I quaderni del Governo Ombra Volume 1

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I quaderni del Governo Ombra Volume 1
Quaderni
del
Governo
Ombra
1
ATTIVITÀ DELLA
XVI LEGISLATURA
MAGGIO/DICEMBRE
2008
Quaderni PD.indb 1
Governo Ombra
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Progetto grafico
Tiziana Cesselon
Giuseppe Zarbo
Coordinamento editoriale
Tatiana Giacinti
Antonella Procopio
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Finito di stampare nel mese di febbraio 2009
da Union Printing – Viterbo
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Sommario
PREMESSA
9
Walter Veltroni
11
Anna Finocchiaro
12
Antonello Soro
13
Enrico Morando
14
Ricardo Franco Levi
15
1. AREA AFFARI ESTERI
(PIERO FASSINO, MARIA PAOLA MERLONI)
1.1 AFFARI ESTERI E ITALIANI NEL MONDO
L’Italia e l’Europa nel mondo globale. Documento di sintesi
19
Pacchetto legislativo sui diritti umani. In occasione del 60° anniversario
della Dichiarazione universale dei diritti umani
22
Riunione congiunta delle Commissioni Affari esteri di Camera e Senato
sulla situazione in Georgia
29
Discussione alla Camera dei Deputati della Mozione sull’Agenda del G8 del 2009
33
Medio Oriente: non rassegnarsi alla guerra, costruire la pace
37
Proposta di legge n. 1474 “Istituzione dell’Osservatorio delle donne italiane all’estero”
44
1.2 POLITICHE COMUNITARIE
Attività della Commissione politiche UE. Esame pacchetto sicurezza
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2. AREA AFFARI INTERNI
(MARCO MINNITI, LANFRANCO TENAGLIA, ROBERTA PINOTTI)
2.1 GIUSTIZIA
Conferenza Nazionale del Partito Democratico ”Ricostruire la giustizia”.
Dalle norme del privilegio al diritto delle uguaglianze. Le proposte del PD
53
Progetto di legge n. 1234 “Delega al Governo per l’istituzione dell’ufficio per il processo,
l’organizzazione e le funzioni del personale dell’Amministrazione giudiziaria, il riordino
delle circoscrizioni degli uffici giudiziari, l’informatizzazione dei procedimenti,
la notificazione e l’esecuzione degli atti e la registrazione telematica dei provvedimenti
giudiziari, nonché disposizioni in materia di depositi giudiziari, per promuovere l’efficienza
dei servizi della giustizia”
87
Progetto di legge n. 1510 “Modifiche al codice penale e al codice di procedura
penale in materia di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni e di pubblicità
degli atti di indagine”
104
Progetto di legge n. 1784 “Modifiche all’articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354,
concernente il regime penitenziario applicabile a detenuti e internati per gravi delitti,
in caso di collegamento con un’associazione criminale, terroristica o eversiva”
123
2.2 INTERNO
Le misure legislative per la sicurezza
127
2.3 DIFESA
Gli impegni e le iniziative del Partito Democratico per la pace, la sicurezza
e la difesa nazionale
144
3. AREA ECONOMICA
(PIER LUIGI BERSANI, MATTEO COLANINNO, ERMETE REALACCI, ANDREA MARTELLA,
ALFONSO ANDRIA)
3.1 POLITICHE PER L’ECONOMIA E LA FINANZA
Disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie.
Nota sul decreto legge 27 maggio 2008, n. 93
153
La manovra approvata: un giudizio d’insieme
162
Le misure anticrisi. Le proposte del PD
167
Per un vero “Decreto Anticrisi”
170
Per la crescita del Mezzogiorno e dell’Italia.
Una piattaforma nazionale del Partito Democratico per il Mezzogiorno
175
3.2 POLITICHE PER LE IMPRESE E IL SISTEMA CREDITIZIO
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Non solo banche. Aiutiamo le famiglie e le imprese. Gli emendamenti e le proposte
del Partito Democratico sui decreti per la stabilità del sistema creditizio
Proposta di legge n. 1225 “Disposizioni per la semplificazione dei procedimenti
riguardanti l’avvio di attività economiche e la realizzazione di insediamenti
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produttivi, nonché in materia di disciplina dello sportello unico per le attività
produttive, per l’attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato
interno. Delega al Governo per il riordino delle disposizioni in materia di attività
economiche e di autocertificazione”
194
3.3 POLITICHE DELLE INFRASTRUTTURE E DEL TRASPORTO
205
Le proposte del PD per le infrastrutture. Intervento alla Conferenza economica
209
Il trasporto e la mobilità locale
214
Disegno di legge n. 263 “Riforma della legislazione in materia portuale”
221
Proposta di legge n. 329 “Principi fondamentali per il governo del territorio.
Delega al Governo in materia di fiscalità urbanistica e immobiliare”
246
Proposta di legge n. 330 “Modifiche al codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006,
n. 163, per l’accelerazione e la semplificazione delle procedure relative all’intervento
di soggetti privati nella realizzazione di opere pubbliche”
268
Proposta di legge n. 649 “Disposizioni in materia di circolazione e di sicurezza stradale”
277
Discussione in Aula “La vicenda Alitalia. Dichiarazione di voto finale”
295
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La Finanziaria 2009. Il settore delle costruzioni e delle infrastrutture
Risoluzione VIII Commissione Camera “Una strategia organica per la casa”
298
3.4 POLITICHE PER L’AMBIENTE E IL TERRITORIO
Uscire dall’ingorgo. Proposte per la mobilità nelle città italiane
301
Proposte del Partito Democratico sulle linee guida per un piano sull’energia
e sui mutamenti climatici per l’Italia
305
Disegno di legge n. 263 “Prime misure per la riduzione della dipendenza energetica dal petrolio
e la riduzione delle emissioni di CO2. Delega al Governo per il coordinamento e la semplificazione
delle disposizioni in materia di risparmio energetico e uso delle fonti innovabili”
311
Più Clima, meno crisi. Le proposte del Partito democratico
319
3.5 POLITICHE AGRICOLE
Agricoltura e Alimentazione
321
Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. Documento di Indirizzo
323
4. AREA WELFARE
(ENRICO LETTA, VITTORIA FRANCO)
4.1 POLITICHE SOCIALI E DEL LAVORO
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«Persona, famiglia, comunità». Le proposte del PD per rilanciare il lavoro e uscire dalla crisi
verso la Conferenza Nazionale sul Welfare del PD. Relazione introduttiva di Enrico Letta
339
Contributo della Consulta Lavoro alla discussione preparatoria della Conferenza
Nazionale sul nuovo welfare del PD
349
Contributo della Consulta Sanità alla discussione preparatoria della Conferenza
Nazionale sul nuovo welfare del PD
356
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4.2 POLITICHE PER LE PARI OPPORTUNITÀ
Donne e lavoro, idee e proposte per sostenere l’occupazione femminile.
Atti del seminario
366
Disegno di legge n. 1139 “Disciplina dei reati connessi con il fenomeno della prostituzione
e misure di integrazione sociale”
394
Disegno di legge n. 784 “Misure urgenti a sostegno della partecipazione delle donne
alla vita economica e sociale”
403
Disegno di legge n. 991 “Lotta alla pedofilia e tutela dei minori dallo sfruttamento sessuale”
416
“Non da sola”. Giornata mondiale contro la violenza sulle donne.
Relazione di Vittoria Franco
424
Disegno di legge n. 1296 “Misure per la prevenzione della violenza di genere
e per la tutela delle vittime”
427
5. AREA ISTRUZIONE E POLITICHE CULTURALI
(MARIAPIA GARAVAGLIA, VINCENZO CERAMI, PINA PICIERNO, GIOVANNA MELANDRI)
5.1 SCUOLA UNIVERSITÀ E RICERCA
I numeri dell’emergenza scuola
439
Le bugie di Berlusconi sulla scuola. Controdossier scuola
447
Il futuro dell’università italiana.
Dieci proposte del Partito Democratico
452
5.2 BENI E ATTIVITÀ CULTURALI
Bozza programmatica per la cultura
459
Giù le mani dal paesaggio
463
Danza e spettacolo dal vivo
465
Patrimonio Italia. Appunti per una politica di tutela e valorizzazione
dei Beni Culturali e Paesaggistici in Italia.
472
5.3 POLITICHE GIOVANILI
Futuro al Sicuro! Le proposte del PD per la sicurezza dei giovani
481
6. AREA RIFORME ISTITUZIONALI
(SERGIO CHIAMPARINO, MARIANGELA BASTICO, LINDA LANZILLOTTA,
BEATRICE MAGNOLFI, MICHELE VENTURA)
6.1 RIFORME PER IL FEDERALISMO
495
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Le proposte per il federalismo fiscale del Partito Democratico.
Disegno di legge di iniziativa del Partito Democratico
Disegno di legge n. 1263 “Delega al Governo in materia di federalismo fiscale”
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6.2 RAPPORTI CON LE REGIONI
I contenuti essenziali della “Carta delle autonomie locali”
538
Disegno di legge n. 1208 “Delega al Governo in materia di funzioni fondamentali
degli enti locali, di istituzione delle città metropolitane e di definizione
della Carta delle autonomie locali”
540
Idee e proposte del Partito Democratico per la valorizzazione della montagna
558
6.3 PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E INNOVAZIONE
Più riforme per la Pubblica Amministrazione e meno propaganda
568
Iniziative e strumenti organizzativi dell’area pubblica amministrazione
e innovazione del Governo Ombra del PD
576
Proposta di legge n. 948 “Disciplina dei servizi pubblici locali”
582
6.4 SEMPLIFICAZIONE NORMATIVA
596
SENATORI GRUPPO PD
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Disegno di legge n. 909 “Norme in materia di semplificazione e di qualità della regolazione”
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DEPUTATI GRUPPO PD
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GOVERNO OMBRA
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PREMESSA
Costruito sui modelli da tempo consolidati in altri sistemi politici, il Governo
Ombra è l’organo nel quale il Partito Democratico elabora le proprie politiche.
Il Governo Ombra ha due funzioni essenziali: quella, per l’appunto, di formulare e
presentare le politiche del PD, cioè le misure e gli interventi considerati necessari per
rispondere ai bisogni della società italiana; e quella di rispondere e di opporsi alle iniziative
del Governo in carica ogni volta che esse si pongano in contrasto con l’interesse nazionale.
Presieduto dal segretario del partito, il Governo Ombra, comprende 21 ministri con responsabilità corrispondenti a quelle dei ministri del Governo in carica ed è così composto:
Walter
Dario
VELTRONI
FRANCESCHINI
Segretario Pd
Vice Segretario Pd
Piero
Marco
Lanfranco
Pier Luigi
Mariapia
Matteo
Enrico
Roberta
Alfonso
FASSINO
MINNITI
TENAGLIA
BERSANI
GARAVAGLIA
COLANINNO
LETTA
PINOTTI
ANDRIA
Affari esteri e italiani nel mondo
Interno
Giustizia
Economia e finanze
Istruzione università e ricerca
Sviluppo economico
Lavoro salute e politiche sociali
Difesa
Politiche agricole e forestali
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Ermete
Andrea
Vincenzo
Giovanna
Sergio
Mariangela
Linda
Vittoria
Beatrice
Maria Paola
Michele
Pina
Enrico
Ricardo Franco
REALACCI
MARTELLA
CERAMI
MELANDRI
CHIAMPARINO
BASTICO
LANZILLOTTA
FRANCO
MAGNOLFI
MERLONI
VENTURA
PICIERNO
MORANDO
LEVI
Ambiente tutela del territorio e del mare
Infrastrutture e trasporti
Beni e attività culturali
Comunicazione
Riforme per il federalismo
Rapporti con le regioni
PA e innovazione
Pari opportunità
Semplificazione normativa
Politiche comunitarie
Attuazione del programma
Politiche per i giovani
Coordinatore
Portavoce
In questo primo “Quaderno”, attraverso i principali documenti discussi nelle
riunioni settimanali e qui raggruppati in sei macro aree, si dà conto dell’attività del Governo Ombra nel periodo tra il maggio e il dicembre 2008.
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Alle riunioni del Governo Ombra partecipano i capigruppo del PD al Senato, Anna Finocchiaro, e alla Camera, Antonello Soro.
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WALTER VELTRONI
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Segretario nazionale del PD
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Governare l’Italia, e governando, cambiarla: questo è il compito che si è dato, fin dall’inizio
del suo cammino, il Partito Democratico. Questo nostro grande e giovane progetto non è
nato per stare in equilibrio con qualche punto in percentuale in più o in meno nelle aule
parlamentari; è nato, invece, per chiamare gli italiani a sostenere la concreta speranza
di un Paese che ha occhi per aprirsi al mondo e idee per intraprendere nuove strade
di sviluppo.
Non saremo eternamente all’opposizione, e non governeremo ad libitum. È finita l’epoca in cui un partito era destinato, per sua “natura”, ad allignare per
sempre al governo o per sempre all’opposizione.
In ogni democrazia compiuta occorre essere pronti a sedere da una parte o dall’altra dell’aula: quella della maggioranza e quella della minoranza, e in entrambi i
casi è necessario avere responsabilità, determinazione e lungimiranza.
Si comprende meglio, allora, come il Governo Ombra non sia soltanto il luogo dove si manifesta l’opposizione del PD, ma sia soprattutto lo strumento con il quale il PD dimostra di
possedere la potenziale responsabilità di governo.
Potremmo dire che il Governo Ombra è il biglietto da visita del PD verso l’Italia, poiché
l’opposizione, al pari del Governo, sarà giudicata dall’elettorato per le sue proposte, i suoi
interventi, i suoi progetti, i suoi comportamenti, la sua chiarezza.
Quando definiamo la nostra opposizione “responsabile”, è perché siamo convinti che essa è
chiamata a svolgere una funzione ben precisa nell’interesse primario del Paese. In Gran Bretagna, dove più radicata è l’esperienza politica dello Shadow Cabinet, il principale partito di
opposizione è office-seeking, ha cioè lo scopo di andare al governo.
Il Governo Ombra del PD dimostra il nostro senso di responsabilità e il nostro amore per il
Paese dove viviamo. I Quaderni dimostrano che abbiamo una nostra visione dell’Italia, puntiamo il dito sui continui errori di una maggioranza che governa non grazie alle idee, non
grazie alla qualità delle sue leggi, ma grazie ai numeri e al sigillato potere della “fiducia”.
Allo stesso tempo indichiamo le cose da fare, ci confrontiamo con i problemi reali, individuiamo i provvedimenti da assumere. Il Governo Ombra è utile ai cittadini perché apre nuove
porte, spalanca le finestre per illuminare questo nostro Paese, che comincia a essere stanco
di un governo ingeneroso e incapace di far fiorire una nuova stagione di speranze.
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ANNA FINOCCHIARO
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Presidente del gruppo PD al Senato
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Una opposizione propositiva. Un modo per interloquire e sintonizzarci con il Paese.
Uno strumento importante di raccordo tra gruppi parlamentari e partito.
L’esperienza del Governo Ombra del PD è tutto questo.
E in questo Quaderno, che contiene appunto gli atti del Governo Ombra, c’è un patrimonio di
proposte avanzate all’Italia, una elaborazione seria e forte di un partito responsabile.
Che non solo contesta e sottolinea gli errori del Governo, ma che si fa carico di presentare
all’opinione pubblica una altra idea di Italia.
Il Governo Ombra, che rappresenta una delle leve principali, certamente la più innovativa,
dell’azione politica del PD, ha saputo produrre una mole di proposte e di idee che stanno
disegnando il profilo del nostro giovane partito.
In queste proposte c’è molto del lavoro che il gruppo del PD a Palazzo Madama ha svolto in
questi pochi mesi di legislatura: molto positiva è stata infatti la sinergia che si è creata tra
“Shadow Cabinet” e i gruppi parlamentari.
E questa pubblicazione vuole essere un modo diverso di presentare il Pd al Paese: in queste
pagine c’è l’immagine di un partito che non vive solo della quotidianità e della polemica
politica spicciola ma che produce politica alta, idee e proposte per il futuro dell’ Italia.
È necessario insistere su questa strada.
Dobbiamo continuare a costruire un patrimonio di idee e proposte che aiuti a delineare al
meglio la nostra identita’ e che possa essere utile quando, spero presto, torneremo al governo del Paese.
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ANTONELLO SORO
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Presidente del gruppo PD alla Camera dei Deputati
Il lavoro politico si compone di diversi aspetti: ci sono le dichiarazioni, i
discorsi pubblici, le interviste. Sono i momenti di forte visibilità, in cui si
esprimono valutazioni e si danno gli indirizzi che poi vengono recepiti dal grande pubblico. Ma c’è un lavoro politico non meno importante, non meno sostanziale
e fondamentale: è quello fatto di elaborazione e di confronto. Questo lavoro, per sua
natura, non chiede la pubblicità ma il silenzio della concentrazione, non vive l’urgenza
della battuta ma la fatica lenta della riflessione e quindi genera qualcosa di concreto solo
al termine di un processo. Ecco, questo Quaderno raccoglie gli atti del Governo Ombra, una
delle più importanti e originali iniziative politiche messe in piedi dal Partito Democratico.
Un lavoro che vuole essere soprattutto sostanza e che ha atteso prima di prendere forma in
una pubblicazione. È stata scelta non a caso la parola Quaderno, è una parola fortemente
evocativa nel lessico politico italiano. Quaderno sta a significare un prodotto politico che è
anche un prodotto culturale, che non è destinato a vivere nella caducità della cronaca ma
che ambisce a rappresentare un punto di riferimento per un più lungo ciclo politico.
L’esigenza di raccogliere e pubblicare quindi gli atti del Governo Ombra viene da qui. È l’esigenza di promuovere un’altra idea della politica, una politica che ragiona e opera in una
ottica di medio e lungo periodo, che cura gli interessi generali e permanenti del Paese. Ci
sentiamo sicuramente partecipi di questo lavoro come democratici e anche, a maggior ragione, come deputati del Partito Democratico. Proprio in questi atti del Governo Ombra noi
riconosciamo i suggerimenti e le indicazioni, il lavoro svolto in questi mesi anche dal gruppo
dei deputati del PD. Per tutto questo, ritengo che la sinergia tra parlamentari e Governo Ombra non potrà che crescere in futuro, dando sempre maggiore chiarezza e incisività all’azione
politica generale del Partito Democratico.
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ENRICO MORANDO
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Coordinatore del Governo Ombra
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La decisione di dar vita al Governo Ombra è stata molto impegnativa. Si tratta,
difatti, di un modello di organizzazione della opposizione politica e parlamentare
che impegna sia a una contrapposizione puntuale, norma per norma, rispetto alle proposte sostenute dal Governo, sia a collocare questa azione in un disegno organico, in un
coerente progetto di soluzione dei problemi dell’Italia. Un modello coerente con l’evoluzione
del nostro bipolarismo prodotta dalle ultime elezioni, che va assumendo un connotato più
europeo, articolandosi attorno a due coalizioni a partito dominante.
Il Governo Ombra è, prima di tutto, uno strumento della opposizione parlamentare: ministero per ministero, la struttura elementare è costituita dal ministro ombra e dai capigruppo
PD della commissione corrispondente. Attraverso questo snodo fondamentale, i parlamentari
PD di ogni commissione svolgono pressoché quotidianamente il compito di gruppi di elaborazione delle politiche di settore. Così che, a ben vedere, lungi dall’essere la fonte di una
diminuzione dell’autonomia e del ruolo dei gruppi, il Governo Ombra è fonte di ampliamento
della loro effettiva funzione politica.
Il Governo Ombra migliora il tono dell’opposizione parlamentare, perché la colloca in un
progetto coerente: non per governare dalla opposizione (questa è cosa di un’altra epoca),
ma per preparare l’opposizione a diventare governo. Noi, un progetto l’abbiamo: il programma. Ma quel programma dobbiamo arricchire e cambiare. E la sede privilegiata di questa
attività di implementazione e mutamento, anche e soprattutto in vista della conferenza
programmatica annuale del PD, è esattamente la relazione tra ministro ombra competente e
parlamentari.
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RICARDO FRANCO LEVI
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Portavoce del Governo Ombra
Otto mesi di attività del Governo Ombra ricostruiti sulla base dei documenti discussi nel corso delle riunioni settimanali che hanno scandito la vita
del nuovo organismo creato dal Partito Democratico come il “luogo” nel quale
elaborare e presentare le proprie proposte di intervento e nel quale contrastare le
posizioni e le politiche del Governo e della maggioranza tutte le volte che queste non
fossero considerate corrispondenti agli interessi generali del Paese.
La politica internazionale, l’economia, il lavoro, le istituzioni, la giustizia, la sicurezza, la
scuola e l’università, la cultura, i giovani, la salute, l’ambiente: come si può ben vedere dai
documenti raccolti in questo primo Quaderno, il Governo Ombra ha affrontato tutte le grandi
questioni che stanno di fronte alla società italiana in questa difficile fase della sua storia.
In questo lavoro, il Governo Ombra e i ministri che lo compongono hanno operato in stretto
e continuo collegamento con i gruppi parlamentari, da un alto, e con le organizzazioni territoriali del partito, dall’altro.
La natura dei documenti qui raccolti – in alcuni casi frutto più diretto dell’iniziativa del
ministro responsabile per la sua presentazione, in altri espressione di un lavoro maturato in
sede principalmente parlamentare, in altri ancora sintesi finale di una vasta mobilitazione di
mondi come quello della scuola o degli amministratori locali – dà conto di come e quanto il
Governo Ombra abbia agito come luogo di iniziativa e, al medesimo tempo, di collegamento
tra i diversi ambiti nei quali il Partito Democratico è presente.
Agli iscritti al Partito Democratico – parlamentari, amministratori locali, membri dei circoli
di tutte le regioni d’Italia – così come ai rappresentati dei mezzi d’informazione e a chiunque
è interessato a conoscere in dettaglio e con precisione le posizioni e le proposte del PD,
questo Quaderno del Governo Ombra si offre, speriamo, come uno strumento utile.
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affari
esteri
Piero Fassino, Maria Paola Merloni
1.1 Affari esteri e italiani nel mondo
1.2 Politiche comunitarie
Nell’ambito della politica internazionale, il Governo Ombra ha confermato gli indirizzi e
l’ispirazione che avevano già guidato l’azione del Governo Prodi e sulle quali si era, nel
complesso, sin dal dopoguerra mossa l’Italia repubblicana.
Europa unita e Alleanza atlantica, dunque, come i due capisaldi della nostra politica internazionale.
Nei documenti che seguono, e in particolare in quello che disegna gli impegni per il prossimo G8 a presidenza italiana, quei due punti fermi della nostra politica sono sviluppati
in un quadro che si allarga al ventaglio delle responsabilità e degli obiettivi dell’Italia,
dal Medio Oriente all’Africa. Il tutto nella prospettiva e con gli strumenti di un multilateralismo che, con l’aprirsi della nuova presidenza americana, si spera possa tornare a guidare i comportamenti della comunità internazionale
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AFFARI ESTERI E ITALIANI
NEL MONDO
L’Italia e l’Europa nel mondo globale
Documento di sintesi
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Multilateralismo e governance della globalizzazione
1.
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12 novembre 2008
Il Partito Democratico guarda con fiducia alla presidenza Obama, che potrà consentire agli Stati Uniti di voltare pagina, lasciandosi alle spalle l’unilateralismo
politico e il neoliberismo senza regole imboccando con convinzione la strada del
multilateralismo, scelta obbligata di fronte a un processo di globalizzazione sempre più
esteso che chiede di gestire crisi economiche e politiche coinvolgendo tutta la comunità
internazionale e i tanti nuovi paesi emergenti: un multilateralismo che su tutti i temi cruciali
– sicurezza e stabilità politica, globalizzazione economica, mutamenti climatici e ambientali, flussi migratori, lotta alla criminalità transnazionale – sia capace di individuare soluzioni
comuni e di associare tutte le nazioni a responsabilità condivise.
Una prima sede di verifica sarà il G20 di Washington, un formato che già fotografa la nuova
geografia della globalizzazione.
Come e perché riformare le Istituzioni globali
La crisi economica di questi mesi ha reso evidente l’insufficienza di strumenti di governance
mondiale. E anche la gestione di conflitti politici e la violazione dei diritti umani mettono
in evidenza lo scarto tra la dimensione globale e la inadeguatezza dei soggetti e degli strumenti per governarla. La dimensione statale è ormai sempre più inadeguata. Serve dunque
una riforma delle istituzioni globali: riforma del Consiglio di sicurezza dell’ONU, istituzione
di un Consiglio di sicurezza economico, allargamento del G8, ridefinizione del ruolo del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, rafforzamento delle istituzioni globali
– quali l’OIT, l’OMS, il WTO – e delle Agenzie ONU.
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Ma queste riforme saranno efficaci alla sola condizione che quelle istituzioni siano dotate
di poteri, competenze, risorse finanziarie e umane adeguate. E per questo gli Stati nazionali
devono essere disponibili a trasferire una quota della loro sovranità.
G8, le responsabilità dell’Italia
L’Italia ha la responsabilità e l’opportunità di concorrere a queste scelte, con l’assunzione dal
1° gennaio prossimo della presidenza del G8, spendendosi per rendere strutturale il rapporto
tra il G8 e il G5 dei paesi emergenti – Brasile, India, Cina, Messico, Sud Africa – integrando
in tale formato anche l’Egitto, per il ruolo leader di questo paese nel mondo islamico e nel
Mediterraneo.
Dal punto di vista delle policies la presidenza italiana del G8 dovrà concentrarsi su cinque
priorità: regolazione e trasparenza dei mercati finanziari, elaborazione di programmi per il
climate change, avanzamento dei negoziati commerciali di Doha, perseguimento degli obiettivi del Millenium Goal, adozione di una governance nucleare in vista della conferenza di
revisione del Trattato di non proliferazione.
L’Europa, attore globale, a un bivio
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Accanto ai soggetti di governance globale serve un forte investimento anche sul rafforzamento delle istituzioni di cooperazione regionale a partire dall’Unione Europea e dalle sue relazioni con le istituzioni di cooperazione regionale degli altri
continenti.
La centralità assunta da temi planetari (sicurezza, clima, migrazioni, economia e mercati) sollecita l’Unione Europea a non rinchiudersi in se stessa e ad
agire come un “attore globale”, assumendosi tutte le responsabilità che tale ruolo
comporta. Un’Europa integrata è un fattore di stabilità e di sicurezza: proprio la crisi
finanziaria ha dimostrato che chi è solo è più debole. E nell’UE chi ancora non è nell’area
Euro è stato più esposto alla crisi. Va in questa direzione anche una riforma delle istituzioni
finanziarie internazionali, che unifichi in capo all’Unione le quote di partecipazione di FMI e
Banca Mondiale detenute fino a oggi dai singoli Stati europei.
Le opportunità per l’UE
È responsabilità delle forze politiche dare alle proprie opinioni pubbliche piena consapevolezza del valore dell’integrazione europea. E noi del Partito Democratico sentiamo il dovere
di combattere e contrastare le derive antieuropee e populiste a cui anche l’Italia rischia di
essere esposta.
Per far ciò occorre mettere in campo una riforma democratica dell’Unione, completando il
percorso di ratifica del Trattato di Lisbona, perché solo un’Europa unita, coesa, integrata può
offrire ai suoi cittadini adeguate tutele e certezze. Diventa essenziale perciò che l’Europa
riorganizzi le sue politiche di bilancio, si dia una strategia e politiche contro la recessione e
per la crescita, disponga di risorse proprie – anche attraverso le missione di Eurobond – rafforzi le politiche sull’immigrazione e per la cittadinanza. E contemporaneamente rilanci la
dimensione politica e istituzionale portando a conclusione l’integrazione della Croazia e dei
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Balcani, proseguendo i negoziati con la Turchia, dando slancio alla nuova Unione Euromediterranea e sviluppando un partenariato con la Russia.
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No a un’Europa minima indispensabile, sì all’Europa massima possibile
Un’Europa così rafforzata dovrà essere fino in fondo partecipe delle politiche per la sicurezza
e la stabilità del continente e del mondo divenendo non solo più consumatore, ma coproduttore della sicurezza comune. La NATO resta pilastro per le politiche di sicurezza, ma la crisi
georgiana ha messo in evidenza anche il ruolo che l’UE può e deve giocare.
Ed è per questo che il Partito Democratico sostiene con convinzione il ruolo e la presenza
militare che l’UE e i suoi paesi membri hanno svolto, su mandato ONU, dai Balcani, al Libano,
all’Afghanistan.
Nel mondo di oggi, infatti, nessuno stato può pensare la sua collocazione internazionale
prescindendo da spazi più ampi di quelli nazionali.
Un’altra Italia nel mondo
1.
1
Questo impianto non nega la esistenza e la validità degli interessi nazionali. Ma riconosce
che il modo migliore per tutelarli è far sì che l’Italia sia pienamente partecipe delle politiche di governance della globalizzazione e di integrazione europea. Entro questo
impianto, le priorità della politica estera italiana sono la stabilizzazione dei Balcani, l’incremento delle relazioni con i paesi mediterranei, il sostegno al processo di pace in Medio Oriente, un salto di qualità delle relazioni con i paesi
dell’America Latina e dell’Asia a sostegno di una più forte presenza del sistema
Italia, l’estensione di politiche di cooperazione e aiuto allo sviluppo, una nuova
responsabilità sui diritti umani.
e
Il coraggio della responsabilità
Il PD è consapevole che a ogni nazione spetta il dovere di misurarsi con le sfide nuove della globalizzazione, assumendosi con coraggio e convinzione tutte le responsabilità che ne
conseguono.
L’Italia ha le risorse, la capacità, la volontà per contribuire a un’Europa unita, moderna e
solidale e a un mondo più sicuro, più giusto, più aperto, più libero.
E il Partito Democratico intende agire con determinazione perché il nostro paese onori al
meglio la fiducia, la simpatia, la stima di cui l’Italia gode nel mondo intero.
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Pacchetto legislativo
sui diritti umani
In occasione del 60° anniversario
della Dichiarazione universale dei diritti umani
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26 novembre 2008
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Durante la precedente legislatura l’Italia si è particolarmente distinta nel
campo della promozione e della tutela dei diritti dell’uomo.
Nella battaglia per l’abolizione della pena di morte in ogni sua forma e in ogni
circostanza, il nostro paese è stato promotore della campagna in favore della Risoluzione sulla moratoria internazionale delle esecuzioni capitali nel mondo (approvata il 18
dicembre 2007).
L’Italia, inoltre, ha concluso l’iter di approvazione della Ratifica ed esecuzione del Protocollo
n. 13 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali,
relativo all’abolizione della pena di morte in qualsiasi circostanza (Vilnius, 3 maggio 2002).
Numerose sono ancora le raccomandazioni indirizzate all’Italia da parte degli organismi di
monitoraggio nel campo dei diritti umani affinché ottemperi ad alcuni impegni internazionali, come si evince anche dalla IX Relazione sull’attività svolta dal Comitato interministeriale
dei diritti umani (CIDU) per l’anno 2007 e presentata al Parlamento nel giugno 2008.
Nell’ambito dei meccanismi internazionali di monitoraggio e verifica delle Convenzioni internazionali in materia di diritti umani, viene richiesto all’Italia di provvedere:
• alla ratifica del protocollo opzionale alla convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura;
• alla ratifica della convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta;
• all’adeguamento nell’ordinamento interno alle previsioni dello statuto della Corte Penale
internazionale
• all’istituzione di un organismo nazionale indipendente di protezione e promozione dei
diritti umani.
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A questi adempimenti legislativi ancora mancanti, necessari per l’adeguamento agli obblighi
internazionali, abbiamo ritenuto importante, proprio in occasione delle celebrazioni del 60°
anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, aggiungere altre rilevanti
previsioni legislative, presentando un vero e proprio pacchetto legislativo sui diritti umani,
anche al fine di spingere il Governo a provvedere in tale direzione.
Il pacchetto legislativo presentato dai gruppi parlamentari del PD di Camera e Senato comprende le proposte di legge sui seguenti temi:
1. Introduzione del reato di tortura;
2. Corte penale internazionale;
3. Commissione nazionale indipendente per la promozione e la tutela dei diritti umani;
4. Messa al bando delle munizioni a grappolo;
5. Ratifica ed esecuzione del v° protocollo relativo ai residuati bellici esplosivi;
6. Ratifica della convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta degli esseri
umani;
7. Diritto d’asilo.
e
1.
L’inserimento del reato di tortura nel codice penale italiano ci viene richiesto ormai da anni sia dalle Nazioni Unite che dal Consiglio d’Europa. Esso costituisce,
infatti, un adeguamento della normativa interna a quella sopranazionale, colmando un’importante lacuna del nostro diritto interno.
1
Introduzione del reato di tortura
Le proposte di legge presentate dal gruppo PD forniscono una definizione della
nuova fattispecie del reato maggiormente aderente alla nozione contenuta nella convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene degradanti (firmata a New York
il 10 dicembre 1984 e ratificata dall’Italia con la legge 3 novembre 1988, n. 498), rispetto
a quella più ristretta che fu inserita nel testo unificato, di mediazione, cui si pervenne alla
Camera nella passata legislatura.
Infatti, tale testo unificato introduceva una formulazione più restrittiva della condotta
criminosa, prevedendo che le minacce dovessero essere gravi e riferite a forti sofferenze fisiche, una formulazione che rischiava di ridimensionare la configurazione del reato di tortura
rendendone più difficile la perseguibilità.
PROPOSTA
Diversamente, la proposta di legge Bressa e altri (AC 1508) “Introduzione degli articoli 613bis e 613-ter del codice penale e altre disposizioni in materia di tortura”, ritiene sufficiente
ai fini della definizione di tortura, la sottoposizione a “violenza fisica o morale allo scopo di
ottenere informazioni su fatti o circostanze (…) anche se non costituenti reato” per motivi
di discriminazione razziale, politica, religiosa o sessuale.
La nuova fattispecie penale viene collocata all’interno della sezione comprendente i delitti
che aggrediscono la libertà morale e la libertà di autodeterminazione della persona, offese
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anche mediante violenza fisica; le aggravanti di pena sono previste in caso di dolo specifico,
ossia se la condotta è posta in essere da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico
servizio, se dalla tortura ne derivi lesione grave o decesso della vittima. Viene inoltre prevista la negazione dell’immunità diplomatica ai cittadini stranieri che siano stati condannati
o imputati per il reato di tortura. Infine, sempre in ottemperanza alla Convenzione delle
Nazioni Unite, la proposta prevede l’istituzione di un fondo ad hoc, presso la Presidenza del
Consiglio dei ministri, per la riabilitazione delle vittime dei reati di tortura.
Al Senato è stato presentato un disegno di legge a prima firma Amati e altri (AS 256) che
introduce, analogamente al testo di Bressa, il reato di tortura nel codice penale nell’ambito
dei delitti contro la persona; tuttavia, in considerazione del rischio che la querela di parte,
contemplata per tutti gli atti che provochino lesioni gravi, lasci ampi margini di impunità,
il delitto di tortura viene qui diversamente collocato (art. 593 c.p.) a chiusura del capo
concernente i delitti contro la vita e l’incolumità individuale, per i quali è invece prevista la
procedibilità d’ufficio.
Corte Penale internazionale
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Le proposte di legge presentate dal gruppo PD nascono dall’esigenza di adeguare il
nostro ordinamento alle prescrizioni dello statuto della Corte Penale internazionale, adottato dalla conferenza diplomatica delle Nazioni Unite svoltasi a Roma il
17 luglio 1998, e ratificato in Italia con la legge 12 luglio 1999, n. 232, il cui
obiettivo è quello di realizzare una giustizia penale internazionale imparziale,
a tutela dei diritti umani fondamentali e rispettosa delle garanzie e dei sistemi
penali attuali.
e
Ad oggi, infatti, pur essendo stata l’Italia uno dei primi paesi a ratificare lo statuto della
Corte, dopo quasi 10 anni dalla firma e a quasi 6 anni di distanza da quando il trattato è
entrato in vigore (aprile del 2002), mancano ancora le norme di adattamento interno dell’ordinamento italiano che ne possano consentire l’operatività.
PROPOSTA
La proposta di legge Gozi (AC 1695) e il disegno di legge Maritati (AS 1112), recanti “Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento interno alla Corte Penale internazionale” recepiscono la necessità di questo adeguamento.
Si prevedono, quindi, oltre all’introduzione di fattispecie penali sconosciute nel nostro ordinamento, anche l’istituzione di un sistema integrato di tutela giurisdizionale volto a garantire, nel rispetto dei valori costituzionali e delle norme di diritto penale internazionale, la
necessaria protezione nei confronti di condotte integranti le fattispecie criminose tipizzate
nello statuto, assicurando altresì la predisposizione di strumenti di diritto processuale penale idonei a garantire un’efficace cooperazione degli organi giurisdizionali interni con la
Corte Penale internazionale.
Tra alcune delle principali misure inserite vanno senz’altro menzionate:
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l’introduzione dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra che, assieme al delitto di
genocidio, costituiscono la materia di competenza della Corte Penale internazionale;
l’attribuzione alla giurisdizione della Corte d’Assise piuttosto che ai Tribunali militari per i
delitti contemplati nello statuto e commessi da appartenenti alle Forze Armate;
la previsione della procedibilità d’ufficio per tutti i delitti previsti ai titoli II (Genocidio), III
(Crimini contro l’umanità), IV (Crimini di guerra) e V (Altri delitti internazionali), se commessi nel territorio dello stato.
Vanno inoltre menzionati l’introduzione di particolari fattispecie di reato contro le popolazioni, quali lo sterminio, la deportazione, le pratiche di apartheid o persecuzione.
Tra i delitti contro la libertà e la dignità dell’essere umano sono da rilevare, tra gli altri,
l’introduzione dei delitti di riduzione o mantenimento in schiavitù, schiavitù sessuale, gravidanza forzata, sterilizzazione forzata, tortura, sparizione forzata di persone.
Infine, il titolo VI ricomprende le norme volte a garantire la cooperazione con la Corte Penale
internazionale.
1.
La proposta di istituire un organismo nazionale indipendente di protezione e promozione dei diritti umani muove dall’esigenza di dare attuazione nell’ordinamento giuridico italiano alla risoluzione dell’assemblea generale delle Nazioni
Unite n. 48/134 del 20 dicembre 1993, che impegna gli Stati firmatari a istituire organismi nazionali, autorevoli e indipendenti, per la protezione dei diritti
umani, dettandone i princìpi fondanti (c.d. princìpi di Parigi).
1
Commissione nazionale indipendente per la promozione e la tutela dei
diritti umani
e
L’Italia è uno dei pochi paesi a non aver dato attuazione alla risoluzione ONU.
L’attuale Comitato interministeriale dei diritti umani, pur svolgendo un’apprezzabile attività in materia di diritti umani a livello nazionale, tuttavia, in quanto istituito in ambito
governativo, non esaurisce pienamente le indicazioni della risoluzione ONU, con particolare
riferimento ai requisiti di indipendenza e autonomia – ritenuti indispensabili per assolvere
compiti di promozione, vigilanza sul godimento, anche in Italia, dei diritti umani e delle
libertà fondamentali così come individuati dalle convenzioni ONU, dall’Unione Europea e
tutelati dalla nostra Carta costituzionale.
PROPOSTA
La proposta di legge (AC 1918 Maran ed altri) e il disegno di legge (AS 1223 Marcenaro ed
altri concernente l’“Istituzione della Commissione italiana per la promozione e la tutela dei
diritti umani, in attuazione della risoluzione n. 48/134 adottata dall’assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 dicembre 1993”) prevedono l’istituzione di una commissione nazionale
indipendente, per la cui organizzazione si è fatto ricorso alla definizione utilizzata dal legislatore nel disciplinare le autorità indipendenti di più recente istituzione (con particolare
riferimento all’autonomia contabile, organizzativa, patrimoniale, finanziaria e gestionale).
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4. Messa al bando delle munizioni a grappolo (c.d.“cluster bomb”)
La prima tappa importante nel percorso per la messa al bando delle mine antipersona è stata
la firma a Ottawa della convenzione del 3 dicembre 1997 ratificata ai sensi della legge 26
marzo 1999, n. 106.
Occorre impegnarsi nella stessa direzione, ma andare anche oltre per ottenere un altro risultato: la messa al bando delle pericolosissime munizioni a grappolo (cosiddette “cluster
bomb”), concepite per disperdere o rilasciare sottomunizioni esplosive, che minacciano le
popolazioni civili con conseguenze economiche e umanitarie inaccettabili.
PROPOSTA
La proposta di legge presentata alla Camera da Narducci e altri (AC 1148) e i disegni di
legge presentati al Senato da Marcenaro (AS 1222) e da Amati e altri (AS 258) di “Modifica
all’articolo 2 della legge 29 ottobre 1997, in materia di messa al bando delle munizioni a
grappolo”, hanno l’obiettivo di includere tutte le munizioni cluster o sub-munizioni delle
bombe a grappolo, con effetti assimilabili a quelli delle mine antipersona, nella definizione
normativa di cui all’art. 2, comma 1, della legge n. 374 del 1997, che disciplina attualmente
la messa al bando delle mine antipersona sul territorio italiano.
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Tale inclusione tiene conto, tra l’altro, di importanti e recenti prese di posizioni a
livello internazionale sul divieto delle munizioni a grappolo, come la risoluzione degli Stati partecipanti nell’area Osce, la convenzione adottata a Dublino
il 30 maggio 2008 con la quale gli Stati membri dell’Onu si sono impegnati a
firmare la dichiarazione della conferenza di Oslo nel dicembre 2008.
Ratifica ed esecuzione del V protocollo relativo ai residuati bellici
esplosivi
e
Strettamente connesso alla messa al bando delle mine antipersona è il progetto di legge con
il quale si autorizza la ratifica del V protocollo relativo ai residuati bellici esplosivi.
Da ricordare, in proposito, che l’Italia è da sempre uno dei paesi in prima linea nella battaglia nell’opera di sminamento, anche se questo primato rischia di venire meno in considerazione del disimpegno e della cancellazione totale del rifinanziamento del fondo sminamento
umanitario (art. 4 della legge n. 58/2001), previsto dall’ultima legge finanziaria da parte del
Governo Berlusconi, ancora all’esame del Parlamento.
PROPOSTA
La proposta di legge presentata alla Camera da Sarubbi e altri (AC 1076) autorizza la “Ratifica del V protocollo relativo ai residuati bellici esplosivi, annesso alla convenzione di Ginevra
del 10 ottobre 1980 sulla proibizione o la limitazione dell’uso di alcune armi convenzionali
che possono essere considerate dannose o aventi effetti indiscriminati, fatto a Ginevra il 28
novembre 2003”.
Essa muove dalla constatazione di porre fine agli effetti disastrosi anche dopo la cessazione
di conflitti armati.
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A tal fine rilevano le proposte di lanciare, nel quadro della convenzione sulle armi convenzionali, un processo di negoziazione per disciplinare in modo giuridicamente vincolante il
problema dei residuati bellici, una minaccia insidiosa per le popolazioni civili.
Le regole giuridicamente vincolanti contengono obblighi da rispettare in ordine alla fabbricazione, alla manipolazione e all’immagazzinamento delle munizioni esplosive, misure
preventive da adottare e procedure ottimali da applicare, nonché obblighi di bonifica in capo
agli Stati sul cui territorio si trovino i residuati bellici esplosivi.
Ratifica della convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta
degli esseri umani
1.
1
La convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta degli esseri umani (Varsavia, 16 maggio 2005) ha come obiettivo la prevenzione e la lotta contro la tratta degli esseri
umani in tutte le sue forme, a livello nazionale e internazionale, con riferimento anche ai
legami con la criminalità organizzata. La convenzione, firmata dall’Italia l’8 giugno 2005 ed
entrata in vigore solo l’8 giugno 2008, non è ancora ratificata dal nostro paese e non risultano, al momento, disegni di legge governativi per la sua ratifica.
Il contrasto al fenomeno della tratta di persone, in continua crescita ed espansione, alimentato dall’aumento dei flussi migratori e gestito spesso dalla criminalità organizzata, rappresenta l’espressione di una politica internazionale volta alla salvaguardia
dei diritti e delle libertà fondamentali; ciò emerge in maniera emblematica dalla
convenzione del Consiglio d’Europa, laddove si enuncia il disvalore proprio del
delitto di tratta, consistente nella grave violazione che determina nei diritti
fondamentali della persona umana, in particolare la dignità, la libertà, l’incolumità psicofisica della vittima.
e
PROPOSTA
Il disegno di legge di “Ratifica ed esecuzione della convenzione del Consiglio d’Europa sulla
lotta contro la tratta di esseri umani, adottata a Varsavia il 16 maggio 2005” è presentata
al Senato da Amati e altri (AS 476) e, come proposta di legge alla Camera, da Maran e altri
(AC 1917).
L’importanza della ratifica della convenzione risiede sia nell’accoglimento delle statuizioni di
principio in essa contenute, sia delle disposizioni di implementazione volte a realizzare un
efficace contrasto del trafficking e a tutelare i diritti delle persone vittime della tratta, in
particolare donne e minori.
Molte delle fattispecie contenute nella Convenzione, risultano già essere presenti nel nostro
ordinamento (tra cui hanno rilievo il sistema di assistenza alle vittime, la tutela dei dati
personali nell’ipotesi di concessione di permesso di soggiorno, l’ammissione al gratuito patrocinio, il fondo per le vittime di tratta), tranne che per una ipotesi di reato che necessita
di essere introdotta nel nostro codice penale, concernente il delitto ostativo di “danneggiamento, soppressione, occultamento, detenzione, falsificazione, procacciamento di documenti di identità e di viaggio, al fine di realizzare o agevolare i delitti di tratta di persona”.
Si tratta di una norma di pericolo indiretto, potenzialmente funzionale al delitto di tratta.
Pertanto il progetto di legge di ratifica, oltre a prevedere l’ordine di piena e integra esecuzio27
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ne della convenzione di Varsavia, provvede, al fine di adeguare il nostro ordinamento, anche
a modificare il nostro codice penale coerentemente alle disposizioni in essa contenute.
Diritto d’asilo
A tutt’oggi manca ancora, nel nostro ordinamento, una legge organica sul diritto d’asilo.
Nell’elaborazione di queste proposte di legge sono state tenute presenti le proposte presentate dal Consiglio italiano per i rifugiati e sono state recepite talune indicazioni provenienti
dal “tavolo dell’asilo” che, sotto il coordinamento dell’ Alto commissariato delle Nazioni
Unite per i rifugiati, raggruppa tutti i principali enti di tutela italiani.
Le proposte di legge tengono altresì in considerazione le linee tracciate dalla “commissione
De Mistura” per quanto riguarda i temi dell’accoglienza e del trattenimento dei richiedenti
asilo.
PROPOSTA
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La proposta Zaccaria e altri presentata alla Camera (AC 447) e il disegno Marcenaro presentata al Senato (AS 1221), concernenti la “Disciplina del diritto d’asilo e della
protezione sussidiaria”, si prefiggono di dare finalmente attuazione all’art. 10,
terzo comma, della Costituzione, che stabilisce che “lo straniero, al quale sia
impedito nel suo paese l’esercizio effettivo delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica,
secondo le condizioni stabilite dalla legge”.
e
Tra le principali misure introdotte dalla proposta vi sono:
• la previsione di una procedura d’asilo equa ed efficace, con una procedura unica in cui
sono valutati tutti gli elementi pertinenti, prescindendo da qualunque forma di pre-esame
che non produce altro effetto se non quello di appesantire il processo decisionale;
• la previsione di un programma di reinsediamento per i rifugiati, come auspicato anche
dalla Commissione europea che promuove un programma in questa materia, che permette il
trasferimento di un determinato numero di rifugiati da paesi di primo approdo verso l’Italia
sulla base di una quota triennale;
• la possibilità di richiedere asilo presso le rappresentanze diplomatiche all’estero dando
l’opportunità di iniziare la procedura d’asilo prima dell’ingresso fisico della persona sul territorio italiano, al fine di ridurre il numero di persone che giungono in Italia in modo irregolare
e rischioso per la propria vita;
• una completa indipendenza politica e istituzionale sia per la composizione delle Commissioni territoriali che per quella della Commissione nazionale;
• la previsione di programmi bilaterali e multilaterali per favorire la protezione dei rifugiati
che si trovano nei paesi di provenienza, nonché di programmi che si inseriscono nella politica estera destinati a combattere le cause di esodo nei paesi di origine.
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Riunione congiunta
delle Commissioni Affari esteri
di Camera e Senato
sulla situazione in Georgia
Intervento di Piero Fassino
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1.
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26 agosto 2008
Ringrazio il ministro e i presidenti delle Commissioni, sebbene ritengo che
questa riunione avrebbe potuto essere più tempestiva, data la gravità della
situazione.
Credo che il quadro che ci ha offerto il ministro Frattini sia ampio e caratterizzato da
molti aspetti di dettaglio condivisibili. A mio parere, è corretto quanto è stato fatto fin
qui dall’Unione europea e sostenuto dall’Italia, per cercare di svolgere un ruolo di mediazione politica che evitasse di far precipitare quel conflitto in modo più drammatico di quanto
già non sia avvenuto.
Noi abbiamo uno scenario caratterizzato oggi da una fragile tregua. Il problema, a mio avviso, è capire come si passi dalla tregua alla pace, sapendo che la pace – questo è un principio
che vale sempre, anche per il Caucaso – per essere stabile deve essere condivisa e, per essere
condivisa, non può che essere frutto di un’azione negoziale che coinvolga tutti i soggetti
interessati per determinare un assetto del Caucaso stabile e condiviso, che impedisca in
futuro il verificarsi di crisi analoghe a quella fin qui conosciuta.
Ora, per costruire una pace stabile e condivisa credo che sia necessario non eludere tre nodi
che ci consegna la storia di questi anni. In questa crisi precipitano tre eredità. La prima, che
affonda le radici in un tempo molto lontano, ma arriva fino a noi, è la strategia che a lungo
è stata perseguita dall’Unione Sovietica di inserimento di comunità russofone nei paesi del
Caucaso, il che ha prodotto una situazione che oggi dobbiamo gestire. Difatti, fino a quando
esisteva l’Unione Sovietica, quelle comunità russofone erano parte della maggioranza russa
della popolazione dell’Unione Sovietica. Con la creazione dei nuovi Stati, esse sono diventate
minoranze in Stati nazionali distinti, autonomi e indipendenti.
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Il problema è aperto, tant’è vero che una delle questioni più delicate è quella del futuro
dell’Ossezia e dell’Abkhazia. Il punto sesto della piattaforma indica l’apertura di un dibattito
internazione sullo status, e tutto questo ha una ragione.
La seconda questione riguarda il modo caotico e convulso, anch’esso figlio della storia e
del precipitare degli eventi, con cui nel 1991 sono nate le repubbliche caucasiche, in un
momento in cui l’Unione Sovietica si è dissolta, senza che questo avvenisse attraverso una
pratica negoziale.
Al di là degli accordi sottoscritti, di fatto gli Stati che sono nati in quel periodo sono sorti
sulla base di una dichiarazione unilaterale di indipendenza, a cui un’Unione Sovietica debole
e in disfacimento si adeguò, ma senza che ci fosse un negoziato che definisse le relazioni tra
ciò che nasceva e ciò che esisteva. I rapporti tra Russia e Stati caucasici hanno conosciuto
– in questi venti anni che ci separano dalla caduta del muro di Berlino e nei diciotto che
ci separano dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica – momenti di crisi periodici e costanti.
Penso alla crisi del Nagorno-Karabakh, del Dagestan, della Cecenia, e naturalmente dell’Ossezia e dell’Abkhazia.
Insomma, esiste un problema non risolto di assetto del Caucaso, che anche questa volta è
precipitato.
La terza eredità in realtà non ci viene dall’universo russo bensì da un universo più
vicino, ma oggi precipita lì. Si tratta di un’eredità che ci viene consegnata dalla
crisi dei Balcani degli anni Novanta. La dissoluzione della Iugoslavia ha portato
alla nascita di nuovi Stati, e probabilmente quel processo era del tutto inevitabile, essendo la Iugoslavia una formazione politico-istituzionale figlia di un
equilibrio bipolare che è venuto meno e che faceva venir meno anche le condizioni politiche perchè la Iugoslavia potesse esistere. Tuttavia, al posto della Iugoslavia
sono nati Stati fondati su un principio che fino a quel momento non era stato assunto
come principio prevalente della comunità internazionale, vale a dire l’omogeneità etnica
come fondamento della nascita degli Stati. Noi abbiamo accettato quel principio, e l’abbiamo
fatto fino alla nascita del Kosovo. Ed ecco che ce lo ritroviamo.
Se non affrontiamo seriamente questo tema, comincia un gioco del domino alla fine del
quale nessuna delle 204 Nazioni che vivono oggi nel mondo resiste. Quelle 204 Nazioni sono
state tutte fondate, negli ultimi tre secoli, non sul principio dell’omogeneità etnica, ma sul
principio della cittadinanza. Questo è il tema, ed è molto complicato.
Va benissimo, quindi, che si apra un dibattito internazionale, ma al centro dello stesso occorre inserire questo tema: qual è il fondamento, oggi, delle formazioni statali e nazionali?
Se passa il principio, addirittura assunto come fondamento di un nuovo ordine internazionale, dell’omogeneità etnica degli Stati, temo che ci infiliamo in una strada alla fine della quale
nessuno sa che mondo ci ritroviamo fra le mani.
I temi che abbiamo di fronte sono spessi, al di là dell’ovvia urgenza di dare soluzione a un
conflitto che non vogliamo si riaccenda. Tuttavia, per dare soluzione a questo conflitto, bisogna assolutamente affrontare nodi di questa natura, altrimenti non ce la faremo.
Questa è la prima questione che dobbiamo avere ben chiara. Innanzitutto, nei sei punti
richiamati vi sono due aspetti sui quali riflettere. Si riafferma il riconoscimento della piena
sovranità degli Stati caucasici, ed è giusto. Penso che l’Italia debba essere chiara in questo:
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Georgia, Azerbaigian e Armenia vanno riconosciuti nella loro piena sovranità, che vale su
tutti i territori che compongono quegli Stati. Inoltre, il sesto punto parla dell’apertura di un
dibattito sullo status di Ossezia e Abkhazia. Questo significa costruire una relazione tra la
piena sovranità di quegli Stati e il riconoscimento dei diritti e delle tutele delle minoranze
russofone che vi vivono, tema più delicato della crisi, che deve essere affrontato.
In secondo luogo, considero condivisibili le considerazioni del ministro sul rapporto che va
costruito con la Russia, nella consapevolezza dell’esistenza di un serio problema, laddove la
Russia aspiri a essere un attore globale, ne possiede le ragioni (le dimensioni demografiche
e territoriali, il ruolo mondiale, il crescente peso economico non soltanto in campo energetico), però manifesta due grandi temi critici: i tratti autocratici e autoritari che appartengono
alla sua storia e segnano anche l’evoluzione democratica di questi anni, e il tema dei diritti
riconosciuti in particolare alle comunità e alle popolazioni, che rivendicano principi di autonomia sulla base della storia e di identità culturali, nazionali ed etniche.
Per evitare che ogni autonomia si traduca in richiesta di autodeterminazione, con le già citate conseguenze, si deve affrontare questo tema con la Russia con l’approccio qui opportunamente indicato. Ritengo che la miglior strategia per favorire in Russia un’evoluzione del suo
sistema democratico e dei riconoscimenti non contempli una logica di accerchiamento,
che rischierebbe di congelare ogni possibile evoluzione.
Abbiamo invece interesse a perseguire una strategia in grado di ancorare la Russia
a un’evoluzione politica, che le consenta di essere parte del sistema di governance multilaterale del mondo.
Come ricordava il ministro Frattini, la Russia si confronta con temi riguardanti
il futuro non diversi dai nostri. Ai confini della Russia e spesso al suo interno
preme un integralismo islamico che rappresenta un problema di quel Paese come del
resto del mondo.
La Russia ha un problema di rapporto con gli altri grandi Paesi emergenti, quali la Cina,
tema strategico decisivo che ci riguarda, ed è coinvolta nella costruzione di un sistema di
sicurezza in Europa, altro tema comune.
Ritengo opportuno considerare le molte relazioni che legano la Russia alla comunità internazionale e in particolare gli interessi comuni, sui quali fare leva per definire una strategia,
che costruisca un partenariato affidabile e credibile, non per accettare ogni posizione russa,
ma per far evolvere le posizioni spesso non condivisibili di Mosca attraverso appunto un
partenariato, che aiuti la Russia a uscire dalle condizioni di autoisolamento in cui spesso è
portata a rinchiudersi.
Anche il tema dei diritti umani, che costituisce una priorità dell’agenda politica internazionale, potrebbe difficilmente evolvere in termini positivi attraverso una politica fondata sull’accerchiamento o sui diktat, laddove invece soltanto sulla base di un affidabile e credibile
rapporto di partenariato si potrà ottenere un’evoluzione politica che consenta la tutela dei
diritti in quel Paese.
Considero quindi corretto l’approccio scelto dall’Unione europea; ritengo che l’Italia debba
sostenerlo e che sia giusto guardare con preoccupazione al rischio di una rottura dei rapporti
tra Russia e NATO, lavorando invece per tornare alla collaborazione avviata in questi anni.
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Penso che intorno a questo ruolo debba imperniarsi l’azione dell’Unione europea, che l’Italia
deve sostenere con forza.
Deve essere riconosciuto alla Presidenza francese il merito di essersi mossa con molta tempestività e determinazione, dimostrando come l’Unione europea non sia un soggetto debole,
se chi la dirige ha la capacità di mettere in campo le azioni politiche necessarie. Ritengo che
la Presidenza francese si sia mossa con tempestività nelle settimane scorse e che opportunamente abbia convocato un Consiglio europeo straordinario, per discutere le modalità con
cui affrontare i problemi. Credo quindi che l’Italia debba accordare pieno sostegno all’azione
della presidenza.
Considero doveroso lavorare per costruire le condizioni per una Conferenza regionale per la
stabilità del Caucaso. Tra le molte proposte formulate in questa direzione, desidero richiamare quella approvata con voto unanime all’inizio di quest’anno dal Parlamento, ovvero una
Conferenza «tre più tre», che con l’assistenza dell’OSCE, dell’ONU e dell’Unione europea possa
riunire intorno a un tavolo tutti gli attori.
Ritengo che il Governo italiano dovrebbe caratterizzarsi per spingere in tale direzione secondo questa scadenza, anche offrendo Roma come sede per una Conferenza regionale per la
stabilità. Dobbiamo mettere in rilievo come in questo momento l’Unione europea possa
assolvere a un ruolo di particolare importanza. L’esperienza di questi anni dimostra
come l’allargamento della NATO sia stato meno traumatico da parte della Russia
perché contemporaneo all’allargamento dell’Unione europea.
Ritengo che questa bussola non debba essere smarrita in futuro e che la politica di vicinato che l’Unione europea è in grado di costruire con la Russia e con
i Paesi caucasici sia una delle modalità con cui rendere meno traumatico anche il
tema dell’espansione e dell’estensione della NATO nei prossimi anni.
Per quanto riguarda il tema dei diritti delle minoranze, si constata come l’Unione europea con i suoi standard abbia già prodotto evoluzioni significative. Prima che i Paesi baltici entrassero nell’Unione europea, le minoranze russe non avevano status di cittadinanza,
giacché i russi erano definiti «non cittadini». Una delle condizioni poste ai Paesi baltici per
il loro ingresso nell’Unione europea è il riconoscimento dell’acquis communautaire in termini
di diritti, per cui oggi le minoranze russofone in quei Paesi vedono riconosciuti i loro diritti
di cittadinanza.
Si tratta di un importante punto di riferimento anche per il Caucaso. Oggi, quindi, far giocare
all’Unione europea un ruolo fino in fondo rappresenta la carta decisiva. In una fase in cui,
come dimostrano le travagliate vicende del Trattato di Lisbona, l’Europa si interroga sulla
propria identità e capacità di essere un attore globale, questa crisi è l’occasione per dimostrare che l’Europa possiede le risorse per farlo.
Ritengo che in questo l’Italia debba svolgere un ruolo da protagonista, forte anche della
possibilità di mettere a disposizione dell’Unione europea e delle sue istituzioni le relazioni
storicamente costruite con la Russia e con le Nazioni caucasiche, un patrimonio di rapporti
che può concorrere positivamente a dare una soluzione a questa crisi.
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Discussione alla Camera
dei Deputati della Mozione
sull’Agenda del G8 del 2009
Intervento di Piero Fassino
1.
1
27 novembre 2008
e
l’Italia, come tutti sappiamo, si appresta ad assumere la Presidenza del G8 in
un momento particolarmente delicato della vita internazionale, in cui il mondo
è scosso dalla crisi finanziaria, dalle inquietudini suscitate da questa crisi e dai
rischi che la recessione può comportare per l’economia di molti Paesi.
Giustamente ci si pone il problema di come dare un’adeguata guida ad una fase così critica
della vita della comunità internazionale. Se vogliamo dirla tutta, la crisi finanziaria di questi mesi ha reso evidente quello che peraltro si poteva constatare sulla base di altri fatti,
ovvero la debolezza della governance politica della globalizzazione e la necessità che alla
globalizzazione si dia una guida più forte e consistente di quella che si è riusciti a darle fino
ad ora.
La crisi finanziaria ha reso evidente questa esigenza, ma in realtà, se ci pensiamo bene, altri
fatti già lo avevano indicato. Sottolineo che da più di quattro anni i negoziati commerciali
di Doha non trovano uno sbocco positivo. Sottolineo la difficoltà a trovare un’intesa a livello
della comunità internazionale sul protocollo di Kyoto e della sua applicazione. Sottolineo
la difficoltà delle Nazioni Unite a mettere in campo un’adeguata iniziativa di soluzione dei
conflitti là dove si manifestano in modo acuto, come ad esempio nella regione dei grandi
laghi in Africa.
In fondo, il fatto che negli scorsi giorni per affrontare la crisi finanziaria si sia riunito a
Parigi il G20 in una forma inedita e per la prima volta a livello di Capi di Governo e di Stato,
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indica che lo stesso G8 rappresenta una formula che risulta spiazzata dai mutamenti che ha
conosciuto la geografia dell’economia mondiale e dall’emergere di nuovi protagonisti che
non sono oggi rappresentati nel club dei Paesi industriali classici.
Insomma, mi pare che la questione all’attenzione della comunità internazionale riguardi il
modo in cui dare alla globalizzazione una guida politica, più solida, più forte e più autorevole di quella che si è avuta finora.
Se vogliamo dirla tutta, questa crisi ci mette di fronte alla vera contraddizione politica della
globalizzazione. Viviamo in un mondo che è globale in tutto: nella produzione, nei consumi,
nella comunicazione, nella circolazione degli uomini e nel trasferimento delle tecnologie,
mentre non è globale in una sola dimensione, ossia quella della sovranità politica. Continuiamo a vivere in un mondo in cui la sovranità politica è incardinata essenzialmente negli
Stati nazionali e nelle relazioni fra gli stessi.
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Tutti i giorni, però, misuriamo la contraddizione fra fenomeni che hanno una dimensione più
ampia della dimensione su cui ogni Stato esercita la propria sovranità. In questa contraddizione vi è la debolezza di una globalizzazione che è forte nelle sue dimensioni
e nelle dinamiche economiche e sociali ed è debole nella capacità della politica di
guidarle. Ci sembra che il nodo vero che ci sta di fronte sia questo; esso potrà
essere affrontato adeguatamente soltanto se si parte da una consapevolezza:
se il problema è di sovranità, non si darà alla globalizzazione una guida adeguata se non si metteranno le istituzioni sovranazionali e globali in condizione
di avere più risorse, più prerogative e più competenze di quelle che hanno avuto.
Quelle che hanno e che hanno avuto, però, potranno essere rafforzate ad una sola condizione, ossia che gli Stati nazionali capiscano che è tempo di mettere in discussione una
quota della loro sovranità e che, senza trasferire una quota della loro sovranità alle istituzioni globali e sovranazionali che devono guidare la globalizzazione, quest’ultima sarà sempre
fragile e debole nella sua conduzione politica.
Si tratta di un tema rilevantissimo, per il quale penso che valga la pena davvero di svolgere
una riflessione seria e mettere in campo un’iniziativa politica adeguata. Senza trasferire alle
istituzioni sovranazionali una quota della sovranità che oggi è incardinata totalmente negli
Stati, la globalizzazione continuerà ad essere affidata alle sue dinamiche spontanee e la
politica avrà sempre difficoltà a guidarla e a governarla.
Sono partito da questa considerazione di ordine generale perché il G8 ha la responsabilità di
dare impulso a questo tema e la Presidenza italiana del G8 si trova nelle condizioni particolari di assolvere ad una funzione di grande importanza per la vita della Comunità internazionale: fare in modo che la prossima Presidenza del G8 sia capace di dare un impulso all’iniziativa
per la costruzione di una governance globale più forte, più autorevole e più solida, che passi
per il rafforzamento netto delle istituzioni sovranazionali e di quelle globali.
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Non mancano le proposte, dalla riforma dell’ONU e del suo Consiglio di sicurezza all’istituzione di un Consiglio di sicurezza economico che governi la globalizzazione, dalla riforma del sistema di Bretton Woods e delle sue istituzioni al rafforzamento delle Agenzie dell’ONU e delle
prerogative, dei poteri di cui esse dispongono. Le proposte in campo ci sono, ma perché esse
possano essere realizzate sono necessari un impulso politico forte e la consapevolezza da
parte degli Stati nazionali che è tempo di mettere a disposizione delle istituzioni che sono
chiamate a guidare la globalizzazione quei poteri, quelle risorse e quelle prerogative senza i
quali quelle istituzioni continueranno ad essere deboli.
1
Detto ciò, che rappresenta il quadro di riferimento entro il quale pensiamo debba essere collocata l’azione della Presidenza italiana del G8, nella mozione a prima a firma mia n. 1-00065
(che naturalmente sono lieto che il Governo abbia accettato) abbiamo indicato gli obiettivi
prioritari su cui concentrare l’azione della Presidenza italiana. Innanzitutto, in coerenza con
le considerazioni che ho appena svolto, credo che l’Italia debba caratterizzarsi con grande
determinazione per un’azione di allargamento del G8, in primo luogo nel costruire in termini
strutturali e permanenti il rapporto tra il G8 e quei grandi Paesi emergenti – come la Cina,
l’India, il Brasile, il Messico, il Sudafrica e l’Egitto – che oggi sono potenze dell’economia
mondiale e non sono nel G8; ciò perché, senza discutere con questi ultimi, è difficile
dare una governance adeguata alla globalizzazione economica.
e
1.
Sul merito delle questioni, abbiamo indicato sei grandi priorità, che io richiamo: regole per i mercati finanziari, in coerenza con le scelte che già sono state
fatte nella prima riunione del G20, azioni e iniziative per il Climate change, in
previsione della conferenza di Copenhagen del 2009, indetta dall’ONU per la revisione del Protocollo di Kyoto, un impulso ai negoziati commerciali di Doha, in ragione tale
da poter arrivare ad un approdo conclusivo in questa materia, cruciale nel governo delle
ragioni di scambio tra Paesi industrializzati e Paesi emergenti, un impegno forte per garantire che gli obiettivi del Millennium goal, che ogni Paese ha assunto entro il 2015, siano
effettivamente perseguiti con determinazione, cosa che non succede per tutti i Paesi della
Comunità internazionale (da questo punto di vista, l’Italia ha accumulato un ritardo grave,
che la presidenza del G8 deve sollecitarci a superare), un’iniziativa in vista della Conferenza
del 2010 per la revisione del Trattato di non proliferazione nucleare, tema tanto più delicato e decisivo in presenza di un dossier delicato sul fronte nucleare come quello iraniano e,
infine, come ha sottolineato il collega Mecacci, sostenendo il suo emendamento, un’azione
forte nel sessantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, perché la questione dei diritti civili e umani venga considerata una priorità effettiva nell’agenda
politica e si superi quella prassi, troppe volte praticata, di considerare i diritti civili e umani
subordinati a un realismo politico che spesso nega fondamentali diritti di libertà e di democrazia, che sono indisponibili ed inalienabili per ogni persona.
Noi pensiamo che l’Italia debba muoversi sulla base di questi obiettivi, ma naturalmente
muoversi su questi obiettivi implica una coerenza di scelte e di comportamenti del nostro
Paese su tutti i fronti.
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Voglio concludere questo mio intervento cogliendo anche questa occasione, sottosegretario
Scotti, per richiamare l’attenzione sua, del Governo e dell’intero Parlamento sulla grave decisione, adottata con il disegno di legge finanziaria qualche giorno fa, di tagliare consistentemente i capitoli di bilancio dedicati alla cooperazione e all’aiuto allo sviluppo (Applausi
dei deputati del gruppo Partito Democratico). Dobbiamo essere consapevoli che, anche in
questo campo, non si fanno le nozze con i fichi secchi. Tagliare le risorse per la cooperazione
e per l’aiuto allo sviluppo è un errore molto grave. È un errore concettuale grave pensare che
l’aiuto allo sviluppo e alla cooperazione sia un lusso che ci possiamo concedere in tempi di
vacche grasse, mentre è qualcosa di superfluo da eliminare, quando vengono i tempi delle
vacche magre.
In realtà, infatti, la politica di sostegno allo sviluppo e di cooperazione è una variabile
fondamentale della politica estera di un Paese, ed è una variabile fondamentale perfino per
governare fenomeni importanti per la vita sociale ed economica del nostro Paese.
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Sottolineo soltanto questo aspetto. C’è grande sensibilità nella nostra opinione pubblica
intorno a un tema cruciale come l’immigrazione. Ebbene, il governo saggio, adeguato e
intelligente del fenomeno migratorio e dei flussi migratori comporta che ci si ponga
anche l’obiettivo di aiutare i Paesi in via di sviluppo, da cui originano i flussi migratori, a creare in loco quelle condizioni di vita, di dignità e di prosperità, che
consentano alla gente che lì vive di trovare lì ragioni dignitose di vita, senza
doverle cercare altrove.
e
Mi richiamo a quei colleghi, in particolare, per esempio, ai colleghi della Lega, che
evocano sempre l’immigrazione come un tema di rischio e di paura, e dico in modo un
po’ brutale che, se davvero non si vuole che vengano tutti qui, allora porsi il problema di
farli vivere meglio lì diventa una condizione fondamentale (Applausi dei deputati del gruppo
Partito Democratico e del deputato Brigandì).
Questo si può fare soltanto se noi mettiamo a disposizione quelle risorse finanziarie che sono
necessarie per garantire un’adeguata politica di cooperazione allo sviluppo, garantendo il sostegno a quei Paesi nella lotta alla povertà e garantendo a noi stessi di poter gestire meglio
anche fenomeni complessi come quello dell’immigrazione.
Per tutte queste ragioni, chiedo al Governo, in coerenza anche con l’accoglimento della nostra mozione, di avere nel prossimo anno grande determinazione nel perseguire gli obiettivi
che qui stiamo discutendo, caratterizzando così in modo forte il ruolo del nostro Paese sulla
scena internazionale, in un momento in cui ciascuno deve assumersi responsabilità che siano
all’altezza delle sfide e delle aspettative delle opinioni pubbliche del nostro pianeta
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Medio Oriente: non rassegnarsi
alla guerra, costruire la pace
Intervento di Piero Fassino
1.
1
dicembre 2008
e
Di fronte al dramma che si consuma in Medio Oriente è responsabilità di tutti
e di ciascuno non rassegnarsi alla ineluttabilità della guerra e, al contrario,
agire perché la pace non svanisca in un orizzonte così lontano da non poter mai
essere raggiunta.
E proprio perché siamo tenacemente e testardamente convinti che una pace negoziata tra
israeliani e palestinesi sia una priorità, occorre lavorare per rimettere in moto un percorso
di pace a cui l’Italia deve concorre. il PD e il Governo ombra agiranno per contribuire alla
stabilità del Medio Oriente.
Non rassegnarsi alla guerra, significa prima di tutto fermarla.
Ogni giorno in più di guerra aumenta le vittime innocenti, le sofferenze, i lutti, le distruzioni. E scava un solco di odio, di negazione reciproca, di incomunicabilità che rende più
difficile e lontana la pace.
Per questo ribadiamo ancora una volta la assoluta urgenza di arrivare al cessate il fuoco,
chiesto dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU e dall’intera comunità internazionale, e di dare
corso alla proposta franco-egiziana.
Naturalmente deve essere un cessate il fuoco bilaterale, sicuro e durevole. Il che significa la
cessazione dei lanci dei missili di Hamas su Israele, la cessazione dell’offensiva militare di
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cielo e di terra dell’esercito israeliano a Gaza, l’interruzione di ogni introduzione di missili e
armi nella striscia di Gaza. E se l’ostacolo ad accettare il cessate il fuoco è che ciascuno dei
contendenti non si fida dell’altro, la comunità internazionale – come si fece in Libano due
anni fa – assuma su di sé la responsabilità di garantire il rispetto del cessate il fuoco, con
l’invio di osservatori civili e – sollecitando il consenso delle parti – anche di una missione
di interposizione. L’Unione Europea dichiari la sua disponibilità a esserne parte e l’Italia dica
senza incertezze di essere pronta a concorrervi.
Ottenere il cessate il fuoco è essenziale prima di tutto per porre fine a disumane e ingiuste
sofferenze a cui sono sottoposte le popolazioni civili. Nessuna giustificazione ci può essere
per l’uccisione di cittadini inermi o addirittura di bambini. E questo vale sia quando a morire
sono bambini palestinesi in una scuola bombardata dall’aviazione israeliana, sia quando a
morire sono bambini israeliani su un bus fatto saltare in aria da un terrorista. Così come è
un principio riconosciuto dal diritto internazionale un criterio di proporzionalità tra offesa
subita e legittima reazione..
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In ogni caso è assoluta priorità mettere in campo subito tutti gli aiuti umanitari necessari. L’Italia – che ha una consolidata tradizione di generosità e impegno, come si
vide nei lunghi anni di guerra nei Balcani – mobiliti tutte le sue energie, a partire
dal coinvolgimento del sistema delle autonomie locali e del mondo delle ONG e
del volontariato.
Il cessate il fuoco è indispensabile per restituire parola alla politica.
e
Di fronte alle drammatiche immagini di questi giorni, più di un commentatore si è
chiesto se la pace fosse ancora possibile. E, in particolare, se fosse possibile quella intesa
negoziata perseguita fin qui e fondata sul principio “terra in cambio di pace”. L’interrogativo
non è davvero retorico, perché se si guarda a quel che è successo in questi anni non si può
non constatare amaramente che a Gaza Israele ha dato la terra, ma non ha avuto la pace. E in
Cisgiordania Abu Mazen ha dimostrato di essere pronto alla pace, ma non ha avuto la terra.
Eppure una soluzione diversa non c’è.
Uno scenario che vedesse ancora per anni Israele occupare la Cisgiordania e Gaza essere
un’enclave disperata sarebbe l’incubatore di nuove sofferenze, conflitti e drammi.
Un popolo palestinese che non vedesse riconosciuta la propria aspirazione ad una patria, non
potrebbe che essere attratto da un radicalismo sempre più estremo. E un Israele che inglobasse forzosamente Cisgiordania e addirittura Gaza, sarebbe obbligato a vivere permanentemente in armi, esposta ad una dinamica demografica sempre più rischiosa per il carattere
ebraico dello Stato di Israele, che dunque sarebbe meno sicuro del proprio futuro.
Non ci può essere pace se non si muove dal dato di origine: su quella terra vivono due popoli,
entrambi titolari di due diritti ugualmente legittimi.
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In Medio Oriente sono in conflitto non già un torto e una ragione, ma due ragioni: perché
è una ragione il diritto d’Israele a vivere sicuro di sé e senza paura del suo futuro; ed è una
ragione l’aspirazione del popolo palestinese ad avere una propria patria indipendente. La
pace potrà esserci solo in quanto quelle due ragioni si riconoscano reciprocamente.
D’altra parte se si guarda al 60 anni di travagliata vicenda mediorientale, si può facilmente
constatare che alla pace ci si è avvicinati quando sulla negazione reciproca è prevalso il
reciproco riconoscimento.
La pace parve a portata di mano tra il ’91 e il ’95 quando si ebbero la Conferenza di Madrid,
i colloqui di Oslo, gli Accordi di Washington e Taba tutti ispirati dal principio “Due popoli,
due Stati” e fondati sul negoziato tra le parti.
e
Nonostante il manifestarsi continuo di tensioni, in questi ultimi anni passi
significativi sul cammino di una pace negoziata sono stati compiuti.
1.
Ma non è solo l’esistenza di due popoli a dirci che l’unica pace possibile è una pace
negoziata.
1
E la pace poi si è allontanata quando quell’impianto è stato indebolito dal fallimento di Camp
David e dal diffondersi di posizioni estremiste e integralistiche nel campo palestinese e dalla
ripresa degli insediamenti di colonie ebraiche in Cisgiordania.
I colloqui tra l’ANP e il Governo di Israele hanno consentito di avvicinare le posizioni sui punti cruciali di un accordo: su Gerusalemme capitale di due Stati vi è ormai
la possibilità di un’intesa; i confini del ’67, con eventuali scambi equivalenti di terra,
sono riconosciuti da entrambi come la linea di demarcazione tra i due Stati; Israele sa che
dovrà smantellare le colonie in Cisgiordania (le “pesanti rinunce” come ha detto Olmert); e i
palestinesi sanno che il diritto al ritorno dei profughi palestinesi – come ha esplicitamente
dichiarato Abu Ala – non dovrà compromettere il carattere ebraico dello Stato di Israele.
Non solo, ma passi in avanti si sono fatti anche nello scenario regionale.
La cessazione delle ostilità al confine israelo-libanese tiene – anche grazie alla forza Unifil,
guidata dall’Italia – e in Libano, dopo una crisi politica lunga e drammatica, la elezione unanime del Presidente Suleiman ha avviato la ricerca di una nuova intesa intercomunitaria.
Con la mediazione della Turchia si sono avviati colloqui tra Israele e Siria per arrivare all’accordo sulle alture del Golan.
C’è un impegno della Lega Araba e dei suoi principali Paesi – in primis Egitto e Arabia Saudita – che con la piattaforma di Beirut del 2002 e poi le successive proposte fino a quella di
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Ryad del 2007, testimoniano di una reale volontà di giungere ad una pace che dia stabilità
alla regione.
E persino la tregua di sei mesi tra Hamas e Israele è stata un segno nella direzione di uno
scenario meno conflittuale.
Si tratta, dunque, di non compromettere la tela tessuta fin qui e di riprendere un cammino
di pace fondato sul reciproco riconoscimento e sul negoziato.
Sul cammino della pace si erge come un ostacolo duro l’integralismo islamico e in particolare
Hamas, le cui responsabilità in questa crisi sono evidenti.
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È Hamas che ha rovesciato l’autorità di Abu Mazen a Gaza, trasformando quella striscia di
terra in un’enclave integralista e base di ogni azione militare contro Israele. Ma soprattutto
Hamas non riconosce il diritto di Israele a esistere. Va ricordato, infatti, che Hamas nacque
alla fine degli anni ’80 come espressione del rifiuto di una parte del mondo islamico ad accettare la storica decisione del Consiglio Nazionale Palestinese di Tunisi di riconoscere
l’esistenza di Israele e con Israele cercare una pace.
Hamas nega cioè la precondizione imprescindibile del processo di pace: nega
quel riconoscimento senza il quale non c’è alcun negoziato e tantomeno alcuna doppia statualità.
Al tempo stesso sappiamo che Hamas non è solo un’organizzazione militare, ma un
movimento politico di vasto consenso – tant’è che ha vinto le elezioni palestinesi del
2006 – e di larghe simpatie nei settori più diseredati del mondo arabo.
e
E, ancorchè fortemente indebolita dall’offensiva israeliana di queste settimane, è realistico
immaginare che Hamas continuerà ad esistere, ad agire ed essere un attore dello scenario.
Non è senza significato che la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza che chiede il cessate il
fuoco, auspichi al tempo stesso la ricostituzione di un nuovo accordo interpalestinese.
È perciò essenziale avere una strategia lucida e coerente, che significa mettere Hamas di
fronte ad una scelta netta: riconosca il diritto di Israele a esistere. E cessi di contestare l’autorità di Abu Mazen e la sua scelta di negoziare con Israele. Se Hamas compie questo passo,
sarà parte del processo di pace. Se non lo fa, ne sarà fuori.
D’altra parte la comunità internazionale ha già conosciuto un passaggio analogo, quando
negli anni ’80 disse a Yasser Arafat e all’OLP – che anch’essi non riconoscevano il diritto di
Israele a esistere – che la possibilità per il popolo palestinese di vedere accolta la propria
aspirazione ad una patria indipendente era indissolubilmente legata al riconoscimento dell’analogo diritto per il popolo ebraico. E fu la decisione di Arafat e dell’OLP a compiere quel
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passo, ad aprire la strada alla ricerca di una pace negoziata. Si tratta oggi di avere da parte
della comunità internazionale la stessa determinazione e intransigenza.
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Ma la rimessa in moto del processo di pace richiede anche che si restituisca spazio e credibilità ad Abu Mazen a alla leadership palestinese che crede in una pace condivisa. Non vanno
in questa direzione né i ricorrenti ampliamenti di insediamenti israeliani in Cisgiordania
(che peraltro dovranno essere smantellati al momento dell’accordo d pace), né l’esasperato
controllo militare della Cisgiordania, di cui la costellazione di centinaia di check-point sono
il simbolo.
Certo, non sfugge a nessuno che la partita non si gioca solo nelle relazioni tra palestinesi e israeliani.
1.
L’ombra minacciosa e incombente dell’Iran grava su questo conflitto, così
come i rapporti che legano la Siria alle principali organizzazioni integraliste,
a partire da Hamas.
Né possono essere ignorate le continue infiltrazioni di Al Qaeda e del terrorismo
nello scenario mediorientale.
1
Se si vuole una pace duratura e affidabile è interesse di Israele che nei Territori palestinesi
si affermi un’autorità democratica credibile e autorevole e anzi la soluzione ”due popoli, due
Stati” sarà tanto più credibile in quanto i due Stati, siano anche due democrazie.
Servono insomma atti, da parte di Israele, di maggiore fiducia in Abu Mazen, nel Governo
Fayyad e nella dirigenza palestinese che devono essere messi nelle condizioni di poter esercitare un effettivo crescente autogoverno.
e
E sullo sfondo s’addensa lo scontro tra sciiti e sunniti che sempre di più scuote il mondo
islamico.
Per questo è decisivo sostenere e assecondare quelle leadership arabe – Egitto, Giordania,
Arabia Saudita – che si sono impegnate nel processo di pace e che anche per questo sono
oggi denunciate come traditrici dall’estremismo islamico.
Declinare una strategia in Afghanistan fondata sul rafforzamento della dimensione politica
e accelerare la transizione democratica in Iraq sono altrettanti tasselli di una strategia per
dare stabilità alla regione.
Così come è decisivo il rilancio di una strategia efficace per dare soluzione politica al dossier
iraniano e per questo il mondo guarda con aspettativa e speranze alle dichiarazioni in questo
senso del nuovo Presidente degli Stati Uniti.
Lo scenario fin qui delineato rende evidente e sottolinea la responsabilità che grava sulla
comunità internazionale.
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Per fare la pace è condizione necessaria la volontà di israeliani e palestinesi. Ma può non
essere sufficiente.
60 anni di conflitto – scanditi da guerre, intifade, terrorismo, sofferenze e lutti – hanno radicato un clima di sfiducia e diffidenza, rese più acute dalla frustrazione di una pace sempre
evocata ma mai acquisita.
Qui c’è un dovere morale e politico della comunità internazionale che non può limitarsi a
evocare la pace e lanciare appelli alle parti.
La pace ha bisogno di condizioni favorevoli, di assistenza, di accompagnamento.
Fin qui non lo si è fatto a sufficienza, come dimostra il fatto che il “quartetto” – che pure
include quattro protagonisti mondiali quali Onu, USA, Unione Europea e Russia – sia sparito
perfino dalle citazioni e dal lessico di questi mesi.
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Così come non può essere archiviata come una fatalità il fatto che l’obiettivo solennemente enunciato da Bush ad Annapolis – “la pace entro il 2008” – sia fallito.
Insomma serve un salto di qualità.
e
Ottenere subito il cessate il fuoco e avviare immediatamente la preparazione
di una nuova Conferenza internazionale di pace. Sapendo che proprio l’esperienza di questi anni ci dice che il decorrere del tempo non lavora per la pace.
Occorre agire subito e con tempi certi, tanto più in uno scenario reso più fragile
dall’incertezza sull’esito delle elezioni israeliane e dal regime di prorogatio del mandato
presidenziale palestinese. E tutti auspichiamo che con l’assunzione della Presidenza da
parte di Barack Obama, gli Stati Uniti vogliano ritrovare quella determinazione essenziale
per qualsiasi assetto statale del Medio Oriente.
Non minore responsabilità deve sentire l’Unione Europea, che non può mai dimenticare
quanto la riguardi tutto ciò che accade nel bacino mediterraneo e nel vicino Oriente. D’altra
parte l’Europa è divenuta il principale partner economico di Israele ed è il principale sponsor
finanziario dell’Autorità Nazionale Palestinese.
Serve che anche qui l’Unione Europea colmi lo scarto tra ruolo economico e peso politico.
E la stessa credibilità di un progetto ambizioso quale l’Unione Euromediterranea varata sei
mesi fa dalla UE, è affidata al contributo che l’Europa saprà dare alla pace e alla stabilità del
Medio Oriente.
In questa chiave sollecitiamo a muoversi il Governo italiano.
Non possiamo tacere l’insoddisfazione per un’azione inadeguata e non all’altezza della gravità della crisi.
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Nel 2006, di fronte alla guerra in Libano, il Governo Prodi seppe far assolvere all’Italia un
ruolo leader nel fermare quel conflitto. Oggi l’Italia appare del tutto marginale, priva di voce
e di influenza.
Chiediamo con forza che si esca da questo cono d’ombra e l’Italia compia finalmente atti
visibili, impegnativi, attivi per la pace.
Quanto a noi, ribadiamo il nostro impegno di sempre: crediamo in una pace negoziata, in
una soluzione che dia riconoscimento ai diritti e alle aspirazioni di due popoli, che assicuri
dignità ad ogni donna e ad ogni uomo nella convivenza di culture, religioni, identità.
È un impegno che ha ispirato ogni nostra azione anche in queste settimane nei rapporti con
i mondi più direttamente investiti del conflitto.
e
1.
Agli amici palestinesi voglio dire che la nostra intransigenza verso Hamas è mossa
proprio dalla preoccupazione che non si affermi nell’opinione pubblica alcuna
equiparazione tra Hamas e il popolo palestinese. E anche per questo sentiamo
di dover sostenere con convinzione Abu Mazen e la sua leadership.
1
Abbiamo parlato con la stessa voce e detto le stesse cose quando abbiamo partecipato il
26 novembre scorso alla Giornata Internazionale per la Palestina e quando nei giorni scorsi
abbiamo accolto l’invito ad una iniziativa promossa dall’Unione delle Comunità Ebraiche e
da tutte le sue associazioni.
Agli amici israeliani – e alle Comunità Ebraiche italiane – voglio riconfermare i sentimenti di un’amicizia che affonda le radici nella storia, nella comune lotta contro il
fascismo e il nazismo, nella tragedia dell’Olocausto e nel comune impegno per affermare,
sotto ogni cielo, le ragioni della libertà e della dignità umana contro ogni orrore persecutorio, ogni discriminazione, ogni antisemitismo. E – senza alcuna polemica – non può sfuggire
a nessuno come vi sia anche chi ha bisogno di proclamarsi enfaticamente oggi amico degli
ebrei per far dimenticare i troppi anni in cui ne è stato feroce nemico e persecutore.
Crediamo in una pace in cui israeliani e palestinesi possano identificarsi entrambi; in una
pace in cui ebrei, cristiani, mussulmani possano convivere e dialogare; in una pace che restituisca dignità ad ogni donna e ogni uomo che vive in quella terra.
Per questi obiettivi il Partito Democratico ha agito e continuerà ad agire con convinzione.
43
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Proposta di legge n. 1474
d’iniziativa dei deputati GARAVINI, SERENI, ANGELI, BINETTI, BRAGA, BRANDOLINI, BUCCHINO, BURTONE, MARCO CARRA, CASTAGNETTI, CENNI, CONCIA, CORSINI, DE BIASI, DE MICHELI, DI BIAGIO, FADDA, GIANNI FARINA, FARINONE, FASSINO, FEDI, FERRARI, FRONER,
GHIZZONI, GNECCHI, GOZI, GRASSI, LENZI, MARCHI, MARCHIGNOLI, MASTROMAURO, MAZZARELLA, RICARDO ANTONIO MERLO, MIGLIOLI, MIOTTO, MOGHERINI REBESANI, MOTTA, MURA,
NARDUCCI, NIZZI, PEDOTO, PORTA, QUARTIANI, RAZZI, RIGONI, SAMPERI, SARDELLI, SBROLLINI, SCHIRRU, SERVODIO, TRAPPOLINO, ZAMPA
Istituzione dell’Osservatorio
delle donne italiane all’estero
Af
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do
presentata il 10 luglio 2008
la loro condizione di migranti le ha collocate. Ai carichi di responsabilità e di fatica connessi al ruolo
che una cultura di tradizione ha loro assegnato in
ambito familiare, in emigrazione si sono aggiunti il
disagio di dovere costruire relazioni in una società
nuova e talvolta ostile e l’impegno di affrancarsi da
un retroterra familistico per entrare, con dignità e
pienezza, nel mondo del lavoro. Un percorso reso
più arduo da un lato dal tradizionalismo della cultura d’origine, intrecciato ai pregiudizi del contesto
di insediamento, dall’altro dalla disinformazione sui
propri diritti.
La donna in emigrazione, dunque, è stata contemporaneamente fattore di coesione familiare e di
mantenimento della cultura d’origine e soggetto
aperto alle culture urbane dei contesti di immigrazione e a modelli di comportamento moderni e
dinamici.
Oltre che per la qualità sociale e culturale della presenza delle donne nelle comunità d’origine, l’attenzione per la loro condizione si giustifica anche sotto
il profilo quantitativo. Sui circa tre milioni e seicentomila iscritti all’AIRE, poco meno della metà (47
per cento), vale a dire circa un milione settecentomila, è costituito da donne. Di esse poco meno del
40 per cento, è dato da giovani donne di età fino a
e
ONOREVOLI COLLEGHI! – Del grande patrimonio di esperienze, valori,
opportunità rappresentato dalle comunità italiane e d’origine italiana presenti
nel mondo, le donne sono certamente uno
dei fattori più innovativi e trainanti. E questo
vale sia sul versante dei rapporti con il Paese d’origine che su quello dello sviluppo delle realtà sociali
e culturali nelle quali le nostre comunità sono presenti e operano.
Cogliere questa occasione, facendo in modo che
possano pienamente dispiegarsi le energie sociali,
culturali e civili delle donne italiane all’estero, sostenendone l’iniziativa ad ogni livello, è non solo un
atto di lungimiranza politica, ma anche una spinta
concreta verso quell’attivo percorso di internazionalizzazione di cui il nostro Paese ha bisogno.
Questa potenzialità offerta dalla partecipazione
delle donne alla vita delle nostre comunità d’origine si alimenta, oltre che nella peculiarità della cultura di genere, nell’esperienza viva che esse hanno
storicamente realizzato in emigrazione. La loro inclinazione alla concretezza, alla ricerca di strade
innovative e al perseguimento di soluzioni ai problemi aperti è maturata nello sforzo di affrontare e
vincere l’isolamento e talvolta la marginalità in cui
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La presente proposta di legge si prefigge di venire concretamente incontro a queste esigenze. Essa
mira a istituire l’Osservatorio delle donne italiane
all’estero con il compito di monitorare, in piena
autonomia decisionale e gestionale, la condizione
femminile e la sua evoluzione nelle diverse aree del
mondo, dove è più rilevante la presenza di comunità italiane e d’origine italiana.
All’Osservatorio sono riconosciuti, altresì, compiti
di promozione e di coordinamento delle iniziative,
nonché di raccordo con le istanze rappresentative
delle nostre comunità all’estero (COMITES, CGIE) e
di collaborazione con i responsabili delle strutture
diplomatico-consolari e con le altre istituzioni di
specifico riferimento.
Per favorire un diffuso contatto con la vasta platea
delle donne e la costruzione di una rete di luoghi
d’incontro e di nuclei operativi, la presente proposta di legge prevede di articolare l’Osservatorio in
tre livelli: di circoscrizione consolare, di Paese
di insediamento e mondiale, nella sede del
Ministero degli affari esteri. Per ognuno
di questi livelli si prevede un nucleo
di coordinamento, costituito da
donne democraticamente elette
nell’istanza competente.
Questa proposta di legge è il frutto del
confronto e dell’elaborazione delle donne
del Consiglio generale degli italiani all’estero,
che, in dialogo con altri gruppi e coordinamenti
di donne operanti in altre aree del mondo, da alcuni anni hanno richiamato l’attenzione sull’opportunità di dotare le nostre comunità di questo utile
strumento di conoscenza della condizione femminile, di promozione della partecipazione democratica
e civile, di apertura di una fase di protagonismo.
Essa ha avuto nelle scorse legislature l’adesione
di numerosi parlamentari, in modo assolutamente
trasversale. Con lo stesso spirito di dialogo e di
servizio viene riproposta al giudizio del Parlamento, con la speranza che la lunga attesa delle donne
italiane all’estero possa finalmente trovare il suo
coronamento.
e
1.
1
ae
trentacinque anni, a fronte di un 30 per cento circa
di donne di età superiore ai cinquantacinque anni.
Si tratta, dunque, di un discorso importante non
solo per il presente, ma legato al futuro di questa
essenziale componente delle nostre comunità.
Se poi si sposta lo sguardo dai dati AIRE a quelli,
meno definibili ma certamente più importanti, della comunità d’origine italiana, assumendo il dato
corrente dei 55-60 milioni di persone d’origine italiana, si può grossolanamente pensare ad un retroterra potenziale di circa venticinque milioni di
donne d’origine italiana presenti nel mondo.
Rispetto al passato, il livello culturale e sociale
delle donne italiane che si recano all’estero, sempre più spesso per motivi di studio e di esercizio
professionale, ha aperto un’evidente contraddizione tra questi nuovi flussi di emigrazione e la
situazione consolidata. A fronte delle difficoltà
che le generazioni precedenti di emigrate hanno
incontrato nella pratica linguistica, nei percorsi di
integrazione e nell’ingresso nel lavoro, le nuove
migranti italiane sono più dotate culturalmente,
mirano a una collocazione sociale più elevata e
sono più consapevoli dei diritti. Questa sfasatura è
confermata da indagini specialistiche (ad esempio
dell’EURISPES), che segnalano come la dotazione
culturale e la condizione sociale della maggior parte delle donne italiane residenti all’estero si attesti
ai livelli medio bassi.
Anche sotto il profilo delle contraddizioni esistenti e delle nuove dinamiche migratorie, dunque, si
evidenzia l’esigenza di strumenti di più accurata e
aggiornata conoscenza dei fenomeni e di stimolo
di un maggiore amalgama delle diverse esperienze
sedimentate.
Per rispondere a queste esigenze e, in generale,
per migliorare le condizioni delle donne italiane
all’estero si è già registrato un positivo impegno
di impostazione e di intervento dei soggetti istituzionali deputati a tale scopo: il Dipartimento
per le pari opportunità, la Commissione per le pari
opportunità fra uomo e donna, il Ministero degli
affari esteri. Gli interventi realizzati, pur significativi, sono risultati tuttavia distanti e sovrapposti
rispetto alle situazioni alle quali erano finalizzati.
Resta ampio lo spazio per un’azione di analisi e
per interventi orientati a stimolare la partecipazione diretta delle donne alle dinamiche civili in atto
nelle nostre comunità e un più diffuso e penetrante
loro protagonismo.
PROPOSTA DI LEGGE
ART. 1.
1. È istituito l’Osservatorio delle donne italiane all’estero, di seguito denominato «ODIE».
45
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2. L’ODIE ha autonomia decisionale e gestionale.
Esso ha il compito di monitorare la condizione femminile nelle diverse aree del mondo dove operano
le più numerose comunità italiane e di origine italiana e di registrarne le trasformazioni nel tempo.
L’ODIE si propone di promuovere una sempre maggiore affermazione del ruolo delle donne italiane
nelle realtà sociali in cui vivono e di favorire la loro
partecipazione nelle sedi politico-istituzionali di
rappresentanza delle comunità italiane all’estero.
ART. 2.
1. Per l’attuazione delle finalità e lo svolgimento
dei compiti di cui all’articolo 1, comma 2, l’ODIE
provvede a:
3. L’osservatorio circoscrizionale è composto dalle
donne italiane e di origine italiana residenti nel
relativo ambito territoriale. L’assemblea plenaria
elegge al proprio interno una coordinatrice che
dura in carica due anni e il cui mandato non è rinnovabile per più di due volte consecutivamente.
4. La coordinatrice di cui al comma 3 organizza le
attività dell’osservatorio circoscrizionale, fornisce i
dati richiesti dall’osservatorio nazionale e dall’osservatorio centrale, con i quali assicura i necessari
collegamenti, e tiene gli opportuni rapporti di collaborazione con l’ufficio consolare e con i comitati
degli italiani all’estero (COMITES) territorialmente
competenti.
5. La coordinatrice di cui al comma 3 convoca l’assemblea plenaria almeno due volte l’anno.
6. La prima convocazione dell’assemblea plenaria è
effettuata dalle locali autorità consolari, in collaborazione con i COMITES, con i rappresentanti del
Consiglio generale degli italiani all’estero (CGIE) e
con le forze sociali operanti sul territorio.
ART. 5.
1. L’osservatorio nazionale è istituito presso ogni
ambasciata italiana operante in Paesi ove esistono
almeno quattro COMITES.
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a) esaminare le condizioni di vita e di lavoro delle
donne italiane nei Paesi di accoglimento, in particolare sotto il profilo dell’integrazione sociale,
della formazione scolastica e professionale,
dell’ingresso e del reinserimento in attività lavorative, della tutela assistenziale e
medica;
b) promuovere studi e ricerche su
materie riguardanti la presenza e
lo status e delle donne italiane e di
origine italiana all’estero, collaborando
alla loro realizzazione;
c) valutare l’opportunità delle iniziative a
favore delle donne italiane all’estero promosse
e finanziate dallo Stato, dalle regioni, dalle province autonome di Trento e di Bolzano e dagli enti
locali.
munità italiana presente nel territorio, al fine di
individuarne i bisogni e le esigenze, nonché di
promuovere iniziative per favorire l’affermazione
professionale, sociale, culturale e politica nel Paese
estero di residenza.
ART. 3.
1. L’ODIE si articola in:
a) osservatori circoscrizionali;
b) osservatori nazionali;
c) osservatorio centrale.
ART. 4.
1. L’osservatorio circoscrizionale è istituito in ogni
circoscrizione consolare nella quale risiedono più
di 3.000 cittadini italiani. Esso è insediato presso
una struttura adeguata, individuata d’intesa con le
locali autorità diplomatico-consolari.
2. L’osservatorio nazionale è composto dalle coordinatrici degli osservatori circoscrizionali di cui
all’articolo 4, che eleggono la coordinatrice nazionale. Nei Paesi nei quali non si sono costituiti gli
osservatori circoscrizionali, l’osservatorio nazionale
è composto da almeno tre donne, di cui una con
funzione di coordinatrice, nominate dall’osservatorio centrale su proposta dell’ambasciata, sentito il
COMITES, ove costituito, i rappresentanti del CGIE
e le forze sociali operanti sul territorio.
2. L’osservatorio circoscrizionale ha il compito di
analizzare la condizione delle donne italiane all’estero nell’ambito della realtà locale e della co-
3. Nei Paesi ove esistono almeno cinque COMITES,
la coordinatrice nazionale di cui al comma 2 è coadiuvata da un addetto amministrativo.
46
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4. Presso l’osservatorio centrale è istituito un segretariato che provvede alle attività organizzative
e amministrative. Il segretariato è diretto da un
funzionario posto alle dirette dipendenze del direttore generale della Direzione generale per gli italiani all’estero e le politiche migratorie del Ministero
degli affari esteri.
ae
4. L’osservatorio nazionale assicura lo scambio di
informazioni e il collegamento operativo tra l’osservatorio centrale e gli osservatori circoscrizionali nonché la raccolta, l’analisi e l’elaborazione
dei dati relativi all’intero Paese in cui opera. L’osservatorio nazionale promuove, altresì, la realizzazione delle iniziative proposte dagli osservatori
circoscrizionali.
e
3. L’osservatorio centrale rappresenta l’ODIE, indica le linee programmatiche generali e organizza in
Italia e all’estero periodiche riunioni plenarie delle rappresentanti degli osservatori nazionali e circoscrizionali, d’intesa con il Ministero degli affari
esteri, con il Ministro per le pari opportunità e con
la Commissione per le pari opportunità fra uomo e
donna. Esso può opportunamente coordinarsi con il
CGIE e con ogni altra istituzione pubblica o privata che ritenga utile contattare per la realizzazione
dell’attività dell’ODIE. L’osservatorio centrale predispone annualmente una relazione sulle attività
svolte e su quelle che intende svolgere l’anno successivo, da trasmettere al Parlamento, al Ministero
degli affari esteri, al Dipartimento per le pari opportunità e alla Commissione per le pari opportunità fra uomo e donna.
ART. 7.
1. All’onere derivante dall’attuazione della presente
legge, valutato in un milione di euro annui a decorrere dall’anno 2008, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto,
ai fini del bilancio triennale 2008-2010, nell’ambito del fondo speciale di parte corrente
dello stato di previsione del Ministero
dell’economia e delle finanze per l’anno 2008, allo scopo parzialmente
utilizzando l’accantonamento relativo al medesimo Ministero.
1
2. L’osservatorio centrale è composto da almeno
una coordinatrice eletta, per ciascuna delle seguenti aree continentali (Europa, Africa, Australia,
Nord America e America Latina), dalle coordinatrici nazionali dell’area di riferimento. L’osservatorio
centrale si riunisce almeno due volte l’anno.
5. L’osservatorio centrale e gli osservatori nazionali, per lo svolgimento dei propri compiti e l’attuazione delle finalità della presente legge, possono
avvalersi, di volta in volta, della collaborazione di
esperti.
1.
ART. 6.
1. L’osservatorio centrale è istituito presso il Ministero degli affari esteri e ha sede presso la Direzione generale per gli italiani all’estero e le politiche
migratorie del medesimo Ministero.
2. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
ART. 8.
1. Con decreto del Ministro degli affari esteri, da
emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, ai sensi dell’articolo 17,
comma 3, della legge 23 agosto 1988, è adottato il
regolamento di attuazione della presente legge.
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POLITICHE COMUNITARIE
Attività della Commissione
politiche UE
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Esame pacchetto sicurezza
Diverse sono state le risposte del PD al pacchetto sicurezza presentato dal
Governo, interventi in aula, pareri contrari ai vari decreti legge e ordini del
giorno, il tutto allo scopo di ricondurre la proposta del Governo alle linee direttrici
dell’Unione europea in temi cosi sensbili.
a. Diritto d’asilo
e
A tutt’oggi manca ancora, nel nostro ordinamento, una legge organica sul diritto d’asilo.
Nell’elaborazione di queste proposte di legge sono state tenute presenti le proposte presentate dal Consiglio italiano per i rifugiati e sono state recepite talune indicazioni provenienti
dal “tavolo dell’asilo” che, sotto il coordinamento dell’ Alto Commissariato delle Nazioni
Unite per i rifugiati, raggruppa tutti i principali enti di tutela italiani.
Le proposte di legge tengono altresì in considerazione le linee tracciate dalla “commissione De
Mistura” per quanto riguarda i temi dell’accoglienza e del trattenimento dei richiedenti asilo.
La proposta Gozi, Zaccaria e altri presentata alla Camera (AC 447) e il disegno di legge Marcenaro presentato al Senato (AS 1221), concernenti la “Disciplina del diritto d’asilo e della
protezione sussidiaria”, si prefiggono di dare finalmente attuazione all’art. 10, terzo comma, della Costituzione, che stabilisce che “lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese
l’esercizio effettivo delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana ha diritto
d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”.
Tra le principali misure introdotte dalla proposta vi sono:
• la previsione di una procedura d’asilo equa ed efficace, con una procedura unica in cui
sono valutati tutti gli elementi pertinenti, prescindendo da qualunque forma di pre-esame
che non produce altro effetto se non quello di appesantire il processo decisionale;
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• la previsione di un programma di reinsediamento per i rifugiati, come auspicato anche
dalla Commissione europea che promuove un programma in questa materia, che permette il
trasferimento di un determinato numero di rifugiati da paesi di primo approdo verso l’Italia
sulla base di una quota triennale;
• la possibilità di richiedere asilo presso le rappresentanze diplomatiche all’estero dando
l’opportunità di iniziare la procedura d’asilo prima dell’ingresso fisico della persona sul territorio italiano, al fine di ridurre il numero di persone che giungono in Italia in modo irregolare
e rischioso per la propria vita;
• una completa indipendenza politica e istituzionale sia per la composizione delle Commissioni territoriali che per quella della Commissione nazionale;
• la previsione di programmi bilaterali e multilaterali per favorire la protezione dei rifugiati
che si trovano nei paesi di provenienza, nonché di programmi che si inseriscono nella politica estera destinati a combattere le cause di esodo nei paesi di origine.
b. Ricongiungimento familiare
e
c. CPT
1.
2
Sempre in merito al pacchetto sicurezza del Governo, è stato presentato a firma Gozi e altri,
un parere contrario sul decreto legislativo inerente il ricongiungimento familiare. Le misure
proposte dal Governo infatti sono state considerate contrarie alla direttiva comunitaria
che vede nel ricongiungimento familiare uno strumento necessario per permettere la
vita familiare, per creare una stabilità socio-culturale che faciliti l’integrazione e per
promuovere la coesione economica e sociale, quale obiettivo fondamentale della
Comunità, enunciato dal Trattato.
È stato presentato un ordine del giorno Gozi e altri sul provvedimento del Governo che
mirava all’approvazione di uno stanziamento di euro 3.000.000 per l’anno 2008 e di euro
37.500.000 per ciascuno degli anni 2009 e 2010 per costruire 10 nuovi centri di identificazione ed espulsione. L’ordine del giorno presentato attirava l’attenzione del Governo sulla
necessità di adeguare i nuovi centri di identificazione ed espulsione, e quelli già esistenti,
dal punto di vista sanitario, del rispetto dei diritti dell’uomo e della sicurezza, nonché ad
assicurare la trasparenza e l’efficienza nella gestione dei fondi pubblici.
d. Decreto su misure urgenti
In risposta al decreto-legge 92/08 recante “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica”,
presentato dal Governo, nel quale si prevedeva che, non solo lo straniero, ma anche il cittadino
appartenente a uno stato membro dell’Unione europea, qualora condannato alla reclusione per
un tempo superiore a due anni, venisse automaticamente espulso o allontanato con provvedimento del giudice; è stato presentato un parere contrario in palese contrasto con la direttiva
comunitaria 2004/38/CE che sancisce l’impossibilità di adottare un provvedimento di allontanamento di un cittadino comunitario come automatica conseguenza di condanne penali.
Di molti dei provvedimenti presenti nel pacchetto sicurezza si può dire che sia stato fatto un
lavoro di “limatura” da parte del Governo, che ha modificato le proprie proposte accogliendo
molte delle modifiche richieste dall’opposizione.
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2
ai
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area
affari interni
Marco Minniti, Lanfranco Tenaglia, Roberta Pinotti
2.1 Giustizia
2.2 Interno
2.3 Difesa
Nell’ambito della sicurezza il Governo Ombra ha recepito, in armonia con il programma elettorale del PD, le proposte legislative elaborate dal Governo Prodi nella passata legislatura
che, a causa della brusca interruzione, non è stato possibile approvare.
Nel campo della giustizia il Governo Ombra, impegnato in un contrasto determinato dalle
iniziative del Governo e della maggioranza, ha elaborato e presentato la propria organica
proposta di riforma del settore con la conferenza nazionale di Roma del 21 novembre 2008.
Razionalizzare e accelerare i tempi dei processi civili e penali, garantire l’effettività del
processo e della pena, istituire l’ufficio per il processo e l’informatizzazione dei procedimenti sono i principali assi portanti della legge delega presentata in Parlamento (Camera 1234,
Senato 739). Accanto a questi interventi di ordine generale, il Governo Ombra ha elaborato
una proposta specifica sulla riforma del regime penitenziario previsto per i delitti più gravi
e collegati ad associazione criminale, terroristica o eversiva e regolato dall’art. 41 bis (Camera 1784, Senato 980), e un’altra proposta concernente la modifica del codice penale e
del codice di procedura penale in materia di intercettazioni (Camera 1510, Senato 932).
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ai
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Conferenza Nazionale
del Partito Democrtatico
«Ricostruire la giustizia»
ai
Dalle norme del privilegio al diritto
delle uguaglianze.
Le proposte del PD
2.
1
Roma, 21 novembre 2008
L’obbligatorietà dell’azione penale è valore che merita di essere preservato,
per garantire l’effettiva uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
Il nodo politico è oggi quello di far fronte alle disfunzioni organizzative e processuali in modo che l’obbligatorietà dell’azione possa conquistare la necessaria effettività, nonostante l’elevatissimo numero di procedimenti.
Il problema può essere affrontato e risolto guardando alla realtà organizzativa degli uffici
di Procura.
Per legge il procuratore della Repubblica, al fine di assicurare l’efficienza dell’attività dell’ufficio, ha il potere di fissare i criteri generali ai quali i magistrati, nell’esercizio delle funzioni inquirenti, devono attenersi per l’impiego della Polizia giudiziaria, l’uso delle risorse
tecnologiche assegnate e l’utilizzazione delle risorse finanziarie di cui l’ufficio può disporre:
ha, dunque, il potere di dettare in concreto le priorità di trattazione degli affari penali,
connesso al potere di determinare la migliore allocazione delle (scarse) risorse.
La scelta, che è inevitabilmente scelta di priorità, dovrebbe seguire, per essere trasparente ed efficace, al confronto con una pluralità di soggetti istituzionali, tra cui, oltre che
i magistrati addetti all’ufficio, prefetti, vertici delle forze di Polizia, rappresentanti delle
comunità territoriali interessate dall’azione di quel singolo ufficio giudiziario, oggi tutti
presenti all’interno dei Comitati provinciali per l’ordine e la sicurezza pubblica di cui all’art.
20 l. 121/1981.
In questa nuova costruzione il ruolo del Parlamento non sarebbe quello di fissare, “dall’alto”,
le priorità con un provvedimento che, se troppo stringente, potrebbe finire per svuotare di
senso molte disposizioni incriminatrici, rendendo incerta l’effettività del “principio di obbli53
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gatorietà”; se generico, di tipo programmatico, sarebbe inevitabilmente destinato a essere
superato “nei fatti” dalle emergenze concrete.
Le scelte di priorità dovrebbero essere fissate nell’ambito di un procedimento partecipato,
al cui esito si porrebbe l’intervento del CSM, vertice organizzativo anche della magistratura
inquirente, per l’approvazione del programma di distribuzione delle risorse dell’ufficio.
Il CSM avrebbe così modo di rilevare le scelte di priorità fatte dai procuratori della Repubblica sull’intero territorio nazionale e potrebbe offrirne al ministro della Giustizia il quadro
di sintesi.
Sulla base della ricognitiva relazione del CSM, il ministro della Giustizia sarebbe in grado di
offrire al Parlamento l’illustrazione dell’andamento dell’azione penale sul territorio nazionale
e il Parlamento potrebbe verificare la congruità delle scelte di priorità, chiederne la correzione, ed eventualmente sollecitare il Governo a un maggiore stanziamento di risorse per un
diverso assetto dei programmi di repressione criminale.
Un simile modello avrebbe i seguenti vantaggi:
trasparenza nella gestione dell’azione penale;
decentramento giudiziario nell’azione penale, che pur restando obbligatoria, terrebbe
conto delle specificità di ciascun territorio;
coinvolgimento nelle scelte di priorità delle forze di Polizia, che avrebbero l’obbligo di
impostare le attività di ricerca delle notizie di reato su quella scala di priorità
delineata nelle determinazioni assunte dal procuratore della Repubblica sugli
assetti organizzativi dell’ufficio.
I. a
STRUMENTI DI DEFLAZIONE DEL CARICO PENALE: L’IRRILEVANZA PENALE DEL FATTO O LA PARTICOLARE TENUTA DELL’OFFESA, LA MEDIAZIONE
PENALE
ai
L’obbligatorietà dell’azione penale, che informa il nostro sistema normativo, non impedisce
di dare risposta al problema dell’individuazione delle forme e dalle modalità di un pur limitato controllo sugli affari penali “in entrata”, cioè sulla formazione del carico di lavoro
che grava sugli uffici inquirenti.
Molte delle notizie di reato che gravano sugli uffici di Procura riguardano fatti privi di una
reale carica offensiva e, dunque, il ricorso per esse alle costose energie processuali appare
non necessario.
Il processo è, infatti, per definizione unanimemente condivisa, una risorsa “scarsa” e
“preziosa”, da riservare ai casi che esigono, nella loro prospettazione ipotetica, una risposta repressiva.
A ben vedere, un’affermazione rigida, anche su questo versante, dell’obbligatorietà dell’azione significa una sostanziale negazione del valore e della funzione del principio,
vanificato dal rifiuto di confrontarsi con soluzioni normative che mirano ad assicurarne l’effettività, introducendo moduli di flessibilità nel suo concreto operare.
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2.
1
ai
Di qui l’idea che sia ormai improcrastinabile il ricorso ad alternative al processo che siano
in grado di alleggerire il carico giudiziario, evitando le verifiche processuali di vicende che,
pur astrattamente valutabili sul piano della rilevanza penale, non esigono il processo.
Un primo istituto, approfondito dalla dottrina e sperimentato nel processo minorile e nella
giustizia penale di pace, è quello della c.d. “irrilevanza penale del fatto”, o meglio della
“particolare tenuità dell’offesa”.
Per tutti quei numerosi fatti che, pur tipici, si presentano già a una prima delibazione con
un contenuto offensivo talmente modesto da non giustificare l’impiego della costosa risorsa
del processo, la risposta deve essere la richiesta di archiviazione.
Altro strumento di deflazione del carico di lavoro degli uffici inquirenti, compatibile con il
principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, è offerto dall’istituto della mediazione.
Per i reati espressione di una conflittualità che si sviluppa nelle relazioni interpersonali e
che si connotano per una forte prevalenza, come oggetto principale dell’offesa, del profilo
privatistico, l’accertamento processuale può non essere la soluzione più acconcia. Si è, infatti, di fronte a conflitti che possono essere ricomposti con il “riavvicinamento” delle parti
e il reciproco riconoscimento di quanto di ingiusto si è fatto. Occorre, dunque, un organo
“terzo” con una specifica professionalità in tema di mediazione, a cui, su richiesta delle
parti, il pubblico ministero possa trasferire la vicenda e davanti al quale si tenterà
la composizione. Ove la mediazione riesca, il procedimento penale nel frattempo
sospeso sarà definito con un provvedimento di archiviazione, viceversa, in caso
di non successo, dovrà proseguire.
I. b
UDIENZA PRELIMINARE: LE LINEE DI UNA POSSIBILE RIFORMA
Nel corso degli anni di applicazione del codice di rito vigente, l’udienza preliminare è stata
oggetto di ripetuti rimaneggiamenti normativi.
I limitati poteri di cognizione e di decisione, originariamente attribuiti al giudice di quell’udienza, sono stati decisamente ampliati solo nel 1999, con la c.d. “legge Carotti”. Con
quella riforma è stato attribuito al giudice il potere di ordinare al pubblico ministero il
compimento di ulteriori indagini in caso di accertata incompletezza, e di disporre, anche
d’ufficio, l’assunzione delle prove evidentemente decise ai fini della sentenza di non luogo
a procedere.
L’udienza preliminare è così divenuta un momento processuale di rilevante complessità.
L’inversione di rotta, per fare ritorno all’originaria essenzialità di struttura dell’udienza preliminare in vista di una semplificazione delle forme per una riduzione dei tempi complessivi
dell’accertamento, non sarebbe ora praticabile, perché esporrebbe agli stessi rilievi critici,
che la Corte costituzionale negli anni ’90 articolò nelle plurime decisioni che precedettero e
prepararono la riforma legislativa del 1999.
In vista della riduzione dei tempi processuali sembra allora preferibile una riforma dell’attuale disciplina che persegua il fine di un più ampio sfruttamento delle potenzialità del-
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l’udienza quale momento di preparazione del futuro giudizio, ove essa non si concluda con
una pronuncia di non luogo a procedere.
L’idea è di affidare all’udienza preliminare, in specie al tratto oggi dedicato agli adempimenti
di formazione del fascicolo dibattimentale, la funzione di preparare al meglio la futura istruzione, chiamando le parti alla tempestiva definizione del thema probandum, alla indicazione
di quei profili dello stesso per i quali ritengono necessario l’esercizio del contraddittorio
orale, e all’articolazione dei relativi mezzi di prova.
In una diversa e opposta direzione si potrebbe poi rafforzare la funzione deflattiva dell’udienza preliminare, sperimentando forme di definizione nel merito azionate volontariamente
dall’imputato. In luogo di ulteriori espansioni dello spazio, già oggi eccessivo, riservato al
cosiddetto patteggiamento, si potrebbe prevedere che, su richiesta dell’imputato, il giudice
possa vedersi attribuito il potere di emettere una sentenza di condanna, ricorrendone le
premesse di legge e quindi utilizzando l’ordinaria regola di giudizio fissata per il dibattimento, se dagli atti risultino gli elementi per l’affermazione di responsabilità “al di là di ogni
ragionevole dubbio”.
I. c
LA PRESCRIZIONE: PROSPETTIVE DI RIFORMA
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Il fallimento della prescrizione attuale
La disciplina attuale della prescrizione è inefficiente poiché aumenta il numero
dei processi pendenti, ne complica e allunga l’iter, con un conseguente “ingolfamento” della macchina giudiziaria, che, in una pericolosa spirale, comporta un
ulteriore allungamento dei tempi del processo.
La constatazione di queste disfunzioni non vuol suggerire, però, l’abolizione dell’istituto,
strumento di grande valore, che sancisce il definitivo oblio della pretesa punitiva per fatti
che hanno smesso di allarmare la coscienza sociale, e che, se ben calibrato, assicura ragionevoli tempi del processo. Viceversa, la prescrizione va riformata secondo un disegno lineare
e organico, che ne esalti le finalità, ripristini l’armonia del meccanismo processuale e restituisca efficienza al sistema penale.
Quali sono le cause del fallimento della disciplina della prescrizione? Sicuramente, la scansione dei tempi del suo decorso, inadeguati ad assicurare il celere e corretto svolgimento
della giustizia penale.
La disciplina attuale, pur novellata in parte negli anni recenti (legge 15 dicembre 2005,
n. 51), conserva a grandi linee la struttura del codice penale del 1930 e si articola in una
costruzione a due tempi: un termine base di prescrizione, suscettibile di allungarsi (con gli
atti sospensivi e interruttivi); un termine massimo (o finale) di prescrizione, che circoscrive
la durata massima per giungere all’affermazione di colpevolezza, e che, dunque, comprime la
possibilità di espansione – tendenzialmente illimitata – del primo.
Il termine base può infatti dilatarsi durante il procedimento penale con l’adozione di alcuni
atti qualificati (individuati dall’art. 160 c.p.) che comportano l’interruzione della prescrizione e il decorso ex novo del termine. Sottotraccia, però, scorre inesorabile, a prescindere da
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2.
1
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qualsiasi attività processuale, il termine massimo di prescrizione, che argina la dilatazione
dei tempi processuali.
Per questa ragione molti sostengono che la disciplina della prescrizione avrebbe anche la
funzione di garantire la durata ragionevole del processo, conclusione fuorviante, allo stato
della disciplina vigente. Intanto, sussistono reati imprescrittibili, per i quali i processi potrebbero protrarsi irragionevolmente. Inoltre, il termine finale di prescrizione resta ancorato
al tempo di consumazione del reato, sicché il processo sconta anche il tempo trascorso prima
che si attivassero gli organi della giustizia penale, con effetti paradossali: se il procedimento è iniziato a ridosso della consumazione del reato, può protrarsi per un tempo lungo che
potrebbe essere irragionevole; se, invece, il procedimento si è avviato a grande distanza dal
reato, rischia di essere compresso in un tempo irragionevolmente breve, entro cui difficilmente riuscirà a concludersi.
Altro grosso deficit della disciplina del codice penale, acuito dalla riforma del 2005, è che il
termine massimo di prescrizione non pare sufficientemente ampio per espletare il processo
che si avvii a ridosso dello scadere del termine base. Nella disciplina del 1930 il termine
massimo di prescrizione, per i reati lievi e di media gravità, comportava tempi ridotti, che
in molti casi impedivano l’accertamento. La riforma del 2005 si è mossa nella direzione
opposta a quella auspicabile, addirittura accorciando i termini massimi di prescrizione, con una maggiore difficoltà di conclusione dei processi relativi a reati scoperti
molto tempo dopo la consumazione.
Prospettive di riforma
Alla luce delle premesse esposte, appare necessaria una riforma radicale dell’impianto della prescrizione, non limitarsi ad allungarne i tempi.
Se il termine finale continua a decorrere dalla consumazione del reato, residuerebbero
infatti molte delle aporie evidenziate, con la conseguenza di lasciare sguarnito il tema
della durata ragionevole del processo. Per assicurare davvero che la prescrizione riesca a servire al meglio i due interessi che può proteggere – sancire l’oblio punitivo per un reato il cui
allarme sociale si sia spento e assicurare una durata ragionevole del processo – è indispensabile prendere atto che: mentre per calcolare il tempo di oblio del reato è giusto riferirsi alla
consumazione dell’illecito, per fissare un tempo di durata ragionevole del processo ci si deve
riferire al momento di avvio del processo.
Si può, dunque, prevedere due distinti termini di prescrizione: il primo computato dal momento del reato, identifica il tempo in cui si consuma l’interesse alla pretesa punitiva dello
Stato; il secondo calcolato dal momento di inizio del processo, determina il tempo in cui
deve celebrarsi il processo.
Il sistema acquisirebbe una logica coerente: c’è un tempo, trascorso il quale, se la giustizia
penale non si è attivata, la pretesa punitiva nei confronti di un reato viene meno. Quando,
però, gli organi della giustizia penale si siano messi in moto, non si può più parlare di oblio
del reato e di dissoluzione dell’interesse alla punizione, e l’unico aspetto rilevante è la ragionevole durata del processo.
In questo modo diventa possibile costruire un secondo termine, decorrente dall’avvio dell’accertamento, che configuri una disciplina della durata del processo calibrata su tempi
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ragionevoli, che, da un lato, non permettano al processo di protrarsi ingiustamente a danno
dell’imputato (lasciando l’Italia esposta a condanne della Corte Europea dei diritti dell’uomo), dall’altro, consentano al sistema giudiziario e ai suoi organi di svolgere efficacemente
il proprio lavoro e di condurlo a termine. Nella definizione di questi tempi va considerata anche l’eventualità dell’impugnazione dell’imputato, predisponendo un meccanismo che,
senza lasciare l’accusato all’alea di un giudizio interminabile, disincentivi da impugnazioni
infondate e dilatorie.
In concreto, dunque, la proposta è prevedere un termine di prescrizione “sostanziale”, che
circoscriva il tempo entro cui può attivarsi la giustizia penale dalla data di commissione del
reato, pena la prescrizione del reato.
Con questa soluzione la fase delle indagini ricadrebbe all’interno del termine sostanziale di
prescrizione: il tempo per scoprire il reato e quello per indagarvi farebbero parte del medesimo segmento processuale. Se si temesse per questa via che un soggetto possa essere esposto
a indagini irragionevolmente lunghe, non va dimenticato che il termine delle investigazioni è
predeterminato dal codice di procedura penale in 18 mesi (due anni, per i reati più gravi).
Dal momento, però, dell’esercizio dell’azione penale, il termine “sostanziale” cessa di avere
rilievo e inizia a decorrere un nuovo termine “processuale”, che delimita la durata del
giudizio di primo grado fino alla sentenza, non superiore a 18 mesi (considerando
una media di 6 mesi per l’udienza preliminare e di un anno per il dibattimento).
In caso di oggettiva impossibilità a concludere il processo nel termine, dovuta
alla particolare complessità dell’accertamento, si può ammettere il magistrato
procedente a richiedere una proroga di sei mesi al giudice superiore.
Terminato il processo di primo grado, un nuovo termine di un anno decorrerebbe
per il grado d’appello, prorogabile di sei mesi in caso di rinnovazione dell’istruttoria
dibattimentale.
Infine, un ultimo termine di 6 mesi comprimerebbe la durata del giudizio di cassazione.
