avente design italiano.
Riportando l’esempio per questa categoria dalla Tabella 2.3.a.1. abbiamo:
-
Marcobelli (Marcebelli):
questa azienda taiwanese produce principalmente piastrelle e ceramica. Se
da un lato promuove l’eco-sostenibilità dei propri prodotti dichiarando la sua
provenienza locale, riguardo un’altra sua linea di prodotti afferma, oltre alle
stesse caratteristiche, anche che siano disegnati da uno “spazio italiano
Marcobelli”. Il marchio in realtà risulta essere registrato soltanto in Taiwan,
ma riporta anche la dicitura “Italy” nel logo.
2.4.3. Marchio “civetta” nei negozi
Alcuni negozi o anche catene di piccole/medie dimensioni riportano un nome italiano,
oppure brevi sigle, indicando nelle insegne “Italy”. Questa presenza è piuttosto dubbia
in quanto non viene dichiarato il “Made in Italy” bensì solo il nome del paese. Il
consumatore viene indotto a pensare che si tratti di produzioni provenienti dall’Italia.
In realtà la tattica è piuttosto di successo in quanto il consumatore medio viene
tendenzialmente ingannato, ed il produttore può difendersi da possibili accuse dicendo
che il prodotto non subisce una definizione erronea circa il luogo della sua produzione
visto che non viene dichiarato il “Made in”, ed inoltre potrebbe altresì dichiarare che i
suoi prodotti siano solamente di “stile” riferito al paese non facendo riferimento alla
qualità o provenienza.
In alcuni casi, all’indicazione del paese è associato un elemento di prestigio riferito alla
tradizione dell’impresa che risulta aver operato in Italia “dall’anno 19...”. Quindi oltre
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43
al richiamo al paese viene presentata una lunga esperienza riconducibile alle ottime
caratteristiche delle arti e mestieri nostrani.
Riportando gli esempi per questa categoria dalla Tabella 2.4.1. abbiamo:
-
Vaddi:
si tratta di una piccola catena di negozi di abbigliamento uomo/donna che
riporta sulle insegne la scritta “Italy”.
-
Macanna:
produttore di scarpe uomo/donna con indicazione “Italy dal 1960”, in realtà
presenta una storia d’impresa molto confusa e difficilmente riconducibile
all’Italia. Con l’aiuto di una private equity del Regno Unito, questa società è
ora presente in diversi paesi con i propri negozi e ha registrato il proprio
marchio anche in Unione Europea. La produzione di questa impresa avviene
per lo più in Tailandia. Il suo caratteristico stile e’ facilmente identificabile
(scarpa comoda, etnica colorata) e riscuote un buon successo sul mercato
locale, tale da indurre anche altri produttori ad imitarla. Siamo addirittura in
presenza di contraffazione di un prodotto che già si dichiara italiano e non lo
è realmente.
-
SST & C.:
negozio che vende abiti da uomo con denominazione “Italy”. In realtà la
produzione non è nostrana, ma viene utilizzata la dicitura per richiamare una
qualità superiore.
2.4.4. Stesso marchio ma diversa categoria
Alcuni marchi famosi, ma non direttamente presenti sul mercato locale e quindi non
facilmente riconoscibili dal consumatore medio, possono essere utilizzati per sfruttare
la loro rinomanza internazionale e per contraddistinguere altri prodotti e produttori.
Questo e’ possibile perchè un marchio viene registrato in base a specifiche categorie
merceologiche e quindi non indistintamente per qualsiasi settore.
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44
Si può trovare, dunque, un trade dress simile che utilizzi uno stesso marchio, già
conosciuto per altri prodotti, identificarne altri.
Riportando l’esempio per questa categoria dalla Tabella 2.3.a.1. abbiamo:
-
Bellini Caffè:
sfruttamento del marchio Bellini per un marchio di caffè per moca.
-
Bellini Pasta Pasta:
ristorante di medio-alta categoria definito “Tokyo-Italian”. Ricette italiane a
giapponesi adattate al gusto locale, propone grandi varietà di pasta e pizze,
zuppe, risotti e antipasti.
Il marchio è scritto con lo stesso carattere e riquadro ma su sfondo rosso, il
richiamo è evidente.
2.4.5. La bandiera o i riferimenti geografici
La manifestazione probabilmente più diffusa per ottenere un prodotto sounding è
quella di apporre la bandiera sul packaging, a fianco del brand od in maniera rilevante
a determinare il design della confezione. A volte, invece, sono presenti riferimenti
geografici determinati dall’apporto di cartine geografiche del paese o di una parte di
esso con evidenziazione del luogo di origine.
Riportando gli esempi per questa categoria dalla Tabella 2.3.a.1. abbiamo:
-
Zhèng Tǒng (正統):
produttore di olio di sesamo, riporta nel logo del brand i tipici colori della
bandiera italiana in un formato stilizzato, ma allusivo.
-
Duroyal (杜老爺, Du Lao Ye):
produttore di gelati per la grande distribuzione ed al dettaglio (bar).
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45
Nella GDO presenta una vasta linea di prodotti alcuni dei quali, appartenenti
alla linea “low fat ice cream”, vengono differenziati anche tramite il ricorso al
sounding con l’apposizione della bandiera italiana.
-
Zhéng Fēng (正逢):
Produttore di sughi per pasta in vasetti di vetro, indicazione “Idaly mien”
(ovvero pasta/spaghetti italiani) e bandiera ai lati dell’etichetta. Offerta
diversificata tra cui si trovano “Green Pesto” e “Gream Sauce”.
-
Jīn Pĭng (金品):
vasta linea di prodotti surgelati, ricorrono al sounding di diversi paesi tra cui
l’Italia, con lo stile della quale propongono pizze e paste italiane, la Korea e il
Giappone. Circa la metà del packaging è occupato dalla cartina geografica
italiana per alcune pizze, mentre da una bandiera evidente vicino
all’indicazione “Italian Style” in altri prodotti. (10)
2.4.6. Il sounding da carenza di offerta
Non e’ infrequente che un prodotto nasca Italian sounding a causa della mancanza
dell’offerta da parte di prodotti originali, ovvero esportati sui mercati esteri. Oppure
l’offerta a volte è presente in quantità limitata, o ancora, non risulta facilmente
competitiva con i prodotti del luogo.
Nascono cosi’ quelle merci che si presentano come sounding perché esiste la volontà
dei consumatori di acquistare tali beni.
L’imprenditore sfrutta un’opportunità di mercato ed il cliente viene soddisfatto (o
almeno pensa di esserlo visto che succede che non riesca a riconoscere la vera
provenienza del prodotto che gli sia reso disponibile).
__________________________
(10) La definizione “Italian Style” dovrebbe consentire ai produttori stranieri di ricorrere a ricette
nostrane e rivisitarle in chiave locale, ma il tema e’ di difficile trattazione in quanto spesso lo “stile” e’
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46
dichiarato solo nel retro della confezione oppure e’ mancante, a volte i produttori ricorrono ad altri
elementi come bandiere, cartine geografiche e nomi sul fronte del pack. Per il consumatore puo’ quindi
essere dubbia la provenienza al primo impatto.
Quando però il prodotto in commercio non si riferisca solo allo “stile” e quindi
all’ispirazione ad un paese, ma dichiari una provenienza incerta, siamo nel caso di
sounding negativo, ovvero di sfruttamento indebito di elementi nazionali.
Riportando l’esempio per questa categoria dalla Tabella 2.3.a.1. abbiamo:
-
Quei Guang (桂冠):
produttore di pasta e spaghetti surgelati in contenitori di plastica per cottura
e preparazione veloce. Culturalmente, la maggior parte della popolazione non
ama cucinare e la cucina occupa un piccolo spazio nelle abitazioni. Il cibo da
asporto è economico, variegato e diffuso. Nella GDO questi prodotti a cottura
veloce ricoprono una buona fetta di mercato. Non esistono produttori
nostrani in questo campo, quindi l’offerta locale si è adattata producendo cibi
sounding.
I
packaging
ricorrono
alla
bandiera
italiana,
al
nome
“pasta/spaghetti italiani”, al termine “Italy”, eccetera. Questi prodotti
trovano distribuzione nella catena di supermercati più diffusa del Paese.
2.4.7. Dicitura “prodotto italiano”
Il prodotto sounding può riportare la dichiarazione del paese di provenienza attraverso
l’apposizione della scritta Made in Italy, oppure in maniera più dubbia della sola
indicazione “Italy” o ‘Product of Italy”. Nel momento in cui invece ci si riferisse al paese
riferendosi allo “Stile”, non si potrebbero muovere critiche ai produttori. Si pensi per
esempio ad alcuni prodotti alimentari della tradizione inventati in un paese: è chiaro
che il nome sia di difficile traduzione o non sia possibile sostituirlo. Un produttore che
voglia commercializzare tale bene deve quasi obbligatoriamente utilizzare la parola
esatta per far capire di cosa si tratti. Il problema, però, sussiste quando la ricetta venga
del tutto modificata cambiando la concezione originaria, o quando non ci si riferisca
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47
allo “stile” ma si pretenda sia un prodotto originale. Un altro caso frequente è quello di
modificare la parola distintiva del prodotto creandone un’altra che possa avere anche
più successo nel mercato (citiamo l’esempio del Parmigiano Reggiano che viene
contraffatto in tutto il mondo e spesso con la connotazione di Parmesan, la quale
risulta addirittura più famosa dell’originale).
In definitiva, se ci si riferisce allo “Stile Italiano” nella confezione di un prodotto, non si
possono muovere accuse se non siano presenti anche altri elementi rafforzativi
dell’italian sounding.
Riportando gli esempi per questa categoria dalla Tabella 2.4.1. abbiamo:
-
Gūang Quáng:
produttore di caffè in confezione di tetra pack per la vendita mediante
distributori automatici e grande distribuzione. Indica nella confezione in
caratteri maiuscoli “Italian Coffee” e poi, con caratteri di dimensione inferiore,
“Classical Italian Flavour that you'd fall in love with". Questo per esempio è
un caso di dubbia imputazione del ricorso al sounding perchè si riferisce
inizialmente alla dicitura di prodotto italiano e poi si specifica sul gusto (che
sarebbe paragonabile al riferimento dello stile).
-
Cocobello:
produttore di gelato confezionato e artigianale, scrive gelato italiano fatto a
mano o di produzione artigianale. In realtà se si va a vedere il sito web e
l’attinenza alle affermazioni si nota che facciano riferimento ad una
particolare partnership con un produttore di macchinari italiani che pertanto
non è specificato.
2.5. Individuare i prodotti “Italian sounding”
Per individuare se un prodotto sia o meno “sounding” e di conseguenza se sia
originale o invece faccia ricorso alla mera strategia dell’apparenza, si ricorre a diversi
metodi. Il primo, più immediato ed intuitivo, si basa sulla percezione iniziale che deriva
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48
dall’analisi del prodotto continuando poi, nel caso di dubbia provenienza, a
implementare una più approfondita ricerca sull’azienda e la registrazione dei marchi.
Un secondo metodo che presenteremo ricorre, invece, alla determinazione di alcune
variabili chiave da analizzare mediante l’osservazione del packaging di prodotto.
In tutta la fase di ricerca vi è poi spesso alla base una ricerca riguardante i marchi e
brevetti registrati.
Tabella 2.5.1. Individuazione del prodotto “sounding” non originale
Ricerca e approfondimento da “dubbia
Determinazione tramite variabili
percezione”
Importanza della ricerca per marchi e brevetti registrati
2.5.1. Approfondimento della dubbia percezione iniziale
Il primo elemento ad essere notato, per l’individuazione di un prodotto sounding, è,
come abbiamo accennato, il nome del marchio. Se questo risulti “strano” ad un
orecchio che appartenga al paese a cui il prodotto si voglia riferire, esiste il primo
presupposto per proseguire con l’esame.
Se alcuni marchi sono immediatamente riconosciuti, altri risulteranno originali pur non
avendone diretta conoscenza ed altri ancora risulteranno imitazioni del gusto di altri
paesi.
Non tutti gli individui sono ugualmente propensi ad identificare l’appartenenza o non
di un prodotto ad un determinato paese, in quanto o non particolarmente sensibili alla
questione o perché inconsciamente pensino che vi siano marchi maggiormente famosi
all’estero, o perché anch’essi ingannati sull’effettiva provenienza.
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49
Analizzando alcuni prodotti sounding nel mercato locale, si sono presi in
considerazione quei prodotti che ad un primo impatto sembravano italiani per via del
nome e successivamente si è considerato il packaging con le sue affermazioni, i colori, i
riferimenti geografici, eccetera.
In alcuni casi, in paesi come quelli asiatici, riferirsi al nome come primo elemento per
l’individuazione dei prodotti sounding non originali, può non essere sufficiente per via
della scrittura. Utilizzando i caratteri invece dell’alfabeto latino, spesso può non essere
ovvia l’allusione a paesi stranieri. Per questo motivo, altri elementi come il riferimento
a bandiere e colori ottiene lo stesso livello di importanza.
Una volta individuati i marchi od i prodotti di dubbia provenienza, la fase successiva
risulta essere una preventiva ricerca su internet per ottenere maggiori dettagli sulla
società.
I prodotti esaminati, essendo appartenenti a categorie quali la moda e l’alimentare,
oltreché alcune produzioni industriali, frequentemente dispongono di un sito web che
raccolgono informazioni circa tutta l’azienda produttrice. Risulta così possibile
informarsi circa la storia dell’impresa, lo sviluppo, la crescita, la data di fondazione, i
contatti, le sedi nel mondo ed i distributori.
Nel caso di prodotti “Italian sounding” (11) spesso si assiste a svariati romanzi di
appartenenza alla tradizione italiana, mediante descrizioni labili e non veritiere.
Possiamo riportare alcuni esempi per esemplificare tale affermazione, come per
l’azienda di calzature, Macanna, e di piastrelle, Marcobelli.
_________________________
(11) Da qui in avanti prenderemo in considerazione l’accezione meno precisa ma più breve ed
immediata per riferirsi ai prodotti non originali italiani chiamandoli più rapidamente “Italian Sounding” o,
ancora più generalmente, indicheremo come “Sounding” quei prodotti che imitano le caratteristiche di
un paese pur non provenendo da esso. Se nella definizione del fenomeno abbiamo chiarito quale sia la
definizione più completa ed esatta, nel linguaggio comune di trattazione dell’argomento si e’ soliti
riferirsi alla tematica in questo modo, con termini più semplicistici e non ridondanti.
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Italian Sounding
50
Riportiamo di seguito le storie d’impresa citate come esempio nei seguenti Allegati 1 e
2. Le fonti sono i siti internet ufficiali e poiché quanto riportato non sembrasse
pienamente convincente, l’ulteriore ricerca circa la provenienza delle ragioni sociali
d’impresa, oltre che le registrazioni dei marchi hanno dato conferma del ricorso
all’italian sounding come strategia d’impresa.
Allegato 2.5.1.1.: Brand Story “Macanna” (12)
The Masaccio family of Tuscany, renowned since 1960 for their leather crafts, is specialist in
the arts of leather dyeing and tanning. They use only natural vegetable tannins extracted from
such plants as the chaste tree, willow, evergreen chinquapin, chestnut, Eastern Black Oak and
cherry plum, as well as pyrogallol, a reducing agent derived from certain plants. The process is
known as hydrolytic tanning due to breakdown by enzymes produced by mildews. The leather
products are dyed naturally and without chemical coatings, so natural defects like insect bores,
blood splotches, scratches and punctures are not hidden.
