crazy for football - Fosforo – ufficio stampa

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crazy for football - Fosforo – ufficio stampa
presenta
CRAZY FOR FOOTBALL
Un documentario di
VOLFANGO DE BIASI e FRANCESCO TRENTO
regia di
VOLFANGO DE BIASI
Le riprese hanno avuto inizio il 12 febbraio
per la durata di due settimane
e si svolgeranno tra Roma e Osaka in Giappone
Dodici pazienti psichiatrici,
Uno psichiatra come direttore sportivo,
Un pugile ex campione del mondo come preparatore atletico
Sono i protagonisti di “Crazy for football”,
il nuovo documentario "pop" di Volfango De Biasi e Francesco Trento sulla Terapia col pallone, in cui le
storie dei ragazzi, la lotta contro l’emarginazione sociale e il lavoro degli psichiatri, verranno raccontati
attraverso il tentativo della squadra italiana di vincere la coppa del mondo di calcio contro i temutissimi
rivali giapponesi.
Perché mentre il mondo si ammala di calcio,
da qualche parte c’è anche chi di calcio guarisce.
"Ho scelto di fare questo film perché per me rappresenta un impegno umano, civile e personale. Desidero
affrontare insieme ai protagonisti, proprio come una squadra e con leggerezza, un tema che reputo
importante: l'idea che il calcio possa guarire e a volte persino salavare la vita, restituire la speranza e la
voglia di sognare."
Volfango De Biasi
"Vedremo accadere miracoli: persone che hanno la fobia del contatto
con gli altri che si sciolgono nell’abbraccio dei compagni”.
Santo Rullo
Presidente dell'Associazione Italiana di Psichiatria Sociale
Il calcio come terapia è un’idea tutta italiana che sta trasformando la psichiatria mondiale. L’idea
è di un piccolo gruppo di medici innovatori, che hanno iniziato a sperimentare più di 20 anni fa,
trattati con sussiego dai loro colleghi più tradizionalisti.
IL DOCUMENTARIO
Pionieri nel lanciare l'idea del calcio come terapia, gli psichiatri italiani devono ora, in tempi brevi,
creare una Nazionale di calcio. Tutti i pazienti psichiatrici potranno partecipare ai provini, che si
terranno nello storico campo della Petriana di Roma, e vincere un viaggio aereo per Osaka.
Le riprese del film inizieranno proprio il 12 febbraio, giorno in cui, dai dipartimenti di salute
mentale di tutta Italia, arriveranno a Roma decine di ragazzi affetti da disagio psichico. Tutti con un
sogno: far parte della nazionale italiana che parteciperà alla Coppa del Mondo in Giappone,
sotto forma di un triangolare tra Perù, Giappone e Italia.
I provini eleggeranno 16-18 candidati alla nazionale, di cui almeno due donne.
A selezionarli e guidarli, troveranno un irresistibile allenatore romano dalla battuta facile: Enrico
Zanchini, ex calciatore di calcio a 5 in serie A1 da sempre impegnato nel sociale. E a prepararli
atleticamente, un campione del mondo: il pugile Vincenzo Cantatore.
Chi indosserà la maglia azzurra verrà poi deciso durante il successivo raduno di una settimana,
durante il quale i nostri protagonisti, sempre seguiti da un’equipe di psichiatri e operatori, avranno
modo di conoscersi tra loro, fraternizzare, superare la diffidenza iniziale. Insomma: diventare una
squadra. Come dice Vincenzo Cantatore, “Sarà una specie di Boot Camp, ma divertente. Li
faremo sudare tantissimo, giocando e ridendo ma anche prendendo tutto molto seriamente, perché
li tratteremo come veri giocatori. Pian piano sceglieremo chi portare a Osaka. Ognuno avrà una
chance, poi ovviamente decideremo anche assieme allo psichiatra”.
Tra il campo e la struttura residenziale di Villa Letizia, seguiremo la preparazione atletica con
l’esigente e inflessibile pugile. E poi gli allenamenti tattici con Enrico Zanchini. Conosceremo
meglio i ragazzi e racconteremo le loro storie e i loro sogni.
Terminata la fase di allenamento, una volta scelti i dodici, seguiremo la trasferta in Giappone:
l’impatto, per molti dei ragazzi, con il primo volo in aereo della loro vita, le paure, le aspettative. E
poi il trasferimento nelle prestigiose strutture sportive del Cerezo Osaka, i primi allenamenti in uno
dei più bei palazzetti dello sport del mondo, la lotta per portare a casa un trofeo. Lì avremo modo di
conoscere le altre squadre, soprattutto il temutissimo Giappone, che si prepara da due anni sotto la
guida di un tecnico proveniente dalla serie A ed è la squadra favorita per il titolo.
IL PROGETTO
Il dottor Santo Rullo, Presidente dell’Associazione Italiana di Psichiatria Sociale, con molti suoi
colleghi, ha cercato dei modi di portare avanti la lotta iniziata da Basaglia: quella per
il reinserimento sociale dei pazienti. E il calcio si è rivelato uno strumento efficacissimo:
“L’incontro sul campo di gioco garantisce un riavvicinamento tra il paziente e il suo quartiere,
abbattendo le differenze tra i ‘sani’ e i ‘malati’. E, al contempo, il campo di calcio diventa il luogo
in cui il paziente compie il primo passo nel ricominciare a vivere con gli altri. Persone che in
qualche modo hanno smesso di rispettare le regole fuori dal campo, riescono però con facilità a
seguire ed accettare le regole del calcio, e questo apre spesso la strada a un completo recupero
sociale."
I primi risultati, basati sull’esperienza di una trentina di squadre, spesso allenate direttamente dai
loro medici e gestite dalle varie Asl, erano assai incoraggianti: la percentuale di ricoveri,
soprattutto, si abbassava drasticamente.
Affascinati dall’esperimento del dottor Rullo e dei suoi colleghi, nel 2004 Volfango De Biasi e
Francesco Trento realizzarono “Matti per il calcio”, un piccolo documentario autoprodotto poi
venduto alla televisione italiana e a varie televisioni europee.
Il grande successo del film ha portato gli psichiatri di tutto il mondo a utilizzarlo per portare avanti
la ricerca sull’importanza dello sport nella riabilitazione psichiatrica.
È accaduto così un piccolo miracolo: dalle 30-40 squadre esistenti dieci anni fa, si è passati oggi a
migliaia e migliaia di squadre di pazienti psichiatrici nei cinque continenti, in campionati che molto
spesso si chiamano proprio “Matti per il calcio” e il Giappone è oggi all’avanguardia con 600
squadre, quasi tutte finanziate da società sportive di serie A.
Come spiega Santo Rullo: “Quasi quarant’anni fa abbiamo chiuso i manicomi, nei quali l’aspetto
sanitario era molto relativo, e l’aspetto di custodia, l’aspetto di carcerazione, erano molto
maggiori. Oggi la malattia mentale ha ripreso la sua dignità di malattia, ma rimane aperta una
battaglia fondamentale: reinserire le persone con disagio mentale in un tessuto sociale che tende
ad isolarle e stigmatizzarle”.
Ufficio Stampa FOSFORO
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