Una disciplina ad hoc potrebbe poi essere dedicata agli atti sospensivi della prescrizione processuale, prevedendo, a esempio, una sospensione di 15 giorni quando l’udienza sia rinviata
per legittimo impedimento dell’imputato o del suo difensore. Così come si potrebbe prevedere che in caso di sospensione del processo (per la pendenza di un giudizio incidentale di
ricusazione o di rimessione in prossimità della pronuncia della sentenza o per la sollevazione
di questione di costituzionalità avanti alla Corte costituzionale) si sospenda anche la prescrizione processuale.
II.
DISTINZIONE DELLE FUNZIONI: UNA SCELTA DA CONFERMARE E RAFFORZARE
Il tema della separazione delle carriere dei giudici e dei pubblici ministeri è oggetto da gran
tempo del dibattito sulle riforme dell’ordinamento giudiziario e si è sin da subito caratterizzato per la contrapposizione netta e radicale tra Avvocatura – e per essa, in special modo le
Camere penali – e Magistratura – in particolare, la rappresentanza associativa dell’ANM. Lo
scontro di posizioni, con l’ovvia rifrazione sul piano parlamentare e in generale più stretta58
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2.
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mente politico, si è talmente sclerotizzato da impedire la piena valutazione del contenuto
innovativo dell’ultima riforma dell’ordinamento giudiziario, realizzata con la l. 111/2007 del
Governo Prodi.
Quella legge ha dato attuazione al principio della netta separazione delle funzioni, che sarebbe errato qualificare in termini di un’embrionale e quindi imperfetta separazione delle
carriere.
La separazione funzionale, se ispirata a principi di rigore, è una risposta esauriente al bisogno
legittimo di una disciplina che assicuri effettività ai principi costituzionali di imparzialità e
di terzietà del giudice, connotato del giusto processo. Non è perciò la tappa intermedia di
un percorso riformista, che al suo esito abbia, o debba avere, nella separazione delle carriere
lo sbocco naturale e inevitabile.
Non è un dato indiscutibile nell’approccio al tema che la separazione delle carriere implichi
la necessità di una revisione costituzionale.
Anzi, se si pone attenzione alla giurisprudenza costituzionale – in particolare, da ultimo,
sentenza n. 37 del 2000 – si apprende che in Costituzione non è rinvenibile, nonostante la
strutturazione della magistratura come un unico ordine soggetto alla potestà organizzativa di un unico Consiglio Superiore, un principio che «imponga o al contrario precluda
la configurazione di una carriera unica o di carriere separate fra i magistrati addetti
rispettivamente alle funzioni giudicanti e a quelle requirenti, o che impedisca di
limitare o di condizionare più o meno severamente il passaggio dello stesso
magistrato, nel corso della sua carriera, dalle une alle altre funzioni».
Ma, l’assenza di preclusioni costituzionali non significa che il tema perda d’importanza e possa essere ridimensionato entro gli angusti confini dell’esasperata
conflittualità tra corporazioni professionali.
Esso ha un rilevante contenuto politico per la significativa incidenza che la separazione
delle carriere avrebbe sulla fisionomia della struttura burocratica detentrice del potere di
azione penale.
L’idea che si possa separare il pubblico ministero dal giudice, dotando il primo di un proprio
organo di autogoverno in forza di una disciplina autonoma di assunzione dei magistrati dell’accusa e di uno sviluppo autonomo e separato della loro carriera, tradisce una scarsa consapevolezza della “pericolosità” di un organo dell’accusa che conservi l’irresponsabilità politica
a fronte dell’allontanamento dall’alveo della giurisdizione, costruito da un sapiente gioco di
controlli e contrappesi e capace di disinnescare il potenziale degenerativo dell’autogoverno,
ancor più insidioso se riferito a magistrati titolari del potere di azione.
È assai più realistico ipotizzare che la separazione delle carriere sospingerebbe il pubblico
ministero verso gli organi di Polizia, a cui già è istituzionalmente “vicino” grazie a una più
che decennale legislazione in tema di contrasto della criminalità organizzata, perdendo o,
comunque, svilendo i caratteri propri e irrinunciabili della funzione che, per quanto di parte
all’interno del processo, deve connotarsi, in un sistema autenticamente democratico, per
l’indifferenza verso logiche di risultato non calibrate in direzione esclusiva del processo.
L’arretramento dalla giurisdizione in favore di un più stretto raccordo con gli organi di Polizia
significherebbe una reale perdita di garanzie all’interno del processo, perché deprimerebbe
il ruolo e la figura di un organo, qual è oggi il pubblico ministero, che può dialogare con gli
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organi di Polizia, preposti alla collaborazione in funzione dell’azione penale, in posizione di
assoluta indipendenza e primazia funzionale.
In buona sostanza, la separazione delle carriere significherebbe, con ogni probabilità, che
il pubblico ministero, “indebolito” dall’assenza di un raccordo con il potere politico che,
nell’attuale sistema, è invece il punto di forza di un’organizzazione informata dai principi
di autonomia e di indipendenza, farebbe fatica a mantenere la necessaria alterità dalle funzioni e dalle logiche di Polizia, disperdendo il contenuto di garanzia che il suo ruolo oggi
assicura.
Ed è ovvio che, se si avesse questo spostamento verso gli ambiti della Polizia, si porrebbe
con urgenza il problema di un raccordo del pubblico ministero con gli organi della rappresentanza politica, essendo a quel punto intollerabile, anche per quanti oggi difendono
l’unicità delle carriere, che il titolare dell’azione penale possa mantenere l’irresponsabilità
politica.
La separazione delle carriere sarebbe così, invece che il traguardo di un percorso riformista
iniziato dalla separazione funzionale, il primo passo di un inevitabile tragitto che condurrebbe, con più o meno consapevolezza in quanti hanno voluto intraprenderlo, alla dipendenza
del pubblico ministero dal potere esecutivo, nonostante oggi nessuno, o veramente pochi, prospettino questo esito come un obiettivo voluto e perseguito.
Su un piano diverso si deve, invece, ragionare ove si intenda dare risposta alla
domanda di piena attuazione dei principi del giusto processo dell’imparzialità
e della terzietà del giudice, non trascurando di considerare che, per quanto
non sia espressamente statuito, il giusto processo comporta la presenza di
un giudice “forte” rispetto alle parti e che tale situazione è assai più facilmente
realizzabile ove si mantenga un diaframma di autonomia e di indipendenza, oggi costituito dal pubblico ministero, tra il processo e le istanze legittimamente provenienti
dagli ambiti operativi della Polizia.
Al bisogno di effettiva imparzialità e terzietà del giudice dà adeguata risposta, come già
detto, una seria separazione funzionale, del tipo di quella realizzata dalla l. 111/2007.
Secondo questa legge il passaggio dalla funzione inquirente a quella giudicante e viceversa
ha quali presupposti necessari: che il magistrato non abbia cambiato funzioni, in precedenza, per più di 4 volte; che abbia un’anzianità di almeno 5 anni nella funzione svolta al
momento della richiesta; che abbia partecipato a un corso di qualificazione professionale
organizzato dalla scuola della magistratura; che abbia conseguito il giudizio di idoneità al
cambio di funzioni da parte del CSM.
Il passaggio di funzioni è poi presidiato da un fitto sistema di incompatibilità, di norma di
dimensione regionale, con l’eccezione dell’incompatibilità solo provinciale per il magistrato
che negli ultimi 5 anni abbia svolto funzioni esclusivamente civili o del lavoro (sia tabellari
che di organico sezione lavoro) e chieda il passaggio alla requirente, con divieto di essere
destinato, nella qualità di sostituto procuratore, in tutto o in parte agli affari civili; e per il
magistrato inquirente che chieda il passaggio a funzioni giudicanti civili o del lavoro in un
ufficio giudiziario diviso in sezioni.
La disciplina è tale, allora, da scongiurare il rischio di commistioni funzionali che alterino le
condizioni di un giusto processo. Cos’altro dovrebbe essere previsto?
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È piuttosto necessario che una riforma così recente e innovativa possa essere sufficientemente sperimentata prima di essere fatta oggetto di ulteriori modifiche.
Non si tratta di un atteggiamento di acritica conservazione dell’esistente ma, al contrario,
di un serio impegno riformista che non si consuma unicamente nella formulazione di nuove
regole, dovendo proseguire nell’impegno attuativo per un periodo temporale apprezzabile,
da cui soltanto possono eventualmente emergere, per essere valutate con la dovuta ponderazione, nuove esigenze di riforma.
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II. a
I RAPPORTI PUBBLICO MINISTERO / POLIZIA GIUDIZIARIA
2.
1
La cornice costituzionale del tema è delineata dalle disposizioni degli artt. 109 (secondo cui
l’autorità giudiziaria dispone direttamente della Polizia giudiziaria), e 112, che fa obbligo al
pubblico ministero di esercitare l’azione penale.
La disponibilità diretta, che va intesa come disponibilità funzionale e non come dipendenza
di tipo gerarchico, trova giustificazione nell’esplicazione dei compiti che la Costituzione
stessa assegna all’autorità giudiziaria; e per quel che attiene al pubblico ministero,
all’esercizio del dovere di azione.
Sul piano costituzionale non è ipotizzabile una restrizione degli spazi di disponibilità funzionale della polizia giudiziaria che si consumi nell’ambito dell’esercizio delle attribuzioni tipiche dell’autorità giudiziaria, e per quel che qui
interessa del pubblico ministero. Occorre allora stabilire preliminarmente cosa
significhi, nella prospettiva dell’individuazione dei compiti del pubblico ministero,
esercitare l’azione penale; quindi bisogna fissare un contenuto accettabile della nozione di disponibilità diretta, per poi verificare cosa debba richiedersi alla polizia giudiziaria
e di quali spazi di azione autonoma essa possa invece usufruire.
Per quanto attiene alla prima questione, può dirsi che l’obbligo di esercizio dell’azione penale
implica l’obbligo di svolgere ogni utile indagine, che serva a verificare se per quella notizia
di reato debba o meno darsi luogo a un accertamento processuale.
Come ha affermato la Corte costituzionale, sentenza n. 88 del 1991, l’obbligo di esercizio
dell’azione è obbligo di svolgimento delle indagini che costituiscono il segmento procedimentale delimitato a monte dalla notizia di reato e a valle dall’imputazione, contenuto tipico
degli atti che inscenano la fase del processo in senso stretto.
L’esercizio dell’azione non qualifica soltanto il momento dell’emissione della richiesta di rinvio a giudizio, o degli atti dalla legge ritenuti equivalenti strumenti di attivazione della fase
del processo, ma anche e a maggior ragione la fase precedente, necessariamente precedente,
delle indagini preliminari che la legge vuole preposta all’acquisizione delle conoscenze indispensabili per poter dire se occorre o meno il processo.
Per tutta la fase delle indagini preliminari, che ha inizio con l’acquisizione della notizia di
reato, il pubblico ministero deve poter disporre direttamente della polizia giudiziaria.
Una disponibilità diretta, invece, non trova ragione costituzionale per la fase ancora precedente, del compimento delle attività volte all’acquisizione della notizia di reato.
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Sia ben chiaro: la previsione di un potere del pubblico ministero di ricerca della notizia di
reato non si pone in contrasto con la Costituzione: anzi, contribuisce all’effettività del principio di legalità penale che sottende l’obbligatorietà dell’azione. E però, le attività di ricerca
della notizia, per quanto funzionali all’esercizio dell’azione, non sono esse stesse esercizio di
azione, sicché pare di poter affermare che per esse non si possa pretendere la disponibilità
diretta, di tipo funzionale, della polizia giudiziaria in capo al pubblico ministero.
Ciò che precede l’acquisizione della notizia di reato è attribuzione tipica della polizia giudiziaria, che essa esercita non già in posizione di dipendenza funzionale dal pubblico ministero ma quale soggetto autonomamente titolare del relativo potere.
Altro, ovviamente, il rapporto tra pubblico ministero e polizia giudiziaria dopo l’acquisizione
della notizia di reato. Per questa fase il pubblico ministero è chiamato a dare attuazione
al principio di obbligatorietà dell’azione, che non significa l’estromissione di qualsiasi altro
soggetto dall’ambito operativo in cui esso trova realizzazione, ma che certo impedisce soluzioni normative che deprimano il ruolo del pubblico ministero, di garante della legalità
processuale, a beneficio di altri.
La Polizia giudiziaria può e deve concorrere all’esercizio dell’azione penale, ma ciò può fare
soltanto in posizione di dipendenza funzionale dall’organo che per Costituzione è garante dell’obbligatorietà dell’azione.
Non è accettabile qualunque altro assetto normativo dei rapporti tra pubblico ministero e Polizia giudiziaria che, per un malinteso bisogno di affrancare la Polizia
giudiziaria da posizioni di eccessiva subalternità, faccia venire meno l’obbligo
di una tempestiva informazione sulla notizia di reato a beneficio del pubblico
ministero o allenti il dovere della Polizia giudiziaria di operare all’interno delle
direttrici di azione eventualmente impartite dal pubblico ministero.
Nulla vieta, ovviamente, come per il resto già oggi è previsto, che la Polizia giudiziaria,
ove il pubblico ministero informato della notizia di reato nulla faccia, approfondisca investigativamente l’ipotesi di reato, svolgendo essa quell’attività preordinata alle determinazioni inerenti l’esercizio dell’azione. Ma tanto presuppone, impone, che il pubblico ministero
sia rimasto in silenzio dopo aver ricevuto tempestiva e completa notizia sull’ipotesi di reato
da coltivare.
La disponibilità diretta, di cui alla norma costituzionale, sembra quindi imporre obblighi
ineliminabili di informazione e di esecuzione di ordini e direttive che il pubblico ministero
può impartire per trasformare, o meglio, per tentare di trasformare, la notizia di reato in
imputazione.
L’attenuazione degli obblighi di informazione e di esecuzione di ordini e direttive significa,
senza possibilità di soluzioni intermedie, la vanificazione della previsione della disponibilità
diretta.
Non così, come già si è detto, per la fase che precede l’acquisizione della notizia di reato,
che resta fuori dall’obbligo di esercizio dell’azione.
Per questa fase, la cui definizione funzionale presuppone la fissazione normativa della nozione di notizia di reato, la Polizia giudiziaria deve poter agire con la più ampia libertà di azione
e il rapporto con il pubblico ministero non attinge al concetto di disponibilità diretta ma a
quello, meno stringente anche se parimenti cogente, di collaborazione istituzionale.
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III.
LA RIFORMA DEL CSM
2.
1
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La riforma del CSM costituisce uno degli obiettivi ritenuti strategici e imprescindibili dalla
maggioranza, al punto che numerosi suoi esponenti e, non solo, hanno già presentato numerosi disegni di legge di riforma, soprattutto costituzionale.
L’urgenza della riforma può essere condivisa, qualora suo reale obiettivo sia quello di garantire la funzionalità dell’organo, in vista del conseguimento del recupero dell’efficienza del
funzionamento della giustizia ordinaria.
Altre impostazioni che ragionano in termini di conflitto tra poteri ovvero della necessità
di ristabilire equilibri violati e rapporti di forza squilibrati stanno conducendo ancora una
volta nel vicolo cieco delle contrapposizioni e del dialogo fra sordi, facendo anche di questa
legislatura l’ennesima occasione mancata.
Per il PD l’Italia e la giustizia hanno bisogno di una magistratura indipendente e autonoma,
della soggezione dei magistrati alla sola legge e di un controllo diffuso di legalità.
Nel nostro sistema costituzionale il ponte che tiene insieme l’autonomia e l’indipendenza
della magistratura, da una parte, e la soggezione dei magistrati alla legge, intesa quale
garanzia per i cittadini e la società tutta, dall’altra, è costituito dal circuito del governo autonomo della magistratura, dai poteri di controllo funzionale e disciplinare
dei quali è titolare e dall’effettività del principio di responsabilità della magistratura di fronte al paese.
Occorre confermare e rafforzare questo modello che tanti paesi ci invidiano,
hanno importato o vogliono importare, ognuno facendo la propria parte.
Su questo punto sono pienamente condivisibili le riflessioni di Walter Veltroni che in
un articolo apparso su Il Riformista il 9 marzo u.s. ha affermato: “di ciò debbono farsi
carico il CSM che deve rifuggere da logiche correntizie nel proprio agire e realizzare un controllo attento e rigoroso della professionalità dei magistrati e del rispetto della regola deontologica,
e tutti magistrati che devono applicare la legge nei confronti di chiunque, ma non derogare mai
alla soggezione alla sola legge, neanche in vista del raggiungimento di un fine di giustizia.
La politica da parte sua deve individuare contrappesi idonei a evitare che vi sia il sopravvento
di un’istituzione sulle altre ovvero che il processo mediatico faccia velo al processo regolato e
garantito”.
È necessario dunque porre alcune premesse, al fine di identificare quali siano i margini di
modifica possibili con legge ordinaria e, soprattutto, di identificare quali siano i principi ai
quali dette riforme devono essere ispirate.
Le premesse sono le seguenti.
a) Sotto il profilo della configurazione e collocazione dell’organo, il CSM costituisce «un organo di sicuro rilievo costituzionale» (Corte cost. sent. 143/1983) e «di rilevanza costituzionale» (sent. 419/1995), che, per questo profilo, si differenzia da tutti gli altri collegi di alta
amministrazione esistenti nel nostro ordinamento (sent. 29/1987), essendo direttamente
investito delle funzioni previste dall’art. 105 Cost., che è il solo competente a esercitarle in
via definitiva e in posizione di indipendenza da altri poteri dello Stato (sent. 435/1995).
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Il CSM è, quindi, «organo che, pure espletando funzioni solamente di indole amministrativa, non é parte della pubblica amministrazione (in quanto rimane estraneo al complesso
organizzativo che fa capo direttamente, o al governo dello Stato o a quello delle Regioni, e
all’altro cui dà vita l’amministrazione indiretta, collegato al primo attraverso l’esercizio di
forme varie di controllo a esso attribuite)» (sent. 89/1992).
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b) In riferimento alla relazione esistente con la magistratura, il CSM non rappresenta, in
senso tecnico, l’ordine giudiziario e neppure realizza «il cosiddetto autogoverno (espressione, anche questa, da accogliersi piuttosto in senso figurato che in una rigorosa accezione
giuridica)» (sent. 142/1973).
La composizione dell’organo voluta dalla Costituzione mira, infatti, allo scopo di soddisfare
la «esigenza (che fu avvertita dai costituenti) di evitare che l’ordine giudiziario abbia a
porsi come un corpo separato» (sentt. 142/1973, 5/1974 e 39/1974), obiettivo questo realizzato mediante accorgimenti idonei ad attuarne e mantenerne una costante saldatura con
l’apparato unitario dello Stato, pur senza intaccarne le proclamate e garantite autonomia e
indipendenza, costituiti dalla titolarità dell’azione disciplinare attribuita anche al ministro
della Giustizia (sent. 142/1973; 168/1963).
Resta, quindi, escluso che il CSM sia rappresentativo della magistratura, tenuto conto
che, nella logica del disegno costituzionale, il Consiglio deve essere garantito nella
propria indipendenza anche «nei rapporti con l’ordine giudiziario”, con il quale
appunto non si identifica.
Gi
c) In relazione alla disciplina delle elezioni dei componenti del CSM., va ricordato che la stessa non riguarda «sostanzialmente materia costituzionale» (sent. 168/
1963) e l’art. 104 Cost., non imporre che, nella composizione dell’organo, debba essere
realizzata la parità della rappresentanza delle differenti categorie (sent. 168/ 1963). Dalla
imprescindibilità della distinzione degli eleggibili deriva che la componente “togata” del
Consiglio superiore non può essere integralmente eletta mediante un puro e semplice sistema di liste concorrenti, il quale non permetta di attribuire distinto rilievo alla articolazione
per categorie, fermo restando che ciò non implica che esso assuma caratteri di rappresentatività della magistratura (sent. cit.).
ai
d) Nella materia della disciplina delle modalità di organizzazione e funzionamento del CSM,
spetta al legislatore ordinario un’ampia discrezionalità, quindi, la struttura interna e le modalità di funzionamento del Consiglio Superiore possono essere variamente conformate.
Infatti, «dalle norme costituzionali (...) non è data in alcun modo la possibilità di dedurre
che la Costituzione abbia voluto che tutte le competenze elencate nell’art. 105 siano esercitate dal Consiglio nel suo plenum» e, come ha affermato la Corte costituzionale, «non c’é
dubbio che gli artt. 104 e 105 Cost. abbiano affidato al legislatore ordinario un ampio potere
di organizzazione» (sentt. 12/1971 e 168/1963).
Dunque, «nessun precetto costituzionale vieta l’articolazione del Consiglio superiore in sezioni» (sent. 12/1971) ed è possibile stabilire che esso possa operare, «anziché in assemblea
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ai
plenaria, in una composizione più ristretta», in riferimento alla sezione disciplinare (sent.
270/2002), ma anche in relazione alle altre attribuzioni (sent. 12/1971).
L’unico limite che incontra il legislatore ordinario è quello del rispetto, nella fissazione della
struttura delle “sezioni”, o Commissioni, della autonomia del Consiglio, al quale va «demandata la scelta dei componenti», nell’osservanza delle linee fondamentali stabilite dall’art.
104, Cost., che impedisce di «istituire sezioni deliberanti nelle quali non siano presenti componenti eletti dal Parlamento o componenti appartenenti a una delle categorie di magistrati
che concorrono alla formazione del Consiglio» (sent. 12/1971).
Tuttavia, ciò non vuol dire che sia configurabile un principio della «rappresentanza di interessi di gruppo», inconciliabile con il carattere assolutamente generale degli interessi affidati alla cura del Consiglio Superiore, in quanto questa composizione è resa necessaria dal fatto
che le linee strutturali segnate nell’art. 104 Cost. sono ispirate all’esigenza che all’esercizio
dei delicati compiti inerenti al governo della magistratura contribuiscano le diverse esperienze di cui le singole categorie sono portatrici, devono trovare ragionevole corrispondenza
nelle singole sezioni, quando a queste siano connessi poteri deliberanti.
Da queste premesse consegue che, a costituzione invariata, le riforme possibili sono le seguenti:
2.
1
a) In relazione al sistema elettorale.
Messe da parte le “brillanti” invenzioni escogitate da alcuni, consistenti nella
designazione mediante estrazione a sorte, ovvero in sistemi simili, si tratta di
esaltare l’obiettivo posto dalla Costituzione, che esclude la configurazione del
CSM quale organo rappresentativo dei magistrati.
Inoltre, occorre trovare un giusto punto di equilibrio tra l’importanza della scelta,
per così dire, ideologica, operata mediante il sistema delle liste e delle correnti, e l’esigenza di tenere conto della peculiarità dell’organo, che richiede sia lasciata all’elettore una
libertà che permetta di ponderare le scelte in modo anche trasversale, così da garantire un
Consiglio dedito a un ruolo di garanzia e attento ai compiti di amministrazione.
La scelta non deve essere soltanto di «gruppo», ma anche di persone.
Si tratta allora di ristabilire il numero di trenta componenti anteriore alla riforma del 2002
(anche per quanto si dirà in ordine alla sezione disciplinare) e di prevedere una legge elettorale proporzionale a collegio unico nazionale che permetta all’elettore la più ampia possibilità di scelta tra candidati anche appartenenti a liste diverse, in modo da eliminare gli
effetti deteriori dell’attuale sistema.
b) In relazione ai compiti e alle attribuzioni, occorre identificare con cura gli atti che può
adottare il CSM, introducendo una sorta di principio di tipicità e identificando anche materie
e casi nei quali il Consiglio può adottare diversi da quelli consistenti in deliberazioni aventi
a oggetto la disciplina dello status dei magistrati.
c) In relazione al sistema di organizzazione, se l’obiettivo è quello della funzionalità dell’organo, in vista di un sistema di giustizia efficiente, occorre:
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• attribuire a un’apposita Commissione, composta dalla necessaria presenza del vice-presidente, i compiti di amministrazione e di gestione della struttura, anche in riferimento al
personale;
• identificare una serie di compiti che possono essere svolti dalle commissioni, senza la
necessità della deliberazione del plenum (salvo, eventualmente, la richiesta formulata da un
numero consistenti di consiglieri).
Si tratta di riforme che incideranno anche sulla conformazione dell’organo riconducendole ad
un modello sempre più aderente a quello voluto dalla Costituzione.
d) In relazione alla sezione disciplinare, prevedere una sezione autonoma i cui componenti
non possano partecipare a una serie di delibere, da identificare, sterilizzandone così la posizione e dando sia funzionalità all’organo, sia evitando quella commistione di interessi che è
stata da più parti stigmatizzata.
e) Prevedere la partecipazione della rappresentanza dell’avvocatura anche alle delibere dei
consigli giudiziari in materia di valutazione della professionalità dei magistrati.
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IV.
RIORGANIZZAZIONE E POTENZIAMENTO DELLA MAGISTRATURA
ONORARIA
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L’incapacità dell’organizzazione giudiziaria di offrire una efficace risposta alla
domanda di giustizia, sul piano pratico - prima ancora che per opzioni politiche e
ideologiche - non può essere fronteggiata con aumenti dell’organico della magistratura
professionale.
Occorre, dunque, procedere dalla premessa che in Italia la giustizia civile «ha funzionato
con tempi ragionevoli e sostanzialmente senza arretrato solo nella prima metà del secolo,
quando ai giudici conciliatori era devoluto più del settanta per cento del contenzioso di
primo grado».
La riorganizzazione del sistema della giustizia ordinaria, nel settore civile, deve dunque
necessariamente passare attraverso l’attribuzione di più ampi compiti alla magistratura onoraria, anche in considerazione della circostanza che l’incremento della domanda di giustizia si accompagna a una progressiva differenziazione delle esigenze alle quali deve essere
preordinata la risposta giudiziaria. Si tratta, quindi, di identificare compiutamente un numero congruo e crescente di controversie che possono essere adeguatamente soddisfatte
attraverso procedure semplificate, nelle quali l’apprezzamento delle circostanze di fatto deve
essere preminente rispetto ai problemi tecnico-giuridici e il giudice deve svolgere un ruolo
di mediazione e conciliazione piuttosto che quello di inflessibile applicatore della norma.
L’ampliamento dei compiti della magistratura onoraria presenta i seguenti vantaggi:
a) evita il proliferare di strutture, organismi e quanto altro necessario al funzionamento
degli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie;
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2.
1
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b) pone un argine all’incentivazione di un modello di società nel quale tutti i servizi si
comprano e soggiacciono alle logiche del mercato e, quindi, i ceti deboli sono destinati a
essere inevitabilmente penalizzati, soprattutto una volta che è risultata chiara l’erroneità
dell’opzione che fa cieco affidamento sulle virtù salvifiche del mercato;
c) preservare il ruolo della giurisdizione quale funzione in grado di assicurare un minimo di
unità in una società soggetta a fortissime spinte centrifughe, frenando la deriva corporativistica che è a esse sottesa;
d) garantisce al cittadino un servizio essenziale che, affinché venga salvaguardato il nucleo
fondamentale della concezione dello Stato, egli non deve essere costretto a comprare rivolgendosi al privato, diversamente da quanto può accadere per altri servizi, benché pure essi
siano essenziali (scuola, sanità, ecc.);
e) permette che la magistratura professionale possa concentrare i suoi sforzi nell’espletamento di quei compiti che non possono essere attribuiti ad altri, pena l’abdicazione dell’idea
stessa di Stato, evitando al tempo stesso l’incentivazione degli arbitrati per quelle controversie di maggiore importanza (ad es., nel diritto commerciale), che è indispensabile mantenere
al giudice togato, in considerazione dei riflessi, sia pure indiretti, che hanno su interessi
generali, ponendo altresì i presupposti per frenare la proliferazione di autorità di garanzie
o, comunque, per ridurre i crescenti rischi derivanti dall’attribuzione a queste ultime
di compiti para-giurisdizionali, che minano i fondamenti dello stato di diritto. La
lezione di questi ultimi giorni è sin troppo chiara e rende inutile esplicitare l’ineluttabilità di una siffatta opzione;
f) permette di eliminare le figure dei giudici onorari (diverse da quelle che
partecipano alle sezioni quali esperti) dagli uffici giudiziari coperti dal giudice
togato;
g) consente di realizzare riforme altrimenti destinate a restare irrealizzate e irrealizzabili sia per ragioni economiche, in un sistema che non ha certo risorse illimitate (quali
l’istituzione dell’ufficio del giudice, il miglioramento delle strutture, la messa a disposizione
di ogni singolo giudice di strumenti adeguati), sia per ragioni di complessità poste dal numero eccessivamente elevato dei giudici (quali quelle preordinate a un effettivo e significativo controllo della professionalità);
h) elimina in parte alcuni degli ostacoli che si frappongono alla realizzazione della revisione
delle circoscrizioni giudiziarie, indispensabile per pervenire all’ulteriore importante obiettivo
di assicurare la specializzazione del giudice.
La scelta, sul piano costituzionale, rinviene una solida base nell’art. 106, secondo comma,
Cost., il quale stabilendo che «la legge sull’ordinamento giudiziario può ammettere la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli»,
esprime una chiara e precisa opzione della Costituzione in favore del ricorso alla figura del
giudice onorario, che va rettamente intesa e adeguatamente realizzata.
La sua praticabilità è chiara in considerazione dell’introduzione della figura del giudice di
pace e del progressivo affinamento della disciplina ordinamentale che – nonostante sia da
completare, rettificare e integrare – ha delineato con sufficiente precisione lo status del giudice onorario, connotandolo delle necessarie garanzie di indipendenza e imparzialità, permettendo inoltre, grazie anche agli sforzi del CSM, di assicurane una professionalità adeguata
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rispetto alle controversie a esso riservate. D’altronde, la stessa pressoché totale attribuzione
di un intero settore della giurisdizione (quella tributaria) a magistrati onorari è di per sé
sufficiente a confortare la percorribilità di questa strada.
Per tali considerazioni, e per i rilievi sopra sintetizzati, non sembrano proponibili obiezioni
di opportunità. In ogni caso, sul piano del consenso, un’adeguata opera di informazione può
far coagulare su di essa l’adesione del ceto forense – che della magistratura onoraria costituisce l’asse portante –, di ampie fasce dei cittadini, qualora essi comprendano che si tratta
di strumento alternativo a costosi arbitrati, delle forze politiche – grazie anche al ruolo che
esse verranno chiamate a svolgere per le innovazioni più avanti proposte –, della magistratura togata, che non può non percepirne la strumentalità rispetto all’incentivazione della
sua qualificazione professionale, evitando che vengano sottratte al controllo giurisdizionale
le controversie più significative.
La sua realizzazione determinerebbe inoltre la possibilità di eliminare le figure di giudici
onorari presso gli uffici del giudice professionale (diverse, ovviamente, da quelle riconducibili all’art. 102, secondo comma, Cost.), che hanno giustamente sollevato reiterate proteste
da parte del ceto forense e non contribuiscono all’immagine dell’imparzialità.
I meccanismi di selezione e di conferimento delle funzioni già vigenti permettono di fare
fronte con la necessaria tempestività all’esigenza di incremento del numero dei giudici
di pace che indubbiamente si porrà una volta che siano aumentate le loro competenze, da realizzare almeno in mille unità. Tale misura eviterà un elefantiaco
incremento dell’organico della magistratura togata - alla cui copertura, per
note ragioni, comunque non potrebbe farsi fronte in tempi brevi -, con minori
costi e con i vantaggi derivanti da una maggiore flessibilità dello strumento.
In futuro, l’eventuale superamento dell’attuale stato di emergenza, permetterebbe
infatti quella riduzione del numero dei giudici onorari, difficilmente ipotizzabile in
riferimento a giudici togati.
La necessità di tenere conto del venire meno dell’omogeneità della funzione giudiziaria richiede però che, anche sul piano ordinamentale, siano offerte risposte specifiche e calibrate
in riferimento alle differenti esigenze da soddisfare.
La magistratura onoraria non deve essere appiattita su quella professionale; non va considerata un minus rispetto a quest’ultima, occorrendo invece valorizzarne la specificità per
modellare una peculiare figura del giudice onorario, delle procedure che egli è chiamato ad
applicare, della tipologia delle decisioni che è chiamato a rendere, che occorre siano improntate dal criterio della semplificazione e da una particolare attenzione alle differenti esigenze
presenti nelle diverse parti del territorio nazionale.
Il riferimento della Costituzione alla possibilità che i giudici onorari siano elettivi, nonostante la scelta di non realizzare in tale parte la previsione costituzionale, può essere recuperato
attraverso una soluzione di mediazione, che renda il giudice onorario più vicino ai cittadini.
Sarebbe allora opportuno pensare che il Consiglio giudiziario chiamato a espletare i compiti
di amministrazione in riferimento ai giudici onorari, che già oggi presenta una composizione
allargata, sia ulteriormente ampliato – eventualmente riducendo la componente togata per
evitare la pletorica composizione dell’organo –, allo scopo di fare posto anche a componenti
eletti dai Consigli regionali, designati, a maggioranza qualificata, all’interno di particolari
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categorie tra soggetti in possesso di determinati requisiti professionali e morali, tra i quali
quelli previsti per la nomina a giudice di pace, strumentali rispetto alla garanzia dell’indipendenza dai partiti.
V.
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA
2.
1
ai
In conclusione, occorre:
a) eliminare dagli uffici del giudice professionale le figure di giudici onorari sopra indicate, prevedendo che i giudici onorari di tribunale in carica possano essere nominati giudici di pace;
b) ridisegnare la competenza dei giudici di pace nella materia civile;
c) modificare i requisiti di nomina del giudice di pace, conformandoli rispetto alle esigenze
poste dalla sua definizione quale, essenzialmente, giudice di equità;
d) “staccare” più nettamente la figura dei giudici di pace rispetto alla magistratura professionale, provvedendo alla definizione della sua figura in termini di autonomia e specificità
rispetto a quella del giudice professionale e verificando anche la possibilità di designare un
componente al CSM, che faccia parte della Commissione dedicata alla magistratura onoraria;
e) aumentare il numero dei giudici di pace;
f) verificare la possibilità di dare attuazione all’art. 116, terzo comma, Cost. nella parte
in cui prevede l’attribuzione di competenze alle regioni in materia di organizzazione
della giustizia di pace;
g) ridefinire la composizione del Consiglio giudiziario chiamato a occuparsi dei
giudici di pace, integrandolo con componenti designati dai Consigli regionali.
Accelerazione del processo
Dopo la l. 205/2000 che ha accelerato il processo amministrativo su materie di grande rilievo per l’economia (autorità indipendenti; appalti lavori pubblici) e di grande impatto per
le istituzioni (atti del Consiglio Superiore della Magistratura), non si sono registrati altri
interventi in tale ambito di giurisdizione tanto che, allo stato, vi sono alcune materie che
vengono risolte in un tempo medio pari a circa un anno tra I e II grado e che pervengono,
quindi, alla definizione del processo in tempi assolutamente ragionevoli e ve ne sono altre,
quelle al di fuori del circuito virtuoso introdotto dalla l. 205/2000, che vengono risolte dopo
molti anni di attesa.
Rispetto alle prime occorrerebbe completare l’opera, attribuendo ad esempio per intero alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la materia degli appalti pubblici, che
vede oggi la fase dell’esecuzione affidata, per pretese ragioni di celerità, a costosi giudizi
arbitrali.
Rispetto alle seconde si imporrebbe un intervento riorganizzatore teso all’accelerazione del
contenzioso e allo smaltimento dell’arretrato pregresso.
Ciò assicurerebbe la realizzazione dei principi costituzionali e comunitari di completezza,
effettività e celerità della tutela giurisdizionale di ogni singolo e delle formazioni sociali in
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cui si svolge la sua personalità, che impongono un’equa riparazione in caso di violazione del
termine ragionevole del processo con notevole aggravio per il pubblico erario. Permetterebbe, inoltre, di evitare i rigori della legge 24 marzo 2001, n. 89 (cosiddetta legge Pinto), che
dei primi, in particolare del nuovo articolo 111 della Costituzione, costituisce il portato.
A partire da queste considerazioni proponiamo:
• La netta separazione tra attività consultiva e attività giurisdizionale del Consiglio di
Stato.
• Una severa disciplina degli incarichi extra-giudiziari, introducendo un regime di loro massima pubblicità sul modello oggi disciplinato per i magistrati ordinari, prevedendo altresì per
i magistrati amministrativi e contabili il divieto di assumere incarichi arbitrali.
• La regolamentazione degli incarichi di gestione presso enti pubblici o presso enti di natura
privata, escludendo quantomeno la doppia retribuzione.
• La predisposizione di soluzioni organizzative per il decentramento dell’appello sul territorio.
• Una tendenziale generalizzazione della tutela accelerata, estendendo quelle forme semplificate che hanno condotto alla riduzione dei tempi del processo.
• L’introduzione di disposizioni volte a evitare che l’erronea identificazione del giudice
dotato di giurisdizione si risolva in un pregiudizio per il cittadino.
• Interventi congiunturali per abbattere in maniera significativa il contenzioso
arretrato, prevedendo, per quanto possibile e ove necessario, sezioni stralcio.
• Incremento, tenendo conto delle risorse di bilancio, del personale togato e
di quello amministrativo.
• Informatizzazione dei servizi e processo amministrativo telematico.
• Predisposizione, nel rispetto delle garanzie di indipendenza, di un sistema di valutazione della professionalità e del rendimento dei singoli magistrati.
VI.
UFFICIO DEL PROCESSO, MANAGER, INFORMATIZZAZIONE, CIRCOSCRIZIONI
ai
Delega al Governo per l’efficienza della giustizia. AS 739 Maritati; AC 1234 Tenaglia
Il disegno di legge (già in discussione presso la Commissione giustizia del Senato) introduce
significative modifiche della struttura e della disciplina del processo, la completa informatizzazione dei procedimenti civili e (per quanto possibile) penali e di prevenzione, dispone
l’incremento del personale amministrativo chiamato a supportare l’azione della magistratura
e la revisione delle circoscrizioni giudiziarie.
In particolare, si indicano alcune riforme strutturali prioritarie per raggiungere l’obiettivo
di un efficiente sistema giudiziario, idoneo a garantire la ragionevole durata del processo,
attraverso:
• l’istituzione dell’”ufficio per il processo”, che garantisca lo svolgimento di tutte le attività correlate all’esercizio della giurisdizione, eseguendo i compiti e le funzioni necessari per
prestare assistenza all’attività dei magistrati, che saranno così sollevati dallo svolgimento
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2.
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ai
di attività ripetitive, accelerando, attraverso una diversa organizzazione del lavoro e con
l’ausilio del personale dell’amministrazione, i tempi per la conclusione dei procedimenti,
potendo indirizzare quelli seriali verso una definizione semplificata e dedicando maggiori
energie agli altri;
• il rinnovo delle dotazioni organiche del personale e l’assunzione di 2800 nuovi cancellieri che possano validamente supportare l’attività giudiziaria, consentendo un rapido ed
efficiente svolgimento del lavoro e l’eliminazione del contenzioso pendente;
• l’istituzione effettiva del manager dell’ufficio giudiziario: al dirigente giudiziario saranno attribuite la titolarità e la rappresentanza dell’ufficio, nei rapporti con enti istituzionali e con i rappresentanti degli altri uffici giudiziari, nonché la competenza ad adottare i provvedimenti necessari per l’organizzazione dell’attività giudiziaria e, comunque,
concernenti la gestione del personale di magistratura e il suo stato giuridico. Il dirigente
amministrativo sarà a sua volta responsabile della gestione del personale amministrativo,
delle risorse strumentali e finanziarie e di tutte le incombenze in punto di gestione delle
strutture;
• il riordino degli ambiti territoriali degli uffici giudiziari, mediante accorpamento di uffici e di sezioni distaccate, organico unico di più uffici limitrofi, ridefinizione dei confini
territoriali degli uffici, al fine di ottenere una ricaduta positiva in termini di efficienza
del sistema, di benefici organizzativi - derivanti dal poter contare su strutture di
maggiori dimensioni o su meccanismi organizzativi maggiormente flessibili – di
un’equa distribuzione dei carichi di lavoro e della possibilità di conseguire
una maggiore specializzazione dei magistrati;
• l’introduzione del processo telematico e l’informatizzazione del procedimento penale, quali presupposti per l’istituzione di un sistema integrato giudiziario
informatizzato, nonchè la semplificazione del regime delle notificazioni che va affrancato da formalismi eccessivi del tutto sganciati da finalità di garanzia (es. abolizione
della «doppia notificazione» in presenza di due difensori). Si realizzeranno così l’istituzione del ruolo informatico del pubblico ministero e del giudice (finalizzato alla gestione
elettronica e al monitoraggio del ruolo dei procedimenti, nonché alla loro assegnazione
gabellare); del fascicolo dibattimentale informatico, nonché dell’archivio digitale delle sentenze, dei verbali e delle registrazioni multimediali delle udienze dibattimentali; del sistema informativo della cognizione penale, finalizzato alla gestione informatizzata dei registri
penali di primo e secondo grado; del sistema informativo delle misure cautelari personali e
reali;
• la semplificazione e l’informatizzazione delle procedure di pagamento dei contributi
giudiziari: sarà l’ufficio giudiziario, con il controllo dell’Agenzia delle Entrate, a individuare, al momento della pubblicazione del provvedimento, gli elementi per la determinazione
dell’imposta, ottimizzando l’attività di cooperazione informatica tra l’amministrazione giudiziaria e l’Agenzia delle Entrate;
• l’accelerazione del processo di acquisizione delle somme oggetto di provvedimenti
ablativi, così da consentire un (sia pur parziale) autofinanziamento del sistema giudiziario.
• individuazione di un sistema statistico di monitoraggio e valutazione della produttività
ed efficienza degli uffici giudiziari.
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VII.
IL PROCESSO CIVILE
Le proposte e il parere del PD sui punti più controversi del d.d.l. sono i
seguenti:
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Il d.d.l. Casson AS 1016 (assegnato alla Commissione giustizia del Senato) propone una
riforma del processo civile organica e completa (rispetto alla proposta del Governo, collegata alla legge finanziaria), al fine di ridurne i tempi e migliorarne l’efficienza, secondo le
seguenti direttive:
a) previsione di norme che affidano al giudice l’effettiva direzione del processo, contestualmente alla sua responsabilizzazione in funzione del rispetto del termine ragionevole di
durata del giudizio;
b) valorizzazione del principio di lealtà processuale, attraverso la predisposizione di un
meccanismo di sanzioni processuali a carico della parte che, con il proprio comportamento,
abbia determinato un allungamento dei tempi di durata del processo, ovvero abbia agito o
resistito in giudizio con mala fede o colpa grave;
c) valorizzazione della conciliazione giudiziale e del ruolo conciliativo del giudice, accompagnati dalla previsione di sanzioni processuali a carico della parte che abbia, senza
giustificato motivo, rifiutato la proposta conciliativa avanzata dalla controparte. Diversamente dal d.d.l. governativo AS 1082, non si delega al Governo la normazione di
questa materia, ma si introduce invece una disciplina autoapplicativa.
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a) vaglio preventivo di ammissibilità dei ricorsi per cassazione: pur essendo
condivisibile l’esigenza di deflazionare il contenzioso della Corte al fine di valorizzarne
la funzione nomofilattica (richiamata anche dalla Consulta con sentenza 11 aprile 2008,
n. 170), e nonostante il parziale miglioramento del testo in ragione dell’approvazione alla
Camera, nella seduta del 1° ottobre 2008, dell’emendamento PD (Ferranti e altri) sul ricorso
per carenza di motivazione nei casi di “doppia conforme”, la norma (art. 29, comma 1) presta il fianco a diverse critiche. In particolare, suscita perplessità l’esclusiva valorizzazione
del precedente giurisprudenziale di legittimità ai fini del giudizio di ammissibilità del ricorso, mentre le restanti ipotesi che regolano i casi di ammissibilità sono prive dei necessari
requisiti di tassatività e determinatezza, come del resto sarebbe opportuno attribuire alle
sezioni ordinarie (sia pur in composizione ridotta) la competenza in ordine al vaglio di
ammissibilità dei ricorsi. Senza poi contare l’assoluta novità della previsione in positivo dei
casi di ammissibilità (che riflette la regola generale dell’inammissibilità in ogni altro caso)
anziché di quelli di inammissibilità (profilo sollevato anche dal CSM).
In sintesi, nella sua formulazione la disposizione in esame nega alla giurisprudenza la sua
funzione essenziale di innovazione e di adattamento della norma alla trasformazione della
realtà sociale.
Inoltre appare eccessivo l’ambito di discrezionalità lasciato al collegio preposto al vaglio
dell’ammissibilità, prevedendo che possano ammettere il ricorso sia nel caso che vogliano
modificare sia in quello che vogliano confermare il proprio precedente indirizzo.
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Va segnalato tra l’altro che la decisione nella forma dell’ordinanza non può essere impugnata. La norma della proposta del Governo non definisce invero i rapporti tra il filtro e il
procedimento camerale di cui all’articolo 375 del codice di procedura civile modificato di
recente, non chiarendo il rapporto tra nuova “inammissibilità” e già prevista manifesta infondatezza. Dalla formulazione della disposizione sembrerebbe peraltro essere prefigurato un
carattere vincolante dei precedenti della Corte di Cassazione rimesso alla valutazione della
stessa, con possibili riflessi sul principio di cui al VII comma dell’articolo 111 della Costituzione che prevede il diritto al ricorso contro ogni sentenza in caso di violazione di legge;
b) la proposta del PD sul punto (espressa dalla pdl n. 1748 a prima firma Tenaglia-Ferranti) è quella di semplificare la decisione camerale prevedendo, in relazione alle ipotesi di
manifesta fondatezza o infondatezza ovvero inammissibilità, un contraddittorio prevalentemente cartolare, sulla falsariga di quanto previsto per i ricorsi dinanzi alla Consulta. Inoltre,
sulla scorta di quanto previsto in quasi tutti i Paesi europei e in particolare in Francia, si
propone di codificare specifiche ipotesi di manifesta infondatezza ed inammissibilità del
ricorso, prevedendo in particolare che il ricorso sia manifestamente infondato, tra l’altro,
quando il provvedimento impugnato abbia deciso le questioni di diritto in modo conforme
a precedenti pronunzie della Corte ed il ricorrente non abbia prospettato argomentate
ragioni per la loro revisione e sancendo che il ricorso sia manifestamente fondato, tra
l’altro, quando il provvedimento impugnato abbia deciso le questioni di diritto in
modo difforme da precedenti pronunzie della Corte, senza prospettare ragioni
nuove e sufficienti per una loro revisione, ovvero abbia violato i princìpi regolatori del giusto processo. Si propone anche di sostituire il presupposto del
motivo di ricorso per vizio di motivazione, limitandolo all’omessa motivazione
“circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, confermando altresì l’esclusione del ricorso per vizio di motivazione nel caso di doppia conforme;
c) il PD ha presentato in materia la p.d.l. 1535 (Tenaglia e altri). Nel merito, ferma la
preferenza per una valorizzazione nel (e non solo fuori dal) processo del paradigma conciliativo, si osserva come un organo di tutela generalista, che potrebbe anche diventare snodo
strategico per la class action, non può che essere collocato all’interno del tribunale; un luogo
riconoscibile dal cittadino come deputato alla giustizia. Non è sufficiente riformare l’istituto
se contemporaneamente non si diffonde la cultura della conciliazione, se il servizio non si fa
carico anche di orientare le diverse domande di giustizia se non rende la conciliazione più
visibile e accessibile.
È necessario inoltre prevedere che ci si avvalga del personale appartenente al Consiglio dell’Ordine, perché solo con un attivo coinvolgimento dell’avvocatura che operi in stretta collaborazione con la magistratura, l’organismo della conciliazione, oltre a operare come filtro delle domande di giustizia, potrebbe elevare nel suo complesso la qualità della giustizia stessa.
d) razionalizzazione e accelerazione dei tempi del processo, mediante la tendenziale concentrazione delle udienze, la riduzione dei termini per il compimento di singoli atti, la programmazione degli adempimenti processuali (c.d. “calendario del processo”: misura assente
dal d.d.l. Governo AS 1082), la razionalizzazione dei tempi di espletamento delle consulenze
tecniche d’ufficio e di assunzione della prova delegata. Diversamente dal d.d.l. governativo,
si riducono da 45 a 30 i giorni di sospensione feriale delle udienze;
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e) attenuazione della rigidità del sistema delle decadenze e delle preclusioni, a garanzia dell’effettività del contraddittorio, mediante un ampliamento del potere di rimessione in termini;
f) alleggerimento del peso delle questioni di competenza, attraverso una serie di rilevanti
interventi, che comportano: l’unificazione del regime del rilievo dell’incompetenza, con conseguente equiparazione dei casi di competenza “debole” a quelli di competenza “forte”; la
soppressione del regolamento necessario e facoltativo di competenza e delle impugnazioni ordinarie per violazione delle norme sulla competenza e la loro sostituzione con un nuovo e più
agile mezzo d’impugnazione (reclamo). Al fine di accelerare i tempi del giudizio (spesso estesi
dalle deposizioni testimoniali e dai procedimenti a esse preliminari) si introduce, nei casi di
prova delegata, la possibilità di acquisire, su concorde richiesta delle parti, la testimonianza
in forma scritta, per le cause inerenti diritti disponibili e con il necessario coinvolgimento del
cancelliere o di altro pubblico ufficiale nella procedura di acquisizione della testimonianza,
per le cause di valore indeterminato o superiore a 25.000 euro (precisazioni assenti nel d.d.l.
Governo). Viene, peraltro, espressamente prevista la possibilità per il giudice, esaminate le
risposte fornite per iscritto, di chiamare il testimone a deporre davanti a sè;
g) previsione dell’indicazione specifica dei motivi di appello, a pena di inammissibilità,
così da ridurre il contenzioso di secondo grado;
h) introduzione del procedimento sommario di cognizione avente ad oggetto la
condanna al pagamento di somme di denaro ovvero alla consegna o al rilascio di
cose (e non invece ogni procedimento di competenza del tribunale monocratico, come nel d.d.l. governativo) destinato a concludersi con una ordinanza
provvisoriamente esecutiva che costituisce titolo per l’iscrizione dell’ipoteca
giudiziale, suscettibile di conservare efficacia nel caso in cui il giudizio di merito
non venga iniziato oppure si sia estinto (precisazioni assenti nel d.d.l. Governo);
i) semplificazione del regime delle nullità processuali, attraverso la riduzione delle
ipotesi di nullità e il rafforzamento degli strumenti di sanatoria degli atti processuali
nulli.
VIII.
IL PROCESSO PENALE
ai
I - DISEGNI DI LEGGE GIÀ PRESENTATI
Al fine di rendere la giustizia penale più efficiente e senza modificare la Costituzione, è
possibile intervenire su alcuni aspetti del processo che si presentano come disfunzionali e
in particolare: l’istituto della prescrizione (considerandola sotto il profilo dei “tempi” del
procedimento); il sistema delle notificazioni; l’udienza preliminare; il regime dell’assenza e
della contumacia; la disciplina della sospensione del processo; la sfera di applicazione dei
riti speciali in funzione deflattiva del carico giudiziario (attraverso la riduzione delle fasi e
quindi dei tempi del processo e la limitazione dei procedimenti suscettibili di giungere al
dibattimento); l’istituzione di squadre investigative sopranazionali da impegnare in indagini
su crimini transnazionali; le intercettazioni telefoniche e ambientali; la creazione di un database del DNA, al fine di garantire la certezza e la rapidità dell’identificazione degli autori di
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gravi reati, anche in sinergia con il registro delle misure cautelari; il regime delle impugnazioni anche al fine di valorizzare la funzione nomofilattica della Cassazione, mediante una
riduzione dei casi di ammissibilità e proponibilità del ricorso alla Suprema Corte e infine la
revisione del giudizio dichiarato dalla Corte europea dei diritti umani iniquo per violazione
di taluno dei principi dell’equo processo. Su tutti questi aspetti intervengono i d.d.l. del PD
e in particolare:
• Modifica del sistema delle notificazioni, del giudizio direttissimo e del sistema delle
impugnazioni per adeguarli al rito accusatorio (AS 738, D’Ambrosio; già in discussione
presso la Commissione giustizia del Senato): Il disegno di legge introduce un complesso di disposizioni volte a semplificare le procedure di notifica, eliminandone le inutili
ferraginosità e scandendone i tempi in modo da accelerarne l’iter; riformare alcuni istituti
processuali e istituire una procedura specifica, agile e celere, per gli indagati arrestati o
fermati, così da consentire l’effettiva formazione della prova in dibattimento, quanto meno
in tutti i casi in cui ciò è reso possibile dall’evidenza della prova o dal fatto che un giudice
terzo si è già pronunciato sulla validità e consistenza delle fonti di prova già acquisite, attraverso l’emissione di misure cautelari custodiali; semplificare il sistema delle impugnazioni, riservando tra l’altro al giudice d’appello la decisione sulla mancanza o illogicità
della motivazione, nonché il potere di eliminare i vizi lamentati colmando le lacune
ed eliminando le contraddittorietà della motivazione, quando possibile;
• Proposte in tema di prescrizione (Casson AS 1034, Ferranti AC 1235): nell’ambito della riforma della parte generale del codice penale mediante delega
al Governo, prevista da questo d.d.l., si introduce una nuova disciplina della
prescrizione, con: una distinta regolamentazione di due regimi prescrizionali
(l’uno precedente, l’altro successivo all’esercizio dell’azione penale), il primo dei
quali ha termini di durata parametrati in funzione della gravità del reato, valutato
sulla base della pena edittale ma anche della natura (per i delitti di criminalità organizzata i tempi di prescrizione sono maggiori). Successivamente all’esercizio dell’azione penale,
la prescrizione deve essere delineata sulla base dei tempi di accertamento richiesti dalla
tipologia del processo, prevedendosi altresì cause di sospensione della prescrizione c.d.
processuale, tra cui lo svolgimento di perizie di particolare complessità, rogatorie internazionali, impedimento dell’imputato o del difensore, dichiarazione di ricusazione ecc. In tal
modo quindi, attraverso una sinergia tra disciplina sostanziale e regime processuale della
prescrizione, si potrebbe delineare un sistema efficace di accertamento del reato, modulato
su tempi ragionevoli e tale da realizzare un equo bilanciamento tra interesse pubblico all’accertamento dei reati da un lato e esigenza di “oblio” di alcuni illeciti in ragione del tempo
trascorso dalla loro commissione;
• Istituzione di squadre investigative comuni sopranazionali (Maritati AS 804; in discussione presso la Commissione giustizia del Senato): il d.d.l. prevede l’istituzione - imposta dal diritto comunitario - di pool investigativi comuni fra autorità giudiziarie di differenti
stati per consentire una più incisiva ed efficace azione di contrasto rispetto ai c.d. “crossborder crimes”; distinguendo la procedura di costituzione di squadre investigative comuni
quando a richiederla è l’autorità giudiziaria italiana, da quella in cui è quest’ultima a ricevere
la richiesta proveniente dallo stato estero;
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• Banca dati e prelievo DNA – Rutelli-Zanda AS 960: Il d.d.l. (in discussione presso le
Commissioni riunite giustizia e affari esteri del Senato) riguarda il potenziamento della cooperazione di Polizia in ambito comunitario, anche attraverso l’autorizzazione legislativa
all’adesione dell’Italia al Trattato di Prüm e, in relazione a esso, la previsione di scambi
di informazione e altre forme di cooperazione internazionale. L’adeguamento dell’Italia agli
obblighi derivanti da tale trattato – volto a rafforzare la cooperazione transfrontaliera nella
lotta ai fenomeni del terrorismo, della immigrazione clandestina e della criminalità internazionale e transnazionale – necessita in primo luogo dell’introduzione di una banca dati
del DNA la cui consultazione sia possibile solo previo provvedimento motivato dell’autorità
giudiziaria – con l’esclusione quindi di organismi esterni ed enti privati – e nel rispetto delle
norme sulla sicurezza e privacy, prevedendosi anche una nuova disciplina per il compimento
di prelievi di campioni biologici o di accertamenti medici su persone viventi.
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II - PROPOSTE E DISCUSSIONI
• Contumacia, assenza, sospensione del processo: al fine di adeguare il nostro ordinamento ai principi della convenzione europea dei diritti umani - che valorizzano l’esigenza
di partecipazione dell’imputato al processo - è opportuno eliminare l’istituto della
contumacia, sostituendolo nella fase pre-dibattimentale con quello della mera
“assenza”, per tutti i casi in cui, compiuta la regolare notificazione del decreto
di fissazione, l’imputato sia o avrebbe dovuto essere presente. In questi stessi
casi, nella fase dibattimentale (salve regole peculiari per i reati di criminalità
organizzata), si dovrebbe prevedere, al momento della verifica della regolare costituzione delle parti, anche la verifica della conoscenza effettiva e non meramente
formale del procedimento da parte dell’imputato. All’esito di tali verifiche, alla effettiva
conoscenza da parte dell’imputato, dovrebbe senz’altro conseguire la celebrazione del
processo; altrimenti il giudice (sempre che non debba essere pronunciata sentenza di proscioglimento o di non doversi procedere) potrebbe normalmente disporre la “sospensione
del processo” ed esperire periodicamente nuove ricerche dell’imputato. Solo ove venga successivamente raggiunta una ragionevole certezza in ordine alla consapevolezza dell’imputato
il processo potrebbe riprendere il proprio corso secondo le regole ordinarie;
• Linee di riforma del giudizio penale di cassazione per un recupero di efficienza e una
riduzione dei tempi del processo: al fine di ridurre il contenzioso e la durata del giudizio
di cassazione, valorizzandone la funzione nomofilattica, si dovrebbero introdurre le seguenti
modifiche: eliminazione della facoltà dell’imputato di proporre personalmente ricorso per cassazione (oggi tali ricorsi sono spesso dichiarati inammissibili perché contenenti mere deduzioni di fatto e richieste estranee al giudizio di cassazione); in alcuni casi di inammissibilità
(tardività, mancanza di motivi, difetto di titolarità del diritto di impugnazione, carenza
di legittimazione del difensore, oggettiva non impugnabilità del provvedimento, rinuncia,
ricorso contro le sentenze di patteggiamento) la Corte dovrebbe poter provvedere senza formalità, con procedura de plano, con risparmio di tempo a vantaggio della funzionalità degli
uffici; ferma la già disposta eliminazione del patteggiamento in appello, si dovrebbe escludere
la possibilità di ricorrere per cassazione avverso la sentenza di patteggiamento, salvo si tratti
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di: illegittima acquisizione della volontà dell’imputato; mancata corrispondenza fra la richiesta di pena e il contenuto della decisione; illegalità della pena e della misura di sicurezza,
anche se come conseguenza dell’errata qualificazione giuridica del fatto; esclusione del ricorso per cassazione, per violazione di legge, avverso le ordinanze del Tribunale del riesame
sui provvedimenti di sequestro; sostituzione del ricorso per cassazione con l’appello avverso
l’ordinanza di archiviazione; previsione dell’ammissibilità dell’appello avverso la sentenza di
non luogo a procedere emessa all’esito dell’udienza preliminare, limitando la ricorribilità per
cassazione ai soli casi di violazione di legge della relativa decisione della Corte di appello,
salva l’ipotesi in cui la Corte di appello emetta il decreto che dispone il giudizio.
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IX.
IL CODICE PENALE
2.
1
DELEGA AL GOVERNO PER LA RIFORMA DELLA PARTE GENERALE DEL CODICE PENALE – AS 1043
CASSON
Il d.d.l. delega il Governo a procedere alla riforma della parte generale del codice penale,
riprendendo in larga misura il progetto elaborato nella scorsa legislatura dalla Commissione Pisapia. Le direttive di delega sono precedute da alcuni “princìpi di codificazione”, tra cui l’affermazione del principio di stretta legalità, l’esclusione
di qualsiasi forma di responsabilità penale oggettiva e la modulazione degli
istituti di parte generale secondo i principi di colpevolezza, materialità, offensività, residualità dell’intervento penale, secondo il paradigma del diritto penale
minimo, introducendosi ad esempio istituti quali il “correttivo di equità” (volto ad
adeguare la pena da irrogare in concreto alle specifiche peculiarità del fatto) e l’irrilevanza penale del fatto, che consentirebbe tra l’altro di deflazionare il carico giudiziario,
accelerando i tempi del processo. Tra gli elementi qualificanti del d.d.l. si segnalano:
• quanto alla struttura del reato si richiamano in particolare: l’articolazione dell’elemento
soggettivo del reato nelle sole componenti del dolo e della colpa (tipizzata anche nella
forma della colpa “grave”), così da escludere la configurabilità del dolo eventuale. A tal
fine particolarmente rilevante è l’introduzione della figura della colpa grave quale istituto
idoneo a ricomprendere lo spazio compreso tra colpa cosciente e dolo eventuale, in relazione
a ipotesi caratterizzate dalla “particolare rilevanza” dell’inosservanza delle regole cautelari
o della pericolosità della condotta; la tipizzazione delle scusanti quali cause di esclusione
della colpevolezza fondate sul conflitto tra doveri o sull’inesigibilità della condotta conforme. Si segnalano altresì: la previsione delle fonti delle posizioni di garanzia rilevanti ai fini
della causalità omissiva, alla luce di una disciplina del nesso eziologico modulata sui princìpi
della più recente giurisprudenza delle sezioni unite della Cassazione (sent. Franzese, luglio
2002). In materia di imputabilità, si segnala il superamento di ogni ipotesi presuntiva di
imputabilità tesa ad attribuire al soggetto, pur incapace di intendere o volere al momento
del fatto, la responsabilità per esso; la sostituzione dell’attuale doppio binario che prevede
l’applicazione congiunta di pene e misure di sicurezza, con un sistema vicariale in cui al
soggetto non imputabile al momento del fatto sia applicata una misura terapeutica e riabi77
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litativa la cui durata non possa superare il massimo edittale della pena prevista per il fatto
di reato commesso; misura che comunque va interrotta quando non sia più necessaria ai
fini riabilitativi. Quanto al vizio di mente, viene recepito l’indirizzo delle sezioni unite della
Cassazione (sent. Raso del 25.1.2005), teso ad attribuire rilevanza anche ai disturbi della
personalità ove abbiano privato l’agente della possibilità di comprendere il significato del
fatto commesso, così da superare il rigido modello definitorio delle infermità suscettibili di
escludere la capacità di intendere e volere, in favore di un sistema più duttile, capace di
adattarsi alle peculiarità di ciascun disturbo psichico anche se non “a base organica”;
quanto al regime delle pene, si segnala in particolare il superamento dell’attuale distinzione tra pene principali e accessorie, parallelamente alla previsione di un sistema sanzionatorio diversificato, comprensivo anche di pene non detentive di natura interdittiva e
prescrittiva – dotate di particolare efficacia special-preventiva – nonché di pene pecuniarie
irrogate secondo il sistema dei tassi giornalieri, che consente di commisurare l’entità della
sanzione alle condizioni economiche del reo, come peraltro previsto in tutta Europa. Le
pene interdittive consentono un intervento mirato – privo della desocializzazione connessa
alla pena detentiva – sui presupposti specifici di una data condotta; mentre le pene prescrittive favoriscono percorsi comportamentali conformi alle esigenze di salvaguardia
dei beni fondamentali e condotte riparative o conciliative (anche attraverso il lavoro
in favore della comunità, la messa alla prova o procedure di mediazione). Non
essendo sospendibili condizionalmente, tali pene rappresentano uno strumento
fondamentale per evitare il senso di impunità che deriva dalla non effettività
della pena e che è spesso il presupposto della recidiva. Il ricorso più selettivo
alla detenzione dovrebbe poi consentire interventi tesi alla risocializzazione più
credibili e mirati rispetto a oggi, con un attento monitoraggio della fase del reinserimento sociale, e quindi con una significativa diminuzione della recidiva. Si segnala
anche l’estensione agli adulti dell’istituto della messa alla prova, che oltre a consentire di pervenire alla declaratoria di estinzione del reato, avrà effetti deflattivi importanti
sul carico giudiziario, valorizzando per converso la funzione specialpreventiva e rieducativa
della pena. Infine, sul modello dei punitive damages e della disciplina tedesca della c.d. composizione reo-vittima, nell’ottica di assicurare una maggiore tutela alla persona offesa, è
riconosciuta al giudice penale la possibilità di irrogare sanzioni civili come il risarcimento
del danno non patrimoniale (liquidato in via equitativa) e le restituzioni. Si estendono
inoltre le ipotesi di responsabilità da reato degli enti
X.
NORME CONTRO LA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA
a) Contrasto al crimine organizzato e all’infiltrazione mafiosa nell’economia AS 1000Casson
Il d.d.l. tocca un tema trascurato dai provvedimenti governativi - anche quelli sulla sicurezza
ovvero il contrasto ai grandi “poteri criminali” e in particolare all’infiltrazione delle mafie
nell’economia. È in proposito opportuno rilevare come parti significative di tale d.d.l. siano
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2.
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state introdotte quali emendamenti approvati dalle Commissioni riunite 1^ e 2^ del Senato,
al testo del d.d.l. AS 733. Attraverso il d.d.l. AS 1000, si introducono in particolare disposizioni in materia di destinazione sociale dei beni confiscati; prevenzione dell’infiltrazione
mafiosa in appalti pubblici e nel commercio; responsabilità da reato degli enti; misure
di protezione per i collaboratori e i testimoni di giustizia; elusione delle prescrizioni
di cui all’articolo 41-bis dell’ordinamento penitenziario, oltre a talune modifiche alle
disposizioni del codice penale in materia di associazione per delinquere, favorendo
la concentrazione in capo alla DNA anche delle indagini in materia di associazioni finalizzate allo sfruttamento dell’immigrazione clandestina. In particolare in materia di
destinazione dei beni confiscati, si introducono norme volte ad accelerare la procedura
di assegnazione e destinazione, soggetta a precise scansioni temporali dettate da termini
perentori. Nel prevedersi un regime differenziato per le somme di denaro, i beni immobili e
quelli aziendali, si dispone inoltre che i proventi derivanti dall’affitto, dalla vendita o dalla
liquidazione di questi ultimi siano versati all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnati in apposito fondo e destinati a fini sociali. Si introduce poi una norma incriminatrice
delle condotte idonee a consentire ai detenuti sottoposti al regime del 41-bis di comunicare
con l’esterno, eludendo le prescrizioni all’uopo previste, ovvero a stabilire o mantenere
collegamenti con associazioni criminose; disponendosi una circostanza aggravante
per le ipotesi in cui le condotte in esame siano caratterizzate da un particolare
disvalore in quanto poste in esse realizzate da agenti qualificati – come pubblici ufficiali o avvocati – in violazione quindi, oltretutto, dei rispettivi doveri
(tale norma è stata approvata quale emendamento al d.d.l. AS 733). Al fine di
prevenire le infiltrazioni mafiose negli appalti pubblici, si introduce l’obbligo
di denuncia di tentativi di estorsione o condizionamento tra i requisiti di ordine
generale, e si prevedono misure tese a garantire che tutti i pagamenti o le transazioni
finanziarie relative ad affidamenti e sub-affidamenti siano effettuati tramite intermediari
autorizzati, in modo che ne sia garantita la tracciabilità sulla base di idonea documentazione. In caso di inosservanza, si dispone l’esclusione dell’aggiudicatario dalla successiva
ammissione a procedure ristrette della medesima stazione appaltante, potendosi anche richiedere la risoluzione dei contratti di affidamento e di sub-affidamento. Misure affini sono
previste in materia di prevenzione delle infiltrazioni mafiose nel settore del commercio. Si
estendono le norme di cui al d.lgs. 231/2001, in materia di responsabilità da reato degli
enti, ai casi di realizzazione, nell’interesse della persona giuridica, di delitti di criminalità
organizzata, disponendosi nei casi più gravi finanche l’interdizione definitiva dall’esercizio
dell’attività (tale norma è stata approvata quale emendamento al d.d.l. AS 733). Al fine di acquisire elementi utili alle indagini sul crimine organizzato, favorendo anche la disgregazione
dei sodalizi criminali, si introduce una diminuente relativa a delitti di tratta e schiavitù,
applicabile all’imputato che si adoperi per evitare che l’attività delittuosa sia portata
a conseguenze ulteriori aiutando concretamente le autorità inquirenti nella raccolta
di elementi di prova decisivi per la ricostruzione dei fatti (tale norma è stata approvata
quale emendamento al d.d.l. AS 733). Si introduce inoltre, quale misura di protezione ulteriore per i testimoni di giustizia, l’accesso a un programma di assunzione in una pubblica
amministrazione, con qualifica e funzioni corrispondenti al titolo di studio e alle professio79
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nalità possedute. Si modifica infine il sesto comma dell’articolo 416 c.p., prevedendo che
tra i reati-scopo dell’associazione vi siano anche le fattispecie di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, che sono quindi attratte nella competenza investigativa delle
procure distrettuali, così da favorire il coordinamento delle indagini in materia di tratta,
riduzione in schiavitù e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina – reati spesso legati
tra loro – e da evitare la dispersione di informazioni in ordine a condotte sovente connesse
(tale norma è stata approvata quale emendamento al d.d.l. AS 733).
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b) Modifiche all’articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di regime
speciale di detenzione. AS 980 – Lumia; AC 1784 Tenaglia
Il d.d.l. modifica l’istituto del 41-bis in modo coerente alla normativa sulle misure di prevenzione, garantendo inoltre circolarità informativa e specifica competenza degli organi
giudiziari chiamati a operare nella fase di iniziativa sull’applicazione e nel giudizio sulla
legittimità dei provvedimenti, proponendo tra l’altro le seguenti modifiche:
• ampliamento del novero dei soggetti titolari del potere di dare avvio al procedimento
di applicazione del regime penitenziario speciale e previsione dell’obbligo di sentire i
procuratori nazionale e distrettuale antimafia nella fase preliminare all’adozione del
provvedimento;
• prolungamento sino a 4 anni della vigenza dei provvedimenti e precisazione
dei presupposti per la proroga, prevedendosi che i provvedimenti siano prorogabili per periodi successivi pari a due, salvo che non sia ancora vigente
il pericolo di ripresa dei collegamenti in relazione alla perdurante operatività
dell’associazione, che non siano cessate le esigenze di prevenzione ovvero non
risulti, da concreti elementi, che il detenuto abbia interrotto i rapporti con l’organizzazione o che la stessa abbia cessato di esistere senza confluenze in altre compagini
criminali e precisandosi che “il decorso del tempo non può considerarsi elemento da cui
desumere l’interruzione o la cessazione”;
• previsione tassativa delle prescrizioni contenute nei provvedimenti che dovranno essere recepite nei decreti ministeriali, restringendosi a uno il numero dei colloqui mensili
consentito, e prevedendosi la videoregistrazione di tutti i colloqui;
• attribuzione della competenza in ordine al giudizio sul reclamo avverso il provvedimento al tribunale che si occupa delle misure di prevenzione del distretto di corte d’appello
ove ha sede il procuratore competente a formulare la relativa richiesta;
• divieto di modifica parziale dei provvedimenti applicativi del 41-bis, riaffermandosi
così il carattere prevenzionale e anticipatorio della misura che non può essere messo in
discussione avendo riguardo al profilo criminale o alle vicende processuali del singolo detenuto.
È opportuno segnalare che gran parte delle norme contenute in questo d.d.l. sia stata recepita nel testo aula del d.d.l. AS 733, salva l’inversione dell’onere della prova in ordine alla
sussistenza di esigenze preventive ai fini della proroga del provvedimento.
c) Come PD stiamo inoltre valutando l’opportunità di redigere un testo unico delle norme antimafia
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XI.
LE INTERCETTAZIONI TELEFONICHE
2.
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NORME IN MATERIA DI INTERCETTAZIONI TELEFONICHE, AMBIENTALI E TELEMATICHE AS 932
CASSON - AC 1510 TENAGLIA
Il d.d.l. introduce una riforma organica della disciplina delle intercettazioni, tesa a garantire
un equo bilanciamento tra il diritto alla riservatezza, le esigenze investigative, il diritto di
difesa e i diritti di cronaca e all’informazione. In particolare, il fine di garantire il diritto
alla “opacità della vita privata” dei cittadini non è perseguito – come proposto dal Governo
– limitando la possibilità di ricorso alle intercettazioni ai soli reati di criminalità organizzata
e terrorismo (il che vorrebbe dire ostacolare se non impedire tout court l’operato della magistratura e delle forze di Polizia), né introducendo sanzioni penali detentive ulteriori rispetto
a quelle già previste a carico dei giornalisti. L’obiettivo di garantire la riservatezza individuale, contemperandola con la tutela del segreto e delle esigenze investigative, nonché con
il diritto di e all’informazione, è perseguito attraverso le seguenti misure:
• obbligo di espunzione delle intercettazioni non rilevanti ai fini delle indagini sia per il
PM che per il GIP, in vari momenti del procedimento, nonché obbligo di distruzione delle
intercettazioni irrilevanti, all’esito di un’udienza in contraddittorio tra le parti, al fine
di garantire comunque l’esercizio del diritto alla difesa e drastica limitazione dei
soggetti autorizzati a prendere visione dei verbali delle intercettazioni, così
da ridurre il rischio di divulgazione del contenuto;
responsabilizzazione del PM in ordine alla tenuta e alla conservazione dei
verbali delle intercettazioni in un apposito archivio riservato, al fine di impedirne
la divulgazione, con previsione di un apposito illecito disciplinare nel caso di violazione
dei relativi obblighi di tutela;
• previsione di un tendenziale limite (non applicabile tuttavia a procedimenti relativi a
delitti gravi come mafia, terrorismo, i reati contro la PA, il riciclaggio e il reimpiego di beni
di provenienza illecita) alle proroghe delle intercettazioni, fissato in tre mesi (ossia la
metà del termine ordinario di durata delle indagini preliminari), superabile qualora siano
emersi nuovi elementi di indagine.
Si prevede, poi, un tendenziale limite (non applicabile anche qui, relativamente a indagini
per i reati prima citati) a due proroghe per le intercettazioni tra presenti, salvo che siano
emersi nuovi elementi investigativi. Restano in ogni caso ferme le specifiche disposizioni
dettate in relazione ai delitti di criminalità organizzata, terrorismo, di schiavitù e tratta;
• nuova disciplina del trattamento sanzionatorio e processuale delle intercettazioni illecite. Si limita l’esperibilità della perizia sui documenti relativi a intercettazioni e raccolte
di dati illecite, unicamente ove sia dedotta o rilevata l’incompletezza o la contraddittorietà
delle risultanze del verbale di consistenza, disciplinato dall’art. 240-ter, introdotto dall’art.
13 del disegno di legge. Si disciplina l’udienza per la redazione del verbale di consistenza,
in cui il giudice, in contraddittorio tra le parti, accerta la tipologia dei documenti relativi ad
intercettazioni o raccolte di dati illegali (costituenti corpo del reato) e i soggetti destinatari
della illecita captazione. Si previene inoltre ogni forma di divulgazione – in particolare se
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commessa o resa possibile da pubblici ufficiali – dei dati intercettati, delineando così una
tutela penale fondata sull’accesso “qualificato” ad atti del procedimento penale;
• introduzione di sanzioni pecuniarie e interdittive a carico (e conseguente responsabilizzazione) degli editori che lucrano sulla diffusione di intercettazioni meramente lesive
della dignità e della privacy, estendendo a questa ipotesi la disciplina della responsabilità
da reato degli enti;
• possibilità per il cittadino la cui dignità sia violata attraverso la diffusione illecita di
intercettazioni o attraverso l’ascrizione, da parte degli organi di stampa, della responsabilità per un reato, in assenza di una pronuncia di condanna, di richiedere al giudice civile,
anche in via di urgenza, l’adozione di ogni misura idonea a far cessare la violazione,
nonché di una misura risarcitoria in proprio favore;
• introduzione di sanzioni amministrative e interdittive nei confronti dei giornalisti
che pubblichino intercettazioni relative a fatti del tutto privi di rilevanza sociale o interesse pubblico e con modalità lesive della privacy, in violazione del diritto al controllo dei
propri dati personali;
• estensione della disciplina delle intercettazioni telefoniche a quelle relative a corrispondenza postale, tali da non interrompere il corso della spedizione, nonché
alle operazioni di ripresa visiva a contenuto captativo di conversazioni, o non
captativi, rispetto a conversazioni che si svolgano in luoghi di privata dimora,
sulla scorta delle indicazioni desumibili dalla sentenza delle sezioni unite della
Cassazione del 2006, n. 26795. Si precisa inoltre che le riprese visive che si
svolgono in luoghi pubblici possono essere eseguite dalla polizia giudiziaria
di propria iniziativa, ma devono essere convalidate dal pubblico ministero entro
le 48 ore successive
XII.
IMMIGRAZIONE
Parte I
Disegni di legge già presentati
ai
IMMIGRAZIONE E CONTRASTO AL CAPORALATO AS 777, DELLA MONICA; AS 753, DELLA MONICA;
AC 1263, SAMPERI
Con il primo d.d.l. si introducono norme sostanziali e processuali dirette a contrastare il favoreggiamento e lo sfruttamento dell’immigrazione clandestina, al fine di promuovere un’immigrazione regolare, combattendo in primo luogo il racket che, attraverso gli scafisti, lucra
ingenti proventi sullo sfruttamento delle condizioni di vulnerabilità in cui versano i migranti e
prevedendo misure di tutela nei confronti delle vittime. Il d.d.l. modifica l’apparato sanzionatorio e la disciplina sostanziale e processuale prevista in materia dal testo unico sull’immigrazione, con l’obiettivo di rafforzare le misure di prevenzione e contrasto del favoreggiamento
dell’immigrazione illegale, ridefinendo in primo luogo il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina attraverso una specificazione delle condotte che integrano la fattispecie
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2.
Parte II
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e la previsione di ulteriori circostanze aggravanti in ragione del fine (es. lo sfruttamento della
prostituzione cui verrà sottoposta la donna trafficata) perseguito dall’autore. Si introducono
altresì nuove disposizioni processuali mutuate dalla normativa sul crimine organizzato, per
favorire le indagini in una materia così complessa, dotando gli organi inquirenti di nuovi ed
efficaci strumenti investigativi. Le norme previste da questo d.d.l. sono state integralmente
recepite dal testo aula dell’AS 733, in seguito all’approvazione dei relativi emendamenti del
PD. Con il d.d.l. AS 753, si introducono norme di contrasto al caporalato, non essendo a
tal fine adeguate le figure dell’estorsione o della violenza privata, né tantomeno le sanzioni
civilistiche previste in materia di violazione dei diritti dei lavoratori. Si propone quindi, oltre
a norme processuali idonee a cogliere le peculiarità di questo fenomeno, l’introduzione di una
fattispecie ad hoc all’interno della sezione codicistica relativa ai delitti contro la personalità
individuale, che consente l’applicabilità delle particolari norme processuali previste in relazione ai delitti di tratta e schiavitù, particolarmente efficaci soprattutto rispetto a reati, come
questi, di difficile accertamento, e spesso legati al crimine organizzato. Ma soprattutto, con
la prevista estensione della concessione delle misure di protezione di cui all’art. 18 d.lgs.
286/1998, anche ai lavoratori stranieri sfruttati, si introduce uno strumento di tutela di
assoluta importanza ai fini della liberazione del migrante dalla condizione di subalternità,
dipendenza e ricatto dai suoi sfruttatori, in cui spesso versa anche in ragione della
clandestinità della sua posizione.
IL DELITTO DI IMMIGRAZIONE IRREGOLARE (ART. 9 D.D.L. GOVERNO AS 733)
La disciplina dell’immigrazione illegale nei diversi Paesi UE è riconducibile a tre modelli: 1) quello proprio dei paesi iberici e dell’Austria, ove l’ingresso e la permanenza
irregolari costituiscono meri illeciti amministrativi, puniti con sanzione pecuniaria e
con l’espulsione (il respingimento alla frontiera nel caso di ingresso illegale). Costituiscono
invece delitti le condotte che sfruttano la condizione di irregolarità del migrante: la tratta,
il favoreggiamento e lo sfruttamento dell’immigrazione illegale, nonché il caporalato; 2)
quello di Francia, Germania, UK e altri paesi (caratterizzati peraltro nella maggior parte
dei casi dalla discrezionalità dell’azione penale), ove costituisce reato l’ingresso o la permanenza irregolari, se commessi a titolo di dolo. In tali casi comunque la pena detentiva
è nella maggior parte dei casi sostituita dall’espulsione. Sono inoltre previsti programmi di
rimpatrio volontario e assistito (che si avvalgono spesso dei finanziamenti della UE), funzionali a rendere effettive le espulsioni perché basati sulla collaborazione dello straniero, che
beneficia non solo di un sostegno economico al reinserimento lavorativo in patria, ma anche
della riduzione della durata del divieto di reingresso; 3) quello italiano, tuttora vigente,
in cui se l’ingresso e la permanenza irregolari configurano illeciti amministrativi, puniti con
l’espulsione, tuttavia costituiscono reato sia l’inottemperanza all’ordine di espulsione, sia
la violazione del divieto di reingresso, puniti con la reclusione in alcuni casi anche fino a
5 anni. A fronte di questa varietà di discipline, il d.d.l. Governo AS 733 introduce il reato
contravvenzionale di ingresso e soggiorno illegali nel territorio dello Stato, oltre ad alcune
altre norme sulle quali sono già stati segnalati in Senato dal PD rilevanti dubbi di legittimità
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costituzionale e comunitaria, oltre che di inefficacia nel concreto delle modifiche proposte.
Si fa in particolare riferimento agli artt. 46 (ronde); 19 (reato d’immigrazione irregolare);
41(permesso di soggiorno a punti); 39 (estensione del termine massimo di detenzione nei
CIE, ex CPTA, sino a 18 mesi).
Al momento, il d.d.l. è ancora in discussione in Parlamento e se ne dovranno valutare ulteriormente i principali profili.
XIII.
LA RIFORMA DELL’ORDINAMENTO FORENSE
RIFORMA DELL’ORDINAMENTO FORENSE. AS 711, CASSON; AC 1494, CAPANO; AC 1447, CAVALLARO
La riforma proposta (già in discussione presso la Commissione giustizia del Senato) mira ad
attuare pienamente il diritto alla difesa, valorizzando il ruolo dell’avvocatura all’interno del
sistema giudiziario, secondo l’indirizzo sancito dal diritto comunitario e dalla giurisprudenza
di Strasburgo e Lussemburgo. La materia è particolarmente delicata e complessa e sono
in corso contatti e approfondimenti con le varie associazioni di categoria, proprio al
fine di raccogliere indicazioni e suggerimenti appropriati.
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ia
Delle molte proposte innovative avanzate dal disegno di legge, si segnalano
le seguenti:
• attribuzione al CNF della competenza ad approvare il codice deontologico,
coordinandone le disposizioni con quelle contenute nei codici di condotta degli
avvocati di matrice comunitaria;
• disciplina delle società professionali tra avvocati come società di persone, con la
previsione di norme adeguate a tutela del segreto professionale e dei diritti previdenziali
dei soci;
• subordinazione della possibilità per l’avvocato di dichiarare il possesso di una specializzazione al previo conseguimento di un titolo di abilitazione specifico, all’esito di un corso
apposito;
• nuova disciplina del tariffario, con previsione di limiti minimi e massimi anche a garanzia
dell’assistito. In particolare, il limite minimo potrebbe essere indicato nel minimo di tariffa
secondo lo scaglione più basso. Il livello massimo dovrebbe essere determinato nelle tariffe
e la sua funzione è a garanzia che il cliente non sia indotto a corrispondere compensi sproporzionati rispetto all’entità e al pregio dell’opera dell’avvocato. Regole simili sono previste
per le prestazioni stragiudiziali, per le quali, a differenza di quelle giudiziali, non vi è la
stessa giustificazione per l’imposizione di minimi differenziati per scaglione di valore della
controversia. In ogni caso, però, la prestazione dell’avvocato deve ricevere un compenso,
anche se di entità ridotta. Va conservato il principio che l’avvocato non deve essere cessionario di beni oggetto della controversia, affinché egli sia libero nell’assistere il cliente e non
condizionato da un interesse proprio. È previsto che, in alcuni casi, la misura o le modalità
di determinazione del compenso siano concordati per iscritto a pena di nullità;
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2.
1
ai
• semplificazione delle procedure necessarie al rilascio della procura e alla prova della sua
validità, nonché eliminazione dei formalismi eccessivi previsti per la sostituzione processuale, che non siano effettivamente funzionali alla tutela dei diritti dell’assistito e del regolare
svolgimento del processo;
• nuova disciplina dell’accesso all’albo degli avvocati, con la previsione di un elenco speciale per coloro che svolgano attività incompatibili con la professione e debbano quindi
sospenderne temporaneamente l’esercizio;
• subordinazione del rilascio dell’abilitazione al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori al previo superamento di un esame teorico e pratico, con la previsione del necessario
ed effettivo svolgimento del patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori quale requisito
indispensabile per la conservazione dell’iscrizione all’albo speciale;
• previsione dell’aumento del numero dei componenti degli organi consiliari, al fine di
consentire loro di svolgere al meglio le nuove funzioni attribuite (es. il controllo della formazione permanente degli iscritti, che si aggiunge al controllo sul tirocinio e sulle modalità
con cui esso viene svolto);
• valorizzazione del merito e della effettiva preparazione teorico-pratica del tirocinante ai fini dell’accesso alla professione; nuova disciplina dell’esame di abilitazione
con una preselezione per test e una maggiore selettività delle prove. In particolare,
per le prove scritte, si conservano il numero e le caratteristiche delle norme attuali, ma si propone che l’esame delle prove scritte venga fatto separatamente
per ciascuna di esse e solo alla fine vengano individuati i candidati, così da
evitare aggiustamenti del voto per favorire la promozione. Si propone, inoltre, che i punteggi per il superamento della prova debbano essere più elevati,
soprattutto se vi è la insufficienza in una di esse. Si prescrive, infine, la motivazione del voto;
• nuove norme in materia di procedimento disciplinare, con l’attribuzione della competenza relativamente al giudizio disciplinare, a commissioni distrettuali (che in tal senso sostituirebbero i consigli dell’ordine nel controllo disciplinare), le cui decisioni possono essere
impugnate dinanzi al CNF. La pronuncia di tale organo sarà infine appellabile (come avviene
oggi) dinanzi alle sezioni unite della Cassazione.
XIV.
LA PENA, TRA ESIGENZE DI SICUREZZA E REINSERIMENTO SOCIALE
Incidere realmente sulla effettività della pena irrogata significa intervenire con misure sia
di largo che di immediato respiro. Il Partito Democratico è intervenuto e sta precisando le
proprie proposte sia in un senso che nell’altro. Sotto il primo aspetto, si consideri quanto
proposto, da un punto di vista ordinamentale, all’interno del d.d.l. Casson AS 1043 sulla
riforma del codice penale. La tanto invocata (ormai da decenni) depenalizzazione delle fattispecie di minima rilevanza sociale o aventi valore soltanto formale e la razionalizzazione del
sistema delle pene non potranno che incidere, in senso sostanziale, sulla irrinunciabilità a
una pena che sia davvero effettiva, quando irrogata. Le proposte formulate dal PD sul tema,
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ai
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che di seguito si esporranno, nella consapevolezza della complessità dei problemi connessi
al regime penitenziario, perseguono i seguenti principali obiettivi:
• assicurare nel concreto l’effettività della pena e il rispetto delle disposizioni contenute
nelle sentenze di condanna;
• far sì che il carcere rappresenti l’extrema ratio cui ricorrere quando le altre misure – meno
desocializzanti, più responsabilizzanti e meno onerose (in termini umani e di diritti civili, oltre che economici) – non siano disponibili o sufficienti a garantire la sicurezza dei cittadini;
• garantire ai detenuti il rispetto rigoroso dei loro diritti fondamentali (in particolare: alla
salute, al lavoro, allo studio, alla formazione professionale), potenziando i percorsi trattamentali e le misure idonee a consentire il reinserimento sociale e lavorativo del detenuto;
qualificare e razionalizzare organico e funzioni della Polizia penitenziaria;
favorire la cura delle tossicodipendenze (che hanno grandissima incidenza sulla popolazione carceraria) al di fuori degli istituti di pena;
• destinare risorse adeguate alla creazione e ristrutturazione delle strutture necessarie;
rendere effettiva la distinzione dei regimi e dei circuiti penitenziari tra detenuti in attesa
di giudizio e condannati;
• “umanizzare” il trattamento penitenziario e il regime di esecuzione della pena, garantendo che essi ledano nella misura minore possibile i diritti fondamentali dei detenuti e
dei loro familiari, garantendo ad esempio che le detenute madri possano mantenere
relazioni stabili con i figli minori, senza per questo costringere i bambini a vivere la
drammatica esperienza del carcere. Inoltre, le specifiche misure proposte dal PD,
possono fornire una prima urgente risposta alle esigenze collettive di sicurezza e
di certezza della pena, intervenendo in particolare sugli aspetti seguenti:
• in materia di misure alternative il PD sta valutando di proporre l’ esclusione dell’esecuzione penale esterna per condanne per delitti aggravati da motivi abbietti o per
delitto commesso adoperando sevizie o agendo con crudeltà verso le persone; l’esclusione della
concessione di misure alternative per i delitti aggravati dalla produzione di danno patrimoniale
di rilevante gravità( art. 61 n. 7) allorché non sia stata riconosciuta l’attenuante del risarcimento
ovvero della spontanea ed efficace attivazione riparatoria; l’inasprimento delle previsioni volte a
revocare l’affidamento in prova e la carcerazione domiciliare ove il comportamento del soggetto, violativo della legge o delle prescrizioni, sia incompatibile con la prosecuzione delle stesse;
l’estensione del regime di cui all’art. 4bis OP ai delitti contro la personalità individuale o la libertà
sessuale, anche in assenza di un’imputazione per il reato associativo a tali condotte finalizzato.
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GIUSTIZIA
Proposta di legge n. 1234
d’iniziativa dei deputati TENAGLIA, VELTRONI, FERRANTI, BERNARDINI, CAPANO, CAVALLARO,
CIRIELLO, CONCIA, CUPERLO, GIANNI FARINA, MANTINI, MELIS, ROSSOMANDO, SAMPERI,
TIDEI, VACCARO
ONOREVOLI COLLEGHI! – La presente proposta di
legge nasce dall’esigenza di razionalizzare e di accelerare i tempi dei procedimenti civili e penali, al
fine di realizzare pienamente la ragionevole durata
del processo, quale espressione del principio di cui
all’articolo 111 della Costituzione.
Il perseguimento di tale finalità presuppone necessariamente, in primo luogo, l’adozione di un nuovo
metodo di organizzazione del lavoro del personale
dell’Amministrazione giudiziaria, tale da introdurre modelli orientati all’efficienza del servizio e da
valorizzare la professionalità degli operatori, favorendo il ricorso a strumenti che consentano una migliore programmazione e una più razionale gestione
dell’attività degli uffici giudiziari.
Al fine di soddisfare tali esigenze, e sulla scorta
delle proficue esperienze di diversi ordinamenti
stranieri, la presente proposta di legge prevede
l’istituzione dell’ufficio per il processo. Attraverso
la completa ristrutturazione delle cancellerie e delle segreterie giudiziarie, tale strumento consentirà
di fornire un concreto supporto al lavoro dei magistrati, valorizzando le specifiche competenze di
tutto il personale dell’Amministrazione giudiziaria e
favorendo il migliore utilizzo degli strumenti analitici, statistici e informatici disponibili, realizzando
2.
presentata il 4 giugno 2008
1
ai
Delega al Governo per l’istituzione dell’ufficio per il processo, l’organizzazione e le
funzioni del personale dell’Amministrazione giudiziaria, il riordino delle circoscrizioni
degli uffici giudiziari, l’informatizzazione dei procedimenti, la notificazione e l’esecuzione degli atti e la registrazione telematica dei provvedimenti giudiziari, nonché
disposizioni in materia di depositi giudiziari, per promuovere l’efficienza dei servizi
della giustizia
altresì la circolazione delle esperienze e delle pratiche professionali
più virtuose.
Si propone pertanto l’istituzione, in tutti
gli uffici giudiziari di ogni ordine e grado,
dell’ufficio per il processo, cui sono attribuite
funzioni di gestione dei procedimenti assegnati ai
magistrati e di miglioramento dell’efficienza dell’attività giudiziaria. L’ufficio per il processo garantisce
lo svolgimento di tutte le attività correlate all’esercizio della giurisdizione, eseguendo i compiti e le
funzioni necessari per prestare assistenza all’attività dei magistrati, anche attraverso l’utilizzo di
nuove tecnologie, assicurando, in particolare, la
ricerca dottrinale e giurisprudenziale, la cura dei
rapporti con le parti e con il pubblico, l’organizzazione dei flussi dei procedimenti sopravvenuti, la
formazione e la tenuta dell’archivio informatizzato
dei provvedimenti emessi. In tal modo il magistrato
potrà essere sollevato dallo svolgimento di attività
ripetitive, accelerando, attraverso una diversa organizzazione del lavoro e con l’ausilio del personale
dell’amministrazione, i tempi per la conclusione dei
procedimenti, potendo indirizzare quelli seriali verso una definizione semplificata e dedicando maggiori energie agli altri.
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rizzazione delle professionalità esistenti, concertato
con le organizzazioni sindacali rappresentative dei
lavoratori, nel rispetto delle indicazioni in materia
sancite dalla Corte costituzionale.
In particolare, è necessario procedere a una complessiva revisione delle dotazioni organiche alla
luce dei compiti svolti e dell’elevata professionalità
richiesta dalla modernizzazione dell’organizzazione
del lavoro nel settore dell’amministrazione della
giustizia. L’istituzione dell’ufficio per il processo
richiede infatti, per il suo corretto funzionamento, un maggior numero di professionalità elevate.
In questa ottica si prevede, da un lato, l’indizione,
secondo una programmazione triennale, di concorsi pubblici per l’assunzione di personale e, dall’altro lato, contestualmente, il riconoscimento della
specifica qualificazione di una serie di attività e di
competenze attribuite al personale amministrativo tramite un meccanismo selettivo transitorio che
realizzi la connessa progressione funzionale ed economica, da dettagliare, secondo i princìpi generali, in sede di contrattazione collettiva integrativa.
Viene, altresì, data risposta all’esigenza dell’amministrazione di avvalersi, come altre, di un proprio
ruolo tecnico. L’incremento delle dotazioni organiche del personale è necessario anche per attuare
la stabilizzazione del personale non dirigenziale in
servizio a tempo determinato di cui all’articolo 1,
commi 521 e 526, della legge 27 dicembre 2006,
n. 296, e all’articolo 3, comma 90, della legge 24
dicembre 2007, n. 244.
In secondo luogo, la realizzazione delle finalità
di accelerazione e di razionalizzazione dei procedimenti (in particolare civili) richiede necessariamente l’adozione del processo telematico in materia di ingiunzione, di esecuzione immobiliare e di
controversie in materia di previdenza e assistenza
obbligatoria, entro il termine del 30 giugno 2010.
La piena funzionalità della riorganizzazione richiede un forte impulso in direzione dell’utilizzo di forme di comunicazione e di notificazione qualificate
e telematiche, nonché un riordino delle competenze degli ufficiali giudiziari in materia. A tali fini,
il Governo è delegato ad adottare, entro tre mesi
dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più
decreti legislativi nel rispetto dei princìpi e criteri
direttivi dettagliati nell’articolo 6.
Al fine di favorire ulteriormente l’informatizzazione,
si prevede l’aumento dei diritti dovuti per il rilascio
di copie su supporto cartaceo, mentre rimangono
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Nell’ufficio per il processo opera il personale dell’Amministrazione giudiziaria. Tuttavia si prevede,
senza oneri economici per l’amministrazione, la
possibilità per i praticanti avvocati, i tirocinanti
delle scuole di specializzazione nelle professioni legali, i dottorandi e i dottori di ricerca, di svolgere
attività di collaborazione con i magistrati, accedendo agli atti processuali e partecipando alle udienze
con obbligo di segreto e tutela dei dati personali
e della loro riservatezza. Tale innovativa previsione
– già sperimentata in diversi Paesi europei – consente di valorizzare la sinergia tra professionalità
diverse, creando canali di osmosi e di scambio di
informazioni e di esperienze, nella prospettiva di
costruire una cultura della giurisdizione condivisa
tra gli operatori del diritto. Al fine di evitare possibili abusi o conflitti di interessi, sono introdotte
specifiche cause di incompatibilità ed è specificamente previsto un limite temporale per la collaborazione, da parte dei soggetti esterni all’Amministrazione giudiziaria, con il magistrato.
Si precisa, inoltre, che la collaborazione
con il magistrato non potrà, in nessun
caso, consentire l’instaurazione di
un rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione, trattandosi
di attività volta a integrare la formazione scolastica o professionale dei soggetti coinvolti, valida ai fini del tirocinio o
della pratica.
Particolare rilievo è assegnato alla costituzione di
archivi informatizzati per la raccolta dei dati statistici, a livello centrale e locale, consentendo l’accesso gratuito agli archivi digitali dei provvedimenti giurisdizionali da parte di magistrati, avvocati
e personale dell’Amministrazione della giustizia, in
modo da superare le forme di trattazione ancora
prevalentemente cartacea delle attività processuali, da garantire un accesso rapido e diffuso alle informazioni e da decongestionare gli uffici.
Tale importante procedimento di riorganizzazione
deve necessariamente prevedere un corretto riconoscimento delle professionalità del personale dell’Amministrazione giudiziaria, il cui sviluppo di carriera
è rimasto da lungo tempo bloccato, e un adeguato
accesso di personale qualificato dall’esterno. Per il
conseguimento di tali risultati sono previsti un programma di assunzioni, mediante concorso pubblico,
di un cospicuo contingente di personale dell’area
terza, fascia contributiva F1, e un percorso di valo-
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Quaderni PD.indb 88
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grado, della struttura organizzativa denominata «ufficio per il processo»; tale struttura sarà realizzata
attraverso una riorganizzazione delle cancellerie e
delle segreterie giudiziarie. L’ufficio per il processo
svolgerà tutti i compiti e le funzioni necessari per
assicurare l’assistenza all’attività giurisdizionale,
provvedendo altresì all’attività di ricerca dottrinale
e giurisprudenziale, alla tenuta dei rapporti con le
parti e con il pubblico, all’organizzazione dei flussi
dei processi sopravvenuti, alla formazione e alla tenuta dell’archivio informatizzato dei provvedimenti
emessi. È previsto, inoltre, il monitoraggio dell’attività e dei risultati ottenuti, da effettuare anche
avvalendosi del servizio statistico.
La composizione, il funzionamento e le modalità di
coordinamento delle attività dell’ufficio per il processo sono demandate a provvedimenti da adottare
da parte della direzione dell’ufficio giudiziario, al
fine di garantire la necessaria autonomia gestionale e organizzativa di ciascun ufficio giudiziario.
Tali provvedimenti, elaborati dal magistrato
titolare dell’ufficio e dal dirigente amministrativo ad esso preposto, saranno
indicati nelle tabelle previste dagli
articoli 7-bis e 7-ter dell’ordinamento giudiziario, di cui al regio
decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e nel
programma organizzativo elaborato dal
dirigente amministrativo, di cui all’articolo 4
del decreto legislativo 25 luglio 2006, n. 240.
È altresì prevista la possibilità, per i praticanti avvocati, i tirocinanti delle scuole di specializzazione
nelle professioni legali, i dottorandi e i dottori di
ricerca, di svolgere attività di collaborazione con
i magistrati dei tribunali, delle corti di appello e
della Corte di cassazione, in forza di apposite convenzioni, per il periodo massimo di un anno.
Il magistrato titolare dell’ufficio stipulerà le convenzioni con i consigli dell’ordine degli avvocati, con
le scuole di specializzazione nelle professioni legali
e con le università per disciplinare le modalità di
tale attività. I soggetti, esterni all’Amministrazione
giudiziaria, saranno affidati a un magistrato addetto
all’ufficio, con il quale collaboreranno; avranno accesso, sotto la guida del magistrato affidatario, agli
atti relativi ai fascicoli sottoposti alla loro attenzione, e potranno partecipare alle udienze (tranne i
casi in cui sia disposto ex articolo 128 del codice di
procedura civile che si proceda a porte chiuse) con
obbligo di segreto per quanto conosciuto in ragio-
2.
1
ai
fissati nella misura attualmente prevista per le copie cartacee i diritti relativi a quelle rilasciate in
formato elettronico. È altresì conferita una delega
legislativa per disciplinare la registrazione telematica dei provvedimenti giudiziari.
Un ulteriore cardine della riforma proposta è rappresentato dalla semplificazione delle attività di
pagamento di contributi, diritti e spese processuali, che gravano sulle parti e, per esse, sui loro difensori, attraverso la promozione e l’incentivazione
di sistemi di pagamento telematici. A tale fine, è,
tra l’altro, prevista la stipulazione di apposite convenzioni con imprese del settore, a seguito di gara
ad evidenza pubblica, per la fornitura dei servizi
e delle infrastrutture, anche telematiche, necessarie, con esplicita previsione che ciò non dovrà
comportare oneri aggiuntivi a carico del bilancio
dello Stato.
Per colmare un sostanziale vuoto normativo che
determina la giacenza a tempo indeterminato, su
depositi bancari o postali, di somme di cui è stata disposta la restituzione, ma che non sono state
ritirate dagli aventi diritto, si stabilisce che, dopo
un periodo di cinque anni, tali importi siano acquisiti dallo Stato per essere poi destinati al Ministero
della giustizia. Pertanto, è previsto un sistema di
ricerca e di individuazione delle somme giacenti
alla data di entrata in vigore della legge e di gestione futura delle stesse, ai fini dell’acquisizione
al bilancio dello Stato. Una quota pari al 10 per
cento delle somme così recuperate sarà destinata
all’alimentazione del Fondo unico di amministrazione costituito presso il Ministero della giustizia, ai
sensi del contratto collettivo nazionale di lavoro
di comparto, anche per finanziare progetti relativi
al recupero di crediti dell’amministrazione e così
superare una situazione di dispersione delle risorse
economiche. Un’ulteriore quota (2 per cento) sarà
destinata all’alimentazione di un apposito fondo,
costituito con il presente intervento normativo, per
l’incentivazione della permanenza dei magistrati in
sedi disagiate, prevalentemente nelle regioni meridionali d’Italia, con l’obiettivo, da attuare d’intesa
con il Consiglio superiore della magistratura, di favorire il miglioramento del servizio in tali sedi.
Esaminando in maniera più dettagliata il provvedimento, si rileva innanzitutto che esso consta di
quattordici articoli.
L’articolo 1 prevede una delega al Governo per l’istituzione, in ogni ufficio giudiziario di ogni ordine e
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nuova organizzazione, la necessità di inserire nuove risorse di personale laureato.
Nel quadro dei princìpi generali fissati dall’articolo
2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e
dell’interazione con le sfere di competenza attribuite alla contrattazione collettiva, il provvedimento
ridetermina le dotazioni organiche dell’Amministrazione giudiziaria, per consentire di adattarle alle
innovazioni normative e organizzative necessarie
a seguito dell’istituzione dell’ufficio per il processo; la riorganizzazione avviene seguendo il criterio
dell’ottimizzazione delle risorse. È prevista, inoltre,
l’istituzione di un ruolo tecnico, anche con nuove
professionalità. Le eventuali posizioni in soprannumero, derivanti dalla riallocazione delle dotazioni
organiche, saranno riassorbite nel periodo successivo mediante le cessazioni dal servizio e la progressione professionale.
Nell’ottica del cosiddetto «sblocco» delle assunzioni già previsto dalla legge 27 dicembre 2006,
n. 296 (legge finanziaria 2007), il Ministero della
giustizia è autorizzato ad attuare, con risorse anche proprie e reperite nella legge, una politica di
nuove assunzioni dall’esterno, tra il personale dell’area terza, fascia retributiva F1, mediante procedure concorsuali pubbliche, in conformità a quanto
previsto nella programmazione di fabbisogno per il
triennio, sino a 2.800 unità.
Alla luce dei princìpi enunciati dalla Corte costituzionale, con particolare riferimento ai princìpi di
valorizzazione del titolo di studio, di divieto del
cosiddetto «doppio salto» nella progressione di
carriera, di prevalenza della posizione economica
di provenienza, e tenuto conto della situazione di
fatto descritta, nel medesimo contesto si prevede
la possibilità di dar luogo a procedure selettive
specifiche per i passaggi interni del personale di
ruolo da una posizione economica a quella immediatamente superiore (sia tra le aree, sia all’interno
delle stesse), in base al criterio del titolo di studio
e ad altri criteri oggettivi, con modalità da definire in sede di contrattazione collettiva integrativa,
anche in relazione alle procedure già avviate a seguito di precedenti contratti e accordi da rivedere
necessariamente in un bilanciamento globale degli
interessi delle parti, in attesa della nuova disciplina che sarà dettata in materia dalla contrattazione
collettiva del comparto.
L’articolo 3 prevede la delega al Governo in materia
di funzioni del dirigente giudiziario e del dirigente
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ne dell’attività svolta e con obbligo di astensione
dalla deposizione testimoniale. La norma è necessaria per superare le osservazioni contenute nella
delibera del Consiglio superiore della magistratura,
adottata in data 21 novembre 2001, nella quale è
stato specificato che i tirocinanti delle scuole di
specializzazione nelle professioni legali, nello svolgimento delle attività pratiche compiute presso
le sedi giudiziarie, non possono accedere agli atti
processuali e alle udienze che non siano pubblici;
con la norma in esame si vogliono eliminare i limiti
posti dalle disposizioni vigenti, che renderebbero
eccessivamente circoscritta la possibilità di accesso agli atti e alle udienze del processo da parte di
praticanti avvocati, tirocinanti, dottorandi e dottori di ricerca ammessi a collaborare con i magistrati.
È comunque previsto che la collaborazione si svolga
nel rispetto dei princìpi di correttezza e di lealtà
e nel rispetto degli obblighi di riservatezza e di
riserbo. Al fine di evitare confusioni di ruoli, è
previsto che l’ammissione al periodo di collaborazione presso un ufficio giudiziario
sospenda per la sua durata l’eventuale
abilitazione al patrocinio, né gli
ammessi potranno rappresentare,
difendere o assumere incarichi professionali dalle parti dei procedimenti
giudiziari che si siano svolti dinanzi al
magistrato affidatario. È, infine, previsto
che, mentre la collaborazione svolta presso gli
uffici giudiziari è riconosciuta ai fini del completamento della pratica o del tirocinio, la stessa non
potrà, in nessun caso, costituire rapporto di lavoro
con la pubblica amministrazione.
L’articolo 2 indica le modalità per la riorganizzazione funzionale del personale dell’Amministrazione giudiziaria. In un quadro fattuale di mancato
reintegro del personale cessato dal servizio e di
pesante riduzione di quello in servizio per il blocco
delle assunzioni negli anni passati, collegato a un
abnorme contenzioso per le procedure di riqualificazione bloccate giudizialmente, è necessario un
intervento straordinario di riordino, che consideri
la necessità di maggiori professionalità qualificate, l’esigenza di valorizzazione delle professionalità
esistenti e sperimentate, la rimodulazione delle dotazioni organiche rimaste livellate verso il basso in
contrasto con l’evoluzione e con le responsabilità
del servizio della giustizia e incompatibili con la
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re le disposizioni esistenti alle nuove regole che
disciplinano il processo telematico; c) al riassetto
della disciplina vigente sulle attività degli ufficiali
giudiziari in materia di notifica; d) al riordino delle
disposizioni sulle attività degli ufficiali giudiziari
in materia di riscossione del ruolo giudiziario per
il recupero delle spese processuali, delle spese di
mantenimento, delle pene e sanzioni amministrative pecuniarie e delle sanzioni pecuniarie processuali.
I princìpi e criteri direttivi dettati per l’esercizio
della delega in materia di riordino della normativa sulle comunicazioni e sulle notificazioni telematiche prevedono che ciascun avvocato e ciascun
ausiliario del giudice dovranno avere obbligatoriamente un indirizzo di posta elettronica certificata;
che le comunicazioni dovranno essere effettuate
dall’ufficio giudiziario agli avvocati e agli ausiliari
del giudice in forma telematica, forma utilizzabile
anche per le comunicazioni alle parti costituite
personalmente e ai testimoni che abbiano
espressamente dichiarato l’indirizzo elettronico di posta certificata ai sensi
dell’articolo 4 del regolamento di
cui al decreto del Presidente della
Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68;
che sia eletta quale forma primaria di
notificazione quella in forma telematica;
che il Ministro della giustizia possa fissare
per l’utilizzazione in forma obbligatoria delle notifiche telematiche il termine ultimo del 30
giugno 2009 (salva la possibilità di anticipare tale
data nei circondari o nei distretti che abbiano le
necessarie strutture).
Per l’esercizio della delega in materia di semplificazione della normativa sul conferimento della procura alle liti al fine di adeguare le regole esistenti al processo telematico, sono dettati i seguenti
princìpi e criteri direttivi: a) obbligo della procura
alle liti in forma scritta per la rappresentanza della
parte davanti al giudice; b) indicazione degli estremi della procura alle liti nell’atto; c) deposito, al
momento dell’iscrizione a ruolo, di copia della procura, con dichiarazione di conformità del difensore,
e obbligo di depositare l’originale solo su ordine
del giudice.
I princìpi e criteri direttivi di delega quanto al
riordino della normativa sull’attività degli ufficiali giudiziari in materia di notifiche sono orientati
all’accelerazione delle attività di notificazione, an-
2.
1
ai
amministrativo degli uffici giudiziari, specificandone i rispettivi compiti.
L’articolo 4 prevede una serie di interventi diversi e
concorrenti (accorpamento di uffici e di sezioni distaccate, organico unico di più uffici) al fine di ottenere una ricaduta positiva in termini di efficienza
del sistema, di benefici organizzativi derivanti dal
poter contare su strutture di maggiori dimensioni o
su meccanismi organizzativi maggiormente flessibili, di un’equa distribuzione dei carichi di lavoro e
della possibilità di ottenere maggiore specializzazione dei magistrati.
L’articolo 5 dispone che il Ministro della giustizia,
emani, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore
della legge, un regolamento disciplinante la tipologia, le modalità di raccolta e di trasmissione dei
dati all’archivio centralizzato dei dati statistici. Per
agevolare e rendere più ampia la diffusione dei dati
contenuti negli archivi digitali dei provvedimenti,
previsti dall’articolo 15 del regolamento di cui al
decreto del Ministro della giustizia 27 marzo 2000,
n. 264, è previsto che l’accesso sia gratuito per il
personale della magistratura, dell’Amministrazione giudiziaria e anche per gli avvocati. La norma
contiene la quantificazione della relativa spesa e
l’autorizzazione della stessa.
Nell’ottica di modernizzazione dell’attività giudiziaria, conseguibile con la piena attuazione del processo telematico, che consentirà di liberare risorse
oggi destinate alla gestione, prevalentemente cartacea, degli atti del processo, per destinarle ad attività maggiormente qualificate, è previsto inoltre,
che le forme del processo telematico, disciplinate
dal regolamento di cui al decreto del Presidente
della Repubblica 13 febbraio 2001, n. 123, divengano obbligatorie dal 30 giugno 2010. Inoltre, il
Ministro della giustizia, verificato in concreto che
ciascun ufficio giudiziario sia dotato delle attrezzature necessarie per il processo civile telematico,
potrà disporre, previa consultazione del consiglio
dell’ordine degli avvocati interessato, l’anticipazione di tale termine nei singoli tribunali e corti di
appello.
L’articolo 6 conferisce al Governo la delega ad adottare, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore
della legge, decreti legislativi diretti: a) al riordino
della normativa sulle comunicazioni e sulle notificazioni, per adeguarla al processo telematico; b)
al riordino della disciplina concernente le modalità
di conferimento della procura alle liti per adegua-
91
Quaderni PD.indb 91
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L’articolo 9 delega il Governo ad adottare uno o più
decreti legislativi per l’informatizzazione del procedimento penale, con l’osservanza dei princìpi e
criteri direttivi sanciti dal comma 2. In particolare,
tale norma mira alla costituzione di un unico patrimonio informativo integrato, tale da trasformare
i sistemi informatici da strumenti di semplice supporto alle attività svolte nell’ufficio, a strumenti di
gestione dei processi lavorativi e di archiviazione
formale degli atti.
In questa direzione la realizzazione di soluzioni di
gestione documentale e di interoperabilità con altri
sistemi e l’introduzione di sistemi di firma digitale
e di trasmissione elettronica dei documenti sono
elementi essenziali ai fini dell’accelerazione del
procedimento penale, ma anche del più preciso monitoraggio dei suoi atti costitutivi e della sua dinamica (si pensi ad esempio, al controllo costante dei
termini della custodia cautelare, che può impedire
scarcerazioni per decorrenza dei termini dovute a
mera negligenza o a scarso controllo dei tempi del
processo).
In tale prospettiva, i decreti legislativi che il Governo dovrà emanare riguarderanno l’istituzione del
sistema di notizie di reato, finalizzato all’acquisizione automatizzata e alla sistematizzazione delle
notizie di reato; l’attuazione dell’obbligo, per ciascun ufficio del pubblico ministero, di formazione
del fascicolo informatico delle indagini preliminari;
la possibilità per il pubblico ministero di accedere in
via telematica alle banche dati di amministrazioni
pubbliche ed enti pubblici e privati, attraverso una
casella di posta elettronica certificata; l’istituzione
del registro delle intercettazioni, finalizzato alla
gestione informatizzata dei tabulati, dei verbali e
delle registrazioni delle intercettazioni telefoniche,
ambientali e telematiche disposte nei procedimenti
penali, con possibilità di accesso unicamente da
parte del pubblico ministero procedente e degli organi di polizia giudiziaria specificamente delegati
al compimento delle operazioni di intercettazione,
al fine di garantire una più pregnante tutela della
riservatezza dei dati personali trattati, ma anche
una più efficace protezione del segreto istruttorio.
Inoltre, i decreti legislativi in questione riguarderanno l’istituzione del ruolo informatico del pubblico ministero e del giudice, finalizzato alla gestione
elettronica e al monitoraggio del ruolo dei procedimenti, nonché alla loro assegnazione tabellare; il
fascicolo dibattimentale informatico, nonché l’ar-
ai
Gi
us
tiz
ia
che con l’uso di strumenti telematici, all’estensione
della pubblicità dei beni pignorati, autorizzandone
la ripresa fotografica e la pubblicazione su siti internet; all’estensione all’ufficiale giudiziario della
possibilità di svolgere attività di apposizione di sigilli e di esecuzione di inventari.
Per le attività degli ufficiali giudiziari in materia di
riscossione, i princìpi e criteri direttivi di delega
sono orientati all’affiancamento dell’attività degli
ufficiali giudiziari, con specifica professionalità, a
quella dei concessionari.
L’articolo 7 delega il Governo ad adottare norme
dirette al riordino della normativa in materia di registrazione dei provvedimenti giudiziari nel settore
della giustizia civile, prevedendo, quanto ai princìpi e criteri direttivi della delega, che sia l’ufficio giudiziario, con il controllo dell’Agenzia delle
entrate, a individuare, al momento della pubblicazione del provvedimento, gli elementi per la determinazione dell’imposta, e che siano adottati
criteri omogenei tra la tariffa dell’imposta
e la classificazione dei provvedimenti
giudiziari in modo da ottimizzare l’attività di cooperazione informatica
tra l’Amministrazione giudiziaria e
l’Agenzia delle entrate, prevedendo
che comunque tali modifiche non producano diminuzione di gettito.
L’articolo 8 prevede una delega al Governo
in tema di difesa e di notificazione degli atti
del procedimento penale: è previsto il ricorso al
sistema della posta elettronica certificata per neutralizzare gli effetti di tutte quelle disposizioni
che, contenendo una serie di garanzie meramente
formali, prive di utilità sostanziale sotto il profilo dell’effettivo esercizio del diritto di difesa, si
risolvono in realtà in una inutile dilatazione dei
tempi del procedimento penale. Inoltre, sempre
nell’ottica di una maggiore speditezza del procedimento senza, però, incidere se non in modo positivo sulle garanzie relative al diritto di difesa, si
prevede l’abolizione della «doppia notificazione»
laddove l’imputato sia assistito da due difensori,
ritenendo sufficiente la notificazione nei confronti
di uno solo dei difensori, preventivamente indicato dall’imputato, anche nei casi riguardanti le
notificazioni successive.
Sempre in materia di notificazioni successive è abolita la possibilità di rifiutarle, attualmente prevista
per il difensore.
92
Quaderni PD.indb 92
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telematici di pagamento anche mediante l’impiego di moneta elettronica. Ciò consentirà di avere il
completo e tempestivo monitoraggio degli importi
versati, con possibilità di registrare, attraverso apposito sistema informatico, le causali dei singoli
pagamenti, alleggerendo in tal modo anche il lavoro di verifica delle cancellerie. Il Ministero della
giustizia, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, stipulerà apposite convenzioni,
a seguito di procedura di gara ad evidenza pubblica, nel rispetto delle disposizioni comunitarie in
materia, per la fornitura dei servizi e delle infrastrutture necessari. È esplicitamente statuito che
l’introduzione di questi nuovi sistemi di pagamento
non dovrà comportare ulteriori oneri a carico dello
Stato.
L’articolo 12 detta norme sui depositi giudiziari e
sulle somme confiscate. Il comma 1 prevede che
le somme giacenti presso le banche o la società
Poste italiane Spa, di cui sia stata disposta la
restituzione con provvedimento definitivo
(o di archiviazione), non riscosse o reclamate dagli aventi diritto entro cinque
anni, sono acquisite dallo Stato per
essere assegnate ai pertinenti fondi dello stato di previsione del Ministero della giustizia. La disposizione
è analoga a quella già prevista, in ambito di disciplina delle procedure concorsuali,
dalla nuova formulazione dell’articolo 117 della
cosiddetta «legge fallimentare» (regio decreto 16
marzo 1942, n. 267, come sostituito dall’articolo
107 del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5).
Una previsione identica è dettata per le somme depositate presso le banche o la società Poste italiane
Spa nell’ambito di procedure esecutive individuali
che, entro cinque anni dal giorno in cui sia divenuta definitiva l’ordinanza di distribuzione o di approvazione del progetto di distribuzione (oppure, in
caso di opposizione, dal passaggio in giudicato della sentenza che definisca la controversia) non siano
state richieste o reclamate dagli aventi diritto. Il
comma 3 estende l’analoga previsione, contenuta
nel citato articolo 117 della legge fallimentare, all’amministrazione straordinaria delle grandi imprese
in stato di insolvenza, armonizzando la disciplina
con le recenti modifiche della legge fallimentare. È
previsto che le modalità per l’esecuzione delle comunicazioni e dei versamenti siano indicate con un
regolamento emanato dal Ministro della giustizia,
2.
1
ai
chivio digitale delle sentenze, dei verbali e delle registrazioni multimediali delle udienze dibattimentali; il sistema informativo della cognizione penale,
finalizzato alla gestione informatizzata dei registri
penali di primo e secondo grado; il sistema delle
misure cautelari personali e reali, finalizzato alla
gestione, al monitoraggio e all’archiviazione degli
atti applicativi delle suddette misure; il sistema informativo delle esecuzioni, finalizzato alla gestione e al monitoraggio informatizzato dell’attività
del pubblico ministero, del giudice dell’esecuzione
e della magistratura di sorveglianza. Tale sistema
informativo deve essere collegato al sistema della
cognizione penale, al fine di monitorare gli estratti
esecutivi telematici relativi a ciascun processo, al
sistema delle misure cautelari personali, per consentire il controllo, l’annotazione e il computo del
presofferto e delle ipotesi di fungibilità dei periodi di detenzione subiti, nonché alle banche dati
degli uffici per l’esecuzione penale esterna. I decreti legislativi in esame dovranno poi prevedere
l’istituzione del sistema informativo delle misure
di prevenzione, finalizzato al monitoraggio e alla
gestione informatizzata del procedimento di prevenzione, e al coordinamento con la banca dati dei
beni oggetto di misure preventive di natura ablatoria; nonché l’istituzione della banca dati nazionale
dei beni confiscati e dei corpi di reato; del Casellario giudiziale centrale informatizzato; della banca dati nazionale delle misure cautelari personali
e reali; della banca dati nazionale delle sentenze
di merito.
Con l’articolo 10 sono dettate disposizioni relative all’esercizio della delega indicata negli articoli
precedenti: in particolare è previsto che gli schemi
di decreti legislativi siano emanati su proposta del
Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro
dell’economia e delle finanze, previa acquisizione
dei pareri da parte delle competenti Commissioni
parlamentari. È previsto inoltre che, entro un anno
dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti emanati nell’esercizio delle deleghe citate, il
Governo possa adottare decreti legislativi contenenti disposizioni correttive e integrative.
Per perseguire le finalità di ottimizzazione e di modernizzazione del servizio della giustizia consentendo agli utenti di eseguire con forme semplificate il pagamento dei contributi dovuti, è previsto
all’articolo 11, che gli uffici giudiziari utilizzino,
nel processo civile e nel processo penale, sistemi
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Quaderni PD.indb 93
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PROPOSTA DI LEGGE
Gi
us
tiz
ia
di concerto con il Ministro dell’economia e delle
finanze. Gli importi ricavati saranno assegnati per
la quota del 10 per cento al Fondo unico di amministrazione costituito presso il Ministero della
giustizia, anche per finanziare progetti relativi al
recupero delle somme, e per la quota del 4 per cento a un fondo, di nuova costituzione, destinato a
incentivare la permanenza dei magistrati nelle sedi
disagiate e in quelle non richieste.
L’articolo 13 detta disposizioni transitorie in materia di riscossione delle somme, depositate presso
gli uffici bancari o postali, per cui si verifichino le
condizioni indicate nell’articolo 12. Dalla data di
entrata in vigore della legge fino all’adozione del
regolamento ministeriale, che disciplinerà le modalità di riscossione di tali importi per il futuro,
è previsto che gli uffici giudiziari verifichino l’esistenza di depositi per i quali ricorrano le condizioni
indicate nell’articolo 12, richiedendo alla banca
o alla società Poste italiane Spa il versamento delle somme all’entrata del bilancio dello
Stato per la rassegnazione ai pertinenti
fondi dello stato di previsione del Ministero della giustizia.
ART. 1.
(Delega al Governo in materia di istituzione e disciplina dell’ufficio per il processo).
ai
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro tre mesi
dalla data di entrata in vigore della presente legge,
con l’osservanza dei princìpi e criteri direttivi di
cui al comma 2, uno o più decreti legislativi diretti
all’istituzione e alla disciplina di articolazioni organizzative delle cancellerie e delle segreterie giudiziarie denominate «ufficio per il processo».
2. Nell’esercizio della delega di cui al comma l, il
Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) istituzione negli uffici giudiziari di ogni ordine
e grado dell’ufficio per il processo, quale articolazione delle cancellerie e delle segreterie giudiziarie
e fattore d’impulso per una nuova organizzazione
incentrata sul lavoro di squadra, allo scopo di razionalizzare e di rendere efficiente lo svolgimento
dell’attività giudiziaria;
b) attribuzione all’ufficio per il processo dei compiti e delle funzioni necessari per garantire assistenza ai magistrati nell’attività preparatoria e
preliminare rispetto all’attività giurisdizionale,
mediante istituzione di unità operative, assegnate alle sezioni, a singoli magistrati o a gruppi di
lavoro, secondo la previsione contenuta nei provvedimenti di cui alla lettera d), destinate, tra l’altro, ad adiuvare i magistrati nell’organizzazione
dell’attività processuale di udienza e di decisione,
svolgendo attività di ricerca dottrinale e dei precedenti giurisprudenziali, curando la stesura di relazioni preliminari e collaborando nell’espletamento
delle attività strumentali all’esercizio della funzione giurisdizionale;
c) attribuzione all’ufficio per il processo dei compiti strumentali a garantire assistenza nell’esercizio dell’attività giurisdizionale, anche attraverso
l’utilizzo di nuove tecnologie, collaborando alla sua
semplificazione mediante la rilevazione dei flussi
dei processi, la formazione e la tenuta dell’archivio
informatizzato dei provvedimenti emessi, nonché
curando i rapporti con le parti e con il pubblico per
i profili connessi a tali attività;
d) fissazione della composizione, del funzionamento e delle modalità di coordinamento delle attività
dell’ufficio per il processo con provvedimenti assunti dal magistrato titolare dell’ufficio giudiziario, sentiti i presidenti di sezione o i procuratori
aggiunti, e dal dirigente amministrativo, che, nell’ambito delle rispettive competenze, stabiliscono
compiti, obiettivi e articolazioni della struttura,
tenuto conto dei carichi dell’ufficio e delle disposizioni sull’organizzazione degli uffici giudiziari;
e) previsione dell’inserimento dei provvedimenti
assunti ai sensi della lettera d) del presente comma
nelle tabelle previste dagli articoli 7-bis e 7-ter dell’ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30
gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, e
della loro indicazione nel programma delle attività
annuali di cui all’articolo 4 del decreto legislativo
25 luglio 2006, n. 240;
f) attribuzione dei compiti di monitoraggio dell’attività e dei risultati dell’ufficio per il processo e dell’ufficio giudiziario al magistrato capo e al dirigente
amministrativo, secondo le rispettive competenze
ai sensi della lettera d) e del decreto legislativo 25
luglio 2006, n. 240, e successive modificazioni;
g) previsione della possibilità di assegnare all’ufficio per il processo, allo scopo di svolgere le attività
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sono praticanti avvocati e tirocinanti delle scuole di specializzazione nelle professioni legali, che
il periodo di collaborazione è riconosciuto, per il
tempo effettivamente prestato, al fine del completamento della pratica ovvero del tirocinio.