The founder’s idea was very simple. He thought, “Why must the natural insect bores,
punctures and so forth on the leather be concealed with chemical coatings, leaving the leather
poorly ventilated? Why should these natural beauty marks be hidden from consumers?” So he
insisted on making shoes and leather goods with natural leather. And to preserve the leather’s
breathe ability, softness, tension and pliability, he was adamant on not adding chemical
coatings, but instead adding value to the products with expert leatherworking skills and
artistry.
The founder of MACANNA & MASAccio insisted on using the best for consumers. The brands
were not well known at first because he never advertised; instead, consumers of these brands
loyally and cheerfully introduced these fine products to more and more people by word of
mouth. Consumers may not be professionals when it comes to making good shoes, but they
recognize comfort and quality when wearing this brand.
_________________________
(12) Macannashoe.com : fonte ufficiale per reperire la storia d’impresa. Si nota come la provenienza
italiana sia labile.
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51
A brand needs to have distinctive features and professional quality to stand the test of time.
The natural qualities of leather are manifest in all MACANNA & MASAccio products, integrating
high quality leathers, flawless color arrangement and expert craftsmanship. Accordingly, the
MACANNA & MASAccio brands stand firmly at the cutting edge of fashion, thanks to their
unique style, artistry, elegance and boundless creativity.
Macanna features a line of tasteful casual footwear made with cowhide, calfskin, goat skin,
camel skin, buckskin, ostrich skin, stingray skin and more, drum dyed to reveal the natural
grain, and fitted with environmentally friendly polyurethane soles.
Elegance and meaning are the underlying principles in their design, lending style and
distinctiveness to casual footwear.
The creative expression of Macanna shoes is rooted in nature while stressing minimal
environmental impact, using high quality, distinctive leathers.
The founder’s directive is to “give our customers the best.” Macanna’s products are distinctive
in the natural grains they reveal, drum dyed with natural vegetable dyes and no chemical
coatings are added. This process results in products that are light, soft, pliable and wellventilated, yet tough. Macanna means comfort! One item of Macanna’s Bathtub Shoes series,
released in 2000, is called Tulip of Love: it’s so comfortable it feels just like lying in a bathtub.
When people talk about comfortable shoes, they’re bound to have Macanna’s Tulip of Love on
their mind.
Each MASAccio product is a work of art, crafted using at least 238 specific techniques of
craftsmanship, such as knitting, tanning, batik and burnishing. Stringent quality control
standards, plus inspection by professionals with an experienced eye for artistry, are employed
in product selection, so only a limited quantity of each line of MASAccio products are made
available each year.
MASAccio leather ware is made by drum dyeing sheepskin, buckskin, camel skin, mink and
cowhide. This process retains the original punctures and scratches that occur naturally. Limited
in quantity, meaningful and original in design, and boasting the advantages of finely tanned
leather, these products may be cherished as works of art by MASAccio consumers.
Si denota che l’appartenenza o la discendenza dalla famiglia Masaccio non e’ molto
chiara. Inoltre il fatto che sia scritto spesso con caratteri di diversa dimensione ovvero
“MASAccio” invece del normale carattere “Masaccio” sembra quasi una tattica per non
incorrere in eventuali problemi di utilizzo di tale parola. L’appartenenza alla famiglia
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Italian Sounding
52
toscana viene nominata una singola volta nella parte iniziale per poi far riferimento al
“fondatore” immediatamente dopo ed esaltando le caratteristiche di qualità proprie
del marchio. Successivamente si fa riferimento all’abilita’ artistica ed alla qualità dei
prodotti, ma non riferendosi esplicitamente ad uno specifico paese.
Va ricordato che ogni negozio espone evidenti scritte “Italy 1960” ed alcuni modelli
vengono chiamati “Venice” o “Florence” (altri sono “Barcelona”, “Russian Blonde”,
ecc).
Il marchio risulta volto all’internazionale avendo negozi o rivenditori diffusi in Asia ed
Europa.
Tabella 2.5.1.1.: Rivenditori e monomarca Macanna
Paese
Monomarca
Rivenditore
Gran Bretagna
-
1
Francia
-
1
Rep. Ceca
-
1
Italia
-
2
Cina
-
3
Korea
-
1
Tailandia
-
1
Australia
-
3
Giappone
2
4
Taiwan
3
1
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53
Allegato 2.5.1.2.: Brand Story “Marcobelli” (13)
SINYIH is now introducing and international ceramic tile brand - Marcobelli Tile designed by Italian space coloring master Marcobelli. Marcobelli's True Color design
philosophy advocates color environmentalism, accurately reproducing nature colors
which are unaltered by man. This enables spaces built of Marcobelli Tiles to be one
with nature, and enables the people who live in these spaces to recover a sense of the
natural comfort and openness which modern civilization has left behind. These are the
romantic colors of Italian idealism, and represent what modern people are striving for a life-style based on nature. SINYIH is utilizing Marcobelli Tile - and its accompany
power of outstanding new products, new direction, and gentle sales strategy - along
with the market-leading Champion Brand, to achieve the goal of integrating corporate
resource.
Il marchio Marcobelli fa capo al gruppo Champion Building Materials Co., Ltd. il quale si
presenta come una casa produttrice di ceramica dalla tradizione cinese. L’azienda
afferma infatti che possiedono “the spirit of Chinese porcelain” (14).
Essendo un marchio Taiwanese con sede della societa’ a Miaoli Hsien (zona famosa per
le ceramiche), il marchio sounding Marcobelli possiede anche una versione in caratteri
cinesi, ovvero 馬可貝里磁磚.
__________________________
(13) Champion.com.tw : fonte ufficiale per reperire la storia d’impresa. Anche qui si nota come
l’italianita’ sia labile.
(14) www.champion.com.tw : fonte ufficiale – brand story.
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54
Il riferimento all’Italia si riferisce alla fabbrica numero 3 del gruppo Champion Building
Materials, appunto la SinYih di cui si legge: “The factory has been regarded by the
Italian tile machine suppliers, including SACMI and CMF, as the best tile factory in the
world” (15).
Il fatto che due aziende italiane, rispettivamente di Modena ed Imola, produttrici di
macchinari per ceramiche e piastrelle abbiano detto che la fabbrica di SINYHI sia il
migliore stabilimento produttore di piastrelle al mondo rende comunque labile
l’appartenenza del marchio Marcobelli ad un’origine italiana. Si deve riflettere se
dunque l’appartenenza ad una certa tradizione sia giustificata dall’impiego di
macchinari provenienti da quello stesso paese.
2.5.2. Importanza della ricerca per marchi e brevetti
A sostegno dell’indagine circa la storia d’impresa, la ragione sociale, la sede degli
stabilimenti, gli headquarters, eccetera, rilevanti sono i risultati ed i dati a cui si possa
arrivare mediante la ricerca dei marchi e brevetti registrati.
Per quanto riguarda l’Italia, l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (16) dispone di un utile
motore di ricerca per consultare immediatamente quali siano i marchi, i brevetti, i
disegni e modelli registrati, oltre alla persona fisica o società che abbiano inviato la
domanda.
L’aggiornamento e’ periodico, ma la consultabilità è affidabile.
__________________________
(15) SACMI e CMF sono due aziende italiane produttrici di macchinari per porcellanato e ceramiche.
SACMI è un gruppo internazionale leader mondiale nei settori delle macchine per ceramiche, bevande &
packaging e plastica. C.M.F. TECHNOLOGY, invece, produce macchine e automazione per l’industria
ceramica ed è una delle aziende leader del settore.
(16) L’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi presenta inoltre molti altri servizi online. Il sito di riferimento e’
www.uibm.gov.it.
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55
A livello comunitario, esistono poi enti giuridici sovranazionali, ovvero lo “European
Patent Office” (17) e l’ “Ufficio per la Registrazione dei Marchi, Disegni e Modelli
dell’Unione Europea” (18). Il primo fornisce una procedura uniforme, per i singoli
inventori e per le imprese che cercano la protezione brevettuale, in un massimo di 38
paesi europei. Risulta essere il braccio esecutivo dell'Unione europea per i brevetti ed
è sottoposto a vigilanza.
Il secondo, invece, ovvero l’UAMI è l’agenzia dell’Unione europea che si occupa della
registrazione dei marchi, disegni e modelli comunitari. Questi una volta registrati
costituiscono la porta d’accesso al mercato unico europeo ed offrono una protezione
dei diritti di proprietà intellettuale in tutto il territorio dell’Unione europea (27 paesi e
quasi 500 milioni di abitanti).
Per quanto riguarda il paese campione da cui provengono la maggior parte dei dati e
degli esempi di questa ricerca, anche a Taiwan è presente un ufficio che si occupi di
Brevetti e Marchi. Si tratta per l’appunto dell’ “Intellectual Property Office” del
Ministero degli Affari Economici (19). Sul website sono disponibili sia un motore di
ricerca per i marchi che per i brevetti con una versione disponibile anche in lingua
inglese.
A livello internazionale va menzionata la rilevanza della “World Intellectual Property
Organization” che è un’agenzia specializzata delle Nazioni Unite (20).
Questa si dedica allo sviluppo di un equilibrato e accessibile sistema internazionale
della proprietà intellettuale che premia la creatività, stimola l'innovazione e
contribuisce allo sviluppo economico, bensì salvaguardando l'interesse pubblico.
_________________________
(17) Lo European Patent Office e’ disponibile al sito web www.epo.org.
(18) L’ Ufficio per la Registrazione dei Marchi, Disegni e Modelli dell’Unione Europea si trova al sito web
http://oami.europa.eu (in versione italiana).
(19) Il sito dell’ Intellectual Property Office di Taiwan e’ www.tipo.gov.tw.
(20) ) Il sito della World Intellectual Property Organization e’ www.wipo.int.
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Italian Sounding
56
E’ stata costituita per volontà degli Stati membri al fine di promuovere la tutela della
proprietà intellettuale in tutto il mondo, attraverso la cooperazione tra gli Stati e in
collaborazione con altre organizzazioni internazionali. Anche consultando questo
website e’ possibile interrogare i database risguardo brevetti, marchi e disegni.
2.5.3. Determinazione del “sounding” tramite variabili
Un altro metodo per la determinazione del livello del “sounding” nel caso di non
originalità è quello della valutazione mediante il ricorso a variabili. A queste,
determinate in uno stadio precedente alla ricerca sul campo, vengono assegnati
parametri di valutazione o punteggi, di modo che al termine dell’analisi si possano
sommare gli effetti ed ottenere un resoconto finale.
Utilizzando questo modello piuttosto quantitativo, devono essere assegnati dei range
o degli intervalli secondo i quali vengano poi definite delle classificazioni fatte a priori.
Questo approccio alla determinazione dell’Italian Sounding è stato utilizzato in famose
e specifiche ricerche, come quella svolta da Buonitalia riguardante il settore del food
negli Stati Uniti (21).
Il progetto era stato avanzato per via della necessità di quantificare questo genere di
prodotti in termine di domanda di mercato, legittimità delle informazioni riportate sul
packaging ed opportunità non sfruttate dagli operatori italiani la quale è una fonte che
si e’ rivelata piuttosto importante per lo svolgimento di questo lavoro.
________________________________
(21) Lo studio di Buonitalia e’ stato eseguito con la collaborazione dell’Istituto Ice di New York ed e’
disponibile su richiesta. La data di pubblicazione risulta del febbraio 2008.
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Italian Sounding
57
Al fine di rendere lo studio comprensibile a tutti, nel corso della trattazione vengono
proposte alcune definizioni riguardo appunto l’“italian sounding”, onde evitare ogni
possibile forma di arbitrarietà, è stato deciso di attribuire dei punteggi da 6 a 10.
Siccome è importante che vi siano regole precise per l’assegnazione dei punti, le
indicazioni seguite per lo studio sono state quelle riportate in Tabella 2.5.3.1 unite poi
dal fatto che le rilevazioni fossero state eseguite sempre dallo stesso gruppo di
persone, visto che 2 punti derivano appunto dalla percezione personale.
Tabella 2.5.3.1: Assegnazione punteggi per variabili
Variabile
Punti
Nome italiano
4
Colori rosso bianco e verde o tratti grafici distintivi (gondola,
2
torre di Pisa...)
Nome del prodotto, slogan o frasi di riconoscimento
2
“italiane”
Sensibilità dell’incaricato alle rilevazioni
2
E’ stato possibile recuperare un paio di esempi pratici circa la valutazione che sia stata
eseguita nel corso di tale ricerca, riportiamo dunque qualche immagine esemplificativa
dell’assegnazione del punteggio nelle successive pagine.
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Italian Sounding
58
Immagine 2.5.3.1.: Classificazione dell’italian sounding per variabili - positivo (22)
La metodologia di classificazione degli italian sounding – alcuni esempi
Nome italiano: 4 punti
Colori rosso bianco e verde: 2 punti
Frase di riconoscimento: 2 punti
...Questo prodotto e’ italian sounding!
20
Immagine 2.5.3.2.: Classificazione dell’italian sounding per variabili - negativo (22)
La metodologia di classificazione degli italian sounding – alcuni esempi
Nome italiano e basta:
NON italian sounding
Nome italiano e predominanza di
colori bianco rosso e verde (senza
riferimenti espliciti alla bandiera):
NON italian sounding
19
_______________________________
(22) Ricerca Buonitalia – Ice New York, da elaborazioni originali MRA.
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Italian Sounding
2.5.
59
Evoluzione da sounding a brand
Alcune imprese nascono facendo immediatamente ricorso al “sounding” o
implementano tale strategia successivamente poiché vedono, con il suo utilizzo, la
possibilità di evolvere e riscuotere un buon successo ed un prezzo superiore sul
mercato.
A volte, però, l’impresa, dopo aver riscosso i primi successi, comincia a staccarsi dalla
connotazione iniziale cercando di camminare sulle proprie gambe, ovvero di erigersi
sulla propria forza del marchio, invece di continuare a ricorrere ai richiami sounding.
Un esempio di questa evoluzione, individuata sul mercato taiwanese, è il caso del
l’azienda Jenova, produttrice di borse e custodie per macchine fotografiche, computer
e cd. Se ad un primo avviso il nome richiama la città di Genova e se inizialmente il logo
presentasse un arco con i colori della bandiera italiana decisamente evidenti, oggi il
marchio si sta appunto staccando da questa connotazione di italianità esaltando la
qualità dei loro prodotti, derivante dall’attenzione nella lavorazione all’interno
dell’azienda.
Iniziando la ricerca su questo brand, e’ stata individuata la sede dell’impresa che è
ubicata ad Hong Kong. Sono poi stati individuati due siti web di cui il più recente ha
versione sia in cinese che in inglese (23). Se il sito web nuovo in cinese presenta un
layout moderno e con un logo monocromatico, nel corso delle rilevazioni sul campo
erano state individuate edizioni precedenti che richiamavano l’Italia (con la bandiera).
Nell’edizione più vecchia del sito web (24), in homepage vi si può ancora trovare la
fotografia di un porto (probabilmente il richiamo è al porto di Genova).
_________________________
(23) Il gruppo e’ Lap Shun Manufacture Co. LTD.
(24) I siti web sono in nuova edizione www.jenova.com.hk ed in versione precedente www.jenova.eu .
