Innovazioni e contaminazioni nel fumetto: Blame!

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Innovazioni e contaminazioni nel fumetto: Blame!
OSVALDO DUILIO ROSSI
Innovazioni e contaminazioni nel fumetto pop: Blame!
in Lingua Italiana d’Oggi, n. 1, Roma, Bulzoni, 2004, pp. 119-137
1. GENERALITÀ.
Il sol levante, ormai già da molti anni, fa la parte del leone nel panorama mondiale delle storie
illustrate e si è imposto nel ruolo di vate della cultura del disegno per le innovazioni grafiche,
stilistiche e narrative che apporta costantemente. Ne è un esempio il fatto che su MTV, l’emittente
televisiva dal taglio più americano e commerciale che ci sia in Italia, vengono programmati
esclusivamente cartoni animati giapponesi con risultati di ascolto notevoli, tanto che, nella maggior
parte dei casi, solo dopo che si è registrato il successo degli anime1 vengono pubblicati i relativi
manga2.
Le più recenti invenzioni della produzione fumettistica nipponica sono imperniate sulla
contaminazione tra arti visive, generi letterari, cinematografici e musicali; e soprattutto i nuovi
prodotti sono elaborati sulla commistione tra elementi appartenenti, oltre che a culture diverse,
anche a momenti storici lontani fra loro.
Questo comportamento denota una virata del taglio dei prodotti giapponesi più popolari nella
direzione del gusto occidentale, tramite il recupero e l’appropriazione della cultura europea del XX
secolo, di quella americana della seconda metà del ’900 e più diffusamente delle forme artistiche
postmoderne (con i riferimenti alla fantascienza più radicale, ma anche alla irriverenza beat e ad
espedienti grafici post-surrealisti e post-espressionisti); ma si nota, contemporaneamente, anche una
inclinazione del gusto del pubblico americano verso le produzioni giapponesi (in Europa gli autori
orientali hanno trovato un consolidato pubblico già dai primi anni ’80), e questo è dovuto
sicuramente all’uso della contaminazione e del remix accertabile all’interno delle creazioni più
recenti, che, paradossalmente, risultano essere innovative proprio perché ammiccanti ai costumi e ai
registri espressivi del passato.
Il fenomeno riguarda principalmente quegli autori che scrivono soggetti fantascientifici:
rielabora[ndo] a fondo materiali provenienti da altri media, secondo una procedura tipicamente
postmoderna. […] [O]ggi che il futuro sembra scomparire in un’atmosfera da “fine della storia”, è
normale che il passato diventi l’ambientazione preferita anche dalla fantascienza 3.
Riconducibili a questo momento sono principalmente due clamorosi esempi, Excel saga di
Koshi Rikudo e Cowboy bebop di Yutaka Nanten, accomunati da un taglio estremamente americano
che prima era del tutto assente se non addirittura inimmaginabile nei prodotti orientali.
Cowboy bebop è il soggetto più significativo nel campo della collezione e del riuso di elementi
non originali. Si tratta infatti di una breve saga cyberpunk ambientata nello spazio, diretta da una
solida regia manierista ammiccante al videoclip, formalmente influenzata dal noir e dal western (più
americano di così si muore), con inserzioni kung-fu e commentata da una fondamentale colonna
sonora a base di sassofoni, armoniche e chitarre glissate, in bilico tra il blues, il folk e il jazz. Vi si
rintraccia una intelligente serie di prelievi dai vari modelli della cultura popolare occidentale
(dall’aspetto fisico del pilota Jet Black, che è un evidente cameo di Ratz, il barista nel Neuromante
di William Gibson, agli atteggiamenti scorbutici e ombrosi di tutti i protagonisti, ricalcati sui
classici modelli dei burberi solitari come Philip Marlowe 4, fino ai duelli tra astronavi su imitazione
degli inseguimenti in macchina di film e telefilm degli anni ’70, per es. Driver di Walter Hill),
anche se non mancano le radici tipicamente nipponiche dell’euforia samurai per la battaglia,
dell’onore e del consueto tema della morte.
Primo segnale di questo fenomeno di miscelazione nell’opera di Nanten è il titolo, ottenuto
tramite la fusione di due elementi della cultura americana: il termine cowboy, che viene usato come
riferimento all’universo del selvaggio west (tradotto nel selvaggio deserto dello spazio aperto) e
all’universo del cyberpunk (dove gli hackers vengono definiti più comunemente ‘cowboy del
cyberspazio’), e il termine bebop (quella branca della musica jazz fiorita negli anni ’40 per
iniziativa di artisti quali Dizzy Gillespie e Charlie Parker 5), che suggerisce il ritmo narrativo
dell’opera.
Sono caratteristiche, poi, le personalità silenziose, introspettive e disincantate dei protagonisti
che, proiettati in un futuro psichedelico, risultano attempati e rétro, quasi alienati o inadeguati,
come alienato era chi usciva dalla “scuola dei duri” di Raymond Chandler, Mickey Spillane e
Dashiell Hammett. È infatti per questa intersezione di atmosfere romantiche (la musica jazz, le
sigarette spiegazzate, la solitudine, un futuro più meccanico che elettronico) con ambienti ad alta
tecnologia asettica che Cowboy bebop risulta essere uno dei più solidi prodotti di rottura dell’ultimo
periodo del fumetto e dell’animazione.