ART. 2.
(Delega al Governo in materia di dotazione organica di programmazione delle assunzioni del personale
dell’Amministrazione giudiziaria).
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro tre mesi
dalla data di entrata in vigore della presente legge,
con l’osservanza dei princìpi e criteri direttivi di
cui al comma 2, uno o più decreti legislativi per
la dotazione organica e la programmazione delle
assunzioni del personale dell’Amministrazione giudiziaria.
ai
indicate nelle lettere b) e c), per un periodo massimo di un anno non rinnovabile, i praticanti avvocati, i tirocinanti delle scuole di specializzazione
nelle professioni legali e i dottorandi di ricerca in
materie giuridiche, che hanno svolto il primo anno
di pratica forense, di tirocinio o di dottorato, nonché i dottori di ricerca in materie giuridiche;
h) previsione dell’assegnazione di cui alla lettera g)
mediante apposite convenzioni stipulate, nell’osservanza di modalità dirette a garantire l’imparzialità
della scelta e a privilegiare il merito degli aspiranti,
per un periodo massimo di due anni, dal presidente
della corte di appello e dal presidente del tribunale,
sentiti i consigli giudiziari e i presidenti di sezione,
con il consiglio dell’ordine degli avvocati, con le
scuole di specializzazione nelle professioni legali o
con le università;
i) disciplina dell’accesso dei soggetti assegnati
all’ufficio per il processo ai sensi della lettera g)
ai fascicoli processuali e alla partecipazione alle
udienze, prevedendo i casi nei quali deve essere
escluso;
l) attribuzione ai magistrati del controllo sull’attività svolta da coloro che sono assegnati all’ufficio
per il processo ai sensi della lettera g) del presente
comma e disciplina delle modalità di autorizzazione
al trattamento dei dati giudiziari previsti dagli articoli 21 e 22 del codice in materia di protezione dei
dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, nonché degli obblighi di riservatezza e di riserbo per quanto attiene ai dati, alle
informazioni e alle conoscenze acquisiti durante il
periodo di collaborazione, nonché dell’obbligo del
segreto per quanto conosciuto in ragione della loro
attività, prevedendo l’obbligo di astensione dalla
deposizione testimoniale per i fatti e per le notizie
appresi nello svolgimento dell’attività;
m) previsione per coloro che sono assegnati all’ufficio per il processo ai sensi della lettera g) che
l’ammissione al periodo di collaborazione presso
l’ufficio giudiziario sospende, per tutta la sua durata, l’eventuale abilitazione al patrocinio, nonché
del divieto, in ogni fase e grado del processo, di
rappresentare o difendere le parti dei procedimenti
svoltisi dinanzi al magistrato affidatario, o comunque in relazione ai quali hanno svolto attività preparatoria, o di assumere da costoro qualsiasi incarico professionale;
n) previsione per coloro che sono assegnati all’ufficio per il processo ai sensi della lettera g) e che
2.
1
2. Nell’esercizio della delega di cui al comma 1,
il Governo si attiene ai seguenti princìpi e
criteri direttivi:
a) prevedere, in coerenza con le disposizioni della presente legge e
al fine di dare compiuta attuazione agli interventi organizzativi
ivi previsti, che le dotazioni organiche del personale dell’Amministrazione
giudiziaria del Ministero della giustizia, già
stabilite con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 27 ottobre 2005, pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale n. 300 del 27 dicembre 2005, e
ulteriormente modificate dagli articoli 5 e 9 del
decreto legislativo 25 luglio 2006, n. 240, sono
rideterminate, fermo restando quanto previsto dall’articolo 1, comma 404, della legge 27 dicembre
2006, n. 296, in merito alla riorganizzazione dell’amministrazione centrale. I profili professionali
dell’istituito ruolo tecnico sono definiti in sede di
contrattazione collettiva. Le successive rideterminazioni sono effettuate ai sensi dell’articolo 6 del
decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni;
b) prevedere che eventuali posizioni soprannumerarie sono temporaneamente autorizzate, in deroga
all’articolo 6, comma 1, del decreto legislativo 30
marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, e
sono riassorbite a seguito delle cessazioni e delle progressioni professionali di cui alla presente
legge;
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Quaderni PD.indb 95
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date, sono svolte ricorrendo a procedure selettive
in base a criteri obiettivi da determinare in sede
di contrattazione collettiva integrativa, anche in
sostituzione delle procedure avviate.
ART. 3.
(Delega al Governo in materia di funzioni del dirigente giudiziario e del dirigente amministrativo degli
uffici giudiziari).
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro tre mesi
dalla data di entrata in vigore della presente legge,
con l’osservanza dei princìpi e criteri direttivi di cui
al comma 2, uno o più decreti legislativi in materia
di funzioni del dirigente giudiziario e del dirigente
amministrativo degli uffici giudiziari.
2. Nell’esercizio della delega di cui al comma 1,
il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri
direttivi:
a) prevedere, a integrazione e specificazione di
quanto stabilito dal decreto legislativo 25 luglio
2006, n. 240, e successive modificazioni, che spettano al dirigente giudiziario dell’ufficio la titolarità
e la rappresentanza dell’ufficio, nei rapporti con
enti istituzionali e con i rappresentanti degli altri
uffici giudiziari, nonché la competenza ad adottare i provvedimenti necessari per l’organizzazione
dell’attività giudiziaria e, comunque, concernenti la gestione del personale di magistratura ed il
suo stato giuridico; che il dirigente amministrativo
preposto all’ufficio giudiziario è responsabile della
gestione del personale amministrativo, delle risorse
strumentali e finanziarie e di tutte le incombenze
relative alla gestione delle strutture e degli obblighi consequenziali, con compiti di razionalizzare e
di organizzare l’utilizzo delle risorse esistenti, di
programmare la necessità di nuove strutture tecniche e logistiche e di provvedere al loro costante
aggiornamento, di pianificare il loro sviluppo in
relazione alle esigenze di esercizio della giurisdizione e alle esigenze sociali di un corretto rapporto
tra il servizio della giustizia e i cittadini, nonché
di redigere annualmente un bilancio sociale con
il quale relazionare ai cittadini sull’attività svolta
dall’ufficio citando dati concreti e segnalando il suo
impatto sulla cittadinanza interessata;
b) prevedere che per l’assolvimento dei compiti previsti dal decreto legislativo 25 luglio 2006, n. 240,
e successive modificazioni, e dalla lettera a) del
ai
Gi
us
tiz
ia
c) autorizzare, al fine di rendere più efficiente l’attività giudiziaria attraverso la piena attuazione dell’ufficio per il processo e la connessa riorganizzazione funzionale del personale dell’amministrazione
giudiziaria, il Ministero della giustizia in conformità a quanto previsto dalla programmazione del
fabbisogno relativa al triennio 2008-2010:
1) all’assunzione nel triennio, mediante procedure
concorsuali pubbliche, di un contingente massimo
di 2.800 unità di personale, dell’area terza, fascia
retributiva F1, da inquadrare nei ruoli del personale
dell’Amministrazione giudiziaria, di cui 2.400 unità
da assumere nel limite di spesa di euro 35.742.080
per l’anno 2008 e di euro 85.780.992 a decorrere
dall’anno 2009 e le restanti unità da assumere negli
anni 2008 e 2009 nei limiti previsti dai commi 523
e 526 dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2006,
n. 296, e dal comma 102 dell’articolo 3 della legge
24 dicembre 2007, n. 244;
2) contestualmente all’avvio delle procedure
concorsuali per l’accesso dall’esterno, al fine
di attuare la ricomposizione dei processi lavorativi per i profili professionali
della medesima tipologia lavorativa
e la conseguente riorganizzazione
della prestazione lavorativa dei dipendenti nell’ambito della medesima
area, in fase di prima attuazione ed in via
prioritaria, ad attivare nel medesimo triennio procedure di progressione professionale tra
le aree del personale di ruolo appartenente all’ex
area B, posizioni economiche B3 e B3S, nell’area
terza, fascia retributiva F1, nel limite di spesa di
euro 22.981.402 a decorrere dall’anno 2008;
3) contestualmente all’avvio delle procedure di stabilizzazione del personale non dirigenziale in servizio a tempo determinato di cui all’articolo 1, commi
521 e 526, della legge 27 dicembre 2006, n. 296,
e all’articolo 3, comma 90, della legge 24 dicembre
2007, n. 244, al fine e nei termini di cui alla lettera b) del presente comma, ad attivare procedure
di progressione professionale del personale di ruolo
appartenente all’ex area A nell’area seconda, fascia
retributiva F1, nel limite di spesa di euro 1.264.990
a decorrere dall’anno 2008, prevedendo che, in via
transitoria, le progressioni professionali nelle posizioni economiche all’interno delle aree secondo
l’ordinamento previgente consentite ai dipendenti
di ruolo, inquadrati nella posizione economica immediatamente inferiore, già programmate o concor-
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Quaderni PD.indb 96
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presente comma, i dirigenti giudiziari e i dirigenti amministrativi degli uffici giudiziari frequentino
appositi corsi di formazione organizzati d’intesa dal
Ministero della giustizia e dalla Scuola superiore
della magistratura.
ART. 4.
(Delega al Governo in materia di riordino degli ambiti territoriali degli uffici giudiziari).
2.
2. Nell’esercizio della delega di cui al comma 1,
il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri
direttivi:
a) riordinare e razionalizzare le circoscrizioni territoriali dei tribunali mediante:
1) l’ampliamento della competenza territoriale e la
riorganizzazione delle circoscrizioni giudiziarie con
trasferimento di porzioni di territorio dai tribunali
di più grandi dimensioni a quelli più piccoli, sul
modello seguito per la costituzione dei tribunali
metropolitani;
2) l’accorpamento delle sedi più piccole, tra loro
o all’ufficio territorialmente contiguo, dei tribunali
non aventi sede presso il capoluogo di provincia,
tenuto conto del bacino di utenza, del carico di
lavoro e della presenza sul territorio di particolari
fenomeni di criminalità organizzata, nonché della distanza chilometrica tra le sedi interessate, da
valutare in base alle infrastrutture esistenti e al
complessivo sistema di trasporto e di mobilità pubblico e privato;
3) l’accorpamento delle sezioni distaccate di tribunale tra loro o alla sede centrale, mediante la
ridefinizione del numero e della distribuzione sul
territorio e lo scorporo di territori, tenuto conto del
carico di lavoro e della distanza chilometrica tra le
sedi interessate, da valutare in base alle infrastrutture esistenti e al complessivo sistema di trasporto
e di mobilità pubblico e privato;
b) tenere conto, ai fini indicati dalla lettera a),
anche dei dati relativi alle sopravvenienze pro capite civili e penali totali e per magistrato in pianta
organica rispetto al dato medio nazionale e del rap-
1
ai
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro tre mesi
dalla data di entrata in vigore della presente legge,
con l’osservanza dei princìpi e criteri direttivi di cui
al comma 2, uno o più decreti legislativi in materia di riordino degli ambiti territoriali degli uffici
giudiziari.
porto con la popolazione residente secondo l’ultimo
censimento;
c) finalizzare gli interventi di cui alle lettere a) e b)
alla realizzazione di un’equa distribuzione del carico di lavoro e di una adeguata funzionalità degli
uffici giudiziari, anche avuto riguardo ad esigenze
di tendenziale specializzazione delle funzioni giurisdizionali civili e penali;
d) prevedere, nel caso di accorpamento di uffici
giudiziari diversi, la possibilità che l’ufficio accorpato possa essere trasformato in sezione distaccata dell’ufficio accorpante, tenuto conto di quanto
previsto alla lettera b) e rispettate le finalità di cui
alla lettera c);
e) prevedere nei tribunali e negli uffici del giudice di pace limitrofi, ove necessario per realizzare
le finalità di cui alla lettera c), la creazione di un
organico unico del personale di magistratura, dei
giudici onorari di pace e amministrativo;
f) prevedere la razionalizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici del giudice
di pace con un carico di lavoro inferiore alla capacità di smaltimento di un
solo giudice, mediante lo scorporo
di territori e la realizzazione di un
efficace raccordo con l’assetto fissato per i tribunali, nonché la ridefinizione del numero e della distribuzione sul
territorio, tenuto conto del carico di lavoro e
della distanza chilometrica tra le sedi interessate, da valutare in base alle infrastrutture esistenti
e al complessivo sistema di trasporto e di mobilità
pubblico e privato; prevedere, in decorso a quanto
disposto dal comma 3 dell’articolo 2 della legge 21
novembre 1991, n. 374, che due o più uffici contigui del giudice di pace possono essere costituiti
in un unico ufficio con il limite che la popolazione
complessiva risultante dall’accorpamento non superi i 75.000 abitanti;
g) abolire la competenza relativa ai commissari per
la liquidazione degli usi civici, trasferendola definitivamente al Ministero delle politiche agricole
alimentari e forestali.
ART. 5.
(Delega al Governo in materia di archivi informatizzati e di processo telematico).
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro tre mesi
dalla data di entrata in vigore della presente legge,
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con l’osservanza dei princìpi e dei criteri direttivi
di cui al comma 2, uno o più decreti legislativi in
materia di archivi informatizzati e di processo telematico.
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro tre mesi
dalla data di entrata in vigore della presente legge,
con l’osservanza dei princìpi e criteri direttivi di cui
ai commi 2, 3, 4 e 5, uno o più decreti legislativi
diretti:
a) al riordino della normativa sulle comunicazioni e
sulle notificazioni, per adeguarla alla disciplina del
processo telematico;
b) al riordino delle disposizioni concernenti le modalità di conferimento della procura alle liti, per
adeguarle alla disciplina del processo telematico;
c) al riassetto delle disposizioni sulle attività degli
ufficiali giudiziari in materia di notifica;
d) al riordino delle disposizioni sulle attività degli
ufficiali giudiziari in materia di riscossione del ruolo
giudiziario per il recupero delle spese processuali,
delle spese di mantenimento, delle pene pecuniarie, delle sanzioni amministrative pecuniarie e delle
sanzioni pecuniarie processuali.
2. Nell’esercizio della delega di cui al comma 1,
lettera a), il Governo si attiene ai seguenti princìpi
e criteri direttivi:
a) obbligo per ciascun avvocato e ausiliario del
giudice di indicare un indirizzo di posta elettronica
certificata, come disciplinata dal regolamento di
cui al decreto del Presidente della Repubblica 13
febbraio 2001, n. 123; definizione dell’elenco degli
indirizzi e delle modalità di aggiornamento;
b) previsione che le comunicazioni sono effettuate direttamente dall’ufficio giudiziario agli avvocati e agli
ausiliari del giudice in forma telematica all’indirizzo
elettronico dichiarato ai sensi dell’articolo 7 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 13 febbraio 2001, n. 123, e alle parti costituite
personalmente e ai testimoni all’indirizzo elettronico
di posta certificata espressamente dichiarato ai sensi
dell’articolo 4 del regolamento di cui al decreto del
Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68;
c) previsione della notificazione in forma telematica
come forma primaria di notificazione, ove possibile;
d) attribuzione al Ministro della giustizia della facoltà di determinare, per ciascun circondario o distretto, entro il termine ultimo del 30 giugno 2009,
l’inizio dell’utilizzazione obbligatoria delle notificazioni telematiche.
ai
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2. Nell’esercizio della delega di cui al comma 1,
il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri
direttivi:
a) adozione, da parte del Ministro della giustizia,
ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23
agosto 1988, n. 400, entro sei mesi dalla data di
entrata in vigore della presente legge, di un regolamento per disciplinare la tipologia e le modalità
di estrazione, raccolta e trasmissione all’archivio
informatico centralizzato dei dati statistici sull’attività degli uffici giudiziari;
b) previsione dell’accesso gratuito all’archivio digitale dei provvedimenti previsto dall’articolo 15 del
regolamento di cui al decreto del Ministro della
giustizia 27 marzo 2000, n. 264, oltre che per i
magistrati e per il personale dell’Amministrazione della giustizia, per gli avvocati;
c) autorizzazione per l’istituzione dell’archivio informatizzato dei provvedimenti emessi dai tribunali e
dalle corti di appello nonché per
l’assistenza e per la manutenzione dei
sistemi della spesa di euro 2.242.500 per
l’anno 2008 e di euro 300.000 a decorrere
dall’anno 2009;
d) previsione che le forme del processo disciplinate dal regolamento di cui al decreto del Presidente
della Repubblica 13 febbraio 2001, n. 123, sono
obbligatorie dal 30 giugno 2010;
e) previsione che il Ministro della giustizia, verificato che l’ufficio sia dotato delle attrezzature per
il processo civile telematico, dispone con proprio
decreto l’anticipazione del termine di cui alla lettera d), anche solo per specifiche materie, in ciascun
tribunale e in ciascuna corte di appello, sentiti i
consigli dell’ordine degli avvocati dei circondari interessati;
f) previsione dell’applicazione ai procedimenti civili e penali, entro il termine di cui alla lettera d),
ove compatibili, delle norme del codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo
7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni,
aventi ad oggetto la firma digitale, l’archiviazione
sostitutiva, il documento informatico digitale e la
trasmissione telematica degli atti.
ART. 6.
(Delega al Governo in materia di attività di notificazione ed esecuzione).
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3. Nell’esercizio della delega di cui al comma 1, lettera b), il Governo si attiene ai seguenti princìpie
criteri direttivi:
a) obbligo della procura alle liti in forma scritta per
la rappresentanza della parte davanti al giudice;
b) indicazione degli estremi della procura alle liti
nell’atto;
c) deposito, al momento dell’iscrizione a ruolo, di
copia della procura, con dichiarazione di conformità del difensore, e obbligo di depositare l’originale
solo su ordine del giudice.
ART. 7.
(Delega al Governo in materia di registrazione telematica dei provvedimenti giudiziari e di applicazione
dell’imposta di registro).
ai
4. Nell’esercizio della delega di cui al comma 1,
lettera c), il Governo si attiene ai seguenti princìpi
e criteri direttivi:
a) previsione della notifica di un atto o documento
informatico nei confronti dei soggetti non dotati
di indirizzo di posta elettronica certificata mediante consegna di una copia, su supporto cartaceo,
dichiarata conforme all’originale dall’ufficiale giudiziario;
b) previsione della conservazione dell’originale del
documento informatico da parte dell’ufficio notificazioni, esecuzioni e protesti per i due anni successivi; previsione dell’invio, su richiesta, del documento informatico per via telematica all’indirizzo
dichiarato dal destinatario delle notifiche o dal suo
procuratore ovvero mediante consegna ai medesimi
su supporto informatico non riscrivibile, previo pagamento del diritto di copia;
c) previsione della ripresa fotografica dei beni mobili pignorati e semplificazione delle modalità di
acquisizione delle dichiarazioni del debitore pignorato;
d) estensione della pubblicità sui siti individuati
ai sensi dell’articolo 173-ter delle disposizioni per
l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, a tutti i beni mobili;
e) estensione all’ufficiale giudiziario della delega
per le attività di apposizione dei sigilli e di inventario;
f) riordino dei diritti dovuti agli ufficiali giudiziari
secondo criteri di semplificazione e di forfetizzazione e previsione di pagamento per mezzo di strumenti telematici.
a) previsione della riscossione del ruolo giudiziario
per il recupero delle spese processuali, delle spese di mantenimento, delle pene pecuniarie, delle
sanzioni amministrative pecuniarie e delle sanzioni
pecuniarie processuali anche all’ufficio notificazioni, esecuzioni e protesti, ferma restando la possibilità di affidare la riscossione ai concessionari;
b) fissazione dei compensi spettanti all’ufficio notificazioni, esecuzioni e protesti in misura inferiore
a quelli spettanti ai concessionari.
5. Nell’esercizio della delega di cui al comma 1,
lettera d), il Governo si attiene ai seguenti princìpi
e criteri direttivi:
2.
1
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro tre mesi
dalla data di entrata in vigore della presente legge,
con l’osservanza dei princìpi e criteri direttivi di
cui al comma 2, uno o più decreti legislativi
diretti al riordino della normativa sulla registrazione dei provvedimenti giudiziari in
materia civile.
2. Nell’esercizio della delega di cui
al comma 1, il Governo si attiene ai
seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) stabilire che al momento della pubblicazione del provvedimento l’ufficio giudiziario individua gli elementi necessari per determinare l’imposta di registro e li comunica in via
telematica, unitamente al provvedimento stesso,
all’Agenzia delle entrate;
b) stabilire che gli elementi indicati alla lettera a),
se non corretti entro un termine breve, stabilito
dal Ministero della giustizia, d’intesa con l’Agenzia
delle entrate, determinano l’imposta dovuta per la
registrazione del provvedimento;
c) stabilire che il domicilio eletto dalla parte costituita nel processo costituisce anche il domicilio
eletto ai fini della notifica dell’avviso di liquidazione dell’imposta;
d) stabilire che l’avviso di liquidazione è notificato
alle parti costituite unitamente all’avviso di deposito del provvedimento da registrare;
e) stabilire che il pagamento deve essere eseguito
in via telematica;
f) semplificare il procedimento, esentando dall’obbligo di registrazione i provvedimenti della Corte
di cassazione e assicurando, nel contempo, l’inva-
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rianza del gettito attraverso il pagamento del corrispondente importo contestualmente al contributo
unificato, fatte salve le ipotesi di esenzione per
materia;
g) semplificare la procedura della registrazione attraverso una puntuale correlazione tra la classificazione dei procedimenti giudiziari approvata dal
Ministero della giustizia e le voci della tariffa allegata al testo unico delle disposizioni concernenti
l’imposta di registro, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, e
successive modificazioni;
h) disporre, eventualmente, l’esenzione dall’obbligo
di registrazione per i provvedimenti soggetti a imposta in misura fissa, assicurando, nel contempo, l’invarianza del gettito attraverso il pagamento del relativo
importo contestualmente al contributo unificato, fatte salve le ipotesi di esenzione per materia.
ART. 8.
(Delega al Governo in materia di difesa e di
notificazione degli atti del procedimento
penale).
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ia
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro tre mesi dalla data di
entrata in vigore della presente legge,
con l’osservanza dei princìpi e criteri direttivi di cui al comma 2, uno o più decreti
legislativi per il riordino delle disposizioni in
materia di difesa e di notificazione degli atti del
procedimento al fine di rendere operativo il processo telematico e di coniugare la garanzia di tempi
certi con la garanzia di efficienza del sistema.
3. Al codice di procedura penale sono apportate le
seguenti modificazioni:
a) all’articolo 148, dopo il comma 5-bis è aggiunto
il seguente:
«5-ter. Quando l’imputato è assistito da due difensori, è sufficiente la notificazione a uno solo di
essi, indicato espressamente dall’imputato»;
b) all’articolo 157, il comma 8-bis è sostituito dal
seguente:
«8-bis. Le notificazioni successive sono eseguite,
in caso di nomina di difensore di fiducia, ai sensi
dell’articolo 96. Per le modalità della notificazione
si applicano anche le disposizioni previste dall’articolo 148, commi 2-bis e 5-ter».
ART. 9.
(Delega al Governo in materia di informatizzazione
del procedimento penale).
ai
2. Nell’esercizio della delega di cui al comma 1,
il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri
direttivi:
a) prevedere il riordino delle disposizioni concernenti le comunicazioni relative alla non accettazione, rinuncia o revoca del difensore con riferimento
all’obbligo in capo all’autorità procedente di nominare in tempi brevi il difensore d’ufficio in caso di
non accettazione del difensore;
b) prevedere il riordino delle disposizioni relative
agli atti del procedimento penale con particolare
riferimento alle memorie e alle richieste scritte che
le parti e il difensore possono presentare in ogni
stato e grado del procedimento ai sensi dell’articolo 121, comma 1, del codice di procedura penale,
mediante deposito in cancelleria o per posta elettronica certificata; prevedere la notificazione per
posta elettronica certificata anche per la persona
sottoposta ad indagini preliminari;
c) prevedere che il giudice possa disporre che le notificazioni ai detenuti siano eseguite dalla polizia
penitenziaria e, ove ne ravvisi la necessità, ciò possa avvenire dinanzi al tribunale del riesame anche
per soggetti diversi dai detenuti; prevedere che le
notificazioni e gli avvisi ai difensori sono eseguiti
a mezzo di posta elettronica certificata, da indicare
all’atto del deposito della nomina del difensore o
nel primo scritto difensivo e nell’albo redatto dal
consiglio dell’ordine degli avvocati; prevedere che,
in caso di notificazioni urgenti, può essere disposto
dal giudice che gli avvisi sono eseguiti dai servizi
di polizia giudiziaria territorialmente competenti;
d) prevedere che le notificazioni di atti del pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari
sono eseguite anche dalla sezione di polizia giudiziaria.
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro un anno
dalla data di entrata in vigore della presente legge,
con l’osservanza dei princìpi e criteri direttivi di cui
al comma 2, uno o più decreti legislativi per l’informatizzazione del procedimento penale.
2. Nell’esercizio della delega di cui al comma 1,
il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri
direttivi:
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fensori autorizzati, attraverso una casella di posta
elettronica certificata, nonché alla gestione informatica dei corpi di reato e dei depositi giudiziari;
i) istituzione del sistema informativo delle esecuzioni, finalizzato alla gestione e al monitoraggio
informatizzato dell’attività del pubblico ministero,
del giudice dell’esecuzione e della magistratura
di sorveglianza, in ordine alla fase dell’esecuzione della sentenza di condanna, con possibilità di
accesso da parte dell’autorità giudiziaria e dei difensori autorizzati, attraverso una casella di posta
elettronica certificata. Tale sistema informativo
deve essere collegato al sistema della cognizione
penale, al fine di monitorare gli estratti esecutivi
telematici relativi a ciascun processo, al sistema
delle misure cautelari personali, per consentire il
controllo, l’annotazione e il computo del presofferto e delle ipotesi di fungibilità dei periodi di detenzione subiti, nonché alle banche dati degli uffici
per l’esecuzione penale esterna;
l) istituzione del sistema informativo delle
misure di prevenzione, finalizzato al monitoraggio e alla gestione informatizzata del procedimento di prevenzione
e al coordinamento con la banca
dati dei beni oggetto di misure preventive di natura ablatoria;
m) istituzione della banca dati nazionale
dei beni confiscati e dei corpi di reato; del
Casellario giudiziale centrale informatizzato;
della banca dati nazionale delle misure cautelari
personali e reali; della banca dati nazionale delle
sentenze di merito.
2.
1
ai
a) istituzione del sistema di notizie di reato, finalizzato all’acquisizione automatizzata e alla sistematizzazione delle notizie di reato, trasmesse dalla
polizia giudiziaria con firma digitale, all’apposito
portale di ciascuna procura della Repubblica;
b) previsione delle modalità di attuazione dell’obbligo, per ciascun ufficio del pubblico ministero, di
formazione del fascicolo informatico delle indagini
preliminari, da rendere accessibile, successivamente al deposito, ai difensori autorizzati, attraverso
una casella di posta elettronica certificata;
c) previsione della possibilità per il pubblico ministero di accedere in via telematica alle banche dati
di amministrazioni pubbliche e di enti pubblici e
privati, attraverso una casella di posta elettronica
certificata;
d) istituzione del registro delle intercettazioni, finalizzato alla gestione informatizzata dei tabulati,
dei verbali e delle registrazioni delle intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche disposte
nei procedimenti penali, con possibilità di accesso
unicamente da parte del pubblico ministero procedente e degli organi di polizia giudiziaria specificamente delegati al compimento delle operazioni di
intercettazione, nonché del coordinamento di tale
registro con il sistema unico nazionale delle intercettazioni di cui al comma 82 dell’articolo 2 della
legge 24 dicembre 2007, n. 244;
e) istituzione del ruolo informatico del pubblico
ministero e del giudice, finalizzato alla gestione
elettronica e al monitoraggio del ruolo dei procedimenti, nonché alla loro assegnazione tabellare;
f) previsione delle modalità di realizzazione del fascicolo dibattimentale informatico, nonché dell’archivio digitale delle sentenze, dei verbali e delle
registrazioni multimediali delle udienze dibattimentali, con possibilità di accesso da parte dell’autorità giudiziaria e dei difensori autorizzati, attraverso
una casella di posta elettronica certificata;
g) previsione delle modalità di realizzazione del sistema informativo della cognizione penale, finalizzato alla gestione informatizzata dei registri penali
di primo e secondo grado e accessibile all’autorità
giudiziaria e ai difensori autorizzati, attraverso una
casella di posta elettronica certificata;
h) istituzione del sistema delle misure cautelare
personali e reali, finalizzato alla gestione, al monitoraggio e all’archiviazione degli atti applicativi
delle suddette misure, conservati in formato elettronico e accessibili all’autorità giudiziaria e ai di-
ART. 10.
(Procedure per l’esercizio delle deleghe legislative).
1. Gli schemi dei decreti legislativi adottati nell’esercizio delle deleghe di cui agli articoli da 1 a
9 sono emanati su proposta del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e
delle finanze, previo parere delle Commissioni parlamentari del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati competenti per materia. Il parere è
espresso entro un mese dalla data di trasmissione,
indicando specificamente le eventuali disposizioni
non ritenute corrispondenti ai princìpi e criteri direttivi contenuti nella legge di delegazione. Decorso tale termine, i decreti legislativi possono essere
comunque emanati.
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2. Il Governo, con la procedura indicata nel comma
1, entro un anno dalla data di entrata in vigore di
ciascuno dei decreti legislativi emanati nell’esercizio delle deleghe di cui agli articoli da 1 a 9,
nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi fissati nei
medesimi articoli, può adottare disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati.
ART. 11.
(Pagamento telematico dei contributi, dei diritti e
delle spese dei processi civili e penali).
4. Il Ministero della giustizia, di concerto con il
Ministero dell’economia e delle finanze, stipula, a
seguito di procedura di gara ad evidenza pubblica,
nel rispetto della normativa comunitaria vigente
in materia, apposite convenzioni per la fornitura
dei servizi e delle infrastrutture di cui al presente
articolo senza ulteriori oneri a carico del bilancio
dello Stato.
ART. 12.
(Norme sui depositi giudiziari).
1. Le somme depositate presso le banche e la società Poste italiane Spa, di cui è stata disposta la restituzione con provvedimento definitivo o di archiviazione, non riscosse o non reclamate dagli aventi
diritto entro cinque anni, sono acquisite dallo Stato e sono versate a cura delle medesime banche e
della società Poste italiane Spa in conto entrate
del bilancio dello Stato per essere riassegnate, con
decreti del Ministro dell’economia e delle finanze,
ai pertinenti fondi dello stato di previsione del Ministero della giustizia.
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ia
1. Oltre a quanto previsto agli articoli 191 (L) e seguenti del testo unico delle disposizioni legislative
e regolamentari in materia di spese di giustizia, di
cui al decreto del Presidente della Repubblica 30
maggio 2002, n. 115, gli uffici giudiziari utilizzano
nel processo civile sistemi telematici di pagamento
ovvero con carte di debito, di credito o prepagate o con altri mezzi di pagamento con moneta
elettronica disponibili nei circuiti bancario
e postale, allo scopo di semplificare le
modalità di pagamento, a carico dei
privati, del contributo unificato,
del diritto di copia, del diritto di
certificato e del pagamento delle
spettanze degli ufficiali giudiziari relative ad attività di notificazione ed esecuzione.
bilancio dello Stato per essere riassegnati ad appositi fondi del Ministero della giustizia per l’incentivazione del personale.
ai
2. Nell’ambito del processo penale, per il pagamento del diritto di copia e del diritto di certificato, per il pagamento relativo al recupero delle
somme per il patrocinio a spese dello Stato, per il
pagamento delle spese processuali, delle spese di
mantenimento, delle pene pecuniarie, delle sanzioni amministrative pecuniarie e delle sanzioni pecuniarie processuali, si utilizzano gli strumenti di cui
al comma 1.
2. Le somme depositate presso le banche e la società Poste italiane Spa in relazione a procedure
esecutive, non riscosse o non reclamate dagli aventi diritto entro cinque anni dal giorno in cui è divenuta definitiva l’ordinanza di distribuzione o di
approvazione del progetto di distribuzione ovvero,
in caso di opposizione, dal passaggio in giudicato
della sentenza che definisce la controversia, sono
acquisite allo Stato e sono versate a cura delle medesime banche e della società Poste italiane Spa
in conto entrate del bilancio dello Stato per essere
riassegnate, con decreti del Ministro dell’economia
e delle finanze, ai pertinenti fondi dello stato di
previsione del Ministero della giustizia.
3. I soggetti preposti all’erogazione del servizio di
pagamento telematico ricevono il versamento delle
somme, effettuano il riversamento delle stesse alla
Tesoreria dello Stato e registrano in apposito sistema informatico a disposizione dell’amministrazione i pagamenti eseguiti e la relativa causale,
la corrispondenza di ciascun pagamento, i capitoli
e gli articoli d’entrata. I maggiori introiti netti,
accertati a consuntivo, connessi alla riduzione del
costo del servizio sono versati in conto entrate del
3. All’articolo 67, comma 2, del decreto legislativo
8 luglio 1999, n. 270, le parole da: «degli articoli» fino alla fine del comma sono sostituite dalle seguenti: «degli articoli 110, secondo, terzo e
quarto comma, 111, 111-bis, 111-ter, 111-quater,
112, 113, 113-bis, 114, 115 e 117, secondo, terzo,
quarto e quinto comma, della legge fallimentare».
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4. Con regolamento del Ministro della giustizia, di
concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, adottato ai sensi dell’articolo 17, comma 3,
della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro sei mesi
dalla data di entrata in vigore della presente legge
sono disciplinate:
a) le modalità di comunicazione dello stato del
procedimento e dei provvedimenti adottati, che
garantiscono la prova dell’avvenuta ricezione;
b) le modalità con cui le banche e la società Poste
italiane Spa versano le somme di cui ai commi 1 e
2 e gli interessi maturati.
ART. 13.
(Disposizioni transitorie).
1. Gli uffici giudiziari verificano l’esistenza di depositi per i quali ricorrono le condizioni di cui all’articolo 12, commi 1 e 2, alla data di entrata in
vigore della presente legge e fino all’emanazione
del regolamento di cui all’articolo 12, comma 4,
richiedendo alla banca o alla società Poste italiane
Spa, presso cui è aperto il deposito, che le somme depositate siano versate all’entrata del bilancio
dello Stato per essere riassegnate, con decreti del
Ministro dell’economia e delle finanze, ai pertinenti fondi dello stato di previsione del Ministero della giustizia.
ART. 14.
(Entrata in vigore).
2.
6. È istituito un fondo per l’incentivazione della
permanenza dei magistrati in sedi non richieste di
cui all’articolo 3 della legge 16 ottobre 1991, n.
321, e successive modificazioni, e in sedi disagiate di cui all’articolo 1 della legge 4 maggio 1998,
n. 133, alimentato con una somma pari al 4 per
cento di quanto riscosso annualmente ai sensi del-
1
ai
5. Una somma pari al 10 per cento di quanto riscosso annualmente ai sensi delle disposizioni del
presente articolo è destinata al Fondo unico di
amministrazione costituito presso il Ministero della giustizia, anche per finanziare progetti relativi
al recupero di crediti dell’amministrazione e delle
somme di cui ai commi 1, 2 e 3.
le disposizioni del presente articolo. L’impiego del
fondo è disciplinato con regolamento del Ministro
della giustizia, da adottare, d’intesa con il Consiglio
superiore della magistratura, entro sei mesi dalla
data di entrata in vigore della presente legge.
1. La presente legge entra in vigore
il giorno successive a quello della sua
pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
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Proposta di legge n. 1510
d’iniziativa dei deputati TENAGLIA, VELTRONI, FERRANTI
Modifiche al codice penale e al codice di procedura
penale in materia di intercettazione di conversazioni e comunicazioni e di pubblicità degli atti di
indagine
ia
presentata il 21 luglio 2008
limitavano a pubblicare notizie fornite magari dai
difensori degli indagati una volta venuto meno il
segreto di indagine ai sensi dell’articolo 329 del
codice di procedura penale. Va detto peraltro che
la formulazione delle varie norme in materia, tra
un codice penale retaggio d’altri tempi e un codice di rito impreciso e ondivago, non ha orientato
adeguatamente né gli interpreti né gli operatori
del diritto.
Nel corso degli anni abbiamo assistito a diversificate fattispecie di abusi (con diversi gradi di gravità)
in tema di intercettazioni: da quelli (del tutto fuori
legge) che hanno condotto all’emanazione del decreto- legge 22 settembre 2006, n. 259, convertito,
con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2006,
n. 281, a quelli attribuiti ad appartenenti a servizi
di sicurezza, da quelli riferiti a uffici della polizia
giudiziaria e del personale giudiziario o alla stessa
magistratura a quelli compiuti dagli stessi difensori
a tutela dei propri assistiti.
Nel contrasto di norme, di comportamenti, ma soprattutto di rilevanti interessi in campo, è proliferato quasi un gioco al massacro, inaccettabile,
che rischia di confondere gravemente le acque e
di inquinare pesantemente ruoli e funzioni istituzionali.
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Gi
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ONOREVOLI COLLEGHI! – La cronaca non solo delle ultime settimane,
ma degli ultimi anni, ha ripetutamente portato anche alla nostra attenzione
il tema delle intercettazioni telefoniche,
ambientali e telematiche. Le polemiche scatenate dalla pubblicazione sui giornali di stralci o
addirittura di interi verbali relativi a conversazioni
captate dalla magistratura nell’ambito di indagini
penali alle volte sono state roventi e hanno coinvolto gli stessi vertici istituzionali italiani. Ciò è
successo particolarmente nei casi in cui si è avuta
l’impressione di una strumentalizzazione del mezzo
investigativo in questione, ad opera di determinate parti politiche o di alcuni organi di informazione o persino degli stessi organi inquirenti. Si è
spesso gridato allo scandalo, alla grave violazione
di diritti fondamentali della persona, all’abuso da
parte della magistratura. Non sempre si è esattamente percepita la reale situazione giuridica e di
fatto, come ben di rado si è compresa e individuata (o si è voluta comprendere e individuare)
l’origine di una determinata «fuga di notizie» con
conseguente pubblicazione da parte degli organi
di informazione. E non sempre le presunte fughe di
notizie erano davvero tali, in quanto i giornali si
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Quaderni PD.indb 104
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Tali riflessioni ci portano a dire che, nonostante
l’uso arbitrario o strumentale che alle volte è stato
fatto e che è stato ripetutamente denunciato, va
garantito da parte del legislatore il ricorso a tale
mezzo d’indagine, nei limiti di ammissibilità riconosciuti e fissati dalla normativa in vigore (articolo
266 del codice di procedura penale), soprattutto
perché i lamentati abusi non hanno mai avuto a
che fare con la questione della ammissibilità delle
intercettazioni, bensì con le norme attinenti alla
loro esecuzione, alla custodia degli atti e alla tutela della riservatezza.
Anche di ciò si trova ampia conferma e ragionevole conforto nella citata indagine conoscitiva della
Commissione Giustizia del Senato della Repubblica:
«si ritiene indispensabile l’urgente esame da parte
dei competenti organismi parlamentari dei vari disegni di legge già presentati in materia di intercettazioni, con particolare riferimento alla fase più
delicata e “sensibile” che è quella del momento
del deposito dei verbali e degli atti delle
intercettazioni (...). Imporre, in maniera chiara e precisa, che al momento
del deposito il magistrato effettui
una scelta processuale tra le intercettazioni da utilizzare e quelle
che utili processualmente non ritiene,
con la conseguente eliminazione di queste ultime (...)».
Le conseguenze sono evidenti. È connaturato al
concetto stesso di atto di indagine preliminare il
fatto che le intercettazioni (nella variegata indicata accezione) siano atti coperti dal segreto. È fondamentale infatti che un’attività di tal genere, che
ha nella sorpresa la sua stessa essenza ed efficacia,
rimanga «coperta» in ottica e a fini probatori, procedimentali e processuali. Almeno fino a quando
il dominus dell’indagine preliminare non si renda
conto o comunque non decida che la segretezza
possa venir meno e proceda, quindi, a quella che
viene definita come «discovery». Infatti, se scopo
di una intercettazione (per definizione) è quello di
«ricerca della prova», soddisfatta tale esigenza e
valutata la necessità di procedere oltre (magari ad
un arresto o ad un sequestro), è naturale e perfettamente comprensibile che il titolare dell’indagine
decida di poter fare a meno della segretezza. La
quale, essendo finalizzata all’indagine e al suo procedere, soltanto per motivi di indagine può protrarsi o venir meno. E tale decisione non può spettare
2.
1
ai
È fuor di dubbio, infatti, che in questa materia i
profili e i beni giuridici di rilievo costituzionale
siano almeno quattro: l’azione necessaria e indipendente della magistratura; la tutela della dignità
e della riservatezza di ogni persona; il diritto alla
difesa; il diritto-dovere ad informare e ad essere
informati. Il problema è quello di trovare un giusto
equilibrio tra tutti questi interessi in gioco.
Parimenti non c’è dubbio che sia necessario intervenire con una serie di norme, con una nuova disciplina, al fine di correggere le storture normative e
comportamentali da tutti rilevate.
Fondamentale innanzitutto è il richiamo prioritario all’articolo 15 della nostra Carta costituzionale,
che prevede una doppia riserva (di legge e giurisdizionale) per ogni limitazione della libertà e della
segretezza delle comunicazioni, altrimenti definite
inviolabili. È questa una garanzia pressoché unica
nell’intero panorama giuridico mondiale (ove il ricorso ad intercettazioni non giudiziali, effettuate
cioè da autorità amministrative o di polizia o addirittura dai servizi segreti, è assolutamente prevalente, con i conseguenti rischi di maggiori e incontrollabili abusi e costi). Garanzia che fa dell’Italia
un Paese istituzionalmente all’avanguardia nella
tutela dei diritti delle persone, peraltro in ossequio
a norme internazionali come gli articoli 8 e 10 della
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4
novembre 1950 e resa esecutiva dalla legge n. 848
del 1955, e come gli articoli 1 e 11 della Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000.
Già nella XV legislatura, in sede di indagine conoscitiva, la Commissione Giustizia del Senato della
Repubblica aveva concluso i propri lavori con una
relazione approvata all’unanimità, che confermava
espressamente tali circostanze e rilievi. E confermava soprattutto che quello delle intercettazioni
(nelle sue variegate forme e fattispecie) continua
ad essere uno strumento più che necessario, essenziale, nel contrasto ai maggiori fenomeni criminali
e ai principali delitti.
D’altra parte, quello delle intercettazioni è uno dei
tipici mezzi di ricerca della prova (non mezzo di
prova), al pari delle perquisizioni, dei sequestri e
delle ispezioni e come esplicitamente recita il codice di rito, che inserisce tale strumento nel capo
IV del titolo III del libro terzo (quello delle «prove»).
105
Quaderni PD.indb 105
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soprattutto dei cittadini. Ora, proprio per salvaguardare l’equilibrio istituzionale e costituzionale
già ricordato, nella presente proposta di legge si è
cercato di proporre soluzioni rispettose sia del singolo leso nel suo buon diritto, sia del diritto-dovere
di una libera informazione. A questo proposito, non
è assolutamente fuori luogo menzionare la Corte
europea dei diritti umani, che nella sentenza del 7
giugno 2007 (ricorso n. 1914/02 – affaire Dupuis et
autres c. France) ha chiaramente allargato gli spazi
della libertà di stampa, richiamandosi peraltro all’esigenza di delineare un equo bilanciamento tra
istanze contrapposte.
Analizzando nel merito le norme della proposta di
legge, si osserva come gli articoli 5 e 6 introducano modifiche agli articoli 266 e 266-bis del codice
di procedura penale, tali da estendere la disciplina
delle intercettazioni telefoniche di cui al capo IV
del codice di rito, alla captazione di flussi di dati
telematici.
L’articolo 7 estende parimenti la disciplina delle
intercettazioni telefoniche a quelle relative a corrispondenza postale, tali da non interrompere il
corso della spedizione, e alle operazioni di ripresa
visiva a contenuto captativo di conversazioni, nonché a quelle non captative di conversazioni che si
svolgano in luoghi di privata dimora, sulla scorta
delle indicazioni desumibili dalla sentenza delle sezioni unite della Cassazione n. 26795 del 2006. Si
precisa inoltre che le riprese visive che si svolgono
in luoghi pubblici possono essere eseguite dalla
polizia giudiziaria di propria iniziativa, ma devono
essere convalidate dal pubblico ministero entro le
quarantotto ore successive.
L’articolo 8 modifica l’articolo 267 del codice di
rito, relativo ai presupposti e alle forme del provvedimento. In particolare, la norma proposta prevede un tendenziale limite (non applicabile tuttavia
a procedimenti relativi a delitti gravi come i reati
contro la pubblica amministrazione, il riciclaggio
e il reimpiego di beni di provenienza illecita) alle
proroghe delle intercettazioni, fissato in tre mesi
(ossia la metà del termine ordinario di durata delle indagini preliminari), superabile qualora siano
emersi nuovi elementi di indagine. Tali elementi
devono essere chiaramente indicati nel provvedimento di proroga.
Si prevede, poi, un tendenziale limite (non applicabile anche questo a indagini per i reati citati)
a due proroghe per le intercettazioni tra presenti,
ai
Gi
us
tiz
ia
che al magistrato procedente, mediante appunto la
citata discovery.
A seguito di tali considerazioni, si ritiene allora che
debba essere semplificata la normativa attinente al
segreto investigativo, soprattutto unificandone le
disposizioni quanto al momento della cessazione
del vincolo della segretezza, che può farsi coincidere con il momento in cui l’indagato o il suo
difensore possano avere conoscenza dell’atto o dell’attività investigativa. Se il dominus dell’indagine
ritiene di non aver più «bisogno» del segreto, non
c’è motivo per cui debba essere limitata la conoscibilità dell’attività della magistratura, anche attraverso la stampa e i vari mezzi di informazione: anche questo vuol dire trasparenza e correttezza della
pubblica amministrazione, delle istituzioni tutte e
della classe politica («governo della cosa pubblica in pubblico», come sosteneva Norberto Bobbio,
parlando dei sistemi democratici).
Il problema semmai è e rimane quello di evitare che atti coperti dal segreto o atti riferiti a terze persone inconsapevoli e a
circostanze e fatti del tutto estranei
al procedimento possano finire nel
«tritacarne» dei mezzi di comunicazione.
A tal fine, sono inserite nella presente
proposta di legge una serie di norme volte
a stringere le maglie attorno agli atti e alle
attività concernenti i vari sistemi di intercettazione, responsabilizzando gli attori di ogni singola
fase procedimentale (magistrati, polizia giudiziaria,
cancellieri, segretari, avvocati), istituendo un archivio riservato, imponendo l’eliminazione di qualsiasi nota o appunto concernenti persone estranee
al procedimento, prevedendo specifiche sanzioni
disciplinari nei confronti dei magistrati «disobbedienti» ai dettami normativi.
Ultima rilevante questione da affrontare è quella relativa alle responsabilità di giornalisti ed editori.
Si assiste quotidianamente a un tentativo, preso
atto della pratica impossibilità di impedire le fughe
di notizie, di scaricare ogni responsabilità sull’ultimo anello della catena, rappresentato in questo
caso dal terminale giornalistico. È un modo estremamente semplicistico di affrontare la questione e
soprattutto di cercare di risolverla. Si cozza però
inevitabilmente contro quel sacrosanto baluardo
costituzionale rappresentato dall’articolo 21 della
Costituzione, posto a tutela sì dei giornalisti, ma
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Quaderni PD.indb 106
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La procedura prevista è la più snella possibile, non
prevedendosi in questa fase un’apposita udienza,
che avrebbe comportato un inutile appesantimento e allungamento dei tempi procedimentali, bensì
una facoltà del giudice di sentire le parti, ove necessario, senza formalità.
Viene comunque adeguatamente garantito il diritto
di difesa, attraverso la previsione dell’interlocuzione del difensore, che può chiedere al giudice l’integrazione delle acquisizioni.
In particolare, si prevede (articolo 11, comma 1,
che introduce l’articolo 268-bis) che al termine delle operazioni (salvo che il giudice non autorizzi il
cosiddetto «ritardo del deposito») il pubblico ministero debba depositare in segreteria, unitamente
ai decreti di autorizzazione e proroga, i verbali e le
registrazioni relativi alle conversazioni che ritiene
rilevanti ai fini delle indagini, indicando le ragioni
della rilevanza di essi; tutti gli altri atti relativi
alle intercettazioni, ossia quelli irrilevanti in
quanto riguardanti fatti o circostanze estranei alle indagini, ovvero quelli di cui è
vietata l’utilizzazione, devono invece
confluire nell’archivio riservato.
Ai difensori delle parti è dato immediatamente avviso che, entro il
termine stabilito, hanno facoltà:
a) di esaminare gli atti depositati e quelli
custoditi nell’archivio riservato;
b) di ascoltare le registrazioni, ivi comprese
quelle custodite nell’archivio riservato;
c) di indicare specificamente al giudice le conversazioni non depositate delle quali chiedono l’acquisizione, enunciando le ragioni della loro rilevanza;
d) di indicare specificamente al giudice le conversazioni depositate che ritengono irrilevanti o inutilizzabili.
Scaduto il termine, il giudice dispone con ordinanza l’acquisizione delle conversazioni che ritiene
rilevanti e di cui non è vietata l’utilizzazione. Il
giudice può sempre esaminare, se lo ritiene necessario, gli atti custoditi nell’archivio riservato previsto dall’articolo 268, comma 3-ter, del codice di
procedura penale.
La documentazione depositata della quale il giudice
non ha disposto l’acquisizione è immediatamente restituita al pubblico ministero e custodita nell’archivio
riservato sopra indicato. Si prevede poi l’applicazione, nei limiti della compatibilità, della suddetta normativa ai dati relativi al traffico telefonico.
2.
1
ai
salvo che siano emersi nuovi elementi investigativi. Restano ferme le diverse disposizioni dettate in
relazione ai delitti di criminalità organizzata, terrorismo, schiavitù e tratta.
L’articolo 9 disciplina l’acquisizione di dati relativi
al traffico telefonico, disposta in sede processuale,
fermo restando quanto previsto dall’articolo 132 del
codice in materia di protezione dei dati personali,
di cui al decreto legislativo n. 196 del 2003, in
relazione all’acquisizione «amministrativa» di dati,
conformemente alla direttiva europea cosiddetta
«data retention», recepita dal decreto legislativo n.
109 del 2008.
L’articolo 10 modifica l’articolo 268 del codice di
procedura penale, introducendo una profonda innovazione relativamente agli impianti da utilizzare
per lo svolgimento delle operazioni di intercettazione ed armonizzando il residuo contenuto del testo
con gli altri articoli. In particolare, viene previsto
dal novellato comma 3 che le operazioni di registrazione dovranno essere effettuate per mezzo di
impianti installati e custoditi in centri di intercettazione telefonica da istituire presso ogni distretto
di corte di appello.
Le operazioni di ascolto delle conversazioni saranno invece compiute mediante gli impianti installati
presso la procura della Repubblica ovvero, previa
autorizzazione del pubblico ministero, mediante
impianti di pubblico servizio o in dotazione alla
polizia giudiziaria. Tale disciplina è volta a concentrare le operazioni di captazione e ascolto nel
minor numero di strutture possibile, onde ridurre
i soggetti che possano avere accesso alle informazioni riservate da esse emergenti e garantire il
miglior livello di sicurezza nell’acquisizione e nel
trattamento dei dati.
Gli articoli 11 e 12, rispettivamente, l’uno introduce gli articoli 268-bis, 268-ter, 268-quater, 268quinquies e 268-sexies e l’altro sostituisce l’articolo
269 del codice di procedura penale.
La riservatezza dei soggetti coinvolti nelle intercettazioni viene assicurata attraverso un intervento
diretto sul procedimento delineato dall’articolo 268
del codice di procedura penale.
La sequenza procedimentale del deposito e dell’eliminazione del materiale irrilevante, in una prima
fase (preliminare), viene modificata, attribuendo
prima al pubblico ministero e poi al giudice il potere-dovere di selezionare le intercettazioni da acquisire.
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loga al meccanismo procedurale dell’acquisizione
delle intercettazioni fin qui descritto, il caso in cui
il pubblico ministero richieda al giudice provvedimenti cautelari nel corso delle indagini preliminari,
precedentemente, cioè, alla formale acquisizione
dei risultati delle intercettazioni.
Si è previsto che il pubblico ministero possa presentare al giudice solo le conversazioni che considera rilevanti e che il giudice debba restituire quelle ritenute non rilevanti.
Si prevede, altresì, che dopo che la persona sottoposta alle indagini ovvero il suo difensore abbiano
avuto conoscenza del provvedimento, si applica la
disposizione di cui al comma 8 dell’articolo 268bis, che consente ai difensori di estrarre copia soltanto delle conversazioni di cui è stata disposta
l’acquisizione.
È stata, infine, prevista e disciplinata la facoltà di
accesso all’archivio riservato da parte del giudice,
d’ufficio ovvero a richiesta di parte, anche nel corso dell’udienza preliminare e successivamente alla
chiusura delle indagini preliminari.
L’articolo 268-quinquies (introdotto dal comma 1
dell’articolo 11) disciplina le ipotesi in cui l’ascolto
e l’acquisizione delle conversazioni siano disposti
dal giudice dopo la conclusione delle indagini preliminari. Si prevede che dopo la chiusura delle indagini preliminari e nell’udienza preliminare il giudice,
ai fini della decisione da adottare, può sempre disporre anche d’ufficio l’esame dei verbali e l’ascolto
delle registrazioni custodite nell’archivio riservato.
All’esito può disporre con ordinanza l’acquisizione
delle intercettazioni in precedenza ritenute prive di
rilevanza. Per la trascrizione si osservano le forme e
le garanzie della perizia.
Nel corso del dibattimento, il giudice può disporre,
su specifica e motivata richiesta delle parti, l’acquisizione delle intercettazioni in precedenza ritenute
prive di rilevanza.
L’articolo 12, nel riformulare l’articolo 269 del codice di procedura penale, prevede che il giudice
disponga la distruzione della documentazione custodita nell’archivio riservato successivamente al
passaggio in giudicato della sentenza, ovvero in
seguito al decorso dei termini di prescrizione dei
reati per i quali si era proceduto, nei casi di intervenuta archiviazione (comma 1).
Si prevede inoltre (comma 3) che, anche prima del
decorso dei termini suddetti, gli interessati possano chiedere la distruzione della documentazione
ai
Gi
us
tiz
ia
La selezione preventiva della documentazione rilevante, prima ad opera del pubblico ministero e successivamente ad opera del giudice, riduce i rischi
di divulgazione dei contenuti delle intercettazioni,
senza abbassare il livello di tutela del diritto di
difesa dell’imputato, al quale viene riconosciuta la
facoltà di prendere cognizione di tutta la documentazione, compresa quella che il pubblico ministero
ha ritenuto non rilevante, e di indicare al giudice le
conversazioni in relazione alle quali reputi necessaria l’acquisizione.
La nuova disciplina si caratterizza, inoltre, per l’istituzione del citato archivio riservato (articolo 268,
comma 3-ter, del codice di procedura penale, introdotto dall’articolo 10 della proposta di legge) nel
quale il pubblico ministero deve custodire i verbali
e le registrazioni e il cui accesso è consentito ai
difensori delle parti solo per la verifica della completezza del materiale acquisito e per l’eventuale
richiesta al giudice di integrazione. La documentazione relativa alle intercettazioni non
rilevanti è custodita nell’archivio riservato fino alla decisione non più soggetta
ad impugnazione ed è coperta da
segreto (articolo 329-bis).
Nel medesimo archivio sono destinati a confluire anche i verbali e le registrazioni relativi alle conversazioni rilevanti, una volta effettuata la trascrizione.
È stata infatti ridisegnata la procedura di trascrizione delle conversazioni nelle forme della perizia (articolo 268-ter, introdotto dall’articolo 11,
comma 1), prevedendosi che, appena concluse le
operazioni, i verbali e le registrazioni siano immediatamente ricollocati nell’archivio riservato, mentre le trascrizioni confluiranno nel fascicolo per il
dibattimento.
Si prevede altresì (e ciò vale anche per le trascrizioni effettuate dal pubblico ministero nel corso delle
indagini preliminari al fine di presentare le proprie
richieste al giudice, ex articolo 268-quater) il divieto
di trascrizione di quelle parti di conversazioni riguardanti esclusivamente persone, fatti o circostanze
estranei alle indagini, e che il giudice disponga che
i nominativi e i riferimenti identificativi, di soggetti
estranei alle indagini, siano espunti dalle trascrizioni delle conversazioni, ove ciò non rechi pregiudizio
all’accertamento dei fatti per cui si procede.
È stato regolamentato (articolo 268- quater, introdotto dal comma 1 dell’articolo 11) in forma ana-
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dati riguardanti il traffico telefonico o telematico,
anche se non più coperti dal segreto e se inseriti
in altri provvedimenti del pubblico ministero o del
giudice per le indagini preliminari, fino alla conclusione delle indagini preliminari.
Al fine di garantire il necessario collegamento tra
azione penale e responsabilità disciplinare per la
violazione del divieto di pubblicazione da parte di
pubblici funzionari o persone esercenti una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione da parte dello Stato, si prevede in capo al
procuratore della Repubblica l’obbligo di informare
l’organo titolare del potere disciplinare, anche al
fine dell’eventuale assunzione di misure interdittive di natura cautelare (articolo 2 della proposta di
legge).
L’articolo 16 prevede che i verbali, le registrazioni
e tutta la documentazione custodita nell’archivio
riservato e non acquisita al procedimento siano
sempre coperti da segreto. Si è ritenuto di prevedere tale disciplina con norma autonoma
rispetto a quella dell’articolo 329 del
codice di procedura penale, già disciplinante la materia del segreto in
corso di indagine; ed invero tale
scelta è apparsa più opportuna per
meglio evidenziare la differente natura del segreto inerente gli atti contenuti
nell’archivio riservato (volto a tutelare la
riservatezza dei soggetti intercettati) rispetto
al segreto di indagine (volto invece a tutelare il
corretto andamento delle attività investigative).
Tale diversità si evidenzia, poi, nella maggiore durata del segreto posto a tutela della riservatezza, il
quale si protrae anche oltre il termine delle indagini preliminari e copre l’intera permanenza della
suddetta documentazione all’interno dell’archivio
riservato.
Gli articoli 18 e 19, rispettivamente, l’uno reca modifiche all’articolo 89 e l’altro introduce l’articolo
89-bis delle norme di attuazione, di coordinamento
e transitorie del codice di procedura penale (decreto legislativo n. 271 del 1989). Le due disposizioni
disciplinano l’istituzione e la tenuta dell’archivio
riservato delle intercettazioni, nonché la figura del
funzionario responsabile delle intercettazioni, nominato dal procuratore della Repubblica; è previsto, inoltre, che l’archivio in questione venga tenuto sotto la responsabilità, direzione e sorveglianza
del procuratore della Repubblica, con modalità tali
2.
1
ai
non rilevante per il procedimento. In tale caso il
giudice, prima di decidere, deve sentire le parti.
Diversamente, nel caso di documentazione assolutamente estranea alle indagini, si prevede che il
giudice, sentito il pubblico ministero, possa disporne, anche d’ufficio, la distruzione anticipata, salvo
che si proceda per delitti di terrorismo, criminalità
organizzata o comunque per i reati di cui agli articoli 51, commi 3-bis e 3-quater, e 407, comma 2,
lettera a) (comma 3 dell’articolo 269 del codice di
procedura penale). In relazione a tali ultime ipotesi
si seguono i tempi e la procedura ordinari.
Gli articoli da 13 a 15 adeguano alla nuova disciplina, rispettivamente, l’ipotesi di trasmissione ad
altra autorità giudiziaria delle intercettazioni per
l’utilizzabilità in altro procedimento (articolo 270)
e la normativa in tema di intercettazioni finalizzate
alla ricerca dei latitanti prevista dall’articolo 295
del codice di procedura penale.
Gli articoli 3 e 4 disciplinano rispettivamente la
perizia e le modalità di redazione del verbale di
consistenza relativamente ad intercettazioni illegalmente disposte, secondo le norme introdotte
dal decreto-legge 22 settembre 2006, n. 259, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre
2006, n. 281.
L’articolo 3 inserisce un comma 1-bis nell’articolo
220 del codice di rito, volto a limitare l’esperibilità
della perizia sui documenti relativi a intercettazioni e raccolte di dati illecite, unicamente ove sia
dedotta o rilevata l’incompletezza o la contraddittorietà delle risultanze del verbale di consistenza,
disciplinato dall’articolo 240-ter, introdotto dall’articolo 4 della presente proposta di legge.
La norma di nuovo conio disciplina l’udienza per
la redazione del verbale di consistenza, in cui il
giudice, in contraddittorio tra le parti, accerta la
tipologia dei documenti relativi ad intercettazioni o raccolte di dati illegali (costituenti corpo del
reato) e i soggetti destinatari dell’illecita captazione.
La lettera a) del comma 1 dell’articolo 1 modifica
l’articolo 114 del codice di rito, limitando il divieto di pubblicazione degli atti secretati al momento precedente a quello in cui l’imputato o il suo
difensore abbiano potuto averne conoscenza. Si
dispone inoltre il divieto di pubblicazione anche
parziale, della documentazione e degli atti relativi
a conversazioni, anche telefoniche, o a flussi di comunicazioni informatiche o telematiche ovvero ai
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vata da uno a tre anni. La lettera b) dell’articolo
in esame introduce, poi, un’ulteriore fattispecie di
reato (articolo 617-septies del codice penale) volta
a sanzionare chiunque prenda illecitamente diretta
cognizione di atti del procedimento penale coperti
da segreto; tale formulazione consente di escludere la responsabilità penale di chi si sia limitato a
ricevere gli atti di cui sopra, senza concorrere nell’accesso illecito ai luoghi ove gli stessi vengono
custoditi.
La medesima lettera b) introduce poi due ulteriori
fattispecie, inerenti rispettivamente alla detenzione di documenti illecitamente formati o acquisiti e
alla rivelazione del contenuto di documenti redatti attraverso la raccolta illecita di informazioni, al
fine di garantire una maggiore tutela sia alla riservatezza individuale, sia al segreto istruttorio.
L’articolo 22 estende la responsabilità da reato degli
enti, di cui al decreto legislativo n. 231 del 2001,
alle ipotesi di realizzazione della contravvenzione
di cui all’articolo 684 del codice penale.
L’articolo 23 sancisce il diritto al rispetto della presunzione di innocenza, conferendo al soggetto leso
la possibilità di richiedere al giudice, anche attraverso la procedura di cui all’articolo 700 del codice
di procedura civile, l’adozione di ogni provvedimento idoneo a far cessare il comportamento lesivo,
sulla scorta peraltro di quanto previsto dal codice
civile francese, in seguito alle riforme del 1993.
L’articolo 24 sostituisce l’articolo 8 della legge
sulla stampa (legge 8 febbraio 1948, n. 47), relativamente al procedimento per la rettifica delle
informazioni ritenute non veritiere o lesive della
reputazione dei soggetti interessati, diffuse attraverso trasmissioni radiofoniche e televisive ovvero
mediante siti internet. Si prevede altresì una specifica procedura di rettifica anche per la stampa non
periodica, precisandosi inoltre che la rettifica non
rechi nessun commento ulteriore.
L’articolo 25, infine, oltre ad adeguare l’articolo 132
del codice di cui al decreto legislativo n. 196 del
2003 alla nuova disciplina delle intercettazioni, introduce, all’articolo 164-bis del medesimo codice,
sanzioni amministrative per le condotte di pubblicazione a fini di informazione giornalistica di dati
personali in violazione delle disposizioni previste
dal codice medesimo e dal codice di deontologia:
la sanzione prevista consiste nella pubblicazione
della decisione che abbia accertato la violazione.
L’espressa qualificazione in termini di illiceità di
ai
Gi
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tiz
ia
da assicurare la segretezza della documentazione in
esso contenuta.
In particolare, il funzionario responsabile dovrà comunicare ogni due mesi al procuratore della Repubblica l’elenco delle operazioni che si protraggono da
oltre tre mesi; tale disposizione è stata prevista per
consentire al capo dell’ufficio giudiziario di essere
costantemente al corrente della mole di intercettazioni in corso presso la struttura da egli diretta e
rendere attuabile il suo consapevole controllo sulle
predette attività, anche sotto il profilo delle spese
affrontate per realizzarle.
L’articolo 20 sancisce in capo al procuratore della
Repubblica l’obbligo di trasmettere annualmente al
Ministro della giustizia una relazione sulle spese
di gestione e di amministrazione relative alle operazioni di intercettazione, al fine di assicurare un
monitoraggio costante in ordine agli oneri finanziari connessi al ricorso a tale mezzo di ricerca
della prova.
L’articolo 21, comma 1, lettera a), riformula
l’articolo 379-bis del codice penale («Rivelazione illecita di segreti inerenti
a un procedimento penale»); la
nuova formulazione della norma
sanziona con la reclusione da uno
a quattro anni la condotta di «Chiunque rivela indebitamente notizie inerenti
ad atti o attività del procedimento penale
coperti dal segreto, dei quali sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio o servizio (...)
o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza».
Se il fatto è commesso per colpa, le pene sono considerevolmente diminuite, mentre se la condotta è
commessa da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio le pene sono aumentate
In tale modo, si è approntata una tutela penale
fondata sull’accesso «qualificato» ad atti del procedimento penale, configurando pertanto il reato
in esame come reato «proprio» (ad esempio anche
del difensore o dell’investigatore privato incaricato
delle investigazioni difensive).
Il quarto comma del medesimo articolo riproduce
il secondo comma della vecchia formulazione della
norma, che sanziona l’inottemperanza all’ordine di
non divulgare notizie del procedimento penale impartito al sommario informatore dal pubblico ministero ai sensi dell’articolo 391- quinquies del codice
di procedura penale, anche se la sanzione (prevista
prima fino a un anno di reclusione) è stata ele-
110
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ne abbiano potuto avere conoscenza e salvo quanto
disposto dal comma 2»;
b) il comma 2 è sostituito dal seguente:
«2. È vietata la pubblicazione, anche parziale, della
documentazione e degli atti relativi a conversazioni, anche telefoniche, o a flussi di comunicazioni
informatiche o telematiche ovvero ai dati riguardanti il traffico telefonico o telematico, anche se
non più coperti dal segreto e anche se inseriti in
altri provvedimenti del pubblico ministero o del
giudice per le indagini preliminari, fino alla conclusione delle indagini preliminari»;
c) il comma 3 è abrogato;
d) il comma 7 è sostituito dal seguente:
«7. È in ogni caso vietata la pubblicazione, anche
parziale o per riassunto, della documentazione, degli atti e dei contenuti relativi a conversazioni o a
flussi di comunicazioni informatiche o telematiche
di cui sia stata ordinata l’espunzione ai sensi degli articoli 268-ter, comma 1, e 268- quater,
comma 1, ovvero la distruzione ai sensi dell’articolo 269».
2.
ART. 2.
(Modifica all’articolo 115 del codice di procedura penale).
1
ai
simili condotte determina inoltre, di riflesso, la
possibilità del soggetto leso di agire nei confronti del giornalista con un’azione di responsabilità
aquiliana.
L’articolo 26 coordina il testo del decreto legge n.
259 del 2006, convertito, con modificazioni, dalla
legge n. 281 del 2006, alla nuova disciplina delle
intercettazioni, mentre l’articolo 27 introduce, all’interno del decreto legislativo n. 109 del 2006,
talune fattispecie disciplinari relative alla condotta
di magistrati responsabili di violazioni della riservatezza, al fine di garantire una maggiore tutela della
privacy e al contempo di responsabilizzare maggiormente i magistrati nel ricorso alle intercettazioni.
L’articolo 28, quindi, prevede tra l’altro l’abrogazione dell’articolo 9 della legge 8 aprile 1974, n.
98, norma che indica una particolare procedura per
l’individuazione di apparecchi o strumenti idonei ad
operare intercettazioni di comunicazioni ai sensi
del vigente codice di rito e che appare in contrasto
con i princìpi comunitari di libera circolazione delle
merci, nonché con la specifica normativa del settore degli apparati radio e terminali di telecomunicazione (direttiva 1999/5/CE del Parlamento europeo
e del Consiglio, del 9 marzo 1999, recepita con il
decreto legislativo 9 maggio 2001, n. 269).
L’articolo 29, poi, chiarisce che le disposizioni processuali introdotte dalla legge non si applicano ai
procedimenti già trasmessi al giudice per l’udienza
preliminare alla data della sua entrata in vigore, e
che il novellato articolo 268, comma 3, potrà trovare applicazione soltanto decorsi tre mesi dalla
data di pubblicazione del decreto del Ministro della
giustizia disciplinante l’entrata in funzione dei centri di intercettazione telefonica di cui al medesimo
articolo 268.
L’articolo 30, infine, prevede le disposizioni relative
alla copertura finanziaria del provvedimento.
PROPOSTA DI LEGGE
1. Il comma 2 dell’articolo 115 del codice
di procedura penale è sostituito dal seguente:
«2. Di ogni iscrizione nel registro degli indagati
per fatti costituenti reato di violazione del divieto
di pubblicazione commessi dalle persone indicate
al comma 1, il procuratore della Repubblica procedente informa immediatamente l’organo titolare
del potere disciplinare che, nei successivi trenta
giorni, qualora siano verificate la gravità del fatto e la sussistenza di elementi di responsabilità e
sentito il presunto autore del fatto, può disporre la
sospensione cautelare dal servizio o dall’esercizio
della professione fino a tre mesi».
ART. 1.
(Modifiche all’articolo 114 del codice di procedura
penale).
ART. 3.
(Modifica all’articolo 220 del codice di procedura penale).
1. All’articolo 114 del codice di procedura penale
sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1 sono aggiunte, in fine, le seguenti
parole: «fino a che l’imputato o il suo difensore non
1. Dopo il comma 1 dell’articolo 220 del codice di
procedura penale è inserito il seguente:
«1-bis. La perizia sui documenti di cui all’articolo 240-bis è ammessa soltanto nel caso in cui sia
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Quaderni PD.indb 111
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dedotta o comunque rilevata l’incompletezza o la
contraddittorietà dei dati che emergono dal relativo verbale di consistenza, redatto ai sensi dell’articolo 240-ter.
Le attività peritali devono in tale caso essere compiute esclusivamente sui documenti il cui esame
risulta necessario per rispondere ai quesiti posti dal
giudice».
ART. 4.
(Introduzione degli articoli 240-bis e 240-ter del codice di procedura penale).
ART. 5.
(Modifica all’articolo 266 del codice di procedura penale).
1. Al comma 1 dell’articolo 266 del codice di procedura penale, la parola: «telecomunicazione» è sostituita dalla seguente: «comunicazione».
ai
Gi
us
tiz
ia
1. Dopo l’articolo 240 del codice di procedura penale sono inseriti i seguenti:
«ART. 240-bis. – (Documenti relativi a intercettazioni e raccolte di dati illecite). – 1. I documenti che
contengono dati inerenti a conversazioni o comunicazioni, telefoniche, informatiche o telematiche,
illecitamente formati o acquisiti e i documenti
redatti attraverso la raccolta illecita di informazioni non possono essere acquisiti
al procedimento né in alcun modo utilizzati, salvo che costituiscano corpo del reato ai sensi dell’articolo
253, comma 2, o che provengano
comunque dall’imputato.
2. Salvo quanto previsto dall’articolo 240ter, decorsi cinque anni dalla data nella quale i documenti sono pervenuti alla procura della
Repubblica, gli stessi sono distrutti con provvedimento adottato annualmente dal procuratore della Repubblica. Delle relative operazioni è redatto
verbale.
ART. 240-ter. – (Udienza per la redazione del verbale
di consistenza). – 1. Quando sono acquisiti al procedimento i documenti costituenti corpo del reato
ai sensi dell’articolo 240-bis, comma 1, il pubblico
ministero richiede entro dieci giorni al giudice per
le indagini preliminari di procedere alla redazione
del verbale di consistenza di cui al comma 4. Entro
il medesimo termine il pubblico ministero trasmette anche i documenti acquisiti. Qualora sugli stessi debbano essere effettuati in via preliminare gli
accertamenti tecnici di cui agli articoli 359 e 360,
il giudice può autorizzare il pubblico ministero a ritardarne la trasmissione per non più di trenta giorni, prorogabili motivatamente, per una sola volta,
per altri trenta giorni.
2. Il giudice fissa l’udienza in camera di consiglio,
da tenere entro dieci giorni dalla data della trasmissione dei documenti di cui al comma 1, per
accertare:
a) la tipologia dei documenti e dei dati in essi raccolti;
b) i soggetti destinatari della captazione o della
raccolta illecita di informazioni.
3. Il procedimento si svolge nelle forme previste
dall’articolo 127, commi 1, 2, 6 e 10. L’avviso della
data fissata per l’udienza è comunicato, almeno tre
giorni prima, al pubblico ministero; esso è notificato, entro lo stesso termine, all’imputato, al suo difensore e agli altri soggetti interessati che risultino
immediatamente individuabili dai documenti di cui
al comma 1. Il pubblico ministero e i difensori sono
sentiti se compaiono. Fino al giorno dell’udienza
i documenti restano depositati in cancelleria, con
facoltà per i difensori di esaminarli. È in ogni caso
vietato il rilascio di copia degli stessi.
4. Delle operazioni effettuate è redatto apposito
verbale, ma il contenuto dei documenti non può
in nessun caso costituirne oggetto al di fuori dei
limiti di cui al comma 2.
5. Il verbale di cui al comma 4 è inserito nel fascicolo del dibattimento ai sensi dell’articolo 431,
comma 1, lettera h-bis).
6. All’esito delle operazioni, i documenti sono immediatamente restituiti al pubblico ministero e custoditi nell’archivio riservato previsto dal comma
3-ter dell’articolo 268. Si applicano le disposizioni
dell’articolo 269, comma 2».
ART. 6.
(Modifica all’articolo 266-bis del codice di procedura
penale).
1. Al comma 1 dell’articolo 266-bis del codice di
procedura penale, dopo le parole: «tra più sistemi»
sono aggiunte le seguenti: «secondo le norme del
presente capo».
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ART. 7.
(Introduzione degli articoli 266-ter e 266- quater del
codice di procedura penale).
ART. 8.
(Modifica dell’articolo 267 del codice di procedura
penale).
1. L’articolo 267 del codice di procedura penale è
sostituito dal seguente:
«ART. 267. – (Presupposti e forme del provvedimento). – 1. Il pubblico ministero richiede al giudice
per le indagini preliminari l’autorizzazione a disporre le operazioni previste dall’articolo 266. L’autorizzazione è data con decreto motivato che deve
contenere, a pena di inutilizzabilità dei risultati
dell’intercettazione ai sensi dell’articolo 271, comma 1, la valutazione della sussistenza di gravi indizi di reato e della circostanza che l’intercettazione
sia assolutamente indispensabile per la prosecuzione delle indagini. Nella valutazione degli indizi di
reato si applica l’articolo 203.
2. Nei casi di urgenza, quando vi è fondato motivo
di ritenere che dal ritardo possa derivare grave pregiudizio alle indagini, il pubblico ministero dispone
2.
1
ai
1. Dopo l’articolo 266-bis del codice di procedura
penale sono inseriti i seguenti:
«ART. 266-ter. – (Intercettazione di corrispondenza
postale). – 1. Le norme del presente capo si applicano, in quanto compatibili, anche alle intercettazioni di corrispondenza postale che non interrompono il corso della spedizione.
ART. 266-quater. – (Riprese visive). – 1. Nei procedimenti relativi ai reati indicati nell’articolo 266,
comma 1, le disposizioni relative alle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni telefoniche
si applicano:
a) alle operazioni di ripresa visiva captative anche
di conversazioni;
b) alle operazioni di ripresa visiva a contenuto non
captativo di conversazioni che si svolgono nei luoghi di cui all’articolo 614 del codice penale.
2. Fuori dei casi di cui al comma 1, lettera a), le
riprese visive che si svolgono in luoghi pubblici o
aperti o esposti al pubblico possono essere eseguite di propria iniziativa dalla polizia giudiziaria,
ma devono essere convalidate con decreto motivato del pubblico ministero nelle quarantotto ore
successive».
l’intercettazione con decreto motivato, che deve essere comunicato immediatamente e comunque non
oltre le ventiquattro ore al giudice per le indagini
preliminari. La motivazione del decreto deve specificare il grave pregiudizio che giustifica l’urgenza
dell’intercettazione. Il giudice, entro quarantotto
ore dal provvedimento, decide sulla convalida con
decreto motivato ai sensi del comma 1. Se il decreto del pubblico ministero non è convalidato nel
termine stabilito, l’intercettazione non può essere
proseguita e i risultati di essa non possono essere
utilizzati.
3. Il decreto del pubblico ministero che dispone
l’intercettazione indica le modalità e la durata delle
operazioni per un periodo massimo di quindici giorni, prorogabile dal giudice con decreto motivato in
pari misura e per una durata complessiva massima
non superiore a tre mesi, fatta eccezione per i casi
in cui l’intercettazione sia disposta nell’ambito di
indagini per i reati di cui al comma 5 o per reati contro la pubblica amministrazione o per i
reati di cui agli articoli 648-bis e 648-ter
del codice penale, qualora permangano i presupposti indicati nel comma 1. La durata di tre mesi può
essere superata solo qualora siano
emersi nuovi elementi investigativi in
relazione ai presupposti indicati nel comma 1. Tali elementi devono essere specificamente indicati nel provvedimento di proroga
unitamente ai requisiti indicati nel comma 1. Con
il decreto, il pubblico ministero individua l’ufficiale di polizia giudiziaria responsabile del corretto
adempimento delle operazioni.
4. La durata dell’intercettazione di comunicazioni
tra presenti eseguite nei luoghi di cui all’articolo
614 del codice penale non può essere prorogata
più di due volte, fatta eccezione per i casi in cui
l’intercettazione sia disposta nell’ambito di indagini per i reati di cui al comma 5 o per reati contro
la pubblica amministrazione o per i reati di cui agli
articoli 648-bis e 648-ter del codice penale e salvo che siano emersi nuovi elementi investigativi
in relazione ai presupposti indicati nel comma 1.
Tali nuovi elementi devono essere specificamente
indicati nel provvedimento di proroga unitamente
ai requisiti indicati nel comma 1.
5. Per quanto concerne la sussistenza di indizi sufficienti, la durata delle intercettazioni e il numero
delle proroghe, nonché l’ intercettazione di comu-
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ART. 9.
(Introduzione dell’articolo 267-bis
del codice di procedura penale).
Gi
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ia
nicazioni tra presenti nei luoghi di cui all’articolo
614 del codice penale, resta fermo quanto previsto
dall’articolo 9 della legge 11 agosto 2003, n. 228,
dall’articolo 13 del decreto-legge 13 maggio 1991,
n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge
12 luglio 1991, n. 203, e successive modificazioni,
e dall’articolo 3 del decreto-legge 18 ottobre 2001,
n. 374, convertito, con modificazioni, dalla legge
15 dicembre 2001, n. 438, e successive modificazioni.
6. Il pubblico ministero procede alle operazioni
personalmente oppure avvalendosi di un ufficiale
di polizia giudiziaria.
7. In apposito registro riservato tenuto presso ogni
ufficio del pubblico ministero sono annotati, secondo l’ordine cronologico, la data e l’ora di emissione e la data e l’ora di deposito in cancelleria o in
segreteria dei decreti che dispongono, autorizzano,
convalidano o prorogano le intercettazioni e, per
ciascuna intercettazione, l’inizio e il termine
delle operazioni, nonché i nominativi del
personale intervenuto, compreso quello
della polizia giudiziaria».
1. Dopo l’articolo 267 del codice di procedura penale è inserito il seguente:
«ART. 267-bis. – (Acquisizione di dati relativi al
traffico telefonico). – 1. Nel corso delle indagini
preliminari, i dati relativi al traffico telefonico sono
acquisiti presso il fornitore con decreto motivato
del pubblico ministero anche su istanza del difensore della persona sottoposta alle indagini o della
persona offesa.
1. All’articolo 268 del codice di procedura penale
sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il comma 3 è sostituito dal seguente:
«3. Le operazioni di registrazione sono compiute
per mezzo degli impianti installati e custoditi nei
centri di intercettazione telefonica istituiti presso
le procure generali o presso le procure della Repubblica della sede del distretto di corte di appello.
Le operazioni di ascolto delle conversazioni intercettate sono compiute mediante impianti installati
nei punti di ascolto istituiti presso la competente
procura della Repubblica.
Quando tali impianti o punti di ascolto risultano
insufficienti o inidonei ovvero esistono particolari
ragioni di urgenza o di coordinamento celere delle
indagini, il pubblico ministero può disporre, con
decreto motivato, il compimento delle operazioni
mediante impianti di pubblico servizio o in dotazione alla polizia giudiziaria»;
b) dopo il comma 3-bis sono inseriti i seguenti:
«3-ter. I verbali e le registrazioni sono trasmessi
immediatamente, e comunque non oltre la scadenza del termine di ciascun periodo di intercettazione, al pubblico ministero. Essi sono custoditi in un
apposito archivio riservato e secondo le modalità e
le procedure previste dagli articoli 89 e 89-bis delle
norme di attuazione, di coordinamento e transitorie
del presente codice.
3-quater. Ai procuratori generali presso la corte di
appello e ai procuratori della Repubblica territorialmente competenti sono attribuiti i poteri di gestione, vigilanza, controllo e ispezione dei centri
di intercettazione e dei punti di ascolto di cui al
comma 3»;
c) i commi da 4 a 8 sono abrogati.
ai
2. Nel corso delle indagini preliminari, il difensore
della persona sottoposta alle indagini e quello della persona offesa possono richiedere direttamente
al fornitore i dati relativi alle utenze intestate al
proprio assistito con le modalità indicate dall’articolo 391-quater.
ART. 10.
(Modifiche all’articolo 268 del codice di procedura
penale).
3. Dopo la chiusura delle indagini preliminari, i dati
sono acquisiti presso il fornitore con decreto motivato del giudice su istanza del pubblico ministero,
del difensore dell’imputato, della persona sottoposta alle indagini o della persona offesa».
2. Al fine di garantire la concreta rispondenza degli apparati di registrazione e di ascolto installati
presso le procure della Repubblica alle finalità e
alle previsioni della presente legge, il Ministro della
giustizia, entro un mese dalla data di entrata in
vigore della medesima legge, con proprio decreto,
adottato di concerto con il Ministro dello sviluppo
economico, definisce le procedure e le specifiche
tecniche dei citati apparati, indicando l’ente che
deve provvedere alla loro omologazione.
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3. All’attuazione del comma 2 si provvede nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie
già disponibili a legislazione vigente senza nuovi o
maggiori oneri per la finanza pubblica.
ART. 11.
(Introduzione degli articoli 268-bis, 268-ter, 268quater, 268-quinquies e 268-sexies del codice di
procedura penale).
2.
1
ai
1. Dopo l’articolo 268 del codice di procedura penale sono inseriti i seguenti:
«ART. 268-bis. – (Deposito e acquisizione dei verbali e delle registrazioni). – 1. Entro cinque giorni
dalla conclusione delle operazioni, il pubblico ministero deposita presso la segreteria i verbali e le
registrazioni relativi alle conversazioni che ritiene
rilevanti ai fini delle indagini, indicando le ragioni
della rilevanza.
Sono contestualmente depositati anche i decreti che hanno disposto, autorizzato, convalidato o
prorogato l’intercettazione nonché le relative richieste.
Gli atti relativi a conversazioni di cui è vietata l’utilizzazione e a quelle prive di rilevanza, in
quanto riguardanti esclusivamente fatti, persone o
circostanze estranei alle indagini, restano custoditi nell’archivio riservato previsto dal comma 3-ter
dell’articolo 268.
2. Gli atti rimangono depositati per il tempo stabilito dal pubblico ministero, comunque non inferiore
a cinque giorni, salvo che il giudice riconosca necessaria una proroga.
3. Il giudice può autorizzare il pubblico ministero
a ritardare il deposito di cui al comma 1, non oltre
la chiusura delle indagini preliminari, qualora dal
deposito possa derivare grave pregiudizio per le
indagini espressamente indicato in apposito decreto.
4. Ai difensori delle parti è dato immediatamente
avviso che, entro il termine di cui al comma 2, hanno facoltà:
a) di esaminare gli atti depositati e quelli custoditi nell’archivio riservato previsto dal comma 3-ter
dell’articolo 268;
b) di ascoltare le registrazioni, ivi comprese quelle
custodite nell’archivio riservato previsto dal comma 3-ter dell’articolo 268, ovvero di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche
o telematiche;
c) di indicare specificamente al giudice le conversazioni non depositate delle quali chiedono l’acquisizione, enunciando le ragioni della loro rilevanza;
d) di indicare specificamente al giudice le conversazioni depositate che ritengono irrilevanti o di cui
sia vietata l’utilizzazione.
5. Scaduto il termine di cui al comma 2, il giudice,
sentite le parti senza formalità, dispone con ordinanza l’acquisizione delle conversazioni che ritiene
rilevanti e di cui non è vietata l’utilizzazione. Il
giudice può sempre esaminare, se lo ritiene necessario, gli atti custoditi nell’archivio riservato previsto dal comma 3-ter dell’articolo 268.
6. La documentazione depositata della quale il giudice non ha disposto l’acquisizione è immediatamente restituita al pubblico ministero e custodita
nell’archivio riservato previsto dal comma 3-ter dell’articolo 268.
7. Le disposizioni di cui ai commi da 1 a 6 si applicano, in quanto compatibili, anche ai dati
relativi al traffico telefonico.
8. I difensori delle parti possono estrarre
copia soltanto delle conversazioni di
cui è stata disposta l’acquisizione.
9. I difensori, fino a quando non
sia avvenuta la distruzione della
documentazione ai sensi dell’articolo
269, possono esaminare gli atti e ascoltare le registrazioni custoditi nell’archivio
riservato previsto dal comma 3-ter dell’articolo
268, secondo le modalità di cui all’articolo 89-bis
delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del presente codice.
ART. 268-ter. – (Trascrizione delle registrazioni). – 1.
Il giudice, compiute le formalità di cui all’articolo
268-bis, dispone perizia per la trascrizione delle registrazioni ovvero la stampa in forma intellegibile
delle informazioni contenute nei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche acquisite. Al
termine delle operazioni i verbali e le registrazioni utilizzati per lo svolgimento dell’incarico sono
immediatamente restituiti al pubblico ministero e
sono custoditi nell’archivio riservato previsto dal
comma 3-ter dell’articolo 268. È vietata la trascrizione delle parti di conversazioni riguardanti esclusivamente fatti, circostanze o persone estranei alle
indagini. Il giudice dispone che i nominativi o i
riferimenti identificativi di soggetti estranei alle
indagini siano espunti dalle trascrizioni delle conversazioni.
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Quaderni PD.indb 115
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b) la trasmissione dei dati relativi alle intercettazioni su supporti informatici e cartacei o per via
telematica, che deve essere in ogni caso corredata
dall’annotazione degli estremi della destinazione,
degli utenti, del giorno e dell’ora di trasmissione
e di ricezione. Per ogni consegna di copia di documenti è redatto specifico e dettagliato verbale.
ART. 268-quinquies. – (Ascolto e acquisizione di conversazioni disposti dal giudice). – 1. Dopo la chiusura
delle indagini preliminari e nell’udienza preliminare
il giudice, ai fini della decisione da adottare, può
sempre disporre anche d’ufficio l’esame dei verbali
e l’ascolto delle registrazioni custoditi nell’archivio
riservato previsto dal comma 3-ter dell’articolo 268.
All’esito può disporre con ordinanza l’acquisizione
delle intercettazioni in precedenza ritenute prive di
rilevanza. Per la trascrizione si osservano le forme e
le garanzie della perizia.
2. Nel corso del dibattimento, il giudice può disporre, su richiesta specificamente motivata delle
parti, l’acquisizione delle intercettazioni in precedenza ritenute prive di rilevanza. Per la trascrizione
si applicano le disposizioni di cui all’articolo 268ter».
ART. 12.
(Modifica dell’articolo 269 del codice di procedura
penale).
1. L’articolo 269 del codice di procedura penale è
sostituito dal seguente:
«ART. 269. – (Conservazione della documentazione).
– 1. I verbali e i supporti contenenti le registrazioni sono conservati integralmente nell’archivio riservato previsto dal comma 3-ter dell’articolo 268.
2. Salvo quanto previsto dall’articolo 271, comma
3, le registrazioni sono conservate fino alla sentenza non più soggetta a impugnazione o, nei procedimenti conclusi con decreto di archiviazione, fino
a che non sia decorso il termine di prescrizione dei
reati per i quali si era proceduto. Decorsi tali termini, il giudice dispone anche d’ufficio la distruzione
della documentazione di cui al comma 1.
3. Nei casi di documentazione ritenuta assolutamente estranea alle indagini, il giudice, sentito il
pubblico ministero, può disporne, anche d’ufficio,
la distruzione anticipata, salvo che le intercettazioni siano state eseguite per taluno dei reati di
cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, o di cui
all’articolo 407, comma 2, lettera a).
ai
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ia
2. Le trascrizioni delle registrazioni e le relative
stampe sono inserite nel fascicolo del dibattimento
a norma dell’articolo 431.
3. Delle trascrizioni e delle stampe i difensori possono estrarre copia, anche su supporto informatico.
ART. 268-quater. – (Utilizzo delle intercettazioni
nel corso delle indagini preliminari). – 1. Il pubblico
ministero, anche prima del deposito previsto dall’articolo 268-bis, comma 1, al fine di presentare le
sue richieste al giudice, può disporre la trascrizione
delle conversazioni che ritiene rilevanti, anche per
riassunto, ad opera della polizia giudiziaria o del
consulente tecnico nominato ai sensi dell’articolo
359. È vietata la trascrizione delle parti di conversazioni riguardanti esclusivamente fatti, circostanze o persone estranei alle indagini. Il pubblico
ministero dispone che i nominativi o i riferimenti
identificativi di soggetti estranei alle indagini siano espunti dalle trascrizioni delle conversazioni,
ove ciò non rechi pregiudizio all’accertamento
dei fatti per cui si procede. L’eventuale pregiudizio deve essere espressamente indicato con decreto motivato.
2. Quando il giudice deve adottare
una decisione prima del deposito
previsto dall’articolo 268-bis, comma 1, il pubblico ministero trasmette
i verbali e le registrazioni delle conversazioni che ritiene rilevanti, anche a favore
della persona sottoposta alle indagini, e di cui
non è vietata l’utilizzazione.
3. Il giudice dispone l’acquisizione delle sole conversazioni ritenute rilevanti per la decisione nel
proprio fascicolo degli atti di indagine e restituisce
le altre al pubblico ministero. Queste ultime sono
custodite nell’archivio riservato previsto dal comma
3-ter dell’articolo 268.
4. La persona sottoposta alle indagini ovvero il suo
difensore, avuta conoscenza del provvedimento del
giudice, possono richiedere il deposito dei verbali, delle trascrizioni e delle registrazioni relativi
alle conversazioni utilizzate dal giudice stesso per
l’adozione del provvedimento, nonché una nuova
trascrizione con le formalità di cui all’articolo 268ter.
5. Sono soggette ad autorizzazione del pubblico
ministero le seguenti attività:
a) la stampa dei dati relativi alle intercettazioni,
che deve essere in ogni caso corredata dalla precisa
indicazione delle pagine stampate;
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4. Nei casi di documentazione ritenuta irrilevante
per il procedimento, gli interessati possono chiederne la distruzione anticipata al giudice che procede, a tutela della riservatezza. Sull’istanza, sentite le parti, il giudice decide con decreto motivato.
5. La distruzione è eseguita sotto controllo del giudice. Dell’operazione è redatto verbale».
ART. 13.
(Modifica all’articolo 270 del codice di procedura penale).
ART. 16.
(Introduzione dell’articolo 329-bis del codice di procedura penale).
1. Nel titolo I del libro quinto del codice di procedura penale, dopo l’articolo 329 è aggiunto il seguente:
«ART. 329-bis. – (Obbligo del segreto per le intercettazioni). – 1. I verbali, le registrazioni e i supporti relativi alle conversazioni o ai flussi di comunicazioni informatiche o telematiche custoditi
nell’archivio riservato previsto dal comma 3-ter
dell’articolo 268, non acquisiti ai sensi degli
articoli 268-bis, 268-ter, 268-quater e 268quinquies, nonché la documentazione comunque ad essi inerente, sono sempre
coperti dal segreto.
2. I documenti che contengono
dati inerenti a conversazioni o comunicazioni telefoniche, informatiche
o telematiche, illecitamente formati o
acquisiti e i documenti redatti attraverso la
raccolta illecita di informazioni, ove non acquisiti al procedimento, sono sempre coperti dal segreto; i medesimi documenti, se acquisiti al procedimento come corpo del reato ai sensi dell’articolo
240-bis, comma 1, sono coperti dal segreto fino
alla chiusura delle indagini preliminari».
1. Dopo il comma 2-ter dell’articolo 292 del codice
di procedura penale è inserito il seguente:
«2-quater. Nell’ordinanza le intercettazioni di conversazioni, comunicazioni telefoniche o telematiche possono essere richiamate soltanto nel contenuto».
2. Dopo il primo periodo del comma 3 dell’articolo 293 del codice di procedura penale è inserito il
seguente: «Sono depositati soltanto i verbali e le
autorizzazioni relativi alle intercettazioni espressamente indicate nella richiesta del pubblico ministero, previa verifica dell’intervenuta espunzione
delle parti concernenti fatti, persone o circostanze
estranei al procedimento o comunque non aventi
rilevanza penale».
2.
ART. 14.
(Modifiche agli articoli 292 e 293 del codice di procedura penale).
1
ai
1. Il comma 2 dell’articolo 270 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:
«2. Ai fini dell’utilizzazione prevista dal comma
1, i verbali e le registrazioni delle intercettazioni
sono trasmessi all’autorità competente per il diverso procedimento. Si applicano le disposizioni degli
articoli 268- bis, 268-ter, 268-quater e 268-quinquies».
le modalità previsti dagli articoli 266 e 267, può
disporre l’intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche e di altre forme di comunicazione. Si applicano, in quanto compatibili, le
disposizioni degli articoli 268, 268-bis, 268-ter,
268-quater, 268-quinquies, 269 e 270».
ART 17.
(Modifica all’articolo 431 del codice di procedura penale).
ART. 15.
(Modifica all’articolo 295 del codice di procedura penale).
1. Al comma 1 dell’articolo 431 del codice di procedura penale, dopo la lettera h) è aggiunta la seguente:
«h-bis) il verbale di cui all’articolo 240-ter, comma
4».
1. Il comma 3 dell’articolo 295 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente:
«3. Al fine di agevolare le ricerche del latitante,
il giudice o il pubblico ministero, nei limiti e con
ART. 18.
(Modifiche all’articolo 89 delle norme di attuazione,
di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale e disposizioni sui costi sostenuti dagli
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operatori di telecomunicazioni per le prestazioni a
fini di giustizia).
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1. All’articolo 89 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n.
271, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1 sono aggiunte, in fine, le seguenti
parole: «e del responsabile delle operazioni»;
b) al comma 2, le parole: «I nastri contenenti le
registrazioni» sono sostituite dalle seguenti: «I
supporti contenenti le registrazioni e i flussi di comunicazioni informatiche o telematiche»;
c) dopo il comma 2 sono aggiunti i seguenti:
«2-bis. Il procuratore della Repubblica designa un
funzionario responsabile del servizio di intercettazione e della tenuta del registro riservato delle
intercettazioni, di cui all’articolo 267, comma 7,
del codice, e dell’archivio riservato, previsto dal
comma 3-ter dell’articolo 268 del codice, nel
quale sono custoditi i verbali e i supporti.
2-ter. Il funzionario di cui al comma 2-bis
comunica al procuratore della Repubblica ogni due mesi l’elenco delle
operazioni che si protraggono da
oltre tre mesi»;
d) alla rubrica, le parole: «e nastri registrati delle intercettazioni» sono sostituite dalle seguenti: «e supporti contenenti
le registrazioni e i flussi di comunicazioni informatiche o telematiche».
1. Nel capo VI del titolo I delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di
procedura penale, di cui al decreto legislativo 28
luglio 1989, n. 271, dopo l’articolo 89 è aggiunto
il seguente:
«ART. 89-bis. – (Archivio riservato delle intercettazioni). – 1. Presso la procura della Repubblica è
istituito l’archivio riservato previsto dal comma 3ter dell’articolo 268 del codice.
2. L’archivio è tenuto sotto la responsabilità, direzione e sorveglianza del procuratore della Repubblica, ovvero di un suo delegato, con modalità tali
da assicurare la segretezza della documentazione in
esso contenuta.
3. Oltre agli ausiliari autorizzati dal procuratore
della Repubblica, all’archivio possono accedere, nei
casi stabiliti dalla legge, il giudice e i difensori.
Ogni accesso, anche dei magistrati della procura,
è annotato in apposito registro, con l’indicazione
della data, dell’ora iniziale e finale dell’accesso e
degli atti contenuti nell’archivio di cui è stata presa conoscenza.
4. Nei casi previsti dalla legge, il difensore può
ascoltare le registrazioni esclusivamente con apparecchi a disposizione dell’archivio».
ART. 20.
(Introduzione dell’articolo 90-bis delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di
procedura penale).
1. Nel capo VI del titolo I delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di
procedura penale, di cui al decreto legislativo 28
luglio 1989, n. 271, dopo l’articolo 90 è aggiunto
il seguente:
«ART. 90-bis. – (Spese di gestione e di amministrazione in materia di intercettazioni telefoniche e
ambientali). – 1. Entro il 31 marzo di ogni anno,
ciascun procuratore della Repubblica trasmette al
Ministro della giustizia una relazione sulle spese
di gestione e di amministrazione avente ad oggetto le intercettazioni telefoniche e ambientali effettuate nell’anno precedente. Ai fini del controllo
sulla gestione amministrativa di cui alla legge 14
ai
2. Dalla data di entrata in vigore della presente
legge nessun rimborso è corrisposto per i costi sostenuti dagli operatori per le prestazioni a fini di
giustizia effettuate a fronte di richieste di intercettazione ovvero di richieste di acquisizione di dati
relativi al traffico telefonico da parte delle competenti autorità giudiziarie.
ART. 19.
(Introduzione dell’articolo 89-bis delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di
procedura penale).
3. I costi sostenuti dagli operatori per le prestazioni a fini di giustizia effettuate a fronte di richieste
di intercettazione ovvero di richieste di acquisizione di dati relativi al traffico telefonico da parte
delle competenti autorità giudiziarie, avanzate antecedentemente alla data di entrata in vigore della
presente legge, sono rimborsati secondo il listino
di cui al decreto del Ministro delle comunicazioni
26 aprile 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale
n. 104 del 7 maggio 2001.
118
Quaderni PD.indb 118
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gennaio 1994, n. 20, e successive modificazioni, la
relazione è trasmessa dal Ministro della giustizia al
procuratore generale della Corte dei conti».
ART. 21.
(Modifiche al codice penale).
2.
1
ai
1. Al codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:
a) l’articolo 379-bis è sostituito dal seguente:
«ART. 379-bis. – (Rivelazione illecita di segreti inerenti a un procedimento penale). – Chiunque rivela
indebitamente notizie inerenti ad atti o attività del
procedimento penale coperti dal segreto, dei quali
sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio o servizio, svolti in un procedimento penale,
o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza, è
punito con la reclusione da uno a quattro anni.
Se il fatto è commesso per colpa, la pena è della
reclusione fino a un anno.
Se il fatto di cui ai commi primo e secondo è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato
di un pubblico servizio, la pena è della reclusione,
rispettivamente, da due a sei anni e da uno a due
anni.
Chiunque, dopo avere rilasciato dichiarazioni nel
corso delle indagini preliminari, non osserva il divieto imposto dal pubblico ministero ai sensi dell’articolo 391-quinquies del codice di procedura penale è punito con la reclusione da uno a tre anni»;
b) dopo l’articolo 617-sexies sono inseriti i seguenti:
«ART. 617-septies. – (Accesso abusivo ad atti del
procedimento penale). – Chiunque, mediante modalità o attività illecita, prende diretta cognizione
di atti del procedimento penale coperti dal segreto
è punito con la pena della reclusione da uno a tre
anni.
ART. 617-octies. – (Detenzione di documenti illecitamente formati o acquisiti). – Fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 617 e 617-quater
del presente codice e all’articolo 167 del codice in
materia di protezione dei dati personali, di cui al
decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, chiunque, avendo consapevolezza dell’illecita formazione, acquisizione o raccolta, illecitamente detiene
documenti che contengono dati inerenti a conversazioni e comunicazioni telefoniche, informatiche
o telematiche, illecitamente formati o acquisiti,
ovvero documenti redatti attraverso la raccolta il-
lecita di informazioni, è punito con la reclusione da
uno a quattro anni.
ART. 617-novies. – (Rivelazione del contenuto di
documenti redatti attraverso la raccolta illecita di
informazioni). – Salvo che il fatto costituisca più
grave reato, chiunque rivela, mediante qualsiasi
mezzo di informazione al pubblico, in tutto o in
parte, il contenuto di documenti redatti attraverso
la raccolta illecita di informazioni è punito con la
reclusione da uno a quattro anni.
Se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o
da un incaricato di un pubblico servizio, la pena è
della reclusione da uno a cinque anni»;
c) l’articolo 684 è sostituito dal seguente:
«ART. 684. – (Pubblicazione arbitraria di atti di un
procedimento penale). – Chiunque pubblica, in tutto o in parte, anche per riassunto o nel contenuto,
atti o documenti di cui sia vietata per legge la pubblicazione è punito con l’ammenda da euro 500 a
euro 5.000.
Se gli atti o documenti si riferiscono a intercettazioni o alle captazioni di cui all’articolo 266-quater del codice di procedura penale, coperte dal segreto
ai sensi dell’articolo 329-bis del
medesimo codice, la pena è dell’ammenda da euro 1.000 a euro 10.000.
La condanna comporta la pubblicazione
della sentenza a norma dell’articolo 36».
ART. 22.
(Responsabilità degli enti).
1. Dopo l’articolo 25-sexies del decreto legislativo 8
giugno 2001, n. 231, è inserito il seguente:
«ART. 25-sexies.1 – (Responsabilità per il reato di cui
all’articolo 684 del codice penale). – 1. In relazione alla commissione del reato previsto dall’articolo
684 del codice penale, si applica all’ente la sanzione pecuniaria da cento a cinquecento quote».
ART. 23.
(Tutela del principio della presunzione di innocenza).
1. Chiunque, prima della definizione del giudizio,
sia indicato, a mezzo della stampa o di qualsiasi
altro mezzo di pubblicità, come autore di un fatto
previsto dalla legge come reato, può richiedere al
giudice, anche avvalendosi della procedura previ-
119
Quaderni PD.indb 119
09/02/2009 19.36.04
sta dall’articolo 700 del codice di procedura civile, di disporre ogni misura idonea a far cessare la
violazione del diritto al rispetto della presunzione
di innocenza. È comunque fatto salvo il diritto al
risarcimento di ogni danno patrimoniale e non patrimoniale subìto.
ART. 24.
(Modifica dell’articolo 8 della legge 8 febbraio 1948,
n. 47).
ART. 25.
(Modifiche al codice in materia di protezione dei
dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno
2003, n. 196).
ai
Gi
us
tiz
ia
1. L’articolo 8 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, e
successive modificazioni, è sostituito dal seguente:
«ART. 8. – (Risposte e rettifiche). – 1. Il direttore o,
comunque, il responsabile è tenuto a fare inserire
gratuitamente nel quotidiano o nel periodico o nell’agenzia di stampa le dichiarazioni o le rettifiche
senza commento dei soggetti di cui siano state
pubblicate immagini o ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi
ritenuti lesivi della loro dignità o contrari a verità, purché le dichiarazioni o
le rettifiche non abbiano contenuto
suscettibile di incriminazione penale.
2. Per i quotidiani, le dichiarazioni o
le rettifiche di cui al comma 1 sono pubblicate, non oltre due giorni da quello in cui
è avvenuta la richiesta, in testa di pagina e
collocate nella stessa pagina del giornale che ha
riportato la notizia cui si riferiscono.
3. Per i periodici, le dichiarazioni o le rettifiche
sono pubblicate, non oltre il secondo numero successivo alla settimana in cui è pervenuta la richiesta, nella stessa pagina che ha riportato la notizia
cui si riferisce.
4. Per le trasmissioni radiofoniche o televisive, le
dichiarazioni o le rettifiche sono effettuate ai sensi
dell’articolo 32 del testo unico della radiotelevisione, di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n.
177. Per i siti informatici, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, entro quarantotto ore dalla
richiesta, con le medesime caratteristiche grafiche,
la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa
visibilità della notizia cui si riferiscono.
5. Le dichiarazioni o le rettifiche devono fare riferimento allo scritto che le ha determinate e devono
essere pubblicate senza commento nella loro interezza, purché contenute entro il limite di trenta
righe, con le medesime caratteristiche tipografiche,
per la parte che si riferisce direttamente alle affermazioni contestate.
6. Per la stampa non periodica l’autore dello scritto,
ovvero i soggetti di cui all’articolo 57-bis del codice
penale, provvedono, su richiesta della persona offesa, alla pubblicazione, a proprie cura e spese su
non più di due quotidiani a tiratura nazionale indicati dalla stessa persona, delle dichiarazioni o delle
rettifiche dei soggetti di cui siano state pubblicate
immagini o ai quali siano stati attribuiti atti o affermazioni da essi ritenuti lesivi della propria reputazione o contrari a verità, purché le dichiarazioni
o le rettifiche non abbiano contenuto suscettibile
di rilevare penalmente. La pubblicazione in rettifica
è effettuata, entro sette giorni dalla richiesta, con
idonea collocazione, visibilità e caratteristica grafica e deve inoltre fare inequivoco riferimento allo
scritto che l’ha determinata.
7. Qualora, trascorso il termine di cui ai commi 2, 3
e 4, relativamente ai siti informatici, e 6, la dichiarazione o la rettifica non sia stata pubblicata o lo
sia stata in violazione di quanto disposto dai commi 2, 3 e 4, relativamente ai siti informatici, 5 e 6,
l’autore della richiesta di rettifica, se non intende
procedere a norma del decimo comma dell’articolo
21 della presente legge, può chiedere al giudice, ai
sensi dell’articolo 700 del codice d procedura civile,
che sia ordinata la pubblicazione.
8. Della medesima procedura può avvalersi l’autore dell’offesa, qualora il direttore responsabile del
giornale o del periodico, ovvero il responsabile della trasmissione radiofonica, televisiva o delle trasmissioni informatiche o telematiche non pubblichi
la smentita o la rettifica richiesta».
1. Al codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003,
n. 196, e successive modificazioni, sono apportate
le seguenti modificazioni:
a) il comma 3 dell’articolo 132 è sostituito dal seguente:
«3. I dati sono acquisiti presso il fornitore con le
modalità di cui all’articolo 267-bis del codice di
procedura penale, ferme restando, nel caso previsto
120
Quaderni PD.indb 120
09/02/2009 19.36.04
a) al comma 1, primo periodo, dopo la parola:
«pubblicazione» sono inserite le seguenti: «o della
diffusione» e le parole: «degli atti o dei documenti
di cui al comma 2 dell’articolo 240 del codice di
procedura penale» sono sostituite dalle seguenti:
«dei documenti di cui all’articolo 240-bis del codice
di procedura penale»;
b) al comma 2, il terzo e il quarto periodo sono sostituiti dai seguenti: «Agli effetti della prova della
corrispondenza degli atti o dei documenti pubblicati con quelli di cui all’articolo 240-bis del codice
di procedura penale fa fede il verbale di cui all’articolo 240-ter, comma 4, del medesimo codice. Si
applicano le norme previste dagli articoli da 737 a
742 del codice di procedura civile. Non si applica
l’articolo 40, terzo comma, del medesimo codice»;
c) al comma 4, le parole: «determinazione e» sono
soppresse.
ai
dal comma 2 del medesimo articolo, le condizioni
di cui all’articolo 8, comma 2, lettera f), del presente codice per il traffico entrante»;
b) al comma 5 dell’articolo 139 sono premesse le
seguenti parole: «Ferma restando l’applicazione
delle sanzioni di cui all’articolo 164-bis,»;
c) dopo l’articolo 164 è inserito il seguente:
«ART. 164-bis. – (Illeciti per finalità giornalistiche).
– 1. In caso di diffusione o comunicazione di dati
per le finalità di cui all’articolo 136, in violazione delle disposizioni di cui agli articoli 11 e 137
ovvero del codice di deontologia adottato ai sensi
dell’articolo 139, comma 1, è applicata la sanzione
amministrativa della pubblicazione, per intero o per
estratto, della decisione che accerta la violazione,
ovvero di una dichiarazione riassuntiva della medesima violazione, nella testata attraverso la quale è
stata commessa la violazione nonché, ove ritenuto
necessario, anche in altre testate. La pubblicazione
è effettuata, secondo le modalità indicate dall’ordinanza, a spese dei responsabili.
2. Il Consiglio nazionale e il competente consiglio
dell’ordine dei giornalisti, nonché, ove lo ritengano, le associazioni rappresentative di editori, possono far pervenire documenti e la richiesta di essere sentiti ai sensi dell’articolo 18, primo comma,
della legge 24 novembre 1981, n. 689.
3. Il Garante trasmette al Consiglio nazionale dell’ordine dei giornalisti l’ordinanza di cui al comma
1 per l’applicazione di eventuali sanzioni disciplinari»;
d) al comma 1 dell’articolo 165, le parole: «162 e
164» sono sostituite dalle seguenti: «162, 164 e
164-bis»;
e) dopo il comma 1 dell’articolo 170 è aggiunto il
seguente:
«1-bis. Nei confronti di colui che, essendovi tenuto,
non osserva il provvedimento adottato dal Garante
ai sensi dell’articolo 164-bis, si applica la sanzione
amministrativa pecuniaria da 1.000 a 5.000 euro».
ART. 26.
(Modifiche all’articolo 4 del decreto-legge 22settembre 2006, n. 259, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2006, n. 281).
1. All’articolo 4 del decreto-legge 22 settembre
2006, n. 259, convertito, con modificazioni, dalla
legge 20 novembre 2006, n. 281, sono apportate le
seguenti modificazioni:
1
ART. 27.
(Disposizioni in materia di illeciti disciplinari
dei magistrati).
2.
1. Dopo la lettera h) del comma 1
dell’articolo 2 del decreto legislativo 25 febbraio 2006, n. 109, sono
inserite le seguenti:
«h-bis) l’inserimento nella motivazione di
un provvedimento giudiziario di circostanze
relative a fatti personali di terzi estranei, che
non rilevano a fini processuali e che ledono l’onore
o la riservatezza dei predetti;
h-ter) la mancata osservanza delle norme di cui agli
articoli 268-bis, comma 1, 268-ter, comma 1, ultimo periodo, 268-quater, commi 1, 2 e 3, e 293,
comma 3, del codice di procedura penale;
h-quater) il mancato rispetto delle disposizioni
previste dai commi 2 e 3 dell’articolo 89-bis delle
norme di attuazione, di coordinamento e transitorie
del codice di procedura penale, di cui al decreto
legislativo 28 luglio 1989, n. 271».
ART. 28.
(Modifiche di norme).
1. Al codice di procedura penale sono apportate le
seguenti modificazioni:
a) all’articolo 240:
1) i commi 2, 3, 4, 5 e 6 sono abrogati;
121
Quaderni PD.indb 121
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2) alla rubrica, le parole: «ed atti relativi ad intercettazioni illegali» sono soppresse;
b) il comma 1-bis dell’articolo 512 è abrogato.
2. L’articolo 9 della legge 8 aprile 1974, n. 98, e
successive modificazioni, è abrogato.
1. Agli oneri derivanti dall’attuazione dell’articolo 268 del codice di procedura penale, come da
ultimo modificato dall’articolo 10 della presente legge, pari a 820.000 euro per l’anno 2008, si
provvede mediante corrispondente riduzione dello
stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale
2008-2010, nell’ambito del fondo speciale in conto capitale dello stato di previsione del Ministero
dell’economia e delle finanze per l’anno 2008, allo
scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento
relativo al medesimo Ministero.
2. Le disposizioni di cui al comma 3 dell’articolo 268 del codice di procedura pena-
2. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
1. Le disposizioni della presente legge
non si applicano ai procedimenti già
trasmessi al giudice dell’udienza
preliminare alla data della sua entrata in vigore.
us
tiz
ART. 29.
(Regime transitorio).
ai
Gi
ART. 30.
(Copertura finanziaria).
ia
3. All’articolo 96 del codice delle comunicazioni
elettroniche, di cui al decreto legislativo 1o agosto
2003, n. 259, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il secondo e il terzo periodo del comma 2 sono
soppressi;
b) il comma 4 è abrogato.
4. L’articolo 3 del decreto-legge 22 settembre 2006,
n. 259, convertito, con modificazioni, dalla legge
20 novembre 2006, n. 281, è abrogato.
le, come sostituito dall’articolo 10 della presente
legge, si applicano decorsi tre mesi dalla data di
pubblicazione di apposito decreto del Ministro della giustizia che dispone l’entrata in funzione dei
centri di intercettazione telefonica di cui al medesimo comma 3. Fino a tale data, continuano a
trovare applicazione le disposizioni del comma 3
dell’articolo 268 del codice di procedura penale nel
testo vigente prima della data di entrata in vigore
della presente legge.
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Quaderni PD.indb 122
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Proposta di legge n. 1784
d’iniziativa dei deputati TENAGLIA ed altri
ai
Modifiche all’articolo 41-bis della legge 26 luglio
1975, n. 354, concernente il regime penitenziario
applicabile a detenuti e internati per gravi delitti,
in caso di collegamento con un’associazione criminale, terroristica o eversiva
ONOREVOLI COLLEGHI! – Purtroppo, noto a voi
tutti come, nonostante l’opera di contrasto posta
in essere dallo Stato, il fenomeno mafioso, e della
criminalità organizzata in generale, sia ben lungi
dell’essere sconfitto.
Anzi, le grandi organizzazioni criminali, negli ultimi anni, si sono fatte ancora più pericolose,
adattandosi alle nuove situazione e rigenerandosi
nonostante i colpi subiti ad opera degli apparati
pubblici.
L’impressionante capacità di adattamento degli apparati di tipo mafioso e la loro capacità di espansione anche ai più moderni, e apparentemente «sani»,
settori dell’economia, rappresentano la ragione per
cui oggi è presentata questa proposta di legge.
A tale fine si è ritenuto di dover intervenire sul
testo di una delle norme che ha costituito finora
uno dei pilastri della normativa di contrasto al fenomeno mafioso: l’articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, sull’ordinamento penitenziario.
Si tratta, dunque, di inserire l’istituto del regime
penitenziario speciale in modo coerente nella normativa sulle misure di prevenzione e di garantire,
inoltre, loro circolarità informativa e la specifica
competenza antimafia degli organi giudiziari chiamati a esercitare le loro competenze nella fase di
2.
1
presentata il 13 ottobre 2008
iniziativa sull’applicazione e nel
giudizio sulla legittimità dei provvedimenti.
La prima delle modifiche al testo attualmente vigente consiste nell’ampliamento del
novero dei soggetti titolari del potere di dare
avvio al procedimento di applicazione del regime
penitenziario speciale. Infatti, si prevede che, oltre
ai Ministri dell’interno e della giustizia, possano richiedere l’adozione del provvedimento 41-bis, comma 2, anche il Procuratore nazionale antimafia e il
Procuratore distrettuale antimafia territorialmente
competente.
Sembra, inoltre, necessario meglio definire le finalità dello strumento di prevenzione rappresentato
dal decreto di sospensione delle normali regole di
trattamento. A tale proposito, nel secondo periodo
del comma 2 del medesimo articolo 41-bis, è specificato che il decreto contiene le previsioni necessarie a impedire tutti i collegamenti, anche solo
potenziali, che l’associazione, grazie alla propria
operatività, è in grado di stabilire con il detenuto.
Il comma 2-bis dell’articolo 41-bis in oggetto, che
disciplina il delicato aspetto dell’acquisizione delle
informazioni da porre a supporto del provvedimento, necessita di una quasi integrale riformulazione.
123
Quaderni PD.indb 123
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L’esperienza maturata sul campo dagli operatori insegna che, tanto la collocazione geografica degli
istituti, quanto la loro specializzazione nella gestione di determinate tipologie di detenuti, particolarmente importanti per la più efficace applicazione
dell’articolo 41-bis. Tale previsione è completata
dal recepimento legislativo di una realtà già esistente e operante, con positivi risultati, all’intero
al Corpo di polizia penitenziaria, si dispone, infatti,
che i detenuti sottoposti al regime speciale siano
«custoditi da reparti specializzati del Corpo di polizia penitenziaria».
Sono poi regolate tassativamente le pescrizioni contenute nei provvedimenti previsti che dai relativi
decreti ministeriali, riducendo a uno il numero dei
colloqui mensili consentito e prevedendo la facoltà
di telefonare solo per coloro che non effettuano
colloqui. È inoltre prevista la videoregistrazione di
tutti i colloqui, che potrà in un secondo tempo essere visionata qualora lo disponga l’autorità giudiziaria. Tali disposizioni non si applicano ai colloqui
con i difensori.
Particolare attenzione è poi riservata alla permanenza all’aperto e ai gruppi di socialità, prevedendo la permanenza all’aperto per un massimo di
due ore e in gruppi composti al massimo da quattro persone. Per ciò che riguarda il controllo sulle
concrete modalità di detenzione saranno previste
tutte le necessarie misure di sicurezza anche attraverso accorgimenti di natura logistica sui locali
di detenzione, volte a garantire che sia assicurata
l’assoluta impossibilità di comunicare tra detenuti
appartenenti a diversi gruppi di socialità di scambiare oggetti e di cuocere alimenti.
La competenza del giudice chiamato a decidere sul
reclamo è spostata, sul tribunale che si occupa delle misure di prevenzione del distretto della corte di
appello dove ha sede il procuratore che formula la
richiesta. Si tratta, dunque, di assicurare la competenza dei tribunali e delle procure distrettuali del
luogo ove il detenuto dimorava prima dell’arresto e
dove, pertanto, ha la propria sede e opera l’associazione mafiosa o terroristica nel cui ambito egli
è incardinato. Ciò consentirà che si possa ottenere
una maggiore specifica competenza in materia di
misure antimafia e dunque una risposta più appropriata in termini di conoscenza e di dimestichezza
rispetto ai giudizi penali che hanno ad oggetto il
fenomeno mafioso.
ai
Gi
us
tiz
ia
In primo luogo, prevedendo l’obbligo di sentire il
Procuratore nazionale, e il Procuratore distrettuale
antimafia. In secondo luogo, conferendo agli organi di polizia preposti al contrasto della criminalità
organizzata l’onere di fornire informazioni utili. A
tale fine risulta importante la costituzione di uffici interforze nell’ambito dei quali presti la propria
opera anche il Corpo di polizia penitenziaria. Quest’ultima, infatti, grazie alla sua quotidiana opera
di vigilanza sui detenuti, è depositaria di informazioni e di conoscenze spesso non trascurabili.
Di forte impatto sono, inoltre l’innovazione riguardante il prolungamento della vigenza dei provvedimenti (che è portata a quattro anni) e soprattutto, la migliore formulazione dei presupposti per
la prorogabilità di tali provvedimenti. Preso atto
di una giurisprudenza dei tribunali di sorveglianza
che tende a eludere il riparto dell’onere della prova
attualmente vigente e che porta, quindi, ad un
sostanziale indebolimento del sistema previsto dall’articolo 41-bis, si detta una nuova
più precisa, formulazione della norma. Si
prevede, infatti, che i provvedimenti
«sono prorogabili per periodi successivi pari a due; salvo che non
sia ancora vigente il pericolo di ripresa dei collegamenti in relazione alla
perdurante operatività dell’associazione,
che non siano cessate le esigenze di prevenzione ovvero non risulti, da concreti elementi; che il detenuto abbia interrotto i rapporti con
l’organizzazione o che la stessa abbia cessato di
esistere senza confluenze in altre compagini criminali». Si precisa, inoltre, che «decorso del tempo
non può comunque essere considerato elemento da
cui desumere l’interruzione o la cessazione».
Coerentemente con la riformulazione del comma 2bis si ritiene di dovere abrogare il comma 2-ter.
Il nuovo primo periodo del comma 2-quater tiene
conto delle concrete difficoltà che l’amministrazione penitenziaria incontra nel garantire, per periodi
di tempo anche molto lunghi, la custodia e il controllo dei soggetti sottoposti al regime detentivo
speciale che deriva dall’applicazione dell’articolo
41-bis. È previsto, infatti, che i detenuti sottoposti
al regime speciale di detenzione debbano essere ristretti «all’interno di istituti a loro esclusivamente
dedicati, collocati preferibilmente in regioni insulari, ovvero ristretti all’interno di sezioni speciali
e logisticamente separate dal resto dell’istituto».
124
Quaderni PD.indb 124
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partecipazione del Corpo di polizia penitenziaria.
I medesimi provvedimenti restano in vigore fino
a quattro anni e sono prorogabili per periodi successivi pari a due anni salvo che non sia ancora
vigente il pericolo di ripresa dei collegamenti in
relazione alla perdurante operatività dell’associazione, che non siano cessate le esigenze di prevenzione ovvero non risulti, da concreti elementi, che
il detenuto abbia interrotto i rapporti con l’organizzazione o che la stessa abbia cessato di esistere
senza confluenze in altre compagini criminali. Il
decorso del tempo non può essere comunque considerato elemento da cui desumere l’interruzione o
la cessazione»;
c) Il comma 2-ter è abrogato;
d) Al comma 2-quater sono apportate le seguenti
modificazioni:
1) all’alinea è premesso il seguente periodo: «I detenuti sottoposti al regime speciale di detenzione
devono essere ristretti all’interno di istituti a
loro esclusivamente dedicati, collocati preferibilmente in regioni insulari, ovvero
ristretti all’interno di sezioni speciali
logisticamente separate dal resto
dell’istituto e custoditi da reparti specializzati del Corpo di polizia;
penitenziaria» e le parole: «può comportare» sono sostituite dalla seguente:
«prevede»;
2) alla lettera b):
2.1) al primo periodo, le parole: «in un numero
non inferiore a uno e non superiore a due» sono
sostitute dalla seguente «nel numero di uno»;
2.2) terzo periodo è le parole: «dall’articolo 11;
sono riuscite le seguenti: «solo per coloro che non
effettuano colloqui»;
2.3) dopo il terzo periodo sono inseriti i seguenti:
«I colloqui sono comunque videoregistrati. Le disposizioni della presente lettera non si applicano ai
colloqui con i difensori»;
e) alla lettera f, le parole: «cinque persone» sono
sostituite dalle seguenti: «quattro persone» e le
parole: «quattro ore» sono sostituite dalle seguenti: «due ore»;
f) dopo la lettera f) è aggiunto il seguente:
«g-bis l’adozione di tutte le necessarie misure di
sicurezza, anche attraverso accorgimenti di natura
logistica sui locali di detenzione, volte a garantire
che sia assicurata l’assoluta impossibilità di comunicare tra detenuti appartenenti a diversi gruppi
ART. 1.
(Modifiche all’articolo 41-bis della legge 26 luglio
1975, n. 354)
1. All’articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n.
354, e successive modificazioni, sono apportate le
seguenti modificazioni:
a) al comma 2-bis le parole: «anche a richiesta del
Ministro dell’interno, il Ministro della giustizia»
sono sostituite dalle seguenti: «a richiesta del Procuratore nazionale antimafia, del procuratore distrettuale antimafia che ha giurisdizione sul luogo
di dimora del detenuto precedente alla carcerazione, ovvero del Ministro dell’interno, il Ministro della
Giustizia»; L’ultimo periodo è così sostituito: «La
sospensione comporta le restrizioni necessarie per
il soddisfacimento delle predette esigenze e per impedire i potenziali collegamenti che l’associazione
di cui al periodo precedente attraverso la sua operatività è in grado di stabilire con il detenuto»;
b) il comma 2-bis è sostituito dal seguente:
«2-bis. 1 provvedimenti emessi ai sensi del comma 2 sono adottati con decreto motivato del Ministro della giustizia sentiti sempre il procuratore
distrettuale antimafia e il Procuratore nazionale
antimafia. È onere degli organi di polizia centrali e di quelli specializzati nell’azione di contrasto
alla criminalità organizzata, fornire le necessarie
informazioni utili all’istruttoria, anche attraverso
uffici interforze appositamente costituiti con la
2.
PROPOSTA DI LEGGE
1
ai
È inoltre espressamente vietata la possibilità di modifica parziale dei decreti, contestata in dottrina, e
si riafferma così il carattere prevenzionale ed anticipatorio della misura che non può essere messo
in discussione avendo riguardo al profilo criminale
o alle vicende processuali del singolo detenuto. Si
estendono, le norme sulle videoconferenze per la
celebrazione dei giudizi di gravame davanti al tribunale e si applicano le norme camerali previste
dall’articolo 127 del codice di procedura penale.