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60
Si vede dunque, come quest’impresa dopo aver raggiunto i primi successi sul mercato,
avendo distribuzione all’estero ed essendo ancora in cerca di distributori in tutto il
mondo, abbia lasciato la strategia del sounding per erigersi sulle sue proprie forze
mediante un impegno per l’ideazione di prodotti di alta qualità ed incentivando la
promozione.
2.7.
Il differenziale di prezzo
Siccome abbiamo detto che il ricorso alla strategia dell’ “italian sounding” porta spesso
ad un incremento del margine di guadagno da parte del produttore, analizziamo un po’
più nel dettaglio come questo accada.
In alcuni casi il differenziale di prezzo è rilevantissimo in relazione al costo medio del
prodotto.
In dettaglio, ad esempio, secondo uno studio condotto dalla Camera di Commercio
Italiana a New York a nome dell’INDIS (Institute of Studies in the Sector of Trade
Distribution), i prodotti alimentari italiani contraffatti sul totale di quelli esportati sul
mercato statunitense superano il 70% per un valore di USD 1,2 miliardi. Praticamente
la vendita di prodotti non originali risulta essere dieci volte superiore a quelli “veri”.
Dal momento in cui questo trend è stato individuato, lo studio si è diretto al di là dei
numeri per capire alla radice la motivazione alla base di questa tendenza.
L’esempio più emblematico al riguardo è costituito dal caso delle paste alimentari nel
mercato statunitense, nella cui categoria esistono prodotti non ingannevoli di prezzo
“compatibile” con quello dei prodotti ingannevoli, e altri brand italiani che costano
anche tre o quattro volte tanto. Il risultato, in media, è che il differenziale di prezzo tra
prodotto non ingannevole e prodotto ingannevole vale più del doppio del valore medio
di mercato del prodotto.
Analizzando in dettaglio la grande distribuzione statunitense, sono stati rilevati i dati
relativi ai prezzi, al numero dei prodotti “sounding”, al numero di quelli originali
importati dall’Italia, eccetera. Si è così potuto calcolare che un prodotto che faccia
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Italian Sounding
61
riferimento al Bel Paese permette al fabbricante di imporre un prezzo superiore che
approssimativamente si aggira ad un valore del +51,2%.
Se, dunque, prendessimo un pacchetto di pasta fabbricata in USA con un prezzo al
pubblico di USD 1, se vi fossero riferimenti all’Italia sul pacchetto lo stesso prodotto si
potrebbe vendere a USD 1,5, mentre un prodotto originale esportato sul mercato
locale vedrebbe il suo prezzo a circa USD 2.
Il differenziale di prezzo consente dunque al produttore di guadagnare di più
producendo qualcosa che di tipico può avere anche solo il nome.
Utilizza dunque questa tecnica per ottenere successi sul mercato e non per fornire al
consumatore un prodotto con la ricetta originale e che sia congruo alle aspettative del
cliente.
Grafico 2.7.1.: Differenziale di prezzo prodotti ingannevoli e NON *
Il differenziale di prezzo tra prodotti NON ingannevoli e
ingannevoli
(percentuale sul costo medio di prodotto)
120%
107%
100%
80%
75%
64%
60%
51%
49%
49%
49%
43%
41%
41%
41%
40%
20%
* Rilevazioni MRA per Buonitalia
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sc
at
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a
n
Po
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0%
Italian Sounding
62
Grafico 2.7.2.: Differenziale di prezzo prodotti ingannevoli e NON
(% su costo medio del prodotto) *
Il differenziale di prezzo tra prodotti NON ingannevoli e
ingannevoli
(percentuale sul costo medio di prodotto)
45%
38%
40%
38%
36%
35%
35%
34%
33%
31%
30%
28%
25%
22%
20%
15%
10%
5%
ti
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Ca
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a
'
0%
* Rilevazioni MRA per Buonitalia
Citando invece un caso di prodotti alimentari italiani o sounding a Taipei, potremmo
fare l’esempio dei sughi pronti per la pasta. Se l’offerta originale è quasi assente, si
trovano ugualmente proposte da parte di produttori stranieri e locali.
Ad esempio la Hunt’s propone, in una confezione di latta da 750 grammi, i sughi
“funghi” o “tradizionale” ma non facendo riferimento all’Italia. Nel packaging si trova
solamente la scritta “Original Style - Spaghetti Sauce” che non risulta essere un
affermazione ingannevole. Il prezzo proposto per tali prodotti e’ NTD 90 (circa EUR
1,90).
I prodotti ingannevoli sono più diffusi, riportano bandiere italiane o richiami agli stessi
colori e riportando la scritta “Sugo per pasta italiana”. Citiamo i prodotti proposti da
Chef’s Choice che, per un vasetto da 500 grammi di sugo “vegetariano” in vetro, ha un
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Italian Sounding
63
prezzo unitario di NTD 120 (circa EUR 2,50) e quelli di Zheng Feng (正逢) che per una
confezione in vetro di “green sauce” o “cream sauce” da 240 grammi costa NTD 68
(circa Eur 1,45).
Importante e’ non confondere nei casi descritti la quantità di prodotto nella confezione
ed il prezzo di vendita. Per semplificazione rimandiamo alla Tabella 2.7.1. sottostante.
Tabella 2.7.1: Prodotti ingannevoli e non a Taiwan – sughi pronti
Marchio
Quantita’
Prezzo
NTD
Prezzo/100g
NTD
Hunt’s
750
90
12
Chef’s Choice
500
120
24
X
240
68
28,33
X
Ingannevole
NON
ingannevole
X
Zheng Feng
(正逢
正逢)
正逢
Prendendo come riferimento i prototti Hunt’s come non ingannevoli e considerando
che supponibilmente il prodotto dovrebbe avere già un costo superiore rispetto ad uno
prodotto localmente, a causa del costo dell’importazione, vediamo come ad ogni
modo un prodotto locale classificato come “italian sounding” ed ingannevole possa
essere venduto sul mercato ad un prezzo decisamente superiore.
Guardando infatti il Prezzo per 100 grammi di prodotto (espresso in NTD – New Taiwan
Dollar), vedremo come il prezzo del prodotto non ingannevole ed importato venga
incremento del doppio nel caso di Chef’s Choice e di 2,36 volte in quello di Zheng Feng
(正逢).
L’incremento del prezzo, in percentuale, dei prodotti ingannevoli su quello dei non
ingannevoli risulta dunque dal Grafico 2.7.3. seguente.
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64
Grafico 2.7.3.: Differenziale di prezzo dei prodotti ingannevoli e non a Taiwan – sughi
pronti (25)
Differenziale di prezzo (percentuale sul prezzo non ingannevole)
160
140
120
Incremento %
100
80
60
40
20
0
Chef’s Choice
2.8.
Zheng Feng (正逢)
La ristorazione nella determinazione del “sounding”: un settore particolare
Nel momento in cui vogliamo capire quali siano i prodotti ingannevoli e non
ingannevoli riguardanti categorie merceologiche tangibili come oggetti, vestiario, cibi,
eccetera, la determinazione del sounding o dell’originalità del prodotto è effettuabile
come descritto nei precedenti paragrafi.
Ma cosa fare se alla base della ricerca volessimo indagare un settore od un’industria
tra le più fiorenti le cui variabili siano difficilmente individuabili?
__________________________
(25) Incremento percentuale sul prezzo base preso in considerazione (Hunt’s NTD 12/100g) risulta
essere del 100% per i prodotti Chef’s Choice e del 136% per quelli Zheng Feng.)
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65
Come si dovrebbe procedere se per l’appunto volessimo capire quando il richiamo
all’Italia fosse legittimo ad esempio nel caso della ristorazione?
Ebbene, la cucina mediterranea è una tra le più ammirate nel mondo per via dei suoi
ingredienti e della sua varietà ed è dimostrata la sua appetibilità dai numerosissimi
ristoranti italiani nel mondo.
Se però ci si reca in uno di questi ristoranti all’estero, non è infrequente che le ricette
subiscano variazioni o che il piatto ordinato sia vagamente di richiamo a quello che ci si
aspettava.
Ovviamente l’adattamento delle ricette al mercato locale è quello che più
frequentemente i ristoratori dispongono per ottenere successo immediato e fornendo
una parvenza di italianità. Anche qui non è praticamente possibile biasimare gli
operatori di settore che ottengono buoni guadagni cercano di soddisfare il
consumatore più curioso ed in cerca di nuovi gusti, ma comunque non stravolgendone
le aspettative dal mercato locale. Si deve comunque far presente come ad oggi si stia
comunque tornando alla protezione delle origini culinarie (si pensi ai presidi e studi di
Slow Food che cercano di tutelare le rarità biologiche e culinarie).
Nel caso si volessero analizzare se le effettive caratteristiche o i richiami ad un Paese
nei ristoranti, con un particolare accenno a quelli italiani, le variabili da considerare
sarebbero diverse e basate su un filo di labilità non indifferente.
E’ dunque possibile determinare con successo cosa sia ingannevole e non? La risposta
non è semplice. La già labilità della materia in origine, si trova ad un punto di ulteriore
incertezza in questo ambito.
Consideriamo pertanto i primi elementi che si dovrebbero individuare in quelle realtà
che dichiaratamente utilizzino circa gli stessi elementi visivi e grafici che già abbiamo
riportato nei paragrafi precedenti analizzando la tematica per diversi prodotti.
Avremo dunque nella Tabella 2.8.1. un accenno alle tematiche che avranno poi un
ampio spazio per la discussione.
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66
Tabella 2.8.1. La ristorazione: variabili considerate (26)
a. Nome (e insostituibilità)
b. Ingredienti utilizzati
c. Cucina – formazione
d. Conformità alle ricette – originale?
e. Caratteristiche del prodotto finale?
Analizzando questi elementi dovremmo però considerare la difficoltà nell’intento della
determinazione dell’originalità dei ristoranti italiani all’estero.
Se da principio il nome può essere il fattore principale che faccia partire l’indagine,
bisogna dire che per certi prodotti alimentari è molto difficile trovare un attributo
sostitutivo. Basti pensare alla “mortadella” che difficilmente viene prodotta nello
stesso modo all’estero, seppur riportando lo stesso nome.
Anche gli ingredienti utilizzati rappresenterebbero una variabile chiave e bisognerebbe
determinare per definizione se una certa ricetta potesse essere considerata conforme
pur utilizzando una materia prima simile. Ad esempio, una pizza definita “napoletana”
bisognerebbe capire se potesse essere considerata tale se, pur seguendo il disciplinare
per lo standard internazionale per la sua preparazione utilizzasse una mozzarella
prodotta in Francia invece di quella richiesta, ovvero la mozzarella campana DOP (27).
Se la ricetta dunque venga registrata, l’utilizzo del nome specifico è consentito solo a
quei prodotti che soddisfino fedelmente tutti i requisiti.
_________________________
(26) Elementi tratti dalla determinazione e definizione di standard internazionali per l’ottenimento di
marchi STG (Specialità Tradizionale Garantita) dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali.
(27) Dal Disciplinare per la definizione di Standard Internazionali per l’ottenimento del marchio “Pizza
Napoletana STG”.
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67
Va però detto che se la ricetta invece non fosse registrata o comunque presentasse
moltissime varianti e personalizzazioni, risulta difficile poter individuare l’originalità o
meno del piatto, basti pensare alle mille varietà di sugo come il pesto alla genovese.
Per i ristoranti all’estero si potrebbe considerare anche la formazione del personale
chef, ovvero dove questi abbia appreso l’arte della cucina e tradizione ed, inoltre, se le
caratteristiche visive del piatto finale siano vicine a quelle comuni al paese d’origine.
Si capisce però, a questo punto, come sia difficile poter stabilire con che parametri
definire se un ristorante sia o meno tradizionale. Spesso infatti il gusto del mercato
determina variazioni anche nelle ricette originali, o le varianti applicate talvolta
superano e stravolgono il piatto ma mantenendo lo stesso nome. In questo caso il
consumatore straniero viene in un certo senso portato a pensare che ciò che trova nel
suo paese sia identico all’originale, ma verrebbe poi sorpreso dalla cucina originale una
volta assaporato un viaggio in Italia (28).
2.9.
Considerazioni conclusive
Concludendo questo capitolo, possiamo dire di aver individuato in che cosa consiste la
strategia dell’ “Italian Sounding”, perché risulti conveniente in un ottica di conquista
alle quote di mercato e come sia difficile in certi casi poter muovere azioni dirette ad
impedire questa tendenza.
Essendo l’economia dei giorni nostri basata sulla competizione globale e l’apertura dei
mercati, e’ praticamente impossibile e poco conveniente pensare di proteggere ed
impedire queste tendenze.
_________________________
(28) Stessa cosa vale all’inverso: si pensi al cibo cinese in Italia. La realtà della cucina cinese è molto
diversa da quella che troviamo da noi, gusti forti e originali, distanti da quello a cui siamo abituati, molto
interessante e varia. Il classico ristorante cinese o taiwanese è molto diverso da quelli che abbiamo da
noi.
Tesi Specialistica – Economia e Direzione delle Imprese
Italian Sounding
68
Si cerca pero’ di far presente alle imprese italiane la possibilità e il potenziale di
mercato che esiste in diverse economie, che risultano consistenti ma non sono
sfruttate.
Il problema della competitività dei prodotti nostrani rimane comunque ancora al primo
posto nella scala di importanza delle azioni da attuare per lo sviluppo delle esportazioni
a livello mondiale. I costi di trasporto e per la distribuzione forse incidono ancora troppo
sul prezzo finale minandone la competitività rispetto a quelli già presenti sui mercati
esteri.
Tesi Specialistica – Economia e Direzione delle Imprese
Italian Sounding
3.
69
Capitolo 3 – La Regolamentazione per il “sounding”: il ruolo del consumatore
3.1. Il fine del “fare impresa” ed i diritti dei consumatori
Numerosi sono gli aziendalisti che hanno teorizzato che cosa sia la filosofia di business,
ovvero che cosa significhi “fare impresa”, gestire un’organizzazione dotata di mezzi e
persone al fine di ottenere un obiettivo che possa essere un ritorno economico o non.
Tali teorie si sono evolute nel tempo e sono tutt’ora in divenire.
Intorno gli anni ’70, Milton Friedman (1), affermò che l’obiettivo di un imprenditore
fosse quello di massimizzare il suo profitto o, nel caso di una società pubblica,
massimizzare quello degli azionisti.
L’evoluzione iniziò con il fatto che non solo gli apportatori di capitali venissero
considerati importanti nella determinazione degli obiettivi d’impresa, ma si iniziarono
a considerare oltre il ruolo degli “stockholders”, il più ampio ruolo degli “stakeholders”.
Un sostenitore di questa visione più moderna fu John Renesch che, con la frase "Le
imprese sono organizzazioni composte da individui ed associazioni di essi. Vedere che
queste associazioni hanno un solo obiettivo e responsabilità, ovvero crescere
solamente in termini economici, e’ talmente una visione estrema che implosioni
saranno sempre più frequenti" (2).
Anche Anu Agha (3) disse: “Sopravviviamo respirando ma non possiamo dire che
viviamo per respirare. Nello stesso modo, fare soldi è davvero importante perché
un’azienda sopravviva, ma il denaro da solo non può essere la ragione per cui l’impresa
esiste”.
__________________________
(1) Milton Friedman, 31/07/1912 - 16/11/2006. Capitalism and Freedom (1962).
(2) John Renesch, citazione tradotta dall’originale "Corporations are human-made organisms,
associations of human beings. To see this association as having one solitary purpose and responsibility,
to grow only in economic terms, is such an extreme view that implosions (…) will become more and
more commonplace."