Si prevede, infine, la facoltà di impugnazione anche
per il Procuratore nazionale antimafia, oltre che per
il procuratore distrettuale antimafia che rappresenterà in udienza l’accusa.
125
Quaderni PD.indb 125
09/02/2009 19.36.04
dello stesso rispetto alle esigenze di cui al comma
2» sono soppresse;
2) dopo il primo periodo è inserito il seguente: «Per
la partecipazione del detenuto all’udienza si applicano le disposizione sulle videoconferenze previste dalle norme di attuazione, di cordinamento e
transitorie del codice di procedura penale, di cui al
decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271»;
3) il secondo periodo è sostituito dal seguente: «Il
detenuto, l’internato o il difensore, il Procuratore nazionale antimafia e il procuratore distrettuale
antimafia possono proporre, entro dieci giorni dalla
sua comunicazione, ricorso per cassazione avverso
l’ordinanza del tribunale per violazione di legge»;
4) il quarto e il quinto periodo sono soppressi.
ai
Gi
us
tiz
ia
di socialità, di scambiare oggetti e di cuocere alimenti»;
g) al comma 2-quinquies:
1) il secondo periodo è sostituito dal seguente:
«Il reclamo è presentato nel termine di dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento e su di
esso decide il tribunale competente per le misure di
prevenzione personali del luogo ove ha sede il procuratore distrettuale antimafia individuato ai sensi
del comma 2»;
2) il quarto periodo è soppresso;
h) al comma 2-sexies:
1) al primo periodo le parole «dagli articoli 666 e
678» sono sostituite dalle seguenti «dell’articolo
127» e le parole: «e sulla congruità del contenuto
126
Quaderni PD.indb 126
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INTERNO
2.
2
ai
In coerenza con il nostro programma elettorale alla prima riunione del Governo Ombra abbiamo
presentato il pacchetto sicurezza predisposto dal governo Prodi e, tuttavia, mai discusso in Parlamento nella precedente legislatura. Si tratta di un corpo complesso di disegni di legge che per la
prima volta versante del centro-sinistra affronta in maniera organica il tema della sicurezza. Da un
lato facendone un’assoluta priorità nella scelte per il paese e dall’altra prospettando una “visione”
del tema radicalmente diversa rispetto all’impostazione della destra.
Dal complesso delle proposte emerge con chiarezza come il PD su un tema così delicato e decisivo non solo non deve sentire alcuna minorità ma che anzi è in grado di prospettare una moderna idea di “sicurezza integrata” che costituisce la risposta insieme più organica e credibile
su questi temi.
Dopo i primi mesi emerge con sempre più evidenza che la politica del governo fatta di annunci
e molta propaganda non regge nell’impatto con la realtà.
Enfatizzando la paura si può vincere una campagna elettorale ma sicuramente non si può
governare una grande democrazia.
Ai provvedimenti già contenuti nel presente volume seguirà un altro corpo di proposte
che affronterà il tema del complesso fenomeno dell’immigrazione (dalla riforma
Bossi-Fini alla politica di integrazione) con un profilo che punta a conciliare le
esigenze della sicurezza con quelle dei diritti e della solidarietà.
Marco Minniti
Le misure legislative
per la sicurezza
Roma, 30 ottobre 2007
LA SICUREZZA È UN DIRITTO
«Attuare i principi di libertà e giustizia non è possibile senza garantire la sicurezza ai cittadini dell’Unione europea. La sicurezza, sia interna che esterna, è uno dei diritti fondamentali
della Ue e la sua realizzazione è competenza di ogni autorità pubblica, di ogni governo». È
l’incipit del documento conclusivo dell’ultimo vertice del G6 in Polonia cui l’Italia ha aderito.
Ed è questo principio che ispira i quattro disegni di legge che costituiscono il cosiddetto
“pacchetto sicurezza” che qui viene illustrato.
127
Quaderni PD.indb 127
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LE RAGIONI DEL “PACCHETTO”
rn
o
I dati sull’andamento dei delitti negli ultimi anni non sono univoci. Ci sono crimini che diminuiscono, come gli omicidi, altri che aumentano, come i furti e le rapine. Di certo la percezione della sicurezza va peggiorando. E questo avviene per il diffondersi di una criminalità
che ha tipologie nuove, che invade spazi fino a oggi ritenuti sicuri, che ha sempre più spesso
– va detto – come protagonisti soggetti stranieri irregolarmente in Italia, che colpisce le
persone comuni, quelle più deboli, le donne, gli anziani, i bambini. Allo stesso modo anche
la criminalità organizzata va assumendo caratteristiche diverse dal passato, con l’approdo a
sofisticate gestioni finanziarie e patrimoniali e con una progressiva internazionalizzazione.
E ad acuire ulteriormente la percezione di insicurezza dei cittadini c’è la convinzione, non
infondata, di una inadeguata garanzia della certezza della pena.
È dunque un fenomeno nuovo quello che abbiamo davanti. E per contrastarlo servono strumenti nuovi e aggiornati. Non leggi draconiane, non slogan minacciosi e vuoti come “tolleranza zero”, ma risposte concrete, efficaci, applicabili alla domanda di sicurezza che oggi
viene dai cittadini. È l’impostazione che il Governo si è dato già con i patti per la sicurezza
stipulati con i comuni italiani e con gli interventi sul “sistema giustizia”. Ora si intende
sviluppare e approfondire quell’impostazione con questo ampio e strutturato insieme di
norme. Non senza contare sulle nuove risorse, in termini di forze umane e di finanziamenti, che la finanziaria sta mettendo in campo.
LA STRUTTURA DEL “PACCHETTO”
In
te
L’articolato insieme di norme che costituisce il “pacchetto sicurezza” trova collocazione in quattro distinti disegni di legge, di cui un d.d.l. delega. Si è optato
per questa struttura perché un unico provvedimento avrebbe giustapposto in modo
confuso un gran numero di interventi su materie eterogenee e avrebbe avuto, con la sua
mole, un percorso parlamentare inevitabilmente più lento.
ai
I d.d.l., dunque, sono quattro:
1 Disposizioni in materia di sicurezza urbana.
2 Disposizioni in tema di reati di grave allarme sociale e di certezza della pena.
3 Adesione al Trattato di Prüm. Istituzione della Banca Dati Nazionale del DNA e del Laboratorio Centrale per la Banca Dati Nazionale del DNA.
4. Misure di contrasto alla criminalità organizzata. Delega al Governo per l’emanazione di un
Testo Unico delle disposizioni in materia di misure di prevenzione. Disposizioni in materia di
patrocinio a spese dello Stato e per il potenziamento degli uffici giudiziari.
Al pacchetto si accompagna un d.d.l. presentato dal Ministero della Giustizia che reintroduce
il reato di falso in bilancio.
Altre norme collegate riguarderanno una stretta sul reato di caporalato, da inserire in un
d.d.l. già in Parlamento. Allo stesso modo le norme sulla contraffazione, originariamente nel
d.d.l. sulla certezza della pena, vengono approvate e inserite in un d.d.l. già in discussione
alle Camere.
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DISPOSIZIONI IN MATERIA DI SICUREZZA URBANA
(Per ulteriori approfondimenti d.d.l. 3278 Sicurezza urbana)
2.
2
ai
Obiettivi e contenuti
Il disegno di legge intitolato “Disposizioni in materia di sicurezza urbana” contiene norme
più stringenti contro la criminalità urbana, prevedendo strumenti nuovi per combattere quei
reati che più di altri contribuiscono al senso di insicurezza dei cittadini. Si pone in continuità ideale con il disegno di legge della XIII legislatura recante “interventi legislativi in
materia di tutela della sicurezza dei cittadini” (AC 5925), volendo proseguire ad allargare la
linea di “offrire una risposta pronta ed effettiva al preoccupante incremento della criminalità
da strada”. Un’espressione, quest’ultima, certamente non tecnica, ma utilizzata, oggi come
allora, per evidenziare come questa incida sul senso di sicurezza dei cittadini, abbassando
sensibilmente la qualità della loro vita quotidiana.
In estrema sintesi il d.d.l.:
• Contrasta lo sfruttamento dei minori in attività criminali o nell’accattonaggio.
• Rende più efficace la collaborazione tra i prefetti e i sindaci e attribuisce a questi ultimi
maggiori strumenti per contribuire a garantire la sicurezza pubblica.
• Rafforza la collaborazione operativa tra le forze dell’ordine e i vigili urbani.
• Attribuisce ai prefetti il potere di espulsione dei cittadini comunitari per ragioni
di pubblica sicurezza.
• Rende più facilmente perseguibili reati come l’occupazione di suolo pubblico e i danneggiamenti.
I minori
Il d.d.l. pone particolare attenzione ai minorenni, punendo con più severità coloro che
li sfruttano, mettendo a rischio la loro integrità personale, fisica e psichica, e coloro che li
rendono partecipi di attività criminose. Per contrastare questi fenomeni il disegno di legge
punta innanzitutto a sanzionare in modo severo chi costringe i minori a pratiche avvilenti a
sfondo economico.
In questo senso:
• Si delinea una nuova fattispecie di reato – l’impiego di minori nell’accattonaggio – che
punisce con la reclusione fino a tre anni chi si avvale per mendicare di una persona minore
degli anni quattordici, oppure chi permette che tale persona, ove sottoposta alla sua autorità
o affidata alla sua custodia o vigilanza, mendichi, o che altri se ne avvalga per mendicare.
• Si introduce la perdita della potestà del genitore – e interdizione perpetua da qualsiasi
ufficio attinente all’amministrazione di sostegno, alla tutela e alla curatela – nel caso in cui
i reati di riduzione o mantenimento in schiavitù, tratta di persone e acquisto e alienazione
di schiavi siano commessi dal genitore o dal tutore.
• Per contrastare, poi, la diffusione della partecipazione di giovanissimi ad azioni criminali
gravi si punta su un’azione decisa nei confronti dei correi maggiorenni, in modo da creare
una sorta di “cintura sanitaria” intorno ai minori.
• A questo scopo l’articolo 2 prevede l’applicazione di aggravanti ai maggiorenni nel caso
in cui il reato viene compiuto con la partecipazione di un minore di anni 18.
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L’articolo 3, infine, interviene per finanziare misure di assistenza e di protezione dei minori.
ai
In
te
rn
o
Le funzioni del sindaco
La Costituzione (all’art. 117, comma 2) fissa che la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, a esclusione della polizia amministrativa locale, è riservata alla competenza statale.
Nella logica del costituente, infatti, affidare questa tutela agli enti locali avrebbe significato
pregiudicare gravemente la possibilità di assicurare su tutto il territorio nazionale livelli
essenziali uniformi di prestazioni su diritti civili e sociali fondamentali. Le riforme del ‘93
(elezione diretta dei sindaci) e del 2001 (nuovo Titolo V della Costituzione), tuttavia, hanno
portato alla rivendicazione, da parte degli enti locali, di un ruolo sempre maggiore anche in
materia di ordine e sicurezza pubblica, in omaggio al principio di sussidiarietà. L’affermarsi,
del resto, di quella nuova tipologia di criminalità urbana di cui si è parlato in esordio di questo opuscolo, così come l’aumento di fenomeni sociali quali l’immigrazione clandestina, la
prostituzione, il traffico e l’uso di sostanze stupefacenti, hanno reso sempre più utile anche
in questo settore la collaborazione sinergica tra istituzioni centrali e locali.
In tale contesto, l’apporto degli enti locali può davvero costituire un valore aggiunto nella
garanzia dell’ordine e della sicurezza pubblica e il ruolo del sindaco può essere valorizzato ai fini di tale garanzia. È il sindaco, infatti, più di chiunque altro, a conoscere le
problematiche sociali della realtà locale che incidono negativamente sul senso di
sicurezza percepito dai cittadini e che possono dar luogo a problemi di ordine
pubblico. Da qui la decisione di adeguare al mutato quadro costituzionale le
disposizioni contenute nell’articolo 54 del Decreto legislativo 267/2000 relative alle attribuzioni del sindaco nei servizi di competenza statale.
• La possibilità già oggi attribuita al sindaco di adottare provvedimenti contingibili e urgenti per prevenire ed eliminare gravi pericoli all’incolumità pubblica viene estesa anche ai
pericoli per la “sicurezza urbana”. È un’integrazione connessa proprio all’esigenza di rispondere
con una maggiore operatività delle funzioni dei sindaci ai nuovi fenomeni di criminalità.
• Viene rafforzata, poi, la collaborazione tra sindaco e prefetto. Il primo, infatti, comunica
l’adozione di provvedimenti che riguardano la sicurezza al prefetto, che può intervenire, in
una visione strategica, con tutti gli strumenti ritenuti necessari per l’attuazione. In particolare per evitare uno spostamento di attività illecite da un comune all’altro, il prefetto,
nel caso di provvedimenti da parte del sindaco che possano avere ripercussioni negative sui
comuni limitrofi, può indire una conferenza alla quale partecipano i sindaci interessati, il
presidente della provincia, nonché – nel caso in cui tale ultimo intervento sia ritenuto opportuno – i soggetti pubblici e privati dell’ambito territoriale interessato.
Collaborazione vigili urbani-forze dell’ordine
In accordo con le maggiori funzioni attribuite al sindaco, la riforma prevede anche un rafforzamento del ruolo già oggi svolto dai vigili urbani nella tutela della legalità nelle città,
in una chiave di maggiore collaborazione con le forze di polizia.
In questo senso si prevede che:
• nei piani coordinati di controllo del territorio si definiscano rapporti di reciproca collaborazione tra il personale della polizia municipale e gli organi di Polizia dello Stato. Procedure
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più efficaci, inoltre, saranno stabilite per assicurare l’immediato interessamento degli organi
di Polizia dello Stato nel caso di interventi nella flagranza dei reati.
• Viene estesa la facoltà di accesso diretto dei vigili urbani alla banca dati dei veicoli rinvenuti e a quella dei documenti di identità rubati o smarriti. E viene introdotta la facoltà di
immissione diretta dei dati (e non solo di consultazione di quelli esistenti). Ulteriori estensioni di accesso alle banche dati trovano un ostacolo insuperabile non solo e non tanto nell’ordinamento funzionale della polizia municipale, quanto e soprattutto nelle indicazioni del
garante per la privacy. Ciò non esclude, evidentemente, nell’attuazione di servizi di controllo
del territorio, cui pure la polizia municipale può partecipare, un accesso indiretto a supporto
dei servizi in corso per il tramite delle sale operative della Polizia o dei Carabinieri.
2.
2
ai
Il potere di espulsione ai prefetti
Negli ultimi anni è molto aumentata la quota di reati commessa da stranieri e, tra gli stranieri, sono i rumeni coloro che delinquono di più. È una realtà che emerge da tutte le statistiche. E che si è accentuata con l’ingresso della Romania nell’Unione europea. È evidente, e
va sempre ribadito, che gran parte dei rumeni in Italia lavorano duramente e si comportano
più che bene. Così come va detto che la collaborazione del governo e della polizia rumeni
è ottima e produce importanti risultati in termini sia di prevenzione che di arresti. Ma
questo è il tipico esempio di problemi nuovi che vanno affrontati con strumenti
nuovi. In quanto comunitari, infatti, i rumeni possono entrare liberamente in
Italia (non c’è moratoria che possa impedirlo). E questo va benissimo per coloro che vengono per lavorare. Ma servono strumenti adeguati per non lasciare
campo libero a chi viene per delinquere, nell’interesse dei cittadini italiani, ma
anche di quegli stessi rumeni che vengono per lavorare. Sono questi ultimi, infatti,
i primi a chiedere misure concrete per contrastare la criminalità rumena.
Con questo obiettivo l’articolo 13 del d.d.l. modifica il d.lgs. 30/2007 sulla disciplina dell’allontanamento dei cittadini comunitari per assicurare, sulla base della direttiva europea,
l’allontanamento dei cittadini dell’Unione per motivi di pubblica sicurezza.
La riforma in particolare:
• attribuisce al prefetto il potere di allontanamento dal territorio nazionale per motivi di
pubblica sicurezza, facoltà che oggi è limitata al ministro dell’Interno ed è, quindi, legata
a casi eccezionali. Nella nuova normativa l’allontanamento resta di esclusiva competenza
del ministro solo in riferimento “ai cittadini dell’Unione di cui al comma 5” – cioè coloro
che soggiornano in Italia da più di dieci anni o sono minori – oppure per i motivi di ordine
pubblico o di sicurezza dello Stato.
I motivi di pubblica sicurezza, in attuazione della direttiva europea, sono imperativi quando il
comportamento del comunitario compromette la dignità umana o i diritti fondamentali della
persona umana, oppure compromette l’incolumità pubblica rendendo la sua permanenza sul
territorio nazionale incompatibile con l’ordinaria convivenza. Il provvedimento di allontanamento è notificato all’interessato e riporta le modalità di impugnazione e la durata del divieto
di reingresso sul territorio nazionale, che non può essere superiore a 3 anni. Il provvedimento
indica anche il termine stabilito per lasciare il territorio nazionale, che non può essere inferiore
a un mese dalla data della notifica, fatti salvi i casi di comprovata urgenza.
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Per motivi imperativi di pubblica sicurezza, in particolare, il provvedimento di allontanamento, sulla base della direttiva europea, è immediatamente eseguito dal questore, non
senza applicare le disposizioni di cui all’articolo 13, comma 5-bis, del decreto legislativo 25
luglio 1998, n. 286, che dispone la convalida del provvedimento di accompagnamento alla
frontiera da parte del giudice di pace. Quest’ultimo passaggio vale a garantire il rispetto dei
principi costituzionali in materia di esecuzione dei rimpatri conformemente alla sentenza
della Corte Costituzionale 222/2004.
La violazione del divieto di reingresso viene trasformata da contravvenzione in delitto, punito con la reclusione fino a tre anni.
Se il destinatario del provvedimento di allontanamento per motivi imperativi di pubblica
sicurezza, infine, è sottoposto a procedimento penale va richiesto il nulla osta all’espulsione
all’autorità giudiziaria. Nulla osta che deve essere rilasciato entro15 giorni dalla richiesta.
Nelle more del rilascio di tale documento, il destinatario del provvedimento può essere trattenuto, per evitare che si sottragga all’allontanamento, in un centro di permanenza temporanea e assistenza.
ai
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te
rn
o
L’allontanamento per mancanza di mezzi di sostentamento
Al di là delle questioni relative alla sicurezza pubblica, già oggi, in attuazione della normativa europea, un cittadino comunitario non può risiedere in Italia per più di tre mesi se
non dimostra di essere in possesso di mezzi legali di sostentamento. Se, dunque, un
cittadino straniero comunitario viene individuato sul territorio nazionale da oltre
tre mesi senza mezzi legali di sostentamento può essere allontanato. Il problema,
però, è che in questo caso l’allontanamento, in base alle norme europee, non comporta il divieto di reingresso. E quindi lo strumento non è di utile applicazione.
Per rendere questo strumento più efficace, la riforma prevede che il destinatario del
provvedimento debba consegnare al Consolato italiano nello stato UE di nazionalità, un’attestazione di ottemperanza all’allontanamento. L’inosservanza della consegna dell’attestazione comporta la sanzione, a carico del cittadino UE individuato sul territorio nazionale,
dell’arresto da uno a sei mesi e di una ammenda da 200 a 2.000 euro. In questo modo, in
sostanza, il cittadino straniero, se non vuole essere arrestato, dovrà davvero lasciare l’Italia,
mentre oggi di fatto può non farlo perché se viene individuato nuovamente sul territorio
nazionale può sempre sostenere di essere uscito e rientrato.
Danneggiamenti
I danneggiamenti sono uno di quei fenomeni considerati minori, ma che incidono notevolmente sulla percezione di cura e vivibilità di un territorio. È giusto, dunque, intervenire
anche su questi comportamenti per reimpostare politiche attive di risanamento e di promozione della legalità.
In particolare:
• si aggrava la pena stabilita per i reati di danneggiamento e di deturpamento e imbrattamento di cose altrui nel caso in cui la condotta criminosa sia commessa su immobili sottoposti a risanamento edilizio o ambientale o su ogni altro immobile, quando al fatto consegue
un pregiudizio al decoro urbano;
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• si prevede, inoltre, che la sospensione condizionale della pena sia sempre subordinata alla
eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato oppure alla prestazione di
attività non retribuita a favore della collettività.
2.
Accertamenti sull’uso di stupefacenti
Già oggi le norme prevedono l’effettuazione di accertamenti sull’uso di stupefacenti su quelle categorie di lavoratori che possono mettere a rischio l’incolumità
dei cittadini. Per una lacuna legislativa ci si limita, però, al lavoro dipendente. È
apparso utile, dunque, estendere questa pratica anche ai lavoratori autonomi.
2
ai
Occupazione abusiva di luogo pubblico
È un altro reato strettamente connesso con il decoro e la vivibilità urbana. In questo caso si
punta a una forma di “ravvedimento operoso” degli occupanti abusivi.
• Si prevede, infatti, che il sindaco (o il prefetto sulle strade extraurbane) possa disporre
l’immediato ripristino dello stato dei luoghi a spese degli occupanti e la chiusura dell’esercizio fino all’adempimento dell’ordine. E lo stesso vale per l’esercente che ometta di adempiere
agli obblighi inerenti la pulizia e il decoro degli spazi pubblici antistanti l’esercizio.
• Qualora si tratti di occupazione a fini di commercio è anche prevista la trasmissione del relativo verbale di accertamento agli uffici della Guardia di Finanza o dell’Agenzia delle Entrate.
• Restano salvi, inoltre, i provvedimenti e gli interventi dell’autorità per motivi di ordine
pubblico.
• Un contributo finanziario straordinario è infine attribuito alle città d’arte per predisporre
adeguate misure di tutela del decoro delle aree di valore monumentale, artistico, storico
o archeologico.
Manifestazioni sportive
Le recenti norme volte a contrastare la violenza in occasione di manifestazioni sportive
stanno producendo buoni risultati. Un caso recente – allorché non è stato possibile arrestare
alcuni supporter di una squadra romana che, prima della partenza verso la località dove si
sarebbe tenuta la competizione sportiva, sono stati trovati in possesso di mazze, armi improprie, petardi e altre attrezzature vietate – ha evidenziato però la necessità di estendere
temporalmente l’art. 6-ter della legge 13 dicembre 1989, n. 401, che quindi diventa:
«Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, nei luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive, in quelli destinati anche temporaneamente alla sosta o al transito di
coloro che partecipano o assistono alle manifestazioni medesime, nei mezzi di trasporto
dagli stessi utilizzati, o, comunque nelle adiacenze dei luoghi o dei mezzi predetti, è trovato
in possesso di razzi, bengala, fuochi artificiali, petardi, strumenti per l’emissione di fumo o
di gas visibile, ovvero di bastoni, mazze, materiale imbrattante o inquinante, oggetti contundenti, o, comunque, atti ad offendere, è punito, se il fatto è commesso in relazione alla
manifestazione sportiva stessa, con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da
1.000 a 5.000 euro. La disposizione di cui al primo periodo si applica ai fatti commessi durante lo svolgimento della manifestazione sportiva nonché nelle ventiquattro ore precedenti
o successive alla stessa».
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Armi giocattolo
L’ultimo articolo del provvedimento prevede norme per perfezionare il sistema di prevenzione
circa l’uso e il porto delle armi inoffensive. Queste ultime, infatti, vengono sempre più usate
con estrema efficacia per commettere rapine. Si prevede, allora, che:
il questore possa imporre alle persone condannate per delitti non colposi il divieto di detenere armi di qualsiasi tipo, comprese quelle a ridotta capacità di offensiva, i giocattoli
riproducenti armi e i simulacri di armi.
Violenza familiare su donne straniere
Estendendo il principio già previsto nell’articolo 18 del Testo unico sull’immigrazione, si prevede che le donne straniere che denunciano violenze familiari – o comunque vittime di violenze familiari sulle quali è in corso un’indagine – possano ricevere un permesso di soggiorno
per motivi di protezione umanitaria. Il permesso, rilasciato dal questore, è anche legato a un
percorso di integrazione che non lascia sola la donna vittima di violenze.
DISPOSIZIONI IN TEMA DI REATI DI GRAVE ALLARME SOCIALE E DI CERTEZZA DELLA PENA
(Per ulteriori approfondimenti d.d.l. 3241 Certezza della pena)
ai
In
te
rn
o
Obiettivi e contenuti
Obiettivo di questo disegno di legge è fornire risposte adeguate al bisogno
di sicurezza quotidiano dei cittadini. Si è così deciso di modificare le norme
che abbiamo ereditato dai passati governi per intervenire sui reati che destano
massimo allarme. In che modo? Muovendosi su due fronti: sul piano sostanziale, con
l’introduzione di nuovi reati per tutelare i soggetti deboli, e su quello processuale.
In particolare:
• Sono state introdotte modifiche alla disciplina della prescrizione rispetto a quanto previsto dalla legge cosiddetta ex Cirielli, come già previsto nel d.d.l. di accelerazione del processo penale.
• È stata rafforzata la risposta a condotte, come l’omicidio e le lesioni in stato di ebbrezza,
che minano la sicurezza dei cittadini.
• È stato ampliato il numero dei reati di grave allarme sociale per i quali, in presenza di
esigenze cautelari, si prevede la sola custodia in carcere escludendo l’automatismo della sospensione dell’esecuzione della pena irrogata con sentenza definitiva. Fra questi, la rapina, il
furto in appartamento, lo scippo, l’incendio boschivo, la violenza sessuale aggravata.
• È stata cancellata la possibilità di ricorrere al cosiddetto patteggiamento in appello che
facilitava abbattimenti di pena anche molto elevati rispetto alla condanna di primo grado.
• È stato previsto un percorso di accelerazione del processo con imputati in custodia cautelare con l’introduzione di una specifica ipotesi di giudizio immediato che consente di evitare
la fase dell’udienza preliminare.
Interventi di diritto sostanziale
PRESCRIZIONE. Il tempo della prescrizione viene calcolato con un riferimento esclusivo alla
pena massima prevista dal codice, aumentata della metà. Si tratta di un aumento non con134
Quaderni PD.indb 134
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2.
2
ai
templato dalla ex Cirielli, modificata per rendere compatibile la decorrenza della prescrizione
con la durata del processo.
• I delitti si prescrivono in un tempo comunque non inferiore a sei anni. Le contravvenzioni
in un tempo non inferiore a 4 anni. Il termine di sei anni è previsto anche per le sanzioni,
diverse dai delitti e dalle contravvenzioni, stabilite dal giudice di pace.
• Quanto ai delitti di maggiore gravità: è previsto un termine massimo per cui essi si prescrivono dopo 30 anni.
• I responsabili di delitti puniti con l’ergastolo non beneficiano in alcun modo della prescrizione.
Nel caso in cui una sentenza di condanna di primo grado venga seguita, in appello, da un’altra condanna che conferma anche solo in parte la pena, la prescrizione cessa di decorrere.
Situazione che solo una decisione favorevole della Cassazione può modificare facendo automaticamente riprendere il decorso della prescrizione con il recupero del periodo sospeso. La
declaratoria di inammissibilità del ricorso per Cassazione pronunciata dai giudici di legittimità ferma ugualmente il decorso della prescrizione.
La cause di sospensione e di interruzione della prescrizione sono state ridisegnate, includendo le
ipotesi di stasi del processo riconducibili ad attività processuali dell’imputato. (Ad esempio
la decorrenza della prescrizione è sospesa a fronte della presentazione di una domanda di
ricusazione del giudice da parte dell’imputato e questo fino a che non venga decisa la
richiesta; così come la prescrizione viene se l’imputato chiede di risentire i testimoni già ascoltati in dibattimento da un diverso magistrato giudicante).
SOSPENSIONE CONDIZIONALE. Si prevede che il giudice, nel valutare la possibilità che l’imputato si astenga in futuro dal commettere ulteriori reati, possa tener
conto non solo dei precedenti penali e giudiziari, ma anche delle eventuali ulteriori
informazioni desunte dal servizio informatico delle misure cautelari (servizio previsto
sin dall’entrata in vigore del codice Vassalli, ma solo oggi di imminente istituzione grazie
a specifici stanziamenti previsti nel c.d. collegato alla finanziaria).
Omicidio e lesioni colpose
Oltre a innalzare il massimo della pena oggi fissata per tutti i fatti commessi con violazione
delle norme sulla circolazione stradale e sugli infortuni nel lavoro, l’intervento introduce:
• Un forte inasprimento delle pene qualora il fatto sia stato commesso da persona in rilevante stato di ebbrezza (oltre 1,5 g per litro) o in stato di alterazione da sostanze stupefacenti o psicotrope.
• L’inasprimento viene inoltre sottratto alla possibilità di “bilanciamento” con le circostanze attenuanti (sicché, ad esempio, la diminuzione per le attenuanti generiche potrà essere
calcolata, in caso di omicidio colposo, su una pena non inferiore ai tre anni di reclusione).
• Con analogo rigore si interviene sulle conseguenze accessorie amministrative prevedendosi la revoca della patente di guida.
Reati a sfondo sessuale
• Si introduce da un lato un autonomo reato per punire chi, allo scopo di sfruttare o abusare
sessualmente un minore di anni sedici, intrattiene relazioni anche a mezzo internet.
135
Quaderni PD.indb 135
09/02/2009 19.36.05
• Si prevede un’aggravante specifica se la violenza sessuale viene commessa da una persona
che ha relazioni affettive o di convivenza e coniugio con la vittima.
Per i condannati per reati a sfondo sessuale, si prevede che le misure alternative e gli altri
benefici possano essere concessi solo in caso di superamento di appositi percorsi riabilitativi.
È stata, infine, prevista una maggior tutela alle vittime di maltrattamenti, inasprendo le
pene, includendo fra le persone offese anche i conviventi, con un’aggravante specifica per
chi commette reato a danno di un minore di quattordici anni.
Riciclaggio e impiego di beni di provenienza illecita
Si consente, anche sulla scorta di indicazioni di fonte internazionale, la possibilità di incriminare il cosiddetto autoriciclaggio o il cosiddetto autoreimpiego (ad esempio, la condotta
di chi, dopo aver rubato un’auto o dopo averla ricevuta sapendo della sua provenienza illecita, sostituisca la targa in modo da ostacolare l’identificazione di tale provenienza).
INTERVENTI DI DIRITTO PROCESSUALE
ai
In
te
rn
o
Ampliamento delle possibilità di applicare misure cautelari
Il disegno di legge opera una stretta sulle misure cautelari. In particolare:
• Per tutti i reati per i quali è oggi previsto l’arresto in flagranza, si prevede la
possibilità di applicare misure cautelari tutte le volte in cui vi sia – anche sulla
scorta del già citato servizio informatico – un pericolo concreto e attuale
della loro commissione, anche se si procede per altro titolo di reato di specie
diversa e se il delitto di cui si teme la nuova commissione non sia connotato da
armi o violenza alla persona (es. dell’arrestato per un piccolo furto e mai indagato
per reati contro il patrimonio, ma che abbia recentissimi precedenti per spaccio).
• Quando vi è condanna in primo grado a carico di recidivi specifici infraquinquennali, si
prevede che il giudice, in presenza di esigenze cautelari, possa applicare la misura anche
d’ufficio (senza cioè attendere la richiesta del pubblico ministero: attualmente, tale possibilità è prevista in caso di condanna in appello).
Custodia cautelare per reati di massimo allarme sociale
Anche qui si prevede una stretta.
In particolare:
• Per le fattispecie di maggiore gravità, o comunque di maggiore incidenza sulla sicurezza dei
cittadini (fra questi omicidio, rapina, estorsione aggravata, sequestro di persona a scopo di estorsione, violenza sessuale aggravata, traffico di quantità ingenti di droga, furto in appartamento,
incendio boschivo, traffico di ingenti quantità di rifiuti), si prevede l’applicazione della sola misura custodiale in carcere, salvo che emerga l’insussistenza di esigenze cautelari.
Misura cautelare disposta dal tribunale del riesame
Si prevede che l’ordinanza emessa in accoglimento dell’appello del pubblico ministero (il
quale si era visto rigettare dal GIP la richiesta di misura cautelare) abbia immediata efficacia
esecutiva, senza che sia necessario attendere – come avviene attualmente – l’eventuale esito
del giudizio di cassazione.
136
Quaderni PD.indb 136
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INCIDENTE PROBATORIO. PIÙ TUTELA AI SOGGETTI DEBOLI. Vengono ampliate le possibilità
di utilizzazione di questo istituto, al di là dei casi già previsti dal codice di procedura penale,
in modo da facilitare l’assunzione della testimonianza di minorenni, o della persona offesa
(anche maggiorenne) da reati quali il maltrattamento in famiglia o gli abusi.
RITO IMMEDIATO. Si prevede che il pubblico ministero debba richiedere il rito immediato
per tutti gli imputati in stato di custodia cautelare (confermata dal tribunale del riesame),
anche qualora sia trascorso il termine – attualmente previsto – di novanta giorni dalla iscrizione nel registro degli indagati.
2
ai
“Patteggiamento” in appello
Viene abrogata la possibilità che le parti, durante il giudizio di appello, si accordino per l’accoglimento – in tutto o in parte – dei motivi di impugnazione proposti contro la sentenza di
primo grado, sottraendo così quest’ultima, ove la Corte d’appello accolga il patteggiamento,
a una piena rivisitazione nel merito (con tale meccanismo, è oggi possibile che ad esempio
una condanna a quindici anni e oltre di reclusione, per associazione finalizzata al traffico di
stupefacenti e per singoli episodi di spaccio, venga ridotta a soli quattro o cinque anni, per
il solo effetto dell’accordo delle parti sull’accoglimento dei motivi di appello riguardanti
il reato associativo, e sulla conseguente rideterminazione della pena).
2.
Sospensione dell’esecuzione della pena irrogata
Si prevede che, per tutti i reati di massimo allarme citati in precedenza, sia
esclusa la possibilità di sospensione ex lege della esecuzione, al fine di consentire
al condannato la presentazione di una istanza di misura alternativa alla detenzione
(possibilità oggi prevista per le condanne inferiori a tre anni di reclusione, o a sei, se si
tratti di condannati tossicodipendenti che intraprendano programmi di recupero).
Custodia cautelare per i minorenni
Si prevede espressamente la custodia cautelare per minorenni indagati o imputati di furto in
appartamento o con strappo, eliminando un difetto di coordinamento tra norme processuali
che aveva determinato un contrasto giurisprudenziale sul punto.
Nucleo operativo del corpo forestale dello Stato
Per rafforzare la sicurezza e la tutela ambientale viene istituito, presso il ministero dell’Ambiente, il nucleo operativo del corpo forestale dello Stato di tutela ambientale. Il nucleo concorre nell’attività di prevenzione e repressione dei reati ambientali, nonché di quelli relativi
al maltrattamento degli animali nelle aree naturali protette. Nell’esercizio delle proprie attività istituzionali può effettuare accessi e ispezioni amministrative. Il personale assegnato al
nucleo è individuato nell’ambito della consistenza organica del corpo forestale dello Stato.
Sequestro delle merci contraffatte
Viene resa possibile la distruzione della merce sequestrata non solo – come oggi già stabilito
– nei casi in cui la stessa sia deperibile, ma anche quando la custodia delle cose di cui è
comunque vietato il possesso, la fabbricazione ecc. risulti eccessivamente onerosa o pericolosa, ovvero quando la violazione di quei divieti risulti evidente.
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ADESIONE AL TRATTATO DI PRÜM. ISTITUZIONE DELLA BANCA DATI NAZIONALE DEL DNA E DEL LABORATORIO CENTRALE PER LA BANCA DATI NAZIONALE DEL DNA. OBIETTIVI E CONTENUTI
(Per ulteriori approfondimenti d.d.l. 1877 Trattato di Prüm)
In
te
rn
o
In Italia, le statistiche giudiziarie dimostrano che più della metà dei delitti denunciati restano impuniti perché gli autori non vengono individuati. I paesi che hanno già istituito una
loro banca dati DNA hanno avuto un salto nell’identificazione degli autori dei reati passando,
in alcuni casi, dal 6 al 60 per cento. Basta questa considerazione per far capire l’importanza
dell’introduzione anche in Italia di uno strumento moderno ed efficace di contrasto al crimine come la banca dati del DNA. Si tratta di venire incontro all’esigenza degli operatori di
avere nuovi strumenti nella lotta alla criminalità e dei cittadini di avere maggiore sicurezza.
La banca dati del DNA è anche un passo necessario per poter collaborare a pieno titolo con
i paesi europei che, come l’Italia, hanno sottoscritto il Trattato di Prüm. Non a caso questo
stesso d.d.l. contiene le norme per la ratifica dell’adesione al Trattato. In questo modo l’Italia potrà partecipare in pieno allo scambio di informazioni previsto dal Trattato nell’ambito
della cooperazione transfrontaliera nella lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata
e alla migrazione illegale. In estrema sintesi il d.d.l.:
• Prevede le norme per la ratifica dell’adesione al Trattato di Prüm.
• Istituisce la banca dati nazionale del DNA a carattere interforze, collocata nell’ambito del Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno, e
il laboratorio centrale della banca dati, presso il Ministero della Giustizia.
• Introduce alcuni limiti invalicabili per fronteggiare e scongiurare utilizzazioni
distorte della banca dati e garantire la privacy dei soggetti coinvolti.
• Realizza un coordinamento tra i laboratori delle forze di polizia e gli istituti di medicina legale, nello scambio dei dati nell’attività investigativa e giudiziaria.
ai
Grazie all’istituzione della Banca dati del DNA sarà dunque possibile:
• Aumentare significativamente l’identificazione degli autori dei reati, che oggi troppo
spesso restano ignoti, e rafforzare la possibilità di rintracciare persone scomparse.
• Rendere più efficace la collaborazione transnazionale nella lotta al crimine, al terrorismo,
all’immigrazione clandestina, grazie allo scambio delle informazioni relative ai dati genetici
(DNA) nell’ambito del Trattato di Prüm.
• Garantire il rispetto delle esigenze di riservatezza dei dati sensibili raccolti dalla banca
dati.
LA BANCA DATI NAZIONALE DEL DNA. Il d.d.l. istituisce la banca dati nazionale del DNA a
carattere interforze, collocata nell’ambito del Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno, e il laboratorio centrale della banca dati, presso il DAP del Ministero della
Giustizia. La Banca dati svolge le attività di:
• raccolta dei dati relativi ai profili del DNA (ad esempio di soggetti che hanno commesso
particolari fattispecie di reato, di persone scomparse o di cadaveri non identificati);
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Quaderni PD.indb 138
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• raffronto dei profili di DNA raccolti, ai fini dell’identificazione dell’autore di un reato.
Il Laboratorio, invece, provvede alla:
• estrazione dei profili del DNA;
• conservazione dei reperti biologici. Tale costruzione consente alle forze di polizia di custodire, per la successiva consultazione e gli immediati raffronti, i soli dati relativi ai profili
del DNA; mentre al laboratorio spetta l’attività di tipizzazione, vale a dire l’estrazione del
profilo del soggetto, che verrà poi trasmesso alla banca dati DNA.
2.
La soluzione scelta si fonda sulla considerazione che, se una persona è privata
della libertà personale, essendo detenuta, può anche essere sottoposta ad
altra limitazione, che si ritiene minima, della libertà personale. Per evitare,
però, una indiscriminata, quanto inutile, attività di prelievo nei confronti dei
detenuti, si è introdotto un limite oggettivo e generale: si deve trattare di autori di
delitti non colposi, consumati o tentati.
2
ai
A chi può essere prelevato il DNA
L’articolo 9 elenca i soggetti che possono essere sottoposti a prelievo di campioni biologici:
• i soggetti in carcere o agli arresti domiciliari;
• chi è stato arrestato in flagranza di reato o sottoposto a fermo di indiziato di delitto, il
prelievo è effettuato dopo la convalida da parte del giudice;
• i detenuti o destinatari di misura alternativa alla detenzione in seguito a sentenza irrevocabile per delitto non colposo;
• i soggetti nei cui confronti è applicata una misura di sicurezza detentiva, provvisoria
o definitiva.
Limiti e garanzie
Il d.d.l. prevede le più adeguate garanzie per fronteggiare e scongiurare utilizzazioni distorte
della banca dati. Sono stati introdotti, in maniera esplicita, alcuni limiti invalicabili:
• la banca dati ha finalità esclusive di identificazione personale per la polizia giudiziaria e
per l’attività giudiziaria, nonché per la collaborazione tra le forze di polizia;
• l’analisi svolta può riguardare solo segmenti non codificati del genoma umano, vale a dire
quelli dai quali non siano desumibili informazioni sulle caratteristiche del soggetto analizzato, quali ad esempio le malattie;
• la scelta di tenere distinti il luogo di raccolta e confronto dei profili del DNA (banca dati)
dal luogo di estrazione e di conservazione dei campioni biologici e dei profili stessi (laboratorio centrale), nonché dal luogo di estrazione dei profili provenienti dai reperti (laboratori
delle forze di Polizia e specializzati), ha evitato una promiscuità che poteva rivelarsi dannosa per la genuinità dei dati raccolti ed analizzati;
• la banca dati può essere consultata solo ad opera del personale addetto e autorizzato,
secondo modalità che consentano la “tracciabilità”, ossia l’individuazione della postazione e
del soggetto che ha effettuato l’accesso;
139
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• gli abusi o l’uso distorto delle informazioni contenute nella banca dati, da parte di un
pubblico ufficiale, sono puniti, salvo che il fatto non costituisca reato più grave, con la reclusione da uno a tre anni.
La cancellazione dei dati.
Nel caso di assoluzione con sentenza definitiva perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non lo ha commesso è disposta anche d’ufficio la cancellazione dei profili del DNA
acquisiti e la distruzione dei relativi campioni biologici. La cancellazione d’ufficio avviene
anche se le operazioni di prelievo sono state compiute in violazione delle norme.
I tempi.
La banca dati, evidentemente, è utile soprattutto nei fenomeni di recidiva, perciò è importante che i dati siano conservati per un numero congruo di anni. Allo stesso tempo si
è ritenuto necessario fissare un limite massimo di conservazione, per evitare un’indefinita
sottoposizione a controlli, anche a distanze di tempo considerevoli. Si propone:
• un termine massimo di 40 anni per la conservazione dei profili, un termine ritenuto congruo per superare, sulla base dell’esperienza, il periodo di recidiva;
• un termine massimo di 20 anni, invece, per la conservazione dei campioni biologici.
ai
In
te
rn
o
Le istituzioni di garanzia.
Analogamente a quanto avviene nelle esperienze straniere, vengono previste istituzioni di garanzia che, per assicurare l’imparzialità dei controlli, sono
autonome ed estranee alle attività proprie della banca dati nazionale e del Laboratorio centrale. I loro compiti sono quelli di esercitare l’attività di controllo sul
funzionamento e garantire la sicurezza di entrambi i centri di raccolta dei dati. Il d.d.l.
ha inteso realizzare tale scopo attraverso l’azione sinergica di due figure:
• il garante per la protezione dei dati personali, che agirà in applicazione della normativa
già esistente un materia di protezione dei dati personali;
• il comitato nazionale per la biosicurezza e le biotecnologie, che dovrà garantire l’osservanza dei criteri e delle norme tecniche per il funzionamento del laboratorio centrale, nonché eseguire le verifiche necessarie presso il laboratorio stesso e gli altri laboratori che lo
alimentano, formulando anche suggerimenti per il miglioramento del servizio.
MISURE DI CONTRASTO ALLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA.
DELEGA AL GOVERNO PER L’EMANAZIONE DI UN TESTO UNICO DELLE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI MISURE DI PREVENZIONE. DISPOSIZIONI IN MATERIA DI PATROCINIO A SPESE DELLO STATO E PER IL POTENZIAMENTO DEGLI
UFFICI GIUDIZIARI
(Per ulteriori approfondimenti d.d.l. 3242 Contrasto alla criminalità)
Obiettivi
Il riordino e la razionalizzazione della disciplina sulle misure di prevenzione e l’ottimizzazione del funzionamento degli attuali uffici giudiziari, in modo da rendere più attuale, efficace
140
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e rapida la risposta alla domanda di giustizia dei cittadini, sono i due obiettivi che il disegno
di legge approvato dal Consiglio dei Ministri intende perseguire.
2.
2
ai
Le misure di prevenzione
La disciplina della complessa e delicata materia delle misure di prevenzione è il frutto di
una stratificazione di norme elaborate nel corso degli ultimi cinquanta anni, mentre le
leggi fondamentali sulle misure di prevenzione personali (l. 1423/1956) e patrimoniali (l.
575/1965) sono assai risalenti nel tempo. Si è reso pertanto necessario e non più differibile
un intervento che dia una sistemazione organica alla materia, eliminando aporie, lacune e
contraddizioni che oggi caratterizzano la stessa. Si è deciso di utilizzare lo strumento della
legge delega:
• per la prima volta si è introdotto il concetto di “pericolosità del bene” in ragione del suo
vincolo di strumentalità con l’azione criminale, anche a prescindere dalle caratteristiche
del soggetto che ne abbia la disponibilità. In questo modo si potrà incidere in maniera più
stringente su quei comportamenti che sono in grado di alterare il sistema legale di circolazione della ricchezza, minando così alla radice le fondamenta di una economia di mercato.
Così è stato prevista la possibilità di applicare le misure di prevenzione patrimoniale
anche disgiuntamente rispetto alle misure di prevenzione personali, nonché la possibilità di aggredire il patrimonio mafioso anche in caso di morte del proposto o
del sottoposto.
• Viene introdotta in modo organico e innovativo una reale tutela per gli
imprenditori e le imprese sotto il ricatto della mafia che hanno il coraggio di
denunciare l’interferenza della criminalità organizzata. La “denuncia di assoggettamento” all’influenza mafiosa consentirà l’accesso a misure di controllo e sostegno
nonché a contributi specificamente stanziati.
• Al contrario, la mancata denuncia comporterà il sequestro e la confisca di prevenzione,
salvo che i titolari d’impresa, nel corso del procedimento, non collaborino concretamente
con l’autorità di Polizia o l’autorità giudiziaria.
• Le investigazioni patrimoniali e l’azione di prevenzione diventano obbligatori dopo l’esercizio dell’azione penale per i reati di particolare gravità, salvo che ciò possa pregiudicare
significativamente le investigazioni.
• Sequestro e confisca: ora potranno essere richiesti anche nei confronti di persone giuridiche ed enti, in modo simmetrico a quanto previsto per le persone fisiche.
• Viene attribuita alle direzioni distrettuali antimafia la competenza a indagare e a proporre
le misure di prevenzione patrimoniali, valorizzandone così l’esperienza e il patrimonio informativo notevolissimo in materia di criminalità organizzata.
• Vengono ridefiniti i compiti e le funzioni del procuratore nazionale antimafia, il quale
dovrà esercitare funzioni di impulso e coordinamento nei confronti delle procure della Repubblica legittimate a proporre l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale.
• I procedimenti in questa materia vengono organizzati e attualizzati. Viene infatti dato
spazio a tutti i soggetti a qualunque titolo interessati dalle singole misure di prevenzione,
contemperando tale esigenza con quella, altrettanto evidente, di rendere agile e celere la
procedura medesima. La tutela dei terzi creditori, in relazione alle richieste di misure di
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prevenzione patrimoniale, è stata fatta oggetto di una specifica attività del giudice delegato
all’esito dell’eventuale applicazione della misura stessa.
• Rapporti tra sequestro penale e sequestro di prevenzione: viene introdotta, per la prima
volta, una disciplina specifica e si prevede che prevalga, in ogni caso, il sequestro di prevenzione.
• Si introduce e si disciplina la “revisione” della confisca di prevenzione. I soggetti ai quali
sono stati destinati i beni confiscati (nella maggior parte dei casi i comuni) spesso si trovano nell’impossibilità di investire sui beni loro destinati e che potrebbero essere utilizzati con
scopi socialmente utili. E questo, a causa della continua presentazione di istanze di revoca,
che rendono il giudicato di prevenzione, per così dire, instabile. Il nuovo procedimento di
revisione introdotto nel d.d.l. risolve questo problema assicurando contemporaneamente agli
interessati le necessarie garanzie.
• Rapporti tra procedura di prevenzione e procedure concorsuali: si è prevista un’apposita
disciplina per le procedure di confisca di beni già sottoposti a fallimento.
ai
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o
L’organizzazione degli uffici giudiziari
Vengono rafforzati gli uffici giudiziari collocati in zone del nostro territorio maggiormente esposte alla criminalità organizzata. In particolare, si è istituito presso i maggiori
tribunali sedi di corte d’appello un posto di presidente di sezione GIP. Nelle regioni
maggiormente caratterizzate da fenomeni di criminalità organizzata è stata
prevista l’istituzione di un posto di procuratore aggiunto ogni otto sostituti
addetti all’ufficio, in deroga al criterio generale di un aggiunto ogni dieci. La
necessità di tale provvedimento è evidenziata dal continuo turn over tra i magistrati in servizio presso dette sedi, che non garantisce a sufficienza la presenza di
operatori con specifica esperienza nel settore, particolarmente richiesta nelle regioni in
questione. Il d.d.l. interviene sulle cosiddette sedi disagiate:
• si rilanciano gli incentivi per i magistrati che accettano di esercitare le proprie funzioni
in zone ad alto tasso di criminalità. L’intervento è fondamentale proprio per la prospettiva
di una forte scopertura degli organici nei prossimi anni, in particolare in sedi non richieste
delle regioni Basilicata, Calabria, Sardegna e Sicilia, dovuta al blocco dei concorsi per l’ingresso in magistratura che si è registrato in passato.
• Sono stati rideterminati e ampliati i criteri per l’individuazione delle sedi disagiate; i
parametri che vengono proposti sono quindi la mancata copertura del posto nell’ultima pubblicazione dello stesso e la scopertura rapportata alla media nazionale, prevedendo, altresì,
la possibilità di destinare in tali sedi fino a cento magistrati all’anno; questi ultimi, però,
dovranno godere di una anzianità di servizio non inferiore a cinque anni e non dovranno
provenire da altra sede disagiata. Solo nel caso in cui neppure magistrati con questi requisiti
si dichiareranno disponibili al trasferimento sarà possibile coprire i posti requirenti vacanti
con magistrati ordinari che abbiano concluso il tirocinio. In questo caso, però, ai magistrati
saranno assegnati esclusivamente procedimenti da trattare insieme a colleghi che abbiano
già conseguito la prima valutazione di professionalità. Si tratta di una limitazione necessaria
per contemperare la necessità di copertura delle sedi disagiate con il divieto previsto dal
nuovo ordinamento giudiziario.
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ai
• La nuova disciplina elimina per il futuro la c.d. preferenza assoluta di cui i magistrati in
servizio presso sedi disagiate hanno finora beneficiato, ma introduce a favore di costoro una
serie di previsioni. Fra queste: una indennità pari allo stipendio effettivamente percepito
al momento dell’assegnazione (notevolmente aumentata, quindi, rispetto alla sua attuale
entità) per la durata massima di quattro anni, il raddoppio del punteggio di anzianità sino al
quarto anno di permanenza, nonché, nei confronti dei soli magistrati in carriera (che, quindi,
già esercitavano funzioni giudiziarie al momento della destinazione alla sede disagiata) e
solo dopo il terzo anno di permanenza, il diritto a rientrare nella sede di provenienza, con
le medesime funzioni e anche in soprannumero rispetto all’organico esistente.
• A ciò si aggiunge, poi, la facoltà di richiedere anche il trasferimento del coniuge, già attualmente prevista.
• Per i magistrati già destinati a sedi disagiate, il d.d.l. prevede che continui ad applicarsi la
normativa precedente, con un meccanismo che può, seppur progressivamente, evitare un’alterazione della mobilità generale dei magistrati, garantendo a tutti una prospettiva futura,
seppur non immediata, di raggiungimento della sede desiderata o, perlomeno, di una sede
limitrofa a essa.
2.
2
Modifiche alla disciplina in materia di patrocinio a spese dello Stato.
Vengono esclusi da questo beneficio tutti i soggetti condannati per gravi reati
(associazione a delinquere di tipo mafioso, associazione a fine di spaccio di
stupefacenti, associazione a fine di contrabbando, spaccio di stupefacenti,
nonché reati commessi al fine di agevolare l’attività delle associazioni mafiose). Una sentenza di condanna definitiva per questo tipo di reati fa presumere
con sufficiente certezza la percezione di redditi superiori alla soglia prevista per
ottenere il gratuito patrocinio. Con espressa previsione si stabilisce che il giudice è
obbligato a tener conto, nella valutazione delle condizioni economiche di chi chiede il
gratuito patrocinio, anche delle risultanze del casellario giudiziale. La richiesta di gratuito
patrocinio non potrà più essere presentata direttamente in udienza, e il giudice non dovrà
più decidere «immediatamente». L’istanza dovrà essere presentata sempre in cancelleria, e
potrà essere valutata con la dovuta attenzione. Il procedimento, secondo le nuove disposizioni, inoltre, non viene più vanificato nel caso in cui l’istanza non venga decisa nel termine
di dieci giorni.
Assunzione dei testimoni di giustizia.
Una specifica norma infine stabilisce l’assunzione, anche a tempo determinato, nella pubblica amministrazione dei testimoni di giustizia. L’assunzione avviene per chiamata diretta
nominativa e con qualifica e funzioni corrispondenti al titolo di studio e alle professionalità
possedute.
Contributi finanziari alle imprese.
È stato introdotto il divieto di erogazione di contributi finanziari per lo svolgimento di attività imprenditoriali da parte dello Stato per i soggetti che abbiano riportato condanne, o
sentenze di patteggiamento, per reati di particolare gravità.
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DIFESA
Gli impegni e le iniziative
del Partito Democratico per la pace,
la sicurezza e la difesa nazionale
Di
fe
sa
dicembre 2008
Nell’ultimo decennio le minacce alla pace e alla sicurezza internazionale sono
cresciute, assumendo anche le forme nuove e più insidiose del conflitto etnico
e religioso.
Il Partito Democratico nel documento programmatico con cui si è presentato agli elettori
ha evidenziato i rischi e la gravità di una situazione internazionale segnata in diverse aree
del mondo da un contesto in rapida evoluzione, contraddistinto da elevata instabilità.
La nostra Carta costituzionale proprio perché “ripudia la guerra come strumento di offesa
alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”
ci indica la via da seguire.
ai
Una via che non esclude l’uso della forza quando è utile a prevenire l’insorgere di un conflitto
o a farne cessare uno in atto.
Sono scelte estreme che il paese può fare ancorandole saldamente a politiche condotte nel
quadro di un multilateralismo efficace e di una presenza attiva negli organismi internazionali.
Per svolgere in maniera credibile una politica così impegnativa, come abbiamo indicato nel
nostro programma, “l’Italia deve poter disporre di uno strumento militare che le consenta, in
coerenza con il mandato fissato nell’articolo 11 della Costituzione, di assicurare un’adeguata
difesa del territorio nazionale; di svolgere da protagonista il ruolo che le compete nelle al144
Quaderni PD.indb 144
09/02/2009 19.36.06
leanze internazionali; di condividere le responsabilità nel governo delle crisi e per la difesa
della pace e della stabilità internazionale. La lotta al terrorismo resta un’esigenza essenziale,
da affrontare tramite le missioni internazionali di cui siamo parte e attraverso i nuovi strumenti europei di cooperazione fra polizie e servizi di intelligence.”
Sempre nello stesso documento programmatico indicavamo chiaramente “l’errore compiuto
dall’amministrazione Bush con la guerra in Irak”. La fondatezza di questa affermazione che ci
è stata a lungo, e impropriamente, contestata è ora riconosciuta dallo stesso Bush.
ai
Il nostro impegno in numerose missioni militari deve procedere di pari passo a iniziative
politiche in grado di disinnescare le tensioni e fermare la corsa al riarmo, convenzionale e
nucleare, che segna in modo decisamente preoccupante tanti luoghi della realtà internazionale.
La situazione delle Forze Armate
2.
Le Forze Armate italiane stanno affrontando una prova difficilissima e problemi
di grandissimo rilievo:
3
Questo significa lavorare a un Mediterraneo di pace, ad un Medio Oriente de-nuclearizzato,
partecipare agli sforzi internazionali per fermare il rischio nucleare iraniano e assicurare la
sicurezza ai paesi dell’area.
• la costruzione di quella che viene definita come “identità di difesa europea”
direttamente collegata con il processo di unificazione dell’Unione;
• una riorganizzazione funzionale dovuta al mutamento degli scenari geo-politici e alla
sospensione del servizio obbligatorio di leva che oggi si complica con la ventilata revisione
del modello a 190.000 uomini determinata dalla carenza di risorse che ha visto il Consiglio
Supremo della Difesa prendere posizione;
• una serie di impegni internazionali che per l’entità delle forze impiegate e la complessità
degli scenari in cui esse operano ha raggiunto il punto limite della capacità operativa del
nostro strumento militare.
Il nostro modello di difesa deve quindi confrontarsi con questi impegnativi temi in uno scenario che in questi anni ha subito fortissime e rapide trasformazioni.
Due date fanno da spartiacque fondamentale, l’89 con la caduta del muro di Berlino e l’11
settembre con l’attacco terroristico alle Torri gemelle. La prima rappresenta la fine di un
equilibrio bipolare durato più di mezzo secolo e la nascita di un mondo che ha proposto
insieme nuove opportunità, nuovi spazi democratici ma anche nuove tensioni e instabilità
in diverse aree del mondo.
Con la sfida dell’11 settembre la minaccia terroristica ha cambiato nel profondo quello che
era stato un paradigma fondamentale per le politiche di sicurezza e difesa: la separazione
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Quaderni PD.indb 145
09/02/2009 19.36.06
tra sicurezza interna ed esterna. Nello scenario strategico seguito a quel drammatico evento,
il confine fra sicurezza e difesa è diventato più labile, anche in termini geografici. La linea
di frattura fra l’area strategicamente stabile e quella ancora instabile corre fra l’emisfero
settentrionale e quello meridionale con alcuni cunei, i Balcani verso nord e l’India verso il
sud. La dimensione della sicurezza di un paese sempre più si gioca fuori dai confini nazionali.
Sono queste le ragioni che ci hanno portato a impegnare in missioni militari fuori dai confini
nazionali da diversi anni tra gli 8.ooo e i 10.000 militari
A questo straordinario impegno richiesto agli uomini e alle donne delle nostre forze armate
non ha corrisposto in questo avvio della legislatura, da parte del Governo, una adeguata
attenzione e anzi si è proceduto a una sensibile diminuzione delle risorse assegnate alla
funzione difesa e a una serie di scelte che hanno acuito le difficoltà finanziarie.
Il nostro impegno in Parlamento
Come opposizione intendiamo portare avanti un confronto parlamentare serio nella convinzione che le Forze Armate sono un bene di tutto il paese e devono essere messe in condizione di svolgere serenamente i propri compiti istituzionali. Ci siamo mossi presentando
nostre proposte di legge e discutendo quelle del Governo senza pregiudiziali.
Le proposte di legge più significative che abbiamo presentato riguardano:
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• Legge quadro sulla partecipazione italiana a missioni umanitarie e internazionali. Fino a ora l’invio di contingenti militari all’estero è stato disposto con
decreti legge che fissano di volta in volta il trattamento giuridico ed economico
del personale militare e le spese per ciascuna missione. La nostra proposta fissa una
serie di regole generali costruendo un quadro normativo di riferimento valido per tutte
le missioni.
• Delega al Governo per la riforma del codice penale militare di pace e introduzione dell’articolo 4-bis della legge 7 maggio 1981, n. 180, concernente l’ufficio militare di sorveglianza.
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Con queste norme si da vita a un nuovo codice e a una profonda revisione di quello esistente
adeguandolo alla nuova realtà dell’esercito professionale e alle missioni militari fuori area.
Un codice di pace che fa proprie le norme del diritto umanitario internazionale ed elude
categoricamente qualunque ricorso al codice militare di guerra.
• Disposizioni per il passaggio di personale civile dell’amministrazione della difesa dall’area
professionale A all’area professionale B. Prevede il reinquadramento di personale civile nell’area B rimasto impropriamente inquadrato nelle vecchie qualifiche del terzo livello.
• Benefici in favore del personale militare esposto all’amianto. Vengono estese al personale
militare le disposizioni per il riconoscimento delle malattie dovute da esposizione all’amianto e gli istituti di protezione sociale per la cura e il risarcimento delle vittime.
• Modifiche agli articoli 1 e 6 della legge 3 giugno 1981, n. 308, concernenti la rideterminazione dei soggetti destinatari dei benefici in favore dei militari delle Forze Armate e degli
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appartenenti ai corpi armati e ai corpi militarmente ordinati dello Stato infortunati o caduti
in servizio e dei loro superstiti. Estende a tutto il personale militare escluso, a qualunque
titolo, da misure risarcitorie un indennizzo a prescindere dalla causa di servizio.
• Norme di riforma della rappresentanza militare. La realtà delle forze armate è profondamente cambiata con la sospensione della leva obbligatoria e il passaggio al modello professionale. La nostra riforma intende corrispondere a questa nuova realtà intervenendo con proposte
innovative per dare piena tutela al personale militare.
• Delega al Governo per il riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze Armate
e delle Forze di Polizia. Si tratta di armonizzare i profili di carriera del personale dei corpi
di Polizia a ordinamento civile e militare e di quello delle Forze Armate al fine di riparare
a una serie di sperequazioni dovute a interventi settoriali che sono sfuggiti a un quadro di
compatibilità e di equilibrio generale.
Tra le iniziative parlamentari assunte voglio ricordare una mozione da me presentata al Senato e approvata a larghissima maggioranza per la messa al bando delle cluster bomb.
2.
Per quanto riguarda invece il confronto con il Governo, il più importante momento di
verifica l’abbiamo avuto con la presentazione della manovra finanziaria triennale
di luglio (d.l. 112/2008) che ha fortemente penalizzato il bilancio della Difesa
sostenuto dal Governo da un voto di fiducia che ha impedito qualunque modifica. Il Partito Democratico ha votato contro e sulle questioni della Difesa
ha motivato il suo voto con un documento analitico sotto forma di relazione di
minoranza.
3
Il confronto con il governo
Relazione di minoranza
La Commissione Difesa,
esaminata la legge recante Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (Legge finanziaria 2009)(C.1713 Governo), Bilancio di previsione dello Stato per
l’anno finanziario 2009 e bilancio pluriennale per il triennio 2009-211 (C.1714 Governo, Tabella n. 11): Stato di previsione del Ministero della Difesa per l’anno finanziario 2009;
Premesso che:
• gli effetti di tagli sistematici sulle spese di esercizio – subiti negli anni 2004, 2005, 2006
dal bilancio della Difesa – sono andati molto al di là di un razionale e sostenibile contenimento incidendo gravemente e pericolosamente sulla vera e propria prontezza operativa del
nostro strumento militare;
• tagli consistenti e continuati hanno operato in settori, classificati come consumi intermedi, dove però sono in gioco l’efficacia, la sicurezza del personale e lo disponibilità dello
strumento, non solo a fini nazionali, ma anche a supporto degli impegni – obblighi internazionali assunti;
• la manovra finanziaria approvata con il d.l. 112/2008 prefigura un andamento degli stanziamenti a legislazione vigente in deciso progressivo decremento, da circa 20,3 miliardi di
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euro per il 2009 a poco più di 18, 9 miliardi per l’anno 2011 e ripropone consistenti tagli
sull’esercizio;
• la differenza tra input finanziario e output richiesto allo strumento militare rischia di compromettere irrimediabilmente le capacità produttive dell’organizzazione della Difesa;
• nel settore dell’esercizio le previsioni di spesa ammontano a 1.887,9 milioni di euro con
un decremento rispetto al 2008 di 775,3 milioni di euro (-29%) e tali volumi finanziari risultano assolutamente insufficienti per assicurare sia pure al minimo livello di adeguatezza,
le attività di addestramento e formazione, le attività manutentive, le scorte di materiali per
uno strumento aderente agli impegni nazionali oltre a quelli NATO/UE/ONU;
• nel settore del personale non vengono ripianati i tagli, effettuati con il d.l. 112/2008,
sui fondi destinati al reclutamento dei volontari per un valore pari al 7 per cento per l’anno
2009 e del 40 per cento a decorrere dall’anno 2010, con la precisazione che da queste misure
dovranno conseguire economie di spesa per un importo non inferiore a 304 milioni di euro
a decorrere dall’anno 2010;
• queste misure comportano, insieme alla riduzione dei nuovi arruolamenti anche il mancato
trattenimento di soldati che sono già nelle Forze Armate da 5 – 6 anni e che quindi – contro
ogni loro legittima aspettativa – potrebbero essere congedati dopo aver prestato servizio
sia in Italia che all’estero;
• nelle norme sopra richiamate sono contenute disposizioni per il blocco del turn
over nelle pubbliche amministrazioni che sembra doversi applicare anche alle
Forze Armate e ai Carabinieri;
• che tutto questo è in aperta contraddizione con le esigenze organiche delle
Forze Armate e dei Carabinieri e che avrà conseguenze devastanti sugli organici
del nostro strumento militare e sui destini e le legittime aspettative del personale;
• le proiezioni su base triennale 2009-2011, evidenziano il rischio di un progressivo
decadimento operativo dello strumento militare con una riduzione prossima all’azzeramento delle esercitazioni, delle ore di moto e di volo delle varie componenti, una sensibile
riduzione delle attività manutentive sui sistemi d’arma in inventario, con un conseguente
diretto impatto sia sull’efficienza operativa delle capacità disponibili che in termini patrimoniali, una situazione di irreversibilità sia nel settore delle scorte operative e strategiche
che nel settore infrastrutturale;
• tutto ciò significa, in termini di “output operativo” che nel 2009:
• l’Esercito potrà svolgere circa 2.880 esercitazioni a fronte delle 7.500 previsionali del
2008;
• la Marina disporrà di circa 29.800 ore di moto a fronte delle 45.000 previsionali del
2008;
• l’Aeronautica potrà effettuare circa 30.000 ore di volo a fronte delle 90.000 previsionali
del 2008;
• con i provvedimenti all’esame della Camera non si dà minimamente seguito all’inversione
di tendenza avvenuta con gli stanziamenti disposti dal governo di centro sinistra per gli anni
2007/2008 di cui è dato riconoscimento nella stessa “Nota preliminare relativa allo stato
di previsione della spesa del Ministero della Difesa per l’esercizio finanziario 2009” dove a
pagina 16 è chiaramente indicato che la sofferenza dei bilanci della Difesa registrata negli
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anni 2004/2005/2006, è stata ottenuta negli anni 2007 e 2008, con una inversione degli
stanziamenti a bilancio, consentendo alle Forze Armate sia di onorare tutti gli impegni presi
in capo internazionale sia di porre le basi per conseguire un recupero, seppur minimale, in
taluni settori vitali dell’organizzazione che registravano all’inizio del 2008 un “gap” di attività non svolte;
• non viene previsto alcun rimedio per ripianare le risorse da destinare all’esercizio che
avrebbero dovuto concretizzarsi nella costituzione a favore del Ministero della Difesa nei
fondi speciali di parte corrente un accantonamento non inferiore ai 450 milioni di euro per
ciascuno degli anni del triennio 2009-2011 per sopperire alla drammaticità della situazione
descritta in premessa, con particolare riferimento alle gravi carenze nella attività di reclutamento, addestrativa e di manutenzione dei mezzi indispensabili per continuare a mantenere
gli impegni “fuori- area” assunti dal nostro paese nell’ambito della comunità internazionale
in una condizione di massima sicurezza per il personale.
2.
3
La discussione sul bilancio è stata molto serrata, ma alla fine il governo ha posto la fiducia
e impedito qualunque proposta emendativa.
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3
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area
economica
Pier Luigi Bersani, Matteo Colaninno, Ermete Realacci,
Andrea Martella, Alfonso Andria
3.1 Politiche per l’economia e la finanza
3.2 Politiche per le imprese
e il sistema creditizio
3.3 Politiche delle infrastrutture
e del trasporto
3.4 Politiche per l’ambiente e il territorio
3.5 Politiche agricole
In campo economico, l’attenzione del Governo Ombra si è concentrata sulla risposta da
dare alla crisi, che dal settore finanziario si è estesa all’economia reale ed è sempre più
evidente nella sua gravità. I documenti qui raccolti testimoniano di un lavoro che si è
espresso, sin dall’avvio della legislatura, in un puntuale e costante contrasto all’operare
di un Governo che, con le sue scelte concrete (dall’abolizione totale dell’ICI sulla prima
casa alla costosissima operazione Alitalia-Cai, all’imposizione di un prelievo straordinario
su banche assicurazioni e imprese petrolifere, all’agevolazione fiscale per il lavoro straordinario) ha dimostrato di non avere né anticipato né compreso lo scoppio e la profondità
della crisi né messo, poi, in atto politiche capaci di dare sostegno all’economia.
La documentazione raccolta testimonia della ricca parte propositiva del lavoro del Governo
Ombra, con la richiesta di una forte azione di sostegno alla domanda e agli investimenti e
un’enfasi particolare sulla difesa del potere d’acquisto dei salari e delle pensioni. Sul versante
dell’impegno a favore dei settori produttivi, si segnala il provvedimento “impresa in un giorno”.
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e
POLITICHE PER L’ECONOMIA
E LA FINANZA
Disposizioni urgenti
per salvaguardare il potere
di acquisto delle famiglie
Nota sul decreto legge 27 maggio 2008, n. 93
Il decreto non risolve il problema della crisi del potere di acquisto in Italia
3.
1
(a cura del Comitato economia e finanza del PD)
Le misure contenute nel d.l. 93 sono deludenti perché determinano effetti marginali sulla distribuzione del reddito e sulla crescita lasciando sullo sfondo le vere priorità:
il livello troppo basso dei salari e l’aumento dei prezzi.
In particolare:
1. le famiglie italiane sono molto indebitate e si assiste a una situazione nuova per il nostro
paese, sconosciuta fino a 15 anni fa: secondo l’ultimo rapporto ISTAT la cultura del risparmio
è stata minata: il 66,1 per cento delle famiglie non riesce più a risparmiare; circa il 15 per
cento delle famiglie italiane non riesce ad arrivare a fine mese e deve ricorrere all’indebitamento; circa il 30 per cento dei nuclei familiari non riesce ad affrontare una spesa imprevista
di 600 euro.
2. Sempre il rapporto ISTAT 2007 segnala che il reddito dei cittadini italiani è crollato del 13
per cento rispetto ai paesi dell’Unione europea. In pratica in Italia si vive con “salari greci
e prezzi tedeschi”. Sono gli anziani soli a percepire i redditi più bassi, soprattutto le donne
con più di 65 anni che vivono da sole.
3. Nell’ultimo anno i prezzi al consumo sono aumentati di circa il 3,3 per cento, oltre un
punto in più rispetto all’inflazione programmata. Il peggioramento non ha colpito tutti allo
stesso modo perché gli aumenti hanno riguardato soprattutto i consumi quotidiani; poiché
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le famiglie a reddito più basso hanno una più elevata propensione al consumo sono queste le
più colpite. L’aumento della spesa di tali famiglie è evidente: cresce il costo dell’abitazione,
dell’acqua, e dell’elettricità (più 5,6 per cento su base annua); il costo dei prodotti alimentari (più 5,5 per cento); quello dei trasporti (più 5,1 per cento).
4. La questione prezzi e la questione salariale sono ormai priorità nazionali; l’unico vero
modo per incidere sulle condizioni di vita degli italiani è quello di intervenire sui meccanismi
e sul reddito disponibile.
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5. I dati di finanza pubblica a oggi disponibili indicano un andamento tendenziale di entrate
e spese migliore delle previsioni contenute nella eelazione unificata del 18 marzo scorso. In
particolare, il fabbisogno cumulato da gennaio ad aprile migliora di quasi 3 miliardi di euro
il risultato raggiunto nel corrispondente periodo del 2007, anno chiuso con un deficit di 8
miliardi inferiore a quello previsto per quest’anno. Le entrate da gennaio ad aprile aumentano con un passo doppio rispetto all’andamento nominale dell’economia: +7 per cento le
prime; +3,6 per cento la seconda. È vero che l’IVA da scambi interni nel mese scorso è calata
rispetto allo stesso mese del 2007. Tuttavia, è anche vero che IRPEF, IRES, IRAP, imposte
di registro e contributi sociali continuano ad aumentare a tassi molto superiori all’andamento dell’economia. A tali risultati ha certamente concorso un andamento del
PIL nel primo trimestre dell’anno superiore alle attese. In sintesi, esiste sia un
extragettito, sia una sovrastima delle spese. L’insieme delle due componenti
dei conti delle pubbliche amministrazioni, extragettito e sovrastima delle spese, ossia il così detto “tesoretto”, si può prudenzialmente stimare in almeno circa
3 miliardi di euro per il 2008.
6. Per non dover riconoscere i risultati raggiunti dal Governo Prodi nel risanamento della
finanza pubblica, il Governo Berlusconi e il ministro Tremonti negano l’evidenza. Di conseguenza, per coprire i costi del decreto fiscale, intervengono pesantemente su importanti
programmi per il Mezzogiorno, per le pari opportunità, per l’integrazione sociale, per la
sicurezza.
7. Il PD propone al Governo di riconoscere l’evidenza e utilizzare le risorse dell’extragettito
e della sovrastima delle spese per coprire i costi del decreto fiscale non toccando le risorse
stanziate nella scorsa legislatura.
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8. Va ricordato che l’articolo 1, comma 4, della finanziaria 2008 dispone la destinazione delle
maggiori entrate tributarie alla riduzione della pressione fiscale nei confronti dei lavoratori
dipendenti e specifica che tale riduzione debba essere realizzata attraverso l’incremento
della detrazione. Coerentemente il PD, nel suo programma, prevedeva da subito un aumento
della detrazione IRPEF a favore dei lavoratori dipendenti finanziata con l’extragettito.
Siamo impegnati nella battaglia parlamentare a intervenire sulla questione del potere d’acquisto anche mobilitando maggiori risorse e a denunciare e correggere le evidenti criticità
presenti nelle singole misure.
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Il Decreto è discriminatorio e irrazionale.
3.
1
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Non c’è nessun beneficio per gli inquilini. Il primo problema ha a che fare con il fatto che
la totale esenzione dal pagamento dell’ICI sulla prima casa, sulle relative pertinenze e sulle
abitazioni assimilate (ad esempio, una seconda o terza casa assegnata in uso gratuito a parenti in linea retta o collaterali) esclude le famiglie non proprietarie (a partire da quelle che
vivono in affitto). Secondo i dati de Il Sole 24 Ore i beneficiari dell’esenzione ICI sono 16,9
milioni. Mancano all’appello altre 7 milioni di famiglie, tra le quali la percentuale di nuclei in
condizioni di povertà è maggiore che tra i nuclei proprietari dell’abitazione principale.
Al contrario, la finanziaria 2008 - contestualmente alla detrazione aggiuntiva ICI dell’1,33
per mille del valore catastale dell’immobile e fino a un massimo di 200 euro così da esonerare
dal pagamento dell’imposta il 40 per cento circa dei contribuenti - consente agli inquilini
di detrarre fino a 300 euro l’anno, che aumentano fino 991,6 euro all’anno per i giovani
affittuari tra i 20 e i 30 anni di età, con restituzione dello sgravio non goduto in caso di
incapienza.
Inoltre, l’estensione dell’esenzione ICI anche alle abitazioni assimilate a quella principale, in
base al regolamento comunale, significherà, ad esempio, che il padre non pagherà l’imposta
sulla casa data al figlio soltanto in alcune città – quelle che hanno previsto l’assimilazione ai fini della detrazione – e non in altre, nonostante la presenza di identiche
condizioni, anche catastali, dell’immobile.
Infine, gli effetti distributivi sono molto regressivi. A titolo di esempio, per
una prima casa o per una seconda casa data in comodato d’uso a un figlio, di
200 metri quadrati a piazza Navona a Roma, si determina un risparmio di circa
2500 euro all’anno, mentre per una prima casa di 80 metri quadrati in un quartiere
periferico e popolare il risparmio è zero. Gli effetti sono calcolati in riferimento alla
legislazione vigente, ossia la detrazione aggiuntiva introdotta dalla legge finanziaria
per il 2008 del Governo Prodi.
C’è un danno per i comuni
Un problema particolarmente rilevante è quello relativo al minor gettito da compensare ai
comuni e la sua quantificazione. La relazione tecnica del d.l. 93 fa riferimento alla relazione
tecnica della finanziaria 2008, che stimava un gettito complessivo ICI prima casa di 2.665
milioni di euro. Con il combinato disposto finanziaria 2008 + d.l. 93/2008 la perdita di gettito stimata dalla relazione tecnica è pari a 904 + 1.700 = 2.604 milioni di euro.
In realtà, il Ministero dell’Interno dovrebbe avere dati più precisi e aggiornati di quelli utilizzati nella relazione tecnica della finanziaria 2008 (e ripresi dalla RT del decreto 93/2008),
poiché entro il 30 aprile 2008 tutti i comuni hanno inviato le autocertificazioni previste dalla legge finanziaria 2008 con le quali bisognava indicare il gettito totale dell’ICI prima casa
e la perdita presunta di gettito derivante dallo “sconto” introdotto dalla finanziaria 2008.
Sarebbe utile conoscere questi dati.
In ogni caso, per quanto riguarda la stima del minor gettito ICI prima casa “girano” cifre
diverse dalla stima della RT:
• Il Sole 24 Ore ha ripetutamente indicato la cifra di 2.800 milioni di euro di minor gettito;
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• il vicepresidente ANCI on. Osvaldo Napoli (PDL) ha recentemente quantificato in circa 3
miliardi di euro il gettito ICI prima casa, valutando in 2,2 miliardi di euro la compensazione
necessaria per la completa abolizione (il d.l. 93/08 stanzia invece 1,7 miliardi di euro).
Un ulteriore problema riguarda i tempi della restituzione (piuttosto dilatati, mentre le entrate verranno meno sin da giugno) e le modalità. Mentre la finanziaria 2008 aveva previsto un
meccanismo preciso – l’autocertificazione di cui sopra – il decreto legge di Tremonti rimane
assolutamente nel vago.
Sostanzialmente, la restituzione ai comuni avviene nella forma di un trasferimento erariale.
È un passo indietro sulla strada del federalismo fiscale (così come l’inusitato blocco di tutte le addizionali, che azzera ogni autonomia tributaria degli enti territoriali), e un danno
anche in prospettiva, perché il gettito ICI ha un suo naturale incremento (a differenza dei
trasferimenti).
Con l’approvazione del decreto i comuni italiani diventeranno ufficialmente enti “congelati”.
Il 40 per cento della loro principale entrata, che veniva riscossa autonomamente nei mesi
di giugno e di dicembre per provvedere al finanziamento dei servizi di prossimità, dipenderà
da trasferimenti governativi incerti nella dimensione e nei tempi di erogazione effettiva.
Ciò rischia di avere immediati effetti deleteri per tutti i comuni che vivono già oggi una
situazione di difficoltà di cassa, come ad esempio quelli che sono localizzati nelle
regioni con situazioni finanziarie più deficitarie per la Sanità, e che appunto per
questo “centellinano” o ritardano i loro pagamenti agli enti locali subordinati.
Ma c’è di più. L’ICI, per quanto “rigida”, poteva garantire un certo andamento
crescente nel tempo, in relazione sia alle nuove edificazioni, sia e soprattutto
alla modernizzazione della fotografia catastale del territorio e alla lotta all’evasione e all’elusione, su cui i comuni hanno tanto investito con loro risorse tecnologiche,
finanziarie e regolamentari. Invece, il rimborso dell’ICI prima casa è previsto ancorato ai
livelli del 2007 (peraltro sottostimati), senza alcun meccanismo di crescita nel tempo.
Vengono poi bloccate tutte le altre forme di autonomia impositiva e finanziaria dei comuni.
È inevitabile che questo clamoroso passo indietro nell’assetto dei poteri decentrati della
Repubblica, e quindi questo paradossale ritorno al centralismo da parte di un Governo che
del federalismo fa la sua bandiera, avrà effetti sul costo e sulla quantità dei servizi offerti
dai governi comunali: dagli asili nido all’assistenza agli anziani, dal trasporto pubblico locale
(di cui è stato anche de finanziato il fondo incrementale necessario per tenere in equilibrio
il comparto in relazione agli aumenti contrattuali e all’aumento del costo del petrolio) alla
sicurezza urbana.
La detassazione degli straordinari è iniqua e contiene molte criticità
Queste criticità sono evidenti:
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1. In un paese che conserva uno dei tassi più bassi d’Europa di occupazione femminile, un
tasso di disoccupazione elevato in molte aree territoriali non sviluppate e salari e stipendi
molto bassi anche nelle aree territoriali più sviluppate e competitive, sarebbe più conveniente e convincente partire da incentivi all’occupazione stabile e all’aumento degli stipendi e
dei salari aziendali collegati alla crescita della produttività.
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2. Un altro elemento critico sta nel fatto che la detassazione sia degli straordinari sia dei
premi è prevista a prescindere dal fatto che questi siano negoziati col sindacato o erogati
unilateralmente dal datore di lavoro. Così non si incentivano la riforma della struttura contrattuale e la contrattazione collettiva di secondo livello per cui sono impegnate le parti
sociali. Si va, invece, nella direzione contraria, di depotenziare il metodo contrattuale e il
suo decentramento. Al contrario, noi sosteniamo la riforma della contrattazione, perché è
utile a migliorare il funzionamento del nostro mercato del lavoro e del sistema produttivo.
3. Il beneficio riguarda una minoranza di lavoratori, contrariamente a quanto viene propagandato dal Governo. Sono, infatti, esclusi i pubblici dipendenti, anche quelli che hanno
un ruolo particolarmente importante per la collettività, come infermieri, poliziotti, guardie
carcerarie, ecc. Inoltre, la misura esclude sostanzialmente anche i lavoratori più deboli, ossia le donne, molti lavoratori atipici, i lavoratori del Mezzogiorno, proprio quando il grande
problema del mercato del lavoro italiano continua a essere costituito dai bassi tassi di occupazione di queste fasce, esacerbando così i gravi divari esistenti.
3.
1
4. Si incentivano le imprese a usare le ore di lavoro rispetto al numero di lavoratori:
straordinario al posto del lavoro normale. Il problema del nostro mercato del lavoro
è il basso tasso di occupazione, non il basso numero di ore lavorate, a differenza
di altri mercati del lavoro meno regolati dove le imprese usano il numero degli
occupati invece delle ore di lavoro per adeguare la produzione al variare della
domanda.
5. L’impatto distributivo sulla platea coinvolta è regressivo poiché determina un
maggior risparmio d’imposta all’aumentare del reddito, perché il lavoratore con aliquota
marginale effettiva più bassa ha uno sconto minore rispetto a quello con l’aliquota marginale più alta, ossia quello con il reddito più elevato. Al contrario, il programma del Pd, oltre
ad una diversa base imponibile (la retribuzione di secondo livello), prevedeva di intervenire
attraverso una detrazione fiscale del 23 per cento, portando quindi sotto al 10 per cento
l’aliquota marginale effettiva per le fasce di reddito più basse e riducendo lo “sconto” fiscale
all’aumentare del reddito (fino a un’aliquota marginale effettiva intorno al 20 per cento).
Il prestito Alitalia
La trasformazione del prestito-ponte in patrimonio ha lo scopo evidente di prendere tempo ed evitare l’immediata liquidazione di Alitalia ai sensi del codice civile. Resta da capire
cos’è questo strano animale di un “debito” che diventa patrimonio, e resta da capire quale
valutazione potrà dare la Comunità Europea a un aiuto da parte dello Stato che non è di
“salvataggio” (il che sarebbe vietato da precedenti interventi dello Stato su Alitalia) e non
è neppure di “ristrutturazione”, e cioè connesso a un piano industriale.
In ogni caso, si tratta di un finanziamento senza alcuna prospettiva. Dopo aver distrutto
la soluzione Air France, il Governo non ha ancora pronunciato in Parlamento una parola su
nuove soluzioni né sul percorso che intende adottare.
Noi esprimiamo la massima contrarietà rispetto a questo comportamento.
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I mutui
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Il primo aspetto da chiarire è che, contrariamente alla vulgata governativa, non si tratta di
una rinegoziazione che consente di trasformare un mutuo da tasso variabile a tasso fisso,
ma di una rinegoziazione che trasforma un mutuo a tasso variabile con rata variabile per un
periodo di tempo determinato, in un mutuo a rata fissa, a un tasso stabilito, per un periodo
di tempo indeterminato (che sarà tanto più lungo quanto più elevati saranno stati i tassi
d’interesse nel periodo di ammortamento residuo dopo la rinegoziazione). In sostanza, dopo
la rinegoziazione, il cittadino ha una rata più bassa ma la differenza viene versata in un conto dove si accumula un ulteriore debito che il cittadino dovrà rimborsare alla fine, trovandosi
così indebitato non, ad esempio, a venti anni, ma a venticinque anni; senza considerare che
su questo debito di interessi sarà calcolato un ulteriore interesse.
Inoltre, le garanzie già iscritte a fronte del mutuo oggetto di rinegoziazione continuano ad
assistere il rimborso degli interessi accumulati sul conto di finanziamento accessorio alla
data di scadenza del mutuo; l’immobile è dunque gravato da ipoteca per un periodo più
lungo.
L’intervento è conveniente per le famiglie solo in apparenza, in realtà, alla fine del periodo
di ammortamento, potrebbe rivelarsi vantaggioso per le banche: poiché la convenzione
è aperta, saranno le banche a decidere la convenienza o meno, ad aderire all’operazione.
Vi è inoltre da considerare che questo è un modo con cui le banche evitano la
“portabilità”, la misura varata dal Governo Prodi e a cui le banche si sono
sempre opposte: considerando la bassa propensione delle famiglie a spostare
il mutuo da una banca all’altra (perché questo obbliga anche a spostare i flussi di
reddito (stipendi, fatture) sul conto, le domiciliazioni (RID) etc.; inoltre preferiscono
non spostarsi perché c’è un rapporto fiduciario e sono clienti da anni) la rinegoziazione
concordata da ABI con il Governo dà a tutti i clienti con mutuo un forte impulso a rinegoziare con la propria banca e scoraggia il passaggio da una banca all’altra, anche se gratuito
grazie alla “portabilità”. A tutto vantaggio delle banche: la “portabilità” del mutuo obbligava
a concedere l’uscita e l’ingresso a costo zero; rinegoziando – con un interesse calcolato sugli
interessi accumulati a debito - le banche non “pagano” la portabilità, evitano la concorrenza
e guadagnano per interessi su interessi.
L’Antitrust, anche se in modo singolare, ha voluto dare dopo poche ore il via libera all’iniziativa, ma nella segnalazione inviata al Governo e al Parlamento si deve riconoscere il forte
rischio di cartello e di disincentivazione a competere, a tutto danno del consumatore.
Le coperture
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Le coperture infliggono un colpo molto duro al Mezzogiorno, al trasporto pubblico locale e
alle politiche industriali, perché il decreto taglia drasticamente le risorse a essi destinate dal
Governo Prodi.
Il metodo che il Governo segue, molto complesso e discutibile, è quello di far confluire quasi
tutte le riduzioni di spesa, provenienti dalla revoca o dalla diminuzione dei contributi, nel Fondo
per gli interventi strutturali di politica economica. Non ci sono, infatti, aumenti di entrata.
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Le risorse che confluiscono nel fondo derivano da:
• riduzioni di spesa varie in conto capitale e di parte corrente, tra le quali particolare rilevanza riveste il taglio delle risorse destinate alla viabilità secondaria di Sicilia e Calabria per
500 milioni in ciascun anno 2008 e 2009;
• risorse derivanti dalla revoca per quasi 1,4 miliardi di euro finalizzate, dalla legge finanziaria 2007, alle infrastrutture stradali in Sicilia e in Calabria e originariamente destinate al
ponte sullo Stretto;
• risorse derivanti dal taglio degli stanziamenti per spese in conto capitale dei ministeri
(tab B della legge finanziaria 2008).
Appare immediatamente evidente come, a fronte di oneri di natura corrente, le coperture
siano individuate in maniera rilevante in risorse in conto capitale fatte confluire nel Fondo,
il cui utilizzo risulta, quindi, strumentale a un indebolimento e superamento del vincolo
contabile che non consente di coprire spese correnti con spese in conto capitale perché si
verificherebbe una dequalificazione della spesa.
Oltre alle risorse del Fondo, la copertura prevede l'utilizzo degli accantonamenti allocati
dalla legge finanziaria 2008 nella tabella A per spese di parte corrente dei ministeri per 170
milioni per il 2008 (più elevato, oltre, 450 milioni, a decorrere dal 2010) e un taglio
lineare della tabella C, della medesima legge finanziaria, dal 2010 molto sostanzioso
perché pari a circa 1 miliardo di euro.
Va ricordato che entrambe le tabelle sono parte integrante delle leggi finanziarie: nella tabella A sono indicate le risorse accantonate per ciascun ministero
per far fronte alla legislazione di spesa di parte corrente nell'ambito della
propria attività, mentre con la tabella C si determina per ciascun anno il finanziamento per le leggi di spesa permanenti la cui quantificazione è rinviata alla legge
finanziaria (come ad esempio la dotazione per il Fondo per gli affitti e il Fondo per le
politiche sociali).
Più nel merito, tra i numerosissimi tagli di spesa utilizzati a copertura del provvedimento se
ne segnalano di seguito alcuni particolarmente problematici.
1. Anzitutto, si realizza un obiettivo mai dichiarato dal PDL: togliere al Sud per dare al
Nord, perché la manovra è finanziata in modo schiacciante togliendo soldi al Mezzogiorno.
La finanziaria 2007 aveva stabilito che le risorse inerenti agli impegni assunti da Fintecna
S.p.a. nei confronti di Stretto di Messina S.p.a., al fine della realizzazione del ponte sullo
Stretto, fossero destinate a interventi di tutela dell’ambiente e difesa del suolo in Sicilia e
in Calabria e soprattutto a interventi per la realizzazione di opere infrastrutturali in Sicilia e
in Calabria, individuati successivamente nella statale Ionica, nella metropolitana leggera di
Palermo, nella ferrovia Circumetnea, nelle piattaforme logistiche in Sicilia e nella superstrada
Agrigento-Caltanissetta. Con il decreto questi 1.363,5 milioni di euro vengono revocati e
destinati a misure che, per gran parte, favoriscono il Nord, come gli sgravi sugli straordinari
e l’esenzione ICI (con la detrazione aggiuntiva prevista dalla finanziaria 2007, infatti, si arrivava a un’esenzione fino a 300 euro per ogni unità abitativa, che significa l’esclusione per
la maggior parte dei contribuenti del Sud, dove i valori dell’ICI non superano quella soglia,
mentre al contrario il valore catastale degli immobili è più alto al Nord).
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Inoltre, tra i tagli rientrano anche i 500 milioni per ciascuno degli anni 2008 e 2009 per la
viabilità secondaria della Sicilia e della Calabria.
In totale, quasi due miliardi di risorse sottratte al Mezzogiorno.
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2. Si prevede l’azzeramento delle risorse destinate agli investimenti nel trasporto pubblico
locale.
Il trasporto pubblico locale riveste una valenza strategica in tema di concorrenza, sviluppo
sostenibile e tutela ambientale e rappresenta l’elemento fondante per la costruzione di una
politica per la mobilità sostenibile. La legge finanziaria 2008 ha completamente riformato il
sistema dei finanziamenti al TPL, con l’accordo di tutte le regioni, degli enti territoriali e il
consenso delle parti sociali, attraverso la definizione di una cornice giuridica coerente con
Titolo V della Costituzione e che assicurava, a partire da quest’anno, non solo maggiori risorse dopo dieci anni di stallo (244 mln di euro per il 2008, che si trasformano in 264 mln di
euro per il 2009 e 284 mln di euro per il 2010), ma soprattutto strutturalità e dinamicità al
finanziamento del settore, mediante un meccanismo basato sulla compartecipazione all’accisa sul gasolio per autotrazione che non implica alcun inasprimento della pressione fiscale.
Con la finanziaria 2008, inoltre, erano stati stanziati 113 mln di euro per il 2008, 130 per
il 2009 e 110 per il 2010 destinati ad alimentare un fondo per specifici investimenti
necessari a rendere più efficiente e più sicuro il servizio, con particolare attenzione
al materiale rotabile, agli impianti per la sicurezza ferroviaria e alle tecnologie
per i controlli.
Il Governo Berlusconi ha invece provveduto, come primo atto, a tagliare completamente i fondi per gli investimenti previsti nella finanziaria 2008, così come
senza alcuna preoccupazione ha tagliato una serie di risorse strategiche per lo sviluppo di una nuova mobilità nel paese, quali quelle destinate al rafforzamento delle
autostrade del mare e del passaggio dal trasporto su gomma a quello su nave (-77 milioni
per ciascun anno nel triennio 2008-2010).
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3. I 300 milioni per l’Alitalia dal d.l. 80 del Governo Prodi erano presi dalla disponibilità del Fondo Rotativo per l’Innovazione Tecnologica (FIT). Si tratta di uno strumento per
il finanziamento delle attività di sviluppo precompetitivo, le cui risorse avrebbero potuto
tranquillamente essere reintegrate all’occorrenza e il cui utilizzo transitorio non avrebbe
avuto particolare ricadute. Invece, nel decreto Berlusconi-Tremonti i 300 milioni vengono
quasi esclusivamente attinti (290 milioni) dal Fondo per la competitività e lo sviluppo (-205
milioni) e al Fondo per la finanza d’impresa (-85 milioni), i due fondi istituiti da Industria
2015, il primo dei quali serve a finanziare tanto i progetti di innovazione industriale quanto
gli altri interventi di sostegno gestiti dal Ministero dello Sviluppo Economico, presso il quale
è istituito, mentre il Fondo per la finanza d’impresa ha l’obiettivo di facilitare l’accesso al
credito e al capitale di rischio da parte delle imprese, soprattutto di quelle medie e piccole.
La sottrazione delle risorse del Fondo per la competitività rappresenta un colpo durissimo
per Industria 2015, perché distoglie risorse destinate al finanziamento di bandi già emanati
e per i quali le imprese stanno lavorando per la presentazione dei relativi progetti. La sottrazione delle risorse del Fondo per la finanza d’impresa, invece, ne impediscono il decollo
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vanificando il lavoro fatto finora e per il quale siamo alla vigilia dell’ottenimento dell’autorizzazione da parte di Bruxelles.
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4. Un altro capitolo che viene drasticamente ridimensionato, se non annullato, è quello delle
politiche sociali. Alle risorse assegnate dalla finanziaria 2008 al Ministero della Solidarietà
sociale vengono sottratti 70,1 milioni di euro per il 2008 (10 per l’Alitalia e 60,1 a copertura
delle altre norme), che diventano addirittura 165,15 nel 2010. Inoltre, il Fondo per l’inclusione sociale degli immigrati, che era dotato di 100 milioni per il 2008 e 50 milioni per il
2009 viene praticamente azzerato, rimanendo con una dotazione di soli 5,1 milioni per il
2008.
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5. Tra i tagli previsti ve ne sono alcuni particolarmente odiosi:
• il completo definanziamento (-20 milioni) del Fondo contro la violenza alle donne;
• il mantenimento di soli 17,5 milioni per il 2008 per l’implementazione di azioni tese ad
accrescere la sicurezza stradale (lo stanziamento della finanziaria 2008 ammontava a 35
milioni per il 2008, 25 per il 2009, 30 milioni per il 2010, 49 milioni per il 2011);
• il taglio, per il 2008, di 33 milioni di euro e di 20,5 milioni per le risorse accantonate,
rispettivamente, per i ministeri dell’Interno e della Giustizia, particolarmente contraddittorio con la presunta “emergenza sicurezza”;
• la soppressione del finanziamento per la ristrutturazione della rete idrica,
tanto più grave perché estremamente necessaria per il Sud del paese.
6. Tutti gli stanziamenti destinati dalla finanziaria 2008 a misure in favore della
tutela ambientale e della attenuazione dei cambiamenti climatici vengono sostanzialmente azzerati. Le risorse sottratte ammontano a 71,8 milioni per il 2008, 67 per il
2009 e 67 milioni per il 2010 (tra le misure definanziate: l’istituzione e il finanziamento
di nuove aree marine protette, il Fondo per la forestazione e la riforestazione di aree incolte,
al fine di ridurre le emissioni di CO², il Fondo a contribuzione volontaria “Un centesimo per
il clima”, il Fondo nazionale per la fauna selvatica, il Fondo per il ripristino del paesaggio).
7. Anche le attività cinematografiche e culturali sono fortemente penalizzate. Sono soppressi: i crediti d’imposta a favore degli investimenti nella filiera del cinema (-16,7 milioni per
il 2008 e 66,8 per il 2009 e il 2010); il contributo straordinario (di 2 milioni per il 2008, 8
milioni per il 2009 e 10 milioni per il 2010) alle sale cinematografiche; l’autorizzazione di
spesa di 10 milioni per il triennio 2008-2010 a favore delle istituzioni di alta formazione e
specializzazione artistica e musicale.
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La manovra approvata:
un giudizio d’insieme
(a cura del Comitato economia e finanza del PD)
Una manovra sbagliata nel merito e nel metodo
Come avevamo denunciato al momento della presentazione, continuiamo a ritenere sbagliata e inadeguata la manovra. Nel metodo, perché si tratta di un provvedimento che il Parlamento ha dovuto esaminare in tempi ridottissimi e che è stato
approvato ricorrendo a ben tre voti di fiducia, impedendo così alle Camere la necessaria
discussione data l’estrema ampiezza e rilevanza delle misure contenute. E le forzature non
si sono fermate qui, visto che con un emendamento del Governo sono state modificate le
regole di emendabilità della finanziaria e che si consente a decreti ministeriali di modificare
decisioni assunte con la legge di bilancio, seppure in via transitoria. Per non dire del tentativo di presentare anticipatamente il disegno di legge finanziaria, fortunatamente bloccato
dal Quirinale perché l’attuale sistema di contabilità generale richiede che la finanziaria sia
presentata contestualmente al progetto di bilancio a legislazione vigente.
Ma giudichiamo la manovra sbagliata soprattutto nel merito, perché non è all’altezza dei
problemi del paese ed è controproducente ai fini dell’aggiustamento della finanza pubblica
e non affronta le vere priorità: l’anemia della crescita e la perdita di potere d’acquisto dei
redditi da lavoro e pensione.
Anzi, la manovra rischia persino di compromettere le possibilità di ripresa. Infatti, essendo
impostata prevalentemente sui tagli alle spese, colpisce fortemente quantità e qualità dei
servizi sociali, taglia pesantemente le risorse per scuola, sanità e sicurezza, rischia di peggiorare la condizione delle famiglie. D’altra parte, non c’è nessuna misura di sostegno alla
domanda interna, né in termini di sostegno agli investimenti né in favore della riduzione
della pressione fiscale sui redditi da lavoro e da pensione
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In particolare, dopo i tagli del decreto ICI, non vengono previsti nuovi finanziamenti per le
infrastrutture e, per quanto riguarda il sostegno dei redditi, l’unica misura è quella, compassionevole, della “social card”, finanziata però per il solo 2008 e per soli 200 milioni di euro.
Se il Governo avesse realmente voluto sostenere i redditi dei pensionati avrebbe piuttosto
dovuto agire sulla quattordicesima, il beneficio concesso lo scorso anno dal Governo Prodi e
che ha consentito, lo scorso luglio, a oltre 3 milioni di pensionati di percepire una somma
compresa tra 336 a 504 euro Il recupero del potere d’acquisto dei redditi fissi è, invece, una
reale urgenza, specie alla luce degli ultimi dati dell’ISTAT sull’inflazione (+4,1 per cento nel
mese di luglio) e dell’OCSE sulle condizioni ed i redditi da lavoro, del 20 per cento inferiori
alla media Ocse.
Questa situazione sarà aggravata dalla scelta di indicare un tasso di inflazione programmata per il 2008 dell’1,7 per cento, una previsione totalmente irrealistica che - se applicata
- comporterebbe sulla retribuzione media una diminuzione programmata dei salari di circa
1.000 euro per il biennio 2008-2009. Siamo di fronte a un obiettivo troppo basso, che rischia
di generare conflittualità, ritardi nella negoziazione, incertezze, e, inevitabilmente, effetti
negativi sugli investimenti e sui consumi.
Interventi di miglioramento del potere d’acquisto di lavoratori e pensionati migliorerebbero la distribuzione dei redditi e la domanda interna. Nella scorsa legislatura, le
imposte sulle imprese sono state significativamente ridotte. Adesso, nella difficile
fase in corso, si sarebbe dovuto intervenire sugli sgravi fiscali sui redditi da
lavoro e da pensione. Il PD ha proposto emendamenti per incrementare l’ammontare delle detrazioni sui redditi dei lavoratori dipendenti e dei pensionati,
più consistenti sulle fasce di reddito medio-basse, e prevedendo meccanismi per
recuperare l’incapienza, ma questi emendamenti sono stati puntualmente respinti
dalla maggioranza.
La previsione di crescita, talmente basse da far pensare che il primo a non credere all’efficacia delle misure varate, risente delle misure presenti e di quelle assenti dai decreti legge
precedenti. È stato vanificato il credito di imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno,
sono stati svuotati i fondi per Industria 2015, sono stati tagliati gli investimenti per le infrastrutture in Sicilia e Calabria per 2 miliardi di euro.
Una manovra di tagli
Quella dei tagli è anche la filosofia della manovra. Dal lato delle spese, infatti, non si ritrova
un vero disegno qualitativo di razionalizzazione e di eliminazione di sprechi. Al contrario,
l’approccio è esclusivamente quantitativo, in cui le misure hanno esclusivamente natura di
vincoli finanziari e in cui si rimanda ai prossimi provvedimenti l’indicazione puntuale delle
modalità per la loro realizzazione. Per il raggiungimento di questi obiettivi sarebbero invece
essenziali misure volte ad aumentare l’efficacia e l’efficienza delle strutture pubbliche, in
assenza delle quali è altamente probabile che i tagli si rivelino inefficaci, come dimostra
l’esperienza del quinquennio 2001-2006 (si ricordino i metodi Gordon Brown, i tagliaspese,
ecc). In sostanza si colpisce alla cieca con tagli che o non sono credibili – e allora l’obiettivo
di risanamento non sarà raggiunto – o non sono sostenibili e rischiano di compromettere la
funzionalità della pubblica amministrazione.
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I risparmi di spesa riguardano per circa la metà le amministrazioni centrali e derivano da
tagli degli stanziamenti per le grandi “missioni” in cui si articola il bilancio dello Stato.
Quasi un terzo delle minori spese riguarda gli enti territoriali. Dalla revisione del patto di
stabilità interno, si attendono risparmi crescenti, da 3,2 miliardi nel 2009 a 9,2 miliardi
nel 2011. Sono tagli rilevantissimi che, sommati al minor gettito derivante dall’abolizione
dell’ICI sulla prima casa (come noto, solo parzialmente rimborsato ai comuni) produrranno
inevitabili conseguenze non solo e non tanto sugli sprechi e le inefficienze, ma anche sui
servizi a garanzia di diritti sociali (dalle mense nelle scuole, agli asili nido, dai trasporti
pubblici locali all’assistenza agli anziani non autosufficienti) e civili.
Le modalità di conseguimento dei risparmi nell’ambito della spesa sanitaria, fermo restando
il pieno rispetto dei piani di rientro, sono demandate alle regioni, nell’ambito di un accordo
con lo Stato: in caso di mancato raggiungimento dell’obiettivo è comunque previsto l’aumento automatico delle aliquote dell’addizionale regionale all’IRPEF e dell’IRAP. Il contributo
statale alla soppressione del ticket ammonta a 400 milioni, coperti con la ulteriore riduzione
degli stanziamenti per le missioni dei ministeri rispetto al testo iniziale del decreto. Per la
soppressione integrale sarebbero, però, stati necessari altri 434 milioni: quindi o le regioni
troveranno le risorse necessarie oppure saranno comunque previste forme di compartecipazione dei cittadini al costo delle prestazioni.
Nella manovra varata sono anche presenti pesanti tagli sui settori della conoscenza, in particolare sulla scuola pubblica. Il decreto fissa come obiettivo, a
regime, l’aumento da 8,9 a 9,9 del rapporto tra alunni e docenti e la riduzione
del 17 per cento del personale non docente della scuola. Questo significa la
diminuzione di 130.000 lavoratori, che comporterà una riduzione della rete scolastica sul territorio e il peggioramento della qualità del servizio in termini di orario
e di modalità di funzionamento.
Si incrementa la precarietà e si incentiva l’evasione
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Le norme relative al pubblico impiego nelle intenzioni del Governo dovrebbero comportare risparmi (crescenti nel triennio da 1,5 miliardi nel 2009 a 4,0 nel 2011) sulla spesa per redditi
da lavoro. Il problema è che tali risparmi derivano da una forte restrizione delle assunzioni
nel prossimo triennio. Vengono ridotte le risorse da destinare alla contrattazione integrativa
e gli stanziamenti a disposizione per la stabilizzazione dei precari rispetto a quelli previsti
dalla legge finanziaria per il 2008. Quindi, si torna indietro rispetto al percorso di stabilizzazione, abbandonando qualsiasi forma di contrasto del precariato nel lavoro pubblico ma
anche in quello privato, visto che la manovra prevede norme che riformano il mercato del
lavoro in una direzione contraria a quella perseguita negli ultimi due anni, favorendo il ricorso a forme contrattuali atipiche.
Oltre alla nota norma che sostituisce un indennizzo all’obbligo di trasformazione del contratto a tempo determinato con quello a tempo indeterminato in caso di irregolarità, si cancellano norme appena entrate in vigore, come la legge 188, contro i licenziamenti mascherati
da dimissioni e si cancellano gli indici di congruità, uno strumento di lotta al lavoro nero e
sommerso introdotto con la legge finanziaria 2007, si rinvia l’entrata in vigore delle nuove
disposizioni in materia di sicurezza sul lavoro. Vengono previste norme sulla gestione del
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Aumenta la pressione fiscale
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rapporto di lavoro, del processo del lavoro e degli orari di lavoro esplicitamente indirizzate
alla deregolazione e alla minor tutela. In sostanza, si modificano in modo unilaterale accordi
già sottoscritti fra le parti sociali e il Governo Prodi e approvati, come nel caso del protocollo
sul welfare, da milioni di lavoratori.
L’obiettivo della deregolazione e dell’allentamento dei controlli è anche alla base delle misure relative al contrasto dell’evasione fiscale. In questo campo la filosofia del ministro Tremonti è chiarissima: l’arretramento e l’allentamento delle azioni di contrasto all’evasione ed
elusione fiscale e al lavoro nero, necessarie a raggiungere quell’obiettivo di aumento delle
entrate necessario per ridistribuire il carico fiscale riducendolo sui salariati e sui pensionati. A parole il Governo sostiene di volere incrementare i controlli ma poi sopprime l’elenco
clienti-fornitori, abroga la tracciabilità dei compensi per i professionisti, aumenta a 12.500
euro (da 5.000) il limite all’utilizzo del contante a fini antiriciclaggio, dimezza le sanzioni
già fortemente scontate relative all’accertamento con adesione per le imposte dirette e l’IVA,
rendendolo addirittura più conveniente del ravvedimento operoso. Si ritorna alla logica dei
condoni, seppure mascherati.
Sempre in questo ambito, va anche ricordata la soppressione, operata con il decreto milleproroghe, della responsabilità solidale fra appaltatore e subappaltatore, soppressione
che avrà ricadute negative sia in termini di lotta all’evasione e al lavoro nero che per
quanto riguarda la tutela della sicurezza sul lavoro.
Per quanto riguarda l’impatto sulla finanza pubblica, il decreto mira a ridurre
l’indebitamento netto di 9,8 miliardi nel 2009, 17 nel 2010 e 30,6 nel 2011 rispetto ai relativi valori tendenziali.
Si tratta di cifre rilevantissime ed eccessive. Riteniamo che i dati sul fabbisogno siano
assolutamente sovrastimati: nella seconda metà dell’anno in corso, infatti, si dovrebbero
registrare maggiori uscite e minori entrate di cassa per quasi 20 miliardi di euro rispetto al
corrispondente semestre del 2007, ossia una dimensione irrealistica, in particolare per chi
fonda il risanamento della finanza pubblica sul controllo della spesa. Non è dato sapere quali
siano le ragioni di un tale peggioramento, nonostante lo abbiamo più volte chiesto.
Nel 2009 la manovra di bilancio è basata per oltre la metà su aumenti delle entrate. Le
misure di aumento delle entrate, volte a incidere in particolare su alcuni settori produttivi
caratterizzati da elevati profitti (in particolare banche, assicurazioni, imprese del settore
dell’energia e cooperative) sulla base dei più elementari principi della teoria della traslazione delle imposte (domanda assolutamente rigida rispetto al prezzo) finirà per gravare
in grande misura sulle famiglie, data la scarsissima concorrenza sui relativi mercati. Per
questo si vieta alle imprese colpite di traslare la maggiore imposta sui prezzi al consumo,
incaricando l’Autorità per l’energia elettrica di vigilare sul rispetto del divieto. Il problema
è che si tratta di una previsione assolutamente velleitaria, a meno di non trasformare tutti
i prezzi del settore energetico in prezzi amministrati, e poi più opportuno sarebbe stato
incaricare l’Antitrust perché la possibilità di traslazione è strettamente legata alla presenza
di un cartello.
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Inoltre, quello che continua a non essere chiaro è perché la Robin tax si applichi solo a certi
settori e non ad altri caratterizzati da altrettanto elevati profitti. Come è stato sostenuto,
perché il petrolio sì e il grano o il rame no?
La verità è che il Governo sta adottando una strategia negoziale che finge di colpire i settori protetti e intanto consente loro di incassare quello che veramente hanno a cuore: non
si parla più di abolizione del massimo scoperto, l’entrata in vigore della class action viene
rinviata al 1° gennaio 2009, sui mutui, come avevamo già sottolineato, si sigla una convenzione a tutto vantaggio degli intermediari finanziari, si concede una sorta di “scala mobile”
ai concessionari autostradali, cui vengono assicurati aumenti tariffari adeguati all’inflazione
effettiva, beneficio ben diverso da quanto concesso ai lavoratori. Quindi, nessun vantaggio
per i cittadini, solo aggravi.
Mancano le risorse per lo sviluppo
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Ma, come detto all’inizio, le grandi assenti sono le misure per lo sviluppo. Anzi, il dubbio
consiste proprio in questo: alla luce dell’esiguità delle risorse destinate alla crescita non è
chiaro se l’ammontare della manovra lorda triennale esaurisca le esigenze di finanziamento
di interventi espansivi – e allora le difficoltà che la nostra economia sta attraversando
rischiano di diventare davvero drammatiche – o se invece copra un arco triennale esclusivamente ai fini della realizzazione dell’obiettivo di correzione dei saldi,
mantenendo un’ottica annuale con riferimento al reperimento di risorse, e in tal
caso al di là della propaganda ulteriori manovre sono all’orizzonte.
Ad esempio, non ci sono le risorse necessarie per finanziare i rinnovi contrattuali del biennio 2010-2011 né quelle necessarie a finanziare gli stanziamenti di
spesa in conto capitale. Che significa tutto ciò? Difficile credere che il Governo non
intenda finanziare il rinnovo dei contratti o altre voci di spesa necessarie. Allora, molto
più probabilmente, ulteriori sacrifici fiscali attendono i contribuenti, davvero un bel risultato per chi ha scelto come slogan “non mettere le mani in tasca ai cittadini”.
Ma se ne parlerà ancora in autunno, che vedrà il PD impegnato in una grande mobilitazione,
con la conferenza economica del 6 ottobre, dove si definiranno i punti d’attacco alle proposte del Governo, e la manifestazione nazionale del 25 ottobre.
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Le misure anticrisi
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Le proposte del PD
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Roma, 16 ottobre 2008
Il PD condivide le misure di sostegno ai mercati finanziari concordate ai recenti appuntamenti dell’Eurogruppo ed Ecofin e finalizzate a garantire i risparmiatori, a ricapitalizzare le istituzioni finanziarie in difficoltà e ad assicurare il
credito interbancario.
Il PD condivide, pertanto, le misure previste nei due decreti legge approvati dal Governo
a seguito delle riunioni dell’Eurogruppo; il PD considera, tuttavia, necessario modificare i
due decreti in due direzioni. In primo luogo, per coinvolgere il Parlamento e dare trasparenza
alle principali scelte dell’esecutivo. In secondo luogo, per far fronte all’emergenza sul campo
dell’economia reale: occupazione, redditi da lavoro e pensione, credito alle micro, piccole e
medie imprese, investimenti pubblici e privati.
Infatti, dai mercati finanziari, la crisi ha investito l’economia reale. Gli andamenti delle borse
di tutto il mondo, dopo l’attuazione dei piani straordinari di salvataggio decisi dai governi
dell’Unione europea e degli Stati Uniti, indicano la crescente preoccupazione degli operatori
di mercato per la contrazione dell’attività economica. La priorità della politica economica
ora è l’economia reale.
Per l’Italia, le previsioni per il 2009 sono drammatiche, peggiori di quelle fatte per gli altri
paesi europei. Dovrebbe essere evidente a tutti, ora, quanto il Pd sostiene da mesi, ossia
che la politica economica del Governo è completamente fuori contesto: cosa valgono oggi le
Robin tax, in un mondo bancario e assicurativo in pesante difficoltà e la caduta dei prezzi del
petrolio? A cosa serve la parziale detassazione degli straordinari, quando aumenta in modo
esponenziale la cassa integrazione? Non era meglio utilizzare per chi non arriva alla quarta
settimana i 2,5 miliardi di euro spesi per eliminare l’ICI sulle famiglie più ricche?
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È necessario, quindi, un intervento anticiclico da parte del bilancio pubblico. Un intervento
reso possibile dalla solidità dei nostri fondamentali di finanza pubblica (si vedano, da ultimo, le previsioni della nota di aggiornamento del DPEF 2009-2011 in base alle quali il
saldo dei conti delle amministrazioni pubbliche va, in termini strutturali, in attivo di 0,2
punti percentuali di PIL nel 2011) e dalle indicazioni dell’Eurogruppo e dell’Ecofin in merito
all’applicazione del patto di stabilità e crescita.
In base a quanto premesso, il PD propone i seguenti emendamenti ai decreti legge per la stabilità del sistema creditizio (d.l. 155/2008 e d.l. 157/2008) e al disegno di legge finanziaria:
Per la trasparenza e il controllo democratico:
• previsione di parere obbligatorio vincolante a maggioranza qualificata da parte delle Commissioni finanze di Camera e Senato per tutti i provvedimenti attuativi delle disposizioni
contenute nei decreti legge 155/2008 e 157/2008;
• istituzione di un comitato ad hoc per l’attuazione delle misure previste nei decreti 155/08
e 157/2008. Il comitato, presieduto dal ministro dell’Economia, è composto dal governatore
della Banca d’Italia, dal presidente della Consob, e due componenti aventi requisiti di elevata
professionalità e assenza di conflitti di interesse, nominati dai presidenti di Camera e Senato.
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Per le famiglie:
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a partire da Dicembre 2008, in corrispondenza del pagamento della tredicesima
mensilità, riduzione delle imposte sui redditi da lavoro e da pensione per un importo
medio di 400 euro all’anno attraverso l'aumento delle detrazioni. L’intervento, da
prevedere nel disegno di legge finanziaria, implica una rimodulazione del percorso
di raggiungimento del pareggio del bilancio delle pubbliche amministrazioni;
•
in considerazione della decisione della BCE di offrire rifinanziamento illimitato al 3,75% alle banche dell’area Euro, sostituzione dell'Euribor (oltre il 5% la media
al 15/10/08) con il tasso applicato dalla BCE al rifinanziamento delle banche quale tasso
di riferimento per il calcolo delle rate dei mutui a tasso variabile contratti per l'acquisto
dell'abitazione di residenza;
• accesso dei piccoli risparmiatori possessori di obbligazioni o polizze index linked inesigibili alle tutele previste per i risparmiatori Parmalat, Cirio, ecc.
e
Per le micro, piccole e medie imprese:
• concessione ai Confidi dell'artigianato, del commercio e dell'industria della garanzia dello
Stato per i crediti in essere e per i crediti concessi, fino al 30/06/09, alle micro, piccole e
medie imprese. Istituzione e avvio, entro il 30/06/09 di un fondo interbancario di garanzia
dei crediti concessi alle micro, piccole e medie imprese. In tale quadro, sollecitare le banche
a sospendere le richieste di rientro alle micro, piccole e medie imprese. In assenza di escussione delle garanzie, l’intervento non determina riflessi sui saldi di finanza pubblica;
• accelerazione dei pagamenti dovuti dalle pubbliche amministrazioni alle micro, piccole e
medie imprese, fissando un limite inderogabile di 60 giorni;
• previsione di una soglia di credito alle micro, piccole e medie imprese (ad esempio, per
il 2008, almeno la media dell'ammontare concesso nel biennio 2006-07) per l'accesso delle
banche agli interventi previsti nei d.l. 155/2008 e 157/2008;
168
Quaderni PD.indb 168
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Per i lavoratori a rischio di disoccupazione:
• estensione in via straordinaria e temporanea, previa valutazione del Ministero del Welfare,
dell’accesso agli ammortizzatori sociali ai lavoratori colpiti dalla crisi e sprovvisti di copertura assicurativa.
e
Per lo sviluppo:
• ripristino della piena operatività del credito d'imposta per gli investimenti delle imprese
nel Mezzogiorno;
• ripristino, attraverso il ricorso temporaneo a un anticipo da parte di Cassa Depositi e Prestiti (ex art. 78, c. 8 del d.l. 112/2008), delle risorse per gli investimenti tagliate dai recenti
interventi di finanza pubblica;
• sostenere un piano straordinario di investimenti in infrastrutture di interesse europeo
(per l’energia, per la mobilità) da finanziare attraverso l’emissione di Eurobonds come proposto da Delors negli anni '90.
Le proposte del PD per l’emergenza economica e finanziaria
Il Piano per l’Italia
3.
1
L’ennesima giornata difficile per i mercati finanziari di tutto il mondo rende sempre più
evidente l’ampiezza e la profondità della crisi in corso. Il contagio finanziario si è
esteso dagli USA a livello globale. Dalla finanza all’economia reale, ai consumi delle
famiglie, agli investimenti delle imprese, all’occupazione, ai redditi. Dall’economia reale alla finanza. Un effetto boomerang.
Sul versante italiano, proponiamo i seguenti interventi:
1. Salari, stipendi, pensioni: nell’ambito della flessibilità riconosciuta dall’Ecofin del 7 Ottobre scorso per l’applicazione del Patto di stabilità e crescita e in linea con quanto proposto
al punto 5 del Piano europeo anticrisi, riduzione, per un biennio, delle imposte sui redditi da
lavoro e da pensione per 0,5 punti percentuali di PIL (crica 8 miliardi di euro). La riduzione
va realizzata attraverso un innalzamento di 400 euro all’anno delle detrazioni fiscali per i
redditi da lavoro e le pensioni medie e basse. Contestualmente, va reintrodotto il tetto ai
compensi dei manager pubblici.
2. Micro, piccole e medie imprese: istituzione di un fondo per ampliare e allargare le garanzie
per l’accesso al credito da parte delle micro, piccole e medie imprese e semplificazione delle
procedure di attribuzione delle garanzie alle istituzioni intermediarie.
3. Garanzie e tutela per i risparmiatori: rafforzamento della garanzia pubblica dei risparmi e
salvaguardia della vigente disciplina sulla bancarotta fraudolenta.
4. Misure antispeculazione: estendere la sospensione delle vendite allo scoperto oltre il perimetro delle istituzioni finanziarie.
5. Governo della crisi: è indispensabile, a fini di partecipazione, trasparenza e di controllo
delle decisioni, il coinvolgimento del Parlamento sia sulle scelte generali, sia sulle specifiche
misure di intervento.
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Per un vero “Decreto Anticrisi”
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16 dicembre 2008
La crisi economica in corso è in netto peggioramento. Nel 2009, per l’area
OECD, è prevista una contrazione di 0,4 punti percentuali (-0,9% per gli USA e
-0,6% per l’area Euro). In un quadro generale di recessione, l’Italia, come avviene
da oltre un decennio, si contraddistingue in negativo. La stima per il PIL italiano per
l’anno in corso è -0,4% (+1% per l’area Euro), mentre per il 2009 la caduta arriva a -1%.
Le conseguenze in termini di minore occupazione sono previste superare il mezzo milione,
in larghissima maggioranza figure sprovviste di indennità di disoccupazione. Alla luce degli
ultimi dati ISTAT e Confindustria sulla produzione industriale (variazione annua: -6,9% in
Ottobre e -11.4% in Novembre), stime e previsioni sono caratterizzate da notevoli rischi di
ulteriore deterioramento.
La politica monetaria delle banche centrali e gli interventi di sostegno al sistema finanziario,
sia realizzati che in cantiere, non sono sufficienti ad affrontare le prospettive di stag-deflazione, ossia di riduzione del livello di attività e la caduta dei prezzi. È necessario integrare
politiche di bilancio aggressive.
e
Data la dimensione della crisi, le politiche di bilancio dovrebbero essere coordinate a scala
globale per massimizzarne l’effetto. L’Unione europea dovrebbe agire all’unisono, pur lasciando a ciascun paese membro di “tagliare” gli interventi a misura delle proprie specificità.
Vedremo in quale misura si tradurranno in effettive politiche di bilancio le proposte della
Commissione europea, accolte dal Consiglio dei capi di stato e di governo dell’11-12 Dicembre scorso.
170
Quaderni PD.indb 170
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e
Molti paesi europei hanno deciso di intervenire con provvedimenti di maggiore (Regno Unito e Francia) o minore impatto (Germania). Il Governo italiano interviene, invece, in modo
contraddittorio e confuso. Da un lato, propone un “Decreto Anticrisi” formalmente a impatto
macroeconomico nullo. Infatti, il decreto 185/2008 non dà alcun sostegno alla domanda
aggregata, in quanto le minori entrate e le maggiori spese, sono, sulla carta, interamente
compensate: i 6,3 miliardi di euro indicati some sostegno alle famiglie e alle imprese per il
2009 sono formalmente “coperti” da aumenti di entrate o riduzioni di spese.
3.
1
In realtà, il decreto in corso di approvazione alla Camera è anti-ciclico, in quanto ha effetti
molto diversi da quelli “bollinati” dalla Ragioneria generale dello Stato, come erano diversi
gli effetti dei decreti di finanza pubblica convertiti in legge prima dell’estate. Le differenze
sono dovute: 1) ad una sovrastima delle entrate (i maggiori introiti da accertamento portati a copertura delle misure onerose, quasi 2 miliardi di euro nel 2009, sono un importo
assolutamente irrealistico, come risulterà evidente a consuntivo); 2) alla perdita di gettito
causata allo smantellamento delle barriere anti-evasione. Complessivamente, la differenza
tra manovre formali ed effettive è quasi 1 punto percentuale di PIL. I lavoratori dipendenti,
i pensionati e i precari poveri ricevono qualche briciola attraverso la social card, il bonus famiglie, qualche sussidio di disoccupazione in deroga. I redditi bassi e medi di
lavoratori dipendenti e pensionati non hanno nulla, nonostante il fiscal drag abbia
ridotto di oltre 3 miliardi il loro potere d’acquisto.
Ulteriore contraddizione nella politica economica del Governo: la portata
surrettiziamente anti-ciclica del decreto anticrisi è ridotta dal sostanziale annullamento degli incentivi agli investimenti in ricerca e innovazione e alle spese
con finalità energetico-ambientali e di tutti gli altri incentivi automatici. Attraverso
la procedura delle “prenotazioni” si rendono gli incentivi incerti. Un incentivo incerto
equivale a nessun incentivo. Ritorna la logica sottostante allo svuotamento del credito
d’imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno, realizzato con il d.l. 93/2008 del giugno
scorso. L’obbligo di prenotazione delle agevolazioni per la ricerca e per la riqualificazione
energetico-ambientale sottrae risorse ad attività ad elevato moltiplicatore economico ed
occupazionale (oltre che a elevato contenuto innovativo), soprattutto per le micro, piccole
e medie imprese artigiane.
Infine, è contraddittoria con la realtà l’enfasi posta dal Governo sul rapido incremento della
spesa in conto capitale in chiave anti-ciclica. La ri-programmazione delle risorse del Fondo
per le aree sottoutilizzate (ampiamente ridimensionato per finanziare interventi impropri
come l’abolizione dell’ICI per i contribuenti più ricchi e il salvataggio del comune di Catania)
si scontra con angusti limiti di “cassa” (le disponibilità effettive presenti nel bilancio dello
Stato ammontano a poche centinaia di milioni di euro per il 2009) e con tempi di esecuzione
incompatibili con la necessità di intervenire immediatamente sul ciclo in corso.