(3) Anu Agha era l’ex presidente del gruppo
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70
Ma ancora secondo Michael Porter (4), il proposito primario dell’impresa deve essere la
massimizzazione della profittabilità.
Con le affermazioni di Peter Drucker (5) iniziamo ad ottenere una visione più ampia
degli intenti dell’impresa, poiché considera la soddisfazione del consumatore come
mezzo di valutazione primario per determinare il successo dell’impresa, obiettivo
principale.
Se dunque gli indicatori economici sono necessari ai fini finanziari per capire la
situazione dell’impresa, nuove dimensioni difficilmente quantificabili vengono prese in
considerazione. Si guarda in un nuovo modo alla valutazione della redditività
finanziaria, poiché si considera che questa non sia sostenibile nel tempo se non si
tenga conto delle aspirazioni e degli interessi delle parti interessate. Clienti, dipendenti,
società e ambiente vengono considerati dal management poiché ogni decisione si
riflette su di essi. La sfida principale per un business diventa bilanciare gli interessi
delle parti poiché questi possono essere in conflitto tra loro al fine di garantire la
sopravvivenza dell’azienda nel tempo.
Il consumatore inizia ad avere una nuova centralità, diventando motore principale di
ogni attività d’impresa.
Forse anche grazie a questa evoluzione del pensiero aziendale si devono la nascita di
regolamentazioni specifiche atte a tutelare i diritti del consumatore.
Si legge, per esempio, nell’articolo 3 della Costituzione “E' compito della Repubblica
rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e
l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e
__________________________
(4) Michael Porter, nato nel 1947, e’ professore all’Università di Harvard. Ha scritto, nel 1985, il libro
“Competitive Advantage: creating and sustaining superior Performance”, Free Press, New York.
(5) Peter Ferdinand Drucker nato nel 1909 è stato un economista e saggista austriaco che conseguì poi
cittadinanza statunitense. Egli definì la finalità dell’impresa come la creazione di un cliente soddisfatto.
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Italian Sounding
71
l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e
sociale del Paese” e da questa discendono anche i cinque diritti fondamentali dei
consumatori (6). Il primo diritto riguardante la tutela della salute e della sicurezza dei
consumatori, permette che vengano immessi sul mercato soltanto i prodotti che non
presentino alcun pericolo, principio che definisce norme di sicurezza, la necessità di
informazioni complete sui rischi potenziali e fa in modo che nessun consumatore
subisca danni. Il secondo principio mira a tutelare gli interessi economici dei
consumatori, vietando la ingannevole e le formulazioni fuorvianti nei contratti conclusi
dai consumatori. Il terzo comprende il diritto del consumatore all’informazione ed al
ricevere adeguate istruzioni, ovvero devono essere messi in condizione di poter
operare una scelta oculata tra i beni e i servizi che vengono loro offerti mediante
un'informazione obiettiva sulle caratteristiche e sul prezzo dei prodotti ed avendo
istruzioni adeguate per l’uso efficace e sicuro della merce. Il quarto riguarda il diritto di
risarcimento secondo il quale i consumatori devono poter contare su consulenza e
assistenza per ottenere il risarcimento per prodotti difettosi o per danni risultanti
all'uso. Infine, l’ultimo si riferisce al diritto di rappresentanza e partecipazione secondo
il quale i rappresentanti dei consumatori devono partecipare al processo decisionale
per le questioni che li interessano, a livello locale, nazionale o comunitario ad esempio
per quanto concerne le norme sui prodotti alimentari, i trasporti, la concorrenza, i
servizi finanziari e l'ambiente.
In tutti gli Stati membri della Comunità europea esistono già politiche nazionali a
favore dei consumatori, ma negli ultimi trent'anni, con l'avanzare del processo di
integrazione economica, la Comunità si è adoperata per conferire alla protezione dei
consumatori una dimensione europea più opportuna in vista dell’istituzione di un
mercato unico.
__________________________
(6) I cinque diritti fondamentali dei consumatori: 1. La tutela della salute e della sicurezza dei
consumatori; 2. La tutela degli interessi economici dei consumatori; 3. Diritto del consumatore
all'informazione e ad adeguate istruzioni; 4. Il diritto al risarcimento; 5. Rappresentanza e partecipazione.
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Sono state adottate molte direttive e normative per tutelare i 5 diritti dei consumatori
che sono stati posti alla base della politica comunitaria di modo che poi si
incardinassero anche nelle politiche nazionali.
Per quanto riguarda la nostra trattazione, riferita ai prodotto “Italian Sounding” o
contraffatti, di particolare rilievo sarà il terzo principio dei diritti fondamentali del
consumatore, ovvero quello riguardante il “diritto del consumatore all'informazione e
ad adeguate istruzioni”. Infatti, le normative vigenti a livello nazionale ed europeo che
sono state elaborate al riguardo, devono le loro origini da tale principio.
3.2.
La regolamentazione anti-contraffazione
Come abbiamo detto nel capitolo precedente, il ricorso all’ “Italian Sounding” da parte
di alcune aziende, riguarda un’accezione diversa in un qualche modo accomunabile ad
un’evoluzione della contraffazione, dunque prenderemo in considerazione la
legislazione vigente e cercando di capire se questa sia compatibile e riconducibile
anche nel caso di prodotti “sounding”.
Al fine di stabilire un quadro normativo minimo per la lotta alla contraffazione, è stata
elaborata una definizione unica dei diritti di proprietà intellettuale a cui si fa
correntemente riferimento a livello internazionale. Parliamo appunto dei degli accordi
sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio, chiamati in
forma abbreviata TRIPS (7), che sono stati promossi dall’Organizzazione Mondiale del
Commercio (WTO, World Trade Organisation) tenendo conto delle differenze dei
sistemi giuridici nazionali. A tal fine, i Paesi membri del WTO, concedono ai cittadini
degli altri paesi membri un trattamento, rispetto alla protezione della proprietà
intellettuale, non meno favorevole di quello che concedono ai propri cittadini.
__________________________
(7) Agreement on Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights (TRIPS).
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73
Dagli anni ’80, la contraffazione inizia ad essere identificata come uno dei derivati della
globalizzazione, in quel periodo infatti, si realizza un aumento dell’incidenza del
fenomeno a livello internazionale e la trasformazione del fenomeno da artigianale ad
industriale. La globalizzazione, insieme con la delocalizzazione produttiva, ha portato
ad una dispersione del know-how originario, che oggi è in possesso di un numero
sempre maggiore di individui in grado di realizzare merci del tutto identiche alle
originali. Questo fatto generò la prima presa di coscienza da parte di ricercatori,
imprenditori ed organi istituzionali, inducendoli a mobilitarsi ed a creare le prime
associazioni per la lotta alla contraffazione. Nascono ad esempio l’Anti-Counterfeiting
Group nel 1980 ed il Counterfeiting Intelligence Bureau della Camera di Commercio
Internazionale (ICC) nell’’85 (8).
All’interno del TRIPS è stata elaborata una definizione unica dei diritti di proprietà
intellettuale, che è stata recepita nell’ordinamento giuridico europeo con il
Regolamento n. 1383/2003 (9).
Negli ultimi anni il termine “contraffazione” ha assunto connotati e significati sempre
più ampi, visto il moltiplicarsi delle tipologie di beni oggetto di falsificazione.
Semplificando si può dire che si può parlare di contraffazione quando:
__________________________
(8) L'Anti-Counterfeiting Group (ACG) è una associazione non a scopo di lucro, una delle principali
autorità per quanto riguarda il commercio mondiale di prodotti falsi. E’ stata fondata nel Regno Unito
nel 1980 con soli 18 membri nel settore automobilistico, ed ora rappresenta circa 200 organizzazioni a
livello mondiale, che operano nella maggior parte dei settori industriali in cui la contraffazione è un
problema.
La Camera di Commercio Internazionale, la Commercial Crime Services (CCS) di Londra, è una divisione
specializzata della Camera di Commercio Internazionale (ICC). Il Counterfeiting Intelligence Bureau (CIB),
fondato nel 1985, protegge l'industria dai danni causati dalla contraffazione. Membri del CIB sono grandi
imprese multinazionali, associazioni di categoria, imprese di diritto, produttori di tecnologia ed enti
investigativi.
(9) Regolamento (CE) N. 1383/2003 del Consiglio del 22 luglio 2003 relativo all'intervento dell'autorità
doganale nei confronti di merci sospettate di violare taluni diritti di proprietà intellettuale e alle misure
da adottare nei confronti di merci che violano tali diritti.
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1. Venga apposto un marchio fraudolento od un qualsiasi segno distintivo (ad
esempio un logo etichetta) sulla merce, atto a trarre in inganno il
consumatore circa l’identità aziendale del prodotto. Si può pensare ad un
alimento o ad un capo di abbigliamento dove viene apposta un’etichetta di
un marchio famoso.
2. Venga modificata l’identità merceologica del prodotto, ovvero il prodotto
viene realizzato attraverso l’uso di materiali o procedimenti diversi da quelli
prescritti e con cui viene commercializzato. Ad esempio un farmaco
prodotto senza l’utilizzo dei principi attivi o con ingredienti diversi da quelli
originali o con dosaggi diversi, oppure un capo di abbigliamento dichiarante
di essere fabbricato con fibre naturali ma che invece è sintetico.
Non è infrequente, poi che i due tipi di contraffazione suddetti vengano messi in atto
contemporaneamente, basti pensare ad un giocattolo su cui venga apposto il marchio
di un’azienda che rispetti tutte le norme di sicurezza, ma che in realtà sia prodotto con
materiali tossici.
Per merce contraffatta o “counterfeited trademark goods” si intendono i prodotti,
inclusi l’imballaggio, su cui sia stato apposto senza autorizzazione un marchio
commerciale identico ad uno validamente registrato per lo stesso tipo di prodotto o,
comunque, un marchio che non ne possa essere distinto nei suoi aspetti essenziali.
Diversamente, per merci usurpative, o “pirated copyrights goods” si intendono
prodotti che riproducono, senza il consenso del titolare del diritto o di una persona da
questi autorizzata, prodotti protetti da diritti di proprietà intellettuale.
Violano, infine, i diritti di proprietà intellettuale quelle merci che ledono i diritti relativi
a brevetti, indicazioni di provenienza geografica dei prodotti, disegni industriali,
certificati protettivi complementari e privativa nazionale per ritrovati vegetali (10).
__________________________
(10) Regolamento (CE) N. 1383/2003 del Consiglio del 22 luglio 2003, Articolo 2 ”Ai fini del presente
regolamento, per «merci che violano un diritto di proprietà intellettuale”.
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3.3.
75
Il quadro normativo internazionale e l’attuazione europea
Una serie di convenzioni e accordi tra diversi stati caratterizzano il quadro normativo
internazionale sulla proprietà intellettuale. Copyright, brevetti, disegno e proprietà
industriale e marchi di fabbrica sono alcuni dei temi toccati nei vari accordi.
I paesi che acconsentono ad implementare i contenuti degli accordi, si impegnano a
implementare nel sistema giuridico nazionale una legislazione congruente, favorendo
l’impegno all’innalzamento degli standard di qualità e controllo e facendo convergere
le proprie politiche a livello internazionale. Va però detto che non essendo
direttamente vincolanti, le convenzioni internazionali risentono della libertà
interpretativa di ogni paese, facendone risultare un impatto ridimensionato ed attutito.
Il primo passo compiuto contro la contraffazione venne sancito già nel 1883 mediante
la Convenzione di Parigi per la protezione della Proprietà Industriale, con la quale
venne creata un’unione tra i paesi aderenti che garantisse un’efficace protezione e che
inoltre punisse pratiche di competizione iniqua tra i paesi firmatari.
Successivamente, nel 1886, venne siglata la Convenzione di Berna per la protezione
delle opere letterarie ed artistiche che perseguiva gli stesi scopi della convenzione
precedente, ma che si focalizzava sull’assegnazione del corretto riconoscimento dei
diritti agli autori delle opere, sia economici che morali.
Circa un secolo dopo, nel 1981, si ebbe l’Accordo di Madrid sulla registrazione
internazionale dei marchi, che, insieme al Protocollo relativo all’Accordo di Madrid
formarono il “sistema di Madrid”, costituì il sistema internazionale di registrazione
amministrato dalla World Intellectual Property Organisation (WIPO).
Oggi, però, il punto di riferimento nelle politiche economiche e commerciali
internazionali, come accennato nel paragrafo precedente, è rappresentato
dall’Accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio
(TRIPS) che è stato sottoscritto dai paesi appartenenti al WTO nel 1994.
Oltre a stabilire un quadro normativo minimo per la lotta alla contraffazione,
definendo cosa si intenda per violazione dei diritti di proprietà intellettuale, unisce in
un unico testo le norme previste anche per la proprietà artistica e intellettuale.
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Nel TRIPS si parla degli oggetti di protezione, ovvero di diritti di copyright, dei marchi
commerciali, delle indicazioni di provenienza geografica dei prodotti (11), dei disegni
industriali, dei brevetti, delle informazioni riguardanti i processi produttivi oltre che
delle pratiche anticoncorrenziali.
Gli stati membri devono poi a loro volta stabilire delle norme penali e delle sanzioni
contro la violazione di tali diritti di proprietà intellettuale. Inoltre le autorità doganali
devono poter bloccare le merci usurpative alle frontiere e su tutto il territorio
nazionale e i titolari del diritto di proprietà intellettuale oltre che gli importatori
possono far ispezionare la merce fermata oltre che richiedere informazioni su di essa.
La finalità dell’accordo è quella di garantire lo sviluppo e la diffusione dell’innovazione
tecnologica in favore dei produttori così come degli utilizzatori, di modo da stimolare il
benessere sociale ed economico a livello mondiale.
A livello europeo, è in corso una progressiva creazione di un sistema normativo
omogeneo per i paesi membri, di modo che i diritti di proprietà intellettuale vengano
rispettati. In primo luogo sono stati definiti i diritti di proprietà intellettuale e come i
titolari di questi possano essere tutelati giuridicamente in conformità con quanto
contenuto nel TRIPS, in seconda battuta le autorità doganali vedono la necessità di
azioni comuni per garantire il controllo.
Nel’98 la Commissione europea affrontò il problema della Contraffazione redigendo il
Libro Verde “La lotta alla contraffazione ed alla pirateria nel mercato interno” a cui è
seguito un Piano d’Azione con cui erano state presentate le misure e le iniziative da
attuare per migliorare e rafforzare la situazione nel mercato interno.
__________________________
(11) Rimandiamo al successivo paragrafo per quanto riguarda le indicazioni di provenienza geografica
dei prodotti.
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Successivamente alcune direttive sono state promulgate, si pensi alla direttiva
2001/29/CE “Sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti
connessi nella società dell’informazione” e la direttiva 2004/48/CE detta “direttiva
enforcement” poiché trattante il rispetto dei diritti di IPR (12).
Anche la protezione dei marchi e dei disegni e modelli hanno visto un miglioramento a
livello accentrato, per esempio mediante il regolamento 40/94 riguardante i marchi
comunitari, ed il regolamento 6/2002 inerente i disegni e modelli comunitari. Le
registrazioni comunitarie infatti hanno effetto su tutto il territorio dell’UE poiché
riconosciuti da ciascun Stato membro. Su di essi vige dunque la stessa legislazione.
Per quanto concerne la regolamentazione delle procedure doganali, sono state
armonizzate mediante il Regolamento CE n.450/2008 che pone un “Codice doganale
comunitario”, il quale stabilisce le norme e le procedure applicabili alle merci che
entrano ed escono dalla Comunità.
3.4. La legislazione sulle indicazioni di provenienza in Italia e limiti
In ambito comunitario non vi sono norme specifiche che regolino ed obblighino
l'apposizione di indicazioni di provenienza od origine sulle merci, ma sussistono
solamente norme di tutela del diritto del consumatore di avere informazioni corrette.
Di conseguenza, ciascuno Stato membro applica la propria normativa ispirata alle
regole specifiche prese a riferimento per consentire una corretta informazione per i
consumatori, ma rimane comunque una certa autonomia interpretativa.
In Italia, per esempio, non vi è un obbligo di etichettatura con l'indicazione del Paese di
origine e la normativa di riferimento è contenuta nel D.P.R. 12/06/1950, n. 86532, che
ha reso esecutivo l'Accordo di Madrid del 14 aprile 1891 sulla repressione delle false o
fallaci indicazioni di provenienza delle merci.
__________________________
(12) La “direttiva enforcement” che mira a creare le condizioni per applicare una legislazione uniforme
in tutti i paesi UE mira anche ad armonizzare le diverse legislazioni. Essa è stata applicata in Italia
mediante il D.Lgs. 140 del 16 marzo 2006.
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Tale accordo si riferisce alle indicazioni di provenienza, in quanto al tempo della sua
stesura il concetto di origine non era ancora sviluppato come ai giorni nostri. Infatti, se
in passato il Paese di produzione coincideva nella quasi totalità con il luogo di
provenienza delle materie prime, oggi, con l'avvento delle società multinazionali, è
frequente la suddivisione delle varie fasi di fabbricazione dei prodotti a livello
internazionale.
Le lavorazioni avvengono spesso in Paesi con basso costo della manodopera, che di
solito non coincidono con i Paesi esportatori di materie prime e, quindi, la definizione
della nozione di origine, deve la sua naturale evoluzione con il concetto di suddivisione
del lavoro a livello internazionale.
Passando ad una breve analisi delle norme più significative contenute nel predetto
Accordo, l'art. 1 prevede il sequestro dei prodotti recanti false o fallaci indicazioni di
provenienza (origine) nei Paesi nei quali è in vigore l''Accordo stesso, sia al momento in
cui le indicazioni sono state apposte, sia nella fase dell'importazione.
L'indicazione falsa deve riferirsi ad un Paese contraente, che abbia recepito le
disposizioni dell'Accordo nel proprio ordinamento. Nulla viene, però, precisato
riguardo indicazioni false riferite a Paesi non contraenti.
L'art. 2 attribuisce all''Autorità doganale il compito di sequestrare la merce contenente
false o fallaci indicazioni di provenienza e di darne conseguente comunicazione
all'interessato per permettergli di regolarizzare, eventualmente, il sequestro.
Inoltre, precisa che in caso di transito le predette Autorità non sono tenute ad
eseguirne il sequestro.
L'art. 3 prevede che nel caso in cui il venditore delle merci di provenienza (di origine) si
avvalga della facoltà di apporre su di esse il suo nome o il suo indirizzo, debba
precisare, con caratteri chiari, il Paese di fabbricazione e produzione (di origine), per
evitare qualsiasi errore sulla reale origine delle merci.
A livello nazionale, inoltre, si applica la Legge 10/04/1991, n. 12636 relativa alle norme
sull'informazione del consumatore secondo la quale: "i prodotti o le confezioni dei
prodotti destinati al consumatore, commercializzati sul territorio nazionale devono
riportare in lingua italiana indicazioni chiaramente visibili, vedi Tabella 3.4.1.
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Tabella 3.4.1.: Indicazioni necessarie sul packaging di prodotto circa la provenienza
o denominazione legale o merceologica del prodotto;
o nome o ragione sociale o marchio e alla sede del produttore
o di un importatore stabilito nella Comunità economica
europea;
o eventuale presenza di materiali o sostanze che possono
arrecare danno all'uomo, alle cose o all'ambiente;
o materiali impiegati ed ai metodi di lavorazione ove questi
siano determinanti per la qualità o le caratteristiche
merceologiche del prodotto;
o istruzioni, alle eventuali precauzioni ed alla destinazione
d'uso dove utili a fini di fruizione o sicurezza del prodotto.
Tale legge prevede poi anche sanzioni che variano da un minimo di € 516,45 fino a €
25.822,84.
In teoria, quindi, il principio di fondo è quello riguardante la necessità che il
consumatore abbia a disposizione informazioni veritiere circa la merce che acquista,
ma alcune critiche sono state mosse per via della relativa facilità nell’apporre nuove
etichette una volta che la merce sia entrata nel mercato unico europeo e subisca
ulteriori lavorazioni. Risulta difficile controllare la filiera delle lavorazioni a più riprese
dei prodotti, quindi le imprese hanno sicuramente un grado di responsabilità elevato
circa le dichiarazioni ultime che andranno a fare agli acquirenti delle proprie merci.
Inoltre la legislazione non è completa per quanto riguarda quelle problematiche che si
possono avere con paesi non firmatari dell’Accordo di Madrid, lasciando quindi ai
singoli stati autonomia legislativa.
Inoltre anche la variabile del “transito delle merci” potrebbe essere utilizzata per far
spostare merce che se usualmente sarebbe dovuta essere ritirata, non subisce fermi
poiché diretta in un altro paese.
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3.4. L’accordo TRIPS
Come abbiamo anticipato l’accordo sui diritti di Proprietà Intellettuale relativi al
commercio), noto con l'acronimo TRIPS, fissa lo standard per la tutela della proprietà
intellettuale per gli Stati membri del WTO. Esso stabilisce i requisiti che le leggi dei
paesi aderenti devono rispettare per tutelare l’IPR, nell'ambito del copyright, delle
indicazioni geografiche protette (IGP), dell'industrial design, dei brevetti, dei marchi di
fabbrica registrati e di numerosi altri ambiti stabilendo le linee guida per l'applicazione
delle leggi anche per le procedure di risoluzione delle controversie.
L'accordo TRIPS è un tentativo intrapreso per colmare il divario tra le differenze tra le
legislazioni sulla proprietà intellettuale dei vari paesi per portarli sotto regole
internazionali comuni. Esso stabilisce un livello minimo di protezione che ogni governo
deve garantire alla proprietà intellettuale dei membri del WTO ed attualmente risulta
essere il più completo accordo internazionale sulla materia.
Le cinque aree di intervento principali sono identificabili in Tabella 3.4.1.
Tabella 3.4.1. Aree di intervento del TRIPS
o
Applicare i principi base per la protezione della proprietà
intellettuale, anche sulla base dei precedenti accordi
internazionali.
o
Definire come dare protezione adeguata ai diritti sulla
proprietà intellettuale .
o
Definire come le nazioni dovrebbero applicare tali diritti in
modo adeguato all’interno dei loro territori.
o
Definire
come
risolvere
le
dispute
sulla
proprietà
intellettuale tra i membri del WTO.
o
Disposizioni speciali per i periodi di transizione, durante i
quali viene introdotto un nuovo sistema.
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L'accordo TRIPS fu negoziato alla fine dell'incontro del GATT (13) in Uruguay nel 1994.
La sua creazione fu il risultato dell'attività e dell'interesse riguardante la protezione dei
diritti della proprietà intellettuale da parte degli Stati Uniti, supportati dall'Unione
Europea, dal Giappone ed altre nazioni sviluppate. Il GATT diventò quindi il punto di
partenza per fondare quello che sarebbe poi diventato il WTO, ovvero l’Organizzazione
Mondiale per il Commercio.
La sottoscrizione del TRIPS è un requisito obbligatorio per diventare membri del WTO,
quindi ogni paese che cerchi di ottenere un facile accesso ai numerosi mercati aperti
dal WTO deve varare tali leggi sulla proprietà intellettuale. In questo modo dunque il
TRIPS diventa il più importante strumento per la globalizzazione delle leggi sulla
proprietà intellettuale. Rendendo necessario, persino a nazioni come la Russia e la
Cina, che probabilmente non si sarebbero mai unite alla Convezione di Berna (14), a
sottoscrivere il trattato nella prospettiva che diventando membri del WTO avrebbero
avuto ingresso a numerosi mercati internazionali.
Alcuni principi base del trattato si possono trovare nella Tabella 3.4.2.
Tabella 3.4.2.: Principi alla base del TRIPS
o non discriminazione tra paesi aderenti e principio del
trattamento nazionale;
o la protezione della proprietà intellettuale per lo sviluppo
dell’innovazione tecnologica.
__________________________
(13) Il GATT, General Agreement on Tariffs and Trade, ovvero l’Accordo Generale sulle Tariffe ed il
Commercio, è un accordo internazionale, firmato il 30 ottobre 1947 a Ginevra da 23 paesi, al fine di
stabilire le basi per un sistema multilaterale di relazioni commerciali con lo scopo di favorire la
liberalizzazione del commercio mondiale.
(14) La Convenzione di Berna si riferiva alla protezione delle opere letterarie e artistiche, ovvero, il
diritto d'autore).
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Le fonti su cui si era basata la stesura dell’accordo sono accordi internazionali
preesistenti al WTO (15) ma la necessità di un nuovo accordo dipendeva dal fatto che
mancava una trattazione completa.
Alcuni dei requisiti posti dal TRIPS sono riassunti nella Tabella 3.4.3.
Tabella 3.4.3.: Dettaglio requisiti per i Paese aderenti al TRIPS
o
Il copyright deve estendersi a 50 anni dopo la morte dell'autore, ma per film
almeno 50 anni e per fotografie 25.
o
Il copyright deve essere garantito automaticamente, senza formalità.
o
I programmi devono essere considerati come “opere letterarie” godendo
delle stesse leggi sul diritto d'autore.
o
Eccezioni a livello nazionale sul diritto d'autore devono sottostare alla
verifica in tre fasi stabilita a Berna nel 1967, nella Convenzione per la
Protezione delle Opere Letterarie e Artistiche.
o
I brevetti devono essere garantiti in tutti i campi della tecnologia, sebbene
sono permesse eccezioni per alcune aree di pubblico interesse (Art. 27.2 e
27.3) e devono essere esecutivi per almeno 20 anni (Art 33).
o
Le eccezioni ai diritti esclusivi devono essere limitate.
o
Gli interessi legittimi di terze parti devono essere tenute in considerazione
nei diritti sui brevetti (Art. 30)
o
In ogni stato, le leggi sulla proprietà intellettuale non dovrebbero offrire
nessun beneficio ai cittadini locali che non sia anche disponibili ai cittadini di
altri firmatari del TRIPS, secondo il principio del trattamento nazionale (con
determinati limiti ed eccezioni, Art. 3 e 5).
__________________________
(15) La Convenzione di Parigi concerneva la protezione della proprietà industriale (brevetti, progetto
industriale) e la Convenzione di Berna riguardava la protezione delle opere letterarie e artistiche (diritto
d'autore). Non erano però trattati altri tipi di proprietà intellettuale e come proteggerli. Il TRIPS ha
aggiunto numerosi nuovi standard od innalzato quelli preesistenti.
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83
Una volta siglato l’accordo internazionale TRIPS i governi devono adattare le proprie
legislazioni al fine di garantire i requisiti richiesti. Devono dunque essere anche poste
delle sanzioni congruenti con la nuova legislazione. La contraffazione, ad esempio, di
marchi registrati dovrebbe essere inserito tra i reati criminali, ed i detentori dei diritti
di proprietà intellettuale devono poter ricevere l’opportuna assistenza dalle autorità
competenti.
Se da un lato gli obblighi da osservare da parte dei Paesi firmatari del TRIPS sono gli
stessi per tutti, quelli in via di sviluppo hanno una scadenza per l’adeguamento della
legislazione più flessibile. Infatti il termine posto inizialmente era nel 2005, ma è stato
esteso fino al 2016.
3.5. Una legislazione per il “sounding” con riferimenti a Taiwan
Torniamo ora all’argomentazione iniziale, ovvero alla situazione attuale riguardante il
fenomeno del “sounding” e della protezione del “trade dress”.
Ci baseremo, poi, sulle rilevazioni fatte a Taiwan ricordando che le stesse osservazioni
potrebbero essere fatte per numerosi altri paesi.
Possiamo iniziare prendendo alcune parti della regolamentazione del TRIPS, l’accordo
sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio, che più si
avvicinano a questo aspetto, ovvero alle indicazioni geografiche, ai layout e design e
trademark.
Quando abbiamo parlato nei capitoli precedenti in che cosa consista il “sounding”
abbiamo già parlato dell’importanza che rivestono il packaging di prodotto e la sua
veste esterna. Nella parte II dell’accordo TRIPS, riguardante gli “standard della
disponibilità, scopo ed uso dei diritti di proprietà intellettuale”, troviamo alcune sezioni
particolarmente importanti circa i marchi, le indicazioni di origine ed il layout.
L’allegato 3.5.1. sui Trademark regolamenta la possibilità di registrare un particolare
trademark se risulti essere distintivo e riconoscibile dal consumatore finale. Tale
registrazione consente al detentore del diritto di proteggere il proprio brand dalla
contraffazione o dall’imitazione, permettendogli di incorrere in azioni legali.
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Allegato 3.5.1.: TRIPS Sez. II sui Trademark, Articolo 15, Cosa si può proteggere
1. Any sign, or any combination of signs, capable of distinguishing the goods or
services of one undertaking from those of other undertakings, shall be capable
of constituting a trademark. Such signs, in particular words including personal
names, letters, numerals, figurative elements and combinations of colours as
well as any combination of such signs, shall be eligible for registration as
trademarks. Where signs are not inherently capable of distinguishing the
relevant goods or services, Members may make registrability depend on
distinctiveness acquired through use. Members may require, as a condition of
registration, that signs be visually perceptible.
Per quanto riguarda le indicazioni geografiche, viene definito che tali indicazioni
contraddistinguono prodotti che provengano da un certo territorio e per questo
motivo abbiano le caratteristiche tipiche di qualità e reputazione attribuibili in modo
distintivo a quelle merci particolari che soddisfino tutti i requisiti dell’appellativo.
Inoltre viene sottolineato che l’appartenenza od il riferimento ad un certo marchio
d’origine deve essere provato e veritiero, in quanto il pubblico deve poter avere
informazioni corrette. Inoltre, uno stato membro può richiedere che venga invalidata
la registrazione di un trademark nel caso in cui sia dichiarata un appellativo d’origine
dei prodotti fraudolento. Un altro estratto dell’accordo è presente nell’allegato 3.5.2
sulle Indicazioni Geografiche.
Un altro passo rilevante, nella Parte III dell’accordo TRIPS, è quello che si riferisce al
rafforzamento dei diritti per la proprietà intellettuale, ovvero in parte delle
obbligazioni generali dell’articolo 41.
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Allegato 3.5.2.: TRIPS Sez. III sulle Indicazioni Geografiche, Articolo 22, Protezione
delle indicazioni geografiche
1. Geographical indications are, for the purposes of this Agreement, indications
which identify a good as originating in the territory of a Member, or a region or
locality in that territory, where a given quality, reputation or other
characteristic of the good is essentially attributable to its geographical origin.