Le contraddizioni della politica economica del Governo alimentano incertezza per le famiglie,
per le imprese e per gli operatori finanziari. Le prime, in larghissima parte prive di sostegni
171
Quaderni PD.indb 171
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al reddito, contraggono i consumi. Le seconde, nonostante le maggiori possibilità di evasione, ridimensionano gli investimenti, data l’assenza di stimoli ai consumi e la difficoltà irrisolta a ottenere credito bancario. Infine, gli operatori finanziari richiedono maggiori spread
sui titoli del debito pubblico italiano consapevoli dei rischi della nostra finanza pubblica in
una prospettiva di depressione. Gli spread sono anche gravati dall’incertezza sugli interventi del Governo a rafforzamento delle nostre principali banche. Per affrontare quest’ultimo
aspetto è urgente chiarire, da un lato, la necessità ed eventualmente i tempi dell’intervento
e, dall’altro, identificarne le modalità di finanziamento. Esistono alternative al ricorso a
finanziamento pubblico. In particolare, vanno rapidamente valutate due strade in aggiunta
all’utilizzo di risorse del bilancio dello Stato: il ricorso all’intervento delle fondazioni bancarie; il buy-back delle quote di Banca d’Italia in mano alle banche italiane, resa possibile
dall’elevato patrimonio della nostra banca centrale rispetto alle banche centrali di Francia e
Germania e dall’imminente scadenza prevista nella legge 262/2005.
L’eredità di finanza pubblica ricevuta dal Governo Berlusconi è solida. Lo scorso anno si
è chiuso con un indebitamento netto all’1,6% del PIL e un debito riavviato su un sentiero
discendente. Gli andamenti tendenziali (ossia, al netto di manovre correttive) previsti dal
DPEF del giugno scorso riflettono la solidità del risanamento compiuto nei due anni precedenti: anche in assenza di interventi, dal 2011, il deficit delle pubbliche amministrazioni
sarebbe sceso al di sotto del 2% del PIL e il debito sarebbe andato sotto il 100% del PIL. I
dati di fabbisogno dello Stato per i primi 11 mesi del 2008 confermano, nonostante la recessione e l’espansione dell’evasione, l’analisi richiamata. In assenza di interventi straordinari
a fine anno per anticipare spese previste nel 2009 o posticipare entrate dovute nell’anno
in corso, il fabbisogno sarà in linea con le previsioni contenute nella relazione unificata di
economia e finanza del marzo 2008 (l’ultimo documento di finanza pubblica redatto sotto la
responsabilità del Governo Prodi). Da ultimo, va segnalato, nonostante la scarsa credibilità,
che la manovra di finanza pubblica approvata nei mesi scorsi è stata finalizzata a raggiungere
un surplus strutturale di 0,2 punti percentuali di PIL nel 2011 (Nota di aggiornamento al
DPEF 2009-2011, settembre 2008).
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L’Italia ha bisogno di politiche di bilancio trasparenti, coerenti e incisive per evitare che la
recessione si trasformi in depressione. Ovviamente, a differenza degli altri paesi europei e
degli USA, noi dobbiamo prestare massima attenzione al nostro pesante debito pubblico.
Un debito, è indispensabile ricordarlo date le recenti dichiarazione del Presidente del
Consiglio, che era solidamente avviato lungo un percorso discendente nel 2001
dopo la stagione di risanamento compiuta dal centrosinistra. Un debito che è
tornato a crescere nel 2005 facendo scattare la procedura di infrazione comunitaria e costringendo il Governo Prodi a ulteriori interventi di risanamento
nel 2006 e nel 2007.
Considerato tale contesto, vi sono le condizioni per affrontare l’emergenza economica e sociale attraverso un vero decreto anti-crisi. Un decreto che salvaguardi il percorso di risana-
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mento puntando a sostenere il denominatore dei rapporti rilevanti (ossia il PIL). È la crescita
la via per la sostenibilità della finanza pubblica.
e
Il Pd propone per il 2009 una politica di bilancio anti-ciclica pari a 1 punto percentuale di
PIL (16 miliardi di euro) per sostenere la domanda interna e affrontare 5 emergenze, strettamente connesse:
1. l’assenza di indennità di disoccupazione per una larga platea di lavoratori, con contratto a
tempo indeterminato, ma occupati in settori o aziende escluse dall’assicurazione, o precari;
2. la perdita di potere d’acquisto per i redditi da lavoro e da pensione;
3. il razionamento del credito bancario per le micro, piccole e medie imprese e il ritardo dei
pagamenti a esse dovuti dalle pubbliche amministrazioni;
4. il crollo dell’attività produttiva nel Mezzogiorno;
5. l’impossibilità degli Enti Locali a definire i bilanci preventivi per il 2009.
Per affrontare tali emergenze, il PD propone:
3.
1
• l’ampliamento degli ammortizzatori sociali attraverso l'introduzione di una misura
temporanea di sostegno al reddito dei disoccupati sprovvisti di copertura assicurativa, da associare ad attività di formazione e programmi di reinserimento
lavorativo (da finanziare con 1,5 miliardo di euro). Inoltre, esercizio entro il
31 marzo del 2009 della delega prevista nel Protocollo sul welfare per la riforma degli ammortizzatori sociali. Infine, la sospensione del pagamento delle rate
del mutuo contratto per l’acquisto dell’abitazione di residenza per i lavoratori che
perdono il posto di lavoro;
• l’innalzamento delle detrazioni sui redditi da lavoro dipendente, autonomo e da pensione per un importo medio di 500 euro e l’introduzione della dote fiscale per i figli, per tutte
le tipologie di reddito, per un importo pari a 2500 euro all'anno per figlio, in alternativa al
bonus famiglia (8 miliardi di euro);
• il pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni verso le imprese fino a 250 dipendenti attraverso un fondo da 3 miliardi di euro. L'utilizzo della Cassa Depositi e Prestiti per
anticipare i pagamenti dovuti dalle pubbliche amministrazioni alle micro, piccole e medie
imprese. Il finanziamento dei Confidi per ulteriori 500 milioni di euro;
• il parziale ripristino delle risorse sottratte agli investimenti nel Mezzogiorno (2 miliardi di
euro);
• l'allentamento del Patto di stabilità interno per interventi emergenziali di carattere sociale e per spese in conto capitale, così da consentire agli enti locali di completare le opere
avviate e bloccate dalla legge 133/2008 (1 miliardo di euro).
Il pacchetto delle misure emergenziali proposte (per un valore di 16 miliardi di euro) deve
essere integrato dal ripristino di tutti gli incentivi fiscali automatici (in particolare, agli investimenti nel Mezzogiorno, alla ricerca e alle spese a finalità energetico-ambientali) il cui
corretto utilizzo va salvaguardato attraverso il miglioramento dei controlli.
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Le misure anti-crisi sono, a eccezione degli interventi fiscali sui redditi da lavoro e da pensione, di carattere temporaneo, ossia non alterano gli equilibri strutturali di bilancio. Per
rafforzare la sostenibilità della finanza pubblica e portare rapidamente il debito al di sotto
del 100% del PIL, il PD propone: 1) il riavvio dei processi di riforma per la regolazione concorrenziale dei mercati e la piena attuazione di “Industria 2015”; 2) il riavvio delle politiche
anti-evasione, contestualmente all’estensione a tutte le tipologie di reddito degli schemi di
sostegno fiscale al potere d’acquisto e alla famiglia (come indicato nel punto 2 delle Proposte); 3) la ricostituzione della Commissione per completare la spending review ed individuare
i programmi di spesa da eliminare e riorganizzare; 4) l'introduzione della centrale unica per
gli acquisti nelle pubbliche amministrazioni centrali e in ciascuna amministrazione regionale
(con operatività estesa agli enti locali presenti sul territorio regionale).
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Il costo delle misure proposte si autofinanzia, via maggiori entrate legate all’innalzamento del PIL, per circa 5 miliardi di euro e viene compensato dal ripristino degli strumenti
antievasione per 3 miliardi di euro (stima assolutamente prudenziale) e dall’assorbimento
nell’ambito dell’intervento generalizzato delle risorse dedicate al bonus famiglia (2,4 miliardi di euro). Possibili risparmi in conto interessi, da valutare in sede di assestamento
del bilancio dello Stato a luglio 2009, vanno utilizzati per irrobustire gli interventi
sui redditi da lavoro e da pensione. Il costo netto per il 2009 ammonta, quindi, a
circa 5,6 miliardi di euro. In termini di maggiore indebitamento in rapporto al
PIL, vuol dire meno di 0,4 punti percentuali per il 2009. Tale indebitamento
aggiuntivo viene più che compensato nel corso del 2010 e 2011, grazie al venir meno degli effetti delle misure di carattere temporaneo, il recupero di risorse
dall’evasione e la maggiore crescita conseguente alle riforme strutturali proposte.
e
In sintesi, il mix di interventi delineato migliora le prospettive di sostenibilità del debito
pubblico, in quanto ha, immediatamente, un effetto positivo sul PIL effettivo e, gradualmente, sulla crescita potenziale. Contestualmente, definisce le condizioni per una riqualificazione/riduzione realistica della spesa pubblica, l’allargamento della base imponibile e la
riduzione delle aliquote fiscali.
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e
Per la crescita del Mezzogiorno
e dell’Italia
Una piattaforma nazionale del Partito Democratico
per il Mezzogiorno
Sergio D’Antoni
Responsabile Settore Mezzogiorno
3.
1
novembre 2008
Un paese che finalmente riprenda a crescere con maggiore intensità è la condizione per offrire migliori opportunità a tutti i cittadini. La realizzazione di un
simile obiettivo richiede scelte strategiche coerenti. Noi crediamo che un progetto
per l’Italia debba fare perno sulle potenzialità che possiede e prime fra tutte le importanti risorse presenti nel Mezzogiorno.
Questo vuol dire contrapporsi all’idea portata avanti dal Governo Berlusconi che ritiene il
Mezzogiorno un fardello di cui progressivamente liberarsi, con sistematici tagli agli investimenti infrastrutturali nel Sud, con la demolizione del sistema di incentivazione alle imprese
e con una ipotesi sbagliata di federalismo fiscale improntata all’egoismo dei territori che, se
applicata. porterà ad un ulteriore allontanamento nei livelli dei servizi a cittadini e imprese
nelle due parti del paese.
La crisi economica che sta attraversando il nostro paese rischia di accentuare ancora di più le
differenze tra il Nord e il Sud, andando ad ampliare le aree di sofferenza sociale già presenti
nelle regioni del Mezzogiorno. Le stime diffuse nei giorni scorsi dalla SVIMEZ hanno mostrato
come la recessione economica che sta attraversando il paese e che tenderà ad aggravarsi nei
prossimi mesi sarà più intensa nelle regioni del Mezzogiorno. hanno posto in evidenza come
la recessione stia colpendo soprattutto il Sud, incidendo negativamente sia sui consumi delle
famiglie, sia sugli investimenti del sistema delle piccole e medie imprese locali. Una prospettiva critica che incide su un’area già con elevata disoccupazione e con diffuse situazioni
di povertà e che dunque rischia di determinare effetti pesanti sia in termini economici che
sociali. L’intreccio di questione economica e questione sociale imporrebbe scelte chiare e
immediate a favore delle fasce deboli della popolazione, così da sostenere i redditi familiari
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e al tempo stesso alimentare i consumi, e a favore delle piccole imprese. Scelte di politica
nazionale che assumerebbero anche una valenza meridionalista.
Al contrario le decisioni di questi primi mesi di Governo sono tutte contro il Mezzogiorno e
le misure anti-crisi sono quasi inesistenti. L’intervento sulle famiglie deboli (con il bonus e
con la social card) appaiono di entità trascurabile rispetto all’entità della crisi. Mentre invece non solo si continua lo scippo dei fondi FAS, ma si comincia a parlare di utilizzare in una
ottica anti-congiunturale anche i Fondi Strutturali della programmazione 2007-2013.
In un quadro così difficile è ancora più necessario invece accelerare gli interventi di carattere strutturale per rimuovere nel Mezzogiorno i vincoli alla crescita economica. Ciò vuol dire
operarsi per assicurare nei tempi più brevi possibili un volume di investimenti pubblici e
privati in grado di sostenere il processo di sviluppo.
Il Governo al contrario ha ridotto in maniera consistente i fondi per le infrastrutture al Sud
per finanziare la riduzione dell’ICI a favore delle fasce più abbienti del Centro-Nord; ha proceduto ad una indiscriminata rapina dei fondi FAS, usandolo come portafoglio da aprire per
far fronte a qualsiasi esigenza, compresa quella di ripianare i disavanzi correnti degli enti
locali. Dall’avvio della nuova legislatura, la dotazione del FAS per il periodo 2007-2013 è
stata ridotta complessivamente di oltre 16,6 miliardi di euro. In una simile fase congiunturale, il Governo invece di supportare le imprese del Sud ha di fatto annullato
l’operatività del credito d’imposta per gli investimenti al Sud, deprimendo ancora
di più le prospettive di crescita.
Il Partito Democratico richiede un radicale cambiamento della politica economica del nostro paese; una diversa impostazione della politica economica che
ponga al centro le famiglie e le imprese e che ponga al centro la valorizzazione
delle potenzialità che possiede.
Noi siamo convinti che è soprattutto nel Mezzogiorno che vi sono maggiori spazi per la
crescita produttiva; in primo luogo l’ampia disponibilità di forza lavoro giovane e scolarizzata fornisce in quest’area la base per accrescere il livello di competitività del sistema nel
suo complesso e per tenere il passo con i mutamenti del contesto economico internazionale.
Le esperienze internazionali ci rafforzano in questa convinzione.
La realizzazione di un rilancio del Sud, condizione perché l’intero paese riprenda a crescere,
richiede una riflessione sui contenuti della politica di sviluppo, nei suoi aspetti quantitativi
e soprattutto qualitativi, e su una ipotesi di federalismo fiscale compatibile con la natura
dualistica del nostro paese e con l’obiettivo di superare il divario tra Nord e Sud. Ma richiede
anche una riflessione aperta sulle responsabilità che un nuovo protagonismo dei territori
richiede alla classe dirigente meridionale.
Il Mezzogiorno e il suo potenziale di sviluppo
e
Occorre partire dall’affermazione pronunciata qualche mese fa dal governatore Mario Draghi:
“Il paese non si riprende se il Sud non decolla”. Assumere tale presupposto vuol dire smentire
uno dei luoghi comuni più diffusi, secondo cui, se parte la locomotiva del Nord sarà in grado
di trainare il Mezzogiorno e di portare l’Italia definitivamente fuori dal pantano della bassa
crescita. Basta analizzare anche i dati presentati nei giorni scorsi dalla SVIMEZ per capire
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La strategia per il Sud
3.
1
e
come il differenziale di crescita del nostro paese rispetto alla media dell’Unione sia invece
largamente determinato dalla crescita insufficiente delle aree deboli.
Nel primo quinquennio degli anni 2000, infatti, sia le economie dei nuovi stati membri (caratterizzati da livelli di partenza ben più bassi) sia le altre regioni dell’obiettivo 1 della Ue
sono cresciute assai più della media europea. Le aree comprese nell’obiettivo “convergenza”
della UE sono cresciute a un tasso del 4,8% medio annuo contro appena l’1,5% delle regioni
del Mezzogiorno.
In Spagna le regioni deboli fanno segnare un +6,5% (quasi 5 volte la crescita delle regioni
“Convergenza” italiane) superiore di quasi un punto alle altre regioni spagnoli. Il Sud è forse
l’unica, tra le aree cosiddette deboli, a non avere mostrato nella recente fase economica un
tasso di crescita superiore al resto del paese. I dati di recente diffusi dalla SVIMEZ confermano anche per il 2007 (per il sesto anno consecutivo!) un tasso di crescita del Mezzogiorno
inferiore al Centro-Nord.
La verità è che il nostro paese da troppo tempo non ha più creduto nel Sud e nelle sue
possibilità di crescita. Non è stato perseguito con la necessaria determinazione un progetto
di sviluppo complessivo capace di valorizzarlo. Altri paesi, invece, sono stati in grado di
vincere la sfida del rilancio delle aree deboli. La Spagna e la stessa Germania hanno privilegiato nelle scelte di investimento proprio le zone più arretrate, attraverso grandi
progetti di infrastrutturazione e credendo nella capacità moltiplicativa dell’investimento pubblico. In entrambi i paesi si è realizzato un processo di convergenza
e allo stesso tempo un tasso di crescita più elevato che in Italia.
Il Mezzogiorno è ancora fortemente condizionato da vincoli strutturali, dal ritardo
sul versante del reticolo istituzionale, da patologie sociali accentuate, ma è anche una
realtà profondamente diversa rispetto al passato; al suo interno ci sono infatti aree di
eccellenza che non riescono però ancora a fare sistema. La considerazione di una realtà così
complessa, in cui convivono situazioni di arretratezza economica con esperienze di modernità ed efficienza richiede un ripensamento delle logiche e degli strumenti delle politiche
ancora necessarie per accelerare un ordinato sviluppo delle regioni meridionali, e quindi
dell’intero paese.
A tal fine occorre definire una nuova strategia di intervento nel Mezzogiorno, in grado di
riattivare quei processi di crescita economica e di progresso sociale che sembrano essersi
interrotti nell’ultimo decennio. La costruzione di un politica di coesione territoriale più incisiva passa necessariamente per un impegno diverso per il Mezzogiorno nell’ambito delle
politiche ordinarie nazionale e per una revisione critica delle funzioni e delle modalità di applicazione degli interventi specifici (nazionali e comunitari, centrali e regionali) per il Sud.
Si tratta di un obiettivo complesso cui sono chiamati a dare un contributo tutti gli attori
economici e politici.
Il precedente Governo aveva avviato un processo di profonda revisione delle politiche meridionaliste, basato su tre pilastri: a) l’adozione, per la prima volta nel nostro paese, di una
programmazione unitaria, che inserisce nello stesso quadro tutte le azioni finanziate sia con
fondi comunitari che con le politiche regionali nazionali (il FAS); b) la razionalizzazione del
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sistema di incentivazione alle imprese basato su strumento automatici e l’introduzione, sul
modello francese, di aree di vantaggio fiscale; c) interventi mirati a favore dei giovani laureati del Mezzogiorno per evitare che continui la migrazione verso il Centro-Nord.
Un processo che si è bruscamente interrotto e che rischia di essere rapidamente annullato da
provvedimenti promossi da un centro-destra fortemente condizionato dal peso di forze economiche e politiche portatrici degli interessi delle più sviluppate regioni del Centro-Nord.
Partiamo da cosa è stato fatto nei due anni di Governo di centro-sinistra
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A. La politica unitaria di sviluppo
Con la finanziaria 2007 è stata cambiata profondamente la logica della programmazione delle
risorse per le politiche di sviluppo nel Mezzogiorno. Il Fondo aree sottoutilizzate per la prima
volta ha una copertura finanziaria settennale in linea con il Quadro comunitario di sostegno.
Ciò permette di poter contare da subito sulle risorse nazionali e comunitarie dell’intero periodo di programmazione. In virtù dell’immediata spendibilità di tutte le risorse, è possibile
procedere alla definizione degli interventi con la certezza della loro copertura. Le risorse
stanziate per il periodo 2007-2013 ammontano complessivamente a circa 120 miliardi nei
sette anni – 100 miliardi circa per le sole regioni del Mezzogiorno –, di cui 64 miliardi
circa a carico dei fondi nazionali e circa 55 a carico dei programmi confinanziati dall’Unione europea.
La definizione di una cornice unitaria di programmazione va nella direzione di
cercare di contrastare quanto accaduto nel precedente ciclo di programmazione, quando, in assenza di progetti strategici, si sono effettuate iniziative
episodiche, non raccordate e quindi spesso inefficaci. La definizione di un quadro
di programmazione unico è una precondizione fondamentale, per non incorrere negli
errori del passato. Ma certamente adesso occorre che le amministrazioni centrali e regionali siano in grado di progettare e realizzare.
Il conseguimento di reali obiettivi di coesione economica territoriale dipende infatti in
primo luogo da una più virtuosa integrazione con le politiche ordinarie di investimento. Se
analizziamo la spesa in conto capitale al Sud – cioè la componente che può determinare un
recupero delle condizioni di contesto economico – si evidenzia un vero e proprio crollo nel
primo quinquennio degli anni 2000, nel periodo del governo di centro-destra . Gli ultimi dati
disponibili relativi al 2007 indicano nel 35,3% la quota di spesa in conto capitale destinata
al Mezzogiorno.
Si tratta di un valore non solo ben lontano dal 45% del totale nazionale originariamente
fissato in fase di programmazione, ma che, come accade ormai da qualche anno, non eguaglia neppure il “peso naturale” del Mezzogiorno, pari al 38% circa. Del tutto insufficiente
è soprattutto la quota di risorse ordinarie, di appena il 22,3% destinata al Sud del totale
nazionale, inferiore di oltre 10 punti al “peso naturale” dell’area.
In materia di spesa infrastrutturale, gli impegni programmatici e il permanere di forti deficit
di dotazione al Sud richiedono una determinazione maggiore che in passato nell’orientare
verso il Mezzogiorno gli investimenti strategici delle imprese pubbliche (Ferrovie, GRTN,
ANAS). Le Ferrovie dello Stato destinano al Sud appena il 18% della loro spesa, Poste ed
ENEL circa il 30%. Un forte cambiamento di rotta richiede interventi concreti e immediati.
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Non sono accettabili, se non vogliamo condannare il Mezzogiorno a una totale perifericità
rispetto ai flussi di persone e di merci provenienti dall’Europa continentale, scelte che escludono il Mezzogiorno dagli investimenti delle ferrovie nelle linee Alta velocità e Alta capacità.
La conseguenza di valori così bassi di spesa ordinaria è che le risorse specifiche per il Sud
perdono il loro carattere di aggiuntività e finiscono per coprire le carenze della politica nazionale di investimento.
Il problema è garantire un flusso di investimenti in infrastrutture materiali e immateriali
adeguato e al tempo stesso assicurare la qualità della spesa, sia essa dello Stato o delle regioni. Le opere devono essere progettate finanziate e completate nei tempi previsti.
Proprio partendo dalla consapevolezza di un perdurante “gap” in merito alla spesa “ordinaria” in genere e per opere infrastrutturali in particolare, occorre favorire un maggiore
coordinamento tra Governo centrale e regioni. Oltre che tra le regioni stesse. In altri termini è necessaria una nuova governance capace di far marciare di pari passo investimenti
“straordinari” e “ordinari” all’interno di un’unica e coerente politica di sviluppo. Anche con
il coinvolgimento delle parti sociali attraverso la ripresa del “Tavolo sud” occorre definire,
insieme a forze sociali, governo nazionale e governi locali, poche e fondamentali cosa da
fare subito.
Nel Mezzogiorno insomma occorre abbandonare un approccio che identifica nelle risorse stesse il beneficio atteso, a favore di una chiara definizione delle opere prioritarie da realizzare, privilegiando interventi che generano flussi di investimenti
privati in grado di sostituire nel medio periodo l’input pubblico.
B. Una diversa politica per le imprese
Nel corso del 2006 e 2007 il Governo Prodi ha proceduto a una complessiva revisione delle politiche di incentivazione alle imprese nel Mezzogiorno. Si è partiti dalla
constatazione che il sistema basato soprattutto sulla l. 488/1992 andava mostrando negli
ultimi anni crescenti criticità, e che ciò imponeva una sua complessiva ridefinizione. Nelle
due finanziarie 2007 e 2008 si è completata la definizione del nuovo sistema di aiuti alle
imprese. L’architettura del modello d’incentivazione che si è delineato per il Sud è basata su
due pilastri fondamentali.
Il primo è costituito dall’offerta di un pacchetto di incentivi di carattere automatico in grado di sostenere la dinamica degli investimenti in un’area ancora gravata da un livello delle
infrastrutture materiali e immateriali decisamente inferiore a quello rilevabile nell’altra parte
del paese:
• una riduzione differenziata del cuneo fiscale che nel Sud assume valore doppio rispetto al
resto del paese:
• un credito d’imposta di carattere automatico per nuovi investimenti nelle regioni del Mezzogiorno;
• un credito d’imposta per l’innovazione e la ricerca valido su tutto il territorio nazionale;
l’introduzione dal 2008 di un credito di imposta per ogni nuovo occupato aggiuntivo a tempo
indeterminato nel Mezzogiorno, pari a 333 euro mensili e a 413 euro nel caso delle donne.
Si è così giunti alla definizione di un sistema completamente nuovo, basato sul principio
secondo cui devono essere le imprese a impegnarsi prima nell’investimento, e solo in segui179
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to possono ricevere aiuti economici tramite detrazioni dalle imposte. Una rivoluzione per il
sistema imprenditoriale meridionale, da tempo abituato a fare investimenti da subito solo
con i soldi pubblici. L’offerta di una pluralità di strumenti di carattere automatico, e quindi
non soggetti alla intermediazione politica o burocratica, permette finalmente di offrire in
maniera trasparente condizioni favorevoli per i nuovi investimenti e per la creazione di occupazione nelle aree meridionali.
Il secondo pilastro di questo nuovo regime di incentivazioni è costituito da interventi fortemente selettivi che si propongano di innalzare il contenuto tecnologico e di innovazione
dei prodotti:
il Contratto di programma profondamente revisionato al fine di concentrarne l’utilizzo sugli
investimenti di maggiore dimensione e sull’attrazione di investimenti esteri.
i piani nazionali di sviluppo industriale previsti da Industria 2015 che andranno a privilegiare anche alcune aree produttive con particolare potenzialità di sviluppo nel Mezzogiorno, facendo leva anche su poli di eccellenza già esistenti: dall’aeronautica all’aerospazio, ad alcuni
comparti dell’agricoltura di qualità, alle biotecnologie, alla microelettronica, alla logistica.
A ciò si aggiunge l’istituzione normativa delle Zone Franche Urbane, che sull’esempio dell’analoga esperienza francese prevedono delle vere e proprie “no tax area” in alcuni
quartieri più degradati delle nostre città, soprattutto del Sud. La normativa sulle
zone franche prevede infatti in queste aree l’esenzione totale da IRES, IRAP e ICI,
nonché dei contributi sia per i redditi da lavoro dipendente che autonomo per
cinque anni. Si tratta di uno strumento fortemente innovativo che va nella
direzione di porre in atto politiche di marketing territoriale, attraverso le quali
si concentra in uno specifico territorio un numero di strumenti in grado di fare
massa critica, compensando le diseconomie proprie delle aree deboli.
La nuova fase politica: l’attacco del Governo di centro-destra alla politica
per il Sud
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Con l’avvento del Governo Berlusconi il processo avviato sembra essersi già bruscamente
interrotto i primi provvedimenti varati dal nuovo Esecutivo costituiscono un forte arretramento rispetto a quanto era stato fatto in questi anni.
Il decreto fiscale su straordinari e ICI è stato il primo forte attacco al Mezzogiorno del nuovo
Governo Berlusconi. La copertura finanziaria del decreto viene infatti garantita in larghissima parte da tagli di risorse destinate alla realizzazione di infrastrutture nel Mezzogiorno e, in
particolare, in Calabria e Sardegna. Su un fabbisogno per i due provvedimenti citati di circa
2,4 miliardi circa 2 miliardi provengono infatti da stanziamenti del precedente Governo per
interventi nel Mezzogiorno, che vengono così cancellati. Sono stati usati a copertura delle
nuove spese, infatti, circa 1,4 miliardi della dote Fintecna per la costruzione del ponte sullo
Stretto, che il Governo Prodi aveva poi destinato nella finanziaria 2007 a interventi per la
realizzazione di opere ferroviarie e stradali in Sicilia e in Calabria. A ciò si aggiungono altri
500 milioni che erano stati destinati a opere varie minori, sempre in Calabria e Sicilia, dalla
finanziaria 2007 e di cui, con questo decreto è stata eliminata la dotazione finanziaria.
Se aggiungiamo altri piccoli, ma significativi per chi li subisce, tagli quale quello relativo
all’indennizzo di danni agricoli in Sicilia (per 50 milioni), arriviamo a una quota del decreto a
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carico del Mezzogiorno di oltre l’80%. Va inoltre considerato, rispetto a quanto sostenuto da
esponenti della maggioranza, riguardo a un futuro reintegro dei fondi cancellati, che comunque l’attuale provvedimento comporterà un immediato blocco di interventi con procedure in
avanzato stato di avanzamento.
Con riferimento ad esempio ai fondi ex Ponte, essi erano state già destinati in Sicilia a
quattro specifici interventi: completamento della autostrada Agrigento-Caltanissetta, metropolitane leggera di Palermo e Messina e al tratto di collegamento Stesicoro-Aereoporto
di Catania.
In Calabria, tali risorse dovevano finanziare alcuni lotti della statale Jonica e la tangenziale
di Reggio Calabria. Tali interventi (concentrati per il 70% in Sicilia) al momento rimangono
senza copertura finanziaria e vengono bloccate le procedure. Il provvedimento appare sbagliato sia dal punto di vista politico che squisitamente tecnico in quanto, contrariamente a
quanto da ogni parte auspicato in campagna elettorale, utilizza risorse in c/capitale, peraltro relative a un ambito decisivo per consentire un miglioramento del contesto produttivo
e sociale del Sud quale quello infrastrutturale, per coprire spese correnti concentrate principalmente nel Nord.
Se a ciò si aggiunge che i due principali provvedimenti approvati (taglio dell’ICI e detassazione straordinari) avranno, come dimostrato da molti economisti, il maggiore
impatto tra le classi più abbienti del paese, quelle che sono in possesso di abitazioni con il maggior valore catastale e quelle che hanno un posto di lavoro
regolare garantito che gli consente di effettuare straordinari retribuiti, risulta
chiaramente l’effetto redistributivo a sfavore delle fasce più deboli della popolazione dell’azione del Governo e quindi del Mezzogiorno dove tali fasce sono
concentrate.
Un secondo fattore di forte indebolimento della politica per il Mezzogiorno è provenuto
dal decreto-legge 3 giugno 2008 , n. 97 in materia di monitoraggio della spesa pubblica.
L’art. 2 del decreto interviene significativamente sul crediti d’imposta agli investimenti nelle regioni del Mezzogiorno, introducendo un tetto di spesa e un meccanismo di richiesta e
prenotazione delle risorse che ne indebolisce fortemente la validità. Infatti tale meccanismi
già sperimentati negativamente in passato rendono l’agevolazione non più certa ed automatica, in quanto l’impresa che effettua l’investimento non è più sicura che il credito d’imposta
le venga poi riconosciuto. Dunque un forte indebolimento di una linea, fortemente voluta
anche dalla Confindustria, volta a ridurre qualsiasi intermediazione politica e burocratica
nella concessione delle agevolazioni imprese. A ciò si aggiunga che si rende vana la lunga
trattativa condotta dal precedente Governo per farsi autorizzare uno strumento pienamente
automatico e differenziato sul territorio, una prima forma di fiscalità compensativa nel Mezzogiorno di grandissimo valore anche come precedente. Tali modifiche oltre a far venir meno
tutto ciò rende necessaria anche una rinegoziazione a Bruxelles.
Il d.l. 112/2008 infine interviene sul Mezzogiorno con tre diverse misure. La prima consiste
in un taglio particolarmente sostanzioso proprio per la missione “Sviluppo e riequilibrio
territoriale”, oltre 1,7 miliardi di euro di riduzione nel 2009 (oltre l’80% del taglio previsto
all’intero Ministero dello Sviluppo Economico). Tale riduzione sale a 2,1 miliardi nel 2010 e
a 3,8 miliardi nel 2011.
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La seconda consiste nella revisione delle agevolazioni agli investimenti previsti da Contratti
di programma e localizzazione, con conseguente blocco delle agevolazioni. La terza consiste in una profonda modifica della programmazione della spesa di sviluppo e coesione nel
Mezzogiorno attraverso una riprogrammazione delle risorse del Fondo aree sottoutilizzate.
Il provvedimento è stato realizzato attraverso tre successivi emendamenti emersi in corso
di discussione: a) ART. 6-bis, concentrazione strategica degli interventi del FAS 2000-2006
che revoca assegnazioni effettuate dal CIPE e non ancora impegnate ( circa 700 milioni di
euro). b) ART. 6-ter, fondo per il finanziamento di reti infrastrutturale di livello nazionale:
nel fondo confluiscono risorse del QSN 2007-2013 che verranno poi ripartite dal CIPE, sentita la Conferenza Unificata (circa 14 miliardi di euro); c) ART. 6-quater: ricognizione delle
risorse per la programmazione: la Presidenza del Consiglio effettuerà una ricognizione delle
risorse che si rendono disponibili in ambito regionale a seguito della rendicontazione di
progetti coerenti. Tali risorse vengono riprogrammate dalla Presidenza del Consiglio (circa
14,5 miliardi di euro).
La riprogrammazione riguarda complessivamente circa 29,2 miliardi di euro, una cifra piuttosto rilevante di cui però non si ha nessuna informazione sulla futura destinazione, al di là
di una generica indicazione di “priorità” verso le infrastrutture e rimane completamente
affidata a un secondo momento di riprogrammazione. Ma soprattutto mancava ogni
garanzia che tale processo di ridefinizione consentisse almeno di mantenere l’attuale distribuzione territoriale delle risorse. Solo un emendamento presentato
dal Partito Democratico ha consentito almeno per i primi due articoli di inserire il vincolo della concentrazione dell’85% delle risorse del FAS nelle regioni
meridionali.
Al momento la linea che emerge dall’intervento del Governo appare molto preoccupante perché, intervenendo solo sul FAS e con generici orientamenti, finisce per rompere l’unitarietà della programmazione del QSN e per alterare la distribuzione sul territorio
delle risorse, senza intaccare i veri nodi problematici del processo di programmazione. La
riduzione degli stanziamenti ordinari per il Mezzogiorno rischia inoltre di contribuire a un
ulteriore indebolimento del principio dell’aggiuntività della spesa, principio cardine a livello
comunitario della politica di coesione.
Più in generale è evidente che il Governo in questi primi mesi non ha affrontato le due
grandi questioni del paese: la bassa crescita economica e l’inadeguato livello dei redditi.
Questioni che nel Mezzogiorno divengono vere e proprie emergenze se consideriamo i riflessi
della bassa crescita economica in termini di ulteriore riduzione dell’occupazione. Gli ultimi
dati diffusi nei giorni scorsi dalla SVIMEZ, dalla Banca d’Italia, dall’Unioncamere hanno
confermato una ulteriore divaricazione nelle dinamica occupazionale tra Sud e Nord e hanno
ulteriormente peggiorato le previsioni per il 2009.
Il quadro che emerge è dunque grave e conferma una impostazione fortemente anti-meridionale di questo Governo, cui l’opposizione dovrà contrapporsi con forza e determinazione
Il Mezzogiorno e la sfida del federalismo fiscale
Il federalismo fiscale può essere una opportunità per il Mezzogiorno se diventa occasione per
rimediare ai guasti causati dall’assistenzialismo dello Stato centrale, in vista di promuovere
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Un nuovo approccio di politica per i cittadini: sicurezza e servizi. Impegno per la sicurezza e la legalità
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un rinnovo della classe dirigente e un nuovo orientamento a favore di politiche territoriali
di tipo selettivo. Questo disegno di riforma richiede però nel contempo un’accorta gestione
per prevenire i rischi di un conflitto tra regioni ricche e povere in grado di ulteriormente
indebolire il percorso del paese nell’economia europea.
In queste ultime settimane è infatti sul campo del federalismo fiscale che potrebbe giocarsi
la partita tra Nord e Sud, o meglio tra questione settentrionale e questione meridionale. Tale
tema sta assumendo quasi un valore simbolico, quello della fine della dipendenza del Mezzogiorno dai trasferimenti delle regioni ricche del Centro-Nord. Quella che dovrebbe o potrebbe
essere una riforma volta ad adattare l’assetto istituzionale e finanziario dello Stato va dunque assumendo un valore quasi catartico (quasi sostitutiva delle esigenze di superamento
del divario), per un Nord che pensa così di liberarsi del pesante fardello del sottosviluppo
meridionale. Su tale tema invece è necessario che il Partito Democratico tenga alta l’attenzione e svolga tutti i necessari approfondimenti tecnici. La proposta avanzata dal Governo,
pur rappresentando un notevole passo avanti rispetto alla proposta Lombardia, contiene
notevoli elementi di preoccupazione sia riguardo ad alcuni contenuti tecnici, sia soprattutto
per la genericità e assenza di elementi quantitativi.
3.
Il problema del Mezzogiorno non è però soltanto e soprattutto un problema di
cattiva politica e di inefficiente spesa pubblica. “La crisi del Mezzogiorno è
civile e istituzionale, prima ancora che economica” ha sostenuto il presidente
Emma Marcegaglia nell’intervento all’assemblea annuale di Confindustria , ponendo conseguentemente al centro l’esigenza di interventi sul contesto civile ancora
prima che su quello economico. L’insufficienza delle regole di convivenza in molte aree
del Mezzogiorno rappresenta un grave ostacolo alla nascita e allo sviluppo di imprese di
mercato.
Il sempre maggiore condizionamento della criminalità organizzata sulle attività legali costituisce quella sorta di “zavorra” dell’economia meridionale che impedisce alle molte attività
produttive dell’area di espandersi e di consentire quell’ampliamento della forza lavoro impiegata, condizione necessaria per togliere humus alle attività criminali. La rete imprenditoriale
mafiosa e camorristica condiziona infatti pesantemente il mercato legale determinando una
sorta di monopolio locale, mascherato in quanto costituito apparentemente da molte piccole
imprese possedute o controllate dai membri della stessa famiglia criminale.
Studi economici hanno mostrato come in una economia sotto tutela mafiosa anche gli imprenditori non collusi sono indotti a comportamenti non ispirati al perseguimento dell’efficienza economica ma subiscono i vincoli imposti dal contesto: accettando manodopera
oppure fornitori imposti, ritirandosi da una aggiudicazione per lasciare spazio alle imprese
legate alla criminalità. Si tratta di fenomeni di isomorfismo istituzionale che troppo spesso
riguardano anche le amministrazioni locali, soprattutto dei piccoli centri, come dimostrato
dai numerosi casi di comuni sciolti per infiltrazioni mafiose. È anche sulla sfida del rafforzamento di condizioni di libertà economica che si giocano le possibilità di sviluppo del
Mezzogiorno.
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Le analisi condotte pongono in evidenza chiaramente nei rapporti tra pubblica amministrazione e sistema degli appalti uno dei punti nodali su sui incidere non solo per ridurre
la criminalità ma anche per liberare risorse in grado di sostenere l’economia produttiva nel
Mezzogiorno. Affrontare tale tema vuol dire però anche affrontare quella che è una vera e
propria questione amministrativa nel nostro paese e nel Mezzogiorno in particolare. Molto
si è scritto in quest’ultimo mese della reazione dell’imprenditoria meridionale, e di quella
siciliana in particolare, contro la collusione mafiosa. Molto da fare però rimane per cercare
di rafforzare la capacità dei quadri dirigenti delle amministrazioni pubbliche di resistere al
condizionamento della criminalità. Ne è testimonianza l’elevato numero di consigli comunali
sciolti in seguito a fenomeni di infiltrazioni mafiose. Tra il 2003 e il 2005 essi sono stati
complessivamente 31, tutti tranne uno nelle regioni meridionali. I provvedimenti hanno riguardato 10 consigli della Calabria, 10 della Sicilia, 10 della Campania e 1 del Lazio. Nel solo
2005 dei 10 scioglimenti avvenuti, ben 7 sono concentrati in Campania, tutti nella provincia
di Napoli. Questi dati evidenziano un malessere, aggravato da una constatazione: troppo
spesso dopo i commissariamenti, le liste elettorali sono largamente formate da politici che
hanno portato allo scioglimento di quegli stessi organi. A ciò si aggiunge che i procedimenti
penali nei riguardi del personale dirigenziale spesso non determinano un allontanamento
dalle funzioni.
È dunque nella definizione di regole certe e di un controllo democratico della
azioni delle pubbliche amministrazioni che si giocano molte delle possibilità di
rendere il Mezzogiorno una regione normale dell’Europa, presupposto anche
per un recupero dei livelli di sviluppo economico.
Il pieno esercizio dei diritti di cittadinanza come obiettivo delle
politiche di sviluppo
e
Lo sviluppo concreto dei diritti di cittadinanza è la chiave fondamentale per mobilitare le
risorse del Mezzogiorno. Occorre partire dalla considerazione che dove sta bene un cittadino
sta bene anche un impresa. Ancora oggi al cittadino del Sud mancano (o sono carenti) diritti
fondamentali: in termini di vivibilità dell’ambiente locale, di sicurezza, di adeguati standard
di istruzione, di idoneità di servizi sanitari e di cura per la persona adulta e per l’infanzia. Si
tratta di carenze di servizio che si riflettono sulla vita dei cittadini ma che condizionano decisamente anche le prospettive di crescita economica, perché diventano fattori che giocano
un ruolo non accessorio nel determinare l’attrazione di nuove iniziative imprenditoriali.
Le cifre ci dicono quanto forte sia ancora il gap rispetto al resto del paese:
• nei servizi per l’infanzia, dove nel Mezzogiorno appena il 21% dei comuni ha attivato asili nido
contro il 47% del Centro-Nord, così che solo 4 bambini su 100 trovano posto in asili nido;
• nel campo dell’istruzione dove la quota di quindicenni con livello molto basso di competenze nell’area matematica è di quasi tre volte superiore a quella del resto del paese;
• nella raccolta differenziata dei rifiuti solo l’8,7% dei rifiuti è oggetto di raccolta differenziata contro il 31% del Centro-Nord
• nel campo della depurazione delle acque e dei servizi idrici, dove al Sud si registra quasi
un 40% di perdite nell’acqua immessa nella rete e in cui un quarto dei cittadini del Mezzogiorno rileva irregolarità di fornitura a fronte del 9% del resto del paese.
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Proprio per questo, nella definizione del nuovo Quadro strategico nazionale 2007-2013 il Governo Prodi ha voluto privilegiare l’effettiva capacità di incidere positivamente sulla vita dei
cittadini attraverso definizione di “obiettivi di servizio”, legati a definiti parametri di misurazione dei servizi al cittadino. Al conseguimento di questi obiettivi sono legati meccanismi
premiali, per un ammontare di ben 3 miliardi di euro da erogare a fine programmazione alle
regioni che avranno saputo modificare sostanzialmente le loro posizioni rispetto a quattro
principali temi: dell’istruzione, dei servizi di cura alle persone, dei rifiuti e della gestione del
servizio idrico.
La politica regionale di sviluppo non può essere solo politica “spaziale” di intervento (attraverso incentivi fiscali, contratti di programma, investimenti pubblici) ma deve essere accompagnata da politiche territorialmente differenziate nel Mezzogiorno, in grado di elevare
la qualità di alcuni beni pubblici essenziali. Centrale in questo ambito è senz’altro il tema
della qualità dell’istruzione scolastica, che vede il Mezzogiorno agli ultimi posti in Europa. È
sin ovvio ribadire che nessun incentivo pubblico può compensare il più basso livello di competenze degli studenti meridionali. Si tratta dunque di ambiti di intervento che necessitano
di politiche mirate e di obiettivi chiari e verificabili.
Qualità della vita e dei servizi significa anche migliore capacità di produrre reddito, in
tale ottica occorre avere ben presente che gli interventi per la modernizzazione del
paese (liberalizzazioni, riforme del sistema di welfare, un fisco più equo, ecc.) sono
di per sé politica meridionalista. È dunque anche in questi ambiti non propri
della tradizionale politica regionale di sviluppo che si giocano molte delle
chance di conseguire nei prossimi anni risultati tangibili in termini di qualità
delle condizioni di vita e per questa via in termini di sviluppo economico.
Il contributo delle donne alla crescita del Mezzogiorno
Nel nostro Mezzogiorno è presente un enorme giacimento di capitale umano femminile,
ancora largamente sottoutilizzato, che se inserito nel sistema può giocare un ruolo decisivo
nella partita dello sviluppo, della competitività, del benessere sociale non solo dell’area ma
dell’intero paese.
La gravità complessiva della situazione occupazionale nelle regioni del Mezzogiorno si riflette infatti con particolare intensità sulla componente femminile. La bassa quota di donne
occupate accomuna entrambe le ripartizioni del paese, ma diventa critica nel Mezzogiorno.
Se infatti il Centro-Nord mostra un ritardo che arrivava nel 2007 a circa 3 punti in meno del
tasso medio (55,3 % contro il 58,3%) della Ue, nel Mezzogiorno, dove appena 3 donne su
10 risultano occupate (cioè la metà del target previsto a Lisbona) il divario raggiunge i 25
punti percentuali.
Le principali cause degli squilibri, inerenti al lavoro femminile, che, ancor oggi, separano
il Mezzogiorno dal Centro-Nord, sono da ricercarsi nelle condizioni stesse del mercato del
lavoro nel Mezzogiorno, unite alla mancanza di servizi adeguati a facilitare la compatibilità
tra lavoro remunerato e responsabilità familiari: servizi inerenti, ad esempio, alle cure dei
figli, oppure all’assistenza a familiari anziani.
Il Sud, peraltro, non si sembra essersi avvantaggiato della crescita dell’occupazione femminile avvenuta a partire dalla seconda metà degli anni Novanta. Infatti, pur diminuendo la
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La conoscenza base di un progetto civile per il Mezzogiorno
Nell’ultima relazione annuale il governatore della Banca D’Italia aveva affermato: «Un quindicenne su cinque nel Mezzogiorno versa in una condizione di
povertà delle conoscenze, anticamera della povertà economica». Un grido di dolore sullo stato del sistema formativo al Sud che non era stato colto, allora, nella sua
effettiva gravità ma che non può non tornare alla mente in questi giorni di polemiche
sul decreto del ministro Gelmini. I dati citati dal governatore erano chiari e coglievano
pienamente le connessioni tra debolezza del sistema formativo ed effetti sui percorsi professionali e retributivi. Le debolezze dei percorsi individuali finiscono poi inevitabilmente per
condizionare anche le prospettive di sviluppo dell’intera area.
I problemi della scuola italiana sono molti e complessi; problemi che divengono vere e proprie emergenze nel Mezzogiorno se è vero che la quota di quindicenni con livelli molto bassi
di apprendimento varia tra il 14 e il 22 per cento nel Mezzogiorno, a seconda degli ambiti
disciplinari; è intorno all’8 per cento nelle regioni del Centro e non supera il 5 per cento
nel Nord. Rispetto a tutto ciò, le scelte del Governo si ispirano soprattutto a un criterio di
efficientamento della spesa. Una serie di debolezze che si acuiscono nelle aree più deboli del
sistema – gli istituti professionali, gli studenti delle famiglie meno abbienti – compromettendo la funzione fondamentale di promozione della mobilità sociale che la scuola dovrebbe
avere soprattutto in un momento fondamentale della crescita individuale quello compreso
tra i 14 e i 18 anni. La scuola italiana ha invece bisogno di riforme complesse e non di decreti improvvisati e tagli indistinti. Il Mezzogiorno in particolare non si può permettere il
rischio di indebolire un sistema formativo già ampiamente deficitario.
Il Consiglio europeo, a Lisbona nel marzo 2000, ha assunto la linea strategica, in un mondo
sempre più basato sulla conoscenza, di costruire una società che sappia: generare la cultura
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disoccupazione nelle regioni meridionali sono emersi segnali negativi di aumento dell’inattività femminile. In altri termini, le donne del Sud, anche le più giovani, in molti casi hanno
smesso di cercare lavoro, con ciò sfuggendo anche alle rilevazioni del tasso di disoccupazione (il quale, come è noto, registra il rapporto tra il numero dei disoccupati e quello delle
persone in cerca di occupazione).
In buona sostanza, a fronte dei processi di riforma che hanno contrassegnato l’ultimo decennio, non si è interrotto quel circolo vizioso che vede le donne impossibilitate a una piena
disponibilità al lavoro in virtù sia della non modificata condizione femminile nel mercato del
lavoro (basse qualifiche, segregazione orizzontale e verticale, differenziali salariali, modelli
organizzativi del lavoro) sia dalla scarsa presenza, o addirittura assenza, dei servizi primari
di cura o dalla mancata sincronizzazione fra tempi di vita familiare, orari di lavoro e servizi di
cura. Il tasso di copertura dei servizi per i bambini sotto i 3 anni in Italia si può considerare
largamente insufficiente, con un dato medio nazionale pari al 9 per cento e al 3 per cento
nel Mezzogiorno (mentre l’obiettivo europeo è del 33%).
L’innalzamento del tasso di occupazione femminile è dunque una priorità su cui impegnarsi
per elevare il potenziale di crescita e per garantire una più equa ripartizione delle risorse
pubbliche, anche in funzione della sostenibilità futura dei sistemi previdenziale e di
protezione sociale.
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dell’apprendimento, promuovere lo spirito imprenditoriale, favorire la formazione di management innovativo, diffondere la formazione permanente, sostenere la ricerca per affrontare
i mutamenti economici e sociali imposti da mercati senza confini. Le politiche comunitarie
in ambito nazionale e locale rappresentano gli strumenti per la costruzione di un modello di
sviluppo in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti
di lavoro e una maggiore coesione sociale.
Se il Mezzogiorno vuole uscire dalla sostanziale subalternità, esso deve essere messo nelle
condizioni di poter affrontare il rinnovamento e l’ampliamento dell’apparato produttivo,
la riqualificazione delle amministrazioni pubbliche, l’adeguamento della classe dirigente,
nella chiave di un rapporto tra poteri costituiti e cittadini che esalti l’autonomia e premi
la responsabilità, per una indeclinabile cittadinanza democratica. Traguardi che richiedono
precise, ineludibili scelte del Parlamento e del Governo e la consapevole, determinata partecipazione dei meridionali. Un impegno questo che non può non coinvolgere direttamente la
scuola, l’università, gli istituti post-universitari, l’istruzione professionale, i centri di ricerca,
qualsiasi organizzazione culturale degna di questo nome.
La politica per le nuove generazioni
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C’è una generazione di giovani meridionali che sta realizzando importanti progressi
nei livelli di scolarizzazione, ormai arrivati anche per l’istruzione universitaria ai
livelli del Centro-Nord, a cui dobbiamo dare risposte in termini di opportunità
di impiego e di realizzazione individuale. Intorno a questa grande risorsa,
sempre più scarsa in un Continente che invecchia sempre più velocemente,
vanno costruiti progetti di intervento in grado di aumentare la qualità dell’istruzione, di accompagnare i giovani nella difficile fase di accesso al lavoro, di offrire
loro adeguati sistemi di formazione fuori e dentro le aziende, anche perché dobbiamo
impedire che continui l’esodo verso il Nord dei giovani laureati del Mezzogiorno. Nell’ultimo anno, i meridionali che hanno trasferito la loro residenza nel Centro-Nord sono stati oltre
120 mila, cui si aggiungono circa 150 mila unità spostamenti temporanei, legati a pendolarismo Sud/Nord. Nel complesso, quindi, si sono spostate dal Sud verso il Nord circa 270
mila persone, un dato certamente rilevante se si pensa che nel triennio 1961-63 di massima
intensità migratoria si trasferirono dal Sud circa 295 mila persone all’anno. Un’emigrazione,
però, con caratteristiche molto diverse da quelle del passato. Perché nella maggior parte dei
casi le 270 mila persone che si sono spostate al Nord sono giovani diplomati e laureati, proprio coloro di cui il Sud avrebbe più bisogno per innescare processi di sviluppo basati sulla
conoscenza. Dati che sommati a quelli relativi ai più bassi tassi di occupazione, soprattutto
femminile, e alla maggiore precarietà e al lavoro nero delineano una situazione di difficoltà
delle nuove generazioni inaccettabile.
Partendo da questa constatazione il Governo Prodi aveva previsto un programma nazionale
destinato ai giovani laureati residenti nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania,
Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, al fine di favorire il loro inserimento lavorativo, dando
priorità ai contratti di lavoro a tempo indeterminato. Tale piano prevede la definizione di
30 mila stage riservati ai laureati del Mezzogiorno al fine di favorire l’accesso al lavoro e la
formazione in azienda.
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Un provvedimento che, nonostante avesse riscosso un ampio consenso, è stato accantonato
dal Governo Berlusconi!
Dobbiamo essere consapevoli che se il paese saprà scommettere su queste nuove risorse
giovani e secolarizzate farà un servizio al Mezzogiorno e allo stesso tempo porrà le basi per
una crescita solida ed equilibrata.
Un Mezzogiorno che sta cambiando
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Poco si conoscono gli eventi che hanno cambiato l’economia e la società meridionale negli
ultimi venti anni. In realtà esistono nel Mezzogiorno accanto ad alcune importanti realtà
industriali legate a grandi gruppi multinazionali, molte piccole e medie imprese che si sono
esposte ai rischi della competizione riuscendo a internazionalizzarsi da sole o in rete con
altre imprese, a volte anche del Nord.
Esistono centri di ricerca pubblici e privati nel Mezzogiorno che, nonostante le difficoltà del
contesto e l’intermittente aiuto pubblico, hanno sperimentato e diffuso innovazione raggiungendo livelli di eccellenza.
Per non parlare della ricorrente retorica del giovane meridionale che aspetta l’impiego pubblico vivendo magari sulle spalle dei padri e dei nonni che godono di generose pensioni
pubbliche, spesso di finta invalidità. Niente di più lontano dal vero: i giovani del Sud,
come anche l’ISTAT nei giorni scorsi ci ha dimostrato , non solo ormai mostrano tassi
di istruzione sino all’università, maggiori o in linea con quelli del Nord; giovani
che sempre più spesso si mettono in viaggio verso l’estero o verso le regioni
settentrionali per fare esperienze di lavoro, spesso precarie o interinale, ma che
altrove dimostrano di saper competere con i colleghi del resto del mondo.
Il Mezzogiorno rimane dunque una realtà contraddittoria ricca di elementi di novità
e di staticità al tempo stesso.
Un’azione nel Mezzogiorno diversa dal passato deve partire dalla rimozione dei vincoli che
impediscono alle numerose realtà positive di raggiungere la massa critica necessaria per
attivare meccanismi virtuosi di sviluppo.
Il partito Democratico farà gli interessi del Sud, e quindi dell’intero paese, se si impegnerà
non in una ricerca di pietistica assistenza ma nel realizzare anche nel Mezzogiorno condizioni di contesto economico e civile in grado di favorire l’espansione delle attività di mercato.
Ciò vuol dire realizzare investimenti in sicurezza, giustizia, istruzione, strade, ferrovie, reti
idriche, energetiche. Per questo è necessario che con il nuovo quadro unico finanziario delle
risorse nazionali e comunitarie 2007-2013 si riesca ad aumentare la qualità degli interventi e
a conseguire l’obiettivo di aumentare l’aggiuntività delle risorse comunitarie così da portare
la quota del Mezzogiorno sul totale della spesa in conto capitale dell’Italia dall’attuale 38,6%
al 45%. Ciò richiede una azione assai più incisiva che nel passato nel vincolare le decisioni
di spesa, soprattutto delle risorse ordinarie, all’obiettivo di destinazione territoriale.
Ma vuol dire anche attivare processi di “cambiamento” e di “modernizzazione” nel sistema
della pubblica amministrazione e della politica; e introdurre criteri di merito e di premialità
nel sistema scolastico e universitario. Bisogna alterare l’attuale sistema di “convenienze
relative” presente nel Mezzogiorno, dove, non diversamente da quanto accade nel resto
del paese, spesso non vengono premiati i comportamenti virtuosi: l’intrapresa rispetto alla
188
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e
richiesta, le competenze rispetto ai favori, la legalità rispetto alla furbizia. Una società
moderna è fatta dagli uomini e dalle organizzazioni che operano in un territorio (governi,
imprese, sindacati, partiti, associazioni, ecc.). Un sistema che non si rinnova, organizzazioni
che non modificano mai i propri quadri e rimangono chiuse nella loro autodifesa finiscono
per deprimere le potenzialità di crescita dei territori.
A queste esigenze occorre dare risposte per evitare che prevalga ancora una volta quel senso
di assuefazione e di scoraggiamento che finisce per deprimere ulteriormente le aspirazioni al
cambiamento delle forze più vitali del Mezzogiorno.
Cosa fare subito
3.
1
Il Sud deve e può diventare un’opportunità per l’intero paese ma serve una svolta nella
gestione delle risorse. Occorre ripartire con scelte coraggiose: incentivi chiari e trasparenti
per le imprese; programmazione unitaria, quindi programmi strategici coordinati tra stato
centrale e regioni e non più progetti spot; meccanismi premiali per le amministrazioni che
raggiungono target di servizio capaci di migliorare la vita della collettività; nuovo slancio
civico e uno sforzo di tutti a non pensare più in termini localistici, indirizzando invece le
energie su progetti di ricaduta ampia.
Non c’è sviluppo senza cittadinanza. Migliorare la qualità della vita, rendere pienamente fruibili i servizi, modernizzare la pubblica amministrazione, mettere in primo
piano scuola, sicurezza, ricerca, mobilità, ambiente, mettere al centro il cittadino e l’impresa, creando il contesto necessario a ridare slancio al senso civico
e a competere da una posizione non più minoritaria. Si tratta di elementi fondamentali di un progetto per il Mezzogiorno in grado di incidere strutturalmente
sulla qualità della vita dei cittadini e sulle condizioni del “fare impresa” nel Sud.
Il prossimo ciclo di programmazione 2007-2013 rappresenta per il Mezzogiorno una occasione per partecipare al processo di sviluppo competitivo dell’economia internazionale e
per determinare una accelerazione della crescita economica dell’intero paese. Lo sviluppo del
Sud deve essere avvertito dalla comunità nazionale come momento centrale per la crescita
generale dell’Italia. la dotazione finanziaria programmatica lasciata dal precedente Governo
(circa 100 miliardi di euro per l’intero settennio) sta subendo continui attacchi dal governo
Berlusconi, che ne ha già sottratto circa 17 miliardi di euro. Occorre dunque battersi perchè
questi soldi rimangano al Sud, ma accanto a ciò è necessario che il Sud dimostri che queste
risorse le sa usare per progetti utili per innescare processi di sviluppo. Ciò vuol dire raggiungere una maggiore capacità di concentrare le risorse su azioni efficaci, in grado di determinare un significativo incremento del numero e della capacità competitiva delle imprese e, di
conseguenza, dell’occupazione.
È necessario concentrare gli interventi su pochi obiettivi prioritari, per evitare l’attuale
“polverizzazione” della politica di coesione nazionale e comunitaria, che ha finora ridotto
fortemente l’efficacia degli interventi. A tale scopo, deve prevedersi all’interno della Conferenza Stato-Regioni, un Comitato operativo delle regioni meridionali che svolga funzioni
di indirizzo e proposta al fine di definire interventi coerenti con strategie di sviluppo della
macro-area meridionale.
Un primo pacchetto, “terapia d’urto”, di misure immediate si basa su alcuni assi portanti.
189
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1. Le infrastrutture
Nell’immediato, occorre focalizzare le risorse (ordinarie e straordinarie) su un numero limitato di interventi, con l’obiettivo di dimezzare entro il 2013 l’inaccettabile divario esistente
tra Nord e Sud nelle infrastrutture e nei servizi resi dall’amministrazione pubblica ai cittadini. In coerenza, va in primo luogo garantito il rispetto dei tempi di realizzazione della
Salerno-Reggio Calabria, già interamente finanziata e i cui cantieri si prevede si chiudano
entro il 2011. Occorre poi assicurare la realizzazione delle seguenti opere prioritarie:
• realizzazione delle infrastrutture connesse al corridoio europeo Berlino – Palermo, consistenti nel potenziamento e ammodernamento della rete ferroviaria da Battipaglia a Reggio
Calabria e da Catania a Palermo.
• realizzazione dell’AV/AC ferroviaria Napoli – Bari;
• ammodernamento della S.S. 106 TA-RC (Statale Jonica).
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2. Le imprese
L’azione pubblica di sviluppo nel Mezzogiorno deve porre al centro l’impresa. Gli interventi
devono incentivare la nascita di nuove imprese e lo sviluppo e il consolidamento di quelle
esistenti.
In tale ottica, va reintrodotta da subito la totale automaticità nella fruizione del credito d’imposta per nuovi investimento nel Mezzogiorno, cancellando la norma inserita dal ministro Tremonti che, condizionandone la fruizione, ad un complesso
sistema burocratico di prenotazione e verifica ne ha di fatto compromesso
l’operatività. Si ricorda, a riguardo, che esiste un ampio volume di domande
(per circa 4 miliardi di euro) pervenute all’Agenzia delle Entrate che, a seguito
del blocco del credito d’imposta deciso dall’attuale Governo, hanno visto slittare i
tempi di fruizione fin al 2015 e oltre. L’attivazione dei crediti d’imposta per un valore
complessivo di 2 miliardi di euro − che potrebbe essere coperto anche con risorse dei fondi
strutturali − determinerebbe, secondo una valutazione della SVIMEZ, un incremento del 4%
degli investimenti in macchine e attrezzature al Sud, andando a compensare il crollo previsto
negli investimenti al Sud in assenza di interventi specifici.
e
3. Le famiglie
La definizione di interventi a favore delle fasce deboli della società di entità più rilevante
di quanto fatto dal Governo con i provvedimenti su social card e bonus famiglie, avrebbero
un indubbio effetto nel Mezzogiorno, dove gli effetti della crisi rischiano di riflettersi drammaticamente sulla capacità di acquisto delle famiglie. Interventi che abbiano come target
le famiglie meno abbienti avrebbero inoltre l’indubbio effetto, oltre che di fronteggiare il
rischio povertà, anche quello di riattivare la domanda di consumi, con effetti positivi sulla
crescita economica e quindi anche sulla sostenibilità degli equilibri di bilancio.
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e
POLITICHE PER LE IMPRESE
E IL SISTEMA CREDITIZIO
Non solo banche.
Aiutiamo le famiglie e le imprese
3.
7 novembre 2008
2
Gli emendamenti e le proposte
del Partito Democratico sui decreti
per la stabilità del sistema creditizio
I decreti “salva-banche” hanno cominciato il loro percorso per l’approvazione
in Parlamento. Intanto, il Governo sta decidendo ulteriori modifiche all’apparato del “nuovo” intervento pubblico nel settore bancario e finanziario a cui hanno
aperto la strada, sulla scia della crisi, le recenti decisioni europee e internazionali. Le
motivazioni che stanno alla base di un intervento pubblico di urgenza per evitare fallimenti, o situazioni di difficoltà, di istituti bancari sono condivisibili, e hanno a che fare con
la natura pubblica del risparmio, non a caso tutelato dalla Costituzione.
È chiaro ormai a tutti che la crisi in corso avrà inevitabilmente effetti anche di tipo reale. Per
contrastarli occorre una coraggiosa politica economica di sostegno all’economia e ai redditi:
il Partito Democratico ha presentato una mozione parlamentare per impegnare il Governo a
rielaborare gli scenari tendenziali di finanza pubblica alla luce delle nuove decisioni europee,
in modo da fare spazio a provvedimenti immediati di aumento delle detrazioni fiscali per le
famiglie, a partire dalle tredicesime di dicembre. Il PD impegna altresì il Governo a sollecitare in sede europea un coordinamento delle politiche fiscali dei paesi dell’Unione, e dello
stesso bilancio dell’Unione, sulla scia di quanto già avvenuto per le politiche di intervento
in materia di crisi finanziaria.
Il PD, con appositi emendamenti, propone:
a) un’estensione immediata e straordinaria dei meccanismi di protezione sociale a sostegno
delle persone che rischiano, nei prossimi mesi, di perdere il lavoro e che non hanno copertura assicurativa contro la disoccupazione nel nostro incompleto sistema di welfare, che andrà
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poi velocemente sottoposto a una riforma complessiva. Pensiamo in particolare ai settori
produttivi che non hanno accesso all’attuale sistema di garanzie e ai lavoratori a termine. Il
beneficio da corrispondere, in questa fase straordinaria, non potrà scendere al di sotto del
trattamento pensionistico minimo;
b) l’estensione dei meccanismi di garanzia del credito per le piccole e medie imprese, attraverso la costituzione di un Fondo temporaneo e straordinario garantito dallo Stato che
migliori la valutazione dei crediti che le PMI intrattengono con il sistema bancario direttamente oppure tramite il sistema dei Confidi;
c) un rilancio straordinario delle politiche per le infrastrutture pubbliche, sostenuto dalla
mobilitazione delle risorse che la Cassa Depositi e Prestiti drena grazie al risparmio postale,
e anch’esso possibilmente proiettato a livello europeo, cominciando a finanziare le infrastrutture europee con l’emissione di titoli pubblici dell’Unione, come fu proposto vent’anni
fa da Delors e colpevolmente contrastato dalle destre e dai conservatori europei, compreso
il centro-destra nostrano, che allora era “euroscettico”.
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Il Partito Democratico ritiene che occorra anche discutere con più trasparenza e attenzione
le modalità che potrà assumere questo “nuovo” intervento pubblico. Il fatto che esso sia
necessario, e anche urgente, non può far dimenticare che conta anche il “come” lo
Stato interviene in economia.
I nostri emendamenti prevedono:
a) che la possibilità che lo Stato diventi azionista delle banche sia limitata ai
soli casi estremi, quando la banca è sull’orlo dell’insolvenza o di una grave crisi
di liquidità. Negli altri casi, e sempre su proposta della Banca d’Italia, l’intervento
pubblico può assumere la forma dell’acquisto da parte dello Stato di obbligazioni o altri
strumenti finanziari emessi dalle banche coerenti con l’obiettivo di rafforzarne i coefficienti
patrimoniali;
b) che la valutazione dell’”adeguatezza patrimoniale” delle banche, che la Banca d’Italia
dovrà effettuare per proporre, se necessario, l’intervento dello Stato, debba tenere conto dei
flussi di credito effettivamente erogati negli ultimi mesi, al confronto con analoghe fasi cicliche, per evitare che alcuni istituti, pur di “rientrare” velocemente nei coefficienti richiesti,
abbiano contratto o stiano contraendo in modo anomalo i flussi di finanziamento ordinari al
sistema delle imprese, e soprattutto a quelle di più piccola dimensione.
e
È necessario infatti evitare un paradosso: pur essendo il sistema bancario italiano quello che
sembra uscire meglio dalla crisi, l’atteggiamento di “contrazione del credito” che sembra in
questa fase attraversarlo potrebbe far trasmettere all’economia reale il colpo della crisi molto
più velocemente di quanto stia accadendo in altri paesi europei, e ciò anche perché le nostre
piccole imprese sono molto sensibili alle condizioni creditizie.
Un ulteriore emendamento del PD si occupa di stabilire cosa lo Stato chiede in cambio alle
banche che vengono aiutate a tirarsi fuori dai pasticci grazie al suo intervento, e quindi con
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risorse direttamente o indirettamente a carico dei contribuenti. Affinchè la politica pubblica
non si limiti a “salvare le banche”, ma possa esercitare un vero effetto di stabilizzazione dell’economia, i benefici dell’intervento non devono fermarsi ai bilanci delle banche, ma devono
trasmettersi fino ai bilanci delle famiglie e delle imprese.
e
Alle banche “aiutate” vanno, secondo la nostra proposta, poste quattro condizioni:
3.
2
a) aiutare a loro volta le famiglie. E lo possono fare in due modi: abbassando i tassi variabili
a cui sono agganciati i pagamenti dei mutui per l’acquisto della prima casa, trasmettendo
così immediatamente a vantaggio delle famiglie il minor costo che le stesse banche hanno
ottenuto per i loro finanziamenti, garantiti dalle Banche Centrali e dai Governi, e quindi
meno costosi di quanto avvenisse appena qualche settimana fa;
b) impegnandosi a non far scattare le ipoteche sulle prime case delle famiglie in difficoltà,
promuovendo appositi schemi che consentano a queste famiglie, almeno, di non perdere la
possibilità di alloggiare nelle case che hanno comprato ma che non sono più in grado di
pagare;
c) aiutare a loro volta le piccole e medie imprese, impegnandosi a mantenere inalterato
il trend storico dei flussi di credito erogati a questo importante comparto del sistema
produttivo italiano;
d) modificare gli schemi retributivi del proprio management, escludendo per almeno un anno la corresponsione di premi e bonus e rivedendo poi il complessivo schema di incentivazione dei manager, ancorandolo non più a obiettivi di
breve termine, ma a parametri di lungo periodo.
Per dare piena trasparenza al “nuovo” intervento pubblico il Partito Democratico propone l’istituzione di un Comitato per l’attuazione delle misure per la stabilità del sistema
creditizio, presieduto dal ministro per l’Economia e le Finanze, che relazioni sull’attuazione
degli interventi al Parlamento e alla pubblica opinione con cadenza mensile per i primi sei
mesi e successivamente con cadenza trimestrale.
Infine, il Partito Democratico ha elaborato una proposta sulla questione dei Fondi Sovrani.
In base a questa proposta l’Italia deve assumere nel suo apparato normativo i criteri di
regolazione derivanti dalle esistenti raccomandazioni del Fondo Monetario Internazionale e
dell’OCSE, evitando di cadere in un inutile e dannoso eccesso protezionistico. Nella proposta
del PD si prevede la possibilità di intervento difensivo da parte dello Stato nel caso di fondi
che non si siano adeguati ai criteri di trasparenza, rendicontazione e governance contenuti
nei “principi di Santiago” e nel caso di assunzione di partecipazioni di controllo in settori
strategici.
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Proposta di legge n. 1225
d’iniziativa dei deputati BERSANI, SORO, COLANINNO, LULLI, SERENI, BRESSA, CALEARO CIMAN, NANNICINI, SANGA
“Disposizioni per la semplificazione dei procedimenti riguardanti l’avvio di attività economiche e la realizzazione di insediamenti produttivi, nonché in materia di disciplina dello sportello unico per le attività produttive, per l’attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai
servizi nel mercato interno. Delega al Governo per il riordino delle disposizioni in materia di
attività economiche e di autocertificazione”
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presentata il 3 giugno 2008
mato che il costo di avvio delle nostre imprese è di
2,6 volte superiore al costo medio europeo e che,
a livello globale, l’Italia è al 67o posto, immediatamente dietro la Corea, l’Uzbekistan e il Messico.
Se analizziamo i dati relativi ai tempi (per esempio
quelli relativi alla costruzione di un immobile destinato a magazzino) l’Italia risulta essere al 129°
posto, con 284 giorni necessari a completare le 17
procedure richieste, e al 68° posto per quanto riguarda i costi delle procedure stesse.
Secondo studi recenti della Confindustria, della
Confederazione nazionale dell’artigianato e della
piccola e media impresa (CNA) e della Confartigianato da ritenere, purtroppo, ancora in larga parte
attuali, per avviare un’attività di impresa occorrono mediamente 68 autorizzazioni e il contatto con
19 uffici pubblici diversi. Il primato di difficoltà lo
raggiunge l’imprenditore che voglia avviare un’attività di raccolta e smaltimento rifiuti, il quale
deve svolgere ben 78 adempimenti burocratici e
«bussare» a 24 diverse amministrazioni. Il secondo
posto spetta invece al futuro carrozziere, con 76
pratiche in 24 uffici, incalzato, ma di poco, dal
costruttore edile che, per la sua società, deve affrontare 73 pratiche in 18 uffici. Anche aprire un
salone di estetica richiede 55 adempimenti in 22
e
ONOREVOLI COLLEGHI! – Il mondo
produttivo italiano attende ormai da
anni una coraggiosa e intelligente riforma, che semplifichi l’avvio di nuove attività economiche e la realizzazione di nuovi
impianti produttivi allineando l’Italia alle altre
democrazie europee. L’anticipata interruzione della
XV legislatura ha impedito di approvare le proposte del Governo Prodi, che pur avevano raccolto un
ampio consenso del mondo economico e imprenditoriale, e che sviluppavano le linee di riforma del
1997 (primo Governo Prodi), dopo i cinque anni
di oblio del precedente Governo Berlusconi, che si
spera non debbano ora ripetersi.
Il nostro Paese si trova agli ultimi posti dei Paesi
dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) per costi complessivi e
farraginosità burocratiche, che si riversano su chi
vuole costituire un’azienda. Ad esempio, il totale
del costo degli oneri amministrativi concernenti la
prevenzione incendi, il paesaggio e i beni culturali,
il lavoro e la previdenza è stimato pari ad oltre 14
miliardi di euro annui.
Anche l’avvio di una nuova impresa, in Italia, comporta costi e tempi superiori rispetto alla media
europea. In particolare, la Banca mondiale ha sti-
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Quaderni PD.indb 194
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semplificata e abbreviata ai sensi dell’articolo 6. In
ogni caso, decorsi trenta giorni dalla presentazione
della domanda senza atti interdettivi o cautelari, le
attività e le opere possono essere avviate salvi gli
ulteriori atti dell’amministrazione.
L’ulteriore grande novità è costituita dalla completa informatizzazione di tutte le comunicazioni
e di tutte le procedure (articolo 7). A tale fine si
prevede l’integrazione tra sportelli comunali e rete
informatica delle camere di commercio, industria,
artigianato e agricoltura, sulla base della positiva
esperienza della comunicazione unica telematica
per «l’avvio d’impresa in un giorno» varata dal precedente Governo Prodi con l’articolo 9 del decretolegge n. 7 del 2007, convertito, con modificazioni,
dalla legge n. 40 del 2007 (la cosiddetta «seconda
lenzuolata»).
Di conseguenza, l’imprenditore può ottenere tutte
le informazioni e le indicazioni anche via internet,
tramite un portale informativo nazionale dedicato, può avere assoluta certezza dei propri
adempimenti mediante la modulistica
elettronica predisposta e può gestire
in via telematica tutto l’iter, che si
svolge senza nessun tempo «morto» di attesa. Può, inoltre, avvalersi
dell’aiuto delle camere di commercio,
industria, artigianato e agricoltura e delle
associazioni imprenditoriali (che stipulano
apposite convenzioni con lo sportello unico),
per lo start-up d’impresa e anche per l’assistenza
gratuita all’impiego delle nuove tecnologie informatiche (articolo 8).
Al fine di consentire la piena operatività del nuovo procedimento, è altresì previsto il riordino dei
preesistenti adempimenti procedurali e dei requisiti tecnici, professionali ed economici oggetto di
autocertificazione, insieme alla riduzione (pari almeno al 50 per cento) degli oneri finanziari per gli
operatori economici, a valere sui risparmi di spesa consentiti dalla corrispondente semplificazione
amministrativa (articolo 9).
Le misure organizzative, finanziarie e attuative
sono governate da intese e da accordi tra Governo,
regioni ed enti locali secondo il principio di leale
collaborazione (articolo 10).
Spetta allo sportello unico comunale attivare di
volta in volta tutti gli uffici e le amministrazioni competenti, che possono e devono effettuare
i controlli successivi a tutela dei diritti della per-
3.
2
e
amministrazioni pubbliche, mentre chi vuole aprire
un ristorante deve sbrigare 71 pratiche burocratiche in 20 uffici.
Il Centre for European Reform (CER) posiziona l’Italia
al 21° posto tra i 27 Paesi dell’Unione europea per
quanto riguarda l’attuale grado di raggiungimento
degli obiettivi fissati dalla Strategia di Lisbona, che
fissa al 2010 il termine per fare dell’Unione europea
l’economia più dinamica e competitiva del mondo.
Ecco le ragioni della presente proposta di legge,
che è volta a superare tutto questo e che fa leva
sull’autocertificazione, e quindi sulla responsabilità, sia degli operatori economici privati (chiamati
a misurarsi con la libertà d’iniziativa e con la concorrenza) sia dell’amministrazione pubblica (chiamata a garantire i diritti di tutti e di ciascuno con
rinnovata efficienza), affinché entrambi, liberati da
vincoli e da pastoie burocratici, possano dare il meglio per il futuro del Paese.
La presente proposta di legge costituisce un’assoluta novità nel panorama normativo e amministrativo
italiano in quanto prevede la completa liberalizzazione, sia della realizzazione dei nuovi insediamenti
e impianti produttivi, sia dell’avvio di nuove attività economiche e imprenditoriali (articolo 1).
Infatti, secondo la riforma qui proposta, è sufficiente che l’imprenditore presenti presso il proprio
comune un’unica dichiarazione di inizio di attività e
alleghi la propria autocertificazione circa il rispetto
dei requisiti di legge, il progetto degli eventuali
nuovi impianti e la dichiarazione di conformità alle
prescrizioni di legge resa dal progettista (società
professionale o professionista muniti di idonea copertura assicurativa), per poter avviare immediatamente, il giorno stesso, la nuova attività economica o la realizzazione dell’impianto (articolo 2).
L’articolo 3 abbrevia i tempi per l’eventuale rilascio della variante urbanistica. Il collaudo, quando
necessario, può essere effettuato da un ulteriore
professionista privato prescelto dall’imprenditore,
consentendo l’immediata operatività del nuovo impianto (articolo 4).
Nei pochi e tassativi casi di speciale rilievo per la
salute e l’incolumità pubblica e per i beni ambientali, in cui sarà ancora necessaria un’autorizzazione limitatamente agli specifici profili indicati con
regolamento del Governo, è immediatamente convocata una conferenza di servizi telematica della
durata massima di trenta giorni (articolo 5) secondo le previsioni della legge 7 agosto 1990, n. 241,
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un costante punto di riferimento per le successive riforme amministrative, non solo italiane, se è
vero che questo è anche il modello adottato dalla
cosiddetta «direttiva-servizi» 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre
2006, che costituisce la più recente e impegnativa
norma-quadro adottata dall’Unione europea per garantire la libertà di stabilimento e di prestazione
dei servizi.
Ora, però, occorre superare i limiti applicativi dello strumento nazionale, emersi nel corso di questi
anni, e rispondere pienamente alle nuove esigenze,
di maggiore semplicità e rapidità, provenienti dal
mondo economico e dalla società civile. Allo stesso
tempo, è del tutto ragionevole estendere l’attuale
ambito di applicazione dello sportello unico comunale, così come completamente rinnovato dalla
presente proposta di legge, anche all’avvio delle
nuove attività economiche e professionali che prescindono dalla realizzazione di nuovi impianti produttivi, in conformità alla nuova disciplina prevista
dalla citata direttiva 2006/123/CE, e che dovranno
essere analiticamente individuate da un apposito
regolamento governativo.
Il nuovo strumento proposto, infatti, consente la
gestione interamente informatizzata delle procedure, mediante un unico punto telematico di contatto nazionale e un unico sportello amministrativo
di riferimento per ciascun intervento economico,
così come previsto dalla norma comunitaria. A tal
fine, la presente proposta di legge prevede che le
camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura assicurino, attraverso il sistema informatico della rete camerale, la connessione informatica
tra gli sportelli unici comunali e tra gli stessi e il
registro delle imprese, anche ai fini della «comunicazione unica» per la nascita di nuove imprese.
Il medesimo sistema informatico potrà attuare gli
adempimenti di cui alla direttiva 2006/123/CE,
rendendo disponibile la consultazione pubblica
degli sportelli unici per le attività produttive mediante il Portale delle imprese, dei consumatori e
dei prezzi.
La presente proposta di legge, quindi, è finalizzata
a promuovere lo sviluppo economico del Paese e
la competitività del sistema produttivo nazionale, mediante la totale eliminazione di molti degli
adempimenti amministrativi oggi a carico delle
imprese e delle attività economiche, mediante la
radicale semplificazione e accelerazione dei tempi
e
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sona e dell’interesse pubblico generale alla salute,
alla sicurezza e all’ambiente, secondo parametri,
di efficienza e responsabilità della pubblica amministrazione e di libertà e responsabilità dei cittadini, che devono guidare una moderna democrazia
europea. Sono inoltre previste nuove modalità per
lo svolgimento, coordinato tra i diversi uffici, dei
controlli sul territorio, più efficaci ma anche più
compatibili con lo svolgimento dell’attività produttiva (articolo 11).
Il collocamento dello sportello unico per le attività produttive presso ogni comune, singolo o associato con gli enti locali vicini (l’associazione sarà
obbligatoria al di sotto della soglia individuata da
ciascuna regione), quale ente che rappresenta la
comunità che vive nei luoghi interessati (secondo il
principio di sussidiarietà sancito dal novellato articolo 117 della Costituzione) è non solo l’unica scelta possibile secondo il nostro sistema democratico, ma anche la più opportuna, per valorizzare
lo sviluppo economico più appropriato ad
ogni territorio secondo le massime innovatività e dinamicità e per introdurre
una nuova tempestiva procedura
amministrativa, che consenta le
massime libertà e rapidità d’azione
dell’imprenditore nel rispetto dei diritti della persona e dell’interesse pubblico
generale.
Da questo punto di vista, le innovazioni della presente proposta di legge trovano la propria
base storica nell’innovazione normativa che, con
il primo Governo Prodi, portò nel 1998 all’introduzione dello sportello unico comunale per le attività
produttive (articoli 23 e 24 del decreto legislativo
31 marzo 1998, n. 112). In particolare, si devono
valorizzare i tratti fortemente innovativi e positivi di quell’esperienza, e cioè l’individuazione di
una struttura amministrativa unica e la riunione
in un unico procedimento amministrativo di tutti i
numerosi e frammentati procedimenti autorizzatori, con l’integrazione dei diversi momenti, spesso
considerati antitetici, che interessano la realizzazione dei nuovi impianti produttivi (marketing
territoriale, informazione e assistenza allo start-up
d’impresa, tutela sanitaria, ambientale e paesistico-territoriale).
Lo sportello unico per le attività produttive, fin
dalla sua introduzione da parte del primo Governo
Prodi nel 1998, come già ricordato, ha costituito
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l’originario testo proposto alla Camera dei deputati
(atto Camera n. 2272 - XV legislatura) poi stralciato
per favorire l’iter parlamentare, e confluito nel corpo del disegno di legge atto Senato 1532 della XV
legislatura (anch’esso approvato, a larga maggioranza, dal primo ramo del Parlamento).
Infine, occorre evidenziare che le disposizioni in
esame attengono ai livelli essenziali delle prestazioni e alla tutela della concorrenza di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m) e lettera
e), della Costituzione e danno attuazione nazionale, nel nostro ordinamento, alle norme del diritto comunitario introdotte dalla «direttiva servizi»
2006/123/CE. Le stesse disposizioni si applicano,
quindi, a tutte le amministrazioni pubbliche italiane, nazionali, regionali e locali, sia come norme
dirette in materie di competenza statale, sia come
norme di principio, cui le regioni devono conformarsi nell’esercizio delle proprie competenze. Per
la parte in cui le disposizioni della presente
proposta di legge danno pratica attuazione a norme del diritto comunitario già
in vigore, sufficientemente definite e
prive di margini di discrezionalità
per gli Stati membri, viene inoltre
in rilievo la necessità che ogni giudice nazionale e ogni pubblico ufficio
disapplichi direttamente le disposizioni
nazionali eventualmente difformi, siano esse
statali, regionali ovvero locali, al fine di evitare
che l’Italia possa incappare in pesanti condanne,
anche pecuniarie, della Corte di giustizia delle Comunità europee, con tutte le conseguenti responsabilità.
Tuttavia, l’ampiezza e la rilevanza strategica della
nuova disciplina qui proposta rendono assolutamente indispensabile attingere al principio di leale
collaborazione tra Stato, regioni e autonomie locali, che secondo la Corte costituzionale deve guidare
ogni intervento pubblico concernente i tre diversi livelli di competenza, e che a maggior ragione
deve caratterizzare il rapido ed equilibrato sviluppo
economico delle diverse realtà territoriali italiane,
rifuggendo da ogni tentazione d’intervento statalista e autoritario, che mortifichi la ricchezza delle
potenzialità espresse dal mondo delle autonomie
regionali e locali. Pertanto, si rinvia ad accordi e
intese in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome
di Trento e di Bolzano e di Conferenza unificata
3.
2
e
per i procedimenti amministrativi ancora necessari
e mediante la drastica riduzione dei conseguenti
oneri finanziari imposti ai privati, secondo un’idea
di democrazia efficiente, che colleghi la trasparenza e la partecipazione dei cittadini alla rapidità e
alla certezza delle decisioni, abbandonando la logica statalistica e burocratica dell’imposizione di
vincoli astratti e di filtri preventivi, in favore di una
logica (e ancora più, di un’etica) della responsabilità, che deve riguardare sia i pubblici poteri, sia gli
operatori economici, ai quali deve essere finalmente consentito di giocare liberamente le carte del
successo, proprio e del proprio Paese.
Le misure di semplificazione in esame costituiscono anche il necessario presupposto per l’apertura
del mercato alla concorrenza e per un’efficace tutela dei consumatori. Servono, cioè, sia per arricchire
l’economia italiana di nuovi operatori, accelerare la
nascita e lo svolgimento di nuove attività e favorire
la realizzazione di nuovi insediamenti produttivi,
che concretino nuove occasioni di lavoro nel rispetto dell’ambiente, della salute e della sicurezza; sia
per combattere pratiche anticoncorrenziali presenti
nell’economia e nella società italiane, che sono determinate dalla difesa di interessi particolaristici,
corporativi e localistici rispetto alla paura del nuovo, e che spesso si nascondono dietro ad oneri amministrativi non giustificati dalla tutela di nessun
interesse pubblico primario.
Appare dunque evidente la duplice connessione con
le iniziative legislative del precedente Governo Prodi di liberalizzazione e di tutela dei consumatori e,
in particolare, con la cosiddetta «terza lenzuolata»
proposta dall’allora Ministro dello sviluppo economico, approvata dalla Camera dei deputati ma poi
bloccata al Senato della Repubblica dall’interruzione anticipata della legislatura (atto Senato n. 1644
- XV legislatura). Quel provvedimento, infatti, oltre
alla previsione di una legge annuale di liberalizzazione e di ampie deleghe al Governo per il riordino
normativo, conteneva numerosissime disposizioni
di apertura del mercato alla concorrenza (ad esempio per i distributori di carburante), di tutela dei
consumatori, in particolare se posti in condizione
asimmetrica di fronte a poteri economici «forti»
(come nel caso della clausola bancaria di «massimo
scoperto»), e di radicale semplificazione della vita
amministrativa dell’impresa. In particolare, la riforma della vigente disciplina dello sportello unico per
le attività produttive era prevista dal titolo II del-
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l’adozione di misure idonee a garantire la piena
operatività del nuovo regime.
La novità e il carattere integrato delle soluzioni
proposte impongono altresì di prevedere un ragionevole periodo transitorio, necessario per l’adeguamento non solo delle disposizioni, bensì anche
delle procedure, delle prassi e degli stessi modelli organizzativi che fanno capo ad ogni soggetto
pubblico coinvolto. La proposta di legge in esame
prevede, pertanto, un congruo termine di sei mesi
e un’articolata disciplina provvisoria per l’entrata a
regime delle nuove norme (articolo 12).
La proposta di legge in esame, infine, non comporta nuovi o maggiori oneri né minori entrate per lo
Stato, in quanto potrà essere attuata, previ accordi
e intese (anche a fini compensativi tra le diverse
amministrazioni e i diversi uffici) adottati in sede
di Conferenza unificata, con le ordinarie risorse
umane, organizzative e finanziarie dei diversi soggetti coinvolti, a valere sugli ingenti risparmi
consentiti dall’eliminazione della maggior
parte delle procedure autorizzatorie, dal
riordino delle diverse competenze e
dalla prevista semplificazione amministrativa.
In sintesi, si illustra di seguito quale beneficio comporterebbe l’introduzione delle misure recate dalla presente
proposta di legge, ponendo a confronto la
situazione attuale e quella che seguirebbe all’approvazione del provvedimento.
3) utilizzo dell’informatica, controlli e assistenza
alle imprese:
a) oggi: scarsa e inefficace informatizzazione delle amministrazioni e delle procedure (ad esempio
il «portale delle imprese» ha in realtà gestito fino
alla sua recente riforma di fine 2007, nonostante
l’elevato dispendio di risorse pubbliche, circa 300
pratiche all’anno contro le circa 300.000 della
preesistente ma ancora efficiente rete informatica
delle camere di commercio, industria, artigianato
e agricoltura); assistenza tecnica e amministrativa alle imprese solo episodica, spesso svolta senza
garanzie da soggetti, pubblici e privati, in conflitto
d’interesse in quanto affidatari anche di compiti
di controllo; ritardo dei collaudi, carenza e scarso
coordinamento dei controlli, spesso reiterati da uffici diversi con grave intralcio all’attività economica, oppure loro affidamento a operatori privati, con
tutti i connessi problemi di trasparenza, imparzialità ed efficace tutela dell’interesse pubblico;
b) domani: informatizzazione integrale della procedura di sportello unico comunale, e collegamento in rete tra tutti gli sportelli unici comunali e tra
essi e il registro delle imprese e le altre amministrazioni interessate, mediante la rete informatica
delle camere di commercio, industria, artigianato
e agricoltura; conseguente possibilità dell’imprenditore (o del suo rappresentante), di ottenere tutte le informazioni necessarie tramite il sito
internet nazionale e di gestire completamente il
procedimento davanti allo sportello unico comunale secondo modalità telematiche; convenzioni tra
sportello unico comunale, camere di commercio,
e
1) Competenze e procedure:
a) oggi: competenze e procedure eterogenee, in
base a molte variabili, con una media di 68 procedure autorizzatorie presso 19 uffici pubblici diversi
(non sempre coordinati dallo sportello unico per le
attività produttive, anche nei comuni dove è operativo);
b) domani: presentazione di un’unica dichiarazione,
sia per l’inizio di attività (con autocertificazione)
sia per la realizzazione di impianti (con autocertificazione e progetto asseverato da un professionista), sempre presso lo sportello unico comunale,
che ne informa tutti i soggetti preposti ai controlli;
in casi tassativi, presentazione anche di una domanda unica al medesimo sportello unico comunale, che convoca automaticamente una conferenza
di servizi telematica con tutte le amministrazioni
competenti;
2) tempi:
a) oggi: tempi variabili e in larga parte imprevedibili, con una media pari ad alcuni mesi (in caso di
pluralità di procedure, detta il tempo la procedura
più lenta);
b) domani: di regola, avvio immediato dell’attività
economica o della realizzazione dell’impianto; avvio decorsi trenta giorni, qualora vi siano interventi
edilizi; nei casi tassativi in cui occorrono una o più
autorizzazioni, convocazione automatica entro tre
giorni della conferenza di servizi telematica, che si
riunisce entro sette giorni (prorogabili a quattordici) e conclude i propri lavori entro trenta giorni; in
tali casi, l’attività o la realizzazione dell’impianto
può comunque essere avviata provvisoriamente decorsi inutilmente trenta giorni;
198
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2. In caso di realizzazione o di modifica di un
impianto produttivo, sono allegati alla dichiarazione di cui al comma 1 gli elaborati progettuali
e la dichiarazione di conformità del progetto alla
normativa vigente applicabile, resa sotto la propria
responsabilità dalla società professionale o dal professionista autori del progetto, purché muniti di
idonea assicurazione per la responsabilità professionale, pari almeno al valore economico dell’opera.
e
industria, artigianato e agricoltura e associazioni
imprenditoriali per fornire, a richiesta dell’imprenditore, assistenza tecnica allo start-up d’impresa
e alla gestione della procedura di sportello unico
comunale, nonché (a titolo gratuito) all’impiego
dei nuovi strumenti telematici; coordinamento e
riordino di tutti i controlli sul territorio, finora
svolti da una pluralità di soggetti isolati, in modo
da ottenere le massime efficacia e trasparenza e
il minor aggravio per lo svolgimento dell’attività
imprenditoriale.
MISURE PER L’IMMEDIATO AVVIO DELLE ATTIVITÀ
ECONOMICHE E PER L’IMMEDIATA REALIZZAZIONE
DEGLI INSEDIAMENTI PRODUTTIVI
4. Il comune trasmette immediatamente la dichiarazione e la relativa documentazione agli uffici e
alle amministrazioni competenti ad effettuare le
verifiche e i controlli successivi.
1. Le disposizioni della presente legge sono finalizzate a semplificare gli adempimenti, gli oneri e i
tempi amministrativi, qualora siano necessarie una
o più autorizzazioni, comunque denominate:
a) per l’avvio delle attività economiche di prestazione di servizi dietro retribuzione di cui all’articolo
2 della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006;
b) per la realizzazione degli insediamenti produttivi
relativi a tutte le attività di produzione di beni e di
servizi, ivi inclusi le attività agricole, commerciali
e artigianali, le attività turistiche e alberghiere, i
servizi resi dalle banche e dagli intermediari finanziari e i servizi di telecomunicazioni.
5. In caso di interventi edilizi che alla
data di entrata in vigore della presente legge necessitano di denuncia di
inizio di attività o di permesso di
costruire, la loro realizzazione può
essere avviata decorsi trenta giorni
dalla presentazione della dichiarazione ai
sensi del presente articolo.
3.
ART. 1.
(Finalità e ambito di applicazione).
2
CAPO I
3. Il comune che riceve la dichiarazione e la relativa documentazione, rilascia contestualmente la ricevuta, che costituisce titolo per l’avvio immediato
dell’attività o dell’intervento dichiarato.
6. Possono in ogni caso essere immediatamente
attivati gli interventi e le attività concernenti l’utilizzo dei servizi presenti nelle aree ecologicamente
attrezzate istituite dalle regioni, con il concorso
degli enti locali interessati, utilizzando prioritariamente le aree o le zone con nuclei industriali
già esistenti, anche se parzialmente o totalmente
dismessi.
ART. 2.
(Avvio immediato dell’attività o dell’intervento mediante autocertificazione dell’imprenditore e del progettista dell’impianto).
ART. 3.
(Misure per accelerare l’avvio di attività e la realizzazione di insediamenti produttivi previa variante
urbanistica).
1. In caso di nuova attività, l’imprenditore presenta
al comune competente per territorio la dichiarazione di inizio di attività, attestante la sussistenza
dei requisiti previsti dalla normativa vigente, utilizzando la modulistica messa a disposizione in via
telematica ai sensi della presente legge.
1. Qualora l’avvio dell’attività o la realizzazione
dell’impianto siano in contrasto con lo strumento
urbanistico, l’interessato può chiedere la convocazione di una conferenza di servizi, motivando che
lo stesso strumento non individua aree idonee all’insediamento di impianti produttivi o individua
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aree insufficienti o non utilizzabili in relazione al
progetto presentato, e che il medesimo progetto è
conforme alle disposizioni ad esso applicabili per i
rimanenti profili.
2. Il comune convoca immediatamente la conferenza di servizi di cui al comma 1 in seduta pubblica, previa idonea pubblicità, e in tale sede accerta
la sussistenza dei presupposti di cui al medesimo
comma 1 e acquisisce e valuta le osservazioni di
tutti i soggetti interessati, anche portatori di interessi diffusi o collettivi. Il verbale è trasmesso al
consiglio comunale, che delibera nella prima seduta
utile sulla variante urbanistica.
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3. L’attività o la realizzazione dell’intervento di cui
al comma 1 sono avviate dal richiedente entro un
anno dall’approvazione della variante urbanistica,
che altrimenti decade, e le aree e gli impianti di
cui al medesimo comma 1 non possono essere
alienati prima di due anni dalla data della
variante, pena la nullità dell’atto di compravendita.
ART. 4.
(Attivazione immediata dei nuovi
impianti produttivi).
1. In caso di realizzazione di nuovi impianti produttivi, l’interessato comunica al comune
l’ultimazione dei lavori, con apposita dichiarazione
corredata da un certificato del direttore dei lavori,
con il quale si attestano la conformità dell’opera al
progetto presentato e la sua agibilità.
2. Quando le norme vigenti subordinano la messa in
opera dell’impianto a collaudo, lo stesso è effettuato da una società professionale o da un professionista indipendenti dall’imprenditore, dal progettista
e dai realizzatori dell’opera, munito di idonea assicurazione per la responsabilità professionale, pari
almeno al valore economico dell’opera.
2. Nei casi di cui al comma 1 il comune, nel trasmettere la documentazione ivi prevista agli uffici e
alle amministrazioni competenti per l’effettuazione
delle verifiche e dei controlli successivi, convoca
immediatamente una conferenza di servizi, che
si svolge in via telematica entro sette giorni dalla presentazione della domanda di cui al comma 1
del presente articolo, e che conclude i propri lavori
entro i successivi trenta giorni ai sensi delle disposizioni della legge 7 agosto 1990, n. 241, come
da ultimo modificata dall’articolo 6 della presente
legge.
3. Decorso il termine di trenta giorni dalla presentazione della domanda di cui al comma 1 senza che
siano intervenuti atti interdettivi o cautelari, le
attività o le opere possono comunque essere avviate, fatti salvi gli ulteriori atti dell’amministrazione
competente.
ART. 6.
(Misure per rendere più rapido lo svolgimento della
conferenza di servizi).
1. All’articolo 14-ter della legge 7 agosto 1990, n.
241, e successive modificazioni, sono apportate le
seguenti modificazioni:
a) il comma 01 è sostituito dal seguente:
«01. La prima riunione della conferenza di servizi
si svolge entro sette giorni ovvero, in caso di particolare e motivata complessità dell’istruttoria, entro
quindici giorni dalla data di indizione. La conferenza di servizi si svolge per via telematica»;
b) dopo il comma 2 sono inseriti i seguenti:
«2-bis. La convocazione della conferenza di servizi
è pubblica e ad essa possono partecipare, senza
diritto di voto, i soggetti portatori di interessi pubblici o privati, individuali o collettivi, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni
e
3. La comunicazione di cui al comma 1 o il certificato di collaudo positivo di cui al comma 2 consentono l’immediata messa in funzione degli impianti.
4. Il comune trasmette immediatamente la documentazione agli uffici e alle amministrazioni competenti per l’effettuazione delle verifiche e dei controlli successivi.
ART. 5.
(Procedura rafforzata per casi particolari).
1. Nei casi particolari di speciale rilievo per la salute e l’incolumità pubblica e per i beni ambientali,
alla dichiarazione di inizio di attività è altresì allegata una domanda di autorizzazione relativa ai
profili tassativamente indicati con il regolamento
di cui all’articolo 9, comma 3.
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o in comitati che vi abbiano interesse. Gli stessi
soggetti possono proporre osservazioni. Si applica
l’articolo 10, comma 1, lettera b).
2-ter. Alla conferenza di servizi partecipano anche,
senza diritto di voto, i concessionari, i gestori o
gli incaricati di pubblici servizi chiamati ad adempimenti nella realizzazione di opere, che sono vincolati alle determinazioni assunte nella conferenza. Alla stessa possono partecipare inoltre, senza
diritto di voto, le amministrazioni preposte alla
gestione delle eventuali misure pubbliche di agevolazione»;
CAPO II
c) ai commi 3 e 4, le parole: «novanta giorni» sono
sostituite dalle seguenti: «trenta giorni»;
2. Ciascuno sportello unico comunale per le attività produttive, di cui all’articolo 8, assicura la tempestiva pubblicità, anche mediante il proprio sito
internet e il Portale delle imprese, dei consumatori
e dei prezzi, di cui all’articolo 2, comma 199, della
legge 24 dicembre 2007, n. 244, delle seguenti
informazioni, che sono escluse dal diritto alla
riservatezza concernendo l’uso del territorio, fatta salva la tutela degli eventuali
profili di privativa industriale:
a) adempimenti e opportunità relativi all’avvio di nuove attività
economiche e alla realizzazione di
impianti produttivi;
b) domande e dichiarazioni nonché convocazione di conferenze di servizi ai sensi
della presente legge e definizione della relativa
procedura;
c) atti adottati in sede di controllo, anche successivo.
PRINCÌPI GENERALI DEL PROCEDIMENTO MEDIANTE AUTOCERTIFICAZIONE
e
ART. 7.
(Misure per favorire l’uso della telematica, la trasparenza e la partecipazione amministrativa).
2. All’articolo 14-quater della legge 7 agosto 1990,
n. 241, e successive modificazioni, sono apportate
le seguenti modificazioni:
a) il comma 3 è sostituito dal seguente:
«3. Se il motivato dissenso è espresso da un’amministrazione preposta alla tutela ambientale,
paesaggistico-territoriale, del patrimonio storicoartistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità, la decisione è rimessa al Consiglio
dei ministri ove l’amministrazione dissenziente o
quella procedente sia un’amministrazione statale,
ovvero ai competenti organi collegiali esecutivi degli enti territoriali nelle altre ipotesi. Il Consiglio
dei ministri o gli organi collegiali esecutivi degli
enti territoriali deliberano entro trenta giorni, salvo che il Presidente del Consiglio dei ministri ovvero il presidente della giunta regionale ovvero il
presidente della provincia o il sindaco, valutata la
complessità dell’istruttoria, decidano di prorogare
tale termine per un ulteriore periodo non superiore
a trenta giorni»;
b) i commi 3-bis e 3-ter sono abrogati;
c) al comma 3-quater, le parole: «i commi 3 e 3-bis
non si applicano» sono sostituite dalle seguenti:
«il comma 3 non si applica».
2
3.
d) al comma 9, le parole: «Il provvedimento finale conforme alla determinazione conclusiva di cui
al comma 6-bis sostituisce» sono sostituite dalle
seguenti: «Il verbale, anche in formato telematico, recante la determinazione conclusiva di cui al
comma 6-bis, nonché le indicazioni delle dichiarazioni, degli assensi, dei dinieghi e delle eventuali
prescrizioni integrative, sostituiscono».
1. Le dichiarazioni, gli atti dell’amministrazione e
del privato e i relativi allegati sono predisposti in
formato elettronico e trasmessi per via telematica.
3. La conferenza di servizi è convocata dal comune, nei casi di cui all’articolo 2, su motivata istanza dei soggetti, anche costituiti in associazioni
o comitati, che ritengono lesi i propri interessi,
ovvero su motivata istanza dell’imprenditore che
vuole verificare l’esattezza di quanto dichiarato o che a seguito della dichiarazione ha subìto
un provvedimento interdittivo o conformatvo. La
convocazione della conferenza, a spese del richiedente risultato soccombente, sospende l’efficacia
e i termini d’impugnazione dei provvedimenti interdittivi o conformativi esaminati e non sospende
le attività già avviate dai privati, fatte salve le
eventuali misure cautelari adottate dall’amministrazione competente.
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ART. 8.
(Sportello unico comunale per le attività produttive,
rete telematica delle camere di commercio, industria,
artigianato e agricoltura e convenzioni con le associazioni imprenditoriali).
1. La legge regionale individua gli ambiti minimi al
di sotto dei quali è obbligatoria la gestione associata da parte dei comuni interessati degli sportelli
unici per le attività produttive, ai sensi degli articoli 23 e 24 del decreto legislativo 31 marzo 1998,
n. 112, e successive modificazioni.
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2. Le camere di commercio, industria, artigianato e
agricoltura assicurano, attraverso il sistema informatico della rete camerale, la connessione informatica tra gli sportelli unici per le attività produttive
e il registro delle imprese, anche ai fini della comunicazione unica per la nascita di nuove imprese
e dell’attuazione degli adempimenti di cui alla
citata direttiva 2006/123/CE, rendendo disponibile la consultazione pubblica degli
sportelli unici per le attività produttive mediante il Portale delle imprese, dei consumatori e dei prezzi di
cui all’articolo 2, comma 199, della
legge 24 dicembre 2007, n. 244.
3. I comuni, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e le associazioni
imprenditoriali stipulano convenzioni concernenti le
forme di assistenza delle quali gli utenti degli sportelli unici per le attività produttive possono avvalersi
e le forme di assistenza gratuita all’utilizzo delle procedure telematiche previste ai sensi del comma 2.
CAPO III
RIORDINO NORMATIVO E DEI CONTROLLI E ALTRE
DISPOSIZIONI DI ATTUAZIONE DEL PROCEDIMENTO MEDIANTE AUTOCERTIFICAZIONE
2. I decreti legislativi di cui al comma 1 del presente articolo sono adottati previa intesa in sede
di Conferenza unificata, ai sensi dell’articolo 8,
comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, e
previo parere, da rendere entro sessanta giorni, del
Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato e
delle competenti Commissioni parlamentari.
3. Le attività economiche di cui all’articolo 1 e i casi
particolari di cui all’articolo 5 della presente legge
sono individuati con regolamento emanato, entro
quattro mesi dalla data di entrata in vigore della
presente legge, ai sensi dell’articolo 17, comma 1,
della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive
modificazioni, sentiti l’Agenzia nazionale per l’ambiente e l’Istituto superiore di sanità, previa intesa
in sede di Conferenza unificata ai sensi dell’articolo
8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, e
previo parere, da rendere entro sessanta giorni, dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato
e delle competenti Commissioni parlamentari. La
valutazione di impatto ambientale deve essere resa
nell’ambito della conferenza di servizi, convocata
ai sensi del citato articolo 5 comma 2.
e
ART. 9.
(Misure di riordino normativo volte a favorire il procedimento mediante autocertificazione).
legge, uno o più decreti legislativi per il riordino
della normativa, degli adempimenti procedurali e
degli oneri finanziari di competenza dello Stato
applicabili agli operatori economici e alle imprese,
con le modalità e secondo i princìpi e criteri direttivi di cui all’articolo 20 della legge 15 marzo 1997,
n. 59, e successive modificazioni, nonché secondo i
seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) coordinamento con le disposizioni di cui alla
presente legge delle disposizioni legislative e regolamentari dello Stato concernenti gli adempimenti
procedurali per la realizzazione di impianti produttivi e per lo svolgimento di attività economiche;
b) riordino e coordinamento, in uno o più testi unici, di tutte le disposizioni legislative e regolamentari dello Stato che disciplinano i requisiti tecnici,
professionali o economici oggetto di autocertificazione ai sensi della presente legge;
c) riduzione di almeno il 50 per cento degli oneri
finanziari gravanti sulle imprese e sugli altri operatori economici e professionali per le procedure
di inizio di attività o di realizzazione di impianti
produttivi a valere ed entro i limiti dei risparmi di
spesa stabiliti dalla presente legge.
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro quattro
mesi dalla data di entrata in vigore della presente
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ART. 10.
(Leale collaborazione tra Stato, regioni e autonomie
locali nell’attuazione del procedimento mediante autocertificazione).
2. Le intese di cui al comma 1, in particolare,
garantiscono che i controlli si svolgano in modo
coordinato e con modalità e tempi compatibili con
lo svolgimento dell’attività produttiva, anche assicurando la contestualità dei controlli svolti da più
uffici ed evitando ogni duplicazione.
e
1. Il Governo e le regioni, in attuazione del principio di leale collaborazione, promuovono intese o
concludono accordi, ai sensi dell’articolo 8, comma
6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, e dell’articolo 4, comma 1, del decreto legislativo 28 agosto
1997, n. 281, in sede di Conferenza permanente
per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome di Trento e di Bolzano e di Conferenza
unificata di cui all’articolo 8 del medesimo decreto
legislativo n. 281 del 1997, e successive modificazioni, al fine di:
a) disciplinare l’attività degli sportelli unici per le
attività produttive e l’esercizio dei poteri di controllo sostitutivo regionale e statale, al fine di garantire la piena attuazione della presente legge;
b) individuare le regole tecniche e le modalità operative standardizzate relative all’applicazione degli
strumenti procedurali, informatici e telematici previsti dalla presente legge, ai fini dell’adozione delle
conseguenti misure organizzative anche in deroga
ad ogni altra disposizione, anche normativa, nazionale, regionale o locale, fatte salve le disposizioni
generali sul pubblico impiego;
c) prevedere le compensazioni economiche tra le
diverse amministrazioni ed i diversi uffici, ad invarianza finanziaria, conseguenti alla generale semplificazione delle procedure autorizzatorie e al trasferimento di competenze dallo Stato alle regioni
ed alle autonomie locali;
d) coordinare la disapplicazione delle disposizioni
nazionali, regionali e locali contrastanti con le norme europee attuate dalla presente legge.
dei controlli sulle attività economiche e sugli impianti produttivi.
ART. 11.
(Misure per lo svolgimento più efficace e meno invasivo dei controlli sulle attività economiche).
1. Al fine di favorire l’efficacia e la trasparenza
dell’attività di controllo sul territorio, i presidenti
delle giunte regionali, i capi delle prefetture-uffici
territoriali del Governo e degli uffici finanziari dello
Stato competenti per territorio e i sindaci promuovono la stipulazione di intese tra tutte le amministrazioni competenti, per definire e per coordinare
le modalità e i criteri per la più efficace esecuzione
3.
2
3. I controlli possono svolgersi a seguito dell’esame
delle dichiarazioni di cui alla presente legge o dei
risultati di controlli precedenti, a campione, oppure
su segnalazione di cittadini e di associazioni e, se
effettuati senza preavviso, devono essere ripetuti
in contraddittorio, su motivata istanza dell’interessato volta a contestarne le risultanze, e sono immediatamente comunicati, con i relativi esiti, allo
sportello unico per le attività produttive competente per territorio, il quale rende accessibili a
tutti, anche per via telematica, le informazioni circa gli uffici competenti, le intese
intercorse ai sensi del comma 1, i criteri adottati per la loro esecuzione,
i controlli svolti e i relativi esiti.
4. Il Governo, le regioni e gli enti locali concordano in sede di Conferenza unificata, ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della
legge 5 giugno 2003, n. 131, e degli articoli 4,
comma 1, e 8 del decreto legislativo 28 agosto
1997, n. 281, e successive modificazioni, le modalità ritenute essenziali ai fini dell’esecuzione dei
controlli con il minore aggravio per lo svolgimento
dell’attività produttiva, la cui violazione determina
il diritto dell’imprenditore interessato a un indennizzo forfetario a carico dell’amministrazione competente, indipendentemente dall’esito del controllo
stesso, a valere sui risparmi di spesa consentiti dal
coordinamento delle attività di controllo.
ART. 12.
(Entrata in vigore, disposizioni di attuazione e norme
finali).
1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
2. Le disposizioni della presente legge si applicano
ai procedimenti avviati decorsi sei mesi dalla data
203
Quaderni PD.indb 203
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della sua entrata in vigore. A decorrere dallo stesso
termine è abrogato il regolamento di cui al decreto
del Presidente della Repubblica 20 ottobre 1998, n.
447, e successive modificazioni.
3. Le disposizioni della presente legge costituiscono livelli essenziali delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali che devono essere garantiti su
tutto il territorio nazionale, nonché attuazione della citata direttiva 2006/123/CE e dei princìpi comunitari di concorrenza e di libertà di stabilimento
e di prestazione dei servizi.
5. Dall’attuazione della presente legge non devono
derivare nuovi o maggiori oneri o minori entrate
per il bilancio dello Stato.
e
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4. Le regioni e gli enti locali si adeguano ai princìpi contenuti nelle disposizioni della presente
legge, quanto ai profili di propria competenza,
entro il termine di quattro mesi dalla data della
sua entrata in vigore e applicano le disposizioni
di cui alla medesima legge ai procedimenti avviati decorsi sei mesi dalla data della sua entrata in
vigore. Le regioni a statuto speciale e le province
autonome di Trento e di Bolzano si adeguano, entro il medesimo termine, secondo i propri statuti e
le relative norme di attuazione, anche con riferimento all’articolo 10 della legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3.
204
Quaderni PD.indb 204
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e
POLITICHE DELLE INFRASTRUTTURE
E DEL TRASPORTO
La Finanziaria 2009.
Il settore delle costruzioni
e delle infrastrutture
3.
3
Roma, 6 ottobre 2008
Si è chiusa la discussione, in sede Commissione Ambiente e Lavori pubblici,
sulla finanziaria per il 2009 senza che vi sia stato un solo cenno da parte del
Governo e della maggioranza di autocritica sulle scarse risorse destinate alle infrastrutture, alla casa al sistema di mobilità e all’ambiente.
La legge finanziaria così come congeniata riduce infatti nettamente la possibilità di interventi da parte del Parlamento e mette in luce una contraddizione molto evidente tra la
politica degli annunci del Governo e quella delle cifre.
Il ministro dei Lavori Pubblici Matteoli alcuni mesi fa in occasione della presentazione del
suo programma di mandato e, successivamente, con il Documento di Programmazione Economica e Finanziaria relativo al comparto delle Opere pubbliche, annunciò con enfasi che il
sistema della mobilità e più in generale quello delle opere pubbliche del nostro Paese avrebbero ricevuto un impulso decisivo dall’azione del Governo e dalla partecipazione finanziaria
di soggetti privati. «Il Paese è in ritardo ma abbiamo iniziato a correre» scriveva Matteoli.
Nel tracciare “itinerari innovativi” il ministro stimava in 124 miliardi di euro l’esigenza nei
prossimi cinque anni per completare il piano delle opere programmate.
Quantificava inoltre in 20.252,86 milioni di euro il fabbisogno da reperire per finanziare
un elenco di 48 opere da avviare entro il 2013 . Tutto questo dimenticandosi di indicare le
quote annuali di fabbisogno di competenza e di cassa opera per opera, rinviando ad altri
205
Quaderni PD.indb 205
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provvedimenti l’entità del rifinanziamento della legge obiettivo, confidando in maniera eccessivamente ottimistica sull’apporto di ingenti risorse private.
La realtà mostra un provvedimento tanto atteso vuoto di contenuti, incapace di rispondere
alla preoccupante situazione in cui versa il settore delle costruzioni, privo delle risorse necessarie per portare a compimento le priorità definite d’intesa con le regioni.
I principale tagli
Una Finanziaria che prevede tagli consistenti (rispetto al dato assestato 2008) in tutti i
principali interventi
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1 Sistemi stradali , autostradali e intermodali (- 1.922,8 milioni)
2 Infrastrutture portuali e aeroportuali (- 31,4 milioni)
3 Sistemi ferroviari locali (-10 milioni)
4 Sistemi idrici (-5 milioni)
5 Edilizia statale (- 41 milioni)
6 Politiche abitative (- 62,1 milioni)
7 Politiche urbane e territoriali (-161 milioni)
Il Fondo nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione vede
una consistente riduzione pari a 43, 8 milioni rispetto all’anno precedente.
L’ANAS contava per il 2009, in base alla finanziaria scorsa, su 1.560 miliardi:
saranno 1.205.
Una riduzione è prevista anche nel capitolo relativo alle somme da erogare all’Anas a
titolo di corrispettivi dovuti per le attività ed i servizi resi 269,8 milioni di euro (-126,7
milioni di euro rispetto al dato 2008)
Per RFI erano previsti 3.500 milioni, saranno invece 2.362.
Le riduzioni previste sul finanziamento al trasporto pubblico locale mettono le regioni in
grave allarme; le regioni saranno chiamate a gestire le numerose deleghe senza le corrispondenti risorse.
Project financing a corto di fondi
e
Il programma della legge obiettivo prevedeva un ingente investimento di capitali privati
(33, 5 miliardi) Una previsione ottimistica. In questi mesi hanno giocato a sfavore le problematiche legate ai mercati finanziari, la redditività fortemente diluita nel tempo o molto
bassa soprattutto nelle aree carenti di domanda e meno sviluppate. Inoltre il sistema creditizio non è sembrato in questi anni propenso ad assumere il rischio di progetto. È di oggi la
notizia che le banche stanno rinegoziando le modalità e i tempi di finanziamento di alcune
opere . incremento dei tassi di interesse, riduzione della durata dei finanziamenti, maggiore
selettività nello scegliere le operazioni da parte delle banche che si concentrano maggior206
Quaderni PD.indb 206
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e
mente su quelle con flussi di ricavi interessanti e con alta profittabilità perché assicurano
alti margini di rientro.
Alleghiamo dal rapporto ANCE 2008 alcune considerazioni circa gli ipotizzati meccanismi di
finanziamento: “Per la prosecuzione degli interventi strategici sarebbero stati necessari 4
miliardi di euro nel 2009 e 5 miliardi per ciascuno degli anni 2010 e 2011, per un totale di
14 miliardi nel triennio 2009-2011”.
Non vi è, invece, nessun stanziamento aggiuntivo per il Fondo opere strategiche.
Con questa interruzione nei finanziamenti viene a mancare quella continuità di stanziamenti
necessaria per dare attuazione a molti grandi progetti, ormai maturi dal punto di vista progettuale e politico che richiedono un’adeguata provvista finanziaria.
Le risorse “aggiuntive“
3.
Il finanziamento della BEI annunciato nelle settimane scorse dal ministro Matteoli
è solo “potenziale”. Secondo il Governo l’accordo consentirebbe di finanziare il
programma per 15 miliardi di euro in cinque anni. In realtà non si tratta di
un accordo di finanziamento ma di un’intesa finalizzata a una più tempestiva
valutazione dei progetti con effettiva valenza europea .
3
I cantieri delle infrastrutture rischiano quindi di chiudere per mancanza di fondi. C’è un cantiere che funziona in queste settimane a pieno ritmo quello delle proposte per trovare canali
di finanziamento. Molteplici iniziative in corso di definizione e non del tutto chiare circa le
effettive capacità di costruire una pianificazione finanziaria attendibile.
È opportuno ricordare inoltre che l’eventuale quota di finanziamento BEI arriva al 50%
del costo complessivo del progetto. Per ricevere i 15 miliardi della BEI annunciati bisogna
trovare subito altri 15 miliardi di cofinanziamento e prevedere, in futuro, le risorse per il
rimborso dei prestiti. È, quindi, evidente che tale accordo non risolve il problema del finanziamento della Legge Obiettivo, sebbene rappresenti un’opportunità che il Governo potrà
cogliere se sarà in grado di reperire le risorse proprie necessarie a raddoppiare gli investimenti.
Nelle settimane scorse il Governo ha individuato nel Fondo rotativo per le infrastrutture strategiche (FRIS) istituito presso la Cassa Depositi e Prestiti, l’ennesimo strumento necessario
per reperire finanziamenti agevolati e prestiti da assegnare ai concessionari privati di opere
individuate nella legge obiettivo in sostituzione dei contributi pubblici statali.
Lo Stato non tirerà fuori risorse a fondo perduto ma solo presiti a lungo termine (cosa che
le banche difficilmente fanno) e a tasso quasi zero.
Altro capitolo da monitorare quello relativo ai fondi strutturali.
207
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Fondi FAS: Il Governo intende riprogrammare 15 miliardi. È in corso una ricognizione. Entro ottobre la delibera potrebbe approdare al CIPE. La norma approvata non dà indicazioni
sui contenuti della delibera e sui criteri di ripartizione. Non è chiaro chi si occuperà della
parte operativa. Altro aspetto da definire: i fondi FAS si aggiungeranno o sostituiranno alle
risorse della legge obiettivo? Le regioni del Mezzogiorno manifestano preoccupazione sulla
riprogrammazione avendo subìto i tagli più significativi in riferimento proprio alle opere del
loro territorio destinati alle aree sottoutilizzate.
Il Governo ha inoltre previsto la revoca dei finanziamenti 2000 / 2006. 700 milioni circa
da riprogrammare.
Infine dovrebbero essere riutilizzati fondi europei derivanti da progetti “sponda o volano”
circa 14 miliardi da riprogrammare con molti vincoli di destinazione.
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In una recente intervista il ministro Matteoli si è dimostrato meno ottimista e ha dichiarato
che “ il piatto piange, che le risorse disponibili sono poche ma lui farà il possibile”.
Avevamo chiesto un’operazione verità sui conti; quanto detto dal ministro basta e preoccupa.
Riteniamo essenziale pervenire a una attendibile definizione del fabbisogno. Da ciò
dipenderanno le reali possibilità realizzative del programma della legge obiettivo ma anche degli altri interventi nel settore delle costruzioni.
Le nostre proposte
Con le nostre proposte emendative avanzate presso la commissione ambiente abbiamo chiesto al Governo un impegno concreto nel comparto delle opere strategiche
attraverso l’individuazione di venti opere strategiche. A favore delle politiche per la casa
a partire dall’effettivo urgente bisogno delle famiglie in difficoltà. Abbiamo ritenuto opportuno avanzare proposte tese a potenziare il trasporto pubblico locale in particolare a quello
ferroviario cercando il concerto con le regioni. Abbiamo chiesto maggiori risorse per gli
interventi per la difesa del suolo e per tutte quelle aree colpite negli ultimi anni da eventi
calamitosi. Abbiamo chiesto infine il potenziamento delle agevolazioni per le ristrutturazioni
edilizie.
Presso la Commissione bilancio torneremo ad avanzare le nostre proposte condivise dagli
enti territoriali e dal sistema produttivo. Il settore delle costruzioni può e deve giocare un
ruolo decisivo in questa delicata fase economica.
e
Siamo pronti a fare la nostra parte senza demagogia con proposte concrete evitando i soliti
improponibili annunci.
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Le proposte del PD
per le infrastrutture
e
Intervento di Andrea Martella alla Conferenza economica
Così non va
3.
3
Roma, 6 ottobre 2008
Proprio non va nel settore delle infrastrutture e dei trasporti.
Con questa mia comunicazione, voglio fare luce, su quanto sta accadendo, denunciare le responsabilità del Governo, presentare le proposte del Partito Democratico.
Il nostro obiettivo, infatti, è rendere più concreto il profilo propositivo della nostra opposizione provando già da subito a modificare la politica del Governo sulle infrastrutture
attraverso il confronto e la proposta nel Parlamento e nel paese.
In queste settimane, si è discusso a lungo di Alitalia, oggi non è mio compito tornare su
questo tema, abbiamo detto la nostra e dato il nostro prezioso contributo affinché si potesse
trovare, nell’interesse del paese e dei lavoratori, una soluzione.
Ma adesso daremo battaglia perché il piano industriale non sia costruito solo sull’aumento
delle tariffe con ulteriori costi per i cittadini, e perché non ci sia, come purtroppo sembra
esserci, una penalizzazione del sistema aeroportuale nazionale. Da Malpensa a Linate, passando per Fiumicino, arrivando a Brindisi, Bari e Palermo.
Anzi, faremo fino in fondo la nostra parte perché questo tema venga assunto come una leva
decisiva per il rilancio di Alitalia e del nostro sistema paese.
L’Italia ha bisogno di infrastrutture e noi vogliamo che si realizzino.
È una delle sfide più importanti per stare al passo con l’Europa, moderne ed efficienti infrastrutture migliorano gli standard di vita, la sostenibilità ambientale, sostengono la compe-
209
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titività economica del paese. Intorno al tema delle grandi infrastrutture si concentrano da
anni le aspettative dei cittadini, delle istituzioni locali e delle imprese.
Per poterle realizzare è necessario, come detto, compiere un’operazione verità. Allora cominciamo con il dire che il Governo ha fatto lunghi elenchi di opere, ha promesso di tutto ma in
realtà ha ridotto gli investimenti.
Non va bene, non è serio. Non va bene, non è serio continuare a confondere maldestramente
il fabbisogno finanziario per la realizzazione delle opere con i finanziamenti effettivamente
stanziati.
Così come non è serio firmare accordi con le regioni nei quali si prevedono elenchi di opere
destinate a rimanere sulla carta per l’assenza delle risorse necessarie.
Stiamo ai fatti
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Voglio fornire alcuni dati, da questi dobbiamo partire.
Nel bilancio del 2008 erano state previste risorse finanziarie per interventi infrastrutturali
pari a 21 miliardi di euro, un incremento del 17% in termini reali rispetto al 2007. Un aumento significativo che seguiva quello disposto dalla manovra per il 2007 che aveva determinato un incremento del 22%, recuperando così livelli di stanziamento perduti nel corso
del triennio 2004/2006 (nel corso del precedente governo Berlusconi) nel quale le
risorse per nuovi investimenti infrastrutturali erano state addirittura dimezzate.
Era stata una scelta coerente per garantire i programmi di investimento approvati.
Il primo atto concreto del governo Berlusconi, nonostante i tanti annunci,
riguardo le infrastrutture è stato il dirottamento per la copertura del decreto
ICI di ingenti risorse destinate alla realizzazione di opere viarie e ferroviarie nel
Mezzogiorno, in modo particolare della Calabria e della Sicilia, di risorse destinate
al trasporto pubblico locale e alle autostrade del mare. L’allegato infrastrutture al DPEF
2009/2013, un altro lungo e confuso elenco di opere, ha stimato in 124 miliardi di euro
l’esigenza nei prossimi cinque anni per completare il piano delle opere programmate.
Il ministro Matteoli ha accompagnato l’approvazione del DPEF annunciando una dotazione
finanziaria di 14 miliardi in tre anni di cui 4,9 miliardi nel 2009.
La finanziaria licenziata dal Governo non contiene in realtà nessun rifinanziamento della
Legge Obiettivo, e i 4,9 miliardi non ci sono, sono spariti. Non vi è nessun stanziamento
aggiuntivo per il Fondo Opere strategiche.
e
Anzi c’è un taglio in termini reali rispetto al 2008 del 15,6%, né c’è alcuna previsione per i
2010 e il 2011.
Non solo, non è finita qui, la finanziaria taglia le risorse per gli investimenti stradali e ferroviari, l’ANAS contava per il 2009 di 1560 milioni saranno invece 1205 con una riduzione del
22,8 delle risorse utilizzabili nel corso dell’anno e anche in questo caso manca la previsione
per il 2010 e 2011 determinando uno scenario di assoluta incertezza in merito alla capacità
dell’Ente di dare attuazione al piano investimenti ANAS 2007/2011.
Per le Ferrovie dello Stato erano previsti 3500 milioni di euro, saranno invece 2363 con una
riduzione del 32,5% delle risorse utilizzabili, e anche in questo caso il taglio delle risorse
210
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crea preoccupazione per la capacità della società di dar corso al contratto di programma RFI
2007/2011. La stessa società ha espresso forti timori in merito a possibili problemi di cassa
nel 2009 che metterebbero in dubbio la capacità di far fronte agli impegni assunti con le
imprese. Questi sono i dati.
e
A dire il vero un’operazione negli scorsi mesi dal Governo è stata fatta. Il rinnovo delle concessioni autostradali a tutte le concessionarie attraverso un decreto fatto in fretta e furia,
senza prevedere il coinvolgimento degli organismi tecnici previsti dalla legge. Senza una verifica sulle manutenzioni, sulla sicurezza, sugli investimenti ma consentendo l’aumento delle
tariffe con l’immediata conseguenza di gravare sui cittadini. Lo abbiamo denunciato per primi
in Parlamento, è intervenuta l’Antitrust, fin da allora abbiamo detto che era evidente il legame
con l’operazione Alitalia. Insomma, un aumento delle tariffe autostradali concesso ad alcuni
privati in cambio della partecipazione alla cordata italiana per il salvataggio di Alitalia.
3.
Significa:
1. certezza sulle opere che verranno realizzate,certezza sui percorsi autorizzativi,
certezza sulle risorse disponibili e su quelle mancanti. Solo così è possibile fare
una vera programmazione.
3
La realtà è questa, il Governo farebbe bene a smettere di vendere fumo e per quanto ci riguarda fare un’operazione verità è condizione fondamentale per aprire un confronto.
2. È necessario separare con nettezza le opere già avviate con quelle ancora da
cantierare e concentrare le disponibilità finanziarie sugli interventi che risultano effettivamente prioritari, privilegiando le infrastrutture di interconnessione più rilevanti,
con particolare attenzione a quelle opere che favoriscono il trasferimento di merci e passeggeri dalla strada alla ferrovia e al mare, oltre che il potenziamento della mobilità urbana,
del trasporto locale e delle linee di connessione e valico.
3. È necessario ripristinare un’organica programmazione di intesa con la Conferenza StatoRegioni sulla base di un vero federalismo cooperativo.
4. Bisogna essere coerenti con le decisioni che l’Unione europea ha già preso o si sta accingendo a prendere. E l’Unione europea ci chiede di superare la barriera delle Alpi e costruire
la piattaforma logistica Italia collegando la rete ferroviaria europea con i maggiori porti ed
aeroporti italiani.
5. È fondamentale, semplificare le procedure e accelerare i tempi nella realizzazione delle
opere, non è più possibile dover sopportare tempi esageratamente lunghi, lentezze burocratiche, complicazioni inutili.
La sfida che lanciamo al Governo quindi è quella di modificare le previsioni della finanziaria,
mantenendo il trend di crescita in linea con quanto fatto da noi nel 2007 e nel 2008. Non è
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una proposta inverosimile, mantenere quel trend di crescita è il minimo che si dovrebbe fare,
per non perdere ulteriore tempo e per uscire dall’attuale situazione di stallo.
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In questo quadro siamo d’accordo sull’obiettivo di un maggiore utilizzo di risorse private nella realizzazione delle infrastrutture, ma le previsioni del Governo (circa 33 miliardi di capitali
privati) mi sembrano eccessivamente ottimistiche. La finanza di progetto va utilizzata, semplificata e sicuramente potenziata ma gli investimenti privati non possono far venir meno la
necessità di ingenti investimenti pubblici. Così come è tutto da verificare, inoltre, il fondo
rotativo per le infrastrutture strategiche istituto presso la Cassa Depositi e Prestiti di cui da
qualche settimana si parla. Un fondo di finanziamenti e prestiti ai concessionari privati di
opere della Legge Obiettivo in sostituzione dei contributi pubblici e statali.
Anche su questo va fatta chiarezza al più presto, il Governo deve dire una volta per tutte
quali sono realmente i canali di finanziamento senza fare, possibilmente, come avvenuto in
tante occasioni il gioco delle tre carte.
Anche per quanto riguarda la riprogrammazione delle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate e per i fondi strutturali vorremmo che fosse offerto un quadro chiaro, che a oggi
ancora non c’è della destinazione alle infrastrutture di tale manovra.
Proprio il Sud, già oggi più penalizzato per l’arretratezza infrastrutturale a rischiare
di pagare il prezzo più pesante delle scelte del Governo.
Naturalmente le politiche per le infrastrutture vanno integrate con una più
complessiva politica dei trasporti per rendere il sistema più efficiente, moderno e
ambientalmente sostenibile. Procedere senza una vera programmazione, della politica dei trasporti, sarebbe un errore gravissimo.
Il nostro, infatti, è un sistema squilibrato, la priorità anche per l’Italia come hanno già fatto altri paesi europei è il riequilibrio modale a favore del cabotaggio marittimo, del trasporto
su ferro, prevedendo ingenti investimenti per la rete ferroviaria. La rete va modernizzata nel
suo insieme con gli interventi necessari sui nodi urbani e per i collegamenti con i porti.
Lo Stato deve stabilire i servizi universali, una volta stabiliti è necessario favorire la concorrenza determinando la migliore offerta possibile per i cittadini.
Il completamento dei lavori per l’Alta Capacità/Velocità è l’occasione per operare una svolta
nel sistema della mobilità e del trasporto.
e
La situazione a oggi, però, è che non ci sono né treni per le persone né per le merci. La
priorità è predisporre immediati finanziamenti per l’acquisto di nuovi treni, e al contempo
rilanciare il trasporto ferroviario pendolare, perché il trasporto pendolare è una componente
fondamentale delle politiche nazionali dei trasporti. Anche in questo caso è necessario coinvolgere e responsabilizzare le regioni che devono prevedere investimenti capaci di migliorare
il servizio, fissare gli standard, fare le gare e i contratti con le aziende, controllare la qualità,
integrare le scelte dentro la programmazione territoriale.
212
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e
Per favorire la mobilità dei cittadini è, inoltre, necessario un piano straordinario per il trasporto pubblico locale.
Si tratta di sostituire migliaia di autobus e centinaia di convogli per le linee tram e metropolitane e di istituire un fondo nazionale per il trasporto locale finanziato con i proventi di
parte della tassazione sui carburanti per coprire i costi del trasporto pubblico e per l’acquisto
dei mezzi. L’aumento del costo del petrolio, la congestione delle città, i livelli di inquinamento e di traffico ci devono indirizzare verso delle scelte in grado di favorire la mobilità
sostenibile. Questo è un tema sparito dall’agenda del Governo, che non fa parte della cultura di questa maggioranza. È un tema che va messo all’ordine del giorno, anche per questo
abbiamo organizzato in collaborazione con gli ecologisti del Partito Democratico per il 20
ottobre la giornata di mobilitazione a favore del trasporto pubblico locale.
3.
3
Infine mi sembra giusto dire qualcosa sul piano casa che il Governo ha annunciato nei giorni
scorsi. A oggi manca ancora il decreto attuativo, le risorse messe a disposizione sono solo
150 milioni di euro e sono stati tagliati 500 milioni di euro previsti dal precedente Governo
nella finanziaria 2007. Il problema della casa è tornato a essere un emergenza nazionale
che non può essere risolta con risposte parziali. Riguarda famiglie al di sotto della soglia
di povertà, disoccupati, lavoratori precari, famiglie monoreddito che fanno fatica a
pagare l’affitto, giovani e studenti che non possono uscire di casa. Per affrontare
questa emergenza è necessario il raccordo tra le politiche abitative e le politiche per le città, superando la situazione di degrado, garantendo servizi
e infrastrutture per la mobilità. Valuteremo con attenzione il piano casa da
subito voglio dire però che per quanto ci riguarda il piano va concepito come un
programma costruito in forte sinergia con le amministrazioni locali; deve essere incentrato su un forte nesso tra realizzazioni di alloggi sociali e recupero urbanistico ed
edilizio incentivando fortemente la ristrutturazione.
Infine è assolutamente necessario che una quota rilevante degli alloggi spettanti ai privati
nella cessione di diritti edificatori sia riservata all’affitto sociale. Solo in questo modo si può
agire per riaprire il mercato dell’affitto.
Il centrodestra è ben lontano dalla realizzazione degli obiettivi che possono permettere di
aumentare la dotazione infrastrutturale del nostro paese. La sfida che lanciamo alla destra
e che lanceremo prossimamente alla conferenza nazionale della mobilità e dei trasporti che
stiamo organizzando, è di correggere al più presto questa situazione. Si tratta di non perdere
l’occasione per la modernizzazione del sistema, per la tutela dei redditi delle famiglie, per
il posizionamento strategico e duraturo dell’Italia nei movimenti commerciali e turistici nel
mediterraneo, per il raggiungimento degli obiettivi di Kyoto. Si tratta di acquisire la piena
consapevolezza che solo le infrastrutture efficienti e un sistema di mobilità all’altezza dei
nostri tempi sono condizioni fondamentali per sostenere il PIL e lo sviluppo competitivo.
È questa l’operazione verità che oggi vogliamo fare e sono queste le proposte che avanziamo al confronto politico e istituzionale. Attorno a questi obiettivi di modernizzazione del
sistema di sicurezza ed efficienza nei trasporti e di mobilità sostenibile nelle città, vogliamo
sviluppare nei prossimi mesi una forte e ampia iniziativa in tutto il Paese, insieme ai cittadini e coinvolgendo le forze economiche e sociali.
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Il trasporto
e la mobilità locale
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Roma, 20 ottobre 2008
Nell’epoca della globalizzazione e dell’Unione europea la questione del sistema dei trasporti e della mobilità si pone in termini nuovi e urgenti e richiede
cambiamenti strutturali.
Negli ultimi 20 anni la domanda per spostamenti di persone e di merci è aumentata
vertiginosamente.
La globalizzazione, non solo è caratterizzata dalla velocità delle informazione e degli spostamenti finanziari, ma in eguale misura da consistenti spostamenti umani e materiali.
Nel mondo globalizzato, in un solo giorno, si movimenta quanto in un anno degli anni ’70
e le previsioni segnalano che si avrà una crescita della domanda mondiale ed europea. Lo
stesso Mediterraneo si afferma come il luogo strategico degli scambi tra Asia, nord Europa
e nord America.
Anche in Italia si è avuta una crescita gigantesca della domanda di trasporto e di mobilità.
Le persone in movimento sono passate da 34 a 50 milioni (+ 43%), le merci da 87 a 219
milioni/t (+ 151%), i container da 3 a oltre 10 milioni (+178%).
Il contributo all’inquinamento dell’aria del sistema dei trasporti negli ultimi 30 anni è stato
notevole e continua a crescere.
In Italia il dato è particolarmente pesante in quanto il sistema della mobilità e del trasporto
è centrato sull’uso privato dell’auto (35 milioni) e sul trasporto su gomma.
e
È evidente che il sistema del trasporto e della mobilità rappresenta una infrastruttura strategica per la qualità della vita e della salute, per la riduzione dell’inquinamento dell’aria, per la
sicurezza delle persone e per l’insieme del tessuto economico: non solo per il settore in se,
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servizi e produzione di veicoli e imbarcazioni, ma anche per i costi di trasporto dei prodotti
industriali, agricoli e del turismo.
Le opportunità da cogliere
3.
3
e
Balza agli occhi l’assurdità che in presenza di una crescita gigantesca e di lunga durata della
domanda di mobilità, interna e internazionale, il nostro paese si trovi in una situazione di
arretratezza, di affanno e di grave ritardo tecnologico, infrastrutturale e di veicoli.
Soggetti imprenditoriali pubblici e privati, comparti industriali e di servizi come le ferrovie,
il trasporto pubblico locale e il trasporto aereo e lo stesso autotrasporto, sono da anni in
difficoltà o in crisi. La vicenda Alitalia è emblematica.
Il sistema italiano della mobilità, non integrato e centrato sull’uso della gomma, non è stato
in grado di cogliere le opportunità che la nuova domanda offriva, anzi aver resistito a ogni
cambiamento ha rovesciato le opportunità in fattori di sofferenza e di crisi.
Alla crescita della domanda non ha corrisposto una politica adeguata, il sistema della mobilità assurdamente è entrato in crisi, i ritardi strutturali storici si sono aggravati e ciò in
particolare nel Mezzogiorno e nelle isole, con seri danni alla qualità della vita, dei sistemi
urbani, dell’economia e dell’ambiente.
Le politiche dell’attuale governo Berlusconi non solo non colgono le opportunità
presenti ma aggravano la situazione. Tagliano gli investimenti già stanziati dal
governo di centrosinistra e provocheranno la riduzione dei treni e della loro
efficienza e sicurezza.
Ci sarà un peggioramento del trasporto locale in quanto regioni e enti locali
avranno meno risorse per incrementare il numero di bus, tram e metrò e per
procedere al rinnovamento del parco dei mezzi di trasporto che è obsoleto e inquinante.
Nella fase in cui aumenta la domanda di trasporto, anche per il caro petrolio, il governo
Berlusconi taglia gli investimenti di circa 250 mln previsti per il 2009 e il 2010 dal governo
Prodi, e taglia oltre 1000mln le risorse previste per le ferrovie.
La destra aggrava il problema e non ha una strategia e né ha soluzioni per il breve e il medio
periodo.
Le proposte del PD viceversa vanno nella direzione di una modernizzazione sostenibile del
sistema dei trasporti al fine di tutelare i redditi della famiglie, posizionare in modo strategico
e duraturo l’Italia in Europa e nel Mediterraneo, raggiungere gli obiettivi di Kyoto sull’inquinamento dell’aria.
Le proposte del PD
Le priorità che mettiamo al centro delle nostre proposte sono la mobilità locale e l’incremento dei treni locali.
Le città sono in una situazione di vera difficoltà e sofferenza: servizi inadeguati e insufficienti, forti disagi dei passeggeri e dei lavoratori del settore, congestione del traffico e forte
inquinamento dell’aria. I dati parlano chiaro. Nelle aree urbane si concentra circa l’80% della
domanda degli spostamenti dei pendolari. A causa dei massicci trasferimenti residenziali nei
comuni limitrofi delle grandi aree urbane si è avuto un enorme incremento del pendolarismo
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extra urbano che è passato da 8,7 mln di persone nel 1991 a 13,1 mln nel 2007. E il 70% usa
l’auto privata mentre il 15% il treno e l’11% i bus extraurbani.
L’inquinamento dell’aria assume livelli non più sopportabili. Già nei primi mesi dell’anno,
infatti, grandi e medie città raggiungono il numero dei giorni (35) in cui per l’ UE è possibile
superare i livelli d’inquinamento da MP10 (polveri sottili).
Questa situazione si potrà invertire scegliendo la strategia dell’uso del mezzo collettivo,
della mobilità su ferro per realizzare la riduzione del numero delle auto in circolazione.
Occorrerà agire contemporaneamente su più fattori predisponendo un piano straordinario per
il trasporto pubblico locale.
Vanno potenziati i finanziamenti per gli investimenti sul parco dei veicoli e date agevolazioni fiscali per gli abbonati al tpl e alla ferrovia. E vanno predisposti piani regionali integrati a
quelli cittadini e provinciali per il trasporto locale, basandoli su una corretta pianificazione
territoriale e urbanistica.
Piani da gestire attraverso una moderna governance della mobilità urbana veramente intermodale: bus, tram, metro, car sharing, car pooling, taxi collettivi, bus a chiamata, piste
ciclabili, bici condivise.
In questo quadro va:
incentivata l’istituzione del “mobility manager” per aziende ed enti pubblici; potenziata la riqualificazione delle strade a percorrenza riservata e protetta; estesa e
qualificata la rete delle piste ciclabili; definita l’organizzazione dei tempi (scuole, uffici, attività commerciali); realizzato un balzo in avanti nella applicazione di tecnologie innovative per ridurre la domanda di mobilità (telelavoro,
home-banking, commercio elettronico).
La mobilità su ferrovia è la seconda priorità strategica. Il 90% dell’incremento del
pendolarismo percorre piccole e medie distanza (meno di 25km).
I pendolarismo ferroviario è aumentato dell’8% ma la disponibilità è cresciuta solo del 5%.
Il parco dei treni è in gran parte obsoleto, non è in grado di sostenere la nuova domanda e
ha serissimi problemi di manutenzione. La rete è insufficiente in generale ma in particolare
nelle aree urbane del meridione e delle isole.
I tagli preannunciati dal Governo metteranno a rischio i contratti di servizio firmati con le
regioni e invece di un incremento dei treni avremo una loro riduzione e ulteriori e gravissimi
disagi per i pendolari. E ciò mentre la rete delle ferrovie urbane a Berlino è di oltre 3000km,
a Parigi di oltre 1500km e a Roma e Milano è di circa 188km ognuna.
Il completamento dei lavori per l’alta velocità/capacità rappresenta una occasione per il
rilancio del trasporto locale poichè aumenterà, nei prossimi due anni, la disponibilità della
rete: 210km (Rm-Na); 182 km (Mi-Bo entro dic.2008) e per la fine del 2009 si liberano 750
km (To-Mi-Rm-Sa).
La situazione a oggi è che non ci sono i treni sufficienti né per le persone e né per le merci
e il Governo non si pone neppure il problema.
Per invertire una simile situazione vanno immediatamente stanziati finanziamenti adeguati
per l’acquisto di nuovi treni perché questo permetterebbe di ordinarli subito e di averli almeno tra due anni (è il tempo di costruzione). In questa direzione vanno le proposte delle
regioni di incrementare gli investimenti per il tpl di oltre 500 mln/a per il 2009 e il 2010.
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Così sarà possibile aumentare la dotazione di almeno 1000 nuovi treni.
In questo quadro vanno previsti investimenti tecnologici, per eliminare le strozzature della
rete ferroviaria. Ciò triplicherebbe la capacità di trasporto nelle ore di punta, passando dagli
attuali 15-20 minuti a un treno ogni 10-5 minuti, e i costi sono più che contenuti.
e
Dati su trasporti e mobilità1
Inquadramento generale
1) il sistema del trasporto e della mobilità è una infrastruttura strategica per la qualità della
vita, per la riduzione dell’inquinamento dell’aria e delle relative malattie, per la sicurezza
delle persone, per il tessuto economico in termini di settore in sé e di funzione strutturale
rispetto all’industria, l’agricoltura, il turismo, le aree urbane e la tutela dell’ambiente.
3
2) nell’epoca della globalizzazione e della nuova dimensione europea è aumentata la domanda di mobilità delle persone e delle merci in Italia:
a) ultimi 20 anni, persone, + 43% : da 34 a 50 milioni/persone,
b) merci, + 151%: da 87 a 219 milioni/t,
c) container, +178%: da 3 a oltre 10 milioni, nel mondo in un solo giorno si movimenta
quanto in un anno degli anni ’70, le previsioni prima della crisi finanziaria mondiale,
indicavano una crescita della domanda nel mondo, nel Mediterraneo e in Italia.
3.
Opportunità non colte e rischio di non coglierle ancora
Balza agli occhi il dato che in presenza di una crescita gigantesca e di lunga
durata della domanda di mobilità (Italia, Mediterraneo, Europa, mondo) il nostro
paese è in una situazione di grave ritardo tecnologico, infrastrutturale e di veicoli.
Addirittura sono in affanno economico e in crisi, comparti industriali e di servizi come
le ferrovie, il trasporto pubblico locale, il trasporto aereo e marittimo, l’autotrasporto.
Il sistema della mobilità centrato sull’uso della gomma e non integrato, ha rovesciato le
opportunità in fattori di sofferenza e di crisi.
Alla crescita della domanda non ha corrisposto una politica adeguata, il sistema della mobilità assurdamente è entrato in crisi, i ritardi strutturali si sono aggravati con grave danno
alla qualità della vita, dei sistemi urbani, dell’economia e dell’ambiente.
Un sistema dei trasporti e della mobilità superato e dannoso
Il sistema italiano, diversamente dai più importanti paesi europei, è basto principalmente
sulla gomma e le auto in circolazione sono 35milioni (a Roma sono 74 auto/100abitanti) e
oltre l’80% delle merci viaggia su gomma.
I fenomeni che ne derivano: congestione del traffico, morti sulle strade (weekend di ferragosto 28 morti, ultimo di agosto il “rientro” 33 morti, una strage ogni anno), inquinamento
1 Le fonti sono:
Pendolari d’Italia, ricerca Censis, 14 marzo;
Linee guida, Ministero dei Trasporti, ottobre 2007;
Studi di settore, ricerche della Camera, articoli, interviste ecc.
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dell’aria che impone ogni anno la chiusura delle città per diversi giorni, tempo rubato alla
vita delle persone, condizioni di viaggio disagevoli, troppi bus obsoleti e per di più insufficienti, rete dei metrò e dei tram al di sotto delle esigenze.
La ferrovia registra ancora ritardi strutturali: forte arretratezza nel Mezzogiorno e nelle isole,
mancanza di treni e di personale per il trasporto regionale, arretratezza tecnologica e rischi
per la sicurezza, difficoltà nella manutenzione, treni obsoleti, investimenti insufficienti.
Alcuni dati
a) centralità delle città:
• si concentra circa l’80% della domanda degli spostamenti con gravi fenomeni di congestione del traffico e d’inquinamento dell’aria;
• tra il 1991 e il 2006, dalle grandi aree urbane ci sono stati massicci trasferimenti residenziali nei comuni limitrofi con conseguente aumento dei residenti del 9,3%;
• la mobilità pendolare extra urbana è passata da 8,7 milioni di persone nel 1991, a 9,6
milioni del 2001 per arrivare a 13,1 milioni nel 2007;
• modalità di spostamento: 70% auto privata, 15% treni e 11% da bus extraurbani.
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b) limiti strutturali della rete e dei vettori ferroviari per pendolari:
• oltre 13 mln di pendolari, il 22% della pop.;
• incremento di 3-4 mln. Ultimi 5 anni;
• il 90% è piccola e media percorrenza, meno di 25km.;
• l’80% di questi si muove nell’interland/provincia;
• sono: operai, impiegati, studenti, insegnanti.
c) limiti del sistema ferroviario:
• i passeggeri sono aumentati dell’8% mentre il numero dei posti treno è aumentato
del 5%;
• squilibrio di attenzione verso la lunga percorrenza: circa 700/mln pass./a fa 25km e 72mln
pass./a ne percorre di più;
• il parco dei treni è in gran parte obsoleto e insufficiente con problemi gravi per la manutenzione: è al limite, non è nelle condizioni di sostenere la nuova domanda;
• il confronto con le altre città europee è ardito ma aiuta a comprendere: la rete delle ferrovie urbane a Berlino è di oltre 3000km, a Parigi di oltre 1500km a Roma e Milano di circa
188km ognuna.
Un’occasione da non perdere
e
Il completamento dei lavori per l’alta capacità aumenterà, nei prossimi due anni, la disponibilità della rete: 210km (RO-NA) + 182 km (MI-BO entro dicembre 2008).
Per la fine del 2009 si libererano 750 km (TO-MI-RO-SA).
Questa è l’occasione per opernare una svolta nel sistema della mobilità e del trasporto.
La situazione a oggi è che non ci sono i treni né per le persone e né per le merci.
La politica del centrosinistra aveva avviato un filone di finanziamenti che si sarebbero incrementati nel 2009 e nel 2010:
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3.
Le politiche del centrodestra viceversa bloccano questo trend di crescita degli investimenti e operano drastici tagli.
La politica delle destre fa perdere all’Italia l’occasione per la modernizzazione
del sistema, per la tutela dei redditi della famiglie, per il posizionamento strategico e duraturo dell’Italia nei movimenti commerciali e turistici nel Mediterraneo, per il raggiungimento degli obiettivi di Kyoto sull’inquinamento dell’aria.
3
e
1) istituito il fondo 100 milioni di euro per gli anni 2007-2009, per l’acquisto dei veicoli
adibiti al miglioramento dei servizi offerti per il trasporto pubblico locale;
2) istituito il fondo per la promozione e il sostegno dello sviluppo del trasporto pubblico
locale. 113 milioni di euro per il 2008, 130 milioni di euro per il 2009 e 110 milioni di euro
per il 2010;
3) stanziamenti per alta capacità/velocità: 900 mln per il 2008, 1200 mln per 2009.
4) 2 mld/2007-2008 per rete tradizionale di cui 400mln per piano d’investimento 2007.
5) 10 mln per sicurezza e ammodernamento tecnologico;
6) il contributo quindicennale di 3 milioni di euro a decorrere dal 2007, di 6 milioni di euro
a decorrere dal 2008 e di 6 milioni a decorrere dal 2009 per la metropolitana di Milano;
7) 500 milioni per la linea C della metropolitana di Roma;
8) 50 milioni di euro per il sistema metropolitano urbano e regionale di Napoli;
9) 150 milioni di euro per il sistema ferroviario metropolitano di Milano;
10) la legge finanziaria 2008 ha invece previsto:
11) 10 milioni di euro per l’anno 2010 per la linea metropolitana di Bologna;
12) 10 milioni di euro per l’anno 2010 per la linea metropolitana di Torino;
13) 10 milioni di euro per l’anno 2009 per la tramvia di Firenze.
Le priorità e gli obiettivi
Treni:
• Predisporre adeguati e immediati finanziamenti per l’acquisto di nuovi treni perché questo
permetterebbe di ordinare subito i treni e averli almeno tra due anni ( è il tempo di costruzione);
• accogliere le proposte delle regioni d’incrementare con oltre 500 mln/a il fondo per il
2009, idem per 2010;
• realizzare una dotazione di almeno 1000 nuovi treni in più;
• investimenti tecnologici per eliminare le strozzature della rete ciò darebbe la possibilità di
triplicare la capacità nelle ore di punta: un treno ogni 5-10 minuti;
• dotarsi di treni merci da 1 km (uguale a 100 camion circa), 100 di questi treni toglierebbero dalla strada 10.000 veicoli pesanti.
Mobilità urbana sostenibile:
• potenziamento dei finanziamenti;
• agevolazioni fiscali per gli abbonati al tpl e ferrovia;
• piani cittadini e provinciali per il TPL;
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• governance della mobilità urbana: diffusione dei “mobility manager”, o quelli in grado di
attuare una corretta pianificazione territoriale con l’obiettivo di realizzare un’armonica e
funzionale;
• car sharing, car pooling, taxi collettivi, bus a chiamata;
• spazi della città (quartieri a 30Km/h, riqualificazione delle strade, piste ciclabili);
• trasporto pubblico (con strade riservate e protette);
• organizzazione dei tempi (scuole, uffici);
• promozione di tecnologie innovative per ridurre la domanda di mobilità (telelavoro, homebanking, commercio elettronico).
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Disegno di legge n. 263
e
d’iniziativa dei senatori Marco FILIPPI, DONAGGIO, FISTAROL, MAGISTRELLI, MORRI, PAPANIA, RANUCCI, VILLARI e VIMERCATI
Riforma della legislazione
in materia portuale
ONOREVOLI SENATORI! – In connessione con i marcati fenomeni di globalizzazione dell’economia, lo
scenario mondiale mostra un costante e rapido aumento dei traffici marittimi.
Il panorama italiano, tuttavia, mostra tassi d’incremento leggermente inferiori. È piuttosto sostenuto
altresì il numero di passeggeri trasportati e le autostrade del mare, insieme al trasporto crocieristico,
stanno acquistando un rilievo sempre più determinante.
Al contrario, gli scali del Nord dell’Europa continuano a mostrare numeri e quote da leadership
(Rotterdam, Amburgo e Anversa più di tutti) e la
Spagna ha conquistato quote importanti di mercato
spesso a scapito dell’Italia.
È innegabile che la stagnazione della movimentazione del traffico containerizzato può considerarsi un indicatore significativo dello stato di
difficoltà che sta vivendo la portualità nazionale,
soprattutto se confrontata con le dinamiche di crescita che caratterizzano la domanda di movimentazione di container nel bacino del Mediterraneo.
Tra i diversi fattori che hanno inciso negativamente
sulla competitività del sistema portuale nazionale
va segnalata la frammentazione del traffico marittimo lungo le coste, che rappresenta uno degli osta-
3.
3
comunicato alla presidenza il 29 aprile 2008
coli di fondo alla crescita della
portualità italiana.
Se, da un lato, la diffusione delle infrastrutture sul territorio ha rappresentato
sino ad oggi una ricchezza per il Paese perché ha consentito l’acquisizione di ampi volumi
di traffico, i mutati scenari dello shipping mondiale richiedono ora uno sforzo di concentrazione dei
traffici in un numero più contenuto di strutture a
più elevata qualificazione. Evitare, quindi, da un
lato, duplicazioni di strutture e funzioni che avrebbero l’unico risultato di innescare inutili forme di
concorrenza interna e, dall’altro, una dispersione
delle risorse sul territorio che non consentirebbe a
nessun porto di raggiungere quegli standard tecnico-operativi fondamentali per poter giocare un
ruolo determinante nell’attrazione dei traffici internazionali. I boom dell’economia asiatica e l’accentuato aumento dei traffici marittimi mondiali
im- pongono di superare una visione frammentata
della portualità italiana per riuscire a competere
con Spagna e Nord Europa, valorizzando il sostanziale vantaggio naturale de porti italiani rispetto ai
concorrenti del Nord Europa e della Spagna: circa
5 giorni di navigazione in meno sui primi, uno di
vantaggio sulle seconde.
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Una costellazione di microportualità, lontana da
una qualsivoglia logica di integrazione funzionale
e strategica, non ha infatti le dimensioni per sostenere la competizione con i principali porti dello
shipping mondiale.
Il boom dell’economia cinese, l’incremento impetuoso del traffico containerizzato, la spinta sempre più accentuata verso forme di delocalizzazione
produttiva, l’entrata in vigore dell’area di libero
scambio euromediterranea da qui al 2010 sono solo
alcuni aspetti di un sistema in rapida evoluzione
che sollecita risposte altrettanto rapide al sistema
marittimo nazionale.
È nel quadro di questa urgente esigenza di non perdere le opportunità offerte dall’attuale quadro di
riferimento geo-economico che si colloca il presente disegno di legge, volto ad adeguare l’assetto ordinamentale della portualità italiana alla realtà in
rapido divenire che sta caratterizzando lo scenario
mondiale.
La legge 28 gennaio 1994, n. 84, ha ormai compiuto tredici anni. Innegabili sono i risultati positivi ascrivibili all’applicazione di tale legge, il cui
elemento caratterizzante, rispetto alla disciplina
precedente, è sicuramente quello di aver riservato
lo svolgimento delle attività economiche e commerciali esclusivamente a soggetti di diritto privato mentre a soggetti pubblici, le autorità portuali,
è stata affidata l’attività di programmazione e di
elaborazione delle strategie di sviluppo, l’attività
amministrativa e di regolazione delle attività.
In particolare, è il caso di rimarcare come alle autorità portuali sia stato attribuito un ruolo assolutamente innovativo nel panorama amministrativoistituzionale italiano, un ruolo caratterizzato da una
complessità e da una poliedricità che si riflettono
in primo luogo nella struttura dell’autorità portuale, dove si assiste, anche per le funzioni decisionali, non solo ad una compresenza di diversi livelli
di governo e di amministrazione pubblica (Stato,
regione, enti locali), ma anche ad una compresenza di pubblico e di privato, grazie alla presenza in
comitato portuale di alcuni dei protagonisti della
vita economica, commerciale e sociale della realtà
«porto».
Alla luce di questa poliedricità, all’autorità portuale va riconosciuto il ruolo di gestore globale della
vita istituzionale, amministrativa ed economica del
porto, ruolo che ha due piani di espressione, uno
endoportuale, con l’autorità portuale centro di rife-
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Il «tetto di spesa», anche per investimenti imposto alle autorità portuali dalla legge finanziaria
per il 2005 ha certamente penalizzato l’opera di
infrastrutturazione di cui gli scali marittimi italiani
hanno urgente bisogne e ha rallentato notevolmente la crescita de traffici mettendo i porti nazionali
nell’impossibilità di fornire all’utenza indicazioni
attendibili sui tempi necessari per poter disporre
delle infrastrutture in programma.
Un primo, forte, segnale per l’adozione d una politica di rilancio dei porti è venuto, invece, dalla legge
finanziaria per il 2007, che ha impresso al sistema
dei porti una svolta, sia strutturale che sul piano
degli investimenti, prevedendo oltretutto nuove risorse per il settore.
È di grande rilievo, inoltre, la riforma in senso federalista dell’autonomia finanziaria attribuita alle
autorità portuali, che possono ora cominciare a gestire autonomamente la fiscalità portuale o, almeno, buona parte di essa.
Oltre all’indispensabile riavvio del processo
di infrastrutturazione, occorre però, per
rilanciare la portualità italiana a livello internazionale, anche dar vita ad
una nuova politica nazionale dei
porti, che risponda ad un preciso
disegno strategico e unitario a livello
di sistema Paese.
In mancanza di tali elementi l’Italia corre il
rischio di essere relegata ad un ruolo marginale
ed irreversibilmente esclusa dalle principali correnti di traffico internazionale.
Per poter rilanciare la logistica italiana e competere con i principali porti europei conquistando il
ruolo di piattaforma logistica al servizio dell’Europa, è necessario per il Paese ripensare la politica portuale all’interno di una organica politica
di logistica nazionale, trasformare la frammentata
rete portuale in un unicum, i tanti porti italiani
come parti di un progetto comune e condiviso,
individuare un limitato numero di porti sui quali
concentrare maggiormente sforzi e risorse perché
si possano captare e ridistribuire, attraverso attività di feederaggio, i traffici intercontinentali e
costruire un’efficiente offerta intermodale di trasporto a supporto delle grandi reti transeuropee,
lasciando agli altri porti il compito – non di minore importanza – di sostenere il traffico prevalentemente regionale o locale, secondo le proprie
specializzazioni e competenze.
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bilità di forme di cooperazione per una più efficace
azione in proposito.
Il presente disegno di legge, suscettibile di ulteriori miglioramenti ed affinamenti, affronta in chiave
costruttiva e moderna vari temi sui quali in questi
anni il dibattito si è sviluppato in maniera oltremodo approfondita ed in particolare:
- la revisione della classificazione dei porti, superando
il riferimento a criteri puramente quantitativi;
- il riconoscimento di un sistema portuale nazionale e di uno spazio di ampia autonomia per i porti di
interesse regionale;
- lo snellimento delle procedure di pianificazione e
realizzazione delle opere portuali;
- la previsione della nomina di un commissario e
di un commissario aggiunto fino alla nomina del
Presidente dell’autorità portuale nel caso di nuova
istituzione di autorità portuale e negli altri casi in
cui essa si riveli necessaria, al fine di colmare una
lacuna della normativa precedente, adeguandola ad una prassi consolidata;
- la revisione della procedura di nomina
del presidente dell’autorità portuale;
- la ripartizione delle competenze
tra autorità portuale e autorità
marittima;
- la revisione degli organi dell’autorità
portuale e del loro mandato;
- la vigilanza del ministero sulle autorità
portuali;
- la rivisitazione delle competenze e dell’organizzazione dei servizi tecnico-nautici;
- la riorganizzazione della disciplina del lavoro
temporaneo;
- la concessione di aree e banchine per lo svolgimento delle operazioni portuali.
Con specifico riferimento ai contenuti della nuove norme oggetto del disegno di legge si precisa
quanto segue:
L’articolo 1, illustra i motivi istituzionali e strategici per la revisione della disciplina portuale, stabilendo un generale riparto di competenze tra Stato
e Regioni ai sensi del vigente articolo 117 della Costituzione e, inquadrata la materia nel suo corretto
contesto istituzionale ed ordinamentale, qualifica
espressamente la normativa in materia quale legge
statale che determina i principi generali dell’ordinamento in tema di porti civili, costituendo così la
disciplina di principio entro la quale possono trovare spazio le normative regionali.
3.
3
e
rimento per gli interessi relativi alla vita portuale;
uno extraportuale, con l’autorità portuale portatrice, all’esterno del porto, degli interessi della comunità portuale.
Il modello italiano, con un organismo pubblico preposto all’elaborazione delle strategie, alle funzioni
amministrative ed alla regolazione delle attività,
mentre l’attività commerciale è esclusivamente
svolta da soggetti privati, è forse quello che più
si avvicina al modello europeo che era descritto
nelle bozze di direttive sull’accesso al mercato dei
servizi portuali, direttive, com’è noto, bocciate dal
Parlamento europeo, ma delle quali non si possono
disconoscere alcune posizioni fondamentali.
La configurazione italiana di organizzazione dei
porti rappresenta, in definitiva, un modello assolutamente avanzato e coerente con le impostazioni
di livello comunitario.
Ciò nondimeno, tale modello, a più di dieci anni
di distanza, ha bisogno di alcuni aggiustamenti
ed affinamenti che, nel rispetto dell’impostazione
di fondo della riforma del 1994, ne consolidino la
validità e l’affidabilità, al fine di stabilizzarne e migliorarne gli effetti positivi.
L’elemento che maggiormente rende indispensabile
una rivisitazione della legge generale di disciplina
dell’organizzazione e delle attività dei porti è l’attuale sistema costituzionale di riparto delle competenze legislative, regolamentari ed amministrative,
conseguente alla riforma della seconda parte del
Titolo V della Costituzione.
Si può dire che la disciplina legislativa ed amministrativa della portualità come disciplinata dalla legge n. 84 del 1994 (ed il cui impianto non
è necessario mettere discussione) comprenda quel
concetto di «sussidiarietà» cui è subordinata l’operatività stessa della legge e della disciplina amministrativa.
Peraltro, va opportunamente sottolineata la circostanza che alle autorità portuali deve essere sicuramente riconosciuta la qualifica di enti pubblici
nazionali e, come tali, rientranti nella potestà legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dell’articolo
117, comma secondo, della Costituzione.
A fronte di questi elementi, è altrettanto fondamentale lasciare all’iniziativa delle regioni ogni attività che si ricolleghi alle realtà portuali che non
abbiano i connotati dei porti di interesse nazionale, ma che svolgono un rilevante ruolo nel contesto
dei traffici regionali e interregionali, con la possi-
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Con i successivi commi viene altresì espressamente ribadita la funzione legislativa e regolamentare
delle regioni nei porti di interesse regionale, determinandone i principi di massima.
L’articolo 4 prevede la predisposizione, da parte
del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti,
del Piano nazionale della portualità, da formularsi
in coerenza con le linee-guida del Piano generale
della mobilità, al fine di definire gli obiettivi di
sviluppo del sistema portuale nazionale e la programmazione ed il finanziamento degli interventi
di adeguamento infrastrutturale.
L’articolo 5, per consentire alle regioni di attivare
opportune forme di collaborazione e di coordinamento, anche eventualmente su base interregionale, prevede la costituzione di «sistemi portuali
regionali», per il cui funzionamento è istituito un
apposito comitato di coordinamento, con ampia
rappresentatività degli enti locali, che ha il compito di adottare il Piano di sviluppo della portualità,
da approvarsi da parte del Ministero, e di promuovere le anzidette forme di cooperazione, anche in
materia di logistica, attraverso la creazione di appositi distretti.
L’articolo 6 riformula alcuni commi dell’articolo 5
della legge n. 84 del 1994.
La nuova formulazione dei predetti commi mira, in
primo luogo, a snellire e semplificare la procedura di approvazione del piano regolatore portuale,
avendo particolare attenzione ai poteri dei comuni
e delle regioni in materia di assetto del territorio,
lasciando ampio spazio alla competenza regionale
per quanto concerne i porti di interesse regionale,
la cui pianificazione resta pertanto alle regioni
stesse.
In particolare si è previsto, in caso di mancato raggiungimento dell’intesa tra i comuni interessati ed
il comitato portuale, il ricorso alla conferenza di
servizi indetta dalla regione competente su proposta dell’autorità portuale. Si propone, inoltre,
l’istituzione, con decreto del ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il ministro
dell’ambiente e del territorio, di una commissione
paritetica, composta dai componenti del consiglio
superiore dei lavori pubblici e della commissione
per la valutazione di impatto ambientale, per la
valutazione integrata tecnica e di impatto ambientale.
Da ultimo, la norma stabilisce il riparto degli oneri
per la realizzazione delle infrastrutture portuali e
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L’articolo 2, con i commi 1 e 2, modifica l’articolo
28 e l’articolo 19 del codice della navigazione per
determinare un corretto inquadramento della legislazione di settore anche sotto il profilo più strettamente giuridico, chiarendo che i porti marittimi da
disciplinare mediante la predetta legislazione sono
essenzialmente i porti marittimi civili, con esclusione dei porti militari, che vanno più correttamente ascritti al demanio militare, con conseguenti
ricadute sulla competenza in materia di oneri di
realizzazione delle opere portuali.
La normativa in questione, infatti, non può che riguardare e disciplinare i porti aventi funzioni commerciali o comunque non militari.
Viene altresì affermato il principio che detta normativa si qualifica quale legislazione speciale all’interno del sistema del codice della navigazione, fatta
salva la potestà normativa regionale da riconoscersi
ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione.
Il comma 3 modifica l’articolo 4 della legge n.
84 del 1994. Come accennato, la modifica si
rende necessaria in conseguenza della riforma della seconda parte del Titolo V
della Costituzione, che comporta la
necessità, una volta determinata
innanzitutto la collocazione sistematica della disciplina dei porti civili
nell’ambito dell’ordinamento
(configurandola altresì quale legislazione
speciale), di dividere i porti marittimi in:
- porti di interesse nazionale, amministrati dalle
autorità portuali;
- porti di interesse regionale, disciplinati da leggi
regionali, ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione, per la cui adozione costituiscono princìpi generali dell’ordinamento le disposizioni della legge
stessa;
- porti militari, dotati di diversa disciplina.
La norma definisce il ruolo del sistema portuale di
interesse nazionale, costituito dai porti che hanno,
per il loro ruolo strategico rispetto alle grandi reti
transeuropee e per la loro valenza a fini logistici,
una funzione essenziale per l’esercizio dei compiti
propri dello Stato.
All’individuazione dei porti di interesse nazionale
si provvede, in analogia con quanto già fatto nel
settore aeronautico, mediante decreto del Presidente della Repubblica, d’intesa con la conferenza
Stato-regioni, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari.
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ti, titolari e componenti degli organi dell’autorità
portuale possano assumere cariche nelle società
partecipate, al fine di evitare ipotesi di conflitto di
interessi personali.
L’articolo 8 apporta modificazioni al disposto dell’articolo 7 della legge n. 84 del 1994. Al comma
1 si prevede, tra gli organi dell’autorità portuale,
un Direttore Generale in luogo del Segretariato generale, con identici compiti di supporto alle funzioni del presidente, del comitato portuale e della
giunta.
Il comma 2 enuncia il principio secondo cui gli
emolumenti degli organi dell’autorità portuale, da
porsi a carico del bilancio della stessa, debbono
essere determinati dal Ministero delle infrastrutture
e dei trasporti e dal Ministero dell’economia e delle
finanze, sulla base della rilevanza dell’autorità portuale nell’ambito del sistema portuale nazionale,
della consistenza della sua circoscrizione territoriale e del volume delle entrate correnti.
Il comma 4, con riferimento alle ipotesi,
già contemplate dal vigente comma 3
della legge n. 84 del 1994, di revoca
del mandato del presidente, estende la possibilità di nomina di un
commissario e di un commissario
aggiunto, da scegliersi tra funzionari
dell’Amministrazione dei trasporti aventi
competenza nel settore, fino alla nomina
del presidente anche in tale ipotesi di revoca
nonché nei casi in cui la carica risulti temporaneamente priva del titolare.
L’articolo 9 reca modificazioni all’articolo 8 della
legge n. 84 del 1994.
A tale riguardo, fermi restando i requisiti per la nomina del presidente, il nuovo articolato opera una
revisione del procedimento, in modo da contemperare il rispetto dei ruoli istituzionali degli organi di
governo del territorio con la necessità di pervenire
entro tempi definiti alla nomina del presidente. In
questo senso, al comma 1, si è ritenuto conforme
ai princìpi di leale collaborazione istituzionale,
dopo un primo tentativo di nomina sulla base di
designazioni di livello subregionale, attribuire al
presidente della Regione un potere di formulazione
della proposta di una terna (sulla base anche delle
indicazioni degli enti sub-regionali) ed al ministro
un univoco potere di scelta del presidente nell’ambito della terna proposta. I commi successivi del
nuovo articolato hanno la finalità di aggiornare la
3.
3
e
la possibilità, per le autorità portuali, di ricorrere,
se del caso, all’imposizione di sovrattasse o all’incremento dei canoni demaniali al fine di concorrere
alla realizzazione di indispensabili opere portuali.
Il comma 11 è modificato al fine di precisare che i
manufatti da realizzare in ambito portuale, purché
realizzati in conformità del piano regolatore portuale, non sono soggetti a concessione edilizia.
L’articolo 7, modificando l’articolo 6 della legge n.
84 del 1994, ribadisce la natura giuridica dell’autorità portuale quale ente pubblico non economico, dotato, tra l’altro, di autonomia finanziaria nei
limiti previsti dalla legge e conferma, aggiornando
i relativi riferimenti normativi, che ad esse non si
applica di regola la normativa di cui alla legge n.
70 del 1975 ed al decreto legislativo n. 165 del
2001.
Per confermare che la gestione patrimoniale e finanziaria delle autorità portuali, in qualità di enti
pubblici, va uniformata ai criteri informatori della
legge 3 aprile 1997, n. 94, e successive modificazioni, che prevedono un sistema di contabilità
regolatoria (con un grado di disaggregazione delle
poste contabili tale da evidenziare l’attribuzione
dei costi e dei ricavi dei singoli processi, nonché la
destinazione dei contributi ed incentivi pubblici)
si rende necessaria la modifica introdotta al comma 3.
I successivi commi ribadiscono la necessità di opportune intese con le regioni per la definizione di
alcuni rilevanti aspetti dell’assetto delle autorità
portuali, in tal modo recependo il principio di assoluta valorizzazione del momento dell’intesa nei
rapporti tra Stato e regioni afferenti l’esercizio di
competenze caratterizzate da un forte impatto sul
territorio (definizione dei limiti della circoscrizione
dell’autorità portuale) e prevedono espressamente
la nomina di un commissario ed, eventualmente, di
un commissario aggiunto, nelle more della nomina
del presidente.
Il provvedimento introduce, altresì, alcune opportune limitazioni alla possibilità, offerta dal comma
6 dell’articolo 6 della legge n. 84 del 1994, di costituire ovvero partecipare a società esercenti attività
accessorie o strumentali rispetto ai loro compiti
istituzionali: l’integrazione introdotta subordina
tale possibilità alla condizione che le società in
questione non svolgano, nemmeno indirettamente,
attività di erogazione dei servizi e delle operazioni
portuali, escludendosi in ogni caso che dipenden-
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Quaderni PD.indb 225
09/02/2009 19.36.12
i notevoli interessi di natura pubblicistica che le
stesse devono perseguire, è ricaduta tra i funzionari
dell’Amministrazione, e che il numero dei funzionari
iscritti all’albo sta diventando via via sempre più
esiguo, in applicazione dell’articolo 2, comma 4 del
decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286, si è ritenuto opportuno prevedere la possibilità di nominare, in proporzione non minoritaria tra gli iscritti
all’albo dei revisori dei conti, persone in possesso
della necessaria esperienza e professionalità acquisita nel settore per aver svolto tale funzione per
almeno un triennio.
L’articolo 13 introduce alcune integrazioni volte a
dettagliare a specificare compiti di controllo del
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, necessario bilanciamento all’autonomia conferita alle
autorità portuali dalla legge finanziaria per l’anno 2007: in tal senso, per garantire una corretta
pianificazione dello sviluppo portuale, va prevista,
altresì, l’approvazione dei piani operativi triennali
delle autorità portuali e dei regolamenti con cui le
stesse sono chiamate a determinare criteri e condizioni di dettaglio per il rilascio delle concessioni in
ambito portuale in merito soprattutto alla determinazione dei relativi canoni.
L’articolo 14 modifica il comma 1 dell’articolo 13
della legge n. 84 del 1994 per adeguarne il contenuto alle previsioni della legge finanziaria 2007
(legge n.296 del 2006), che hanno ampliato il novero delle entrate e, quindi, delle risorse finanziarie
delle autorità portuali.
L’articolo 15 contiene alcune modifiche ed integrazioni all’articolo 14 della legge n.84 del 1994.
In particolare recependo l’accordo interassociativo
intervenuto in materia tra le varie categorie interessate:
a) i servizi tecnico-nautici vengono qualificati come
servizi di interesse generale necessari alla tutela
della sicurezza della navigazione e dell’approdo;
b) l’obbligatorietà del servizio di pilotaggio è stabilita dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, su proposta dell’autorità marittima d’intesa
con l’autorità portuale;
c) la disciplina e l’organizzazione dei servizi tecnico-nautici, nei porti sede di autorità portuale, è
determinata dall’autorità marittima d’intesa con la
stessa autorità portuale;
d) criteri e meccanismi per la formazione delle
tariffe sono stabiliti dal Ministero, sulla base di
un’istruttoria che si svolge in sede centrale;
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normativa alla luce dell’evoluzione dell’ordinamento, anche per quanto concerne le funzioni inerenti
la viabilità portuale.
L’articolo 10 adegua alle mutate esigenze operative
la composizione ed il funzionamento del comitato portuale. L’attuale composizione del comitato,
infatti, non appare in linea con la necessità di
semplificare le attività burocratiche e decisionali,
riflettendosi negativamente sull’impulso e la speditezza della procedura.
In tal senso si propone una riduzione del numero
complessivo dei componenti il comitato portuale,
in particolare riducendo da sei a quattro sia i rappresentanti delle imprese che – nel rispetto della
pariteticità – i rappresentanti dei lavoratori che
operano nel porto.
Per chiarezza di redazione, al comma 2, si riformulano i compiti del comitato portuale alla luce delle
modifiche apportate a taluni aspetti delle governance e delle funzioni dell’autorità portuale.
I commi 3, 4 e 5 stabiliscono le modalità
di designazione dei membri del comitato, le regole attinenti al suo funzionamento ed i quorum per la validità
delle sedute e per l’adozione delle
deliberazioni, con enfatizzazione
del ruolo delle componenti pubbliche
specialmente in relazione ai compiti nei
quali la valutazione dell’interesse pubblico si
rivela particolarmente rilevante.
Il comma 6 stabilisce, altresì, ai fini di semplificazione dell’azione amministrativa, che, ad eccezione delle decisioni in materia di piani regolatori
portuali, le deliberazioni del comitato adottate col
voto favorevole dei rappresentanti delle amministrazioni pubbliche competenti, sostituiscono le
intese, i concerti, i pareri e gli atti di assenso previsti dalle norme vigenti nelle materie oggetto di
deliberazione.
L’articolo 11, modificando l’articolo 10 della legge
n. 84 del 1994, sostituisce al segretario generale la figura del direttore generale, con compiti del
tutto corrispondenti a quelli dell’attuale segretario
generale.
L’articolo 12 introduce alcune modificazioni di minore rilievo in materia di disciplina del collegio dei
revisori dei conti di cui all’articolo 11 della legge
n. 84 del 1994.
Considerato che la scelta dei membri del collegio
dei revisori dei conti delle autorità portuali, attesi
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Quaderni PD.indb 226
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salute e delle politiche sociali e con le parti sociali
in un apposito tavolo tecnico, con l’effetto di dare
finalmente una soluzione strutturale al problema,
in questi ultimi anni necessariamente – ma impropriamente – risolto mediante il ricorso all’istituto
della cassa integrazione.
A fronte della previsione di tale meccanismo ad
hoc, che si basa, quanto alla modalità di copertura
degli oneri, sul versamento dei contributi previsti dalla vigente legislazione in materia di cassa
integrazione in concorso con le disponibilità del
Fondo per l’occupazione di cui al decreto-legge 20
maggio 1993, n. 148, convertito in legge 19 luglio 1993, n. 236, viene prescritto un controllo più
stringente degli organici dei soggetti chiamati a
fornire lavoro temporaneo alle imprese di cui agli
articoli 16 e 18.
In particolare, il comma 1 stabilisce il principio
secondo cui la materia è disciplinata nel testo e
non può essere svolta senza apposita autorizzazione.
Il comma 2 ed il comma 3 prevedono che
l’autorità portuale o quella marittima
debbano verificare la necessità di
disporre in porto di un soggetto
che fornisce lavoro temporaneo e
ne propongono la consistenza in termini di organico ai fini dell’approvazione
ministeriale; l’autorità portuale o quella marittima è tenuta ad emanare un regolamento
- da approvare da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti - per la specifica disciplina,
nel singolo porto, delle modalità di prestazione del
lavoro temporaneo, delle relative tariffe, dell’accertamento delle giornate di mancato avviamento al
lavoro nonché per la regolamentazione delle pertinenti attività di monitoraggio.
Il comma 4 prescrive, ai fini dell’individuazione
del soggetto da autorizzare alla fornitura di lavoro
temporaneo, l’esperimento di una procedura di selezione aperta e trasparente.
I commi 5 e 6 stabiliscono gli obblighi cui devono
sottostare i soggetti prestatori di lavoro e le modalità
di rilascio della relativa autorizzazione in sede locale.
Il comma 7 disciplina, in caso di infruttuoso esperimento della selezione anzidetta, la costituzione
dell’agenzia, già contemplata dalla legge n. 84 del
1994.
I commi 8 e 9 regolamentano i casi di sospensione
e revoca dell’autorizzazione, i casi eccezionali di
3.
3
e
e) le tariffe dei servizi, nell’ambito dei suddetti criteri e meccanismi, sono definite parimenti in sede
ministeriale;
f) è prevista l’emanazione di un apposito regolamento ministeriale per individuare i parametri operativi e gestionali in presenza dei quali si vada a
determinare, ferma restando l’unicità del servizio,
una speciale tariffa di prontezza operativa;
g) si chiarisce, infine, l’ambito di operatività dei
servizi con riferimento a strutture di ormeggio o
di attracco che non si possono del tutto assimilare
ai porti.
L’articolo 16 modifica l’articolo 15 della legge n. 84
del 1994, prevedendo che con atto del presidente dell’autorità portuale, è istituita in ogni porto
ricompreso nella circoscrizione dell’autorità portuale, una commissione consultiva composta da tre
rappresentanti dei lavoratori delle imprese che operano nel porto, da un rappresentate dei dipendenti
dell’autorità portuale e da quattro rappresentanti
delle categorie imprenditoriali.
L’articolo 17 modifica l’articolo 16 della legge n.
84 del 1994, con riferimento al comma 3-bis. La
proposta normativa adegua il testo alla normativa vigente, sostituendo il riferimento alla legge n.
1369 del 1960 con i riferimenti al decreto legislativo n. 276 del 2003 che l’ha modificata e abrogata.
Viene altresì chiarita la portata della deroga di cui
al comma 7-bis precisandone l’oggetto e l’ambito
territoriale di applicazione. Per ragioni di organicità è stata trasferita dalla legge del 30 giugno 2000,
n. 186, a tale articolo la previsione della possibilità
per le imprese di cui allo stesso articolo 16 e all’articolo 18 di usufruire delle procedure di cui alla legge
n. 223 del 1991 in materia di crisi e ristrutturazione aziendale.
L’articolo 18 modifica l’articolo 17 della legge n.
84 del 1994 in materia di lavoro portuale. Scopo della nuova proposta di normativa è quello di
procedere ad un riordinamento logico delle varie
disposizioni del vigente articolato, per aggiornare
i riferimenti normativi e dare maggiore organicità
alla materia, anche al fine di consentirne una più
agevole interpretazione. Ciò che, peraltro, qualifica
maggiormente il testo proposto è un nuovo sistema
di regolazione delle modalità di retribuzione delle
giornate di mancato avviamento al lavoro, ipotizzato dal comma 15 dell’articolo 17 e rivelatosi non
attuabile, con la previsione di un meccanismo ad
hoc, già concordato con il Ministero del lavoro della
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Quaderni PD.indb 227
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relativa disciplina e dell’applicazione dei rela tivi canoni, le concessioni di mera gestione di un’attività
imprenditoriale - nelle quali cioè il concessionario
non assume impegni in ordine ad investimenti, anche infrastrutturali, volti a valorizzare la qualità dei
servizi - dalle concessioni da cui scaturiscono impegni del concessionario in ordine ad investimenti,
anche di natura infrastrutturale, con conseguente
diversificazione delle pertinenti durate: per la prima
si prevede, infatti, una durata massima di 6 anni,
mentre per le seconde la durata è determinata in
ragione ed in proporzione dell’entità degli investimenti che il concessionario si impegna ad attivare,
con un limite massimo di 40 anni.
Il comma 3, per tale seconda categoria di concessioni, prevede inoltre che l’atto concessorio sia
soggetto, con cadenza almeno biennale, alla verifica della permanenza dei requisiti e delle condizioni che hanno determinato il rilascio del titolo; lo
stesso comma dà puntuali indicazioni in merito al
contenuto dell’atto concessorio.
Il comma 4 formalizza la necessità del ricorso ad
una gara ad evidenza pubblica per la selezione del
concessionario.
Il comma 5 introduce un sistema di relazioni da
parte delle autorità portuali e di monitoraggio da
parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sulle concessioni assentite, con possibilità di
imporre provvedimenti correttivi al riguardo.
Il comma 6 indica i requisiti degli aspiranti concessionari e le condizioni per partecipare alla selezione.
Il comma 7 introduce la disciplina dei relativi canoni, il cui importo deve essere parametrato in
ragione della prevedibile redditività della concessione e può essere tuttavia ridotto nel caso in cui
il concessionario si faccia carico della realizzazione
di opere portuali. Il canone è soggetto, per converso, ad un aumento, qualora l’autorità portuale o un
precedente concessionario abbiano finanziato opere o beni strumentali, idonei a valorizzare il bene
demaniale.
La norma in esame contiene, in altri termini, una serie di elementi predefiniti e criteri che vanno poi trasposti nelle specifiche realtà attraverso appositi regolamenti che le autorità portuali dovranno emanare
entro 180 giorni dall’entrata in vigore della legge.
Il comma 11 contiene una norma transitoria, diretta a ridurre l’impatto della nuova normativa sulle
concessioni esistenti.
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richieste di lavoro eccedenti l’organico e l’eventuale ricorso, in deroga, per particolari esigenze, ai
soggetti abilitati alla somministrazione di lavoro
temporaneo autorizzati in base al decreto legislativo n. 276 del 2003, mentre il comma 10 prevede
le sanzioni per la violazione delle disposizioni tariffarie.
I commi 11 e 12 chiariscono l’ambito di applicazione del contratto collettivo unico di riferimento, e
le verifiche sull’applicazione delle opportune tutele
del lavoratore circa il trattamento normativo e retributivo.
Il comma 13 istituisce l’indennità di mancato avviamento al lavoro di cui si è detto, stabilendone
le modalità di calcolo ed i pertinenti meccanismi
di erogazione.
Il comma 14 individua come ulteriori soggetti cui
spetta in via transitoria l’indennità, anche i lavoratori delle imprese di cui all’articolo 21. comma
1, lettera b) della legge, fino al 31 dicembre
2009.
I commi 15, 16 e 17 disciplinano il versamento dei contributi da parte delle
imprese o agenzie ed il concorso
del predetto Fondo per l’occupazione alla copertura degli oneri, nel
limite di 12 milioni di euro annui.
Il comma 18 determina l’applicabilità
degli strumenti di cui alla legge n. 223 del
1991, prevedendo la corresponsione ai lavoratori dell’indennità di mobilità ivi prevista nel
caso di situazioni di crisi che comportino eccedenze strutturali di manodopera.
Al comma 20 viene prevista l’adozione di un regolamento per la determinazione dei criteri generali cui
devono attenersi le autorità portuali nella disciplina della materia.
L’articolo 19 assoggetta ad autorizzazione dell’autorità portuale o marittima ed al nullaosta del Ministero le eventuali assunzioni nelle imprese di cui
all’articolo 21, comma 1, lettera b) della legge n.
84 del 1994 (da considerarsi assolutamente eccezionali) e regola il calcolo della contribuzione figurativa per ogni giornata di mancato avviamento al
lavoro dei lavoratori portuali.
L’articolo 20 riformula l’articolo 18 della legge n. 84
del 1994 con l’obiettivo di dare un’adeguata valorizzazione alle aree demaniali in ambito portuale, nel
rispetto dei princìpi comunitari già richiamati: in
tale contesto la nuova norma distingue, ai fini della
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Quaderni PD.indb 228
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sui principali provvedimenti concernenti l’organizzazione ed il funzionamento dei porti.
Con il comma 5 si provvede ad abrogare le norme
del codice della navigazione e del relativo regolamento concernenti l’organizzazione dei servizi tecnico-nautici incompatibili con il nuovo testo dell’articolo 14 della legge e l’articolo 15 della legge
n. 84 del 1994 relativo alle commissioni consultive,
in quanto considerate nei porti sede di autorità portuale un’inutile duplicazione dei comitati portuali e
dunque un aggravio procedimentale.
e
L’articolo 21 integra l’articolo 21 della legge n. 84
del 1994 per favorire la riconversione delle imprese
portuali nei porti che, per motivazioni ambientali o
di tutela del patrimonio culturale od archeologico,
siano chiusi permanentemente al traffico e ridefinisce la terminologia relativa al passaggio dalle vecchie compagnie portuali alle attuali imprese.
L’articolo 22 modifica il decreto del Presidente della
Repubblica 15 febbraio 1952, n. 328, recante regolamento per l’esecuzione del codice della navigazione.
La modifica più rilevante concerne la revisione degli articoli da 118 a 123, relativi alla modifica della disciplina delle quote dei piloti del porto, cui
si provvede mediante l’adozione di un decreto del
Presidente della Repubblica volto appunto a ridefinire la materia in esame, con l’obiettivo di ridurre
e rendere omogenea in tutti i porti l’incidenza del
sistema delle quote sulle tariffe del servizio di pilotaggio; la disposizione fornisce in proposito le
indicazioni di massima sul contenuto della normativa regolamentare in questione.
Le disposizioni proposte nei commi successivi si
rendono necessarie per rendere possibile la completa applicazione delle norme di cui ai vigenti capi VI
(degli ormeggiatori) e VII (dei barcaioli) del titolo
III del libro 1 del regolamento marittimo (articoli
da 208 a 218), ed eliminare ogni contenzioso in
materia attraverso la reintroduzione nel contesto
normativo riguardante le categorie di lavoratori in
argomento di quelle norme già ad essi applicabili
e contenute nei commi 2 e 3 dell’articolo 152 e
dei commi 3, 4, 5 e 6 dell’articolo 156 del regolamento marittimo, inopinatamente travolte dalle
abrogazioni a suo tempo disposte dall’articolo 27,
comma 8, della legge n. 84 del 1994, e successive
modificazioni.
L’articolo 23 contiene alcune disposizioni transitorie e finali che fanno da raccordo tra il vecchio
testo della legge n. 84 del 1994 ed il nuovo testo
modificato dalle disposizioni del presente disegno
di legge, in relazione al comitato portuale, alla durata degli incarichi dei componenti dei collegi dei
revisori, alla dismissione delle partecipazioni nelle
società che svolgono servizi di interesse generale
(commi 2 e 3).
Con il comma 4 vengono date ulteriori disposizioni
di principio sulle competenze in materia di porti
di interesse regionale e sull’istituzione nei medesimi di una commissione con funzioni consultive
DISEGNO DI LEGGE
ART. 1.
(Modifiche all’articolo 1 della legge 28 gennaio 1994,
n. 84)
3.
3
1. Il comma 1 dell’articolo 1 della legge 28
gennaio 1994, n. 84, e successive modificazioni è sostituito dal seguente: «1.
La presente legge disciplina, in
attuazione dell’articolo 117 della Costituzione, l’ordinamento e
le attività portuali per adeguarli agli
obiettivi del piano generale dei trasporti
e della logistica, dettando contestualmente
princìpi direttivi in ordine all’aggiornamento e
alla definizione degli strumenti attuativi del piano
stesso. Essa determina i principi fondamentali in
materia di porti civili».
ART. 2.
(Modifiche al codice della navigazione) 1. L’articolo
19 del codice della navigazione, di cui al regio decreto 30 marzo 1942, n. 327, è sostituito dal seguente:
«ART. 19. - (Ordinamento e attività portuali). - Fatta
salva la potestà normativa regionale, ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione, l’ordinamento e le
attività portuali sono disciplinati dalla legge.
Per quanto non disciplinato dalla legge si applica il
presente codice».
2. L’articolo 28 del codice della navigazione, di cui
al citato regio decreto n. 327 del 1942, è sostituito
dal seguente: «ART. 28. - (Beni del demanio marittimo). - Fanno parte del demanio marittimo:
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a) il lido, la spiaggia, i porti marittimi esclusi i
porti militari, le rade;
b) le lagune, le foci dei fiumi che sboccano in mare,
i bacini di acqua salsa o salmastra che almeno durante una parte dell’anno comunicano liberamente
colmare;
c) i canali utilizzabili ad uso pubblico marittimo».
ART. 3.
(Modifiche all’articolo 4 della legge 28 gennaio 1994,
n. 84)
1. L’articolo 4 della legge 28 gennaio 1994, n. 84, e
successive modificazioni, è sostituito dal seguente:
«ART. 4. - (Classificazione dei porti). - 1. I porti
marittimi si dividono in:
a) porti di interesse nazionale; b) porti di interesse
regionale; c) porti militari.
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2. In relazione alle dimensioni ed alla tipologia
del traffico, all’ubicazione territoriale ed al
ruolo strategico, nonché ai collegamenti
con la rete nazionale dei trasporti ed
alla valenza quali piattaforme logistiche, i porti di interesse nazionale costituiscono il sistema portuale
di interesse nazionale in quanto nodi
essenziali per l’esercizio delle competenze
esclusive dello Stato.
3. All’individuazione dei porti che costituiscono il
sistema di cui al comma 2 si provvede, sulla base
dei criteri definiti con decreto del Presidente della
Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei
Ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e trasporti, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome di Trento e Bolzano, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, da
esprimere entro trenta giorni dalla data di assegnazione. Con il medesimo procedimento si provvede
alle modifiche del decreto di cui al comma 3.
4. I porti marittimi di interesse nazionale sono amministrati dalle autorità portuali.
a) individuazione di un soggetto pubblico in una
delle autorità portuali esistenti in ambito regionale
o in regione confinante, ovvero l’autorità marittima,
ovvero l’ente locale competente, a cui attribuire i
compiti di regolazione e l’attività di amministrazione delle aree portuali;
b) esercizio esclusivo da parte di soggetti privati
delle attività d’impresa e commerciali.
6. Nelle more della attuazione delle disposizioni di
cui al comma 5, le relative competenze sono esercitate dall’autorità marittima.
7. I porti di cui al comma 1, lettere a) e b) possono
avere, anche congiuntamente, funzione commerciale, di servizio passeggeri, crocieristica, industriale,
e petrolifera, peschereccia e da diporto. Le funzioni
di ciascun porto sono determinate nel piano regolatore portuale.
8. 1 porti destinati esclusivamente alla nautica da
diporto, ove non ricompresi nella circoscrizione
dell’autorità portuale ovvero, previo accordo con
la regione interessata, nelle aree di preminente
interesse nazionale individuate con il decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri del 21 dicembre 1995, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.
136 del 12 giugno 1996, sono porti di interesse
regionale.
9. Si definiscono porti militari di cui alla lettera
c), comma 1, del presente articolo, i porti o le aree
portuali continuativamente funzionali alle esigenze di difesa militare dello stato; essi fanno parte del demanio militare e sono amministrati dallo
Stato cui spetta l’onere per la realizzazione delle
opere portuali, comprese quelle di grande infrastrutturazione. Entro sei mesi dall’entrata in vigore
della presente legge il Ministro della Difesa di concerto con il Ministro delle infrastrutture e trasporti
procede, con decreto, alla individuazione, dei porti e delle aree portuali militari, e ne determina le
caratteristiche.
e
5. Ferme le competenze statali ai sensi degli articoli 117 e 118 della Costituzione, per i porti di interesse regionale, le regioni esercitano, in materia di
infrastrutturazione, di amministrazione delle aree
demaniali marittime e di regolazione delle operazioni e dei servizi portuali, la funzione legislativa
e quella regolamentare, nel rispetto dei princìpi
generali contenuti nella presente legge, nel codice
della navigazione e di quelli di seguito indicati:
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ART. 4.
(Piano nazionale della portualità)
ART. 6.
(Modifiche all’articolo 5 della legge 28 gennaio 1994,
n. 84)
e
1. Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti,
predispone il Piano nazionale della portualità, in
coerenza con le linee guida del Piano generale della
mobilità.
contribuisce alla determinazione degli obiettivi del
piano nazionale della potualità di cui al precedente articolo 4.
ART. 5.
(Sistemi portuali regionali)
1. Al fine di garantire uno sviluppo sinergico della
portualità di interesse nazionale e regionale, nell’ambito di ciascuna regione, ovvero di regioni limitrofe, può essere costituito da una regione, o da più
regioni confinanti, un comitato di coordinamento
della portualità regionale o interregionale.
2. Il comitato di cui al comma 1, è composto da
un rappresentante della regione o delle regioni che
costituiscono il comitato e delle relative province
e comuni, dai rappresentanti delle autorità portuali e dell’autorità marittima, aventi competenza
sui porti della regione o delle regioni costituenti il
comitato.
3. Il comitato di coordinamento promuove forme
di cooperazione fra gli scali portuali della regione o delle regioni che lo costituiscono, al fine di
favorire il potenziamento dell’offerta e la migliore integrazione tra i porti e tra questi e le reti
infrastrutturali terrestri e logistiche. Il comitato
3
3. Per il finanziamento degli interventi previsti dal
comma 1, per la parte di competenza pubblica, si
provvede con gli stanziamenti annuali della legge
finanziaria e con i benefici derivanti dall’attuazione
delle disposizioni in materia di autonomia finanziaria a favore delle autorità portuali, previste dall’articolo 1, commi 982, 983 e dai provvedimenti attuativi di cui al comma 990 della legge 27 dicembre
2006, n. 296, relativi alla quota dei tributi diversi
dalle tasse e i diritti portuali.
1. All’articolo 5 della legge 28 gennaio 1994, n.84,
e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modifiche:
a) al comma 1 le parole da «Nei porti» fino a «lettera e)» sono sostituite dalle seguenti:
«Nei soli porti di cui all’articolo 4, comma 1, lettere
a) e b)» e, in fine, è aggiunto il seguente periodo:
«Il piano regolatore portuale è redatto in coerenza
con le linee guida contenute nel piano nazionale
della portualità.»;
b) il comma 3 è sostituito dal seguente: «3. Il
piano regolatore di ciascun porto rientrante
nella circoscrizione territoriale di un’autorità portuale è adottato dal comitato
portuale d’intesa con il comune o i comuni interessati. L’intesa si intende
raggiunta qua-ora il comune non
comunichi all’autorità portuale un
motivato diniego entro novanta giorni
dalla ricezione della richiesta.»;
c) il comma 4 è sostituito dal seguente: «4.
Qualora non si raggiunga l’intesa, la regione
convoca, su proposta dell’autorità portuale, entro sessanta giorni, una conferenza di servizi tra
regione, comune o comuni interessati ed autorità
portuale. La conferenza, entro i successivi sessanta
giorni, assume, a maggioranza le determinazioni in
ordine al piano regolatore portuale.»
d) il comma 5 è sostituito dal seguente: «5. Esperita la procedura di cui ai commi precedenti, il piano
regolatore portuale è sottoposto alla valutazione
integrata tecnica e di impatto ambientale effettuata da un’apposita commissione paritetica istituita
e disciplinata con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare. La
commissione è composta da componenti del Consiglio superiore dei lavori pubblici e della Commissione per la valutazione d’impatto ambientale e si
esprime sul piano regolatore portuale entro il termine perentorio di sessanta giorni dal ricevimento
della richiesta. Qualora la commissione disponga
3.
2. Il piano, tenendo conto delle previsioni dei piani
regolatori portuali e dei piani triennali delle autorità portuali, nonchè delle indicazioni dei comitati
di coordinamento di cui al successivo articolo 5,
individua gli obiettivi di sviluppo del Sistema portuale nazionale.
231
Quaderni PD.indb 231
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sono assoggettati alla procedura per la valutazione
di impatto ambientale»;
h) il comma 10 è abrogato;
i) il comma 11 è sostituito dal seguente: «11. 1
manufatti da realizzare in ambito portuale a cura
dell’autorità portuale o di concessionari di beni del
demanio marittimo non sono soggetti a concessione edilizia. L’autorità portuale verifica, prima del
rilascio delle autorizzazioni e delle concessioni di
competenza, che tali manufatti rispettino le destinazioni d’uso delle aree e degli specchi acquei e le
prescrizioni tecniche stabilite dal piano regolatore
portuale»;
l) dopo il comma 11 è aggiunto il seguente:
«11-bis). Le previsioni del presente articolo costituiscono principi di riferimento in tema di pianificazione, programmazione, realizzazione delle opere
portuali e di piani regolatori portuali, con riferimento ai porti di interesse regionale non amministrati da autorità portuali».
m) al numero 1) dell’articolo 88 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, le
parole «di cui alla categoria 1 ed alla categoria 11,
classe 1» sono sostituite dalle seguenti: «di interesse nazionale o militari».
ART. 7.
(Modifiche all’articolo 6 della legge 28 gennaio 1994,
n. 84)
1. All’articolo 6 della legge 28 gennaio 1994, n.84,
e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modifiche:
a) il comma 2 è sostituito dal seguente: «2. L’autorità portuale è ente pubblico non economico
di rilievo nazionale ad ordinamento speciale, disciplinato dalla presente legge; essa è dotata di
autonomia amministrativa, salvo quanto disposto
dall’articolo 12, nonché di autonomia di bilancio,
finanziaria e gestionale nei limiti previsti dalla legge. Ad essa non si applicano le disposizioni di cui
alla legge 20 marzo 1975, n. 70, e successive modificazioni, nonché le disposizioni di cui al decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive
modificazioni.»;
b) il comma 3 è sostituito dal seguente: «3. La gestione patrimoniale e finanziaria dell’autorità portuale è disciplinata da un regolamento di contabilità redatto con riferimento, per quanto applicabili
alle autorità portuali, ai principi contenuti nella
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l’acquisizione di pareri da parte di altri enti o amministrazioni il suddetto termine è prorogato una
sola volta e fino ad un massimo di trenta giorni.
Decorso inutilmente il termine, il parere tecnico e
la valutazione di impatto ambientale si intendono
resi in senso favorevole. In caso di esito positivo
della valutazione di cui al presente comma, il piano
regolatore portuale è trasmesso a cura dell’autorità
portuale alla regione per l’approvazione. Il piano si
intende approvato qualora la regione non comunichi all’autorità portuale un motivato diniego entro
sessanta giorni dalla ricezione della richiesta. La
procedura di esame ed approvazione dei piani regolatori portuali si applica anche alle varianti dei
medesimi.»;
e) il comma 7 è sostituito dal seguente: «7. Le
autorità portuali provvedono alla realizzazione delle opere portuali, comprese quelle di grande infrastrutturazione, utilizzando risorse proprie e, comunque nelle more della completa attuazione
di quanto previsto dal comma 990, dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2006,
n. 296, risorse a carico del bilancio
dello Stato assegnate annualmente
a ciascuna autorità portuale sulla
base dei rispettivi piani operativi
triennali adottati ai sensi dell’articolo
9, comma 2, lettera a) ed approvati dal
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti
in conformità con i piani di settore. Le regioni
e i comuni interessati possono attribuire alle autorità portuali proprie risorse per la realizzazione di
opere. Le autorità portuali possono concorrere alla
realizzazione di opere nell’ambito della propria circoscrizione con proprie risorse, nel caso imponendo,
fino al completo ammortamento dell’investimento
realizzato, soprattasse a carico delle merci imbarcate o sbarcate ovvero aumentando la misura del
canoni di concessione demaniale marittima. L’onere
per la realizzazione delle opere portuali, comprese
quelle di grande infrastrutturazione è a carico della
regione interessata nei porti di competenza regionale.»;
f) il comma 8 è abrogato.
g) al comma 9, l’ultimo periodo è sostituito dal
seguente: «Sui relativi progetti è acquisito il parere
di cui all’articolo 6, comma 5, della legge n. 109
del 1994 e successive modificazioni. Tali progetti,
se costituenti attuazione o adeguamento tecnicofunzionale di piani regolatori portuali vigenti, non
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ART. 8.
(Modifiche all’articolo 7 della legge 28 gennaio 1994,
n. 84)
1. L’articolo 7 della legge 28 gennaio 1994, n. 84,
e successive modificazioni, è sostituito dal seguente: «ART. 7. - (Organi dell’autorità portuale). - I.
Sono organi dell’autorità portuale:
e
legge 3 aprile 1997, n. 94, ed approvato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di concerto
con il Ministero dell’economia e delle finanze.»;
c) al comma 6 sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «sempre che tali società non vengano
a svolgere, di fatto, attività aventi connessioni,
dirette, con le attività di erogazione dei servizi e
delle operazioni portuali. I dipendenti ed i componenti degli organi dell’autorità portuale possono
assumere cariche nelle società da essa partecipate
a titolo gratuito, ovvero riversando i relativi compensi all’autorità portuale di appartenenza.»;
d) il comma 7 è sostituito dal seguente: «7. Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, con proprio decreto, d’intesa con la Regione interessata,
individua o modifica i limiti della circoscrizione territoriale, ivi compresi gli specchi acquei esterni alle
difese foranee qualora interessati dal traffico portuale e dalla prestazione di servizi portuali ovvero
dalla realizzazione di impianti destinati ad operazioni di imbarco e sbarco.»; e) il comma 8 è sostituito dal seguente: «8. Con decreto del Presidente
della Repubblica, su proposta del Ministro delle
infrastrutture e dei trasporti, ai sensi della legge
23 agosto 1988, n. 400, possono essere istituite
ulteriori autorità portuali nei porti aventi i requisiti
di cui al regolamento adottato ai sensi dell’articolo
1, comma 989-bis, della legge 27 dicembre 2006,
n. 296, e successive modificazioni, qualora si sia
verificata l’impossibilità di ricomprendere tale porto nella circoscrizione territoriale di una autorità
portuale già esistente.».
f) dopo il comma 8, è inserito il seguente:
«8-bis. Fino alla nomina del presidente delle autorità portuali istituite ai sensi del comma 8, con
decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti è nominato un commissario nonché, ove ritenuto necessario, un commissario aggiunto, scelti
tra funzionari dell’amministrazione aventi competenza nel settore.»;
g) il comma 10 è sostituito dal seguente:
«10. Le autorità portuali sono soppresse con la procedura di cui al comma 8, quando vengano meno
i requisiti di cui al regolamento adottato ai sensi
dell’articolo 1, comma 989-bis, della citata legge
n.296 del 2006.»;
h) il comma 12 è sostituto dal seguente: «12. È
fatta salva la disciplina vigente per i punti franchi
compresi nella circoscrizione territoriale delle autorità portuali».
a) il Presidente;
b) il Comitato portuale;
c) il Collegio dei Revisori dei conti.
3.
3
2. Gli emolumenti del presidente, del commissario,
del commissario aggiunto e dei componenti del
collegio dei revisori dei conti, nonché i gettoni
di presenza dei componenti del comitato portuale
sono a carico del bilancio dell’autorità portuale e
sono determinati con decreto del Ministro delle
infrastrutture e dei trasporti, di concerto con
il Ministro dell’economia e delle finanze tenendo conto di criteri oggettivi individuati, nel decreto medesimo, avendo
riguardo all’attività e rilevanza dell’ente, alla consistenza della sua
circoscrizione territoriale nonché al
volume delle entrate correnti.
3. Con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti vengono disposti la revoca del mandato del presidente e lo scioglimento
del comitato portuale qualora:
a) decorso il termine di cui all’art. 9, comma 2,
lettera a), il piano operativo triennale non sia approvato nel successivo termine di trenta giorni;
b) il conto consuntivo evidenzi un disavanzo.
4. Con il decreto di cui al comma 3, il Ministro dei
trasporti nomina altresì un commissario nonché,
ove ritenuto necessario, un commissario aggiunto, scelti tra funzionari del ministero dei trasporti
aventi competenza nel settore marittimo, che esercita le attribuzioni conferitegli con il decreto stesso fino alla nomina del presidente. Con le stesse
modalità si provvede nei casi in cui la carica risulti
temporaneamente priva del titolare.».
ART. 9.
(Modifiche all’articolo 8 della legge 28 gennaio
1994, n. 84)
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Quaderni PD.indb 233
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3) alla lettera i) le parole da «nel ri spetto» a «commi 1 e 3» sono soppresse;
4) la lettera l) è soppressa;
5) dopo la lettera m) è aggiunta la seguente lettera
m-bis):
«m-bis) disciplina con propria ordinanza gli accessi
e i permessi di ingresso ai porti di competenza ed
esercita le competenze di cui all’articolo 6, comma
7, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285,
e successive modifiche, e provvede con proprio
provvedimento a conferire al personale dell’autorità portuale le funzioni di cui all’articolo 17, comma
132, della legge 15 maggio 1997, n. 127, esercitabili nell’ambito della circoscrizione territoriale
dell’autorità portuale».
ART. 10.
(Modifiche all’articolo 9 della legge 28 gennaio 1994,
n. 84)
1. L’articolo 9 della legge 28 gennaio 1994, n. 84,
è sostituito dal seguente:
«ART. 9. - (Comitato portuale). - I. Il comitato portuale è composto:
a) dal presidente dell’autorità portuale, che lo presiede;
b) dal comandante del porto sede dell’autorità portuale, con funzioni di vicepresidente;
c) da un dirigente designato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
d) da un dirigente dell’Ufficio dell’Agenzia del demanio competente per territorio, qualora la circoscrizione dell’autorità portuale rientri nell’ambito
di più circoscrizioni demaniali il rappresentante è
designato dall’Agenzia del demanio;
e) da un dirigente dell’ufficio dell’Agenzia delle Dogane competente per territorio, qualora la circoscrizione dell’autorità portuale rientri nell’ambito
di più circoscrizioni doganali il rappresentante è
designato dall’Agenzia delle dogane;
f) dal presidente della regione o da un suo delegato;
g) dal presidente della provincia o delle province
comprese nella circoscrizione territoriale dell’autorità portuale, ovvero da loro delegati;
h) dal Sindaco del comune o dei comuni compresi
nella circoscrizione territoriale dell’autorità portuale, ovvero da loro delegati;
i) dai presidenti delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura comprese nella cir-
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1. All’articolo 8 della legge 28 gennaio 1994, n. 84,
sono apportate le seguenti modificazioni:
a) i commi 1 ed 1-bis sono sostituiti dai seguenti:
1. Il Presidente dell’autorità portuale è nominato
dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti,
d’intesa con la regione interessata, nell’ambito di
una rosa di esperti di massima e comprovata qualificazione professionale nei settori dell’economia
dei trasporti e portuale designati, uno ciascuno,
rispettivamente dalle province, dai comuni e dalle
camere di commercio, industria, artigianato agricoltura, la cui competenza territoriale coincide, in
tutto o in parte, con la circoscri zione dell’autorità
portuale. La designazione è richiesta dal Ministro
delle infrastrutture e dei trasporti almeno sei mesi
prima della scadenza del mandato del presidente
uscenta ovvero all’atto di nomina del commissario
di cui agli articoli 6 e 7. La designazione dei singoli
enti è comunicata al Ministro delle infrastrutture
e dei trasporti entro novanta giorni dalla richiesta. In caso di non ottemperanza, entro
il predetto termine, la designazione si
intende comunque resa.
1-bis. Esperite le procedure di cui
tale comma 1, qualora entro trenta giorni non raggiunga l’intesa con
le regioni interessate il Ministro delle infrastrutture e dei trasponi indica il
prescelto nell’ambito di una terna formulata
a tal fine dal presidente della giunta regionale
il quale tiene conto anche delle indicazioni degli
enti locali e delle camere di commercio, industria,
artigianato agricoltura interessati, e comunque
deve pre vedere l’indicazione avanzata dal Sindaco, del comune sede dell’autorità portuale. Ove il
presidente della giunta regionale non provveda alla
indicazione della terna entro trenta giorni dalla richiesta allo scopo indirizzatagli dal Ministro delle
infrastrutture e dei trasporti, questi chiede al Presidente del Consiglio dei ministri di sottoporre la
questione al Consiglio dei ministri, che provvede
con deliberazione motivata.»;
b) al comma 3 sono apportate le seguenti modifiche:
1) alla lettera d) le parole della segreteria tecnicooperativa» sono sostituite con le parole «dell’autorità portuale»;
2) alla lettera h), dopo le parole «amministra» inserire «in via esclusiva, fatti salvi gli effetti dominicali e dei confini doganali;
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i) approva, su proposta del presidente, il regolamento di contabilità, da sottoporre all’approvazione
del ministero dei trasporti di concerto col ministero
dell’economia e delle finanze;
l) approva, su proposta del presidente, la partecipazione dell’autorità portuale alle società di cui
all’articolo 6, comma 6;
m) approva la relazione annuale sull’attività promozionale, organizzativa ed operativa del porto,
sulla gestione dei servizi di interesse generale e
sulla manutenzione delle parti comuni nell’ambito
portuale, nonché sull’amministrazione delle aree
e dei beni del demanio marittimo ricadenti nella
circoscrizione territoriale dell’autorità portuale, da
inviare entro il 30 aprile dell’anno successivo al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
m) delibera in ordine alle concessioni di cui all’articolo 6, comma 5;
n) delibera su proposta del presidente, in ordine
alle autorizzazioni di cui all’articolo 16 ed alle
concessioni di cui all’articolo 18 di durata
superiore ai sei anni, determinando l’ammontare dei relativi canoni, nel secondo caso in conformità dei criteri di
cui all’articolo 18, comma 7;
o) delibera in ordine agli accordi
sostitutivi.
3.
2. Il comitato portuale:
a) approva, entro novanta giorni dalla sua prima
costituzione, su proposta del presidente, il piano
operativo triennale, soggetto a revisione annuale,
concernente le strategie di sviluppo delle attività
portuali e gli interventi volti a garantire il rispetto
degli obiettivi prefissati, il piano operativo triennale e le sue revisioni annuali sono inviate al Ministero delle infrastrutture dei trasporti;
b) approva il programma triennale delle opere di
cui all’articolo 128 del decreto legislativo 12 aprile
2006, n. 263;
c) adotta il piano regolatore portuale;
d) approva il bilancio di previsione, obbligatoriamente in pareggio o in avanzo, le note di variazione e il rendiconto generale;
e) adotta il regolamento di cui all’articolo 17, comma 3;
f) delibera, su proposta del presidente, la nomina
e l’eventuale rimozione dall’incarico del direttore
generale;
g) delibera, su proposta del presidente, tenuto
conto delle compatibilità di bilancio e sentito il
direttore generale, la pianta organica della struttura tecnica ed amministrativa dell’autorità portuale,
allegando una relazione illustrativa delle esigenze
di funzionalità che la giustificano;
h) delibera in materia di recepimento degli accordi
contrattuali relativi al personale dell’autorità portuale;
3
e
coscrizione dell’autorità portuale ovvero loro delegati;
l) da quattro rappresentanti delle seguenti categorie: 1) armatori; 2) agenti raccomandatari marittimi; 3) industriali; 4) imprenditori di cui agli
articoli 16 e 18; 5) imprese di spedizione; 6) imprese di autotrasporto operanti nell’ambito portuale;
7) imprese ferroviarie operanti nel porto. I rappresentanti sono designati congiuntamente previe opportune intese tra le rispettive organizzazioni di
categoria, per i soggetti di cui ai punti da 1) a 5), il
Comitato centrale dell’Albo degli autotrasportatori,
per le imprese di cui al punto 6), e le stesse imprese ferroviarie di cui al punto 7);
m) da quattro rappresentanti dell’insieme dei lavoratori che operano nel porto delle imprese di cui
agli articoli 16, 17 e 18 e dei dipendenti dell’autorità portuale, designati dalle organizzazioni sindacali
maggiormente rappresentative a livello nazionale.
3. I componenti di cui alle lettere l) e m)
del comma 1 sono nominati dal presidente e
durano in carica per un quadriennio dalla data di
insediamento del comitato portuale. Le loro designazioni devono pervenire al presidente entro due
mesi dalla richiesta, avanzata dallo stesso tre mesi
prima della scadenza del mandato dei componenti.
Decorso inutilmente il termine per l’invio di tutte
le designazioni, il comitato portuale è validamente
costituito nella composizione risultante dai membri
di diritto e dai membri di nomina del presidente già
designati e nominati. I membri nominati e designati nel corso del quadriennio restano in carica fino al
compimento del quadriennio stesso. Non possono
essere nominati, ovvero decadono dal loro incarico
i componenti del comitato di cui alle lettere l) ed
m) del comma 1, che abbiano promosso o promuovano un contenzioso legale nei confronti dell’autorità portuale.
4. Il comitato portuale è presieduto dal presidente
dell’autorità portuale e, in caso di assenza o impe-
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competenti sostituiscono le intese, i concerti, i
pareri e gli atti di assenso comunque denominati
previsti dalle norme vigenti nelle materie oggette
delle deliberazioni medesime».
ART. 11.
(Modifiche all’articolo 10 della legge 28 gennaio
1994, n. 84)
1. All’articolo 10 della legge 28 gennaie 1994, n.
84, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) Le parole: «Segretario Generale e Segretariato
Generale», ovunque ricorrano sono sostituite, rispettivamente dalle seguenti: «Direttore Generale
e Direzione Generale»; b) al comma 6 aggiungere
in fine le seguenti parole: «In sede di contrattazione nazionale sono fissati i limiti alla contrattazione
integrativa.»;
c) dopo il comma 6 inserire il seguente: «6-bis. Ai
componenti degli organi dell’Autorità Portuale ed
al Direttore Generale, nel corso dell’incarico ed alla
scadenza dello stesso, non può essere conferita la
qualifica di Dirigente presso la stessa Autorità o in
società dalla stessa partecipata».
ART. 12.
(Modifiche all’articolo II della legge 28 gennaio
1994, n.84)
1. All’articolo 11 della legge 28 gennaio 1994, n.
84 sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, primo periodo, le parole da: «Il
collegio» fino a «ufficiali dei conti» sono sostituite
dalle seguenti: «Il Collegio dei revisori dei conti
è composto da tre membri effettivi e tre supplenti, nominati con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di cui due effettivi e due
supplenti scelti tra i funzionari del Ministero dei
trasporti, in proporzione almeno maggioritaria tra
quelli iscritti all’albo dei revisori ufficiali dei conti
ovvero tra coloro che abbiano svolto tale funzione
per almeno un triennio».
ART. 13.
(Modifiche all’articolo 12 della legge 28 gennaio
1994, n. 84)
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dimento, dal vice presidente e si riunisce, su convocazione del presidente, di norma una volta ogni
due mesi e ogni qualvolta lo richieda un terzo dei
componenti. Per la validità delle sedute è richiesta la presenza della metà più uno dei componenti
in prima convocazione e di un terzo dei medesimi
in seconda convocazione. Le deliberazioni sono assunte a maggioranza dei presenti. In caso di parità
prevale il voto del presidente. Il comitato portuale
adotta un regolamento per disciplinare lo svolgimento delle sue attività del comitato con il concorso almeno della metà più uno dei componenti di
cui al comma 1, dalla lettera a) alla lettera g); per
la validità delle sedute in seconda convocazione è
richiesta la presenza di un terzo dei componenti
del comitato con il concorso di almeno un terzo
dei componenti di cui al comma 1, dalla lettera
a) alla lettera g). Le deliberazioni sono assunte a
maggioranza dei presenti con il concorso almeno
della metà dei componenti di cui al comma 1,
dalla lettera a) alla lettera g); le deliberazioni di cui al comma 2, lettere a), b),
c) e d) sono assunte con la maggioranza dei due terzi dei presenti con
il concorso almeno della metà più
uno dei componenti di cui al comma 1, dalla lettera a) alla lettera g).
Qualora, per dimissioni o altri eventi, il
numero dei rappresentanti scenda al di sotto
della metà più uno, il comitato portuale deve
essere ricostituito. Il comitato portuale adotta un
regolamento per disciplinare lo svolgimento delle
sue attività, ferma restando l’inderogabilità delle
disposizioni di cui ai periodi precedenti.
5. Al fine di favorire i processi di aggregazione tra
porti nell’ambito di una unica autorità portuale e di
valorizzare le singole realtà locali presenti all’interno del comitato, sulle materie di cui alle lettere c),
e), l), m) e n). del comma 2, del presente articolo,
i rappresentanti di cui alle lettere d), e), f) e g)
de] medesimo comma 1, nonché i comandanti dei
porti che rientrano nell’ambito della circoscrizione
dell’autorità portuale quando non coincidente con il
componente del comitato portuale di cui al comma
1 lettera b), si esprimono in via esclusiva relativamente ai porti di propria competenza territoriale.
6. Fatto salvo quanto previsto per l’approvazione
del piano regolatore portuale, le deliberazioni del
comitato portuale adottate con il voto favorevole
dei rappresentanti delle amministrazioni pubbliche
1. L’articolo 12 della legge 28 gennaio 1994, n. 84,
e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:
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«ART. 12. - (Vigilanza sull’autorità portuale). - 1.
L’autorità portuale è sottoposta alla vigilanza del
Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.
e
2. Le delibere relative al bilancio di previsione, alle
eventuali note di variazione ed al rendiconto generale sono soggette all’approvazione del Ministero
delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con
il Ministero dell’economia e delle finanze, secondo
le procedure di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 9 novembre 1998, n. 439.
n. 47, convertito, con modificazioni, dalla legge 16
aprile 1974, n.177, e successive modificazioni;
e) dal gettito della tassa di ancoraggio di cui al
capo I del titolo I della legge 9 febbraio 1963, n.
82 e successive modificazioni, nonché dal gettito di
quota parte dei tributi diversi dalle tasse e diritti
portuali attribuita alle autorità portuali in attuazione di quanto previsto dall’articolo 1, comma 990,
della legge n. 296 del 2006;
f) dagli introiti per addizionali su tasse, canoni e
diritti imposti per l’espletamento dei compiti di
vigilanza e per la fornitura di servizi di sicurezza
previsti nei piani di sicurezza portuale ovvero in relazione a quanto disposto all’articolo 5 comma 7;
g) dai contributi delle regioni, degli enti locali ed altri
enti ed organismi pubblici; h) da entrate diverse».
1. Il comma 1 dell’articolo 13, della legge 28 gennaio 1994, n. 84, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:
1. Le entrate delle autorità portuali sono costituite:
a) dai canoni di concessione dei beni del demanio
marittimo e del mare territoriale compresi nella circoscrizione territoriale nonché dai canoni per le autorizzazioni di cui agli articoli 16 e 17. Le autorità
portuali non possono determinare canoni di concessione demaniale marittima per scopi turistico-ricreativi, fatta eccezione per i canoni di concessione di aree destinate a porti turistici, in misura più
elevata di quanto stabilito dalle autorità marittime
per aree contigue e concesse allo stesso fine;
b) dagli eventuali proventi derivanti dalle cessioni di
impianti di cui all’articolo 20, comma 2, lettera c);
c) dal gettito della tassa sulle merci sbarcate ed
imbarcate di cui al capo III del titolo II della legge
9 febbraio 1963, n.82, ed all’articolo 1 della legge 5
maggio 1976, n. 355, e successive modificazioni;
d) dal gettito della tassa erariale di cui all’articolo
2, comma 1, del decreto legge 28 febbraio 1974,
1. I commi 1-bis e 1-ter, dell’articolo 14,
della legge 28 gennaio 1994, n. 84,
sono sostituiti dai seguenti:
«1-bis. I servizi tecnico nautici
di pilotaggio, rimorchio, ormeggio
e battellaggio sono servizi di interesse
generale atti a garantire nei porti, ove essi
sono istituiti, la sicurezza della navigazione
e dell’approdo. Fatta salva, fino a disposizione
contraria, la validità dei vigenti provvedimenti
definitivi emanati a riguardo, l’obbligatorietà dei
suddetti servizi stabilita, su proposta dell’autorità
marittimi d’intesa con l’autorità portuale ove istituiti con provvedimento del Ministero delle infra
strutture e dei trasporti che ne fissa i limiti sentite le rappresentanze nazionali unitari dei soggetti
erogatori dei servizi e degl utenti degli stessi. In
caso di necessità e d urgenza l’autorità marittima,
previa informa zione all’autorità portuale, ove istituita, può, rendere temporaneamente obbligatorio
l’im piego dei citati servizi per un periodo no superiore a trenta giorni, prorogabili un sola volta. Nei
porti ricompresi nella circo scrizione territoriale di
una autorità portual la disciplina e l’organizzazione
dei servizi tecnico nautici di cui al presente commi
sono stabilite dall’autorità marittima di intesa con
l’autorità portuale, sentite, in veste consultiva, le
rappresentanze unitarie dei soggetti erogatori dei
servizi e degli utenti degli stessi. In mancanza di
3
ART. 14.
(Modifiche all’articolo 13 della legge 28 gennaio
1994, n.84)
ART. 15.
(Modifiche all’articolo 14 della legge 28 gennaio
1994, n. 84)
3.
3. Le delibere relative alla determinazione della
pianta organica dell’autorità portuale e quelle relative all’approvazione del piano operativo triennale e delle sue revisioni annuali, nonché quelle
di approvazione dei regolamenti di cui all’articolo
18, comma 10, della presente legge sono soggette all’approvazione del Ministro delle infrastrutture
e dei trasporti. Qualora l’approvazione non intervenga entro quarantacinque giorni dalla ricezione,
le delibere sono esecutive».
237
Quaderni PD.indb 237
09/02/2009 19.36.13
intesa provvede il Ministero delle infrastrutture e
dei trasporti.
1-ter. I criteri di formazione delle tariffe dei servizi di pilotaggio e di rimorchio, di cui agli articoli
91 e 101 del codice della navigazione, e di ormeggio e battellaggio, di cui agli articoli 212 e 215
del regolamento, per l’esecuzione del codice della
navigazione, sono stabiliti dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sulla base di un istruttoria
condotta dallo stesso Ministero, congiuntamente
al Comando generale del Corpo delle capitanerie di
porto, alla Associazione porti italiani e alle rappresentanze unitarie nazionali dei soggetti erogatori
dei servizi e degli utenti degli stessi».
ART. 16.
(Modifiche all’articolo 15 della legge 28 gennaio
1994, n. 84)
1. All’articolo 15 della legge 28 gennaio 1994,
n.84, e successive modificazioni, sono apportate le
seguenti modifiche:
a) il comma 1 è sostituito dal seguente: «1. Con atto
del presidente dell’autorità portuale, è istituita in
ogni porto ricompreso nella circoscrizione dell’autorità portuale, una commissione consultiva composta
da tre rappresentanti dei lavoratori delle imprese che
operano nel porto, da un rappresentate dei dipendenti dell’autorità portuale e da quattro rappresentanti
delle categorie imprenditoriali, designati secondo le
e
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2. Dopo il comma 1-ter dell’articolo 1 della citata legge n. 84 del 1994, sono aggiunti i seguenti
commi:
«l-quater. Le tariffe dei servizi tecnici, nautici,
di cui al comma 1-bis, relative e singoli porti,
sono stabilite, in ottemperanza ai criteri e
meccanismi di cui al comm 1-ter, attraverso un’istruttoria condotta in sede
ministeriale alla quale partecipano
l’autorità marittima e l’autorità
portuale, che possono essere anche
rappresentate ovvero assistite rispettivamente dal Comando generale del Corpo
delle capitanerie di porto e dalla Associazione porti italiani, nonché, in veste consultiva, le
rappresentanze unitarie nazionali degli erogatori
dei servizi e degli utenti degli stessi. La predetta
istruttoria ministeriale termina con la conseguente
proposta di variazione tariffaria avanzata dall’autorità marittima di intesa con l’autorità portuale, ove
istituita, e sottoposta all’approvazione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. In difetto di
intesa ovvero di mancata approvazione ministeriale
il provvedimento tariffario definitivo verrà emanato
dall’autorità marittima su disposizioni impartite dal
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
1-quinquies. Il Ministero delle infrastrutture e dei
trasporti è autorizzato ad emanare un regolamento, ai sensi dell’articolo 17, comma 3 della legge
23 agosto 1988, n. 400, volto ad individuare, per
i porti ove già esiste il servizio di rimorchio, i parametri operativi e gestionali in presenza dei quali,
ferma restando l’unicità e l’inscindibilità del servizio
di rimorchio disciplinato dalla stessa concessione,
sarà possibile introdurre una tariffa di prontezza
operativa. Detti parametri dovranno indicare quando l’insufficienza del fatturato, comprensivo di eventuali altri ricavi di natura ricorrente, continuativa e
non occasionale, dovrà essere considerata notevole
e strutturale e quando debba considerarsi particolarmente elevato il divario tra il numero delle navi che
si avvalgono del servizio di rimorchio e quelle che
non se ne avvalgono. Nei porti in cui si riscontrano
tali parametri, l’autorità marittima, qualora ritenga
indispensabile un presidio di rimorchio, d’intesa con
l’autorità portuale, ove istituita, e sentite le rappresentanze nazionali unitarie dei soggetti erogatori
del servizio e degli utenti dello stesso può introdurre, attraverso l’apertura di una istruttoria a livello ministeriale come disciplinata al comma 1-quater,
una apposita tariffa di prontezza operativa per le
navi che scalano il porto. Il gettito complessivo di
detta tariffa dovrà essere tale da integrare il fatturato derivante dal servizio di rimorchio, comprensivo
di eventuali altri ricavi di natura ricorrente, continuativa e non occasionale, in modo da consentire il
raggiungimento dell’equilibrio gestionale derivante
dall’applicazione dei criteri e meccanismi tariffari di
cui al comma 1-ter del presente articolo.
1-sexies. Ai fini della prestazione dei servizi tecnico nautici, di cui al comma 1-bis, per porti o per
altri luoghi di approdo o di transito delle navi si
intendono le strutture di ormeggio presso le quali
si svolgono operazioni di imbarco e sbarco di merci
e passeggeri come banchine, moli, pontili, piattaforme, boe, torri, navi o galleggianti di stoccaggio
temporaneo e punti di attracco, in qualsiasi modo
realizzate anche nell’ambito di specchi acquei
esterni alle difese foranee».
238
Quaderni PD.indb 238
09/02/2009 19.36.13
f) dopo il comma 7-ter è aggiunto il seguente:
«7-quater. Le eventuali situazioni di crisi o ristrutturazione aziendale delle imprese di cui al presente
articolo, anche concessionarie ai sensi dell’articolo
18, sono disciplinate dalle norme e dalle procedure
di cui alla legge 23 luglio 1991, n. 223».
e
procedure indicate all’articolo 9, comma 1, lettere
h) ed i), della presente legge. La commissione è presieduta dal presidente dell’autorità portuale».
b) Al comma 1-bis le parole «al Ministro dei trasporti e della navigazione» sono sostituite dalle
seguenti: «all’autorità portuale».
ART. 17.
(Modifiche all’articolo 16 della legge 28 gennaio
1994, n. 84)
ART. 18.
(Modifiche all’articolo 17 della legge 28 gennaio
1994, n. 84)
1. All’articolo 16 della legge 28 gennaio 1994,
n.84, e successive modificazioni, sono apportate le
seguenti modificazioni:
a) il comma 3-bis è sostituito dal seguente:
«3-bis. Le operazioni ed i servizi portuali di cui al
comma 1, non possono svolgersi in deroga all’articolo 86, comma 5, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, salvo quanto previsto dall’articolo 17 della presente legge.»;
b) al comma 4, la lettera d) è sostituita dalla seguente:
«d) i criteri inerenti il rilascio di autorizzazioni
specifiche per l’esercizio delle operazioni portuali, da effettuare all’arrivo o alla partenza di navi
che, allo scopo di tutelare la salute e la sicurezza
del lavoro, del carico e della nave, siano dotate di
propri mezzi meccanici e di personale regolarmente
iscritto nelle tabelle di armamento della nave specificatamente dedicato alle operazioni da svolgere,
dotate di idonee tabelle di armamento, di propri
mezzi meccanici e di proprio personale adeguato
alle operazioni da svolgere, nonché per la determinazione di un corrispettivo e di idonea cauzione.
Tali autorizzazioni non rientrano nel numero massimo di cui al comma 7;»;
c) al comma 4, dopo la lettera d), è aggiunta la
seguente:
«d-bis) criteri per i requisiti di carattere tecnico
organizzativo degli operatori e delle imprese richiedenti, atti ad integrare le vigenti norme in materia
di sicurezza e igiene del lavoro.»;
d) al primo periodo del comma 6, le parole da: «ovvero» fino a: «medesima» e le parole: «o a seguito
del rinnovo della concessione» sono soppresse;
e) al comma 7-bis le parole da: «nonché» fino a:
«portuale» sono sostituite dalle parole «ivi compresi gli oli minerali, siti entro i confini del demanio
marittimo e del mare territoriale ovvero comunque
collegati al mare.»;
1. L’articolo 17 della legge 28 gennaio 1994, n. 84,
è sostituito dal seguente:
«ART. 17. - (Disposizioni in materia di lavoro nei porti). - 1. La fornitura di lavoro temporaneo alle imprese di cui agli articoli 16 e 18, resa nell’interesse nonché sotto il controllo dell’utilizzatore, è disciplinata
dal presente articolo e non può essere svolta senza
autorizzazione rilasciata dall’autorità portuale o,
laddove non istituita, dall’autorità marittima.
3.
3
2. L’autorità di cui al comma 1, in rapporto alle effettive esigenze delle attività svolte nei porti di competenza,
verifica la necessità di disporre di
un soggetto per la fornitura di lavoro temporaneo alle imprese di cui agli
articoli 16 e 18. Ove tale necessità risulti verificata, la predetta autorità propone, ai
fini dell’approvazione da parte del Ministero delle
infrastrutture e dei trasporti, la consistenza qualitativa e quantitativa iniziale dell’organico del fornitore
di lavoro temporaneo, le successive rideterminazioni
di tale organico, nonché le richieste di assunzione
per l’eventuale copertura dei posti vacanti.
3. Con proprio regolamento, da sottoporre all’approvazione del Ministero delle infrastrutture e trasporti, l’autorità di cui al comma 1:
a) stabilisce i criteri per la determinazione e l’applicazione delle tariffe, da approvare a cura della
medesima autorità;
b) stabilisce procedure per la verifica ed il controllo circa l’osservanza da parte del fornitore di
lavoro temporaneo della parità di trattamento nei
confronti delle imprese utilizzatrici nonché delle
disposizioni in materia di sicurezza sul lavoro;
c) stabilisce le modalità di accertamento delle
giornate di mancato avviamento al lavoro di cui al
comma 14;
239
Quaderni PD.indb 239
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agli articoli 16 e 18 di un’agenzia avente personalità giuridica e sottoposta al controllo dell’autorità medesima. Ai fini dell’implementazione iniziale
del proprio organico, l’agenzia assume i soci e i
dipendenti con contratto di lavoro a tempo indeterminato dell’impresa, eventualmente presente nel
porto, che, nelle more di attuazione del presente articolo, ha prestato, ai sensi dell’articolo 21, comma
1, lettera b), lavoro temporaneo nonché quelli che
hanno lavorato per una società autorizzata ai sensi
dell’articolo 17, in caso di cessazione dell’attività
da parte della società medesima. L’autorità di cui
al comma 1 determina, con proprio regolamento, le
modalità di funzionamento dell’agenzia.
4. Ai fini dell’individuazione del soggetto da autorizzare alla fornitura di lavoro temporaneo, l’autorità di cui al comma 1 esperisce una procedura
accessibile ad imprese italiane e comunitarie con
adeguato personale, risorse proprie e specifica
professionalità nell’esecuzione delle operazioni portuali.
8. Ferme restando le competenze dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, l’autorità di
cui al comma 1, può sospendere l’efficacia o, nei
casi più gravi, revocare l’autorizzazione di cui al
presente articolo qualora accerti la violazione da
parte dei soggetti di cui al comma 5 della normativa generale e di settore o degli obblighi nascenti
dall’esercizio dell’attività autorizzata. Nel caso in
cui la violazione sia commessa da agenzie di cui
al comma 7, la stessa autorità può disporre la sostituzione dell’organo di gestione dell’agenzia medesima.
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d) determina le procedure di monitoraggio periodico del rapporto tra l’organico come sopra determinato e le effettive necessità, ai fini di eventuali
rideterminazioni dell’organico in presenza di nuove
e stabilizzate condizioni;
e) individua le procedure per garantire la continuità del rapporto di lavoro nell’impresa autorizzata
di cui al comma 5, dei soci e dei dipendenti con
contratto di lavoro a tempo indeterminato dell’impresa, eventualmente presente nel porto, che, nelle
more di attuazione del presente articolo, ha prestato, ai sensi dell’articolo 21, comma 1, lettera b),
nel caso di cambiamento della società autorizzata,
prestazioni di lavoro temporaneo.
5. L’impresa autorizzata alla fornitura del lavoro temporaneo è
tenuta al pagamento di un canone
annuo ed alla prestazione di una cauzione nelle misure determinate dall’autorità di cui al comma 1 e non deve esercitare
direttamente o indirettamente le attività di cui
agli articoli 16 e 18. Essa non deve essere detenuta direttamente o indirettamente da una o più imprese di cui agli articoli 16, 18 e non deve detenere partecipazioni anche di minoranza in una o più
imprese di cui agli stessi articoli, impegnandosi, in
caso contrario, a dismettere dette attività e partecipazioni prima del rilascio dell’autorizzazione.
10. La violazione delle disposizioni tariffarie, previste dai regolamenti di cui al comma 3, è punita
con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro
5.000 a euro 30.000.
11. Le autorità portuali, o laddove non istituite le
autorità marittime, inseriscono negli atti di autorizzazione di cui al presente articolo, nonché in quelli
previsti dall’articolo 16 e negli atti di concessione
di cui all’articolo 18, disposizioni volte a garantire un trattamento normativo ed economico minimo
inderogabile ai lavoratori e ai soci lavoratori di
cooperative dei soggetti di cui agli articoli 16, 17,
18 e 21, lettera b). Detto trattamento minimo non
e
6. L’autorizzazione viene rilasciata dall’autorità di
cui al comma 1 entro centoventi giorni dall’individuazione dell’impresa stessa e, comunque, subordinatamente all’avvenuta dismissione di ogni eventuale attività e partecipazione di cui al comma 5.
L’impresa subentrante è tenuta a corrispondere il
valore di mercato di dette attività e partecipazioni
all’impresa che le dismette.
9. L’impresa di cui al comma 5 o l’agenzia di cui
al comma 7, qualora debba soddisfare richieste di
fornitura di lavoro temporaneo eccedenti il proprio
organico, può rivolgersi, quale impresa utilizzatrice, ai soggetti abilitati alla somministrazione di
lavoro temporaneo autorizzati ai sensi del decreto
legislativo n. 276 del 2003.
7. In caso di infruttuoso esperimento della selezione di cui al comma 4, l’autorità di cui al comma
1 promuove la costituzione tra le imprese di cui
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servizi portuali e comunque entro e non oltre il 31
dicembre 2009.
14. Le imprese e le agenzie di cui ai commi 5 e 7
sono tenute al versamento dei contributi previsti
dalla vigente legislazione in materia di cassa integrazione guadagni straordinaria.
e
potrà essere inferiore a quello risultante dal vigente contratto collettivo nazionale dei lavoratori dei
porti, e suoi successivi rinnovi, stipulato dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente
più rappresentative a livello nazionale, dalle associazioni nazionali di categoria più rappresentative
delle imprese portuali di cui ai sopracitati articoli e
dall’Associazione Porti Italiani - Assoporti.
13. Il trattamento di cui al comma 12 è riconosciuto
ai lavoratori addetti alle prestazioni di lavoro temporaneo per l’esecuzione delle operazioni e dei
servizi portuali occupati con contratto di lavoro a
tempo indeterminato nelle imprese di cui all’articolo 21, comma 1, lettera b), della legge 28 gennaio 1994, n. 84; l’indennità è concessa alla data
di individuazione dell’impresa o di costituzione dell’agenzia per la fornitura di prestazioni di lavoro
temporaneo per l’esecuzione delle operazioni e dei
15. Gli oneri derivanti dall’attuazione dei commi 12
e 13 sono determinati nel limite di dodici milioni di
euro annui alla cui copertura si provvede mediante
le maggiori entrate conseguenti all’attuazione del
comma 14 in concorso con il Fondo per l’occupazione di cui all’articolo 1, comma 7, del decretolegge 20 maggio 1993, n. 148, convertito con modificazioni in legge 19 luglio 1993, n. 236.
3
16. L’Istituto nazionale della previdenza sociale
(INPS) effettua il monitoraggio dei provvedimenti
di autorizzazione ai trattamenti di cui ai commi 12 e 13 provvedendo al pagamento delle
prestazioni fino alla concorrenza dell’importo massimo fissato dal comma precedente.
3.
12. A decorrere dal 1° gennaio 2008 ai lavoratori
addetti alle prestazioni di lavoro temporaneo occupati con contratto di lavoro a tempo indeterminato nell’impresa o nell’agenzia di cui ai commi 5
e 7 è riconosciuta un’indennità pari a un ventiseiesimo del trattamento massimo mensile d’integrazione salariale straordinaria previsto dalle vigenti
disposizioni, nonché la relativa contribuzione figurativa e gli assegni per il nucleo familiare, per
ogni giornata di mancato avviamento al lavoro,
nonché per le giornate di mancato avviamento al
lavoro che coincidano, in base al programma, con
le giornate definite festive, durante le quali il lavoratore sia risultato disponibile. Detta indennità è
riconosciuta per un numero di giornate di mancato
avviamento al lavoro pari alla differenza tra il numero massimo di ventisei giornate mensili erogabili e il numero delle giornate effettivamente lavorate in ciascun mese, incrementato dal numero delle
giornate di ferie, malattia, infortunio, permesso e
indisponibilità. L’erogazione dei trattamenti di cui
al presente comma da parte dell’Istituto nazionale
della previdenza sociale è subordinata all’acquisizione degli elenchi recanti il numero, distinto per
ciascuna impresa o agenzia, delle giornate di mancato avviamento al lavoro predisposti dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in base agli
accertamenti effettuati in sede locale dalle competenti autorità portuali o, laddove non istituite,
dalle autorità marittime.
17. A decorrere dal 1° gennaio
2008, l’indennità di mobilità è corrisposta, secondo i criteri stabiliti dalla disciplina di cui agli articoli 5, comma 4, e 16
della legge 23 luglio 1991, n.223, ai lavoratori
dipendenti e/o soci delle imprese e agenzie di cui
ai commi 5 e 7, indipendentemente dal numero di
lavoratori occupati presso le medesime, quando si
verificano situazioni di crisi derivanti da flessioni
del volume delle attività che si svolgono nel porto,
tali da determinare eccedenze strutturali di manodopera.
18. In caso di ricorso all’istituto della mobilità le
imprese e le agenzie sono tenute, per il periodo di
utilizzo, al versamento del corrispondente contributo previsto dalla legislazione vigente.
19. Con regolamento da adottare entro centottanta
giorni dall’entrata in vigore della presente legge, il
Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro del lavoro, della salute e delle
politiche sociali, sentite le organizzazioni sindacali
maggiormente rappresentative a livello nazionale
dei lavoratori, delle imprese e delle agenzie di cui
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Quaderni PD.indb 241
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al presente articolo, nonché l’associazione delle autorità portuali, stabilisce:
a) criteri per la determinazione qualitativa e quantitativa dell’organico iniziale e l’effettuazione delle
verifiche di cui al comma 2;
b) criteri per l’accertamento delle giornate di mancato impiego, come previsto dal comma 3, lettera
c);
c) criteri per la determinazione delle procedure di
monitoraggio periodico di cui al comma 3, lettera
d);
d) criteri per la determinazione del canone e della
cauzione di cui al comma 5».
ART. 19.
(Norme in materia di assunzioni e di contribuzioni
figurative)
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1. Dalla data di entrata in vigore della presente
legge le assunzioni negli organici delle imprese
di cui all’articolo 21, comma 1, lettera b),
della legge 28 gennaio 1994, n. 84, che
alla stessa data erogano prestazioni
di lavoro temporaneo per l’esecuzione delle operazioni e dei servizi
portuali, devono essere preventivamente autorizzate dalle competenti
autorità portuali o, laddove non istituite,
dalle autorità marittime, previa acquisizione
da parte delle medesime di apposito nulla osta
del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; i
lavoratori assunti in assenza delle predette autorizzazioni e del nulla osta ministeriale non acquisiscono il diritto alla corresponsione del trattamento
previsto dall’articolo 17, comma 12, della legge 28
gennaio 1994, n. 84, né alla continuità del rapporto di lavoro di cui ai commi 3, lettera e), e 7 dello
stesso articolo.
ART. 20.
(Modifiche all’articolo 18 della legge 28 gennaio
1994, n. 84)
1. L’articolo 18 della legge 28 gennaio 1994, n. 84,
e successive modificazioni, è sostituito dal seguente: «ART. 18. - (Concessione di aree e banchine). - I.
L’autorità portuale o laddove non istituita, l’autorità marittima, compatibilmente con la necessità
di riservare nell’ambito portuale spazi operativi per
lo svolgimento delle operazioni portuali da parte
di imprese non concessionarie, può concedere alle
imprese di cui all’articolo 16, comma 3, l’occupazione e l’uso, anche esclusivo, di aree demaniali e
banchine, fatta salva l’utilizzazione degli immobili
da parte di Amministrazioni pubbliche per lo svolgimento di funzioni attinenti ad attività marittime e
portuali.
2. È altresì sottoposto a concessione da parte dell’autorità portuale, e laddove non istituita dall’autorità marittima, la realizzazione e la gestione di
opere attinenti alle attività marittime e portuali di
imbarco o sbarco di merci e passeggeri, relative a
banchine, moli, pontili, piattaforme, boe, torri, navi
o galleggianti di stoccaggio temporaneo e punti di
attracco, in qualsiasi modo realizzate, collocate a
mare negli specchi acquei esterni alle difese foranee anch’esse da considerarsi ambiti portuali.
3. La durata delle concessioni non può superare i
sei anni, qualora il concessionario utilizzi aree demaniali e banchine ai fini della mera gestione della
propria attività, senza assumere impegni in ordine
ad investimenti volti a valorizzare la qualità dei
servizi da rendere all’utenza ovvero ad assumere a
proprio esclusivo carico la realizzazione di opere
portuali. La durata delle concessioni può superare
i sei anni, in ragione ed in proporzione dell’entità
degli investimenti che il concessionario si impegna
ad attivare per le anzidette finalità, ma in nessun
caso, può essere superiore ai quaranta anni.
4. Per le concessioni di durata superiore ai sei
anni, nell’atto di concessione è prevista la verifica
biennale della sussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi e delle altre condizioni che hanno
e
2. A far data dalla trasformazione delle compagnie
e gruppi portuali, operata a norma dell’articolo 21
della legge 1994, n. 84, con riferimento a quanto
previsto dall’articolo 8, comma 4, della legge 13
febbraio 1987, n. 26, di conversione del decretolegge 17 dicembre 1986, n. 873, l’accredito della
contribuzione figurativa per ogni giornata di mancato avviamento al lavoro, integrata dall’indennità
pari al trattamento massimo d’integrazione salariale straordinaria previsto dalle disposizioni vigenti,
è calcolato sulla base del valore medio dei salari
erogati per le giornate di effettivo avviamento al
lavoro.
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Quaderni PD.indb 242
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una specifica autonomia e rilevanza, sia svolto in
regime di appalto da altra impresa autorizzata ed
adeguatamente strutturata, a condizione che l’impresa appaltatrice eserciti pienamente il potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori
utilizzati nell’appalto e disponga delle professionalità ed attrezzature specifiche corrispondenti alle
esigenze tecniche dell’attività appaltata. L’impresa
richiedente, ove autorizzata, rimane comunque unica responsabile nei confronti dell’autorità concedente per il rispetto degli obblighi e degli impegni
derivanti dall’autorizzazione e dalla concessione,
anche relativamente alle attività appaltate.
e
determinato il rilascio del titolo, compresa la rispondenza dell’effettivo sviluppo e della qualità del
servizio reso all’utenza alle previsioni dei piani di
investimento di cui all’atto di concessione. L’atto di
concessione deve inoltre contenere le modalità di
definizione ed approvazione dei programmi d’investimento del concessionario, le sanzioni e le altre
specifiche cause di decadenza o revoca della concessione, diverse da quelle generali previste dalle
pertinenti norme del codice della navigazione.
5. Il provvedimento concessorio è adottato all’esito
di selezione effettuata tramite procedura ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi comunitari
di trasparenza, imparzialità, proporzionalità efficienza e parità di trattamento, previe idonee forme
di pubblicità.
7. Le imprese che intendono partecipare alla procedura di cui al comma 5, oltre ai requisiti necessari
per il rilascio dell’autorizzazione di cui all’articolo
16, comma 3, devono anche documentare:
a) un programma di attività volto all’incremento
dei traffici, della produttività del porto e degli
eventuali investimenti programmati, assistito da
idonee garanzie anche fideiussorie, nonché da una
adeguata dotazione di personale e di mezzi;
b) un organico di lavoratori rapportato al programma di attività di cui alla lettera a); c) un apparato
tecnico ed organizzativo adeguato, anche dal punto di vista della sicurezza, a soddisfare le esigenze di un ciclo produttivo ed operativo a carattere
continuativo ed integrato, per conto proprio o di
terzi. 8. L’assetto organizzativo prospettato dall’impresa richiedente può prevedere che l’esercizio
di alcune attività del ciclo operativo non preponderanti e chiaramente identificabili, caratterizzate da
3
3.
6. Le autorità portuali, o le autorità marittime,
riferiscono annualmente al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in merito allo stato delle concessioni in atto ed in particolare al rispetto
delle condizioni poste dall’atto di concessione. Il
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sulla base delle relazioni annuali ricevute, effettua il
monitoraggio sull’ottimale valorizzazione delle aree
portuali e può imporre provvedimenti correttivi diretti alla puntuale osservanza delle condizioni poste dagli atti concessori ed alla maggiore efficienza
e redditività della concessione ovvero ritenuti opportuni nell’interesse generale.
9. L’atto di concessione indica, tra l’altro, le modalità di calcolo, di rivalutazione e di versamento del
relativo canone, il cui importo deve essere parametrato in ragione della prevedibile redditività, per il
concessionario, dell’area o della banchina interessata ed in nessun caso può essere inferiore a
quello derivante dall’applicazione della normativa nazionale in materia di concessioni di beni del demanio marittimo. Nel
caso in cui sia ad esclusivo carico
del concessionario la realizzazione
di opere portuali, anche di grande
infrastrutturazione, ovvero di strutture di difficile rimozione, l’importo del
canone, ad esclusione dei casi in cui esso
sia determinato nel predetto limite minimo,
limitatamente alla zona interessata dalle opere, è
proporzionalmente ridotto. La riduzione complessiva del canone non può superare il venticinque per
cento e, comunque, in nessun caso, l’importo del
canone può, per effetto delle riduzioni, essere determinato in misura inferiore al limite minino.
10. Qualora l’autorità portuale, o quella marittima,
conceda, ai sensi del presente articolo, aree e banchine sulle quali la stessa autorità o un precedente
concessionario abbiano finanziato opere atte a valorizzare il bene demaniale, ivi compresi eventuali mezzi di movimentazione della merce, il canone
verrà determinato considerando il valore di tutti i
beni dati in concessione.
11. In ciascun porto, l’impresa concessionaria, fermo restando quanto previsto dal comma 7, lettera
b), deve esercitare direttamente l’attività oggetto
della concessione e non può avere in concessio-
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ne altri spazi per la medesima attività. Su motivata richiesta dell’impresa concessionaria, in base
a ragioni quali la mancanza transitoria di risorse
organizzative adeguate, che non siano comunque
risolvibili mediante l’utilizzo del soggetto autorizzato ai sensi del precedente articolo 17, l’autorità
concedente può autorizzare l’affidamento ad altre
imprese portuali, già operanti nel porto ai sensi
dell’articolo 16 per lo svolgimento di operazioni
portuali, purchè ciò avvenga mediante contratto di
appalto ai sensi di quanto previsto dall’articolo 29
del decreto legislativo n. 276 del 2003. L’impresa
concessionaria richiedente, ove autorizzata, rimane
comunque unica responsabile nei confronti dell’autorità concedente per il rispetto degli obblighi e
degli impegni derivanti dall’autorizzazione e dalla
concessione anche relativamente alle attività appaltate.
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12. Le autorità concedenti, entro centoottanta
giorni dall’entrata in vigore della presente
legge, sono tenute ad emanare un regolamento che, nel rispetto delle disposizioni del presente articolo,
determini criteri e condizioni per
il rilascio delle concessioni e per la
determinazione dei relativi canoni.
13. Le concessioni assentite in data anteriore all’entrata in vigore della presente legge
restano valide nella loro attuale configurazione
fino alla scadenza del titolo concessorio.
14. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche ai depositi e stabilimenti di prodotti
petroliferi e chimici allo stato liquido, nonché di
altri prodotti affini, ubicati in ambito portuale.
ART. 21.