2. In respect of geographical indications, Members shall provide the legal means
for interested parties to prevent: (a) the use of any means in the designation or
presentation of a good that indicates or suggests that the good in question
originates in a geographical area other than the true place of origin in a manner
which misleads the public as to the geographical origin of the good; (b) any use
which constitutes an act of unfair competition within the meaning of
Article 10bis of the Paris Convention (1967).
3. A Member shall, ex officio if its legislation so permits or at the request of an
interested party, refuse or invalidate the registration of a trademark which
contains or consists of a geographical indication with respect to goods not
originating in the territory indicated, if use of the indication in the trademark
for such goods in that Member is of such a nature as to mislead the public as to
the true place of origin.
4. The protection under paragraphs 1, 2 and 3 shall be applicable against a
geographical indication which, although literally true as to the territory, region
or locality in which the goods originate, falsely represents to the public that the
goods originate in another territory.
Viene infatti indicato che i paesi firmatari devono garantire ed assicurare che vi siano
procedure in grado di attuare provvedimenti nel caso di infrazioni dell’IPR, oltre che ad
azioni che le prevengano, di modo che vengano evitate barriere e che venga
salvaguardata proprietà intellettuale.
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Nell’allegato 3.5.3. sul Rafforzamento dei Diritti di Proprietà Intellettuale troviamo
l’estratto dell’accordo riferito a questo argomento.
Allegato 3.5.3.: TRIPS Parte III sul Rafforzamento dei Diritti di Proprietà Intellettuale,
Articolo 41, Obblighi Generali
1. Members shall ensure that enforcement procedures as specified in this Part are
available under their law so as to permit effective action against any act of
infringement of intellectual property rights covered by this Agreement,
including expeditious remedies to prevent infringements and remedies which
constitute a deterrent to further infringements. These procedures shall be
applied in such a manner as to avoid the creation of barriers to legitimate trade
and to provide for safeguards against their abuse.
Visti questi estratti dell’accordo TRIPS, che ricordiamo sono stati approvati su scala
internazionale, dagli Stati Membri del WTO (16) e significativi ai fini della nostra
trattazione, possiamo ora cercare di valutare se, ad oggi, sia presente una qualche
forma di tutela o legislazione in merito al fenomeno del “sounding”.
Abbiamo visto che di poca rilevanza ai fini teorici è il riferimento al paese oggetto di
studio. In questa trattazione ci riferiamo più nello specifico all’”Italian Sounding” ma
potremmo estendere la teoria anche al “French Sounding”, “Japanese Sounding”, ed a
tutti quei paesi che godono di stereotipi importanti circa ottime produzioni in specifici
settori in cui detengono vantaggi competitivi spesso emulati.
Nel mercato taiwanese, infatti, numerosi prodotti hanno caratteristiche che
richiamano stati come il Giappone (per la tecnologia, la moda, la cosmetica, i fumetti, il
design e la cucina), la Corea (per la moda e la cucina), la Francia (per i profumi e la
cosmetica, la moda e la cucina), eccetera.
__________________________
(16) Gli stati membri del WTO sono 153 su scala internazionale, dato al 23 Luglio 2008.
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Possono essere mosse alcune critiche ad una possibile legislazione per il “sounding” in
quanto, come abbiamo visto precedentemente, il ricorso a questa strategia può non
essere collegata o diretta a scapito di un singolo produttore. Se un trademark venga
copiato, o la veste di un prodotto taiwanese ricordi moltissimo la forma ed il packaging
di un prodotto italiano, l’impresa danneggiata potrebbe cercare di risolvere il
problema incorrendo in qualche azione legale (18). Ma se invece il sounding è diretto a
qualche categoria merceologica di successo, ma più generale, per esempio la pasta
surgelata, non copiando direttamente un produttore specifico, muovere azioni è
praticamente impossibile. Probabilmente nessuno si opporrebbe ad un produttore di
pasta carbonara surgelata anche se venisse scritto sulla confezione “dalla vera ricetta
italiana tradizionale”, a meno che un produttore italiano non indichi un’affermazione
simile e vi siano altre componenti rilevanti nel packaging.
Se poi la categoria merceologica non è particolarmente rilevante, ancora più
improbabile è una sua difesa. Per esempio, sempre riferendoci alla pasta surgelata,
non vi sono produttori italiani in questo settore che esportino a Taiwan, dunque
nessuno muoverebbe critiche ai produttori “sounding” esistenti, anche se le ricette
siano poco accumunabili a quelle dichiarate.
Anche per quanto riguarda i sughi, le critiche da parte dei produttori italiani sono
praticamente inesistenti. Pochi sono i prodotti originali sul mercato, ma anche molto
difficile è proteggere una ricetta originale.
Capiamo, quindi, che solo un produttore che registra la propria proprietà intellettuale
nel paese in cui sorge il problema delle imitazioni “sounding” può muovere accusa se
__________________________
(18) Facciamo per esempio riferimento agli allegati fotografici finali dove l’azienda dolciaria italiana
Ferrero ha riscosso un buon “successo” in Asia dove sono stati copiati sia i Ferrero Rocher che i Kinder
Bueno con caratteristiche molto simili all’originale. Qui un’azione legale potrebbe essere mossa, ma
importante è anche valutare il livello della protezione della proprietà intellettuale nel paese in cui siano
stati trovati i “simili” e, soprattutto, se la registrazione della forma e del packaging sia valida in tali paesi.
Un prodotto, infatti, potrebbe essere anche falsificato uguale all’originale, ma se l’azienda non abbia
protetto anche solo il suo marchio in un paese, non ci potrebbero essere azioni legali al riguardo.
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danneggiato direttamente, ma difficilmente prenderebbe provvedimenti se l’intera
categoria in cui opera si trovasse in tale situazione.
Ovviamente incide anche la dimensione dell’impatto negativo che si abbatte
sull’impresa che subisce imitazione, e dobbiamo anche considerare che probabilmente
il mercato taiwanese non è sufficientemente grande per trovare esempi di azioni legali
intraprese da aziende italiane.
Secondo un sondaggio intrapreso dall’IPR Desk della sede di Taipei circa la percezione
della contraffazione da parte delle aziende italiane con sede a Taiwan, tutte le aziende
hanno dichiarato di operare sul luogo da un mese a dieci anni ma di non aver mai
avuto problemi inerenti la proprietà intellettuale. Curioso è vedere come sia evidente
notare prodotti “sounding” ma come le imprese dichiarino di non avere alcun
problema (19).
Taiwan tuttavia risulta essere uno dei paesi con minor tutela della proprietà
intellettuale secondo la Bascap (20) nel 2007, si faccia riferimento alla Tabella 3.5.1.
Paesi con la minor attenzione alla tutela di IPR.
__________________________
(19) Ciò è probabilmente riconducibile al fatto che difficilmente le aziende vogliono apparire deboli ad
occhi di terzi, oppure che veramente non sentano il problema o lo considerino di piccola entità.
Riferendoci infatti al mercato di Taiwan, il peso delle aziende italiane con sedi in loco è minimo e spesso
di tratta di centri distributivi (si pensi a Ferrero).
(20) La Bascap è un’iniziativa della Camera di Commercio Internazionale che si occupa di Azioni di
Business contro la Contraffazione e la Pirateria (Business Action to stop Counterfeiting and Piracy).
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Tabella 3.5.1. Paesi con la minor attenzione alla tutela di IPR (21)
PAESE
PUNTI
1
Cina
3.49
2
Russia
2.26
3
India
0.98
4
Brasile
0.59
5
Indonesia
0.57
6
Vietnam
0.50
7
Taiwan
0.41
8
Pakistan
0.39
9
Turchia
0.33
10
Ucraina
0.30
Si noti però la non indifferente differenza tra Taiwan e la vicina Cina. Facendo
riferimento al punteggio loro assegnato risulta essere più di otto volte più sicuro.
La situazione in realtà è molto migliorata negli ultimi 12-20 mesi, grazie agli sforzi del
governo Taiwanese, facendo risultare i dati del 2007 non aggiornati. Non essendo
disponibile una rilevazione più recente, possiamo comunque fare riferimento alle
valutazioni compiute dallo United States Trade Representative, USTR, ovvero l’ufficio
che si occupa delle transazioni commerciali degli Stati Uniti con l’estero.
Nello “Special 301 Report” del 30 aprile 2009, Taiwan infatti è stato promosso ad
essere un Paese sicuro. Questo documento che viene pubblicato annualmente
dall’amministrazione USA, valuta e classificazione i paesi che non garantiscono
__________________________
(21) Questi sono i dati ultimi disponibili dalla Bascap, ma si rimanda alle affermazioni successive circa la
situazione attuale più aggiornata facendo riferimento ai dati divulgati dall’Office of the United States
Trade Representative nel 2009.
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un’adeguata tutela per la proprietà intellettuale creando due liste suddivise in due
categorie: “Priority Watch List” e “Watch list”. La differenza fra le due è il grado di
criticità riguardanti la IPR. Se infatti nel 2001 Taiwan era stato inserito nella lista dei
“paradisi della contraffazione”, oggi è passato a non essere nemmeno incluso in una
lista. Questo grazie ad alcuni provvedimenti del Governo, ovvero l’istituzione della
Corte specializzata in IPR, l’efficacia delle azioni di polizia ed i progressi legislativi per la
tutela del copyright di internet.
Nelle classificazioni del 2009 troviamo nella “priority watch list” e nella “watch list” i
Paesi elencati nelle tabelle 3.5.2. e 3.5.3.
Tabella 3.5.2. Priority Watch List, “Special 301 Report” dell’ USTR – United States
Trade Representative - aprile 2009.
PAESE
1
Cina
2
Russia
3
Algeria
4
Argentina
5
Canada
6
Cile
7
India
8
Indonesia
9
Israele
10
Pakistan
11
Tailandia
12
Venezuela
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Tabella 3.5.3. Watch List, “Special 301 Report” dell’ USTR – United States Trade
Representative - aprile 2009.
PAESI
Bielorussia
Ungheria
Filippine
Bolivia
Guatemala
Polonia
Brasile
Ungheria
Romania
Brunei
Italia
Arabia Saudita
Colombia
Kuwait
Spagna
Costarica
Libano
Tagikistan
Rep. Ceca
Malesia
Turchia
Rep. Domenicana
Messico
Turkmenistan
Ecuador
Norvegia
Ucraina
Finlandia
Perù
Uzbekistan
Grecia
Vietnam
Interessante è vedere come nella tabella 3.5.3. venga annoverata nella “Watch List”
anche l’Italia e come Taiwan, come detto in precedenza, sia stato elevato a paese
sicuro, insieme alla Corea del Sud.
Inoltre, anche la Camera di Commercio Europea di Taipei ha confermato che le criticità
fondamentali sull’IPR a Taiwan sono molto migliorate (22). Appena due anni fa, nel
2007, infatti le problematiche principali individuate erano per esempio: l’uso non
conforme alle regole WTO della licenza obbligatoria, la difficoltà amministrative per
riconoscere il legale rappresentante di un’azienda straniera nel caso di azioni
giudiziarie in casi di contraffattori locali, oppure il mancato impedimento all’uso di
marchi già brevettati.
__________________________
(22) Secondo lo studio fatto per la Camera di Commercio Europea a Taipei (ECCT) da Baker & McKenzie
“Review of Taiwan’s compliance with WTO Commitments from a European business perspective”.
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3.6.
92
Il ruolo delle indicazioni geografiche
Un’altra critica che può essere mossa riguarda le indicazioni geografiche. Difficilmente
nel caso di prodotti “sounding” verrebbe fatto riferimento ad un marchio di origine
come DOC, DOCG, DOP, IGP, IGT o STG (23). Non sarebbe possibile, quindi, muovere
accuse in questo senso in quanto non copierebbero direttamente quei produttori che
hanno invece ottenuto tali certificazioni.
Solitamente i prodotti “sounding” copiano più l’idea di appartenenza ad un certo
Paese mediante riferimenti visivi, grafici e linguistici, più che la vera tradizione, ricetta
o capacità.
Inoltre il riferimento è sempre fatto in modo sottile, viene indicato ad esempio solo
“Italy” appena a fianco del marchio, quasi ne facesse parte. Del resto, se un
imprenditore taiwanese volesse chiamare un formaggio “Formaggio Italia” e seguisse
un procedimento simile alla produzione della Fontina d’Aosta, ma adattandone il gusto
al mercato locale,difficilmente incontrerebbe problemi sia a livello di registrazione del
marchio, pur contenente la parola “Italia”, sia a livello di storpiatura di una ricetta della
tradizione, perché effettivamente non ne viene fatto esplicito riferimento.
In conclusione, dunque, per difendere i propri prodotti dal fenomeno del “sounding”,
l’azienda deve possedere i diritti della proprietà intellettuale derivanti dalla
registrazione. Potrà quindi fare causa a produttori che utilizzino, ad esempio, una veste
molto simile od un marchio che richiami le sue dirette caratteristiche, ma difficilmente
potrà avere voce contro produttori stranieri che si propongano come sostitutivi
“italianeggianti” a più basso costo e nella stessa categoria.
__________________________
(23) DOC è l’acronimo di Denominazione di Origine Controllata, DOCG è l’acronimo di Denominazione di
Origine Controllata e Garantita, DOP è Denominazione di Origine Protetta ed IGP significa Indicazione
Geografica Protetta, IGT è Indicazione Geografica Tipica, STG è Specialità Tradizionale Garantita.
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Italian Sounding
93
Capitolo 4 – Osservazioni finali
4.1.
Conclusioni sul “sounding”
Un fenomeno in sviluppo, che pare riscuotere sempre più successo a livello
internazionale, e quello di cui abbiamo ampiamente parlato nel secondo capitolo, è
quello che si basa sull’utilizzo della strategia “sounding”. Questo termine è
accompagnato da un ulteriore aggettivo concernente la nazionalità che viene presa a
modello, e nel caso specifico di questo elaborato, ci siamo concentrati sui prodotti
“Italian Sounding” sul mercato di Taiwan.
Il fenomeno, però, può essere visto in chiave teorica non facendo riferimento specifico
ad un paese. Si parla dunque di “sounding” o di “strategia sounding” quando una
merce fabbricata nel paese B, in realtà propone le caratteristiche o l’imitazione della
tradizione del paese A, quasi cercando di indurre il consumatore a credere che sia
effettivamente prodotto in A.
Ovviamente solo alcune categorie merceologiche risultano appetibili per l’ispirazione
ad imprese straniere, solitamente sono quelle categorie dove un paese eccelle in
know-how e tradizione. Esempi trattati sono per l’Italia, ad esempio, la cucina, il design,
la ceramica e la moda, altri settori sarebbero per la Francia, ovvero la cosmetica ed
anche la cucina e la moda, o per il Giappone la tecnologia ed i manga.
Insomma, vi sono opportunità di mercato che a volte non vengono sfruttate dai
produttori del paese d’origine od “originali” sui mercati internazionali, causando quindi
la possibilità per imprenditori locali di sfruttarle.
Così, se esiste una fetta di mercato non soddisfatta pienamente dalle merci disponibili
perché comunque sono curiose o propense all’acquisto di prodotti stranieri, nel caso in
cui fosse troppo costoso importare il prodotto “originale” o poco competitivo, gli
imprenditori del luogo possono adottare una strategia “sounding”.
Mediante l’utilizzo della veste grafica di prodotto, ricorrendo a specifici riferimenti al
paese a cui vogliono fare riferimento (bandiere, cartine geografiche, nome,…) ma con
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Italian Sounding
94
ricette o caratteristiche più o meno attinenti all’originale, nuovi prodotti fanno
ingresso sul mercato.
Il successo che riscuotono è dovuto al fatto che il loro prezzo d’acquisto è più
competitivo del corrispettivo importato ed originale perché le spese di spedizione
possono avere un impatto decisivo sul prezzo al pubblico.
Quote di mercato, dunque, sono dirottate dall’idea di acquistare un prodotto originale,
o comunque simile a quello di un altro paese, creando i presupposti per una
competizione con i prodotti importati. Se infatti esiste un certo numero di consumatori
che vorrebbero acquistare prodotti originali, è però possibile che il loro potere
d’acquisto non sia sufficientemente elevato per quelli importati. Inoltre paragonando
la merce a sua disposizione, può addirittura non individuarne la reale provenienza.
Il packaging infatti può risultare del tutto similare, per via dei richiami o dei nomi che
“suonano” come provenienti da un altro Paese.
Il consumatore medio, infatti, non si cura della provenienza della merce, viene in
qualche modo confuso e spesso non ne è neanche preoccupato.
Dal punto di vista dei produttori originari, ovvero del luogo della tradizione, il
problema dei prodotti “sounding” sta iniziando ad essere sentito. Spesso può essere
visto come una possibilità di intraprendere nuovi mercati studiando il comportamento
delle aziende già presenti sul mercato con prodotti “sounding”. Possono infatti venire
aperte nuove frontiere commerciali esportando se si veda che il prodotto sounding ha
già riscosso un certo successo.
In questo caso, il produttore potrà studiare la convenienza di entrare anch’esso nel
mercato con il prodotto originale, ma importante sarà la valutazione dell’impatto del
costo di trasporto. E’ infatti necessario capire se il nuovo prodotto possa essere
competitivo su un mercato dove magari la cultura in quel settore non sia così avanzata
da capire il differenziale di prezzo rispetto la qualità.
Il ricorso al “sounding” è una strategia piuttosto fruttuosa, in quanto consente di
spuntare un prezzo superiore rispetto lo stesso prodotto che non presenti riferimenti
ad altri paesi. Questo perché il ricorso al “sounding” è dato dalla volontà di fornire ad
una parte di mercato esigente un prodotto nuovo o innovativo, oppure che abbia una
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Italian Sounding
95
qualità superiore. E questa qualità superiore, veritiera o presunta, è sempre data dal
prezzo più elevato.
Anche se i produttori volessero proteggersi dalla “copiatura” derivante dai prodotti
“sounding”, abbiamo visto come una normativa in tale ambito sia difficile da concepire.
Se da un lato esiste una normativa atta a proteggere la proprietà intellettuale ed anche
il “trade dress”, o la veste del prodotto, dobbiamo prendere atto che una legge in
senso più ampio è praticamente impossibile (1).
Se infatti un singolo produttore può registrare in più paesi il proprio marchio, il design
del packaging o la forma o il modello del prodotto, nulla può fare nel momento in cui
in un altro paese lo stesso venga utilizzato per rappresentare un'altra categoria
merceologica, oppure un competitor anche nello stesso luogo produca qualcosa di
simile ma con un nome simile e nella stessa lingua.
Vediamo quindi come una normativa per il sounding sia di difficile implementazione.
Vedremo nel successivo paragrafo 4.3. quali possano essere alcune vie da
intraprendere per cercare di continuare a competere.
I produttori “sounding”, d’altro canto, sanno che è difficile che qualcuno muova loro
causa perché non esiste nessun accordo che si riferisca precisamente alla materia.
Nell’ambito del TRIPS per esempio viene detto che il consumatore non deve essere
tratto in inganno circa il luogo di provenienza del prodotto, ma un produttore
“sounding” potrebbe dire che non abbiano mai scirtto “Made in” con un Paese diverso
da quello reale, ma che il fatto che scrivano per esempio “Italy” non si riferisca al luogo
di produzione ma solo allo stile. Vediamo dunque come sia labile la materia.
Inoltre anche le diciture “made in country” al giorno d’oggi sono difficilmente
controllabili, si pensi all’importanza che riveste oggi la dislocazione della produzione di
componenti od outsourcing. Nel gioco della movimentazione delle merci o delle parti
su scala globale, è sempre più problematico il controllo dell’effettiva provenienza. Basti
poi anche pensare che se molta merce viene controllata nei porti, molta di più è quella
che sfugge ai controlli (2).
__________________________
(1)
(2)
Vedi paragrafo seguente 4.2. “Protezionismo o liberismo”.
Fonte libro “Gomorra” di Saviano.
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Italian Sounding
96
Inoltre bisogna pensare che diverse culture vedono il fenomeno del “sounding” in
modo diverso. Se normalmente in Italia si cerca di proteggere il Made in Italy e la
produzione nazionale, negli Stati Uniti circa tali argomentazioni risponderebbero in
modo diverso. Leggendo l’articolo di Menghini (3), di cui vediamo un estratto
nell’allegato 4.1.1., che si basa su una ricerca del 2006 su prodotti alimentari italiani
falsi venduti in Nord America, viene sì affermato che questo mercato in qualche modo
mina le esportazioni di prodotti originali, ma appena più avanti viene mossa una critica
che si riferisce alle radici Italiane di più di 26 milioni di persone negli Stati Uniti. Viene
infatti affermato che le radici italiane fanno parte ormai dell’eredità americana ed
anche parte del vincolo di amicizia tra Italia e US dove i gusti ed i cibi di entrambe i
paesi costituiscono una opportunità di marketing non solo per i produttori Italiani ma
per ogni produttore di cibi. Ma soprattutto viene anche menzionato il fatto che il
desiderio italiano di controllare ogni uso di parola italiana, immagine o prodotto è
insostenibile.
Allegato 4.1.1.: Critica alla visione italiana dell’Italian Sounding (3)
“(…) there are about 26 million Americans of Italian decent. The association that this
group makes with its Italian roots is part of American heritage and part of the bond of
friendship between Italy and the US. The tastes and food that Americans and Italian
share create a marketing opportunity not only for Italian food producers, but also for
any food producer. An Italian desire to control all use of Italian words, images and
products simply in untenable.”
__________________________
(3)
Estratto dall’articolo da GAIN Report, Global Agricolture Information Network, 3 luglio 2006, “Italy
Trade Policy Monitoring – Research Claims Fake Italian Food Sold in NAFTA 2006 (North American
Free Trade Agreement), scritto da Alberto Menghini ed approvato da Geoffrey Wiggin dell’U.S.
Embassy.
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Italian Sounding
97
Vediamo dunque come guardino più alle opportunità di mercato piuttosto che alla
necessità di protezione. Questo è dovuto probabilmente più ad un fatto storico e di
convenienza economica che per principio. La tradizione culinaria americana, in un
certo senso, è meno tradizionale rispetto alla vasta gamma dei prodotti alimentari
italiani, quindi da un punto di vista economico è comprensibile che siano propensi
all’utilizzo delle strategie di “sounding” proponendo merce ispirata ad altre tradizioni.
Infatti, se consideriamo la Francia, che ha circa la stessa rilevanza dell’Italia per i
prodotti alimentari, anche questo paese cerca di proteggersi dalle copie diffuse
all’estero.
In generale, quindi, la cultura di un Paese circa la protezione piuttosto che il consenso
all’utilizzo di politiche “sounding” è influenzata dalla storia e dalla tradizione nonché
dal grado di sviluppo economico dei settori chiave.
4.2.
Protezionismo vs liberismo
Dal momento in cui un Paese diventa membro della World Trade Organization, si può
dire che ha fatto il primo passo verso la globalizzazione del mercato. Questo
regolamento a livello internazionale, infatti, consente a tutti i Paesi membri di avere
dei riferimenti ben precisi circa le possibilità commerciali con gli altri.
Ad oggi ben 153 paesi in tutto il mondo hanno aderito, mentre altri sono in via di
osservazione. Molte azioni per garantire i requisiti regolamentari minimi sono stati
intrapresi, ma una strada ancora lunga è da fare, poiché sono moltissime le differenze
legislative vigenti e molti possono essere i problemi che sorgono in paesi dove le
legislature non sono ancora a livelli ottimali, poiché meno sviluppati.
In ogni caso, in un’ottica di commercio globale, dove ormai non ha più molta
importanza l’effettiva provenienza della merce, dove in ogni angolo del mondo vi sia
una connessione ad internet mediante la quale si vede una convergenza della cultura
in un’ottica sempre più occidentalizzante, dove si trovano gli stessi identici prodotti
anche a grandissime distanze, sembra molto difficile poter portare avanti una
concezione di protezione delle tradizioni.
Tesi Specialistica – Economia e Direzione delle Imprese
Italian Sounding
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Come visto nel paragrafo precedente pensare di proteggere il “sounding” è addirittura
sconsigliabile, perché si incorrerebbe in problematiche tra i paesi membri anche
appartenenti alle stesse organizzazioni internazionali, ma soprattutto perché è difficile
poter spiegare sinteticamente e controllare cosa si possa considerare come “sounding”,
si pensi anche solo all’impossibilità di impedire di utilizzare le parole di una lingua per
indicare prodotti di un altro paese.
Nel frangente dell’andamento legislativo della globalizzazione, vediamo come anche se
venga fatta richiesta per l’abolizione dei marchi regionali durante la stesura di un
accordo del WTO, l’Italia non abbia aderito in quanto avrebbe compromesso la
possibilità di far riferimento ad indicazioni geografiche in settori dove ciò può essere
significativo. Anche qui ancora una volta la Francia si trovava in accordo con la nostra
posizione, visto che come a noi possa stare a cuore la distinzione del Prosciutto Crudo
di Parma, a loro interessa mantenere la dicitura Champagne poiché contraddistingue
lo spumante proveniente da quella specifica regione (4).
Quindi se il liberismo sembra essere l’unica via, le denominazioni di origine geografiche
risultano essere una delle poche vie per mantenere ancora legati i prodotti al territorio.
4.3.
Le vie per la competitività
Se le aziende non possono far nulla dal punto di vista giuridico contro il “sounding”, ma
solo se si verifichino casi di contraffazione diretta, devono trovare un modo per
mantenere una certa competitività anche sui mercati distanti dove il prezzo dei loro
prodotti risulti più elevato.
__________________________
(4)
Articolo “Italy opposes dropping area names from WTO deal”, Reuters, 29 luglio 2008.
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Cosa possono fare i produttori della tradizione in Paesi lontani che sono interessati a
provare merci caratteristiche di altri luoghi?
Il mezzo più frequentemente utilizzato è quello dell’avvicinamento della popolazione
locale o del consumatore potenziale, target, mediante la sensibilizzazione e la
promozione della cultura della tradizione.
Vengono in questo modo individuati dei gruppi di riferimento sensibili alla categoria
merceologica tradizionale a cui vengono poi presentate e spiegate le differenze tra i
prodotti.
Fine ultimo di questi investimenti in promozione è far in modo che l’acquirente
potenziale capisca ed apprezzi il valore dell’originalità rispetto al prodotto “sounding”
più economico e reso disponibile sul mercato da un imprenditore locale.
Esempi ricorrenti in questo senso sono rappresentati dai vari seminari messi in atto
direttamente dalle imprese che esportano all’estero, oppure anche da enti fautori
della promozione economica e culturale di un paese (5).
Un esempio di promozione per il settore dell’agroalimentare italiano a Taiwan è il
workshop agroalimentare che è in fase di organizzazione e che coinvolgerà dal 23 al 26
novembre 2009 le città di Ho Chi Minh, Vietnam, e Taipei, Taiwan chiamato “Sapori
d’Italia nel mondo 4” (6).
Nel corso di queste giornate, una delegazione di produttori alimentari italiani
incontreranno i buyer delle principali catene distributive locali ai quali verranno
presentati sia i prodotti che i modi di utilizzo degli stessi. Vi saranno infatti spiegazioni
dettagliate, ma anche la possibilità di degustarli.
__________________________
(5) In Italia per esempio sono l’Istituto per il Commercio Estero, le Camere di Commercio, le Associazioni
di produttori, ecc. Questi enti sponsorizzano mediante fondi derivanti dal budget governativo
destinato loro e mediante apporti degli imprenditori che ne prendano parte eventi di formazione e
promozione per ampliare le possibilità commerciali ed esportatrici del Sistema Paese.
(6) Il workshop ha visto l’inizio dell’organizzazione già nei mesi di aprile e maggio, durante il periodo di
stage a Taipei.
Tesi Specialistica – Economia e Direzione delle Imprese
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100
Queste iniziative sono principalmente di ordine commerciale, ovvero atte a costruire le
partnership future e gli accordi per l’export italiano. I produttori cercano di trovare
accordi con le catene distributive anche per la promozione che deve essere fatta
successivamente al consumatore finale, di modo che la formazione appresa dai buyer
sia in qualche modo trasferita anche all’acquirente ultimo. Pensiamo alle varie
campagne promozionali nei supermercati dove sia possibile provare la merce, ovvero
dove sia possibile aumentare l’esperienza di prodotto.
In mercati alimentari molto diversi dal nostro, questa sembra essere la tattica vincente.
Allegato 4.3.1. Workshop Agroalimentare “Sapori d’Italia nel mondo 4” – Ho Chi
Minh, Taipei
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Italian Sounding
101
Il workshop menzionato è comunque piuttosto complesso perché prevede il
coinvolgimento di ben 2 paesi dalle caratteristiche economiche anche ben diverse.
Ciò per i piccoli e medi produttori italiani può anche essere visto come un vantaggio
poiché i mercati danno prospettive future non congruenti. Economicamente ad oggi
non sono, infatti, nello stesso stadio e quindi, se Taiwan potrebbe garantire un
ordinativo costante ed in crescita visto che l’export agroalimentare italiano verso
questo paese rispetto il 2007 è aumentato di circa il 5% nel 2008 raggiungendo la
quota di 37 milioni di euro, il Vietnam si sta espandendo ad un ritmo molto più
accelerato, circa il 51% rispetto il 2007 e con una quota di 4,5 milioni di euro.
Questo genere di eventi vedono poi la partecipazione della stampa locale, che viene
coinvolta per far in modo che la risonanza dia più ampia e vada a toccare quella
clientela potenziale.
Altri eventi vengono organizzati frequentemente e non solo per il settore
agroalimentare. Come abbiamo visto nel primo capitolo, i “gioielli” del made in Italy
sono molti e per ognuno di essi le attività promozionali si susseguono
ininterrottamente al fine di non perdere competitività e mantenere costante la sua
reputazione e posizione.
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Si annoverano, per esempio, sempre per quanto riguarda il mercato Taiwanese, eventi
promozionali per la fiera per macchine utensili di Milano (EMO 2009), ovvero la fiera
Mondiale Universale per le Macchine Utensili, dove sia l’Italia che Taiwan risultano
essere tra i principali produttori mondiali e dove la cooperazione è auspicabile, oppure
gli eventi di “Moda Italia” che vedono la partecipazione dei produttori italiani che
vogliono farsi conoscere ed esportare in Asia, soprattutto a Taiwan ed in Giappone,
vestiti uomo,donna e bambino, oltre che scarpe e accessori.
4.4.
Enti a sostegno della promozione economica e culturale
Sappiamo che l’economia italiana è costituita principalmente da piccoli e medie
imprese, e sappiamo che la promozione all’estero può essere estremamente costosa,
basti pensare alla necessità di effettuare uno studio di mercato che comprenda diversi
paesi prima di poter scegliere quello sul quale far vertere il proprio interesse, alla
necessità di recarsi sul luogo, cercare dei partner o distributori locali, il tempo
impiegato e spesso la mancanza di risorse e competenze interne.