(Nuova disciplina delle quote dei piloti e modifiche
al regolamento per l’esecuzione del codice della navigazione, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 15 febbraio 1952, n. 328)
2. Al regolamento per l’esecuzione del codice della
navigazione, di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 15 febbraio 1952, n. 358, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il terzo comma dell’articolo 208 è sostituito dal
seguente:
«Contro le risultanze della visita sanitaria di cui
al n. 3 del precedente comma è ammesso ricorso,
entro quindici giorni dalla data di comunicazione
dell’esito della visita stessa, ad una commissione
istituita presso l’ufficio di porto e composta:
1) da un medico designato dal capo del compartimento con funzione di presidente; 2) da un medico
designato dal medico provinciale competente per
territorio;
3) da un medico designato dall’istituto nazionale
per la previdenza sociale.»;
b) dopo il terzo comma dell’articolo 208, è aggiunto il seguente:
«Le designazioni di cui al precedente comma non
possono cadere sul sanitario che ha emesso il giudizio impugnato.»;
c) il secondo comma dell’articolo 214 è sostituito
dal seguente: «L’inabilità di cui al numero 2) del
precedente comma è accertata da una commissione
istituita presso la capitaneria di porto e composta:
1) dal medico di porto di ruolo con funzione di
presidente;
2) da un medico designato dall’istituto nazionale
per la previdenza sociale;
3) da un medico designato dall’istituto nazionale
per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro.»;
d) dopo il secondo comma dell’articolo 214, sono
aggiunti i seguenti:
e
1. Entro centoottanta giorni dalla data di entrata
in vigore della presente legge, gli articoli da 118 a
123 del regolamento di esecuzione del codice della
navigazione, di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 15 febbraio 1952. n. 328, sono modificati con decreto del Presidente della Repubblica,
previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su
proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al fine di ridefinire la disciplina delle quote
dei piloti in relazione alle condizioni di salute ed
all’età prevista per la permanenza in servizio, ai
criteri per la ripartizione dei proventi, all’istituzione di un regime di trattamento di fine servizio da
remunerare all’interno della tariffa di pilotaggio e
di un regime di partecipazione ai proventi per i piloti cancellati dal registro alternativo al predetto
trattamento, alla previsione dei diritti dei piloti
pensionati e delle vedove e degli orfani dei piloti
deceduti, con l’obiettivo di ridurre e rendere omogenea in tutti i porti l’incidenza del sistema delle
quote sulle tariffe del servizio di pilotaggio.
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Quaderni PD.indb 244
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2. A decorrere dalla data di entrata in vigore della
presente legge e fatta salva l’emanazione di leggi
regionali in materia, nei porti di interesse regionale
è istituita, con decreto del ministero dei trasporti,
una commissione con funzioni consultive in ordine
al rilascio alla sospensione o alla revoca delle autorizzazioni e delle concessioni di cui rispettivamente
agli articoli 16, 17 e 18 della citata legge n. 84
del 1994, nonché all’organizzazione del lavoro in
porto, agli organici delle imprese, all’avviamento
della manodopera e alla formazione professionale
dei lavoratori. La commissione è presieduta dal titolare del soggetto pubblico cui è affidata l’amministrazione del porto e composta:
a) da quattro rappresentanti delle seguenti categorie: 1) armatori; 2) agenti e raccomandatari
marittimi; 3) industriali e imprenditori di cui agli
articoli 16 e 18; 4) imprese di spedizione e di
autotrasporto operanti nell’ambito portuale. 1
rappresentanti sono designati ciascuno congiuntamente dalle rispettive organizzazioni
nazionali di categoria compreso, per il
rappresentante di cui al numero 4),
il Comitato centrale dell’Albo degli
autotrasportatori;
b) da quattro rappresentanti dell’insieme dei lavoratori delle imprese
di cui agli articoli 16, 17 e 18 della citata
legge n. 84 del 1994 che operano nel porto
designati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale.
ART. 22.
(Norme transitorie e finali)
a) gli articoli 87, 91, 95, secondo comma, 101,
terzo comma, e 102 del codice della navigazione di
cui al regio decreto 30 marzo 1942, n. 327;
b) l’articolo 212 del Regolamento per l’esecuzione
del codice della navigazione di cui al decreto del
Presidente della Repubblica 15 febbraio 1952, n.
328;
c) gli articoli 26, 27, commi 2 e 4, e 28 della legge
n. 84 del 1994.
1. Entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge i componenti del comitato portuale, di cui
al comma 1, lettere c), l) e m) dell’articolo 9 della
citata legge n. 84 del 1994, sono designati secondo le procedure previste al medesimo articolo, così
come modificato dalla presente legge.
3.
3
e
«Contro le risultanze della visita sanitaria di cui al
precedente comma è ammesso ricorso, entro sessanta giorni dalla data di comunicazione dell’esito
della visita stessa, ad una commissione centrale
istituita presso il ministero dei trasporti e composta:
1) dal capo del servizio competente del Ministro
delle infrastrutture e dei trasporti con funzione di
presidente;
2) da un funzionario medico appartenente al ministero della salute;
3) da due medici designati, rispettivamente, dall’istituto nazionale per la previdenza sociale e dall’istituto nazionale per l’assicurazione contro gli
infortuni sul lavoro;
4) da un medico designato dall’organizzazione sindacale competente.
Le designazioni di cui ai numeri da 2 a 4 del precedente comma non possono cadere sui sanitari che
abbiano fatto parte della commissione che emise il
giudizio impugnato.
Gli accertamenti di cui sopra hanno effetto anche
ai fini del trattamento previdenziale del lavoratore.»;
e) al terzo comma dell’articolo 216, le parole: «nei
modi previsti dai commi secondo e terzo dell’articolo 152» sono sostituite dalle parole: «nei modi previsti dai commi terzo e quarto dell’articolo 208»;
f) al secondo comma dell’articolo 207, le parole:
«nei modi previsti dai commi terzo e seguenti dell’articolo 156» sono sostituite dalle parole: «nei
modi previsti dai commi secondo e seguenti dell’articolo 214»;
g) al secondo comma dell’articolo 218, le parole:
«nei modi previsti dai commi terzo e seguenti dell’articolo 156» sono sostituite dalle parole: «nei
modi previsti dai commi secondo e seguenti dell’articolo 214».
3. Nelle more dell’attuazione delle disposizioni di
cui al comma 4 le relative competenze sono esercitate dall’autorità marittima.
4. A decorrere dall’entrata in vigore della presente
legge, sono abrogati:
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Proposta di legge n. 329
d’iniziativa dei deputati MARIANI, BELLANOVA, BOFFA, BORDO, BRAGA, BRANDOLINI, BRATTI,
CECCUZZI, CODURELLI, DE BIASI, FEDI, FERRARI, FLUVI, FOGLIARDI, FONTANELLI, GHIZZONI,
GIOVANELLI, LOVELLI, MARAN, MARANTELLI, MARGIOTTA, MARTELLA, MIGLIOLI, MISIANI,
MOTTA, NARDUCCI, OLIVERIO, QUARTIANI, RUBINATO, RUGGHIA, SAMPERI, SANGA, SCHIRRU,
SERENI, STRIZZOLO, TIDEI, VANNUCCI, VELO, VICO, VILLECCO CALIPARI, VIOLA, ZUCCHI
Princìpi fondamentali per il governo del territorio.
Delega al Governo in materia di fiscalità urbanistica
e immobiliare
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presentata il 29 aprile 2008
Per affrontare il tema del governo del territorio, dei
suoi princìpi e delle sue regole, è necessario partire
dalle condizioni che hanno determinato le trasformazioni subite dal territorio e dalle città in questi anni, ma anche dalle scelte effettuate e dagli
strumenti utilizzati per «governare il cambiamento». Affrontare questo tema significa, anche oggi,
rendere esplicito e positivo il tema della «leale
collaborazione» tra le istituzioni titolari di diverse competenze che contribuiscono a determinare
le decisioni democratiche, condivise e trasparenti
sugli obiettivi dello sviluppo e della trasformazione
del territorio, rendendo consapevoli i cittadini dell’effetto di tali scelte.
Il ruolo delle regioni è stato determinante, molte
di queste hanno avviato significativi percorsi legislativi, con riforme di nuova generazione in virtù
delle responsabilità che la Costituzione ha loro assegnato.
Il dibattito sul governo del territorio è ormai avviato da più di dieci anni. In questo periodo si
sono registrati alcuni fatti di particolare rilevanza,
passaggi istituzionali e di mutamento della società
italiana; questi elementi sono utili per l’impostazione del nostro ragionamento e riguardano:
e
ONOREVOLI COLLEGHI! − Il tema
del governo del territorio ha una
grande rilevanza per far esprimere all’Italia le sue potenzialità, determinate
dalla complessità e dalla ricchezza del patrimonio urbano, infrastrutturale, storico-artistico, ambientale e paesaggistico. Solo declinando
questi temi in un’ottica di sviluppo sostenibile è
possibile costruire un’ipotesi di modernizzazione e
di innovazione del Paese.
Uno dei punti fondamentali per il rilancio del Paese e per l’azione di governo è rappresentato dalla
sostenibilità ambientale, economica e sociale delle
politiche e delle strategie che interessano il territorio e la sua sicurezza, il sistema delle città e delle
infrastrutture, la qualità dell’ambiente urbano e la
riconversione ecologica del sistema produttivo.
Per vincere questa sfida è necessario pensare alla
qualità del territorio, delle città e della produzione,
come uno dei
«motori» per far ripartire l’Italia, coniugando le opportunità della modernizzazione con il limite delle
risorse non rinnovabili, a cominciare dal suolo, dall’aria e dall’acqua, e con le politiche di solidarietà,
di equità e di inclusione sociali.
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Quaderni PD.indb 246
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pazione dello Stato, delle regioni, delle province,
dei comuni e delle città metropolitane per costituire un «sistema unico coordinato» del governo del
territorio;
3) la possibilità di creare le condizioni per rafforzare la capacità di governo del territorio da parte
delle amministrazioni locali per la riqualificazione
delle città, per la manutenzione del territorio, per
lo sviluppo dell’impresa agricola multifunzionale e
per la prevenzione dai rischi naturali e antropici.
La riforma costituzionale del titolo V della parte
seconda della Costituzione ha costruito un sistema
complesso di materie
e di funzioni che hanno attinenza allo sviluppo e
alla trasformazione del territorio, con una diversa
attribuzione delle funzioni legislative in via esclusiva, concorrente e, in parte, anche residuale. Riconnettere e rendere sinergici tutti gli aspetti che
contribuiscono alla qualità della vita dei cittadini
è un compito della riforma del governo del territorio attuata da un sistema istituzionale,
nazionale, regionale e locale, coeso e che
agisca con programmi, piani, misure e
strumenti coerenti.
I soggetti protagonisti di questa
azione di rinnovamento e di nuova
capacità di gestione del territorio sono
principalmente le regioni e gli enti territoriali, i quali devono trovare in una legge
quadro per il governo del territorio gli elementi
costitutivi e i principi fondamentali al fine di operare con riferimenti di certezza e di omogeneità, ma
dotati della necessaria flessibilità per consentirne
la declinazione in base alle diverse situazioni economico-sociali e ambientali dei territori regionali.
Ma la complessità della materia e la sua interconnessione con diverse altre comportano, tuttavia,
una formulazione normativa differenziata e dinamica, in particolare per quanto riguarda gli elementi
e i requisiti minimi da rendere omogenei sul territorio nazionale.
Se le funzioni legislative concorrenti e quelle amministrative sono attribuite alle regioni, vi sono però
alcuni aspetti di competenza esclusiva dello Stato
che devono essere espressi con norma di dettaglio:
si tratta delle dotazioni territoriali per la garanzia
dei livelli minimi essenziali, del diritto di proprietà, della parità nel processo di pianificazione e di
attuazione fra diritti pubblici e diritti privati, della
fiscalità urbanistica.
3.
3
e
a) il contesto istituzionale e politico di riferimento del quadro legislativo nazionale costituito dalla
legge n. 1150 del 1942, del tutto diverso e antitetico a quello attuale, che si è poi evoluto nella realtà dello sviluppo immobiliare del dopoguerra e dei
successivi periodi di contrazione economica, con la
modificazione dei modelli insediativi e della produzione, che hanno provocato una «stratificazione»
normativa, spesso di settore, che rende oggi particolarmente complessa e contraddittoria l’azione di
pianificazione del territorio;
b) il progressivo e sempre più deciso riformismo
regionale che ha visto dal 1995 ad oggi l’introduzione e la sperimentazione operativa di strumenti,
regole e istituti che possono costituire una solida
base di partenza;
c) in ultimo, l’esperienza - con aspetti positivi e
negativi - prodotta con le diverse generazioni di
programmi complessi e integrati, i quali si sono inseriti, progressivamente, all’interno delle regole di
pianificazione delle regioni.
Oggi abbiamo le premesse e le condizioni per riorganizzare, ottimizzare e innovare una disciplina
che vede coinvolte tutte
le istituzioni della Repubblica e che è centrale rispetto al tema della competitività e della coesione
in ambito europeo per le nostre città e per i sistemi
territoriali.
Al riguardo, il Partito Democratico intende il territorio quale grande patrimonio per la sua ricca biodiversità, per la sua qualità ambientale e paesistica,
per la presenza diffusa di beni culturali, storici e
archeologici; esso rappresenta, quindi, una risorsa
fondamentale per la qualità della vita e dello sviluppo presente e futuro.
Tale impostazione presuppone alcune priorità di
indirizzo:
1) la necessità di coordinare e di allineare la normativa nazionale vigente sul «governo del territorio»
alla realtà istituzionale rinnovata e alle esperienze
regionali, rendendola sinergica con le discipline interconnesse e con quelle settoriali (ambiente, tutela e valorizzazione dei beni paesistico-ambientali,
aree protette, infrastrutture e mobilità) e inquadrando le regole in un sistema coerente e condiviso
di «principi»;
2) l’esigenza di programmare lo sviluppo e la trasformazione del territorio, delle infrastrutture e
delle nostre città, tenendo conto della programmazione e degli indirizzi comunitari, con la parteci-
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leggi regionali di essere più stringenti sugli obiettivi da perseguire e più efficaci nell’attuazione.
Il primo, il principio di pianificazione (articolo 2),
espresso in relazione ai diversi livelli istituzionali,
deve garantire la funzione pubblica di tale attività, salvaguardando i beni comuni e contrastando il
consumo di nuovo suolo non urbanizzato e consentendo, altresì, l’uguaglianza dei diritti e dei doveri
all’uso e al godimento degli stessi beni.
In questa logica, i princìpi fondamentali rispetto
ai quali costruire le regole che devono governare i
processi di trasformazione del territorio sono:
a) la sostenibilità ambientale, sociale ed economica, la tutela delle risorse naturali e del paesaggio,
la prevenzione dei rischi e l’adozione del principio
di precauzione nelle scelte e nella valutazione delle
possibili alternative per gli interventi di trasformazione (articolo 3);
b) la sussidiarietà, l’adeguatezza delle istituzioni,
l’equità, la trasparenza e la democrazia nella cooperazione istituzionale, la partecipazione e il coinvolgimento nei processi decisionali dei cittadini
per l’adozione delle scelte (articolo 5).
Gli atti di governo del territorio dovranno fondare le
proprie previsioni sul principio di sostenibilità, sulla necessità di preservare le risorse non rinnovabili
ed essenziali, limitando in particolare il consumo di
suolo non urbanizzato, favorendo il recupero delle
risorse degradate e garantendo una efficace tutela
e valorizzazione del patrimonio paesaggistico, storico e culturale, nonché la riduzione dei consumi e
l’incremento dell’efficienza energetica.
Altro principio fondamentale è rappresentato dalla tutela delle risorse non rinnovabili ed essenziali
e dalla sicurezza dai rischi, da perseguire con misure di prevenzione e di riduzione dei danni per
il territorio e per l’ambiente derivanti da forme di
inquinamento di qualunque natura, di prevenzione
dei rischi e di mitigazione delle calamità naturali e
degli eventi incidentali determinati dall’attività antropica, ispirandosi al principio comunitario della
precauzione (articolo 4).
Il principio di sussidiarietà dovrà creare il processo virtuoso della «filiera istituzionale», ispirando
la ripartizione dei poteri e delle competenze fra i
diversi soggetti istituzionali, nonché i rapporti tra
questi e i cittadini secondo i criteri della tutela,
dell’affidamento, della responsabilità e della concorsualità. Secondo il criterio di differenziazione e
adeguatezza, le istituzioni dovranno agire median-
e
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Il dibattito che si è svolto fino ad oggi ha consolidato una serie di orientamenti. La legge non deve
prefigurare modelli «astratti» o standardizzati, ma
favorire le migliori pratiche già in essere, assumendo queste come riferimenti per far progredire
il complesso delle normative, degli strumenti, dei
metodi e dei processi di governo del territorio.
Infatti, l’attuazione della funzione di «governo»
alla luce della novellata Costituzione risiede nella
capacità di governare
il territorio programmandone lo sviluppo, l’assetto
e l’uso del suolo, in connessione con le tematiche
di tutela e di valorizzazione dei beni culturali e
paesaggistici e delle risorse ambientali.
Una coerente struttura del governo del territorio
dovrà allora contenere:
a) la definizione dei princìpi e delle finalità del governo del territorio;
b) il sistema di relazione tra i soggetti istituzionali e il coordinamento tra le diverse materie
ricomprese nel governo del territorio e quelle connesse di tutela e di valorizzazione dei beni paesaggistici e culturali
e dell’ambiente nonché la programmazione economica e quella del
sistema infrastrutturale;
c) la disciplina della pianificazione, i
contenuti, gli strumenti e le relative modalità di attuazione;
d) la disciplina edilizia e le regole per la legalità del territorio. L’individuazione dei principi fondamentali, operata dal capo I della presente proposta
di legge, rappresenta il terreno sul quale la collaborazione tra le istituzioni deve essere stringente
e fattiva. Si tratta, infatti, di definire i cardini e
i fondamenti della nuova forma di pianificazione,
di programmazione e di gestione del territorio in
tutte le sue componenti economiche, sociali e ambientali.
I princìpi sono diretta espressione della coscienza
civile di una società: in questo senso, essi devono
essere riconoscibili ed espressi con chiarezza. Ma
l’espressione di principi fondamentali non può essere considerata un punto di arrivo. Se il tema di
una moderna disciplina è, da una parte, la revisione
in termini attuali di princìpi esistenti - primo fra
tutti, quello di pianificazione - nonché il consolidamento di principi già contenuti in alcune leggi regionali, dall’altra, il nodo della questione consiste
nella formulazione di princìpi che consentano alle
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L’altro elemento di particolare rilevanza è costituito dalla stretta connessione tra la programmazione
economica, quella infrastrutturale e per la mobilità, con la pianificazione del territorio.
La modernizzazione del sistema infrastrutturale,
della mobilità, della logistica, ma anche del sistema energetico, deve essere strettamente connessa,
da una parte, all’allocazione certa dei finanziamenti
e, dall’altra, essere affidata a un sistema decisionale istituzionale basato sulla leale collaborazione e
sulla sussidiarietà, tale da consentire di effettuare
le scelte e, poi, di garantirne la realizzazione.
Una buona programmazione e la certezza di attuazione sono possibili solo se pensiamo a un sistema
rinnovato e a una «cassetta di attrezzi» adeguata
alle esigenze attuali.
Le regioni hanno predisposto strumenti, regole e
modalità di attuazione e, nell’ambito della loro potestà regolamentare, hanno definito i contenuti
e l’attuazione dell’attività di pianificazione di
area vasta e di quella comunale.
È ormai consolidata l’esigenza di assegnare agli strumenti di pianificazione
un doppio livello, con un piano di
governo del territorio strategico
strutturale, non conformativo della
proprietà, e l’altro operativo, che invece conforma il regime dei
suoli e dà attuazione alle previsioni. A questi
sarà necessario affiancare strumenti regolamentari che le regioni hanno già individuato con varie rubriche e che rappresentano l’attuazione della
disciplina di trasformazione urbanistica ed edilizia
degli insediamenti esistenti.
Occorre una differenziazione dei livelli da utilizzare, senza generalizzare, ma tenendo conto delle effettive esigenze delle realtà amministrative e delle
condizioni territoriali. Regole rigide potrebbero far
risultare inutilmente onerosa una pianificazione di
questo tipo per comuni di piccola dimensione e,
invece, farla risultare limitativa per situazioni in
cui sia più opportuno, date le condizioni territoriali
e socio-economiche, avere una pianificazione che
interessa più comuni.
Alla base di un buon piano non può che esserci una
adeguata e significativa conoscenza del territorio.
È per questo che si prevedono modalità di acquisizione, valutazione e validazione dei dati territoriali, costituiti dai vincoli, dall’uso del suolo, dalle
invarianti ambientali e territoriali, dalle condizioni
3.
3
e
te intese e accordi procedimentali in sedi stabili
di concertazione per perseguire il coordinamento,
l’armonizzazione, la coerenza e la riduzione dei
tempi delle procedure di pianificazione del territorio.
Anche per questo, è importante assumere come
principio la trasparenza e la democrazia nei processi di scelta e di decisione con il massimo coinvolgimento dei cittadini nella fase di predisposizione
e di approvazione degli strumenti di pianificazione
(articolo 6).
Il principio di equità consente di offrire a tutti
i soggetti la possibilità di accedere con le stesse opportunità ai diritti e ai vantaggi offerti dalle
trasformazioni del territorio in termini di residenza, accessibilità, mobilità, servizi collettivi, qualità
dell’ambiente urbano e migliore qualità della vita
(articolo 7).
Perché tali princìpi possano tradursi in linee guida
e concrete azioni attuative è fondamentale declinare le competenze dei soggetti istituzionali, ma è
anche necessario che la riforma nazionale preveda
il coordinamento con le materie non ricomprese nel
«governo del territorio», bensì strettamente connesse alla pianificazione e alla programmazione del
medesimo: infrastrutture della mobilità e dell’energia, tutela e valorizzazione dell’ambiente, tutela e
valorizzazione del paesaggio e dei beni culturali
(articoli 9-14).
I soggetti titolari delle funzioni amministrative dovrebbero agire in un sistema unico e coordinato per
la programmazione, la pianificazione, l’attuazione,
il monitoraggio e la verifica delle trasformazioni del
territorio, partecipando a tale attività in conformità ai principi di leale collaborazione e di responsabilità amministrativa.
Di particolare importanza nella riforma sarà il passaggio dalla tutela dei beni paesaggistici a quella
più complessiva della tutela e valorizzazione dei
paesaggi, così come previsto dalla Convenzione
europea sul paesaggio, ratificata con legge n. 14
del 2006, riconoscendo che il paesaggio concorre
al consolidamento delle culture locali e «che ogni
luogo rappresenta un elemento importante della
qualità della vita delle popolazioni nelle aree urbane e nelle campagne, nei territori degradati come
in quelli di grande qualità».
Anche per la tutela e la valorizzazione dell’ambiente è necessario identificare gli elementi di coordinamento con le pianificazioni settoriali.
249
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del recupero e della sostituzione edilizi una grande
occasione di rigenerazione dei tessuti urbani e del
contenimento dei consumi, essendo le città sistemi
altamente «energivori», una priorità della politica
energetica nazionale.
Sulle dotazioni territoriali minime - i vecchi standard urbanistici - non è sufficiente definire un livello quantitativo minimo, ma occorre creare i
presupposti di tipo qualitativo affinché attraverso
le dotazioni territoriali sia possibile garantire l’effettività dei servizi ai cittadini. Quelli statali non
possono che essere considerati requisiti minimi (articolo 16) per garantire i livelli essenziali sul territorio nazionale, come previsto costituzionalmente;
così anche per l’edilizia residenziale pubblica per
l’affitto sociale, che dovrà essere una dotazione di
risposta al fabbisogno locale.
Le regioni, nella loro piena autonomia, dovranno
verificare i fabbisogni pregressi e futuri e determinare le modalità, i criteri
e i parametri tecnici ed economici dei servizi da
fornire ai cittadini.
Molti sono gli obiettivi da raggiungere e importanti sono i diritti di cittadinanza da garantire.
Pertanto è necessario che la legge statale offra
strumenti innovativi per l’attuazione e per la stabilizzazione di alcune pratiche operative che gli enti
locali adottano per garantire la realizzazione degli
interventi. Quindi è importante definire le regole
per la collaborazione tra il pubblico e i soggetti
privati, prevedendo il partenariato pubblico-privato per l’attuazione degli interventi, in un quadro
di riferimento strategico a regia pubblica definita
dal piano del governo del territorio, con modalità
che tutelino la concorrenza, la trasparenza dei procedimenti e la partecipazione dei soggetti privati
ai quali affidare, anche per la capacità imprenditoriale e per 1’effcienza, il miglioramento e l’innovazione nei processi di trasformazione urbanistica
ed edilizia.
Anche sulla definizione dei contenuti minimi della
proprietà e dell’equa attribuzione dei diritti edificatori è importante che la legge statale, data la
competenza esclusiva nella materia, offra un quadro di riferimento chiaro e articolato per le amministrazioni locali le quali, tenendo conto delle
ristrettezze di bilancio, potranno dare attuazione
alle previsioni e garantire le necessarie dotazioni
territoriali con interventi diretti, modalità espropriative, perequative e compensative.
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di vulnerabilità e di rischio del territorio. La sinergia - quindi la rete - tra sistemi di informazione e
di conoscenza tra regioni ed enti statali preposti
dovrà essere stringente. Banche dati e sistemi informativi territoriali dovranno «parlare la stessa
lingua» ed essere a disposizione degli enti territoriali e dei cittadini in maniera automatica e trasparente (articolo 15).
Questa è un’innovazione necessaria per l’azione
amministrativa e comporterebbe anche una sensibile riduzione della spesa pubblica. Disporre di uno
strumento unico sul quale verificare la conformità alle invarianti territoriali e ambientali consentirebbe uno snellimento significativo nella fase di
predisposizione, di attuazione e di verifica dei processi di trasformazione urbanistica ed edilizia.
La conoscenza del territorio consente anche una
più efficace azione di tutela e di prevenzione soprattutto per il territorio non urbanizzato. La
riforma proposta, inoltre, enuncia il principio
fondamentale che il territorio rurale è un
patrimonio di identità, di biodiversità,
di pratiche agronomiche e forestali
da preservare. Sarà necessario perseguire gli obiettivi di qualità e
di sostenibilità nella pianificazione
delle aree agricole anche al fine di consolidare il ruolo multifunzionale dell’impresa agricola e di contrastare il consumo di
suolo non urbanizzato. Dovrà essere tutelato e
valorizzato lo straordinario patrimonio costituito
dai nostri paesaggi agrari e montani, dalle risorse
non rinnovabili, a partire soprattutto dall’acqua e
dal suolo, oltre che valorizzato il patrimonio dell’architettura rurale (articolo 18).
La riforma affronta altresì il complesso del sistema
città: uno straordinario crocevia di opportunità ma,
anche, di forti contraddizioni ambientali e sociali
(articolo 19), delineando gli obiettivi della tutela dei centri storici, della promozione della qualità urbana e architettonica, ma soprattutto della
riduzione dei livelli di inquinamento, promuovendo
un nuovo processo di riqualificazione delle aree degradate integrando le politiche di recupero edilizio
e urbanistico con politiche sociali e assistenziali
che possano consentire un maggior grado di coesione sociale e di solidarietà.
Insomma, una vera e propria «politica per le città», che utilizzi gli strumenti ordinari ma anche
la leva della fiscalità e degli incentivi, che faccia
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Quaderni PD.indb 250
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La riforma statale dovrà anche prevedere che le
azioni di trasformazione del territorio siano soggette a procedure pre
ventive, in itinere ed ex post di valutazione degli
effetti ambientali ed economico-sociali valutati e
analizzati in base a un bilancio complessivo degli
effetti sulle risorse essenziali del territorio, al fine
di garantire l’effettiva realizzabilità e la verifica
dell’efficacia delle azioni svolte.
Nessuna legge è immutabile nel tempo, soprattutto
quando si tratta di regolare comportamenti sociali
o istituzionali. Cambiano oggi, anche rapidamente,
le condizioni economiche e sociali del contesto.
Rispetto a questi cambiamenti è necessario essere in grado di fornire risposte adeguate alle nuove esigenze e alle nuove domande della società.
Occorre tenere conto che la riforma del governo
del territorio si deve inserire in un complesso di
normative esistenti, in particolare urbanistiche ed
edilizie, di livello sia nazionale che regionale.
A tale proposito, nel testo della presente
proposta di legge non è riportato il complesso delle abrogazioni che sarebbero
necessarie per ottenere un quadro
organico delle diverse discipline
ricomprese nel governo del territorio, per alcune delle quali - ad esempio
quella relativa agli standard urbanistici o
parte della disciplina edilizia e dell’esproprio - si dovrebbe intervenire anche in modo
differenziato, in ragione di un progressivo rinnovo
della materia. È difficile pensare a una legge sul
governo del territorio che non sia oggetto di un
accompagnamento istituzionale, di un programma
per la sua attuazione basato su diversi strumenti di
conoscenza, di esperienza, di valutazione per la revisione o per l’implementazione della stessa normativa. Anche in questo caso sono chiamate in causa
sia le diverse componenti della società sia le istituzioni regionali, provinciali e comunali competenti,
queste ultime coinvolte, da una parte, nel definire
«l’idea di città e di territorio» e le relative regole e,
dall’altra, nell’attuare un processo di pianificazione
che risponda ai nuovi «diritti di cittadinanza» e al
«diritto all’abitare» che la società e i singoli cittadini richiedono alle amministrazioni.
L’impostazione che si deve dare, quindi, alle nuove
regole sul governo del territorio deve essere basata
sulla cultura della valutazione delle scelte e sulla
cultura della risposta e del risultato.
3.
3
e
L’amministrazione potrà acquisire gli immobili con
la perequazione urbanistica (articolo 21) e con gli
obiettivi individuati dagli strumenti urbanistici; in
alternativa si prevede che si possa ricorrere all’esproprio (articolo 24).
La modalità operativa della perequazione potrà essere attuata negli ambiti di trasformazione urbanistica individuati dal piano del governo del territorio
e riguardanti gli ambiti territoriali da trasformare,
escludendo le aree agricole, i tessuti storici e consolidati, le aree non soggette a trasformazione urbanistica. Il piano di governo del territorio dovrà
inoltre stabilire: l’edificabilità territoriale attribuita
agli ambiti di trasformazione perequativa, l’obbligo
di cessione di beni immobili al comune per la realizzazione delle dotazioni territoriali o comunque per
spazi pubblici, di pubblica utilità, di interesse generale e collettivo, nonché le modalità di progettazione unitaria dell’ambito di trasformazione.
Uno dei punti di particolare delicatezza è quello
della decadenza del diritto di edificazione che si
propone possa essere limitato a cinque anni o comunque non superiore alla durata del piano operativo, riallineando le previsioni di trasformazione
pubblica e privata.
Altro tema essenziale per l’attuazione delle previsioni di sviluppo del territorio è quello della fiscalità urbanistica e immobiliare (articolo 23). Si tratta
di una questione molto complessa che deve essere
affrontata con alcuni indirizzi di base.
In primo luogo, sottraendo gli enti locali dalla necessità di coprire una parte cospicua del bilancio
con le entrate derivanti dall’imposta comunale sugli
immobili (ICI) e dagli oneri concessori, si potrà consentire agli stessi enti di favorire una politica di recupero e di riutilizzazione di immobili esistenti con
la conseguente riduzione del consumo del suolo e
con la riduzione della dispersione urbana. Inoltre, si
dovranno rimodulare e riorganizzare le diverse imposte relative ai trasferimenti immobiliari per favorire
e orientare la trasformazione urbanistica ed edilizia
verso la riqualificazione urbana e del territorio, con
forme di incentivazione e di premialità fiscali. Infine,
attraverso l’armonizzazione e la stabilizzazione delle
misure per 1’incentivazione delle opere di recupero e
la loro specializzazione per alcuni settori (efficienza
energetica, sicurezza statica e tecnologica degli edifici, accessibilità eccetera) si potrà avere, a regime,
una massa critica di investimenti finalizzati al miglioramento sostanziale della qualità urbana.
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Se la sfida per la qualità del governo del territorio
deve essere affrontata con strumenti adatti e coerenti
alle reali esigenze della società contemporanea, una
parte sostanziale di questa sfida consiste anche nella
rinnovata capacità dei soggetti istituzionali nazionali
e territoriali di esprimere, sulla base dei princìpi fondamentali, la volontà politica di costruire la «filiera istituzionale» e di coordinare le decisioni determinando
la qualità della vita e dell’ambiente, assumendosi la
responsabilità dell’attuazione delle decisioni e condividendo metodi e scelte con i cittadini.
PROPOSTA DI LEGGE
CAPO I
PRINCIPI E FINALITÀ DEL GOVERNO
DEL TERRITORIO
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ART. 1.
(Oggetto e finalità della legge).
1. La presente legge, in attuazione
dell’articolo 117 della Costituzione, individua i princìpi fondamentali della materia del governo del territorio e della sua tutela, quale ecosistema di
primaria importanza per la qualità della vita
e dello sviluppo del Paese per le sue qualità ambientali, culturali e paesistiche. La presente legge
individua i criteri e le modalità per la definizione
delle linee fondamentali per l’assetto del territorio
con riferimento ai valori naturali e ambientali, alla
difesa del suolo e all’articolazione territoriale delle reti infrastrutturali e delle opere di competenza
statale, nonché al sistema delle città e delle aree
metropolitane, anche ai fini dello sviluppo del Mezzogiorno e delle aree svantaggiate del Paese, nel
rispetto dei vincoli dell’ordinamento comunitario e
degli obblighi internazionali.
3. La tutela del territorio è perseguita in maniera
integrata nei diversi aspetti, relativi al suolo, al
sottosuolo, alle acque di superficie e sotterranee,
agli assetti idrogeologici, al mare e alle coste, alle
aree rurali, all’ambiente alpino e appenninico, alla
biodiversità e al patrimonio naturale, paesistico,
storico e culturale. La qualità degli insediamenti
urbani deve essere considerata e promossa come
parte essenziale della qualità del territorio.
4. Il governo del territorio comprende l’urbanistica,
l’edilizia, nonché, per le parti riguardanti gli aspetti
connessi alla programmazione e alla pianificazione
del territorio, la difesa del suolo, l’espropriazione
e l’edilizia sociale. Ai sensi dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, le regioni emanano
norme in materia di governo del territorio, in conformità ai princìpi fondamentali della legislazione
statale stabiliti dalla presente legge.
ART. 2.
(Princìpi fondamentali del governo del territorio).
1. Il principio di pianificazione è l’elemento fondante del governo del territorio. Esso è esercitato mediante gli strumenti della pianificazione che
coordinano e indirizzano lo sviluppo del territorio
in coerenza con il benessere delle comunità insediate ed è espresso in relazione ai diversi livelli
istituzionali. Le attività relative all’uso e alla trasformazione del territorio sono oggetto di pianificazione da parte dell’autorità pubblica.
2. Il processo di pianificazione è svolto nel rispetto
dei principi di:
a) sostenibilità;
b) tutela e sicurezza;
c) sussidiarietà e adeguatezza;
d) trasparenza e democrazia;
e) equità;
f) legalità del territorio.
e
2. Il governo del territorio, in relazione agli obiettivi di sviluppo sostenibile determinati dalle autorità pubbliche, consiste nell’insieme coordinato
delle attività conoscitive, regolative, programmatorie, valutative e attuative, nonché di vigilanza
e di controllo degli interventi di trasformazione e
di uso del territorio, allo scopo di perseguire: la
tutela e la valorizzazione del patrimonio ambienta-
le, culturale e paesaggistico e del territorio rurale;
l’utilizzo sostenibile delle risorse non rinnovabili e
la tutela della biodiversità; la riduzione del consumo di suolo non urbanizzato; il rapporto coerente
tra localizzazione delle funzioni, sistema della mobilità e infrastrutture tecnologiche ed energetiche,
in relazione alle risorse economiche e finanziarie
attivate dai soggetti pubblici e privati.
252
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3. L’individuazione dei beni immobili che costituiscono risorse non rinnovabili, quali acqua, suolo ed
ecosistemi della fauna e della flora, paesaggi e beni
culturali, anche in relazione a condizioni di fragilità del territorio e per finalità di tutela, costituisce
accertamento delle caratteristiche intrinseche e
connaturate dei beni stessi. Le conseguenti limitazioni alle facoltà di godimento dei beni immobili
individuati non danno luogo a indennizzo.
ART. 3.
(Sostenibilità).
ART. 4.
(Tutela e sicurezza).
1. Il governo del territorio è finalizzato: a) alla conservazione delle risorse naturali, della biodiversità
e del patrimonio culturale, storico e paesaggistico,
garantendo che la loro fruizione non comprometta
la loro disponibilità per le generazioni future;
b) alla limitazione del consumo di suolo non urbanizzato, riservandolo esclusivamente ai casi di effettiva necessità, ovvero per opere e interventi per
i quali non sussistano alternative praticabili con le
migliori tecniche disponibili, e attivando processi
di riqualificazione, di recupero, di riutilizzo, di modifica e di sostituzione delle opere esistenti;
c) al perseguimento della qualità economica e sociale dello sviluppo, prevedendo il risparmio delle
risorse naturali non rinnovabili, incentivando la
produzione di energia da fonti rinnovabili e garantendo che ogni trasformazione non riduca la permeabilità e la stabilità dei suoli e il corretto uso e
recupero delle acque;
d) alla qualità delle città e degli insediamenti abitativi, al risparmio e all’efficienza energetica e alla
diffusione di fonti energetiche rinnovabili e pulite,
nonché alla mobilità fluida e a basso impatto ambientale e alla logistica efficiente, incentivando il
trasporto collettivo e subordinando ogni trasformazione territoriale alla previsione e alla realizzazione di adeguate infrastrutture e sistemi di mobilità
collettiva;
e) alla tutela delle coste e del mare, dell’ambiente
montano e del territorio rurale, contrastandone il
consumo.
1. La tutela dell’ambiente, del paesaggio e dei beni
culturali rappresenta un elemento prioritario di interesse e di azione dei soggetti responsabili del governo del territorio. Il principio della tutela e della
sicurezza è finalizzato a garantire la prevenzione
dai rischi naturali e antropici, a mitigare gli effetti delle calamità e a ridurre i predetti rischi e le
probabilità di accadimento delle calamità.
2. Le azioni di trasformazione del territorio sono
soggette alla valutazione preventiva degli effetti
economico-sociali e ambientali prevista dalla normativa comunitaria e dalla legislazione statale vigenti in materia.
3
e
3. Gli strumenti di pianificazione, nel rispetto dei
princìpi di cui al comma 2, disciplinano le trasformazioni fisiche e funzionali nonché le azioni di
conservazione, di tutela e di riqualificazione del
territorio, dei sistemi e dei tessuti insediativi assicurando scelte coerenti in relazione sia alla loro
collocazione nello spazio sia alla loro successione
nel tempo.
3.
2. Nell’ambito delle attività di governo
del territorio sono previste azioni
volte alla manutenzione del territorio e alla prevenzione dei rischi
naturali e antropici, attraverso forme
ordinarie di programmazione e di pianificazione, favorendo il recupero, il risanamento e il ripristino ambientale, in coordinamento
con il sistema di previsione e di prevenzione della
protezione civile.
3. I soggetti titolari di funzioni relative al governo
del territorio operano secondo il principio di precauzione e prevenzione adottando opportune misure,
in armonia con gli orientamenti della Commissione
europea, tenendo conto di valutazioni scientifiche
il più possibile complete, facendo precedere la propria decisione da una valutazione del rischio e delle
conseguenze potenziali dell’assenza di azione, rendendo disponibili alle parti interessate i risultati
delle valutazioni di rischio e consentendo la loro
partecipazione.
ART. 5.
(Sussidiarietà e adeguatezza).
1. Il principio di sussidiarietà ispira la ripartizione
dei poteri e delle competenze tra i diversi soggetti
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istituzionali, nonché i rapporti tra questi e i cittadini secondo i criteri della tutela, dell’affidamento,
della responsabilità e della concorsualità.
2. I soggetti titolari di funzioni relative al governo
del territorio cooperano secondo il criterio di differenziazione e adeguatezza, nel rispetto dell’articolo
118 della Costituzione. Tali soggetti, sulla base del
principio di cooperazione istituzionale, agiscono anche mediante intese e accordi procedimentali, prevedendo l’istituzione di sedi stabili di concertazione
al fine di perseguire il coordinamento, l’armonizzazione, la coerenza e la riduzione dei tempi delle procedure di pianificazione del territorio.
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3. Le funzioni amministrative relative al governo
del territorio sono improntate al principio di efficacia, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa anche al fine di promuovere processi di
semplificazione e di coordinamento delle istituzioni competenti.
ART. 6.
(Trasparenza e democrazia).
1. Il processo di formazione e di approvazione degli strumenti di governo
del territorio assicura:
a) le forme di pubblicità, di consultazione e
di partecipazione dei cittadini e delle associazioni costituite per la tutela di interessi diffusi;
b) il coinvolgimento delle associazioni economiche
e delle rappresentanze sociali;
c) gli strumenti di raccordo e di collaborazione
tra i soggetti preposti al governo del territorio, i
soggetti preposti alla salvaguardia dei beni e delle
risorse presenti sul territorio e i soggetti titolari
della gestione di attività comportanti effetti sul
territorio, con particolare riferimento alla mobilità
delle persone e delle merci, all’energia, al turismo,
al commercio, alle attività produttive e alla gestione dei beni immobili pubblici;
3. Lo Stato e le regioni definiscono, nell’ambito delle rispettive competenze, le responsabilità e le modalità operative di pubblicità e di accesso agli atti
e ai documenti, la partecipazione al procedimento
di approvazione, in conformità alla legge 7 agosto
1990, n. 241, e successive modificazioni, nonché
i criteri e le modalità per la richiesta da parte dei
cittadini delle inchieste pubbliche. L’amministrazione competente ha l’obbligo di fornire esplicita e
adeguata motivazione delle proprie determinazioni,
con particolare riferimento alle osservazioni o alle
proposte presentate nell’ambito del procedimento.
Le leggi regionali disciplinano altresì l’istituzione
di un garante regionale dell’informazione e della
comunicazione nel procedimento di formazione e di
approvazione degli atti di governo del territorio.
ART. 7
(Equità).
1. La pianificazione e lo svolgimento delle attività
di trasformazione del territorio, di iniziativa pubblica o privata, che comportano l’utilizzazione delle risorse non rinnovabili sono attuati garantendo
l’uguaglianza dei diritti all’uso e al godimento e
dei doveri di tutela e di conservazione dei beni comuni. Il governo del territorio garantisce pari opportunità di accesso a tutti i cittadini ai vantaggi
offerti dal sistema antropico e naturale, in termini
di residenza, accessibilità, servizi collettivi e qualità ambientale, anche per assicurare solidarietà e
coesione sociali.
e
d) la partecipazione dei soggetti interessati al
procedimento di formazione degli strumenti che
incidono direttamente sulle situazioni giuridiche
soggettive, attraverso la più ampia pubblicità degli
atti concernenti la pianificazione.
2. Per le scelte di localizzazione di opere e di infrastrutture di rilevante impatto ambientale e sociale
sono garantite l’informazione e la partecipazione
dei cittadini, delle associazioni, delle organizzazioni economiche e sociali, attraverso udienze o
strumenti di governance ambientale, anche ai fini
di quanto previsto all’articolo 22 della presente legge nonché in attuazione della Convenzione
sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del
pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, fatta ad Aarhus il 25
giugno 1998, resa esecutiva con legge 16 marzo
2001, n. 108.
2. Al fine di garantire una migliore qualità urbana e
territoriale, nonché l’incremento e il rinnovo delle
dotazioni territoriali di infrastrutture e di servizi,
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Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato,
le regioni e le province autonome di Trento e di
Bolzano, appositi programmi di intervento, coordinando la propria azione con quella dell’Unione europea e delle regioni.
3. Nell’ambito del governo del territorio sono riservati allo Stato:
a) la definizione e l’aggiornamento delle linee fondamentali di assetto del territorio nazionale, di cui
all’articolo 11 della presente legge, d’intesa con la
Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto
legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive
modificazioni;
b) le competenze riconosciute dalla legislazione vigente allo Stato in materia di aree naturali protette
di interesse nazionale, di tutela del paesaggio e
dei beni culturali, di distretti idrografici, di bonifica dei siti di interesse nazionale, di valutazione
di impatto ambientale e valutazione ambientale strategica, di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema;
c) la pianificazione e la programmazione delle reti infrastrutturali a
carattere nazionale e degli interventi per la tutela e la messa in sicurezza del territorio dai rischi naturali
e antropici;
d) la definizione della normativa tecnica da
applicare sul territorio nazionale riguardante la
sicurezza sismica, i requisiti minimi per la tutela
dell’igiene e della sicurezza, per l’accessibilità e la
fruibilità degli abitati e delle costruzioni, nonché
per la qualità dei tessuti urbani e delle dotazioni
territoriali;
e) l’osservazione e il monitoraggio delle trasformazioni e dello sviluppo del territorio attraverso l’armonizzazione dei quadri conoscitivi e dei sistemi
informativi di livello regionale.
1. Qualunque trasformazione del territorio deve
essere realizzata in conformità agli strumenti di
governo del territorio. Gli interventi privi di titolo
abilitavo ovvero in contrasto o in difformità a tali
strumenti sono soggetti alle sanzioni penali, civili
e amministrative previste dalla legislazione statale
vigente in materia.
2. Il comune esercita la vigilanza e il controllo sulle trasformazioni urbanistiche ed edilizie per assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di
regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici e alle modalità esecutive fissate nei titoli
abilitativi edilizi, fatta salva la potestà regionale
di intervenire, in via sostitutiva, nei confronti delle
amministrazioni inadempienti.
CAPO II
SOGGETTI ISTITUZIONALI
E COORDINAMENTO DELLE FUNZIONI
ART. 9.
(Funzioni e compiti dello Stato).
1. Le funzioni dello Stato sono esercitate attraverso
politiche generali e di settore concernenti l’assetto del territorio, la tutela dell’ambiente e dei beni
paesaggistici, la promozione dello sviluppo economico-sociale, del rinnovo e della riqualificazione
urbani. Allo Stato competono, inoltre, i rapporti
con gli organismi internazionali e il coordinamento
con gli organismi dell’Unione europea in materia di
assetto del territorio e di politiche urbane.
2. Per l’attuazione delle politiche di cui al comma 1, lo Stato promuove, previa intesa in sede di
3.
ART. 8.
(Legalità del territorio).
3
e
gli atti di pianificazione del territorio, nel rispetto
dei criteri stabiliti con legge regionale, determinano la partecipazione dei soggetti privati ai relativi costi. Per le stesse finalità, l’amministrazione
competente, qualora intenda rivolgersi a soggetti
privati per l’attuazione delle scelte di governo del
territorio, ricorre a forme di confronto concorrenziale.
4. Sono esercitate dallo Stato, di intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto
legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive
modificazioni: le funzioni amministrative relative all’identificazione delle linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale, coerenti con le scelte di
sostenibilità sociale, ambientale ed economica; la
fissazione dei criteri per la tutela e la valorizzazione
dei beni culturali e ambientali, per la conservazione
e il miglioramento della qualità dell’ambiente, per
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la difesa del suolo e per l’equilibrio e la tutela degli ecosistemi; le funzioni amministrative relative
all’articolazione territoriale delle reti infrastrutturali e delle opere di competenza statale.
ART. 10.
(Soggetti della programmazione e della pianificazione del territorio).
1. Le funzioni di governo del territorio sono esercitate dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato, attraverso
strumenti di pianificazione, in forma coordinata e
integrata.
5. Le leggi regionali garantiscono e disciplinano le
competenze e le funzioni amministrative attinenti
al governo del territorio e alla pianificazione territoriale delle province, delle città metropolitane
e dei comuni, ai sensi di quanto previsto dall’ordinamento statale, secondo i princìpi di sussidiarietà,
adeguatezza e differenziazione.
6. Le province sono titolari delle funzioni di programmazione e di pianificazione territoriale anche
per quanto concerne il compito di assicurare la coerenza dei contenuti delle pianificazioni di settore
con il piano territoriale di coordinamento.
7. I comuni sono titolari delle funzioni amministrative relative al governo del territorio, ai sensi dell’articolo 118 della Costituzione. 1 comuni, nell’ambito delle attribuzioni proprie e di quanto previsto
dalla legislazione regionale, assicurano l’esercizio
della pianificazione urbanistica e della regolamentazione edilizia attraverso il piano di governo del
territorio e gli atti normativi ad esso connessi.
ART. 11.
(Linee fondamentali di assetto del territorio nazionale).
1. Costituiscono linee fondamentali di assetto del
territorio nazionale con riferimento ai valori naturali e ambientali:
a) l’identità, la riconoscibilità, la varietà dei paesaggi italiani pregevoli non solo per aree e fram-
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2. Ai fini della pianificazione, programmazione, attuazione, monitoraggio e verifica delle trasformazioni del territorio, i soggetti titolari delle funzioni
di governo del territorio costituiscono un sistema
unitario e agiscono nel rispetto dei princìpi di
sussidiarietà, adeguatezza, differenziazione,
leale collaborazione e responsabilità amministrativa.
3. Le competenze degli enti parco,
delle autorità di bacino, delle soprintendenze per i beni storico-artistici e paesaggisticoambientali nonché
dei soggetti titolari di interessi pubblici
incidenti sul governo del territorio sono esercitate in raccordo con gli atti di pianificazione
previsti dalla presente legge, al fine di coordinare
le tutele e le pianificazioni settoriali con gli atti di
governo del territorio.
4. Le regioni, in applicazione dei princìpi della presente legge:
a) partecipano alla definizione e all’attuazione dei
piani e dei programmi di governo del territorio
di competenza statale e di quelli derivanti dalla
programmazione comunitaria;
b) provvedono, nell’ambito delle proprie competenze, alla programmazione territoriale e infrastrutturale finalizzata a garantire la realizzazione delle
strategie di governo del territorio atte a promuovere lo sviluppo equilibrato e sostenibile del territorio regionale;
c) assicurano il coordinamento con i piani e i programmi di rilievo nazionale e il coordinamento delle norme in materia di pianificazione urbanistica e
territoriale, di tutela ambientale e di valorizzazione
dei beni culturali e ambientali, prevedendo forme
di concertazione fra gli enti territoriali competenti
e con i soggetti interessati;
d) disciplinano e incentivano la pianificazione intercomunale tenendo conto della specificità e dei
caratteri omogenei di determinati ambiti sovracomunali;
e) disciplinano le modalità di acquisizione dei contributi conoscitivi e valutativi, nonché delle proposte delle amministrazioni interessate nel corso della formazione degli atti di governo del territorio;
f) disciplinano i criteri di formazione degli oneri di
costruzione, per la parte riguardante opere di urbanizzazione primaria, secondaria e generale negli
interventi diretti, in relazione ai costi effettivi di
tali opere e ai costi di mitigazione degli impatti,
nonché in base alla dimensione e alla complessità
territoriali dei comuni.
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tentive e la promozione del ruolo specifico dell’agricoltura multifunzionale intesa come produttrice sia
di beni, sia di servizi ambientali.
2. Le linee fondamentali di assetto del territorio
di cui al comma 1 sono formate in armonia con le
politiche definite a livello comunitario, nazionale e
regionale e in coerenza con le scelte di sostenibilità
economica, sociale e ambientale e con lo Schema di
sviluppo dello spazio europeo. Le linee fondamentali di assetto del territorio sono individuate con
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri,
su proposta dei Ministri competenti, di concerto
con il Ministro per i beni e le attività culturali,
con il Ministro dei trasporti e con il Ministro dello
sviluppo economico e d’intesa con la Conferenza
unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo
28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni,
da emanare entro dodici mesi dalla data di entrata
in vigore della presente legge. Nel decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri sono
individuate le modalità e il termine per
aggiornare, integrare e rivedere le linee fondamentali di assetto del
territorio di cui al comma 1 del
presente articolo, su proposta dei
Ministri competenti e d’intesa con la
Conferenza unificata.
3.
3
e
menti di grande valore, ma in relazione all’intero
territorio, urbano e periurbano, rurale e montano,
marino e costiero, attraverso misure di protezione, di limitazione e di difesa, nonché mediante la
gestione accorta dei processi di trasformazione, di
pianificazione e di recupero;
b) le aree naturali protette e la presenza di una
naturalità diffusa, differenziata e articolata, connesse in una rete ecologica che costituisce una
condizione necessaria per impedire la frammentazione degli habitat, per ridurre la vulnerabilità degli
ecosistemi, per mantenere una elevata biodiversità
e la qualità ambientale complessiva del territorio;
c) il riconoscimento delle Alpi e degli Appennini
come sistemi di rilevante interesse nazionale. La
Repubblica promuove interventi finalizzati a ridurre l’abbandono delle zone montane, a tutelare e a
valorizzare culture e tradizioni locali, a sviluppare
attività economiche compatibili e utili al recupero e al mantenimento dell’ambiente e del territorio
montano;
d) la tutela delle coste italiane, cui si provvede con
il Piano di tutela dell’ambiente costiero e marino,
approvato con decreto del Presidente del Consiglio
dei ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente
e della tutela del territorio e del mare, d’intesa con
le regioni costiere interessate;
e) l’efficienza energetica e la promozione e diffusione di fonti energetiche rinnovabili alle quali devono
essere indirizzate le attività di programmazione, pianificazione degli usi e degli interventi anche edilizi
sul territorio, in attuazione degli obiettivi e degli
indirizzi della legislazione nazionale ed europea;
f) l’utilizzo razionale delle acque, la loro tutela
dall’inquinamento, la prevenzione e la riduzione
dei rischi di dissesto idrogeologico, tenuto conto
dei rischi connessi con il cambiamento climatico,
al fine di promuovere, nella pianificazione e programmazione del territorio, un livello unitario a
livello di bacino idrografico;
g) il consumo limitato del territorio non urbanizzato, subordinando gli interventi di trasformazione a
una valutazione delle alternative a minore impatto
ambientale, quali il recupero, il risanamento, l’adeguamento di aree già utilizzate, di infrastrutture, di
costruzioni o di insediamenti esistenti;
h) la tutela del territorio rurale per il mantenimento e l’arricchimento delle reti ecologiche, della
diversità ecologica e paesistica, con il contrasto
dell’abbandono e dell’interruzione delle cure manu-
3. Lo schema del decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri di cui al comma 2, recante
la definizione delle linee fondamentali di assetto
del territorio nazionale, è trasmesso alle competenti Commissioni parlamentari per l’espressione dei
relativi pareri, nei termini previsti dai rispettivi regolamenti.
ART. 12.
(Coordinamento con 1a tutela e 1a valorizzazione
del paesaggio e dei beni culturali e paesaggistici).
1. Lo Stato e i soggetti titolari delle funzioni amministrative di governo del territorio esercitano
le competenze loro attribuite, relative alla tutela
e alla valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici, coordinandole con quelle relative alla disciplina delle trasformazioni dei paesaggi, secondo
i principi stabiliti dalla Convenzione europea sul
paesaggio, fatta a Firenze il 20 ottobre 2000, resa
esecutiva con legge 9 gennaio 2006, n. 14.
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2. Le modalità di coordinamento di cui al comma
1, finalizzate ad assicurare per ogni livello istituzionale la qualificazione paesaggistica della pianificazione nell’ambito del governo del territorio,
sono definite in sede di Conferenza permanente per
i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
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3. La pianificazione territoriale è esercitata ai sensi di quanto previsto dal codice dei beni culturali
e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22
gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni,
in relazione ai beni tutelati e ai valori di identità.
Ai fini dell’integrazione e dell’armonizzazione della
pianificazione del paesaggio e di quella dei beni
paesaggistici si procede alla stipulazione di intese
tra la regione o le regioni interessate e il competente organo dello Stato, anche prevedendo appositi accordi per la tutela e la valorizzazione delle
risorse essenziali e non rinnovabili.
ART. 13.
(Coordinamento con 1a tutela e 1a valorizzazione dell’ambiente).
1. 1 comuni, le province, le città
metropolitane, le regioni e lo Stato
esercitano le competenze loro attribuite relative alla tutela e alla valorizzazione
dell’ambiente e del territorio, coordinandole
con quelle di competenza dello Stato e integrandole nel governo del territorio, e collaborano
per la tutela e per il risanamento del suolo e del
sottosuolo nonché per il risanamento idrogeologico
del territorio, tramite la prevenzione dei fenomeni
di dissesto, la messa in sicurezza delle situazioni a
rischio e la lotta alla desertificazione. Le modalità
di coordinamento degli interventi sono stabilite in
sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo
Stato, le regioni e le province autonome di Trento
e di Bolzano.
1. Il Governo predispone, con cadenza annuale, di
intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo
8 del decreta legislativo 28 agosto 1997, n. 281,
e successive modificazioni, il Documento nazionale
di programmazione del territorio.
2. Il Documento nazionale di programmazione del
territorio, avente carattere programmatico e operativo, da redigere tenuto conto delle linee fondamentali di assetto del territorio nazionale di cui
all’articolo 11, è finalizzato alla pianificazione, alla
programmazione e all’attuazione in modo coordinato, integrato e sinergico degli interventi di
infrastrutturazione del territorio, in relazione all’allocazione e alle priorità di investimento economico,
in coerenza con il Documento di programmazione
economica-finanziaria. Il Documento nazionale di
programmazione del territorio contiene, altresì, la
verifica dei risultati conseguiti dalle politiche e dai
programmi di cui all’articolo 9, commi 1 e 2, e della coerenza programmatica per la migliore articolazione territoriale degli interventi relativi alle reti
infrastrutturali e alle opere di competenza statale,
al sistema delle città e delle aree metropolitane,
anche ai fini dello sviluppa del Mezzogiorno e delle
aree marginali del Paese nonché alla promozione di
programmi innovativi in ambito urbano che implichino un intervento coordinato da parte di diverse
amministrazioni della Stato.
3. Le regioni, in coerenza con gli indirizzi del Documento nazionale di programmazione del territorio,
predispongono
i propri documenti di programmazione e concorrono
alle scelte localizzative e al perseguimento degli
obiettivi di sviluppo delle comunità regionali.
4. Le regioni determinano le modalità di interrelazione tra la pianificazione territoriale e urbanistica
e la pianificazione e la programmazione della mobilità locale e di area vasta, al fine di individuare
gli elementi di funzionalità indispensabili del sistema della mobilità in relazione alle previsioni di
localizzazione di nuove funzioni o di interventi di
rigenerazione dei tessuti urbani. Gli strumenti di
e
2. Al fine di realizzare un’efficace prevenzione e
un’incisiva riduzione dei rischi idrogeologici, tenuto conto anche dei rischi connessi ai cambiamenti
climatici, i soggetti titolari di funzioni relative al
governa del territorio assicurano l’unitarietà degli
indirizzi e la compatibilità delle politiche di settore
che incidono sul territorio, provvedendo, altresì, a
un costante miglioramento delle politiche ordinarie
di gestione e di manutenzione.
ART. 14.
(Coordinamento con 1a programmazione economica
e con 1a pianificazione delle infrastrutture della mobilità).
258
Quaderni PD.indb 258
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ti di pianificazione e delle misure di salvaguardia
straordinaria, al fine di ordinare la sospensione di
interventi di trasformazione urbanistico-edilizia
del territorio che siano tali da compromettere o da
rendere più onerosa l’attuazione degli strumenti di
pianificazione;
g) l’applicazione delle norme di salvaguardia da osservare nel territorio dei comuni sprovvisti di strumenti di pianificazione;
h) l’annullamento degli strumenti in contrasto con
la normativa urbanistica ed edilizia statale e regionale vigente.
e
governo del territorio prevedono l’obbligo di realizzare preventivamente le dotazioni necessarie e
le funzioni gestionali del trasporto pubblico locale,
determinando i relativi costi in relazione alle potenzialità di sviluppo previste e alla conseguente
domanda di mobilità.
ART. 15.
(Strumenti di pianificazione).
1. La legge regionale, nell’ambito dei princìpi fissati dalla presente legge, individua gli strumenti e le
finalità della pianificazione ai diversi livelli istituzionali, comunale e provinciale, e disciplina:
a) il contenuto, la durata temporale, le modalità di
attuazione, l’efficacia e gli effetti degli strumenti di pianificazione sul regime conformativo degli
immobili;
b) il procedimento di formazione e di approvazione
degli strumenti di pianificazione e dei loro eventuali aggiornamenti, nel rispetto dei princìpi di trasparenza e di democrazia, di cui all’articolo 6, e del
giusto procedimento;
c) i casi in cui gli strumenti di pianificazione sono
sottoposti a verifica di coerenza con gli strumenti
di programmazione economica, con la pianificazione di settore e con ogni altra disposizione o piano,
individuando il soggetto responsabile e stabilendone le relative modalità;
d) la formazione di strumenti di pianificazione
intercomunale e di gestione integrata dei servizi
connessi in relazione alla specificità di determinati
ambiti territoriali omogenei sotto il profilo sociale
ed economico o alla presenza sul territorio di comuni di ridotte dimensioni; a tale fine, le regioni
disciplinano il procedimento di formazione dello
strumento urbanistico intercomunale e la costituzione della forma associativa tra gli enti locali
interessati;
e) la formazione semplificata degli strumenti di
pianificazione comunale, per i comuni che hanno
dimensione e complessità territoriali contenute e
particolari condizioni socio-economiche;
f) l’emanazione delle misure di salvaguardia ordinarie nelle more dell’approvazione degli strumen-
2. La pianificazione territoriale disciplina le principali componenti dell’assetto del territorio e le
relative invarianti strutturali, in raccordo con la
programmazione e con le politiche regionali e provinciali, sostenendo forme di opportune aggregazioni comunali per la pianificazione locale, e determinando gli eventuali effetti conformativi della
proprietà o del territorio sugli strumenti di
pianificazione comunale. La pianificazione territoriale recepisce e coordina le
prescrizioni relative alle invarianti
ambientali e territoriali costituite
dalle risorse non rinnovabili nonché
ai vincoli territoriali, paesaggistici e
ambientali che derivano da piani sovralocali, da singoli provvedimenti amministrativi
o da norme di legge. Con legge regionale sono
definite le modalità con le quali lo strumento di
pianificazione territoriale di coordinamento provinciale può assumere valore di piano di tutela nei
settori della protezione della natura, della tutela
dell’ambiente, delle acque e della difesa del suolo,
della tutela del paesaggio e dei beni paesaggistici,
a condizione che la definizione delle relative disposizioni avvenga tramite intese tra le amministrazioni, anche statali, competenti.
3
DISCIPLINA DELLA PIANIFICAZIONE
3.
CAPO III
3. La legge regionale disciplina gli strumenti territoriali di livello locale e individua nell’ambito della
pianificazione comunale o intercomunale:
a) il livello strutturale di governo del territorio che
riguarda l’intero territorio comunale;
b) il livello operativo di governo del territorio;
c) il livello regolamentare urbanistico-edilizio.
4. Il livello strutturale di governo del territorio:
a) determina le invarianti territoriali e ambientali;
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Quaderni PD.indb 259
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b) contiene le scelte strategiche di trasformazione
e di sviluppo del territorio, armonizzandole con la
disciplina di tutela e di valorizzazione dell’integrità
fisica e ambientale, nonché dell’identità culturale
del rispettivo territorio;
c) recepisce i vincoli morfologici e ricognitivi posti dalle pianificazioni di settore o da singoli provvedimenti amministrativi o da norme di legge in
materia di paesaggio e di beni paesaggistici, delle
acque e della difesa del suolo, della protezione della natura e della tutela dell’ambiente.
5. Le previsioni del livello strutturale di governo
del territorio hanno valore conformativo della proprietà e degli altri diritti reali nei casi di cui alle
lettere a) e c) del comma 4.
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6. Il livello operativo di governo del territorio, in
conformità con il livello strutturale di cui al comma 4, definisce le destinazioni d’uso degli immobili e disciplina le modalità di attuazione
degli interventi di trasformazione del territorio da avviare nell’arco temporale
determinato dall’amministrazione competente e comunque non
superiore a cinque anni, decorsi i
quali ne decade la validità.
7. Il livello operativo del governo del territorio ha efficacia conformativa dei suoli e della proprietà edilizia unitamente all’obbligo della
contemporanea realizzazione degli interventi di
trasformazione e delle necessarie dotazioni territoriali, delle infrastrutture per la mobilità e delle
opere pubbliche indispensabili per la funzionalità
dei nuovi insediamenti.
8. Le previsioni della pianificazione di livello operativo sono attuate attraverso modalità compensative e perequative o mediante esproprio per pubblica
utilità. Le previsioni urbanistiche inattuate degli
interventi pubblici e privati decadono di diritto all’atto dell’adozione delle nuove previsioni.
10. Il livello regolamentare urbanisticoedilizio
disciplina le modalità di intervento e di gestione
degli insediamenti esistenti e delle aree di conservazione delle attività agricole.
ART. 16.
(Livelli minimi delle dotazioni territoriali).
1. La pianificazione e la programmazione del territorio prevedono la dotazione di attrezzature pubbliche e di servizi di interesse pubblico, collettivo
e generale per garantire, sul territorio nazionale, i
livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili, nonché la dotazione delle reti
e delle infrastrutture che consentono l’accessibilità
alle attrezzature urbane e territoriali e la mobilità
dei cittadini e delle merci.
2. Costituiscono dotazioni territoriali essenziali,
indispensabili per il raggiungimento dei livelli di
qualità urbana e per la realizzazione di interventi
organici di riqualificazione dei tessuti edilizi, nonché di infrastrutturazione del territorio, gli immobili
e le attività gestionali finalizzati alla fornitura dei
servizi relativi ai seguenti diritti di cittadinanza:
a) salute, assistenza sociale e sostegno della famiglia;
b) istruzione, innovazione e ricerca; c) esercizio
della libertà di religione;
d) fruizione del tempo libero, del verde pubblico,
della cultura, dello sport e dello spettacolo;
e) mobilità e accessibilità, trasporto pubblico e
collettivo;
f) godimento del paesaggio, del patrimonio storicoartistico e dell’ambiente; g) sostegno all’iniziativa
economica, in coerenza con l’utilità sociale e con la
sicurezza del territorio e dei lavoratori;
g) servizio abitativo sociale.
e
9. Per l’attuazione degli interventi di trasformazione urbanistica e di recupero, la pianificazione di
livello operativo può definire un livello abitativo
di iniziativa pubblica o privata ovvero mista che
preveda, in particolare: la pluralità delle funzioni
urbanistiche ed edilizie, delle categorie di inter-
vento e delle eventuali azioni di carattere sociale
ed economico, nonché forme di incentivazione; l’indicazione dei soggetti interessati alla promozione e
all’attuazione del programma; gli ambiti minimi di
intervento; l’integrazione delle risorse pubbliche e
private; l’integrazione degli strumenti, anche di gestione, dei settori della mobilità e della produzione
di beni e di servizi; le procedure amministrative e
le modalità concorsuali di accesso ai finanziamenti
pubblici.
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in relazione alla qualificazione dei tessuti urbani e
del territorio.
6. Ogni attività di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio è subordinata all’esistenza o alla
contestuale realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria, secondaria e generale e concorre al
costo di tali opere. Nelle attività di trasformazione
urbanistica ed edilizia è ripartito proporzionalmente il costo effettivo delle opere di urbanizzazione
primaria e secondaria da realizzare, nonché delle dotazioni territoriali, delle mitigazioni e delle
compensazioni relative agli impatti ambientali di
tali trasformazioni. Il costo effettivo delle opere
di urbanizzazione generale è ripartito sulla base di
riferimenti parametrici sull’insieme degli interventi
ricadenti nel territorio comunale. Gli oneri concessori sono destinati alla realizzazione delle opere di
urbanizzazione e alle dotazioni territoriali previste dalla pianificazione comunale.
e
3. La legge regionale garantisce che gli strumenti
di governo del territorio comprendano la pianificazione e la programmazione della dotazione e della
gestione dei servizi primari, secondari e di interesse generale, individuando le opere e gli elementi
gestionali necessari al soddisfacimento dei servizi
relativi ai diritti di cui al comma 2. Le previsioni
delle dotazioni territoriali analizzano e documentano il fabbisogno pregresso e futuro, nonché lo stato effettivo di accessibilità e di fruibilità dei servizi
pubblici, di interesse pubblico e generale, determinando le modalità, i criteri e i parametri tecnici
ed economici attraverso i quali sono assicurate la
fornitura e la qualità di tali servizi, in relazione alle
politiche sociali, locali e sovralocali, anche tramite
il concorso di soggetti privati.
5. Il decreto di cui al comma 4 individua, in particolare:
a) i livelli minimi essenziali dei servizi indispensabili relativi ai diritti di cui al comma 2;
b) gli elementi economico-sociali che determinano
la variazione dei livelli minimi essenziali di cui alla
lettera a), nonché le modalità con le quali i livelli
minimi essenziali sono periodicamente aggiornati,
in funzione dell’evoluzione economica e sociale del
Paese;
c) gli elementi essenziali di tutela dell’igiene dell’abitato, dei tessuti urbani e del territorio, anche
al fine di garantire la salute pubblica, nonché le
prestazioni ambientali ed energetiche, con particolare riferimento alla diffusione di fonti energetiche
rinnovabili e del risparmio energetico;
d) i criteri per la verifica della qualità e dell’effettività delle prestazioni di servizio rese e per la
determinazione dei bacini di utenza ottimali, in relazione al livello istituzionale adeguato per la realizzazione e la gestione delle dotazioni territoriali;
e) le categorie di opere di urbanizzazione primaria,
secondaria e generali, fermi restando il loro ampliamento e la loro integrazione con legge regionale,
3
7. La pianificazione definisce gli ambiti
nei quali può essere proposta la cessione gratuita da parte dei proprietari,
singoli o in forma consortile, di
edifici destinati al servizio abitativo
sociale in rapporto al fabbisogno locale
e in relazione all’entità e al valore della
trasformazione, nonché l’eventuale fornitura di alloggi a canone calmierato, concordato
e sociale. Con legge regionale sono disciplinati la
soglia minima della predetta cessione gratuita o fornitura, nonché i criteri e le modalità di attuazione
della trasformazione di tali ambiti.
3.
4. Le previsioni di cui al comma 3 sono conformate
secondo livelli minimi individuati con decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta
del Ministro delle infrastrutture e d’intesa con la
Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto
legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive
modificazioni, da emanare entro sei mesi dalla data
di entrata in vigore della presente legge.
ART. 17.
(Quadri conoscitivi e sistema informativo territoriale).
1. Il quadro conoscitivo del territorio costituisce il
sistema integrato delle informazioni e dei dati indispensabili per la comprensione delle condizioni,
delle potenzialità, delle invarianti territoriali e ambientali e delle previsioni socio-economiche di sviluppo. Esso provvede all’organica rappresentazione
e valutazione dello stato del territorio e dei processi
evolutivi che lo caratterizzano e costituisce riferimento indispensabile per la definizione degli obiettivi e dei contenuti della pianificazione territoriale e
di governo del territorio, nonché per la valutazione
dei piani e dei programmi di intervento.
261
Quaderni PD.indb 261
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2. Il quadro conoscitivo contiene, nelle forme e nei
contenuti determinati con legge regionale, la lettura del territorio effettuata attraverso l’analisi delle
componenti ambientali, culturali e paesaggistiche,
economiche e sociali, demografiche e infrastrutturali. I comuni, le province, le città metropolitane,
le regioni e lo Stato, singoli o associati tra loro,
partecipano alla formazione e alla gestione del sistema informativo territoriale che costituisce il riferimento conoscitivo per la definizione degli strumenti di pianificazione del suolo e per la verifica
dei loro effetti, nonché per il monitoraggio dell’uso
e della riduzione del consumo di suolo.
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3. Le amministrazioni pubbliche che svolgono funzioni di raccolta, elaborazione e aggiornamento di
dati e di informazioni relativi al territorio e all’ambiente sono tenute a metterli a disposizione degli
enti territoriali che procedono alla predisposizione
dei piani e degli atti di governo del territorio,
anche ai fini della costituzione del sistema
informativo nazionale e regionale previsto dai commi 1 e 2.
4. Le regioni stabiliscono, in raccordo con le specifiche tecniche
stabilite dagli organismi nazionali
competenti, le modalità per la raccolta,
l’elaborazione, la conservazione e la diffusione dei dati, le caratteristiche generali dei
sistemi informativi geografici e statistici nonché
le modalità per assicurare la congruenza dei sistemi informativi territoriali previsti dal presente articolo, in coerenza con le indicazioni di carattere
nazionale, determinate dallo Stato, di intesa con la
Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto
legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive
modificazioni.
ART. 18.
(Qualità del territorio rurale).
1. Il valore del territorio rurale è riconosciuto quale
patrimonio di identità e di biodiversità e di pratiche agronomiche e forestali sostenibili da preservare e da valorizzare. La programmazione e la pianificazione del territorio perseguono la qualità e la
sostenibilità dello sviluppo delle aree agricole e del
territorio non urbanizzato, contrastando il consumo di suolo anche attraverso il consolidamento e la
promozione del ruolo multifunzionale svolto dall’attività agricola, nonché tramite il contrasto all’abbandono, al degrado e alla carenza di manutenzione del territorio, riconoscendo il valore economico,
sociale e culturale della produzione primaria e dei
servizi ambientali resi dalle attività agricole.
2. In attuazione di quanto previsto dal comma 1,
le regioni:
a) assicurano che gli strumenti di pianificazione
impediscano, sul territorio non urbanizzato, interventi di trasformazione degli edifici, ad eccezione
degli interventi strettamente relativi all’esercizio di
attività agricole e di quelle multifunzionali connesse, nel rispetto di parametri rapportati alla qualità e all’estensione delle colture praticate e alla
capacità produttiva prevista dai piani di sviluppo
aziendale;
b) disciplinano gli interventi di trasformazione
urbanistica ed edilizia necessari allo sviluppo dell’agricoltura e delle attività multifunzionali ad esse
connesse, compatibili con la tutela e con l’utilizzazione delle risorse non rinnovabili, con particolare
riferimento al suolo e alle risorse idriche;
c) promuovono, in via prioritaria, il recupero del
patrimonio edilizio rurale esistente e consentono
l’edificazione solo se necessaria alla conduzione
del fondo e all’esercizio delle attività agricole e di
quelle ad esse connesse e alla manutenzione del
territorio.
3. Gli strumenti di programmazione e di pianificazione territoriale e di governo del territorio promuovono misure per la tutela, la salvaguardia e la
valorizzazione dei paesaggi agrari e montani e, in
e
5. Le regioni determinano il recepimento e le relative modalità di acquisizione e di restituzione delle
informazioni riguardanti le invarianti ambientali e
territoriali, anche al fine di poter disporre di uno
strumento unico di condivisione delle informazioni
per la pianificazione e per le verifiche di conformità
urbanistica ed edilizia. La legge regionale disciplina le modalità di collaborazione e di interscambio
delle informazioni e di implementazione delle stesse tra gli enti territoriali ai fini dell’elaborazione e
dell’aggiornamento del quadro conoscitivo dei pia-
ni di cui al comma 3 e del monitoraggio dell’attuazione degli stessi.
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Quaderni PD.indb 262
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particolare, delle aree di pregio e con valenza paesaggistico-ambientale.
e
ART. 19.
(Tutela degli insediamenti storici, qualità e rigenerazione urbana).
un’adeguata articolazione funzionale di destinazioni d’uso, un’efficiente mobilità e accessibilità agli
insediamenti, un’adeguata dotazione di aree verdi
e di spazi per la collettività e un corretto rapporto
degli insediamenti con il contesto storico-insediativo, geomorfologico, ambientale e paesaggistico.
3. Resta ferma la competenza degli organi dello
Stato di integrare l’elenco degli immobili individuati ai sensi del comma 2 con propri provvedimenti
amministrativi.
4. Le trasformazioni ammissibili e le utilizzazioni
compatibili degli immobili individuati ai sensi del
comma 2 sono disciplinate dagli strumenti di governo del territorio dei comuni, delle province, delle città metropolitane e delle regioni, nell’ambito
delle rispettive competenze definite dalla legislazione regionale. Qualora i predetti immobili siano
oggetto di disposizioni immediatamente precettive
e operative, definite d’intesa con i competenti organi dello Stato, i titoli abilitativi edilizi conformi
a tali disposizioni tengono luogo delle autorizzazioni dei citati organi dello Stato.
5. Gli strumenti di pianificazione, ai fini della promozione della qualità urbana, provvedono a garantire, nelle trasformazioni urbane ed edilizie,
ART. 20.
(Concorrenzialità).
3
2. 1 comuni, le province, le città metropolitane e le
regioni, nell’ambito delle rispettive competenze, ai
fini della tutela dell’identità e della funzionalità di
immobili e di tessuti edilizi, individuano negli strumenti di pianificazione, d’intesa con i competenti
organi dello Stato, gli immobili che presentano,
singolarmente o come complesso, valore di testimonianza della cultura e della civiltà relativi a:
a) tessuti insediativi storici e urbani e insediamenti storici non urbani;
b) tessuti urbani consolidati aventi un impianto
urbanistico significativo;
c) insediamenti minori o isolati, unità edilizie e
spazi aperti aventi riconoscibili e significative caratteristiche strutturali, tipologiche e formali.
6. Ai fini del recupero dell’identità e della funzionalità di immobili e di tessuti edilizi nonché della
rimozione delle condizioni di degrado, gli strumenti di pianificazione promuovono la rigenerazione
urbana, tramite interventi di conservazione, di risanamento e di riqualificazione, anche attraverso la
sostituzione di tessuti edilizi. 1 comuni, le province, le città metropolitane e le regioni, nell’ambito
delle rispettive competenze, integrano le politiche
di rigenerazione urbana con azioni di politica sociale e assistenziale, volte al recupero della coesione e della solidarietà sociali, in particolare nelle
zone periferiche delle città.
3.
1. La pianificazione urbanistica e del territorio persegue gli obiettivi della tutela degli insediamenti
storici, della promozione della qualità urbana e architettonica delle città, nonché dell’attivazione di
processi di rigenerazione urbana.
1. Nell’ambito della titolarità pubblica della pianificazione del territorio, anche per l’innalzamento della
qualità degli interventi e al fine di dare
certezza della loro fattibilità, gli strumenti
di pianificazione operativa di cui all’articolo
15, commi 6 e seguenti, possono prevedere forme di confronto concorrenziale atte a promuovere
e a selezionare capacità e risorse imprenditoriali
e progettuali private e pubbliche, garantendo la
pubblicità e la trasparenza del processo e un equo
trattamento della proprietà, nonché assicurando la
coerenza con il piano strutturale di cui al citato
articolo 15, commi 4 e 5, nel raggiungimento degli
obiettivi fissati dall’amministrazione pubblica.
2. La legge regionale stabilisce i casi in cui il ricorso a forme di confronto concorrenziale è obbligatorio e ne detta le modalità operative, atte a
garantirne la pubblicità. La legge regionale indica,
altresì, le modalità con le quali i soggetti titolari di diritti edificatori e promotori di interventi di
trasformazione partecipano, anche con contributi
aggiuntivi rispetto a quelli stabiliti dalla normativa
urbanistica ed edilizia vigente, alla realizzazione
delle dotazioni infrastrutturali di cui all’articolo 16
263
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e delle eventuali opere di mitigazione degli impatti
urbanistici e ambientali degli interventi stessi.
ART. 21.
(Perequazione urbanistica e disciplina delle previsioni edificatorie).
1. La perequazione urbanistica è una modalità di
attuazione finalizzata ad assicurare le trasformazioni previste dagli strumenti di governo del territorio,
nonché l’equità di trattamento fra le proprietà coinvolte nelle relative previsioni attraverso la ripartizione delle previsioni edificatorie e dei conseguenti
oneri per le proprietà immobiliari ricadenti in ogni
ambito oggetto di trasformazione urbanistica.
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2. Le previsioni edificatorie e i relativi oneri sono
attribuiti a ciascun proprietario incluso in un ambito di trasformazione, come stabilito dal piano di
governo del territorio e in base a criteri generali determinati dalla regione. Le previsioni
edificatorie incluse nel piano operativo
perdono efficacia decorsi cinque anni
dalla data di entrata in vigore delle
stesse qualora non sia avvenuta
la stipula dell’atto, comunque denominato, che definisce le modalità di
attuazione nell’ambito di trasformazione.
3. I proprietari di beni immobili rientranti nell’ambito territoriale di trasformazione si associano nelle forme previste dalla normativa vigente in
materia. Le destinazioni d’uso delle aree interessate
sono determinate dal piano di governo del territorio
e localizzate, mediante l’attribuzione della edificabilità concessa all’ambito di trasformazione, negli
immobili da trasformare, con la contemporanea cessione al comune degli immobili necessari per la realizzazione delle dotazioni territoriali. Le dotazioni
territoriali dell’ambito di trasformazione sono poste
a carico dei soggetti attuatori; la relativa realizzazione può avvenire a scomputo degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, nel rispetto della
disciplina comunitaria vigente in materia.
5. Il piano di governo del territorio individua:
a) gli ambiti territoriali nei quali l’attuazione avviene tramite perequazione urbanistica riguardanti
il territorio da trasformare, escludendo le aree agricole, i tessuti storici e consolidati e le aree non
soggette a trasformazione urbanistica;
b) l’edificabilità territoriale attribuita agli ambiti di
trasformazione perequativa; c) l’obbligo di cessione di beni immobili al comune per la realizzazione
delle dotazioni territoriali o comunque per spazi
pubblici, di pubblica utilità o di interesse generale
e collettivo;
d) le modalità di progettazione unitaria dell’ambito
di trasformazione;
e) ogni altro ulteriore criterio o modalità per l’applicazione della perequazione urbanistica non previsto dalle lettere da a) a d).
6. L’utilizzazione delle previsioni edificatorie avviene a seguito di contratto di trasferimento di volumetria. Con tale contratto il proprietario dei beni
rientranti in un ambito di trasformazione urbanistica trasferisce la previsione edificatoria in un’altra
area rientrante nel medesimo ambito di trasformazione, nei limiti di capacità edificatoria determinati
dal piano di governo del territorio e in conformità a
quanto previsto dal comma 5.
7. La conservatoria dei registri immobiliari provvede alla registrazione dei contratti di cui al comma
6, nonché delle eventuali servitù pubbliche o di altri gravami. Il comune istituisce, anche ai fini delle
verifiche del raggiungimento dei limiti di incremento massimi della capacità edificatoria, un registro
dei contratti di trasferimento delle previsioni edificatorie stipulati, corredato da un idoneo sistema
informativo su base catastale.
e
4. Per la costituzione della forma associativa privata di cui al comma 3 è sufficiente il 50,1 per cento del valore catastale dei beni immobili rientranti
nell’ambito di trasformazione. Nel caso di mancata
costituzione della forma associativa il comune può
espropriare le aree al fine di riassegnarle mediante
procedimento ad evidenza pubblica. Qualora, costituito il consorzio, vi siano proprietari non aderenti, i proprietari che rappresentano il 50,1 per
cento del valore catastale sono abilitati a promuovere l’avvio della procedura espropriativa a proprio
favore delle aree e delle costruzioni dei medesimi
proprietari non aderenti entro i termini assegnati dal comune. L’indennità espropriativa, posta a
carico del consorzio, deve corrispondere al valore
venale dei beni espropriati diminuito degli oneri di
urbanizzazione stabiliti in convenzione.
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ART. 22.
(Valutazione integrata dei piani e dei programmi di
governo del territorio).
e
1. La valutazione integrata, anche in attuazione
della direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo
e del Consiglio, del 27 giugno 2001, si applica agli
strumenti di pianificazione del governo del territorio al fine di: a) orientare le scelte di governo del
territorio in base a criteri di sviluppo sostenibile;
b) accrescere l’efficacia e l’efficienza delle decisioni
assunte nel procedimento di formazione dei piani e
dei programmi, garantendone la coerenza interna
ed esterna;
c) generare un sistema interrelato di piani e di programmi che risultino adeguati, differenziati e posti
in relazione di sussidiarietà, garantendo la coerenza tra i diversi livelli di pianificazione;
d) predisporre gli elementi e le modalità per la verifica del grado di conseguimento degli obiettivi;
e) garantire l’utilizzazione di tutte le informazioni disponibili che possono essere ragionevolmente
richieste, tenuto conto delle conoscenze, dei contenuti e del livello di dettaglio dei piani o dei programmi, della loro collocazione gerarchica e delle
informazioni e delle valutazioni ottenute od ottenibili nell’ambito di altri livelli decisionali;
f) esplicitare le ragioni delle scelte assunte nel
corso della formazione dei piani e dei programmi,
nonché delle scelte relative alla determinazione
degli ambiti di trasformazione per i quali sia prevedibile l’attuazione tramite modalità perequativa,
e stabilire la capacità edificatoria massima ammissibile;
g) anticipare in parte o, comunque, semplificare le
attività di valutazione d’impatto ambientale per i
progetti generati dai piani o dai programmi.
3. Le leggi regionali, nel definire i contenuti e le
modalità di svolgimento della valutazione integrata in relazione all’articolazione della pianificazione,
stabiliscono, in particolare, l’integrazione nel processo di pianificazione delle valutazioni degli effetti territoriali, ambientali, sociali, economici e sulla
salute umana, individuati ai sensi del comma 2.
2. Per il raggiungimento delle finalità di cui al comma 1, il processo di valutazione integrata garantisce, anche in coerenza con le linee fondamentali
di assetto del territorio nazionale definite ai sensi
dell’articolo 11, un’adeguata considerazione degli
effetti territoriali, ambientali, sociali, economici
e sulla salute umana delle scelte contenute negli
strumenti di pianificazione, prima della loro adozione, tramite la formazione di bilanci socioeconomici
e territoriali-ambientali, ex ante, in itinere ed ex
post, relativi all’efficacia del processo di pianificazione territoriale e urbanistica.
ART. 23.
(Fiscalità urbanistica e immobiliare).
3.
3
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro diciotto
mesi dalla data di entrata in vigore della presente
legge, uno o più decreti legislativi volti al riordino
e all’armonizzazione del regime fiscale urbanistico
e immobiliare, prevedendo forme di perequazione
o di compensazione territoriale a carattere intercomunale, nonché all’incentivazione di interventi di rigenerazione urbana, per il miglioramento
qualitativo e prestazionale degli edifici e dei
relativi tessuti edilizi, con particolare riguardo al risparmio energetico. La delega
è esercitata nel rispetto dei seguenti
princìpi e criteri direttivi:
a) semplificazione, armonizzazione e selettività delle imposte relative al valore patrimoniale degli immobili, al ciclo di trasformazione urbanistica,
della produzione edilizia e dei trasferimenti
immobiliari per quanto riguarda le imposte sul
valore aggiunto, di registro, ipotecarie e catastali
e sul costo del lavoro. In particolare, sono previste
forme di neutralità impositiva dei trasferimenti di
cui all’articolo 21;
b) riordino degli incentivi previsti dall’articolo 1
della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive
modificazioni, e degli incentivi di analoga finalità
stabiliti dalla legislazione vigente in materia, anche
prevedendo la stabilizzazione a regime degli incentivi destinati a specifiche categorie di intervento,
al fine di promuovere la messa in sicurezza degli
edifici o di loro parti strutturali e tecnologiche, il
risparmio energetico, l’eliminazione delle barriere architettoniche e l’adeguamento degli impianti
nonché di attivare un programma di comunicazione
e di assistenza alle famiglie e alle imprese per la
più efficace ed efficiente finalizzazione dei predetti
incentivi;
c) revisione dei criteri di formazione del contributo
di costruzione, relativamente alla parte riguardante
265
Quaderni PD.indb 265
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il costo di costruzione, tenendo conto, tra l’altro,
dei plusvalori immobiliari realizzati a seguito di
interventi pubblici e di interesse generale, al fine
di consentire la promozione del recupero edilizio e
urbanistico e il riuso delle aree dismesse e degradate, nonché di favorire il processo di sostituzione
edilizia e di determinare i costi esterni di natura
ambientale, infrastrutturale e territoriale delle trasformazioni urbanistiche.
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2. Gli schemi dei decreti legislativi di cui al comma 1 del presente articolo, corredati dalla relazione
tecnica ai sensi dell’articolo 11-ter, comma 2, della
legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni, sono sottoposti al parere delle competenti
Commissioni parlamentari, sentita la Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
Decorsi trenta giorni dalla data di trasmissione, i
decreti sono emanati anche in mancanza del
predetto parere.
ART. 24.
(Disciplina edilizia e dell’espropriazione).
1. L’attività edilizia costituisce parte
integrante del processo di trasformazione
e di sviluppo del territorio ed è soggetta a
titolo abilitativo rilasciato dal comune al proprietario dell’immobile o a chi ne abbia titolo per
richiederlo ovvero formato in base a presupposti di
conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia.
L’esercizio della trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comporta l’obbligo di partecipare,
anche totalmente, all’incidenza di tale trasformazione sul territorio e sull’ambiente.
2. La realizzazione delle opere e degli interventi
edilizi è soggetta alla verifica di sussistenza delle
condizioni di sicurezza statica e sismica, tecnologica e impiantistica, di salubrità, di risparmio energetico degli edifici e degli impianti in essi installati, nonché di accessibilità e superamento delle
barriere architettoniche.
5. Ai fini di cui al presente articolo, le regioni determinano:
a) i criteri per la disciplina delle modalità costruttive, con particolare riguardo al rispetto delle normative tecnicoestetiche, igienico-sanitarie, di sicurezza e vivibilità, nonché di qualità prestazionale
ambientale ed energetica degli immobili;
b) le modalità e le condizioni delle procedure relative ai titoli abilitativi edilizi, la loro efficacia temporale e le condizioni di decadenza, fissando tempi
perentori ed esiti certi, prevedendo che, in caso di
mancata risposta da parte del comune, la richiesta
si intende rifiutata;
c) le modalità di sostituzione, sanzionatoria e di
risarcimento del danno nel caso di inadempienza agli obblighi di cui alla lettera b) da parte
dell’amministrazione comunale;
d) le categorie di opere e i presupposti di conformità urbanistica ed edilizia in base ai quali l’interessato ha facoltà di presentare una denuncia di
inizio attività in luogo della domanda per il rilascio
del permesso di costruire. In tale caso resta fermo
il regime sanzionatorio penale, amministrativo e civilistico previsto per il permesso di costruire;
e) la disciplina della natura onerosa delle categorie
di intervento edilizio che comportano trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio nonché le
sanzioni per il ritardato o mancato versamento del
contributo di costruzione;
f) le condizioni di interesse pubblico per il rilascio
del permesso di costruire in deroga alle previsioni
degli strumenti urbanistici.
6. L’esproprio dei beni immobili o di diritti relativi
a immobili può essere disposto dall’amministrazione per l’esecuzione di opere pubbliche, di pubblica
utilità o di interesse pubblico. Un bene è sottoposto al vincolo preordinato all’esproprio al momento dell’efficacia dell’atto di approvazione del piano
e
3. Le definizioni degli interventi edilizi, stabilite dalla normativa vigente in materia, costituiscono riferimento omogeneo sul territorio nazionale ai fini della
richiesta dei titoli abilitativi di cui al comma 4.
4. Sono titoli abilitativi edilizi il permesso di costruire e la denuncia di inizio attività, come disciplinati dalla normativa vigente in materia. Tali titoli sono necessari, in caso di costruzione, qualora
l’amministrazione competente debba esprimere una
valutazione sulla trasformazione edilizia e, in caso
di inizio attività, qualora la trasformazione sia consentita a seguito di un’attestazione di conformità agli strumenti urbanistici, ai regolamenti e alle
prescrizioni edilizie.
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operativo di governo del territorio, predisposto ai
sensi dell’articolo 15, commi 6 e seguenti, o di altro
strumento equivalente determinato dal comune.
2. Nell’esercizio della delega di cui al comma 1, il
Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri:
a) formazione di un quadro unitario della materia
del governo del territorio, ferma restando le considerazione prioritaria del nuovo sistema di rapporti
istituzionali derivante dagli articoli 114, 117, 118
e 119 della Costituzione;
b) considerazione prioritaria dell’unità giuridica ed
economica, della tutela dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, del
rispetto delle norme e dei trattati internazionali e
della normativa comunitaria, della tutela dell’ambiente e del territorio nonché dell’incolumità e
della sicurezza pubblica, nel rispetto dei princìpi generali in materia di procedimenti amministrativi;
c) coordinamento formale delle disposizioni di principio e loro eventuale semplificazione, nell’ambito
delle attribuzioni delle istituzioni
della Repubblica.
DISPOSIZIONI TRANSITORIE E FINALI
ART. 25.
(Norma transitoria).
1. Le regioni, entro sei mesi dalla data di entrata in
vigore della presente legge, provvedono all’adeguamento della propria normativa vigente in materia
di governo del territorio in base ai princìpi della
presente legge.
ART. 26.
(Delega a1 Governo per i1 riordino e i1 coordinamento della legislazione vigente).
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi
dalla data di entrata in vigore della presente legge,
su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con i Ministri interessati, previa
intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome
di Trento e di Bolzano e previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, uno o più decreti
legislativi recanti l’indicazione espressa delle norme
3.
CAPO IV
3
e
7. Il vincolo preordinato all’esproprio di cui al comma 6 ha la durata di cinque anni, pari a quella
prevista per le previsioni edificatorie private di cui
all’articolo 21. Il vincolo preordinato all’esproprio
può essere motivatamente reiterato, in analogia a
quanto disposto dal citato articolo 21, comma 6,
per le predette previsioni edificatorie. Nel caso di
reiterazione di un vincolo preordinato all’esproprio
deve essere previsto un indennizzo, determinato ai
sensi della legislazione vigente in materia.
abrogate o rese inefficaci a seguito dell’entrata in
vigore delle discipline regionali previste dalla presente legge, nonché eventuali modifiche correttive
alle disposizioni vigenti, strettamente connesse ai
contenuti della presente legge.
ART. 27.
(Relazione a1 Parlamento).
1. Entro il 30 aprile di ciascun anno il Governo
presenta al Parlamento una relazione sullo stato
di attuazione della presente legge, con particolare riferimento alle misure di coordinamento degli
strumenti di programmazione del territorio definiti
dai diversi soggetti istituzionali della Repubblica,
al conseguimento delle finalità stabilite dal capo
I, alle azioni realizzate per il raggiungimento dei
livelli minimi delle dotazioni territoriali di cui all’articolo 16 nonché alla realizzazione del sistema
informativo territoriale previsto dall’articolo 17.
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Progetto di legge n. 330
d’iniziativa dei deputati MARIANI, BELLANOVA, BOCCI, BOFFA, BORDO, BRAGA, BRANDOLINI,
CECCUZZI, CENNI, CODURELLI, DE BIASI, FADDA, FEDI, FERRARI, FLUVI, FOGLIARDI, FONTANELLI, GHIZZONI, GIOVANELLI, IANNUZZI, LENZI, LOVELLI, MARAN, MARANTELLI, MARGIOTTA, MARTELLA, MIGLIOLI, MISIANI, MOTTA, NARDUCCI, OLIVERIO, QUARTIANI, RUBINATO,
RUGGHIA, SAMPERI, SANGA, SCHIRRU, SERENI, STRIZZOLO, FEDERICO TESTA, TIDEI, VANNUCCI, VELO, VICO, VILLECCO CALIPARI, VIOLA, ZUCCHI
Modifiche al codice di cui al decreto legislativo 12
aprile 2006, n. 163, per l’accelerazione e la semplificazione delle procedure relative all’intervento di
soggetti privati nella realizzazione di opere pubbliche
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presentata il 29 aprile 2008
dell’entrata in vigore del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, di
cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163,
di seguito denominato “codice”, l’istituto era disciplinato dall’articolo 19 della legge 11 febbraio
1994, n. 109, che era stato più volte modificato
con l’obiettivo di aumentare la convenienza del capitale privato a intervenire nella realizzazione di
opere pubbliche. Attualmente la concessione dei
lavori pubblici è disciplinata dai capi II e II del
titolo III della parte II (articoli 142- 160-bis) del
codice, che ne ha confermato sostanzialmente le
previsioni contenute nella legge n. 109 del 1994,
pur con alcune modifiche da ultimo introdotte con
il decreto legislativo 31 luglio 2007, n. 113.
L’attuale assetto normativo è, quindi, frutto di più
interventi del legislatore. Attualmente sono previsti
dalle norme due percorsi: uno di iniziativa pubblica
e uno di iniziativa privata. In realtà entrambi presuppongono che la pubblica amministrazione abbia
individuato i bisogni cui essa deve dare risposta
e le opere strumentali per dare tale risposta. Tale
individuazione è il contenuto del programma triennale previsto dall’articolo 128 del codice. A valle di
tale programma prendono origine i due percorsi. Il
e
ONOREVOLI COLLEGHI ! — Da alcuni anni è chiaro a tutte le forze
politiche, imprenditoriali, sociali e culturali che è urgente superare il gap infrastrutturale del nostro Paese. Vi è anche consapevolezza che ciò non può realizzarsi con le
sole risorse pubbliche e che, quindi, occorre favorire nei programmi di realizzazione di infrastrutture il
coinvolgimento del capitale privato. La formula che
consente tale partecipazione è sicuramente quella
di affidare con un unico contratto allo stesso soggetto sia l’attività` di costruzione dell’infrastruttura, sia quella di gestione della stessa in modo
che dalla gestione si possano ricavare le risorse per
coprire il finanziamento delle opere.
Va ricordato che nel nostro Paese tale possibilità
sussisteva sin dal 1929. La legge 24 giugno 1929,
n. 1137, prevedeva, infatti, che le pubbliche amministrazioni potevano affidare in concessione, anche
a privati, la costruzione di opere pubbliche e ciò
indipendentemente dall’affidare o non affidare il
loro esercizio. Era anche prevista la facoltà di corrispondere la spesa a carico del pubblico in non più
di trenta rate annuali.
Tale istituto è una delle formule previste dalle direttive comunitarie. Nel nostro ordinamento, prima
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mento nonché alla gestione tecnica o economica
dell’opera eseguita.
L’articolo 143, comma 9, del codice già dispone che
“Le amministrazioni aggiudicatrici possono affidare in concessione opere destinate alla utilizzazione
diretta della pubblica amministrazione, in quanto
funzionali alla gestione di servizi pubblici, a condizione che resti al concessionario l’alea economicofinanziaria della gestione dell’opera”.
La norma ha la finalità di rendere possibile la realizzazione con risorse private di “opere fredde”,
cioè di opere che non sono strumentali alla prestazione di servizi pubblici vendibili all’utenza e,
quindi, tariffabili. Questo è il caso, per esempio,
delle carceri, delle scuole e degli ospedali.
La difficoltà applicativa della norma è nella quasi
impossibilità di far rimanere a carico del concessionario l’indicata “alea economico-finanziaria della
gestione dell’opera”, fatto salvo che questa non
sia considerata quella normale di un soggetto
che presta servizi. In realtà la confusione
è aver chiamato “concessione” un “contratto misto” di costruzione e di servizi di gestione (per esempio nel
“carcere” la pulizia dei locali, la
preparazione e la distribuzione dei
pasti, la lavanderia, la manutenzione
dei servizi tecnologici e dell’edificio), con
il pagamento della costruzione in più anni
con rate costanti o anche crescenti e con il pagamento dei servizi mediante compensi annuali,
semestrali o, anche, mensili.
La soluzione è, quindi, quella di introdurre nel nostro ordinamento una tipologia contrattuale avente
ad oggetto le prestazioni di tali attività e ciò può
essere ottenuto integrando le definizioni dell’articolo 3 del codice con nuove disposizioni.
In merito alle opere che possono essere oggetto
di proposte da parte dei “promotori” è necessario
chiarire che esse possono essere non solo le cosiddette “opere calde”, e cioè quelle suscettibili di
gestione economica, ma anche le “opere fredde” o
quelle la cui realizzazione è un obbligo di legge ma
che non risultano inserite nei programmi.
Le attuali disposizioni prevedono che il termine in
cui devono essere presentate le proposte è quello
di centottanta giorni dalla pubblicazione dell’avviso indicativo con cui le amministrazioni aggiudicatrici rendono pubblica la presenza nei programmi di
interventi realizzabili con capitali privati.
3.
3
e
primo prevede che sia l’amministrazione pubblica a
redigere il progetto preliminare e i piani economicofinanziari delle opere da realizzare e a indire poi le
gare per l’affidamento della concessione; il secondo
prevede che siano i soggetti definiti “promotori” a
presentare progetti preliminari e piani economicofinanziari relativi ad opere previste nel programma
e che dopo tale presentazione si apra un particolare
procedimento che si conclude con l’aggiudicazione
di una concessione di lavori pubblici.
Entrambi i percorsi si concludono, quindi, con l’aggiudicazione di una concessione di lavori pubblici.
Il soggetto concessionario, in entrambi i casi, al
fine di acquisire le risorse necessarie per realizzare
e per gestire l’opera affidata utilizza la tecnica della
“finanza di progetto”.
Questo assetto normativo prevede che l’avviso
con il quale le amministrazioni informano i possibili promotori della presenza nei loro programmi
di interventi realizzabili con capitale privato deve
contenere i criteri, nell’ambito di quelli indicati all’articolo 154 del codice (profilo costruttivo, urbanistico, ambientale, qualità progettuale, funzionalità , fruibilità dell’opera, accessibilità al pubblico,
rendimento, costo di gestione e di manutenzione,
durata della concessione, durata dei tempi di esecuzione dei lavori, tariffe da applicare, metodologie
di aggiornamento delle stesse, valore economico e
finanziario del piano, contenuto della bozza di convenzione, assenza di elementi ostativi), in base ai
quali si procede alla scelta della proposta.
L’assetto normativo non è ancora, però, del tutto
soddisfacente. In particolare è carente sulla possibilità di coinvolgere il privato nelle cosiddette
“opere fredde”, sull’ampiezza delle possibili proposte presentabili dai “promotori”, sui termini in cui
devono essere presentate le proposte, sulla procedura per l’affidamento del contratto a seguito di
proposte presentate dai “promotori” e sulle norme
in ordine alla tecnica della “finanza di progetto”.
Tale aspetto non risulta sufficientemente chiarito e
risolto dall’articolo 160-bis del codice, per cui occorre intervenire con opportune nuove norme.
Sul primo aspetto appare necessario introdurre nel
nostro ordinamento, oltre alla “locazione finanziaria” prevista dal citato articolo 160-bis del codice,
anche il “partenariato pubblico privato”, cioè la
possibilità di affidare a un soggetto privato una
concessione o un altro contratto che comunque
comporti la partecipazione dello stesso al finanzia-
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dicatrice in un prefissato tempo e comunque prima
dell’indizione della gara per individuare i soggetti
da invitare alla procedura negoziata.
Sono inoltre previste alcune disposizioni che sono
finalizzate a garantire i finanziatori.
PROPOSTA DI LEGGE
ART. 1.
1. All’articolo 3 del codice dei contratti pubblici
relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive
modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) i commi 11 e 12 sono sostituiti dai seguenti:
“11. La “concessione di lavori pubblici” è un contratto stipulato tra un’amministrazione aggiudicatrice e un operatore economico avente per scopo la
realizzazione di opere pubbliche nonché di opere
ad esse strutturalmente e direttamente collegate;
il contratto ha ad oggetto il finanziamento totale
o parziale e l’esecuzione, ovvero il finanziamento
totale o parziale, la progettazione esecutiva e l’esecuzione, ovvero il finanziamento totale parziale, la
progettazione definitiva, la progettazione esecutiva
e l’esecuzione delle opere; il corrispettivo consiste
nel diritto di gestire funzionalmente ed economicamente le opere eseguite mediante la prestazione
di servizi pubblici, cui sono strumentali le opere
realizzate, con tariffe totalmente o parzialmente a
carico dell’utenza ovvero in tale diritto accompagnato da un prezzo.
12. La “concessione di servizi pubblici” è un contratto stipulato tra un’amministrazione aggiudicatrice e un operatore economico avente ad oggetto
la fornitura di servizi pubblici con tariffe totalmente
o parzialmente a carico dell’utenza; il corrispettivo
consiste nel suddetto diritto di gestire funzionalmente ed economicamente i servizi ovvero in tale
diritto accompagnato da un prezzo”;
b) sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:
“51-bis. La “locazione finanziaria” e il “partenariato pubblico privato” sono contratti stipulati tra
un’amministrazione aggiudicatrice e un operatore
economico, aventi per scopo la realizzazione di
opere destinate all’utilizzazione diretta dell’amministrazione aggiudicatrice in quanto funzionali alla
prestazione di servizi pubblici di competenza della
e
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La presente proposta di legge prevede, invece, che
le proposte siano presentate entro il termine del
relativo bando previsto dal novellato articolo 128,
comma 12-quater o, in alternativa, secondo la procedura vigente citata.
La previsione della pubblicazione dell’avviso suggerisce una modifica al procedimento da seguire per
affidare il contratto a seguito di presentazione di
proposte da parte di “promotori”. La norma vigente prevede la presentazione delle proposte, l’esame comparativo delle proposte da effettuare sulla
base dei criteri previsti nell’avviso, la scelta della
migliore soluzione, l’indizione di una gara per individuare i soggetti da far partecipare alla procedura
negoziata e, infine, la procedura negoziata. Sono
tre fasi o sottofasi ognuna delle quali presenta rischi di ricorsi e tempi lunghi. Si può , invece, prevedere, che:
a) qualora, a seguito dell’avviso, siano state presentate più proposte, l’amministrazione affidi direttamente la commessa applicando
il criterio dell’offerta economicamente
più vantaggiosa e, quindi, attraverso
una comparazione delle proposte
presentate e ritenute di pubblico
interesse;
b) qualora, a seguito dell’avviso, sia
presentata una sola proposta, ritenuta
comunque dall’amministrazione di pubblico
interesse, l’amministrazione indica una gara,
ponendo tale proposta a base della gara, per individuare, con il criterio dell’offerta economicamente
più vantaggiosa, i soggetti da invitare alla procedura negoziata nella quale il promotore può esercitare il diritto di prelazione.
Deve essere, inoltre, chiarito che qualora un promotore all’atto di presentazione della proposta non
possegga i requisiti previsti dall’articolo 98 del
regolamento di cui al decreto del Presidente della
Repubblica n. 554 del 1999 per essere concessionario:
1) se si verifica il caso di cui alla lettera a), deve
acquisirli su richiesta dell’amministrazione aggiudicatrice in un tempo prefissato e comunque prima
della conclusione della valutazione comparativa,
aggregando altri soggetti, in modo che possa essere aggiudicatario della concessione o del contratto
di partenariato pubblico-privato;
2) se si verifica il caso di cui alla lettera b), deve
acquisirli su richiesta dell’amministrazione aggiu-
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III, capo III, l’affidamento di una concessione di
lavoro pubblico o di un contratto di locazione finanziaria o di partenariato pubblico privato”.
ART. 2.
1. All’articolo 128 del citato codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive
modificazioni, sono aggiunti, in fine, i seguenti
commi:
“12-bis. I soggetti pubblici e privati possono collaborare alla programmazione dei lavori pubblici
presentando alle amministrazioni aggiudicatrici
proposte di intervento e studi di fattibilità . Tale
presentazione non determina, in capo alle amministrazioni aggiudicatrici, alcun obbligo di esame
e di valutazione; ove queste ultime adottino, nell’ambito dei propri programmi, proposte di intervento o studi presentati da soggetti pubblici o
privati, tale adozione non determina alcun diritto
del presentatore al compenso per le prestazioni compiute o alla realizzazione degli interventi proposti.
12-ter. La realizzazione di lavori pubblici o di pubblica utilità rientra tra
i settori ammessi di cui all’articolo
1, comma 1, lettera c-bis), del decreto legislativo 17 maggio 1999, n.
153, e successive modificazioni. Le camere di commercio, industria, artigianato
e agricoltura,nell’ambito degli scopi di utilità
sociale e di promozione dello sviluppo economico
dalle stesse perseguiti, possono presentare studi di
fattibilità o proposte di intervento, ovvero aggregarsi alla presentazione di proposte di realizzazione
di lavori pubblici, di cui al presente capo.
12-quater. L’elenco degli interventi inseriti nel programma triennale per i quali è consentita la presentazione di una proposta di concessione secondo le
disposizioni di cui al capo III, in quanto suscettibili di gestione economica, deve essere reso noto
con avviso da pubblicare secondo le modalità di cui
all’articolo 66. Per ciascuno di tali interventi deve
essere preferibilmente pubblicato, con le modalità
di cui al citato articolo 66, un bando conforme alle
previsioni relative all’affidamento delle concessioni
di cui all’articolo 144. Il termine di presentazione
delle proposte è stabilito in relazione alla complessità dell’intervento e comunque non può essere
inferiore a novanta giorni dalla pubblicazione del
bando. Il bando, oppure un documento descrittivo
3.
3
e
medesima amministrazione. Il contratto ha ad oggetto:
a) il finanziamento e l’esecuzione, ovvero il finanziamento, la progettazione esecutiva e l’esecuzione,
ovvero il finanziamento, la progettazione definitiva ed esecutiva e l’esecuzione, ovvero il finanziamento, la progettazione preliminare, definitiva ed
esecutiva e l’esecuzione, nonché´, in ogni caso, la
gestione dei servizi necessari al funzionamento e
alla manutenzione dell’opera e degli impianti tecnologici;
b) il pagamento:
1) nel caso sia previsto che l’opera al termine del
contratto diventi di proprietà dell’amministrazione aggiudicatrice, di canoni annuali, semestrali o
mensili, costanti o crescenti, collegati in modo significativo al mantenimento delle prestazioni corrispondenti per quantità e per qualità a quelle pattuite nel contratto, connessi all’ammortamento del
costo di costruzione e alla disponibilità dell’opera;
2) nel caso non sia previsto che l’opera al termine
del contratto diventi di proprietà dell’amministrazione aggiudicatrice, di canoni annuali, semestrali
o mensili, costanti o crescenti, collegati in modo
significativo al mantenimento delle prestazioni
corrispondenti per quantità e per qualità a quelle
pattuite nel contratto, connessi alla sola disponibilità dell’opera;
c) il pagamento di canoni annuali, semestrali o
mensili, costanti o crescenti, collegati in modo significativo al mantenimento delle prestazioni corrispondenti per quantità e per qualità a quelle pattuite nel contratto, connessi alla prestazione dei
servizi di gestione e di manutenzione.
51-ter. I “programmi” sono i programmi triennali
dei lavori pubblici, di cui all’articolo 128, nonché
i diversi programmi di lavori pubblici previsti dalla
vigente normativa statale e regionale, ivi incluso il
programma delle opere strategiche e di preminente
interesse nazionale,di cui alla legge 21 dicembre
2001, n. 443, e successive modificazioni;
51-quater. La “finanza di progetto” è una tecnica
finanziaria che consente ai privati, interessati a
partecipare o anche promuovere la realizzazione di
lavori pubblici a mezzo di contratti di concessione,
di locazione finanziaria o di partenariato pubblico
privato, di acquisire le necessarie risorse finanziarie.
51-quinquies. I “promotori” sono i soggetti che richiedono, con le modalità di cui alla parte II, titolo
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che costituisce parte integrante del bando, deve
contenere in particolare:
a) la specificazione della finalità di pubblico interesse perseguita;
b) le principali indicazioni contenute negli studi di
fattibilità e di individuazione dei bisogni nonché le
eventuali prescrizioni dei soggetti competenti all’approvazione degli interventi, ove acquisite;
c) l’indicazione dell’eventuale disponibilità di risorse finanziarie proprie o derivanti da altre fonti
nazionali o comunitarie,specificandone anche l’ammontare;
d) l’indicazione degli elementi di cui è necessario
tenere conto nella presentazione di una proposta
quali, a titolo indicativo, il valore massimo del
prezzo richiedibile, la tipologia dei servizi da prestare agli utenti o al concedente e le relative tariffe
ovvero canoni, le caratteristiche tecniche non derogabili, le modalità , le procedure e gli elementi economici necessari per valutare il costo di
eventuali varianti al progetto prescelto e le
conseguenti modifiche al piano economico-finanziario;
e) la specificazione che le proposte
presentate saranno valutate, comparativamente, con i criteri di cui
all’articolo 154”.
ART. 4.
1. All’articolo 152 del citato codice di cui al decreto
legislativo 12 aprile 2006, n. 163, sono aggiunti,
in fine, i seguenti commi:
“3-bis. Ai fini della partecipazione alle gare per
l’affidamento di concessione di lavori pubblici o di
contratti di locazione finanziaria o di partenariato
pubblico privato le società cooperative e le fondazioni disciplinate dal decreto legislativo 17 maggio
1999, n. 153, e successive modificazioni, dimostrano il possesso del requisito previsto dalla lettera
b) del comma 1 dell’articolo 98 del regolamento di
cui al decreto del Presidente della Repubblica 21
dicembre 1999, n. 554, con riferimento al patrimonio netto.
3-ter. Le amministrazioni aggiudicatrici non possono destinare ad altre finalità i proventi tariffari e
tributari derivanti dalle opere realizzate e dal servizio gestito, se non è prioritariamente liquidato il
debito verso il concessionario o verso il soggetto
partecipante al contratto di partenariato pubblico
privato. Sono ammesse in favore del concessionario la delegazione di pagamento e la cessione dei
proventi tariffari e tributari derivanti dalle opere
realizzate e dal servizio gestito”.
ART. 5.
1. L’articolo 153 del citato codice di cui al decreto
legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:
“ART. 153. — (Promotore). – 1. I soggetti di cui al
comma 2, di seguito denominati “promotori”, possono presentare alle amministrazioni aggiudicatrici
proposte relative alla realizzazione di lavori pubbli-
e
ART. 3.
1. All’articolo 143 del citato codice di cui al
decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti
modificazioni:
a) il comma 7 è sostituito dal seguente:
“7. L’offerta e il contratto devono contenere il piano economico-finanziario di copertura degli investimenti e della connessa gestione per tutto l’arco
temporale prescelto e devono prevedere la specificazione del valore residuo al netto degli ammortamenti annuali, nonché l’eventuale valore residuo
dell’investimento non ammortizzato al termine
della concessione che costituisce il prezzo che il
concedente deve pagare al concessionario per la
restituzione dell’opera. Le amministrazioni aggiudicatrici possono avvalersi di una quota non superiore ai due terzi di tale valore per la copertura del
prezzo di restituzione”;
b) il comma 9 è sostituito dal seguente:
“9. Le amministrazioni aggiudicatrici possono affidare contratti di locazione finanziaria o di par-
tenariato pubblico privato determinando in gara il
numero di anni e gli importi dei canoni annuali,
semestrali o mensili per l’ammortamento del costo di costruzione e della disponibilità dell’opera
realizzata ovvero il canone annuale, semestrale o
mensile connesso alla sola disponibilità dell’opera nonché dei canoni annuali, semestrali o mensili
relativi alla prestazione dei servizi di gestione e
di manutenzione. L’affidamento del contratto deve
essere effettuato con procedura aperta o con procedura ristretta e con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. A tale contratto si
applicano, ove compatibili, le disposizioni previste
per la concessione di lavori pubblici e per la procedura del promotore”.
272
Quaderni PD.indb 272
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cificazione delle caratteristiche del servizio e della gestione nonché l’indicazione degli elementi di
cui all’articolo 83, comma 1, del presente codice, e
delle garanzie offerte dal promotore all’amministrazione aggiudicatrice, tra le quali un impegno di un
soggetto abilitato a rilasciare la cauzione definitiva
di buon adempimento ove la proposta sia accolta
alle condizioni offerte dal promotore; il regolamento detta indicazioni per chiarire e per agevolare le
attività di asseverazione. Le proposte devono inoltre indicare l’importo delle spese sostenute per la
loro predisposizione, comprensivo anche dei diritti
sulle opere dell’ingegno di cui all’articolo 2578 del
codice civile. Tale importo, soggetto all’accettazione da parte dell’amministrazione aggiudicatrice,
non può superare il 2,5 per cento del valore dell’investimento, come desumibile dal piano economico-finanziario. L’asseverazione attesta che il piano
economico-finanziario è correttamente redatto,
sulla scorta dei dati di base, con particolare
riferimento al costo dell’intervento e della
sua gestione e ai ricavi della gestione,
dichiarati dal promotore e non soggetti al controllo dell’asseverante; attesta altresı` che, sulla base delle
condizioni del mercato al momento
della presentazione della proposta e
subordinatamente al riscontro dei dati di
base, la proposta è meritevole di acquisire i
necessari finanziamenti.
2. Possono presentare le proposte di cui al comma
1 del presente articolo i soggetti dotati di idonei
requisiti tecnici, organizzativi, finanziari e gestionali, specificati dal regolamento, nonché i soggetti
di cui agli articoli 34 e 90, comma 2, lettera b),
eventualmente associati o consorziati con enti finanziatori e con gestori di servizi.
3. Entro quindici giorni dalla ricezione della proposta, le amministrazioni aggiudicatrici provvedono:
a) alla nomina e alla comunicazione al promotore
del responsabile del procedimento;
b) alla verifica della completezza dei documenti
presentati e ad un’eventuale dettagliata richiesta
di integrazione»
3.
3
e
ci o di lavori di pubblica utilità , inseriti nella programmazione triennale di cui all’articolo 128, ovvero negli strumenti di programmazione formalmente
approvati dall’amministrazione aggiudicatrice sulla
base della normativa vigente, nonché, indipendentemente dall’inserimento nei programmi, per tutti i lavori costituenti adempimento di obblighi di
legge a carico dell’amministrazione aggiudicatrice,
tramite contratti di concessione di lavori pubblici
o contratti di locazione finanziaria o contratti di
partenariato pubblico privato, di cui agli articoli
143 e 160-bis, con risorse totalmente o parzialmente a carico dei promotori stessi. Le proposte
sono presentate entro il termine indicato nel bando
di cui all’articolo 128, comma 12-quater. Ove non
sia stato pubblicato alcun bando oppure nel caso
in cui entro la scadenza del termine indicato nel
bando non siano state presentate proposte oppure,
se presentate, non siano state ritenute meritevoli
di esame, le proposte possono essere presentate,
entro centottanta giorni dalla pubblicazione, presso la sede oppure, se istituito, sul sito internet del
soggetto aggiudicatore, di un avviso che informa
dell’intervenuta presentazione di proposte oppure
di un avviso che comunica che sono state presentate proposte ma che esse non sono state ritenute
meritevoli di esame oppure che sono state presentate proposte che sono state ritenute meritevoli di
esame. Le proposte devono contenere uno studio di
inquadramento territoriale e ambientale, uno studio di fattibilità , un progetto almeno preliminare,
oppure, qualora il progetto preliminare sia stato già
redatto dal soggetto aggiudicatore, la dichiarazione
di farlo proprio, una bozza di convenzione contenente, tra l’altro, nel rispetto di quanto previsto nel
bando, ove esso sia stato pubblicato, l’indicazione
della durata della concessione, le tariffe da praticare all’utenza, le modalità e le procedure nonché
gli elementi economici necessari a valutare il costo
di eventuali varianti al progetto e la conseguente
modifica del piano economico-finanziario, un piano
economico-finanziario asseverato da un istituto di
credito o da società di servizi costituite dall’istituto di credito stesso e iscritte nell’elenco generale
degli intermediari finanziari, ai sensi dell’articolo
106 del testo unico delle leggi in materia bancaria
e creditizia, di cui al decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni,
da una società di revisione ai sensi dell’articolo 1
della legge 23 novembre 1939, n. 1966, una spe-
ART. 6.
1. All’articolo 154 del citato codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive
modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
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supplementare pari al 2,5 per cento del costo di
realizzazione del lavoro e aggiudicano la concessione all’offerta economicamente più vantaggiosa,
prescelta sulla base dei criteri indicati ai sensi dell’articolo 83 nell’invito medesimo.
1-sexies. Qualora non sia stato pubblicato il bando
di cui all’articolo 128, comma 12-quater, e siano
state presentate più proposte, le stazioni appaltanti valutano comparativamente le proposte pervenute, individuano quale promotore il proponente della
proposta migliore e procedono ai sensi dell’articolo 155. Si procede altresì ai sensi del medesimo
articolo 155 anche se è stata presentata una sola
proposta purché sia ritenuta di interesse pubblico.
Il promotore prescelto deve prestare, nel termine
assegnato, la cauzione prevista dall’articolo 75, e
una cauzione supplementare pari al 2,5 per cento
del costo di realizzazione dell’intervento.
1-septies. Le amministrazioni aggiudicatrici invitano il promotore della proposta dichiarata di pubblico interesse o i promotori delle proposte dichiarate
di pubblico interesse ad attestare il possesso dei
requisiti previsti per l’affidamento di concessioni di
lavori pubblici. I requisiti possono essere conseguiti anche associando o consorziando altri soggetti.
La dichiarazione di possesso dei requisiti di cui al
presente comma deve essere presentata, nel caso
di cui al comma 1-quinquies, unitamente alle proposte migliorative finali e, nei casi di cui ai commi
1-quater e 1-sexies, nel termine assegnato per la
presentazione della cauzione”.
ART. 7.
1. All’articolo 155 del citato codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive
modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il comma 1 è sostituito dal seguente:
“1. Entro tre mesi dalla pronuncia di cui all’articolo 154 le amministrazioni aggiudicatrici applicano,
ove necessario, il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità , di cui al decreto del
Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327,
e successive modificazioni, e, al fine di aggiudicare
la concessione prevista dall’articolo 143 del presente codice, procedono a indire una gara da svolgere
con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa di cui all’articolo 83, comma 1, ponendo a
base di gara il progetto preliminare presentato dal
e
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a) al comma 1 sono aggiunti, in fine, i seguenti
periodi: “Le amministrazioni aggiudicatrici possono dialogare con i promotori, assicurando la parità
di trattamento degli stessi, non fornendo, in modo
discriminatorio, informazioni che possano favorire
alcuni promotori rispetto ad altri e possono chiedere, ove necessario, l’integrazione o l’adeguamento
delle proposte presentate e dei documenti tecnici
e contrattuali proposti. I promotori che ne fanno
richiesta devono essere sentiti. Le amministrazioni
aggiudicatrici non possono rivelare agli altri partecipanti le soluzioni proposte né altre informazioni
riservate comunicate dai promotori partecipanti
senza l’accordo di questi ultimi”;
b) sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:
“1-bis. Le proposte ritenute non di pubblico interesse sono rigettate con provvedimento motivato
con riferimento ai criteri di cui al comma 1.
1-ter. Ove l’amministrazione aggiudicatrice ritardi
la pronuncia oltre i termini previsti dal comma
1, sono dovuti al promotore o ai promotori,
anche in caso di rifiuto delle proposte,
interessi in misura legale sull’importo
delle spese sostenute per la presentazione della proposta, purché
congrue e documentate e comunque
non superiori al 2,5 per cento del costo
di realizzazione del lavoro.
1-quater. Qualora sia stato pubblicato il bando di cui all’articolo 128, comma 12-quater, e
sia stata presentata una sola proposta ovvero, a
seguito dell’esame comparativo tra tutte le proposte presentate, sia ritenuta di pubblico interesse
una sola proposta, si procede ai sensi dell’articolo
155. Il promotore prescelto deve prestare, nel termine assegnato, la cauzione prevista dall’articolo
75, e una cauzione supplementare pari al 2,5 per
cento del costo di realizzazione dell’intervento.
1-quinquies. Qualora sia stato pubblicato il bando
di cui all’articolo 128, comma 12-quater, e a seguito dell’esame comparativo tra tutte le proposte
presentate tempestivamente per lo stesso intervento sia ritenuta di pubblico interesse più di una
proposta, le amministrazioni aggiudicatrici invitano simultaneamente i promotori a presentare entro
un termine non inferiore a quarantacinque giorni
eventuali proposte migliorative della proposta presentata, corredate da una nuova asseverazione del
piano economico-finanziario aggiornato, dalla cauzione prevista dall’articolo 75 e da una cauzione
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Quaderni PD.indb 274
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guenti: “entro il termine individuato nella convenzione di concessione o, in mancanza, assegnato dal
concedente, in misura non inferiore a centoventi
giorni, nella comunicazione scritta agli enti finanziatori”;
b) al comma 2 è aggiunto, in fine, il seguente periodo: “Nelle more dell’entrata in vigore del decreto
di cui al presente comma, i criteri e le modalità
possono essere fissati dalle parti nel contratto di
concessione o nel contratto di partenariato pubblico privato”.
e
promotore, eventualmente modificato sulla base
delle determinazioni delle amministrazioni stesse,
e le condizioni economiche e contrattuali della proposta adottata nonché i valori degli elementi necessari per la determinazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa nelle misure previste dal
piano economico-finanziario presentato dal promotore; si applica l’articolo 53, comma 2, lettera c).
Il promotore può partecipare alla gara e, ove non
siano state presentate offerte economicamente più
vantaggiose di quella del promotore, il contratto è
aggiudicato a quest’ultimo”;
b) il comma 5 è abrogato.
ART. 9.
1. All’articolo 159 del citato codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive
modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, alinea, le parole: “entro novanta
giorni dal ricevimento della comunicazione scritta
da parte del concedente” sono sostituite dalle se-
3
3.
ART. 8.
1. All’articolo 156 del citato codice di cui al decreto
legislativo 12 aprile 2006, n. 163, sono aggiunti,
in fine, i seguenti commi:
“3-bis. Tutti i crediti della società di progetto, presenti e futuri, ivi inclusi quelli verso l’amministrazione aggiudicatrice e altre pubbliche amministrazioni, possono essere costituiti in pegno o ceduti
in garanzia dalla società a banche o ad altri soggetti finanziatori, senza necessità di consenso del
debitore ceduto, anche quando non siano ancora
liquidi ed esigibili.
3-ter. In deroga agli articoli 2446 e 2447 del codice civile, quando risulta che il capitale di una
società di progetto è diminuito di oltre un terzo
in conseguenza di perdite, gli amministratori sono
tenuti a convocare l’assemblea solamente nel caso
in cui non sia stato rispettato il piano economicofinanziario concordato con le banche finanziatrici
all’epoca del finanziamento.
3-quater. Fintanto che esista un finanziamento
garantito dal privilegio generale o la società versi
nella situazione di cui al comma 1, la denominazione sociale della società di progetto deve contenere
l’indicazione: “società di progetto”. Al mutamento
della denominazione sociale provvedono gli amministratori”.
ART. 10.
1. L’articolo 160 del citato codice di cui al decreto
legislativo 12 aprile 2006, n. 163, è sostituito dal
seguente:
“ART. 160. — (Privilegio sui crediti). —1. I crediti
dei soggetti che finanziano una società di progetto
hanno privilegio generale su tutti i beni mobili,
materiali e immateriali, presenti e futuri, anche
a consistenza variabile, e sui crediti della
società , presenti e futuri.
2. Il privilegio, a pena di nullità , deve
risultare da atto scritto. Nell’atto
devono essere esattamente identificati la società di progetto, i creditori privilegiati, il loro rappresentante
comune, l’ammontare in linea capitale del
finanziamento, la sua durata e i documenti costitutivi del credito. Una copia originale
dell’atto, con allegata copia, a seconda del caso,
del contratto di finanziamento o della delibera di
emissione e del regolamento del prestito obbligazionario o di altro atto costitutivo del credito, deve
essere depositata presso il registro delle imprese
dove è registrata la società di progetto. Il privilegio è efficace dalla data di iscrizione nel registro delle imprese. A margine dell’iscrizione devono
essere annotate: le eventuali cessioni del credito
privilegiato, con l’identificazione dei nuovi creditori privilegiati; le modifiche delle condizioni del
finanziamento; le sostituzioni del rappresentante
comune; l’eventuale cristallizzazione del vincolo, di
cui al comma 5. Dalla data dell’iscrizione decorrono
i termini di cui all’articolo 67 del regio decreto 16
marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni, e
all’articolo 2903 del codice civile. Il termine di cui
al predetto articolo 2903 è ridotto a un anno per
il privilegio previsto dal presente articolo. Nel caso
di emissioni obbligazionarie, per creditore privile-
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beni soggetti allo stesso è subordinato all’approvazione del rappresentante comune dei creditori
privilegiati.
6. Il privilegio previsto dal presente articolo può
essere esercitato in pregiudizio dei diritti acquistati da terzi posteriormente alla data di annotazione
della cristallizzazione del privilegio, anche in deroga al disposto degli articoli 2747 e 2913 del codice
civile. Nell’ipotesi in cui non sia possibile far valere
il privilegio nei confronti del terzo acquirente il privilegio si trasferisce sul corrispettivo.
7. L’iscrizione e le annotazioni del privilegio, nonché l’esercizio dei diritti relativi allo stesso, sono
effettuati dal rappresentante comune dei creditori
privilegiati, nominato in conformità alle disposizioni del contratto di finanziamento e che risulta
dall’iscrizione o dalle successive annotazioni. Gli
effetti si producono pro quota direttamente in capo
ai creditori privilegiati.
8. I soggetti che finanziano una società di progetto, anche attraverso l’organizzazione di un’emissione obbligazionaria, possono rinunciare al privilegio
di cui al presente articolo”.
ART. 11.
1. Al comma 5 dell’articolo 246 del citato codice
di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163,
sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: “, nonché a quelle relative agli interventi oggetto della
proposta di un promotore, di cui agli articoli 153
e seguenti”.
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giato si intende la massa indistinta degli obbligazionisti, rappresentata dal rappresentante comune;
pertanto, non sono richieste annotazioni relative
alla circolazione delle obbligazioni.
3. Il privilegio previsto dal presente articolo si
colloca nel grado indicato nell’articolo 2777, terzo
comma, del codice civile, prima del privilegio speciale previsto dall’articolo 46 del citato testo unico
di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n.
385, e successive modificazioni, e non pregiudica
gli altri titoli di prelazione di pari grado con data
certa anteriore a quella dell’iscrizione.
4. Fatto salvo quanto previsto al comma 3, i beni
soggetti al privilegio di cui al presente articolo non
possono essere assoggettati ad altre forme di prelazione, né possono essere pignorati in pregiudizio
dei creditori privilegiati.
5. Fatto salvo quanto previsto al comma 4, la società di progetto può disporre liberamente dei beni
soggetti al privilegio fino alla data di annotazione della cristallizzazione del privilegio
nel registro delle imprese da parte del
rappresentante comune dei creditori privilegiati. La cristallizzazione
del privilegio può essere annotata solo nei casi di inadempimento
e nelle altre circostanze previste nei
documenti e nelle scritture di cui al comma 2. L’annotazione ha efficacia costitutiva.
Dalla data di annotazione della cristallizzazione
del privilegio, qualsiasi atto di disposizione dei
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Progetto di legge n. 649
e
d’iniziativa dei deputati META, ALBONETTI, BARBI, BOFFA, BONAVITACOLA, ENZO CARRA,
MARCO CARRA, FIANO, LOVELLI, SARUBBI, TULLO, VELO, ZUNINO
Disposizioni in materia di
circolazione e di sicurezza stradale
ONOREVOLI COLLEGHI!
Il 5 marzo 2008 la IX Commissione permanente della Camera dei deputati ha approvato, all’unanimità,
il documento conclusivo della «Indagine conoscitiva sulla sicurezza nella circolazione stradale», deliberata nella seduta del 4 ottobre 2006.
Il tema dell’incidentalità stradale è particolarmente
sentito nel nostro Paese dove, nel periodo tra il
1973 e il 2006, si sono purtroppo registrati circa
254.000 morti e più di 8 milioni di feriti, molti dei
quali con conseguenze invalidanti permanenti, per
incidenti stradali. Inoltre l’incidentalità stradale
costa annualmente alla collettività oltre 35 milioni
di euro.
Si tratta di un bilancio inaccettabile, sia dal punto
di vista morale che economico, sul quale il Parlamento è sensibile e intende mettere in atto tutte le possibili iniziative affinché si possa ottenere l’ambizioso, quanto doveroso, obiettivo fissato
dall’Unione europea di ridurre, entro il 2010, del
50 per cento il numero dei decessi per incidente
stradale.
Tale richiesta è sostenuta da tutti i soggetti che in
un modo o nell’altro si occupano della circolazione
e della sicurezza stradale: i Ministeri dei trasporti
3.
3
presentata il 30 aprile 2008
e della salute, le Forze di polizia
statali e municipali, le associazioni
degli automobilisti, le associazioni dei
formatori e delle scuole guida, gli educatori, gli studenti, gli assicuratori, i mezzi di
comunicazione e le associazioni dei familiari
delle vittime di incidenti stradali.
Nel corso della XV legislatura il Parlamento ha esaminato due provvedimenti normativi di particolare rilievo per la sicurezza stradale. In primo luogo
l’atto Camera n. 2480, licenziato dalla Camera dei
deputati, successivamente modificato dal Senato
della Repubblica e, infine, non approvato definitivamente solo a causa dell’interruzione anticipata
della legislatura.
È stato invece approvato il decreto-legge 3 agosto 2007, n. 117, convertito, con modificazioni,
dalla legge 2 ottobre 2007, n. 160. Tale provvedimento è stato sostanzialmente volto ad anticipare l’entrata in vigore di talune disposizioni
oggetto del citato disegno di legge atto Camera
n. 2480, XV legislatura, mediante interventi volti
a incidere sul comportamento dei conducenti, sia
sotto il profilo della prevenzione che attraverso
l’inasprimento delle sanzioni per le violazioni
che comportano maggiore rischio per la sicurezza
277
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In realtà, il provvedimento originariamente presentato dal Governo alla Camera dei deputati, il
29 marzo 2007, recava 12 articoli e fu una prima
volta licenziato dalla IX Commissione permanente
(Trasporti, poste e telecomunicazioni), ma al solo
fine di svolgere la discussione sulle linee generali in Assemblea il 23 aprile 2007, e quindi nell’ambito della Settimana mondiale della sicurezza
stradale.
Tale atto non ebbe solo un valore simbolico, in
quanto fu accompagnato dall’approvazione, il
giorno successivo, della mozione 1-00147 a firma del primo presentatore di questa proposta
di legge, sottoscritta da rappresentanti di tutti
i gruppi parlamentari e recante molteplici impegni al Governo sul versante della manutenzione
infrastrutturale, dei controlli stradali, della formazione, delle iniziative in favore dei giovani e dei
neopatentati, dell’impiego delle nuove tecnologie
ai fini della sicurezza stradale e del trasferimento di quote di traffico alle modalità ferroviaria e
marittima.
Il successivo rinvio in Commissione del provvedimento ne ha consentito un’istruttoria più approfondita, all’esito della quale, anche sulla base
dell’ampio spettro di questioni affrontate dalla
mozione sopra richiamata e delle risultanze emerse
dallo svolgimento delle prime audizioni nell’ambito della menzionata indagine conoscitiva in materia, si è evidenziata l’opportunità di ampliare la
portata dell’intervento normativo, non limitandola
al solo inasprimento delle misure di natura sanzionatoria. Pertanto, proprio nella consapevolezza
che un mero incremento delle pene non fosse di
per sé sufficiente ai fini di una riduzione dell’incidentalità stradale, il tema della sicurezza era stato
affrontato dalla Commissione in un’ottica di più
ampio respiro, mediante l’introduzione, tra le altre,
delle seguenti disposizioni:
a) la possibilità per i sedicenni di iniziare a esercitarsi alla guida, purché accompagnati da un conducente titolare di patente di categoria B da almeno
dieci anni, scelto dai genitori e autorizzato dal Ministero dei trasporti, al fine di acquisire comunque
la patente a diciotto anni, previo svolgimento di
almeno dieci ore di corso pratico di guida;
b) la previsione che l’aspirante al conseguimento
della patente di guida di categoria B debba effettuare esercitazioni con le autoscuole in autostrada
o in strada extraurbana, nonché in ore notturne;
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stradale. Sono state in particolare introdotte le
seguenti misure:
a) la pena dell’arresto fino ad un anno in caso di
reiterazione del reato di guida senza patente o con
patente revocata;
b) il divieto per i «neopatentati» di guidare veicoli
di potenza superiore a 50 KW/t;
c) il divieto di trasporto di minori di anni cinque
sui veicoli a due ruote;
d) l’inasprimento delle sanzioni per la violazione
dei limiti di velocità, fino alla revoca della patente
di guida, in caso di reiterazione delle infrazioni di
maggiore gravità;
e) la rimodulazione delle pene per la guida in stato
di ebbrezza e a seguito dell’assunzione di stupefacenti, escludendo l’arresto nei casi di accertamento
di un tasso alcolemico fino a 0,8 grammi per litro.
Tale misura di favore appare peraltro adeguatamente bilanciata da un contestuale e deciso incremento delle sanzioni, di natura pecuniaria (fino a
6.000 euro), accessoria (sospensione della
patente di guida fino a due anni e revoca in caso di reiterazione) e detentiva (arresto fino a sei mesi), invece
applicabili nei casi in cui sono
accertati valori superiori del tasso
alcolemico;
f) il raddoppio delle pene e il fermo amministrativo del veicolo se il conducente in stato di ebbrezza provoca un incidente stradale;
g) l’incremento delle sanzioni a carico di chi fa uso
di telefoni cellulari alla guida di veicoli;
h) l’obbligo di esposizione, per i titolari di alcune
tipologie di locali, di apposite tabelle volte a informare i clienti sulla quantità di alcolici che determinano il superamento del tasso dello 0,5 per cento,
con la previsione di una sanzione consistente nella
chiusura del locale per un periodo da sette a trenta
giorni;
i) il divieto di vendita e di somministrazione di bevande alcoliche dopo le ore 2 della notte nei locali
ove si svolgono spettacoli e altre forme di intrattenimento.
La presente proposta di legge ripropone, con le opportune modifiche, le disposizioni recate dal disegno di legge atto Camera n. 2480, XV legislatura,
proposte nel testo identico a quello licenziato dall’Assemblea della Camera dei deputati nella seduta
del 27 giugno 2007, che ha poi assunto al Senato
della Repubblica il n. 1677.
278
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sanzioni irrogabili dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato;
o) la delega al Governo ai fini dell’adozione, previo
parere parlamentare, di uno o più decreti legislativi
volti a una complessiva revisione del codice della
strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992,
n. 285, e successive modificazioni.
L’articolato ebbe poi modo di arricchirsi ulteriormente di contenuti – e di altri cinque articoli – in
occasione dell’esame da parte dell’Assemblea che,
come già anticipato, lo approvò nella seduta del 27
giugno 2007.
Con modifiche di non rilevante portata, il Senato
della Repubblica licenziò a sua volta il provvedimento nella seduta del 19 settembre 2007.
La fine anticipata della legislatura non ha tuttavia
consentito la conclusione di questo percorso che,
come si è cercato di illustrare, aveva condotto il
Parlamento a costruire, in modo virtuoso, un’iniziativa normativa «a tutto campo» che, proprio
in quanto capace di coniugare le esigenze
di istruzione, informazione, formazione e
prevenzione con una ragionata rimodulazione dell’apparato sanzionatorio,
aveva l’ambizione di contribuire
a ridurre il gap sofferto dall’Italia
rispetto agli altri Paesi europei in ordine alla velocità di avvicinamento agli
obiettivi del dimezzamento dell’incidentalità
e della mortalità stradali entro il 2010.
Sono queste le ragioni che inducono i proponenti
della presente proposta di legge ad auspicare che
il patrimonio di conoscenza e gli esiti degli approfondimenti di natura tecnico-normativa accumulati
nel corso dell’iter del provvedimento non vadano
dispersi, soprattutto in considerazione dello spirito
di leale collaborazione che – davvero – ha accomunato tutti i gruppi parlamentari, a fronte di un
tema che tocca in modo così diretto l’interesse dei
cittadini.
Pertanto, sicuri che anche nella legislatura in corso il Parlamento individuerà la sicurezza stradale
come argomento prioritario, la presente proposta
di legge si prefissa di valorizzare l’attività istruttoria allo scopo svolta nel corso della XV legislatura,
anche in considerazione dell’applicabilità, nel caso
di specie, del disposto di cui all’articolo 107, comma 1, del Regolamento della Camera dei deputati,
in ordine al cosiddetto «repêchage» dei progetti
di legge.
3.
3
e
c) l’informazione in ordine al contenuto alcolico
delle bevande e alla pericolosità per la guida derivante dall’assunzione di determinati prodotti farmaceutici;
d) la destinazione dei maggiori proventi derivanti
dall’incremento delle sanzioni pecuniarie disposto
dal provvedimento a interventi per la manutenzione delle strade e della relativa segnaletica;
e) l’obbligo di revisione della patente di guida a carico dei soggetti che sono usciti da stati comatosi
o che hanno comunque subìto gravi traumi, nonché di coloro che si sono resi responsabili di gravi
incidenti, tenuto comunque conto dell’esigenza di
assicurare adeguati controlli in ordine all’effettivo
adempimento della procedura di revisione;
f) la rimodulazione e l’inasprimento delle sanzioni
per le violazioni compiute alla guida di veicoli destinati al trasporto di persone e di cose, con particolare riguardo ai casi di alterazione dei documenti
di servizio, di superamento dei periodi massimi di
guida e di mancata osservanza dei prescritti periodi
di riposo;
g) l’introduzione di aggravanti crescenti a carico
dei conducenti in stato di ebbrezza o sotto l’effetto
di sostanze stupefacenti che provocano incidenti
stradali, con conseguenti morti e feriti, attraverso
apposite novelle agli articoli 589, 590 e 593 del
codice penale;
h) il prolungamento della durata della sospensione
della patente di guida per violazioni commesse dai
neo-patentati, ovvero nei primi tre anni successivi alla data di conseguimento della patente di
guida;
i) la possibilità di chiedere l’applicazione di una
misura alternativa, consistente nell’affidamento ai
servizi sociali, con preferenza per strutture che
prestano attività a sostegno di vittime di incidenti stradali o di loro familiari, per coloro che
devono scontare una pena detentiva per i reati
di guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di
stupefacenti;
l) la previsione dell’obbligo per gli enti proprietari e
concessionari di provvedere a immediati interventi
di natura manutentiva sulle strade ove si registrano
i più alti livelli di incidenti e di vittime;
m) le modalità per la raccolta e per l’invio dei dati
relativi all’incidentalità stradale da parte delle Forze dell’ordine al Ministero dei trasporti;
n) il divieto di propaganda pubblicitaria di veicoli
a motore basata sulla velocità, con la previsione di
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PROPOSTA DI LEGGE
ART. 1.
(Modifiche agli articoli 75, 78, 79, 80 e 97 del codice
della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile
1992, n. 285, in materia di accertamenti tecnici per
la circolazione e di modifiche delle caratteristiche
costruttive dei veicoli a motore nonché di sanzioni
per violazioni di norme sulla circolazione dei ciclomotori).
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1. All’articolo 75 del codice della strada, di cui al
decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, di seguito denominato «decreto legislativo n. 285 del 1992», dopo il comma
4 sono inseriti i seguenti:
«4-bis. I veicoli di tipo omologato da equipaggiare
con impianti di alimentazione a GPL o a metano
sono soggetti all’accertamento di cui ai commi 1
e 2.
4-ter. Con decreto del Ministro dei trasporti
sono individuate le modifiche per i veicoli di massa complessiva fino a 3,5 t,
esclusi i motoveicoli e i ciclomotori, che possono essere effettuate,
senza nulla osta della casa costruttrice e senza l’accertamento di cui al
comma 2, anche tramite la certificazione
di enti o professionisti accreditati.
Con lo stesso decreto sono stabiliti i requisiti
per l’accreditamento, nonché le modalità e le condizioni per l’effettuazione delle modifiche».
3. Il comma 4 dell’articolo 79 del decreto legislativo n. 285 del 1992, e successive modificazioni, è
sostituito dal seguente:
«4. Chiunque circola con un veicolo che presenta
alterazioni nelle caratteristiche costruttive e funzionali prescritte, ovvero circola con i dispositivi
di cui all’articolo 72 non funzionanti o non regolarmente installati, ovvero circola con i dispositivi
di cui all’articolo 80, comma 1, del presente codice
e all’articolo 238 del regolamento di esecuzione e
di attuazione del presente codice, di cui al decreto
del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992,
n. 495, non funzionanti o non efficienti, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di
una somma da euro 74 a euro 296. La misura della
sanzione è pari a una somma da euro 1.036 a euro
10.360 se il veicolo è utilizzato nelle competizioni
previste dagli articoli 9-bis e 9-ter».
4. Al comma 14 dell’articolo 80 del decreto legislativo n. 285 del 1992, e successive modificazioni,
sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al primo periodo, la parola: «Chiunque» è sostituita dalle seguenti: «Fuori dei casi previsti dall’articolo 176, comma 18, chiunque»;
b) al secondo periodo, le parole da: «ovvero» fino
a: «revisione» sono soppresse;
c) il terzo periodo è sostituito dai seguenti: «In tali
casi, l’organo accertatore annota sulla carta di circolazione che il veicolo è sospeso dalla circolazione
fino all’effettuazione della revisione. È consentita la
circolazione del veicolo al solo fine di recarsi presso
uno dei soggetti di cui al comma 8 ovvero presso il
competente ufficio del Dipartimento per i trasporti
terrestri e il trasporto intermodale per la prescritta
revisione. Al di fuori di tali ipotesi, nel caso in cui
si circoli con un veicolo sospeso dalla circolazione in attesa dell’esito della revisione, si applica la
sanzione accessoria del fermo amministrativo del
veicolo, secondo le disposizioni del capo I, sezione
II, del titolo VI».
e
2. All’articolo 78 del decreto legislativo n. 285 del
1992, e successive modificazioni, sono apportate le
seguenti modificazioni:
a) dopo il comma 2 è inserito il seguente:
«2-bis. Con decreto del Ministro dei trasporti sono
individuate le modifiche per i veicoli di massa
complessiva fino a 3,5 t, esclusi i motoveicoli e i
ciclomotori, che possono essere effettuate, in deroga alle disposizioni in materia, senza nulla osta
della casa costruttrice e senza visita e prova, anche tramite la certificazione di enti o professionisti
accreditati. Con lo stesso decreto sono stabiliti i
requisiti per l’accreditamento, nonché le modalità e
le condizioni per l’effettuazione delle modifiche»;
b) al comma 3, le parole da: «è soggetto alla sanzione» fino alla fine del comma sono sostituite dalle seguenti: «ovvero circola senza l’aggiornamento
della carta di circolazione, quando prescritto, è
soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 370 a euro 1.485.
Tale sanzione non si applica qualora il veicolo, per
esigenze del competente ufficio del Dipartimento
per i trasporti terrestri e il trasporto intermodale,
sia accompagnato dalla prenotazione non scaduta
delle prescritte visita e prova».
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conducente, un’altra persona che non sia l’accompagnatore. Il veicolo adibito a tale guida deve essere
munito di apposito contrassegno recante le lettere
alfabetiche “GA”. Chiunque viola le disposizioni del
presente comma è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria di cui all’articolo 122, comma 9.
1-quinquies. Nelle ipotesi di guida di cui al comma
1-bis si applicano le prescrizioni di cui al comma
2 dell’articolo 117 e, in caso di violazioni, la sanzione amministrativa pecuniaria di cui al comma 5
dello stesso articolo. L’accompagnatore è responsabile del pagamento delle sanzioni amministrative
pecuniarie in solido con il genitore o con il legale
rappresentante del conducente minore autorizzato
ai sensi del comma 1-bis.
1-sexies. Nelle ipotesi di guida di cui al comma 1bis, se il minore autorizzato commette violazioni
per le quali, ai sensi delle disposizioni del presente
codice, sono previste le sanzioni amministrative accessorie di cui agli articoli 218 e 219, è
sempre disposta la revisione della patente
di guida posseduta, ai sensi dell’articolo 128. L’esito negativo dell’esame di
revisione comporta anche la revoca
dell’autorizzazione alla guida accompagnata.
1-septies. Il minore autorizzato ai sensi del comma 1-bis che guida senza avere
a fianco l’accompagnatore indicato nell’autorizzazione è punito con le sanzioni amministrative previste dall’articolo 122, comma 8, primo
e secondo periodo».
ART. 2.
(Modifiche all’articolo 115 del decreto legislativo n.
285 del 1992, in materia di guida accompagnata).
1. All’articolo 115 del decreto legislativo n. 285 del
1992, e successive modificazioni, dopo il comma 1
sono inseriti i seguenti:
«1-bis. Ai minori che hanno compiuto gli anni sedici
e che sono titolari di patente di guida è consentita, a
fini di esercitazione, la guida di autoveicoli di massa
complessiva a pieno carico non superiore a 3,5 t, con
esclusione del traino di qualunque tipo di rimorchio,
e comunque nel rispetto dei limiti di potenza specifica riferita alla tara di cui all’articolo 117, comma
2-bis, purché accompagnati da un conducente titolare di patente di categoria B o superiore da almeno
dieci anni, previo rilascio di apposita autorizzazione
da parte del competente ufficio del Dipartimento per
i trasporti terrestri e il trasporto intermodale e su
istanza presentata al medesimo ufficio dal genitore
o dal legale rappresentante del minore.
1-ter. Il minore autorizzato ai sensi del comma 1bis può procedere alla guida accompagnato da uno
dei soggetti indicati al medesimo comma solo dopo
aver effettuato almeno dieci ore di corso pratico di
guida, delle quali almeno quattro in autostrada o su
strade extraurbane e due in condizione di visione
notturna, presso un’autoscuola con istruttore abilitato e autorizzato.
1-quater. Nelle ipotesi di guida di cui al comma
1-bis, sul veicolo non può prendere posto, oltre al
3.
6. I decreti di cui al comma 4-ter dell’articolo 75 e
al comma 2-bis dell’articolo 78 del decreto legislativo
n. 285 del 1992, introdotti dai commi 1 e 2, lettera
a), del presente articolo, sono emanati entro tre mesi
dalla data di entrata in vigore della presente legge.
3
e
5. All’articolo 97 del decreto legislativo n. 285 del
1992, e successive modificazioni, sono apportate le
seguenti modificazioni:
a) al comma 5, primo periodo, le parole da: «da euro
74 a euro 296» fino alla fine del comma sono sostituite dalle seguenti: «da euro 1.000 a euro 4.000. Alla
sanzione da euro 148 a euro 594 soggiace chi effettua sui ciclomotori modifiche idonee ad aumentarne
la velocità oltre i limiti previsti dall’articolo 52»;
b) al comma 10, le parole: «da euro 22 a euro 88»
sono sostituite dalle seguenti: «da euro 74 a euro
296».
2. Con regolamento del Ministro dei trasporti da
adottare ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della
legge 23 agosto 1988, n. 400, entro quattro mesi
dalla data di entrata in vigore della presente legge,
sono stabilite le norme di attuazione dei commi da
1-bis a 1-septies dell’articolo 115 del decreto legislativo n. 285 del 1992, introdotti dal comma 1 del
presente articolo, con particolare riferimento alle
condizioni soggettive e oggettive alle quali l’autorizzazione può essere richiesta e alle modalità di rilascio, alle condizioni di espletamento dell’attività
di guida autorizzata, ai contenuti e alle modalità di
certificazione del percorso didattico che il minore
autorizzato deve seguire presso un’autoscuola, ai
requisiti soggettivi dell’accompagnatore nonché
alle caratteristiche del contrassegno di cui al comma 1-quater del citato articolo 115.
281
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ART. 3.
(Modifiche all’articolo 116 del decreto legislativo n.
285 del 1992, in materia di guida senza patente).
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1. All’articolo 116 del decreto legislativo n. 285 del
1992, e successive modificazioni, sono apportate le
seguenti modificazioni:
a) il comma 13 è sostituito dal seguente:
«13. Chiunque guida autoveicoli o motoveicoli senza
aver conseguito la patente di guida è punito con la
pena dell’arresto fino a un anno e con l’ammenda da
euro 2.257 a euro 9.032; la stessa sanzione si applica ai conducenti che guidano senza patente perché
revocata o non rinnovata per mancanza dei requisiti
previsti dal presente codice. La pena dell’arresto si
applica solo ai soggetti che hanno compiuto due
violazioni nel corso di un biennio»;
b) dopo il comma 13 è inserito il seguente:
«13.1. Per le violazioni di cui al comma 13 è competente il tribunale in composizione monocratica».
ART. 4.
(Accertamento dei requisiti di sicurezza dei quadricicli).
1. Al fine di garantire che i quadri
cicli di cui al decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 31 gennaio
2003, pubblicato nel supplemento ordinario alla
Gazzetta Ufficiale n. 123 del 29 maggio 2003, e
successive modificazioni, rispondano ai requisiti di
sicurezza attiva e passiva propri degli autoveicoli,
il Ministro dei trasporti, entro due mesi dalla data
di entrata in vigore della presente legge, disciplina con proprio decreto le modalità di accertamento
dei requisiti di sicurezza dei citati quadricicli.
ART. 5.
(Modifiche all’articolo 117 del decreto legislativo n.
285 del 1992, in materia di limitazioni nella guida).
2. Il decreto del Ministro dei trasporti di cui all’articolo 117, comma 2-bis, del decreto legislativo n. 285
del 1992, come sostituito dal comma 1, lettera c), del
presente articolo, è emanato entro quattro mesi dalla
data di entrata in vigore della presente legge.
3. Le disposizioni del comma 2-bis dell’articolo 117
del decreto legislativo n. 285 del 1992, come sostituito dal comma 1, lettera c), del presente articolo, si applicano ai titolari di patente di guida di
categoria B rilasciata a far data dal centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore
della presente legge.
ART. 6.
(Modifiche all’articolo 122 del decreto legislativo n.
285 del 1992, in materia di esercitazioni di guida).
1. All’articolo 122 del decreto legislativo n. 285 del
1992, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, dopo le parole: «è rilasciata» sono
inserite le seguenti: «, previo superamento della
prova di controllo delle cognizioni di cui all’articolo
121, comma 1,»;
b) dopo il comma 5 è inserito il seguente:
«5-bis. L’aspirante al conseguimento della patente di guida di categoria B deve inoltre effettuare
esercitazioni con le autoscuole in autostrada, o in
strada extraurbana, e in ore notturne. Il Ministro
dei trasporti ne stabilisce, con proprio decreto, la
disciplina e le modalità di svolgimento».
e
1. All’articolo 117 del decreto legislativo n. 285 del
1992, e successive modificazioni, sono apportate le
seguenti modificazioni:
a) il comma 1 è sostituito dal seguente:
«1. È consentita la guida dei motocicli ai titolari
di patente A, rilasciata alle condizioni e con le limitazioni dettate dalle disposizioni comunitarie in
materia di patenti»;
b) al comma 2, le parole: «e di 90 km/h» sono sostituite dalle seguenti: «e di 80 km/h»;
c) il comma 2-bis è sostituito dal seguente: «2-bis.
Ai titolari di patente di guida di categoria B, per i
primi tre anni dalla data del rilascio, non è consentita la guida di autoveicoli aventi una potenza specifica, riferita alla tara, superiore a 60 kW/t. A tale
fine sono computati anche il periodo per il quale il
soggetto è stato autorizzato ad effettuare esercitazioni di guida accompagnata ai sensi dell’articolo
115, nonché il periodo di frequenza di corsi specificamente destinati alla guida sicura. I contenuti
e le modalità di organizzazione di tali corsi sono
definiti con decreto del Ministro dei trasporti. La
limitazione di cui al presente comma non si applica ai veicoli adibiti al servizio di persone invalide
autorizzate ai sensi dell’articolo 188, purché la persona invalida sia presente sul veicolo».
282
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d) al comma 2, terzo periodo, sono aggiunte, in
fine, le seguenti parole: «; a questo fine, l’autorità adita deve segnalare formalmente, entro trenta
giorni, la proposizione e l’esito dei ricorsi all’organo di polizia»;
e) al comma 4, primo periodo, le parole: «e purché
il punteggio non sia esaurito, la frequenza» sono
sostituite dalle seguenti: «, purché il punteggio
non sia esaurito e, nel caso che la violazione non
sia stata impugnata, non siano decorsi più di sei
mesi dalla contestazione, la frequenza con profitto»;
f) al comma 5, secondo periodo, le parole: «due
punti» sono sostituite dalle seguenti: «quattro
punti».
e
2. Il comma 1 dell’articolo 122 del decreto legislativo n. 285 del 1992, come modificato dalla lettera
a) del comma 1 del presente articolo, si applica
alle domande per il conseguimento della patente di
guida presentate a decorrere dalla data di entrata
in vigore della presente legge.
1. All’articolo 123 del decreto legislativo n. 285 del
1992, e successive modificazioni, sono apportate le
seguenti modificazioni:
a) al comma 4, secondo periodo, le parole: «dell’idoneità tecnica» sono sostituite dalle seguenti:
«, al fine di assicurare un adeguato livello formativo, della medesima idoneità tecnica richiesta al
titolare»;
b) al comma 5, primo periodo, la parola: «biennale» è sostituita dalle seguenti: «triennale, maturata
negli ultimi cinque anni»;
c) dopo il comma 7 è inserito il seguente:
«7-bis. In ogni caso l’attività non può essere iniziata prima della verifica del possesso dei requisiti
prescritti, da ripetere almeno ogni tre anni».
ART. 8.
(Modifiche all’articolo 126-bis del decreto legislativo
n. 285 del 1992, in materia di patente a punti, e alla
tabella dei punteggi allegata).
1. All’articolo 126-bis del decreto legislativo n. 285
del 1992, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 2, primo periodo, le parole: «entro
trenta» sono sostituite dalle seguenti: «entro il termine perentorio di sessanta»;
b) al comma 2, dopo il primo periodo è inserito il
seguente: «Il decorso di tale termine senza che la
notizia sia stata ancora data preclude la decurtazione del punteggio»;
c) al comma 2, terzo periodo, la parola: «trenta» è
sostituita dalla seguente: «sessanta»;
2. Alla tabella dei punteggi allegata all’articolo
126-bis del decreto legislativo n. 285 del 1992, e
successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al capoverso «ART. 174», le parole: «Comma 4 - 2», «Comma 5 - 2» e «Comma 7
- 1» sono sostituite, rispettivamente,
dalle seguenti: «Commi 5, 8 e 10
- 5», «Commi 6, 9 e 12 - 10» e
«Comma 11 - 2»;
b) al capoverso «ART. 176», le parole:
«Comma 19 - 10» sono soppresse;
c) al capoverso «ART. 178», le parole: «Comma 3 - 2» e «Comma 4 - 1» sono sostituite,
rispettivamente, dalle seguenti: «Commi 5, 8 e 10
- 5», «Commi 6, 9 e 12 - 10» e «Comma 11 - 2»;
d) al capoverso «ART. 191», le parole: «Comma 1
- 5», «Comma 2 - 2» e «Comma 3 - 5» sono sostituite, rispettivamente, dalle seguenti: «Comma 1
- 8», «Comma 2 - 4» e «Comma 3 - 8» e le parole:
«Comma 4 - 3» sono soppresse.
3
ART. 7.
(Modifiche all’articolo 123 del decreto legislativo n.
285 del 1992, in materia di autoscuole).
3.
3. Il decreto di cui al comma 5-bis dell’articolo 122
del decreto legislativo n. 285 del 1992, introdotto
dalla lettera b) del comma 1 del presente articolo,
è emanato entro tre mesi dalla data di entrata in
vigore della presente legge.
ART. 9.
(Introduzione dell’articolo 128-bis del decreto legislativo n. 285 del 1992, in materia di revisione della
patente di guida in caso di coma prolungato).
1. Dopo l’articolo 128 del decreto legislativo n. 285
del 1992, e successive modificazioni, è inserito il
seguente:
«ART. 128-bis. – (Obblighi di comunicazione a carico dei responsabili di strutture sanitarie per i casi
di coma di durata superiore a 48 ore). – 1. I responsabili delle unità di terapia intensiva o di neu-
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rochirurgia presso le quali è avvenuto il ricovero
di soggetti che hanno subìto gravi traumi cranici
o che sono in coma sono obbligati a dare comunicazione dei casi di coma di durata superiore a
48 ore agli uffici provinciali del Dipartimento per
i trasporti terrestri e il trasporto intermodale. In
seguito a tale comunicazione i soggetti di cui al
periodo precedente sono tenuti alla revisione della
patente di guida. La successiva idoneità alla guida è valutata dalla commissione medica locale di
cui all’articolo 119, comma 4, sentito lo specialista
dell’unità riabilitativa che ha seguito l’evoluzione
clinica del paziente».
ART. 10.
(Modifica all’articolo 142 del decreto legislativo n.
285 del 1992, in materia di velocità dei veicoli).
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1. Il comma 9 dell’articolo 142 del decreto legislativo n. 285 del 1992, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:
«9. Chiunque supera di oltre 40 km/h e
di non oltre 60 km/h i limiti massimi
di velocità è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento
di una somma da euro 400 a euro
1.500. Dalla violazione consegue la
sanzione amministrativa accessoria della
sospensione della patente di guida da tre a
sei mesi, ai sensi delle norme di cui al capo I,
sezione II, del titolo VI».
ART. 11.
(Modifiche agli articoli 174, 176, 178 e 179 del decreto legislativo n. 285 del 1992, in materia di guida degli autoveicoli adibiti al trasporto di persone o
cose, di comportamenti durante la circolazione, di
documenti di viaggio e di dispositivi).
1. L’articolo 174 del decreto legislativo n. 285 del
1992, e successive modificazioni, è sostituito dal
seguente:
e
«ART. 174. – (Durata della guida degli autoveicoli
adibiti al trasporto di persone o di cose). – 1. La
durata della guida degli autoveicoli adibiti al trasporto di persone o di cose e i relativi controlli
sono disciplinati dalle norme previste dal regolamento (CE) n. 561/2006 del Parlamento europeo e
del Consiglio, del 15 marzo 2006.
2. I registri di servizio, gli estratti del registro e
le copie dell’orario di servizio di cui al regolamento (CE) n. 561/2006 devono essere esibiti, per il
controllo, al personale cui sono stati affidati i servizi di polizia stradale ai sensi dell’articolo 12 del
presente codice. I registri di servizio di cui al citato regolamento, conservati dall’impresa, devono
essere esibiti, per il controllo, anche ai funzionari
del Dipartimento per i trasporti terrestri, personale,
affari generali e la pianificazione generale dei trasporti e dell’ispettorato del lavoro.
3. Le sanzioni per le violazioni delle norme di cui
al presente articolo si applicano per ciascuna giornata o settimana lavorativa. Tali violazioni possono
essere sempre accertate attraverso le risultanze o
le registrazioni dei dispositivi di controllo installati
sui veicoli nonché attraverso i documenti di cui al
comma 2.
4. Il conducente che supera la durata dei periodi di
guida prescritti dal regolamento (CE) n. 561/2006
è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 143 a euro 570. La
stessa sanzione si applica al conducente che non
osserva le disposizioni relative ai periodi di riposo
giornaliero o settimanale di cui al citato regolamento.
5. Quando le violazioni di cui al comma 4 hanno
durata superiore a un’ora ma non superiore a due
ore, si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 296 a euro 1.188.
6. Quando le violazioni di cui al comma 4 hanno
durata superiore a due ore, si applica la sanzione
amministrativa del pagamento di una somma da
euro 370 a euro 1.485.
7. Il conducente che, durante la guida, non rispetta
le disposizioni relative alle interruzioni di cui al
regolamento (CE) n. 561/2006 è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma
da euro 143 a euro 570.
8. Quando la violazione di cui al comma 7 ha durata
superiore al 10 per cento rispetto al limite massimo
di durata della guida senza interruzioni ovvero a
quello di durata minima dell’interruzione prescritti
dal regolamento (CE) n.561/ 2006, ma non superiore al 20 per cento rispetto ai limiti suddetti, si
applica la sanzione amministrativa del pagamento
di una somma da euro 296 a euro 1.188.
9. Quando la violazione di cui al comma 7 ha durata
superiore al 20 per cento rispetto ai limiti previsti dal regolamento (CE) n. 561/2006, si applica
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sia già avvenuta in un altro Stato membro; a tale
fine, per l’esercizio dei rimedi previsti dagli articoli
203 e 204-bis, il luogo della commessa violazione
si considera quello dove è stato operato l’accertamento in Italia.
14. Per le violazioni delle norme di cui al presente articolo l’impresa, da cui dipende il lavoratore
al quale la violazione si riferisce, è obbligata in
solido con l’autore della violazione al pagamento
della somma da questo dovuta, salvo che l’impresa
stessa abbia dato esplicita indicazione contraria in
merito.
15. L’impresa che, nell’esecuzione dei trasporti, non
osserva le disposizioni contenute nel regolamento
(CE) n. 561/2006, ovvero non tiene i documenti
prescritti o li tiene scaduti, incompleti o alterati,
è soggetta alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 296 a euro 1.188 per
ciascun dipendente cui la violazione si riferisce,
salva l’applicazione delle sanzioni previste
dalla legge penale, ove il fatto costituisca
reato.
16. Nel caso di ripetute inadempienze, tenuto conto anche della loro
entità e frequenza, l’impresa che
effettua il trasporto di persone ovvero di cose in conto proprio ai sensi
dell’articolo 83 incorre nella sospensione,
per un periodo da uno a tre mesi, del titolo
abilitativo o dell’autorizzazione al trasporto riguardante il veicolo cui le infrazioni si riferiscono,
se, a seguito di diffida rivoltale dall’autorità competente a regolarizzare in un congruo termine la
sua posizione, non vi abbia provveduto.
17. Qualora l’impresa di cui al comma 16, malgrado
il provvedimento adottato a suo carico, continui a
dimostrare una costante recidività nel commettere infrazioni, anche nell’eventuale esercizio di altri
servizi di trasporto, incorre nella decadenza o revoca del provvedimento che l’abilita o l’autorizza al
trasporto cui le ripetute infrazioni maggiormente
si riferiscono.
18. La sospensione, la decadenza o la revoca di
cui al presente articolo sono disposte dall’autorità
che ha rilasciato il titolo che abilita al trasporto.
I provvedimenti di revoca e di decadenza sono atti
definitivi.
19. Quando le ripetute inadempienze di cui ai
commi 16 e 17 sono commesse con veicoli adibiti
al trasporto di persone o di cose in conto terzi,
3.
3
e
la sanzione amministrativa del pagamento di una
somma da euro 370 a euro 1.485.
10. Il conducente che è sprovvisto dell’estratto del
registro di servizio o della copia dell’orario di servizio di cui al regolamento (CE) n. 561/2006 è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento
di una somma da euro 296 a euro 1.188. La stessa
sanzione si applica a chiunque non ha con sé o
tiene in modo incompleto o alterato l’estratto del
registro di servizio o copia dell’orario di servizio,
salva l’applicazione delle sanzioni previste dalla
legge penale, ove il fatto costituisca reato.
11. Le sanzioni di cui ai commi 4, 5, 6, 7, 8, 9 e 10
si applicano anche agli altri membri dell’equipaggio
che non osservano le prescrizioni previste dal regolamento (CE) n. 561/2006.
12. Nei casi previsti dai commi 4, 5, 6, 7, 8 e
9 l’organo accertatore, oltre all’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie, provvede
al ritiro temporaneo dei documenti di guida, intima al conducente del veicolo di non proseguire
il viaggio se non dopo aver effettuato i prescritti
periodi di interruzione o di riposo e dispone che,
con tutte le cautele, il veicolo sia condotto in luogo idoneo per la sosta, ove deve permanere per il
periodo necessario; del ritiro dei documenti di guida e dell’intimazione è fatta menzione nel verbale
di contestazione. Nel verbale è indicato anche il
comando o l’ufficio da cui dipende l’organo accertatore dove, una volta completati le interruzioni o
i riposi prescritti, il conducente è autorizzato a recarsi per ottenere la restituzione dei documenti in
precedenza ritirati; a tal fine, il conducente deve
seguire il percorso stradale espressamente indicato
nel medesimo verbale. Il comando o l’ufficio restituiscono la patente e la carta di circolazione del
veicolo dopo aver constatato che il viaggio può
essere ripreso nel rispetto delle condizioni richieste dal presente articolo. Chiunque circola durante
il periodo in cui è stato intimato di non proseguire
il viaggio è punito con la sanzione amministrativa
del pagamento di una somma da euro 1.626 a euro
6.507, nonché con il ritiro immediato della patente di guida.
13. Alle violazioni della normativa comunitaria sui
tempi di guida, di interruzione e di riposo commesse in un altro Stato membro dell’Unione europea, se
accertate in Italia dagli organi di cui al comma 12,
si applicano le sanzioni previste dalla normativa
italiana in materia, salvo che la contestazione non
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si applicano le disposizioni dell’articolo 5, comma 6, del decreto legislativo 22 dicembre 2000,
n. 395».
2. Il comma 22 dell’articolo 176 del decreto legislativo n. 285 del 1992, e successive modificazioni, è
sostituito dal seguente:
«22. Alle violazioni di cui al comma 19 consegue
la sanzione accessoria della revoca della patente di
guida. Quando si tratti di violazione delle disposizioni del comma 1, lettere c) e d), alla sanzione
amministrativa pecuniaria consegue la sanzione
amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per un periodo da due a sei
mesi».
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3. L’articolo 178 del decreto legislativo n. 285 del
1992, e successive modificazioni, è sostituito dal
seguente: «ART. 178. – (Documenti di viaggio
per trasporti professionali con veicoli non
muniti di cronotachigrafo). – 1. La durata
della guida degli autoveicoli adibiti al
trasporto di persone o di cose non
muniti di dispositivo di controllo
di cui all’articolo 179 è disciplinata
dalle disposizioni dell’accordo europeo
relativo alle prestazioni lavorative degli
equipaggi dei veicoli addetti ai trasporti internazionali su strada (AETR), concluso a Ginevra il 1o luglio 1970, e successive modificazioni,
reso esecutivo con legge 6 marzo 1976, n. 112.
Al rispetto delle disposizioni dello stesso accordo
sono tenuti i conducenti dei veicoli di cui al paragrafo 3 dell’articolo 2 del regolamento (CE) n.
561/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio,
del 15 marzo 2006.
2. I registri di servizio, i libretti individuali, gli
estratti del registro di servizio e le copie dell’orario
di servizio di cui all’accordo indicato al comma 1
devono essere esibiti, per il controllo, agli organi
di polizia stradale di cui all’articolo 12. I libretti individuali conservati dall’impresa e i registri di
servizio devono essere esibiti, per il controllo, anche ai funzionari del Dipartimento per i trasporti
terrestri e il trasporto intermodale.
3. Le sanzioni per violazioni delle norme di cui al
presente articolo si applicano per ciascuna giornata o settimana lavorativa. Tali violazioni possono
essere sempre accertate attraverso le risultanze o
le registrazioni dei dispositivi di controllo installati
sui veicoli nonché attraverso i documenti di cui al
comma 2.
4. Il conducente che supera la durata dei periodi
di guida prescritti dall’accordo di cui al comma 1
è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 143 a euro 570. La
stessa sanzione si applica al conducente che non
osserva le disposizioni relative ai periodi di riposo
giornaliero o settimanale.
5. Quando le violazioni di cui al comma 4 hanno
durata superiore a un’ora ma non superiore a due
ore, si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 296 a euro 1.188.
6. Quando le violazioni di cui al comma 4 hanno
durata superiore a due ore, si applica la sanzione
amministrativa del pagamento di una somma da
euro 370 a euro 1.485.
7. Il conducente che, durante la guida, non rispetta le disposizioni relative alle interruzioni previste
dall’accordo di cui al comma 1 è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma
da euro 143 a euro 570.
8. Quando la violazione di cui al comma 7 ha durata
superiore al 10 per cento rispetto al limite massimo
di durata della guida senza interruzioni ovvero a
quello di durata minima dell’interruzione prescritti
dall’accordo di cui al comma 1, ma non superiore al
20 per cento rispetto ai limiti suddetti, si applica
la sanzione amministrativa del pagamento di una
somma da euro 296 a euro 1.188.
9. Quando la violazione di cui al comma 7 ha durata
superiore al 20 per cento rispetto ai limiti prescritti
dall’accordo di cui al comma 1, si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da
euro 370 a euro 1.485.
10. Il conducente che è sprovvisto del libretto individuale di controllo, dell’estratto del registro di
servizio o della copia dell’orario di servizio previsti dall’accordo di cui al comma 1 è soggetto alla
sanzione amministrativa del pagamento di una
somma da euro 296 a euro 1.188. La stessa sanzione si applica a chiunque non ha con sé o tiene in
modo incompleto o alterato il libretto individuale
di controllo, l’estratto del registro di servizio o copia dell’orario di servizio, salva l’applicazione delle
sanzioni previste dalla legge penale, ove il fatto
costituisca reato.
11. Le sanzioni di cui ai commi 4, 5, 6, 7, 8, 9 e 10
si applicano anche agli altri membri dell’equipaggio
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1985, relativo all’apparecchio di controllo nel settore dei trasporti su strada, e successive modificazioni, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, del medesimo regolamento, come sostituito dall’articolo
26, paragrafo 1, numero 2), del regolamento (CE) n.
561/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio,
del 15 marzo 2006, relativo all’armonizzazione di
alcune disposizioni in materia sociale nel settore dei trasporti su strada, i veicoli impiegati nell’ambito dei servizi fognari, di protezione contro
le inondazioni, di manutenzione della rete idrica,
elettrica e del gas, di manutenzione e controllo
della rete stradale e di raccolta e compattazione di
rifiuti in ambito urbano.
e
che non osservano le prescrizioni previste dall’accordo di cui al comma 1.
12. Nei casi previsti dai commi 4, 5, 6, 7, 8 e 9 si
applicano le disposizioni di cui al comma 12 dell’articolo 174.
13. Per le violazioni delle norme di cui al presente articolo l’impresa, da cui dipende il lavoratore
al quale la violazione si riferisce, è obbligata in
solido con l’autore della violazione al pagamento
della somma da questo dovuta, salvo che l’impresa
stessa abbia dato esplicita indicazione contraria in
merito.
14. L’impresa che, nell’esecuzione dei trasporti, non
osserva le disposizioni contenute nell’accordo di cui
al comma 1, ovvero non tiene i documenti prescritti
o li tiene scaduti, incompleti o alterati, è soggetta
alla sanzione amministrativa del pagamento di una
somma da euro 296 a euro 1.188 per ciascun dipendente cui la violazione si riferisce, salva l’applicazione delle sanzioni previste dalla legge penale,
ove il fatto costituisca reato.
15. In caso di ripetute inadempienze si applicano le disposizioni di cui ai commi 16, 17, 18 e
19 dell’articolo 174. Quando le ripetute violazioni
sono commesse alla guida di veicoli immatricolati in Stati non facenti parte dell’Unione europea
o dello Spazio economico europeo, la sospensione,
la decadenza o la revoca di cui ai medesimi commi
dell’articolo 174 si applicano all’autorizzazione o al
diverso titolo, comunque denominato, che consente di effettuare trasporti internazionali».
4. Dopo il comma 8 dell’articolo 179 del decreto
legislativo n. 285 del 1992, e successive modificazioni, è inserito il seguente:
«8-bis. In caso di incidente con danno a persone o
a cose, il comando dal quale dipende l’agente accertatore segnala il fatto all’autorità competente,
che dispone la verifica presso la sede del titolare della licenza o dell’autorizzazione al trasporto
o dell’iscrizione all’albo degli autotrasportatori di
cose, per l’esame dei dati sui tempi di guida e di
riposo relativi all’anno in corso».
3.
ART. 13.
(Modifica all’articolo 189 del decreto legislativo n. 285 del 1992, in
materia di comportamento in caso di
incidente).
3
2. Ai trasporti effettuati con i veicoli di cui al comma 1 non si applicano gli articoli da 5 a 9 del regolamento (CE) n. 561/2006 del Parlamento europeo
e del Consiglio, del 15 marzo 2006, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, lettera h), del medesimo regolamento.
1. Al comma 8 dell’articolo 189 del decreto
legislativo n. 285 del 1992 sono aggiunte, in
fine, le seguenti parole:
«, salvo che ricorrano i presupposti della guida in
stato di ebbrezza in conseguenza dell’uso di bevande alcoliche, di cui all’articolo 186, o della guida in
stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze
stupefacenti o psicotrope, di cui all’articolo 187».
ART. 14.
(Modifiche agli articoli 202, 203, 204-bis e 207 del
decreto legislativo n. 285 del 1992, in materia di
pagamento in misura ridotta, di ricorsi e di immatricolazioni).
ART. 12.
(Disposizioni integrative relative ad alcune tipologie
di veicoli e di trasporti).
1. Al comma 1 dell’articolo 202 del decreto legislativo n. 285 del 1992, e successive modificazioni,
le parole: «sessanta giorni» sono sostituite dalle
seguenti: «novanta giorni».
1. Sono esonerati dall’applicazione del regolamento
(CEE) n. 3821/85 del Consiglio, del 20 dicembre
2. Al comma 1 dell’articolo 203 del decreto legislativo n. 285 del 1992, e successive modificazioni,
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le parole: «giorni sessanta» sono sostituite dalle
seguenti: «novanta giorni».
3. Al comma 1 dell’articolo 204-bis del decreto legislativo n. 285 del 1992, e successive modificazioni,
le parole: «sessanta giorni» sono sostituite dalle
seguenti: «novanta giorni».
4. Il Governo provvede ad adeguare i termini fissati dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495, e
successive modificazioni, ai nuovi termini stabiliti
dagli articoli 202, 203 e 204-bis del decreto legislativo n. 285 del 1992, come da ultimo modificati
dai commi 1, 2 e 3 del presente articolo.
5. All’articolo 207 del decreto legislativo n. 285 del
1992, e successive modificazioni, il comma 4-bis è
abrogato.
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ART. 15.
(Modifica all’articolo 208 del decreto legislativo n. 285 del 1992, in materia di
destinazione dei proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie).
1. Alla lettera b) del comma 2 dell’articolo 208 del decreto legislativo n. 285
del 1992, e successive modificazioni, sono
aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, nonché
per la sperimentazione di moderne tecnologie come
i dispositivi per il blocco automatico tramite etilometro, i sensori di allacciamento delle cinture di sicurezza e gli adattatori di velocità, ai fini della loro
installazione sui veicoli di nuova costruzione».
ART. 16.
(Modifiche agli articoli 589, 590 e 593 del codice penale, in materia di omicidio colposo, lesioni personali
colpose e omissione di soccorso).
3. Dopo il secondo comma dell’articolo 593 del codice penale è inserito il seguente:
«Se il fatto è commesso in violazione delle norme di cui agli articoli 186 e 187 del codice della
strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992,
n. 285, e successive modificazioni, la pena è della
reclusione da tre a otto anni, ovvero da quattro a
dieci anni nei casi previsti dall’articolo 99, primo
comma, del presente codice».
ART. 17.
(Nuove norme volte a promuovere la consapevolezza
dei rischi di incidente stradale in caso di guida in
stato di ebbrezza).
1. Tutti i titolari di locali ove si svolgono, con
qualsiasi modalità e in qualsiasi orario, spettacoli
o altre forme di intrattenimento, congiuntamente all’attività di vendita e di somministrazione di
bevande alcoliche, devono esporre all’entrata o all’uscita dei locali apposite tabelle, predisposte ai
sensi del comma 2, che riproducono:
a) la descrizione dei sintomi correlati ai diversi livelli di concentrazione alcolemica nell’aria alveolare espirata;
b) le quantità, espresse in centimetri cubici, delle
bevande alcoliche più comuni che determinano il
superamento del tasso alcolemico per la guida in
stato di ebbrezza, pari a 0,5 grammi per litro, da
determinare anche sulla base del peso corporeo.
2. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore
della presente legge, il Ministro della salute, con
proprio decreto, stabilisce i contenuti delle tabelle
di cui al comma 1.
ART. 18.
(Introduzione dell’articolo 218-bis del decreto legislativo n. 285 del 1992, in materia di misure per i
neo-patentati, e modifiche all’articolo 128, in materia di revisione della patente di guida).
e
1. Al secondo comma dell’articolo 589 del codice
penale è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «In
particolare, se il fatto è commesso in violazione
delle norme stabilite dagli articoli 186 e 187 del
codice della strada, di cui al decreto legislativo 30
aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, la
pena è della reclusione da due a sei anni, ovvero
da tre a otto anni nei casi previsti dall’articolo 99,
primo comma, del presente codice».
2. Al terzo comma dell’articolo 590 del codice penale è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Le pene
sono aumentate di un terzo se il fatto è commesso in violazione delle norme stabilite dagli articoli
186 e 187 del codice della strada, di cui al decreto
legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni».
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ovvero richiede che il soggetto, non ancora titolare
di patente e che ne faccia richiesta, si sottoponga a visita medica presso la commissione medica
locale di cui all’articolo 119, comma 4, ai fini del
conseguimento del certificato medico utile per il
rilascio dell’autorizzazione ad esercitarsi alla guida.
Con decreto del Ministro della salute, di concerto
con il Ministro dei trasporti, sono dettate le disposizioni per l’attuazione del presente comma, anche
con riferimento alle patologie che comportano per
il medico curante l’obbligo di provvedere alla comunicazione.
1-ter. È sempre disposta la revisione della patente
di guida di cui al comma 1 quando il conducente
sia stato coinvolto in un incidente stradale e a suo
carico sia stata applicata la sanzione amministrativa
accessoria della sospensione della patente di guida
per un periodo non inferiore a due mesi.
1-quater. È sempre disposta la revisione della
patente di guida di cui al comma 1 quando il
conducente minore degli anni diciotto sia
autore materiale di una violazione delle
norme del presente codice da cui è
previsto che consegua l’applicazione della sanzione accessoria
della sospensione della patente di
guida»;
c) dopo il comma 2 è inserito il seguente:
«2-bis. Nei confronti del titolare di patente di
guida che non si sottoponga, nei termini prescritti, agli accertamenti di cui ai commi 1, 1-bis, 1-ter
e 1-quater, è sempre disposta la sospensione della
patente a tempo indeterminato fino al superamento, con esito favorevole, degli accertamenti stessi.
La sospensione decorre dal giorno successivo allo
scadere del termine indicato nell’invito a sottoporsi
ad accertamento ai fini della revisione, senza necessità di emissione di un ulteriore provvedimento
da parte degli uffici competenti del Dipartimento
per i trasporti terrestri e il trasporto intermodale,
ovvero del prefetto. A chiunque circola durante il
periodo di sospensione della patente di guida a
tempo indeterminato si applicano le sanzioni amministrative di cui all’articolo 218»;
d) il comma 3 è abrogato.
2. All’articolo 128 del decreto legislativo n. 285 del
1992, e successive modificazioni, sono apportate le
seguenti modificazioni:
a) al comma 1, primo periodo, le parole: «previsti
dall’art. 187» sono sostituite dalle seguenti: «previsti dagli articoli 186 e 187»;
b) dopo il comma 1 sono inseriti i seguenti:
«1-bis. Il medico che viene a conoscenza in modo
documentato di una patologia del suo assistito, che
determina una diminuzione o un pregiudizio della
sua idoneità alla guida, deve darne tempestiva comunicazione scritta e riservata, nel rispetto delle
disposizioni del codice in materia di protezione dei
dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e successive modificazioni, al
Ministero dei trasporti. Il Dipartimento competente dispone la revisione della patente di guida per
l’accertamento dei requisiti di idoneità psico-fisica
nei confronti del soggetto già titolare di patente,
3.
3
e
1. Dopo l’articolo 218 del decreto legislativo n. 285
del 1992, e successive modificazioni, è inserito il
seguente:
«ART. 218-bis. – (Applicazione della sospensione
della patente per i neo-patentati). – 1. Salvo che
sia diversamente disposto dalle norme del titolo
V, nei primi tre anni dalla data di conseguimento
della patente di categoria B, quando è commessa
una violazione per la quale è prevista l’applicazione
della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, di cui all’articolo
218, la durata della sospensione è aumentata di
un terzo alla prima violazione e raddoppiata per le
violazioni successive.
2. Qualora, nei primi tre anni dalla data di conseguimento della patente di categoria B, il titolare
abbia commesso una violazione che comporta l’applicazione della sanzione accessoria della sospensione della patente di guida per un periodo non
inferiore a un mese, le disposizioni del comma 1
si applicano per i primi cinque anni dalla data di
conseguimento della patente.
3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano
anche al conducente titolare di patente di categoria A qualora non abbia già conseguito anche la patente di categoria B. Se la patente di categoria B è
conseguita successivamente al rilascio della patente di categoria A, le disposizioni di cui ai commi 1
e 2 si applicano dalla data di conseguimento della
patente di categoria B».
ART. 19.
(Introduzione dell’articolo 224-ter del decreto legislativo n. 285 del 1992, recante misure per consen-
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tire l’applicazione del sequestro e del fermo amministrativo dei veicoli in conseguenza di reati).
ART. 20.
(Misure alternative alla pena detentiva).
1. In luogo della misura detentiva dell’arresto
prevista dall’articolo 116, come da ultimo modificato dall’articolo 3 della presente legge, e dagli
articoli 186 e 187 del decreto legislativo n. 285
del 1992, e successive modificazioni, a richiesta
di parte può essere disposta la misura alternativa dell’affidamento in prova ai servizi sociali di
cui all’articolo 47 della legge 26 luglio 1975, n.
354, e successive modificazioni, individuati con
decreto del Ministro della salute, di concerto con
i Ministri della giustizia, della solidarietà sociale
e per le politiche giovanili e le attività sportive, e
preferibilmente esercenti la loro attività nel campo dell’assistenza alle vittime di sinistri stradali e
alle loro famiglie.
ART. 21.
(Obblighi degli enti proprietari e concessionari delle
strade e delle autostrade nonché degli enti locali).
1. Nelle more della realizzazione dei necessari e
opportuni interventi infrastrutturali, sulle strade e
sulle autostrade sulle quali si registrano i più alti
tassi di incidentalità, individuate con decreto del
Ministro dei trasporti, di concerto con i Ministri
dell’interno e delle infrastrutture, gli enti proprietari e concessionari e gli enti locali competenti
provvedono a immediati interventi di natura manutentiva e modificativa e comunque utili a migliora-
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1. Nella sezione II del capo II del titolo VI del
decreto legislativo n. 285 del 1992, e successive
modificazioni, dopo l’articolo 224-bis è aggiunto il
seguente:
«ART. 224-ter. – (Procedimento di applicazione delle sanzioni amministrative accessorie della confisca
amministrativa e del fermo amministrativo in conseguenza di ipotesi di reato). – 1. Nelle ipotesi di reato per le quali è prevista la sanzione amministrativa
accessoria della confisca del veicolo, l’agente od
organo accertatore della violazione procede al sequestro secondo le disposizioni dell’articolo 213, in
quanto compatibili. Copia del verbale di sequestro
è trasmessa, unitamente al rapporto, entro dieci
giorni, tramite il proprio comando o ufficio, alla
prefettura-ufficio territoriale del Governo del luogo della commessa violazione.
2. Nei casi previsti dal comma 1, il cancelliere del giudice che ha pronunciato la
sentenza o il decreto divenuti irrevocabili ai sensi dell’articolo 648
del codice di procedura penale,
nel termine di quindici giorni, ne
trasmette copia autentica al prefetto
affinché disponga la confisca amministrativa secondo le disposizioni dell’articolo 213
del presente codice, in quanto compatibili.
3. Nelle ipotesi di reato per le quali è prevista la
sanzione amministrativa accessoria del fermo amministrativo, l’agente od organo accertatore della violazione dispone il fermo amministrativo provvisorio
del veicolo per trenta giorni, secondo la procedura
di cui all’articolo 214, in quanto compatibile.
4. Quando la sentenza penale o il decreto di accertamento del reato e di condanna sono irrevocabili,
anche a pena condizionalmente sospesa, il cancelliere del giudice che ha pronunciato la sentenza o
il decreto, nel termine di quindici giorni, ne trasmette copia autentica all’organo di polizia competente affinché disponga il fermo amministrativo del
veicolo secondo le disposizioni dell’articolo 214, in
quanto compatibili.
5. Avverso il sequestro di cui al comma 1 e avverso
il fermo amministrativo di cui al comma 3 è ammessa opposizione ai sensi dell’articolo 205.
6. La declaratoria di estinzione del reato per morte
dell’imputato importa l’estinzione della sanzione
amministrativa accessoria. Nel caso di estinzione del reato per altra causa, il prefetto accerta la
sussistenza o meno delle condizioni di legge per
l’applicazione della sanzione amministrativa accessoria e procede ai sensi degli articoli 213 e 214, in
quanto compatibili. L’estinzione della pena successiva alla sentenza irrevocabile di condanna non ha
effetto sull’applicazione della sanzione amministrativa accessoria.
7. Nel caso di sentenza irrevocabile di proscioglimento, il prefetto, ovvero, nei casi di cui al comma
3, l’ufficio o il comando da cui dipende l’agente
accertatore della violazione, ricevuta la comunicazione della cancelleria, ordina la restituzione del
veicolo all’intestatario. Fino a tale ordine, sono fatti salvi gli effetti del fermo amministrativo provvisorio disposto ai sensi del citato comma 3».
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re la condizione delle strade e delle autostrade medesime e necessari a ridurre il rischio connesso alla
circolazione su di esse. Su tali strade e autostrade,
le amministrazioni competenti provvedono altresì
prioritariamente a interventi di intensificazione dei
controlli, di miglioramento della segnaletica e ad
ogni altra forma di intervento che si renda utile o
necessaria per le medesime finalità.
delle strade e delle autostrade adottino le iniziative
relative alle barriere di sicurezza e al rischio dell’impatto di uccelli, di cui al comma 1 del presente
articolo.
2. All’attuazione del presente articolo si provvede
nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
1. Le maggiori entrate derivanti dall’incremento delle sanzioni amministrative pecuniarie disposto dalla
presente legge sono destinate all’ammodernamento
e alla messa in sicurezza delle infrastrutture stradali, al potenziamento dell’illuminazione, al miglioramento della segnaletica stradale e alla realizzazione
di campagne di prevenzione in materia di sicurezza stradale, attraverso forme di pubblicità ad alto
impatto emotivo e comunque tali da evidenziare le
conseguenze che possono derivare dagli incidenti
stradali, nonché al potenziamento dei servizi
funzionali all’espletamento delle attività di
competenza del Ministero dei trasporti
preordinate alla tutela e alla promozione della sicurezza stradale.
1. Nell’ambito delle risorse umane, strumentali e
finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, gli enti proprietari e concessionari
di strade e di autostrade adottano iniziative volte
alla sostituzione delle barriere stradali di sicurezza
installate anteriormente alla data di ent rata in vigore del regolamento di cui al decreto del Ministro
dei lavori pubblici 18 febbraio 1992, n. 223, e successive modificazioni, nonché all’eliminazione del
rischio di impatto di uccelli contro vetrate, superfici trasparenti e pannelli fonoassorbenti collocati
lungo le strade e le autostrade, mediante l’installazione di apposite sagome.
2. Il Governo è autorizzato ad apportare modificazioni al regolamento di esecuzione e di attuazione
del codice della strada, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495,
e successive modificazioni, al fine di introdurre
misure, anche sanzionatorie, volte ad assicurare il
rispetto, da parte degli enti di cui all’articolo 208,
comma 1, secondo periodo, del decreto legislativo
n. 285 del 1992, dell’obbligo di devolvere il 50 per
cento dei proventi delle sanzioni amministrative
pecuniarie alle finalità di cui al comma 4 del medesimo articolo 208, e successive modificazioni, con
riguardo al miglioramento della circolazione sulle
strade e sulle autostrade e al potenziamento e miglioramento della segnaletica stradale, nonché ad
assicurare che gli enti proprietari e concessionari
3.
ART. 22.
(Disposizioni per il miglioramento della circolazione
e della segnaletica stradali).
3
e
ART. 23.
(Destinazione delle maggiori entrate derivanti dall’attuazione della presente legge).
2. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con
il Ministro dei trasporti, le somme di cui
al comma 1 sono ripartite tra le finalità nello
stesso indicate.
ART. 24.
(Modifica dell’articolo 56 della legge 23 dicembre
1999, n. 488, concernente interventi in materia di
sicurezza stradale).
1. All’articolo 56, comma 1, della legge 23 dicembre 1999, n. 488, le parole da: «territorialmente
competenti» fino alla fine del comma sono sostituite dalle seguenti: «, nonché le regioni, le province e i comuni, territorialmente competenti per
la realizzazione degli interventi sono autorizzati a
contrarre mutui, secondo criteri e modalità stabiliti
con decreto del Ministro dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. Ai
fini dell’utilizzazione delle risorse disponibili, le
province e i comuni possono stipulare convenzioni
ai sensi dell’articolo 30 del testo unico delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267».
291
Quaderni PD.indb 291
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ART. 25.
(Disposizioni in materia di confisca dei ciclomotori e
dei motocicli con cui sono state commesse violazioni
amministrative).
1. Salvo il caso di confisca definitiva, i ciclomotori e i
motoveicoli utilizzati per commettere una delle violazioni amministrative di cui agli articoli 97, comma 6,
169, commi 2 e 7, 170 e 171 del decreto legislativo n.
285 del 1992, e successive modificazioni, prima della data di entrata in vigore della legge 24 novembre
2006, n. 286, recante conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262,
sono restituiti ai proprietari previo pagamento delle
spese di recupero, di trasporto e di custodia.
ART. 26.
(Delega al Governo per la riforma del decreto legislativo n. 285 del 1992).
3. Il Governo, entro i successivi quarantacinque
giorni, esaminati i pareri di cui al comma 2, ritrasmette alle Camere, con le sue osservazioni e con
le eventuali modificazioni, gli schemi dei decreti
legislativi per il parere definitivo, che deve essere
espresso entro quarantacinque giorni dalla trasmissione. Decorso tale termine, i decreti legislativi
possono comunque essere emanati.
4. Il Governo, ai sensi dell’articolo 17, comma 1,
della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive
modificazioni, entro sei mesi dalla data di entrata
in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui al
comma 1 del presente articolo, apporta le conseguenti modificazioni al regolamento di esecuzione
e di attuazione del codice della strada, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre
1992, n. 495, e successive modificazioni.
5. Entro tre anni dalla data di entrata in vigore della
presente legge, il Governo può adottare uno o più
decreti legislativi recanti disposizioni integrative e
correttive dei decreti legislativi di cui al comma 1,
nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi indicati
dal medesimo comma 1 e secondo la procedura di
cui ai commi 2 e 3.
ART. 27.
(Raccolta e invio dei dati relativi all’incidentalità
stradale).
1. Ferme restando le competenze dell’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), con decreto del Ministro dei
trasporti, di concerto con il Ministro dell’interno, sono
fissati i termini e le modalità per la trasmissione, in
via telematica, dei dati relativi all’incidentalità stradale da parte delle Forze dell’ordine al Dipartimento per
i trasporti terrestri e il trasporto intermodale del Ministero dei trasporti, ai fini dell’aggiornamento degli
archivi previsti dagli articoli 225 e 226 del decreto legislativo n. 285 del 1992, e successive modificazioni.
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1. Il Governo è delegato ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata
in vigore della presente legge, uno o
più decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive
del decreto legislativo n. 285 del
1992, come da ultimo modificato dalla
presente legge, in conformità ai seguenti
princìpi e criteri direttivi:
a) coordinamento e armonizzazione del decreto legislativo n. 285 del 1992 con le altre norme
di settore nazionali, comunitarie e derivanti da accordi internazionali stipulati dall’Italia, nonché con
le competenze regionali e degli enti locali stabilite
dalle leggi vigenti;
b) semplificazione delle procedure e della normativa tecnica di settore, eliminando duplicazioni di
competenze e procedendo alla delegificazione delle
norme del decreto legislativo n. 285 del 1992 suscettibili di frequenti aggiornamenti per esigenze
di adeguamento alle evoluzioni tecnologiche o a
disposizioni comunitarie;
c) revisione e semplificazione dell’apparato sanzionatorio, anche modificando l’entità delle sanzioni
secondo princìpi di ragionevolezza, proporzionalità, effettiva responsabilità e non discriminazione
in ambito europeo.
ministri e del Ministro dei trasporti, di concerto con
i Ministri interessati, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari. Ciascuna Commissione esprime il proprio parere entro quarantacinque
giorni dalla trasmissione degli schemi dei decreti
legislativi, indicando specificatamente le eventuali
disposizioni ritenute non conformi ai princìpi e ai
criteri direttivi di cui al comma 1.
2. I decreti legislativi di cui al comma 1 sono emanati su proposta del Presidente del Consiglio dei
292
Quaderni PD.indb 292
09/02/2009 19.36.19
b) dopo il comma 2 è inserito il seguente:
«2-bis. Il provvedimento di inibizione alla guida è
emesso dal prefetto competente rispetto al luogo
in cui è stata commessa l’ultima violazione che ha
comportato decurtazione di punteggio sulla base
di una comunicazione di perdita totale del punteggio trasmessa dal Ministero dei trasporti. Il provvedimento è notificato all’interessato nelle forme
previste dall’articolo 201 del codice della strada, di
cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e
successive modificazioni. Il provvedimento di inibizione è atto definitivo. Chiunque circola durante
il periodo di inibizione alla guida è punito con le
sanzioni previste dal comma 6 dell’articolo 218 del
citato codice di cui al decreto legislativo n. 285
del 1992, e successive modificazioni. In luogo della
revoca della patente è sempre disposta un’ulteriore inibizione alla guida per un periodo di quattro
anni».
1. Nella propaganda pubblicitaria di autoveicoli,
motoveicoli, motocicli o altri veicoli a motore è
vietato qualsiasi riferimento alla velocità raggiungibile dai veicoli stessi.
2. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato provvede ad accertare e a sanzionare le violazioni
del divieto di cui al comma 1 del presente articolo,
con le modalità e i poteri previsti dall’articolo 27
del codice del consumo, di cui al decreto legislativo
6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni, applicando la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 50.000 a euro 500.000, tenuto conto
della gravità e della durata della violazione.
3. I proventi delle sanzioni amministrative di cui
al comma 2 sono iscritti in un apposito fondo dello
stato di previsione del Ministero dei trasporti, per
essere destinati al finanziamento di iniziative di
educazione stradale e a campagne di informazione
e di prevenzione sulla sicurezza stradale.
ART. 29.
(Modifiche all’articolo 6-ter del decreto legge 27
giugno 2003, n. 151, convertito, con modificazioni,
dalla legge 1o agosto 2003, n. 214, in materia di
titolari di patente di guida rilasciata da uno Stato
estero).
1. All’articolo 6-ter del decreto-legge 27 giugno
2003, n. 151, convertito, con modificazioni, dalla
legge 1o agosto 2003, n. 214, sono apportate le
seguenti modificazioni:
a) al comma 1, primo periodo, le parole: «Per i
titolari di patente rilasciata da uno Stato estero
nel quale non vige il sistema della patente a punti»
sono sostituite dalle seguenti: «Per i titolari di patente rilasciata da uno Stato estero»;
ART. 30.
(Semplificazione delle procedure autorizzative riguardanti la circolazione dei
mezzi adibiti al trasporto di derrate
deperibili).
3.
ART. 28.
(Divieto di propaganda pubblicitaria di veicoli a motore basata sulla velocità).
3
e
2. Per l’avvio degli interventi di raccolta e invio dei
dati di cui al comma 1 è autorizzata la spesa di 1,5
milioni di euro per ciascuno degli anni 2008, 2009
e 2010. Al relativo onere si provvede mediante corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa
di cui all’articolo 1, comma 1036, della legge 27
dicembre 2006, n. 296.
1. Al fine di agevolare e di semplificare
le procedure autorizzative riguardanti la
circolazione dei mezzi adibiti al trasporto di
derrate deperibili, il Ministro dei trasporti, con
uno o più decreti stabilisce i requisiti, i criteri e
le modalità per lo svolgimento delle prove e per
il rilascio dell’attestato di conformità previsto dal
regolamento di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 29 maggio 1979, n. 404, da parte delle
stazioni di prova appositamente autorizzate ai sensi dell’articolo 2 del medesimo regolamento.
2. Il Ministro dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, con uno o più
decreti stabilisce le tariffe per lo svolgimento delle
prove per il rilascio dell’attestato di conformità di
cui al comma 1 da parte delle stazioni di prova dell’amministrazione statale e da parte delle stazioni
di prova appositamente autorizzate di cui al medesimo comma 1. Limitatamente alle prove svolte da
stazioni di prova autorizzate, le tariffe comprendono una quota di maggiorazione da assegnare con le
modalità previste dall’articolo 5 del decreto-legge
21 dicembre 1966, n. 1090, convertito, con modifi-
293
Quaderni PD.indb 293
09/02/2009 19.36.19
cazioni, dalla legge 16 febbraio 1967, n. 14, e successive modificazioni. In ogni caso le tariffe sono
stabilite in misura tale da coprire integralmente i
costi derivanti dallo svolgimento delle attività di
verifica di cui al presente articolo.
3. Con provvedimento del Ministero dei trasporti le tariffe di cui al comma 2 sono aggiornate ogni due anni
in relazione alle variazioni dell’indice ISTAT dei prezzi
al consumo per le famiglie di operai e impiegati.
ART. 31.
(Nuove norme volte all’individuazione dei prodotti
farmaceutici che producono effetti negativi sullo stile
e sulla qualità della guida degli utenti della strada).
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1. Le disposizioni del presente articolo si applicano
a tutti i prodotti farmaceutici, soggetti o meno a
prescrizione medica e presentati sotto qualsiasi
forma, che producono effetti negativi sullo
stile e sulla qualità della guida degli utenti
della strada.
2. Entro quattro mesi dalla data
di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Ministro
della salute, sono individuati i prodotti
farmaceutici di cui al comma 1.
3. Sulle confezioni esterne o sui contenitori dei
prodotti farmaceutici di cui ai commi 1 e 2 deve
essere riportato un simbolo convenzionale di allarme che indica l’idoneità del farmaco a produrre
effetti negativi sullo stile e sulla qualità della guida
degli utenti della strada.
5. Le imprese farmaceutiche e le altre imprese che
producono i prodotti farmaceutici di cui ai commi
1 e 2 si uniformano alle disposizioni della presente
legge entro il 31 dicembre 2009.
6. La distribuzione dei prodotti farmaceutici indicati ai commi 1 e 2 confezionati prima del 31 dicembre 2009 è consentita fino al 31 dicembre 2010.
7. Qualora i prodotti farmaceutici di cui ai commi
1 e 2 siano posti in commercio dopo il 31 dicembre
2010 senza l’indicazione del simbolo di cui al comma 3, il titolare dell’autorizzazione all’immissione
in commercio è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 10.000
a euro 25.000.
8. Nell’ipotesi prevista dal comma 7, il Ministro della salute, con provvedimento motivato, ordina al
titolare dell’autorizzazione all’immissione in commercio l’adeguamento della confezione, stabilendo
un termine per l’adempimento.
9. In caso di mancata ottemperanza entro il termine indicato ai sensi del comma 8, il Ministro della
salute può sospendere l’autorizzazione all’immissione in commercio del prodotto farmaceutico fino
al compiuto adempimento.
ART. 32.
(Entrata in vigore).
1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
e
4. Qualora le confezioni dei prodotti farmaceutici
di cui ai commi 1 e 2 siano di dimensioni troppo
ridotte per riportare il simbolo di cui al comma 3, il
medesimo è riportato in un cartoncino pieghevole,
inserito all’interno della confezione, in modo che
ne sia garantita la visibilità.
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Quaderni PD.indb 294
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La vicenda Alitalia
e
Discussione in Aula.
Dichiarazione di voto finale di Andrea Martella
Signor Presidente, onorevoli colleghi, ancora una
volta il Governo ricorre al voto di fiducia per l’approvazione di un proprio provvedimento; è la settima volta in pochi mesi, qui alla Camera: sicuramente (non è difficile prevederlo), non sarà l’ultima.
Il fatto grave – noi lo vogliamo sottolineare – è
che il continuo ricorso al decreto-legge e al voto di
fiducia sta determinando una lesione profonda del
ruolo e della dignità del Parlamento e degli stessi
principi costitutivi del nostro ordinamento democratico.
È ormai evidente, cari colleghi del centrodestra,
che il Governo vi ha tolto la parola, vi chiede solo
la fiducia e per voi è sempre più difficile fare il normale lavoro di parlamentari. Siete una maggioranza
che approva delicatissimi provvedimenti in ragione
della forza dei vostri numeri e non sicuramente in
ragione del coraggio delle vostre idee e della incisività delle vostre proposte. Cari colleghi della Lega,
non mi pare proprio che voi riusciate a condizionare alcunché. Lo dimostra il fatto che è stata «bocciata», in sede di Commissioni riunite, la proposta
emendativa che voi avevate presentato.
Non ho il tempo qui, né la volontà, di ripercorrere
tutte le fasi della complessa vicenda che riguarda
Alitalia, lo hanno fatto con grande serietà e con
3.
3
22 ottobre 2008
grande puntualità i colleghi del
mio gruppo nel corso della discussione nelle Commissioni riunite e in Assemblea. Ma alcune cose voglio ricordarle,
alcune date vanno ricordate perché sono significative. Nel 2003, durante il precedente Governo Berlusconi, c’era la possibilità di integrare
Alitalia dentro quello che sarebbe diventato il più
grande protagonista del trasporto aereo mondiale,
lo Stato italiano avrebbe potuto esserne uno degli azionisti di riferimento. Si decise di non farlo,
sbagliando, in nome del principio di italianità, ma
senza certamente tutelare l’interesse nazionale.
In nome dello stesso principio di italianità, è storia recente, nel marzo del 2008 i leader del Popolo
della Libertà – tutti i leader del Popolo della Libertà – insieme ad un certo corporativismo sindacale
hanno fatto fallire la soluzione orientata all’accordo
con Air France, cosa resa ancora più grave perché
la situazione della compagnia di bandiera peggiorava giorno dopo giorno, nei conti e nella capacità
operativa. Né qui voglio soffermarmi – cosa che invece sarebbe giusto fare – sulle dichiarazioni, le
smentite, gli slalom verbali, gli ultimatum, gli aut
aut, tutti volti a creare divisioni e scontri, fatti dal
Premier e dai Ministri che in questo periodo hanno
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Quaderni PD.indb 295
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nunciato che ci sarebbe stata una cordata italiana.
Così è stata costruita la cordata, così la si è messa
in piedi, a tavolino, e per permettere la formazione
della cordata sono state adottate misure straordinarie: la cosiddetta «legge Marzano» è stata stravolta, cucita, con un vestito su misura, addosso
a CAI, e le regole comunitarie sono state violate.
Il prezzo di questa operazione – è bene ricordarlo
– sarà pagato dai contribuenti che dovranno farsi
carico dei debiti pregressi di Alitalia, dai consumatori che pagheranno prezzi più elevati a causa della
sospensione delle regole antitrust, dalle piccole e
medie imprese che si dovranno fare carico di questi
oneri, ma che sono escluse dal sistema degli aiuti
statali.
Per consentire il formarsi di questa cordata, voluta scientificamente e per permettere ad alcuni imprenditori di parteciparvi, sono stati varati, come
abbiamo denunciato nei mesi scorsi, altri decreti
legge: sono stato rinnovate – anche questo vorrei
ricordarlo agli amici della Lega che recentemente
hanno presentato un’interrogazione su questo tema
– per decreto legge e senza controllo parlamentare,
senza controllo tecnico, le concessioni autostradali. È un autentico regalo, sfacciato, mal confezionato, che verrà pagato dai cittadini italiani e dalle
imprese con tariffe più alte e servizi peggiori.
Le ragioni della nostra contrarietà sono, quindi,
profonde, la soluzione alla quale aveva lavorato il
precedente Governo era più conveniente sul piano dei costi a carico dei cittadini che oggi, con le
loro tasse, saranno costretti a pagare un onere che
avrebbe potuto non esserci: i vantaggi futuri sono
dei privati, i debiti passati e presenti sono pubblici. È un costo che il Governo evita di quantificare,
ma non è difficile fare un po’ di conti: il debito
finanziario della vecchia Alitalia è di circa un miliardo 200 milioni di euro, il prestito ponte è di 300
milioni, più di un miliardo per gli ammortizzatori
sociali, un miliardo e mezzo per pagare i debiti con
i fornitori e 150 milioni di euro per tutelare i piccoli azionisti; insomma, circa tre miliardi di euro.
Sono tutte risorse che in questa fase di recessione
della nostra economia avrebbero potuto essere usate per sostenere il potere di acquisto delle famiglie
e dei lavoratori, per sostenere i redditi e per aiutare
i consumi. Ma non è così, i cittadini pagheranno
di più ed è bene ricordare che in questa vicenda
pagheranno anche le perdite e i debiti di Air One:
anche questi debiti peseranno sulla collettività.
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dichiarato tutto e il contrario di tutto, sottoponendo il nostro Paese per lunghi mesi ad un autentico
stress. Basterebbe ricordare – ma qui non c’è neanche l’ombra di un Ministro, ed è grave che non ci
sia; quindi, mi rivolgo al sottosegretario – ebbene,
basterebbe ricordare solo una dichiarazione, finita
un po’ nel dimenticatoio. Ad un certo punto, il Ministro dei trasporti disse: il personale in esubero di
Alitalia verrà collocato alle Poste. Qualche minuto
dopo, un altro Ministro dello stesso Governo disse
che, se ciò fosse avvenuto, si sarebbe immediatamente dimesso.
Avete detto davvero tutto e il contrario di tutto,
senza riuscire ad affrontare seriamente questo
tema.
Noi, nonostante questo, abbiamo sempre lavorato
perché si trovasse una soluzione, per evitare il peggio, e l’abbiamo fatto anche quando la trattativa
era paralizzata e ci si trovava sull’orlo del disastro:
tutti, infatti, ricordiamo che CAI aveva ritirato
l’offerta e buona parte delle sigle sindacali
non aveva sottoscritto l’accordo.
Ci siamo comportati come fa una grande, responsabile forza riformista,
agendo negli interessi del Paese,
dei lavoratori e dell’azienda. Abbiamo lavorato per avvicinare le parti
perché era nostra convinzione che, con
realismo e buona volontà reciproca, si potesse scongiurare la rottura. Lo abbiamo fatto
alla luce del sole, con una lettera del leader del
Partito Democratico al Presidente del Consiglio con
la quale abbiamo invitato il Governo ad assumere
un’iniziativa, ad uscire dall’angolo nel quale si era
cacciato con tanta determinazione ed altrettanta
incapacità. La nostra iniziativa ha consentito a tutti i protagonisti di questa vicenda di fare un passo
in avanti, di ricollocarsi, di creare le condizioni per
un’intesa e per evitare il peggio.
Signor Presidente, proprio l’aver dato il nostro contributo alla soluzione che si sta realizzando rende
la nostra critica più radicale ed il nostro giudizio
più severo sugli errori, sulle contraddizioni e sulle scelte fatte dal Governo. Diciamo le cose come
stanno al termine di questo dibattito parlamentare
che pure non chiude la vicenda: su Alitalia e sulla pelle dei cittadini si è consumata un’operazione
politica di facciata voluta da Berlusconi, perché
Berlusconi in campagna elettorale aveva detto che
andava salvaguardata l’identità italiana e aveva an-
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Quaderni PD.indb 296
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Noi dovremmo avere l’ambizione – ho concluso – di
far parte di un grande player del trasporto mondiale, piuttosto che essere detentori del controllo di
un piccolo vettore regionale. Solo così tuteleremo
l’interesse nazionale, avendo la capacità di stare in
un contesto europeo.
Signor sottosegretario, mi rivolgo a lei: vi neghiamo la fiducia in maniera risoluta e continueremo
a vigilare affinché siano riparati i danni che avete
arrecato, a cominciare dallo stravolgimento delle
leggi. Vigileremo fino in fondo perché tutto il sistema nazionale di trasporto aereo non venga penalizzato, a partire da Malpensa e Fiumicino, per
arrivare a tutti gli altri scali aeroportuali del bacino
del Mediterraneo.
Cari colleghi della maggioranza, dovete sapere,
però, che questa vicenda non si conclude qui. Ora
gli italiani chiederanno conto al Governo, alla CAI
e a voi della qualità del servizio e del costo del
trasporto aereo.
Noi continueremo a fare la nostra parte, vigileremo e vi incalzeremo, nell’interesse
dei cittadini e del Paese.
3.
3
e
Sotto l’aspetto delle procedure e della trasparenza,
questo decreto-legge (l’hanno spiegato i miei colleghi) fa acqua da tutte le parti e produce effetti
devastanti. Signor Presidente, in queste ore stiamo
entrando in una fase nuova, molto delicata, per la
scelta del partner internazionale.
Era del tutto evidente che di un partner internazionale, come si è sempre detto, ci sarebbe stato bisogno. Diciamo sinceramente come stanno le cose: il
partner internazionale è destinato, in tempi brevi,
a diventare azionista di riferimento.
Per queste ragioni, la scelta va compiuta con grande serietà, senza tenere conto delle pressioni politiche di Berlusconi o di Bossi, che già ci sono e che
sono destinate a diventare sempre più violente. La
scelta deve avvenire in modo rigoroso, valutando
gli aspetti economici, con la consapevolezza che,
per una compagnia aerea, l’Italia è uno dei mercati
più importanti del mondo e con la consapevolezza
che nel mondo si sta determinando una fortissima concentrazione del trasporto aereo, con pochi
grandi soggetti che si faranno concorrenza, in un
mercato globalizzato e fortemente integrato.
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Risoluzione VIII Commissione
Camera
Una strategia organica per la casa
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23 ottobre 2008, seduta n. 71
la stessa Unione europea non si dimostra, al momento, all’avanguardia sulle politiche attive di sostegno finanziario all’housing sociale;
tale situazione costituisce anche un freno allo sviluppo economico, è di ostacolo alla naturale formazione di nuovi nuclei familiari, immobilizza gran
parte del risparmio delle famiglie sottraendolo ad
impieghi che possono alimentare la crescita;
già in occasione dell’esame del DPEF per gli anni
2009-2013 nonché del decreto-legge n. 112 del
2008 - che ha previsto l’adozione di un «Piano
Casa» rivolto prioritariamente alla prima casa per le
categorie sociali svantaggiate - e, infine, dell’esame della legge finanziaria e di bilancio per gli anni
2009-2011, la VIII Commissione ha sollecitato con
forza la messa a sistema di politiche di sostegno a
favore delle fasce sociali più deboli e di politiche
di rilancio dell’offerta abitativa, anche attraverso
misure in favore delle locazioni e dei programmi di
edilizia residenziale, che devono mirare sia a sostenere le classi sociali svantaggiate e i cittadini in
condizione di maggiore bisogno sia a incoraggiare,
sotto il profilo della proprietà, una semplificazione delle procedure per ampliare la stessa offerta di
case in affitto e facilitare l’emersione del cosiddetto «sommerso»;
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La VIII Commissione,
premesso che:
una strategia organica destinata alla
politica per la casa rappresenta una vera e
propria priorità nazionale, anche in considerazione dell’aumento sproporzionato dei valori
immobiliari del mercato residenziale privato registrato negli ultimi anni, dell’esaurimento di una
adeguata offerta di edilizia residenziale pubblica
nonché della progressiva ripresa demografica e dei
nuovi apporti migratori;
nell’attuale difficile congiuntura che caratterizza
non solo il Paese ma l’intero sistema economico
globale, sono infatti numerosi i problemi che talune fasce di cittadini si trovano quotidianamente ad
affrontare con riferimento alla situazione abitativa,
che rischia spesso di costituire un reale elemento
di squilibrio e disomogeneità reddituale, soprattutto per coloro che – per vari motivi – non dispongono di una abitazione di proprietà;
nel nostro Paese la situazione è resa più critica dal
fatto che il mercato immobiliare italiano è caratterizzato dalla scarsità di alloggi in affitto e l’edilizia
sociale è particolarmente danneggiata e scoraggiata da una fiscalità non adeguata alle reali necessità;
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Quaderni PD.indb 298
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mento all’edificazione di nuove aree, nelle quali il
trasporto pubblico deve essere sostenuto con specifici sistemi premiali;
i) promozione della qualità architettonica e dei livelli di innovazione tecnologica del prodotto edilizio rivolto alle famiglie, con incentivi per le iniziative volte a favorire il risparmio energetico e la
sostenibilità ambientale;
j) incremento del patrimonio di edilizia residenziale
pubblica, attraverso adeguati programmi di investimento, per assicurare l’accesso all’abitazione in
affitto a canone sociale alle numerose famiglie in
gravi condizioni di disagio sociale ed in attesa di
assegnazione di un alloggio pubblico che, per motivi economici, vengono espulse dal mercato della
locazione,
impegna il Governo:
e
occorre quindi ripristinare un flusso di finanziamenti al settore dell’edilizia residenziale pubblica
che sia continuo e costante e, ampliando i margini
di intervento definiti dal decreto-legge n. 112 del
2008, rafforzare in generale le politiche abitative,
secondo i seguenti criteri direttivi:
a) definizione, in collaborazione con le regioni e
le autonomie locali, mediante una accurata analisi
suddivisa per aree territoriali, dei reali fabbisogni
abitativi di ciascuna regione;
b) rinnovata capacità di dare fiducia ai soggetti privati, oltre che ai soggetti pubblici, anche attraverso la semplificazione delle norme e delle procedure
amministrative, il rilancio delle agevolazioni fiscali
e l’abbattimento del tasso d’interesse dei mutui per
le categorie sociali interessate (a partire dalle giovani coppie) ovvero mediante la valorizzazione delle disposizioni riguardanti il «Fondo di solidarietà
per i mutui per l’acquisto della prima casa»;
c) ripristino e graduale aumento delle risorse finanziarie al «Fondo nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione» (cosiddetto «Fondo
sociale»), unico strumento finanziario attualmente utilizzabile dagli enti locali per fronteggiare le
emergenze abitative, a cui bisogna affiancare un
adeguamento strutturale dell’offerta di alloggi in
locazione a canone sostenibile per le famiglie che
non riescono ad accedere al libero mercato;
d) predisposizione di nuovi strumenti finanziari
(quali fondi rotativi e simili) per il sostegno all’edilizia residenziale da parte degli enti territoriali,
nell’ambito dei quale prevedere la riserva di una
percentuale delle nuove costruzioni per l’affitto a
canone sociale o concordato;
e) definizione di un modello di housing sociale
inteso come modello di gestione dell’intero ciclo
produttivo edilizio, vale a dire comprensivo anche
della manutenzione, della gestione, della riscossione nonché dei rapporti con gli inquilini;
f) valutazione dell’introduzione - anche in forma sperimentale - di una «cedolare secca» sugli affitti, a partire dai contratti di locazione a canone concordato ai
sensi dell’articolo 2 della legge n. 431 del 1998;
g) incentivazione delle iniziative di recupero e ristrutturazione urbanistica ed edilizia, che affrontino in modo integrato il tema della riqualificazione
urbana e della residenza, più sostenibili anche sotto il profilo ambientale e non meno redditizie;
h) promozione di misure a favore delle infrastrutture urbane per la mobilità, soprattutto con riferi-
3.
3
1. ad adottare, in piena sintonia con le regioni
e le autonomie locali e nel rispetto delle rispettive competenze, i necessari interventi
programmatici e attuativi in materia di
politica della casa, assicurando una
costante informazione del Parlamento; in tale ambito, nel decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri di attuazione del Piano casa,
che va comunque completato con il pieno coinvolgimento gestionale delle amministrazioni regionali e locali, dovranno essere
salvaguardati gli stanziamenti già impegnati dalle
regioni ai sensi degli articoli 21, 21-bis e 41 del decreto-legge n. 159/2007, ricomprendendovi anche
i soldi già destinati a tali interventi dagli Istituti
autonomi per le case popolari;
2. ad adottare, nella fase realizzativa del Piano
casa, procedure di evidenza pubblica, che favoriscano il mercato e la concorrenza, esplicitando le
modalità e i principi alla base dei meccanismi della
perequazione e della compensazione, i cui valori
debbono essere in linea con i valori di esproprio
delle aree cedute dai privati, anche sulla base di
valutazioni affidate all’Agenzia del territorio;
3. a realizzare una riforma degli strumenti di edilizia
residenziale pubblica, con l’introduzione di modelli
innovativi di collaborazione tra pubblico e privato,
puntando all’accreditamento degli operatori dell’alloggio sociale e ad una fiscalità di vantaggio che
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incentivi la promozione di nuovi strumenti finanziari finalizzati ad aumentare l’offerta di alloggi in
locazione a canone moderato, nonché la graduale
estensione della detraibilità delle locazioni a tutte
le tipologie contrattuali, a partire dai contratti di
locazione a canone concordato ai sensi dell’articolo 2 della legge n. 431/98, innalzandone il limite
massimo;
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4. ad elevare da euro 4.000 a 6.000 euro l’importo
massimo su cui calcolare la detrazione relativa ad
interessi ed oneri accessori dei mutui prima casa
nonché ad aumentare dal 19 al 23 per cento - aliquota Irpef prevista per il primo scaglione di reddito - la percentuale degli oneri ammessa in detrazione dall’imposta lorda; tale percentuale si applicherà
agli interessi passivi e relativi oneri accessori in
dipendenza di mutui contratti per l’acquisto e la
costruzione della prima casa garantiti da ipoteca
su immobili;
5. ad assumere iniziative volte ad incrementare, di conseguenza, il «Fondo
nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione» e
il «Fondo di solidarietà per i mutui
per l’acquisto della prima casa», come
strumenti di base per il riequilibrio delle
distorsioni esistenti nel settore abitativo;
6. a promuovere adeguate proposte in sede di
Unione europea per la definizione, al pari di altri
settori, di progetti di finanziamento dell’edilizia residenziale pubblica;
7. a incentivare, in tale ambito, le iniziative di recupero e ristrutturazione urbanistica ed edilizia,
anche con benefici economici in grado di abbattere i costi legati alla bonifica delle aree dismesse
da trasformare e ristrutturare, con l’obiettivo, tra
l’altro, di alleggerire la mobilità nei centri urbani,
evitando di ampliare ulteriormente l’estensione delle periferie;
10. a favorire il rapido utilizzo - per l’edilizia pubblica a canone sociale o concordato - di quota parte
del consistente patrimonio immobiliare demaniale,
detenuto da enti statali o territoriali, in qualunque forma giuridica costituiti, mediante procedure
e accordi specifici tra Agenzia del demanio ed enti
territoriali o altri soggetti interessati;
11. a valutare, in questo quadro, ogni possibile iniziativa che semplifichi la destinazione di immobili
del demanio militare al soddisfacimento di esigenze
di housing sociale, favorendo i processi di recupero e riqualificazione dei medesimi immobili, eventualmente inseriti in programmi di riqualificazione
urbana, anche mediante specifici accordi con il Ministero della difesa;
12. a prevedere la destinazione di una quota parte
del patrimonio pubblico e militare a servizi pubblici, sociali o culturali;
13. ad individuare - nell’ambito degli accordi da
concludere con regioni ed enti locali in materia di
alienazione degli immobili di proprietà degli istituti
autonomi per le case popolari previsti dall’articolo
13 del decreto-legge n. 112 del 2008 - modalità attuative volte a favorire le categorie maggiormente
svantaggiate, mediante la concessione di facilitazioni per l’accesso a finanziamenti agevolati, anche
nell’ambito dei Fondi sopra citati;
14. ad adottare, negli interventi volti ad alleviare il
disagio abitativo da realizzare con i proventi delle
predette alienazioni, di cui alla lettera c) del comma 2 del citato articolo 13 del decreto-legge n. 112
del 2008, i criteri d’azione citati in premessa.
(7-00065) «Martella, Morassut, Mariani, Realacci,
Bocci, Braga, Bratti, Esposito, Ginoble, Iannuzzi,
Marantelli, Margiotta, Mastromauro, Motta, Viola,
Zamparutti, Libè, Piffari».
e
8. a promuovere il miglioramento della qualità architettonica e dei livelli di innovazione tecnologica del prodotto edilizio rivolto alle famiglie, con
particolare riferimento ai progetti in grado di raggiungere elevati livelli di risparmio energetico e di
sostenibilità ambientale;
9. ad incrementare il patrimonio di edilizia residenziale pubblica, attraverso adeguati programmi di investimento, per assicurare l’accesso all’abitazione in affitto
a canone sociale alle numerose famiglie in gravi condizioni di disagio sociale ed in attesa di assegnazione
di un alloggio pubblico che, per motivi economici,
vengono espulse dal mercato della locazione;
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e
POLITICHE PER L’AMBIENTE
E IL TERRITORIO
Uscire dall’ingorgo
Proposte per la mobilità nelle città italiane
3.
3
18 settembre 2008
Le città sono oggi la questione più importante se si guarda al tema dei trasporti nel nostro paese. Perché è qui che si concentra circa l’80% della domanda
di spostamenti delle persone, e solo facendone una priorità nazionale sarà possibile uscire da una condizione quotidiana di congestione e inquinamento in cui vivono
milioni di cittadini. Oggi resa più difficile per tante famiglie dall’aumento del prezzo
della benzina. Uscire da questa situazione è possibile, per farlo occorre capire i punti deboli dell’attuale sistema, rivedere le priorità di investimento per realizzare un significativo
rilancio del trasporto pubblico e di tutte le forme di integrazione tra le diverse modalità di
spostamento nelle città (auto private, treni, metro, tram, autobus, percorsi pedonali e ciclabili). Solo così sarà possibile avere città più pulite e moderne, vivibili e attraenti.
La dimensione dei problemi diventa di anno in anno più impressionante. A partire dal numero
delle auto in circolazione nel nostro paese, che erano poco più di 17milioni nel 1980 e oggi
sono oltre 35milioni. Il numero di auto per abitante è tale (deteniamo un record mondiale
in questo campo, a Roma sono 74 auto/100abitanti, a Torino 62, per una media nazionale
di 59) da determinare una situazione di congestione perenne, di assenza strutturale di parcheggi, perché è semplicemente impossibile rincorrere queste dinamiche con nuove strade,
aree di sosta, svincoli e rotatorie.
A partire dagli anni ’80 molti cittadini hanno cercato un’alternativa ai problemi delle grandi
città trasferendosi nei comuni limitrofi che, secondo i dati ISTAT, hanno visto aumentare i
residenti del 9,3% tra il 1991 e il 2006.
Quello del pendolarismo è un fenomeno che ha assunto una dimensione impressionante nel
corso degli ultimi anni. Secondo i dati del Censis la mobilità pendolare nel nostro paese
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(ovvero gli spostamenti giornalieri sistematici per motivi di studio o lavoro al di fuori del
proprio comune) è passata da 8,7milioni di persone nel 1991, a 9,6 milioni del 2001 per
arrivare a 13,1 milioni nel 2007. Una domanda che è soddisfatta per il 70% dall’auto privata,
mentre solo per il 15% da treni e per l’11% da bus extraurbani. L’insieme di questi numeri è
la più semplice spiegazione della situazione di congestione e inquinamento che caratterizza
le città italiane.
È giusto continuare a spingere nella direzione dell’innovazione nei veicoli, con limiti sempre
più stringenti per la concentrazione di polveri sottili e di emissioni di CO² come sta facendo
con convinzione l’Unione europea. Ma i provvedimenti di rottamazione del parco auto approvati negli scorsi anni hanno permesso si di far crescere il numero di veicoli con motori
Euro 4 (oggi attestate sul 16% del parco auto italiano, il 19% al Nord), ma gli effetti in
termini di riduzione degli inquinanti atmosferici non si sono percepiti. Per il PM10, dove la
legge stabilisce un numero massimo di 35 giorni l’anno in cui si può superare il limite di 50
μg/m³, già a fine marzo il 43% dei capoluoghi di provincia aveva varcato questa soglia che
è stata fissata a seguito del recepimento di una Direttiva europea che aveva come obiettivo
di tutelare la salute dei cittadini. La strategia per uscire da questa situazione è quella di
offrire un alternativa all’uso dell’auto per gli spostamenti delle persone.
Più efficienza, concorrenza, qualità dell’offerta sono le chiavi imprescindibili per un
significativo rilancio del trasporto pubblico locale. Ma insieme occorre individuare
le risorse indispensabili per migliorare il servizio. L’obiettivo è di aumentare
progressivamente la quota di persone che utilizza i mezzi pubblici negli spostamenti all’interno di un sistema più moderno e trasparente in cui siano chiari gli investimenti, i vantaggi e costi per gli utenti. Ad esempio non è accettabile
che i proventi totali del trasporto pubblico coprano appena il 35% delle spese per la
gestione del servizio. Una percentuale che sale lievemente nel caso delle tramvie e per
le metropolitane dove la vendita di biglietti, abbonamenti e altri servizi copre almeno il
50% delle spese.
Queste cifre sono molto lontane dai rapporti introiti/costi di alcune città europee: a Dublino
entrate e uscite sono ad esempio sono quasi in pareggio, a Londra c’è un rapporto del 79% e
a Madrid del 75%. Ma ancora più importante è recuperare la distanza nell’utilizzo del mezzo
pubblico negli spostamenti che vede le città italiane agli ultimi posti in Europa. Se a Vienna
il 45% dei cittadini utilizza i mezzi pubblici per recarsi al lavoro a Madrid è il 56%, mentre
a Milano la percentuale scende al 32% ed a Roma è addirittura ferma al 22%. Per recuperare
questo gap occorre migliorare la puntualità del servizio, l’integrazione, comprare nuovi mezzi
e ringiovanire l’età media del parco mezzi (oggi quasi il 40% degli autobus in circolazione
nel nostro paese ha più di quindici anni di servizio).
Per quanto riguarda il trasporto ferroviario pendolare siamo ancora a metà di una riforma
che doveva trasferire responsabilità e risorse alle regioni, promuovere il mercato e migliorare
il servizio. Invece il servizio non riesce a soddisfare l’aumento della domanda di trasporto
pendolare che è in costante crescita (+ 14,5% tra il 2001 e il 2007), con tanti cittadini che
continuano a viaggiare in auto proprio per l’impossibilità di avere una valida alternativa ogni
giorno per andare a lavorare. Per farlo occorre certezza negli investimenti da parte del Governo, che ha con l’ultima finanziaria ridotto i trasferimenti, e delle regioni che non hanno an302
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Le proposte per la mobilità sostenibile nelle città italiane
4
e
cora compreso il ruolo che dovrebbero svolgere in termini di investimenti, di monitoraggio,
di integrazione delle politiche dopo la riforma avviata con il decreto legislativo 422/97.
Ma fondamentale è anche riprendere il progetto “1000 treni pendolari” lanciato dal Governo
Prodi ma mai finanziato, che doveva promuovere un investimento complessivo di 6,4 miliardi, parte delle risorse dallo Stato e parte dal piano di investimento di FS per l’acquisto di
treni e l’aumento dell’offerta.
Oltretutto l’affollamento delle carrozze sta diventando sempre più una ragione dei ritardi
(per la difficoltà di accesso alle carrozze e di chiusura delle porte) e un problema che vivono
sulla propria pelle tutti i cittadini che cercano un alternativa alle auto per muoversi nelle
città. Ma per raggiungere dei risultati significativi in termini di spostamenti all’interno delle
principali aree urbane italiane occorre rivedere le priorità infrastrutturali dei prossimi anni.
Perché le oltre 300 opere previste dalla Legge Obiettivo riguardano solo in minima parte le
aree urbane, mentre è stata abolita la legge 211/1991 che dava la possibilità alle aree urbane di poter contare su finanziamenti per la realizzazione di linee di tram, metropolitane,
ferrovie urbane. Eppure se si va a guardare la dotazione infrastrutturale italiana rispetto agli
altri grandi paesi europei, è nella presenza di linee di metropolitane e ferrovie urbane la
maggiore distanza (fatta 100 la media è 40 il dato per la presenza di metro, 73 per le
autostrade, 54 per le linee ferroviarie ad alta velocità).
3.
1) Dare certezza agli investimenti nel trasporto pubblico locale
Istituire un fondo nazionale per il trasporto locale, finanziato con i proventi di
parte della tassazione sui carburanti per coprire i costi del trasporto pubblico e
per l’acquisto dei mezzi. Ma anche le città si devono attrezzare per migliorare l’efficienza delle aziende e trovare nuovi gettiti finanziari da destinare al trasporto pubblico.
Ad esempio vincolando gli introiti per la tariffazione della sosta ad investimenti per il TPL,
introducendo forme di road pricing e congestion charge come si è fatto in molte città europee.
Dal lato dei cittadini occorre rendere permanente il provvedimento che consente di detrarre
dalle tasse una quota consistente dell’abbonamento annuale al mezzo pubblico. L’impegno
per il trasporto pubblico locale si dovrebbe perciò concretizzare in un piano straordinario per
la sostituzione di migliaia di autobus, di centinaia di convogli per le linee tram e metropolitane.
2) Rilanciare il trasporto ferroviario pendolare
Occorrono maggiori risorse per il servizio di trasporto pendolare e superare una procedura
che prevede uno stanziamento da ritrovare annualmente con la legge finanziaria. Per passare a un accordo pluriennale che permetta di programmare gli investimenti per migliorare
il servizio e avviare il progetto “1000 nuovi treni per i pendolari”. Perché il trasporto pendolare è una componente fondamentale delle politiche nazionali dei trasporti e dunque si
deve individuare un meccanismo di finanziamento che cresca progressivamente nel tempo.
Coinvolgendo e responsabilizzando le regioni, che devono prevedere investimenti capaci di
migliorare il servizio, fissare gli standard, fare le gare e i contratti con le aziende, controllare
la qualità, integrare le scelte dentro la programmazione territoriale.
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Quaderni PD.indb 303
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3) Spostare nei nodi urbani la voce maggioritaria delle scelte infrastrutturali
Vincolare il 50% della spesa nazionale per le opere pubbliche nel settore trasporti alla realizzazione di reti per il trasporto urbano, metropolitane, tram, servizio ferroviario pendolare.
In modo da avere un servizio di trasporto pubblico efficiente, che possa contare su binari
dedicati per i treni pendolari, di nuove linee in sede propria, di nuove stazioni per il trasporto locale.
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4) Premiare l’innovazione da parte dei comuni
Oggi il ruolo dello Stato rispetto al trasporto pubblico locale ha senso da un lato nel rendere
possibili investimenti strutturali dall’altra nell’aiutare le Città che scelgono
di promuovere interventi innovativi. Ad esempio con bandi che finanzino gli interventi in
grado di rafforzare una gestione efficiente della mobilità privata (car sharing, car pooling,
taxi collettivi, bus a chiamata), degli spazi della città (quartieri a 30Km/h, riqualificazione
delle strade, piste ciclabili), del trasporto pubblico (con strade riservate e protette), di organizzazione dei tempi (scuole, uffici), di promozione di tecnologie innovative per ridurre la
domanda di mobilità (telelavoro, home-banking, commercio elettronico) e di diffusione dei
“mobility manager”, o quelli in grado di attuare una corretta pianificazione territoriale
con l’obiettivo di realizzare un’armonica e funzionale integrazione tra tutte le modalità di trasporto: auto, metro, tram, ferrovie locali, taxi, bus, biciclette, pedoni.
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e
Proposte del Partito Democratico
sulle linee guida per un piano
sull’energia e sui mutamenti
climatici per l’Italia
Premessa
3.
4
19 novembre 2008
La volatilità del prezzo del petrolio, l’evidenza ormai conclamata dei mutamenti
climatici – non più una minaccia proiettata nel futuro ma una dinamica già in atto
– e della loro origine nell’uso eccessivo di combustibili fossili, hanno posto la questione energetica al centro del dibattito politico in tutto il mondo. D’altra parte, proprio
il fatto che nello stesso tempo e con analoga urgenza si dimostri l’insostenibilità sia economica sia ambientale dell’attuale modello energetico, basato largamente sulla dipendenza
dal petrolio e dalle altre fonti fossili, determina in questo campo un’indiscutibile, inedita
coincidenza tra interesse economico e interesse ambientale: oggi come non mai, infatti,
operare per ridurre l’uso delle fonti fossili e in generale per contenere l’aumento dei consumi
energetici, è indispensabile non solo per fermare il “global warming” e così minimizzarne i
costi ambientali, sociali, economici, ma anche per scongiurare il pericolo incombente di un
collasso dell’economia mondiale.
L’Europa, spinta dalla propria condizione oggettiva che la vede importatrice di gran parte
dell’energia fossile che consuma, nonché da una più acuta consapevolezza della gravità
dei problemi connessi ai mutamenti climatici, ha cominciato per prima a cimentarsi con la
difficile sfida di un’accelerazione dell’uscita dall’ “era fossile”, e molti paesi europei sono impegnati in strategie impegnative volte a modificare il proprio mix energetico e a migliorare
l’efficienza degli usi energetici.
Oggi si affaccia fortunatamente un nuovo protagonista: gli Stati Uniti di Barack Obama. Il
tema è stato centrale nella campagna elettorale. Basta ricordare il suo discorso la sera della
vittoria, le parole sulle grandi sfide che il mondo intero ha di fronte: “due guerre, un pianeta
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in pericolo, la peggiore crisi finanziaria da un secolo a questa parte.” Basta ricordare l’impegno, più volte ribadito, di affrancare entro dieci anni l’America dal petrolio arabo, lanciando
un massiccio piano di investimenti per 150 miliardi di dollari in risparmio energetico e fonti
rinnovabili, con la creazione di 5 milioni di posti di lavoro.
Con l’eccezione di alcune innovazioni positive portate dall’ultimo governo di centrosinistra
(nuovo sistema di incentivi per le energie rinnovabili, misure per promuovere l’efficienza
energetica nel settore elettrico e nei consumi civili che andrebbero, peraltro, ulteriormente
razionalizzate e stabilizzate), questo sforzo finora ha coinvolto in misura assai marginale
l’Italia. Poco promettenti sono anche i primi atti compiuti in questo campo dal governo di
centrodestra. L’unica novità prospettata è l’annunciato ritorno al nucleare, con la realizzazione di alcuni impianti di cosiddetta “terza generazione”: che comunque darebbe i suoi frutti
solo nel medio termine, mentre la necessità di modernizzare il nostro sistema energetico
– mossa da ragioni sia ambientali che economiche – è decisamente più urgente.
Già oggi l’Italia rischia di isolarsi dai grandi paesi europei, viste le posizioni espresse dal
Governo italiano rispetto agli obiettivi 20/20/20 (20% di riduzione delle emissioni di CO²,
20% di risparmio energetico, 20% di produzione di energia da fonti rinnovabili), lamentando i costi troppo elevati che avrebbe per il nostro paese onorare gli impegni assunti: una
posizione scarsamente lungimirante, poiché la “rivoluzione energetica” su cui si sta
impegnando l’Europa non solo è indispensabile per fare bene la parte che ci compete come paesi industrializzati nella lotta ai cambiamenti climatici, ma è anche
una grande frontiera di innovazione tecnologica, di competizione economica,
di industrializzazione. È anche questo il motivo per cui alcuni paesi hanno
assunto obiettivi ancora più ambiziosi. La Germania, ad esempio, si è impegnata
unilateralmente a ridurre le sue emissioni del 40% entro il 2020; il Regno Unito del
30% entro il 2020 e dell’80% entro il 2050.
Al tempo stesso troppe volte non siamo stati in grado di difendere adeguatamente gli
interessi del nostro paese e del nostro sistema produttivo a livello europeo. Anche quando
erano assolutamente coerenti con obiettivi ambientali più avanzati. È il caso ad esempio dei
limiti attualmente previsti per le emissioni delle autovetture. La recente posizione presa dalle associazioni industriali europee che assume pienamente gli obiettivi di riduzione dei gas
di serra ma propone strumentazioni più flessibili è positiva e va presa in seria considerazione
dalle istituzioni europee per valutarne la reale efficacia.
Ripensare un modello energetico altamente costoso
e
Lo scenario energetico italiano presenta, oltre agli aspetti problematici comuni a gran parte
dei paesi industrializzati, anche tratti peculiari e specifiche criticità, a cominciare da un
trend dei consumi in forte aumento. Nei cinque anni dal 2000 al 2005, secondo quanto
rileva l’ISTAT, i consumi pro-capite di energia elettrica sono aumentati del 5,5% e quelli di
gas dell’8,9%. Incrementi significativi, resi tanto più preoccupanti dal fatto che negli ultimi
dieci-quindici anni il dato italiano dell’intensità energetica (rapporto tra consumi energetici
e valore del PIL) è rimasto pressoché stabile, a fronte di sensibili miglioramenti registrati in
quasi tutti gli altri paesi europei. Oggi, l’efficienza nell’utilizzo dell’energia rappresenta probabilmente la più significativa declinazione della strategia di sviluppo del nostro paese nel
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3.
4
e
breve termine. Su questo fronte esistono già norme che hanno dimostrato la loro efficacia,
quali l’incentivazione del 55% per gli interventi di efficienza energetica e lo strumento dei
“certificati bianchi”. Tali strumenti vanno affiancati da un lato da interventi che stimolino la
creazione e lo sviluppo di nuove imprese di produzione, commercializzazione e istallazione
della componentistica per l’efficienza energetica; dall’altro, da misure che facilitino l’adozione di tali prodotti innovativi da parte dei cittadini.
Un altro terreno su cui negli ultimi anni l’Italia ha visto allargarsi il proprio divario da molti
paesi europei è lo sviluppo delle energie rinnovabili e in particolare del solare. Malgrado lo
“zoccolo duro” del vecchio idroelettrico e della geotermia, oggi in Italia il contributo delle
rinnovabili alla produzione energetica primaria è di poco superiore al 5%, e sia nell’eolico,
che soprattutto nel solare termico e nel fotovoltaico , siamo stati largamente distanziati da
paesi come la Germania e la Spagna.
D’altronde il black-out del settembre 2003 e le due emergenze gas del 2005 e del 2006 hanno
portato allo scoperto i ritardi, le contraddizioni, le mancate scelte che hanno segnato troppo a lungo la politica energetica italiana. Dal confronto con i paesi industrializzati emerge
l’anomalia italiana: siamo il paese occidentale che utilizza più gas, ma l’Italia è ormai povera
di gas. I primi giacimenti sono andati esaurendosi e le scoperte più recenti non sono
state sufficienti a bloccare il continuo declino della produzione interna: nel 1996 si
estraevano ancora venti miliardi di metri cubi, nel 2006 soltanto 10,9 milioni, che
consentono di coprire solo il 12,5% dei consumi interni, contro il 40% di dieci
anni prima. A peggiorare la situazione, c’è la forte rigidità del nostro sistema
di approvvigionamento: gran parte del gas che importiamo arriva da due soli
paesi, Russia e Algeria, e la mancanza di rigassificatori attribuisce ai nostri fornitori un potere contrattuale smisurato.
Come conseguenza dell’attuale situazione, l’Italia si trova ad avere:
• alti costi dell’energia: il sistema tariffario italiano è caratterizzato da molti oneri spesso
impropri e da prezzi inferiori alla media europea per alcune utenze domestiche, ma superiori
per le utenze industriali. I costi di energia elettrica per la nostra piccola-media industria nelle diverse classi di consumo da 50 MWh a 2 GWh (fascia che copre il 90% della piccola-media
industria italiana), al lordo delle imposte sono più elevati della media europea del 20-46%.
• un modello energetico ad elevato impatto sull’ambiente e sul clima: con la firma del protocollo di Kyoto l’Italia si è impegnata a ridurre le emissioni di anidride carbonica del 6,5%
entro il 2012 rispetto ai livelli del 1990. Finora non solo non ci siamo avvicinati all’obiettivo, ma ce ne siamo allontanati: al 2006 le nostre emissioni erano cresciute di circa il 10%
rispetto al 1990. Il ritardo del nostro paese rispetto agli obiettivi di Kyoto è anche un costo
economico: se non si lavora da subito per rimediare a questo ritardo, nel 2012 ci troveremo
a dover pagare una multa di circa 7 miliardi di euro.
Avviare il processo di modernizzazione del sistema energetico
Questa condizione di fragilità, di inefficienza, di arretratezza del nostro sistema energetico,
non è più sostenibile. Quali allora le azioni più urgenti e più utili per cominciare ad uscirne?
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È necessario avviare uno sforzo coordinato e straordinario di modernizzazione e innovazione
dell’intero sistema energetico: investendo in ricerca e sviluppo, mobilitando risorse sia pubbliche che private, incentivando lo sviluppo delle energie rinnovabili, promuovendo e sostenendo programmi di miglioramento dell’efficienza energetica, sia dal lato della produzione
che da quello dei consumi.
Efficienza e rinnovabili: pilastri della strategia di medio periodo
Nel breve-medio periodo (5 anni) occorre mettere in atto tutte le azioni utili a prevenire, da
un lato, situazioni di potenziale emergenza energetica, e dall’altro a riorganizzare l’offerta
a prezzi più concorrenziali per la nostra industria e per gli usi domestici. In tempi ragionevolmente brevi, ciò può essere ottenuto soltanto mediante un riequilibrio del mix energetico
nazionale, cercando di limitare l’uso delle fonti ad alta emissione di anidride carbonica e di
gas-serra in generale, e uno sforzo per contenere gli sprechi ed aumentare l’efficienza dei
sistemi di produzione.
Queste le azioni più importanti ed urgenti per rendere più moderno, efficiente, “pulito” il
sistema energetico nazionale:
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• incentivare e supportare le strategie di uso razionale dell’energia e di risparmio
energetico, che possono condurre nel breve periodo a consistenti risparmi (sino a
diversi punti percentuali del fabbisogno).
• promuovere e incrementare la produzione energetica da fonte rinnovabile, in
modo particolare nei settori dell’eolico, del solare, delle biomasse e dei biocombustibili “a filiera corta”, del biogas, e in generale nella microgenerazione, anche
semplificando e uniformando gli attuali sistemi autorizzatori, la cui ridondanza e opacità spesso agisce da freno per potenziali investimenti;
• aggiornare il sistema complessivo della distribuzione, adeguandolo a una situazione nuova
in cui, per lo sviluppo delle fonti rinnovabili e della microgenerazione, sempre di più chi
consuma energia potrà anche autoprodurla;
e
• nel settore del gas, che rimarrà a lungo centrale nel nostro sistema energetico, promuovere
una diversificazione dei fornitori, potenziare le infrastrutture di rigassificazione, garantire
un’effettiva terzietà e imparzialità di chi gestisce la rete di distribuzione nei confronti dei
diversi operatori che, in un auspicabile regime di concorrenza, competono nel mercato della
materia prima. Quest’ultimo obiettivo, fatto proprio di recente dal Senato che ha approvato
all’unanimità una mozione in tal senso proposta dal Partito Democratico, è molto importante non solo per garantire che non insorgano comportamenti lesivi del diritto di accesso, a
parità di condizioni, all’infrastruttura in monopolio naturale, quanto anche per evitare che
comportamenti “omissivi” - quali quelli di non favorire gli investimenti sulla rete - ben difficilmente verificabili, finiscano comunque per limitare la concorrenza, che per consolidarsi
ha invece bisogno di infrastrutture di distribuzione caratterizzate da capacità produttiva in
eccesso. Tra i settori in cui è più urgente intervenire c’è quello dei trasporti, che incidono
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in maniera determinante sulle emissioni di CO², in cui è necessario dare priorità al trasporto
pubblico delle aree urbane e al trasporto su ferro e al cabotaggio per le merci, con evidenti
benefici anche dal punto di vista della salute, dell’ambiente, della sicurezza.
Diversificare le fonti: una sfida a lunga gittata
e
In una prospettiva di medio-lungo termine (5-10 anni e oltre) occorre, invece, ridefinire in
maniera sostanziale la struttura delle fonti di approvvigionamento energetico. In questo
contesto vanno anche considerati i progetti di cattura dell’anidride carbonica per la produzione di energia elettrica da carbone e il “nuovo nucleare”, quello di quarta generazione, che
dovrà superare i problemi di sicurezza e di smaltimento delle scorie irrisolti dalla tecnologia
attualmente a disposizione.
Un’operazione credibilità per il futuro nucleare
3.
4
Il Partito Democratico affronta l’opzione del futuro del nucleare con un approccio non ideologico.
Attualmente operano nel modo circa 440 reattori nucleari, per una potenza pari a circa 370
GWe; la quota del nucleare sulla produzione elettrica mondiale è del 15,2%, mentre in
Europa è del 30,2%: percentuali rimaste pressoché costanti nell’ultimo decennio, che
secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica sono destinate a ridursi
ulteriormente.
Attualmente nel mondo sono in costruzione 30 reattori nucleari e 90 sono in
via di progettazione, gli uni e gli altri concentrati in Asia e nell’Europa dell’est.
Sul punto le strategie dei grandi paesi europei sono variabili: si va dalla Francia
– che continua a puntare sul nucleare anche per favorire la sua industria del settore – alla Spagna e alla Germania, che sono orientate a non sostituire le loro centrali
giunte a fine vita, alla Gran Bretagna, dove si progetta un progressivo ricambio del parco.
La quasi totalità degli impianti oggi in funzione è della cosiddetta seconda generazione e
raffreddamento ad acqua. Si tratta di vari concetti di reattore (PWR, BWR, CANDU, ecc.),
costruiti tra gli anni ’70 e ’80. Centrali di terza generazione sono già operative in Giappone,
in costruzione in Francia e in Finlandia, in progetto negli Stati Uniti e in Cina. Miglioramenti
di questa generazione di reattori sono in fase di studio (la cosiddetta generazione III+), e
saranno disponibili presumibilmente a partire dal 2010-2015.
I limiti più evidenti dei reattori di terza generazione, oltre alla sicurezza, sono ancora quelli
della produzione delle scorie e dei rischi di proliferazione, mentre gli impianti di quarta
generazione, potranno affrontare questioni irrisolte e minimizzare la produzione di scorie a
più lunga durata.
In questo quadro, a livello internazionale sono state lanciate negli ultimi anni iniziative
a supporto dello sviluppo di reattori di quarta generazione fra cui si ricorda, di particolare
rilevanza, l’iniziativa Generation IV, appunto, lanciata nel 2000 dall’US Department of Energy
(DOE), l’International Project on Innovative Reactors and Fuel Cycles (INPRO), il Global Nuclear Energy Programme (GNEP) e la Sustainable Nuclear Energy Technology Platform. L’Italia
ha firmato i protocolli GNEP con il governo di centrosinistra uscente.
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Quaderni PD.indb 309
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Per tutto questo, va sottolineato il carattere strumentale dell’annunciata intenzione del governo di centrodestra di “ritornare al nucleare”, avviando da subito la realizzazione di 5-10
centrali: un proposito che in modo del tutto ingiustificato riduce la questione energetica,
nelle sue implicazioni sia economiche che ambientali, all’opzione “nucleare sì o no”, e dà
per risolti i problemi, invece del tutto aperti, legati all’impatto ambientale, alla sicurezza,
ai costi di tale scelta. È un proposito che presentando l’opzione nucleare come la panacea
per i problemi energetici dell’Italia, con tutta evidenza rimuove la necessità di vagliare altre
scelte di vera innovazione in campo energetico. È utile, e an