Se quindi da un lato le grandi imprese o multinazionali possono ricorrere al proprio
know-how, un medio imprenditore vede l’impresa spesso come irraggiungibile.
Per questo vi sono specifici enti che possono fornire un sostegno anche sostanziale
nella battaglia per l’esportazione. Questi sono gli enti per la promozione economica, e
culturale, che possono fornire servizi di consulenza o che organizzano eventi e seminari
come visto nel paragrafo precedente.
I principali attori in questo campo sono gli Istituti per il Commercio Estero e le Camere
di Commercio.
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Italian Sounding
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L’Istituto nazionale per il Commercio Estero, ICE, è l'ente con il compito di sviluppare,
agevolare e promuovere i rapporti economici e commerciali italiani con l'estero, con
particolare attenzione alle piccole e medie imprese ed i consorzi. In collaborazione con
il Ministero dello Sviluppo Economico, ogni anno viene elaborato un programma per le
attività promozionali, organizzando direttamente le iniziative previste. La sede
principale è a Roma ma vi sono altri 17 Uffici in Italia ed altri 117 in ben 87 Paesi del
mondo.
La Camere di Commercio hanno una diffusione principale sul territorio nazionale, sono
quindi il punto di riferimento in Italia per le aziende, ma hanno sviluppato negli anni
anche una rete estera, costituita da associazioni di imprenditori e professionisti italiani
e locali e mirano all’inserimento di successo delle imprese sul mercato. Forniscono
anch’esse servizi di consulenza in svariati ambiti, dall’informatizzazione alla formazione,
dall’internazionalizzazione
all’innovazione
ed
al
turismo.
A
livello
europeo
corrispondono loro le Camere di Commercio Europee (7). In Italia le Camere di
Commercio sono ben 105 e 74 sono le Camere di Commercio Italiane all’estero. Vi
sono poi anche 32 Camere di commercio italo-estere, che vedono la partecipazione al
progetto di un altro paese.
Sia per l’ICE che per le Camere di Commercio, le sedi all’estero di entrambe gli enti,
hanno la possibilità di conoscere a fondo il mercato in cui si trovano, dispongono di
liste aggiornate su importatori ed esportatori, conoscono i cambiamenti della
legislazione vigente, gli eventi fieristici principali, eccetera.
I loro servizi possono essere sia gratuiti che a pagamento, ma solitamente, sono molto
più economici che quelli che potrebbero essere forniti da società di consulenza o da
uno studio intrapreso internamente di un’azienda.
__________________________
(7) Come la Camera di Commercio Europea di Taipei già menzionata in precedenza (ECCT:
European Chambre of Commerce of Taipei)
Tesi Specialistica – Economia e Direzione delle Imprese
Italian Sounding
104
Essendo enti a carattere principalmente pubblico, possono essere un sostegno per le
imprese che, seppur di dimensione piccola o media, vogliano intraprendere la via dei
mercati internazionali. Anche un budget non stratosferico destinato per tale strategia,
può dunque ottenere dei buoni risultati se affidato ad una consulenza specializzata.
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Italian Sounding
105
BIBLIOGRAFIA
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Ricerche e studi
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Buonitalia “The Real Taste of Italy”, “La domanda e l’offerta di prodotti
alimentari italiani negli Stati Uniti - Rapporto Finale” MRA con la collaborazione
della Camera di Commercio di New York
-
Tailandia Contraffazione
-
“Rules of origin in the context of international trade” .pdf
Tesi Specialistica – Economia e Direzione delle Imprese
Italian Sounding
106
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Confartigianato, Rapporto 2004, Impresa Artigiana online
-
“L’indicazione del Made in sul prodotto e la disciplina sull’origine delle merci”,
Dott. Andrea Toscano, Studio di Consulenza Commercio Estero S.r.l., Camera di
Commercio di Bologna.
-
“Special 301 Report”, 30 aprile 2009 dell’ Office of the United States Trade
Representative.
-
“Review of Taiwan’s compliance with WTO Commitments from a European
business perspective”, Baker & McKenzie, per la Camera di Commercio Europea
di Taipei (ECCT).
Articoli
-
“Sorpresa, Italia al top per competitività”,La Repubblica del 29 luglio 2008,
pagina 23, sezione Economia, Valentina Conte.
-
“Le 'quattro A' del made in Italy compensano tutti i settori in rosso”, La
Repubblica del 18 febbraio 2008, pagina 6, sezione Affari e Finanza, Paola
Jadeluca.
-
“Images of the HQ-subsidiary relationship: Has the country-of-origin effect
disappeared?”, version September 2006, Anne-Wil Harzing and Niels
Noorderhaven.
-
“Italy opposes dropping area names from WTO deal”, Reuters, 29 luglio 2008.
Regolamenti e leggi
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Regolamento (CEE) N. 2913/92 del Consiglio del 12 ottobre 1992 che istituisce
un codice doganale comunitario.
-
Legge 883/73, Testo della LEGGE 26 NOVEMBRE 1973, n° 883 “Disciplina della
denominazione e della etichettatura dei prodotti tessili” coordinato con le
integrazioni e le modifiche di cui alla legge 8 agosto 1977, N°632 e legge 4
ottobre 1976, N° 669.
Tesi Specialistica – Economia e Direzione delle Imprese
Italian Sounding
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Proposta di legge d’iniziativa dei deputati Raisi e Saglia per l’istituzione del
marchio Made in Italy presentata il 18 luglio 2006, con riferimento agli articoli
23 e 24 del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992,
relativa all’origine delle merci, per prodotti che potrebbero richiedere una
protezione più significativa se integralmente prodotte con materie prime
italiane, ideate e lavorate in Italia.
-
Norme per la riconoscibilità e la tutela dei prodotti italiani. C. 664 Forlani, C.
790 Contento, C. 848 Lulli, C. 1402 Raisi e C. 1448 Conte.
Fonti online
-
The made in Italy official Portal, www.italtrade.com
-
Istituto Nazionale per il Commercio Estero, www.ice.gov.it
-
The Free Encyclopedia, www.wikipedia.org
-
World Trade Organization, www.wto.org
-
Istituto
per
la
tutela
dei
produttori
Italiani
www.madeinitaly.org/produttori.htm
-
Commissione Europea, Taxation and Customs Union http://ec.europa.eu
-
Intellectual
Property
Office,
Ministry
of
Economic
Affairs
Taiwan,
www.tipo.gov.tw
-
Ufficio per l’armonizzazione del mercato interno (marchi, disegni e modelli),
http://oami.europa.eu
-
Palgrave Macmillan Economics Journals, www.palgrave-journals.com
-
Business and Management Springer Directory, www.springerlink.com
-
Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, Agricoltura Italiana
online, www.agricolturaitalianaonline.gov.it
-
Ufficio Italiano Brevetti e Marchi, www.uibm.gov.it
-
World Intellectual Property Organization, www.wipo.int
-
Spiegel and Utrera Lawyers, www.amerilawyer.com
Tesi Specialistica – Economia e Direzione delle Imprese
ITALIAN SOUNDING
Imprese analizzate
Prodotto
Tipo (marchio registrato)
Cocobello
Gelato confezionato
Nationality: TW.
Jenova
Zaini, borse per fotocamere, pc, cd Piu' registrazioni
Informazioni
TIP-TOP Precision Industry Co., Ltd. invested by Taiwan TIP-TOP
Co., Ltd. is a large corporation in Jiangmen City, Guangdong
Province set up at the beginning of 2004. Precision Industry Co.,
Ltd. has a technical cooperation with a world-well-known Italian
enterprise, which is specialized in the manufacture and the selling
of series of refrigeration equipments and relevant parts and pieces,
such as pasteurizer、vertical batch freezer、soft sever freezer and
ice-cream display cabinet etc. Most of the products have been
plentifully sold to Europe and North America. TIP-TOP and some
Italian merchants have been cooperating with each other and have
established the famous ice-cream brand “COCOBELLO” in order to
guarantee that the buyers of ice-cream machines easily approach
to the opportunities to the manipulating technology and to a quick
way into ice-cream business. TIP-TOP provides franchisee service
in China, and has established more than ten model shops in
Guangdong. TIP-TOP has provided franchisee joining in the icehttp://www.yuyinggroup.com.cn/encocobell/index.asp
Holder: LAP SHUN MANUFACTURE CO LTD
Provenienza
China (Jianmeng City
Guangdong Province) - Taiwan:
TIP-TOP International Business
Group cooperates with TW TIPTOP Co. TIP-TOP International
Business Group (Jianmeng City
Guangdong Province) that
cooperates with Taiwan TIPTOP Co.
Hong Kong
Unit R, 2/F., International Industrial Centre,2-8 Kwai Tei Street, Fotan, Shatin, N.T., Hong Kong
Holder: not available in english
Sono alla ricerca di distributori in tutto il mondo e sul loro sito vi
http://www.jenova.com.hk/
Macanna
Scarpe dal 1960
Piu' registrazioni
Taiwan
http://www.jenova.eu/contactus.
Holder: NORTTINGHAM HOLDINGS LTD
United Kingdom (Private Equity).
Holder: NORTTINGHAM HOLDINGS LTD
Taiwan
Holder: TOWN CHAMP INTERNATIONAL CO., LTD
Taiwan
Hengchun, Pingtung County, Kenting Road, No. 148 tel: 08-8862640
Phone:00886 2 22185518
Fax:00886 2 86695714
Mail:[email protected]
Nottingham Holdings is a private equity group comprising individual
members who collectively provide financial backing and business
guidance to organizations that it feels can develop into very
profitable companys with a sustainable return on investment.
http://nottinghamholdings.com/
http://www.macannashoe.com/
DEPOSITATO IL MARCHIO COMUNITARIO IL 18.06.08 Dalla
Nottingham Holdings di Londra
Alla fiera Taipei Shoes c'erano delle Macanna false
Vaddi Italy
Abbigliamento
Registrato TW
Holder not available in english
Carenza di informazioni on line!
Marcobelli
Ceramiche, piastrelle
Registrato TW
CHAMPION BUILDING MATERIALS CO., LTD.
No.2, Ju-ku Shan, Feng-hu Village 1 Lin, Tsao-chiao Hsiang, Miaoli Hsien, Taiwan, R.O.C.
TEL:886-37-561761
SINYIH is now introducing and international ceramic tile brand Marcebelli Tile - designed by Italian space coloring master
Marcobelli. Marcobelli's True Color design philosophy advocates
color environmentalism, accurately reproducing nature colors which
are unaltered by man.
These are the romantic colors of Italian idealism, and represent
what modern people are striving for - a life-style based on nature.
http://www.marcobelli.com.tw/index.htm
Distributori prevalentemente TW
Dal sito http://www.champion.com.tw : This stone, more attractive
than traditional man-made stone, offers the beauty of natural stone
without damage to the natural environment. With its special antistain and fireproof properties, superfine polish and ultra-hardness,
this stone is leading the building materials trends in Taiwan.
(Quindi e' un prodotto Taiwanese rilevante).
Morita Roberta
森田藥粧 Morita Roberta Since 1934
Cosmetica grande distribuzione
Taiwan
http://www.docomo.com.tw http://www.docomo.com.tw Vendita
online dei prodotti. Sito tw.
SST & C. Italy
Abbiligliamento elegante Uomo
No trademark. Centro Commerciale New York di Taipei.
Bellini Pasta Pasta
Ristorante Tokio Italian
Trademark TW.
Bellini Caffe'
Caffe'
Trademark TW. Registrato per categorie diverse, stesso logo.
Loranzo Ramanza
?
No trademark.
正統 Zheng Tong Oil
Olio (Advance Sesame oil)
Marchio che richiama I colori della bandiera Italiana.
Hunt's
Spaghetti sauce (in lattina)
RegistratoTW
Funghi e tradizionale. 90 NTD.
Azienda USA: Conagra Grocery Products Company LLC
Origynal Style since 1890. Traditional Sauce and Mushrooms.
Produzione presumibile in USA
Chef's Choice
美味大師 Mei Wei Da Shi
Spaghetti Sauce (in vetro)
Registrato in Tw
Azienda: Chef's Choice Foods Co, Ltd
Vegetarian Spaghetti Sauce. 120 NTD.
Caratteri ITALY MIEN
Produzione TW.
正逢 Zheng Feng
Pasta Sauce (in vetro)
Italy Style Coffee
光泉 Guang Quang
Caffe' in cartone, al pubblico e distributori automatici
Milano (gruppo Seven Seven)Biscotti e sfoglie
逢海 Feng Hai
Riferimento alla bandiera italiana. Caratteri ITALY MIEN.
Green Pesto, Gream Sauce
"Classical Italian Flavour that you'd fall in love with"
Registrato in TW solo GRUPPODiverse categorie registrate.
Il marchio "Milano" non e' registrato.
Hunya Foods Co.Ltd.
Puff Pastry, Almond Thousand Layers
Frozen Food.com.tw
金品 Jin Ping
Hawaii Pizza e Spaghetti congelati
Registrato in TW
King's Cook since 1989.
Riferimento all'"Italy" e bandiera. Cartina dell'Italia sulla confezione.
"Italian Style".
Duroyal - 杜老爺 Du Lao Ye
Low fat Ice Cream
Registrato in TW
Lucky Royal Co. Ltd
Registrato anche un "Duroyal Firenze Mousse"
No website in english
Galeno Fiddino
Abbigliamento (da specificare)
Registrato in TW
No marchio comunitario
Trovata vendita giacca su internet.
Dal 1950
Valentiono
Abbigliamento (chiedere Petz)
NO REG. TW ne' Comunita'
Lindarico
Abbigliamento Italy
No registrato TW ne' Comunita' Zhongxiao Fuxing
Belle etichette anche in Italiano e altre lingue.
Vendita su Internet.
Via Turati Roma. (?)
Antonietti
Biancheria/prodotti casa
No registrato TW ne' Comunita' Non trovato su internet
Negozio Sogo prodotti per casa, lenzuola ecc.
Giardino di Luca Milano
Biancheria/prodotti casa
No registrato TW ne' Comunita' Non trovato su internet
Negozio Sogo prodotti per casa, lenzuola ecc.
Capatina
Gelati (? Chiedi a Petz) Jason
Registrato in TW
HWANG&BROTHERS ENTERPRISE CO.,LTD.
Biscotti Italy Milano
桂冠 Quei Guang
Pasta surgelata
Bandiera italiana. Pasta italiana.
Italian Sounding
Allegati
Allegati: Rilevazioni sul mercato Taiwanese, contraffazione e “italian sounding”
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Contraffazione prodotti Ferrero Rocher e Kinder Duplo:
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Italian Sounding
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Allegati
Prodotti e marchi “Italian Sounding”:
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Italian Sounding
Allegati
Tesi Specialistica - Economia e Direzione delle Imprese
Italian Sounding
Allegati
Tesi Specialistica - Economia e Direzione delle Imprese
Italian Sounding
Allegati
Tesi Specialistica - Economia e Direzione delle Imprese
Italian Sounding
Allegati
Tesi Specialistica - Economia e Direzione delle Imprese
Italian Sounding
Allegati
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Stesso marchio registrato per categorie diverse:
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Catene di negozi “Sounding”:
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Italian Sounding
Allegati
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Italian Sounding
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Allegati
Italian sounding esportati da paesi esteri:
USA:
SPAGNA:
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