Excel saga è invece un guazzabuglio di inserzioni slapstick6 in un intreccio di sentimentalismo
ed alta tecnologia montato narrativamente secondo la tecnica dadaista del collage. Si avverte
immediatamente l’effetto di straniamento trasmesso dall’incoerenza narrativa e formale dei singoli
episodi messi a confronto: infatti un particolare episodio può consistere in un raffinato esempio di
fantascienza, mentre il seguente può sembrare un set cinematografico a basso costo (con tanto di
fondali finti incorporati nelle inquadrature delle vignette). Qui le influenze di un vecchio gusto
occidentale di narrare, intrecciate alle abitudini della comicità nipponica, si individuano
evidentemente nell’uso della caricatura e della provocazione irriverente (la comicità astratta e
trascendentale dei fratelli Marx intersecata con quella materiale e buffonesca del primo Takeshi
Kitano) che si risolve, come nel caso di Kitano, in:
[u]na sfida costante ai limiti del buon gusto, ma con una follia che non può non scatenare una risata
liberatoria. Tra surrealismo e impassibilità, con una libertà di immaginazione che fa impallidire ciò che
in Occidente passa di solito per «demenziale»7.
Altri titoli elaborati secondo lo stesso schema e sempre dello stesso taglio sono Eat Man (il
manga di Akihito Yoshitomi e l’anime di Koichi Mashimo), ispirato ai capisaldi della filmografia
cyberpunk di Shinya Tsukamoto e alla letteratura di James Graham Ballard, e Trigun (manga e
anime di Yasuhiro Nightow), ammiccante sia alle epopee western che alla comicità caricaturale e
grottesca.
Il successo riscosso da queste collane è attribuibile al ruolo che gli autori assegnano al lettore, al
quale viene chiesto di confrontare gli elementi significativi dell’opera con quelli presenti nel suo
bagaglio culturale. Il remix sfida il lettore a confrontare l’imitazione di un modello con la sua
conoscenza del modello originale, rendendolo parte quanto mai attiva nell’interpretazione
dell’opera. Così facendo, peraltro, il fumetto giapponese dimostra di avere tutte le carte in regola
per il passaggio dal mondo dell’intrattenimento a quello dell’arte ufficiale; non foss’altro per il fatto
che risulta necessaria almeno una minima conoscenza degli spazi della cultura contemporanea per
poter decodificare il linguaggio e le immagini di taluni prodotti. In particolare, come vedremo, il
linguaggio e le immagini di Blame!
2. BLAME!
La riforma più incisiva del linguaggio fumettistico contemporaneo è sicuramente quella operata
dal giapponese Tsutomu Nihei che, con il manga cyberpunk intitolato Blame!8 (da intendersi nel
significato ambivalente di blam, come onomatopea riproducente il colpo di pistola, e del termine
inglese blame, ‘biasimo, colpa’), sta riconfigurando profondamente il rapporto tra lettore e albo in
lettura tramite un linguaggio che, mai come in questo caso, “presuppone una rete […] complessa di
connessioni e di riferimenti spesso intermediali, che il lettore deve interpretare e decodificare” 9; rete
all’interno della quale si individuano elementi propri del mondo dell’arte surrealista e astratta,
dell’architettura, del cinema e della letteratura fantascientifica.
La vicenda è narrata con un ritmo caratterizzato da repentine impennate di azione e da
frastornanti sequenze di combattimento, rallentate però dalla complessità dei movimenti e delle
situazioni e da una regia quasi filmica che insiste su dettagli e inquadrature di particolari, spezzando
e rallentando la tensione narrativa e spostando continuamente l’attenzione dal generale allo
specifico.
Questo
fenomeno
di
distrazione
funziona
paradossalmente
da
catalizzatore
dell’attenzione.
Anche la diffusa mancanza di dialoghi e didascalie contribuisce, altrettanto paradossalmente, a
rallentare lo sviluppo degli eventi: l’omissione di dialoghi e indicazioni, riducendo i tempi di
lettura, dovrebbe rendere più scorrevole l’avanzamento del testo10, ma questo in realtà non accade.
Durante le frequenti esplorazioni del protagonista in labirinti architettonici (dove si avverte una sia
pur minima influenza del mondo dei giochi e dei videogiochi di ruolo), lunghe serie di tavole
illustrative prive di elementi verbali focalizzano l’attenzione del lettore sugli ambienti e sulla
disposizione dei luoghi aumentandone, per l’appunto, i tempi di lettura. Questo effetto è reso
mediante una regia documentaristica che insiste sui campi lunghi e generici che vengono
solitamente sfruttati per collegare momenti distanti fra loro. Non diversamente da altri casi:
come in un buon film, il salto spazio-temporale ci viene sottolineato dal fatto che viene scelta
un’inquadratura generale […] per far sì che lo spettatore si renda bene conto della nuova situazione 11.
Figura 1, Nihei (num. 2, giugno 2000: 4, 5).
In Blame! questa regola viene però scardinata e le inquadrature generali, invece di essere
presentate per collegare due o più situazioni differenti, vengono giustapposte, col risultato di una
rappresentazione sintetica di ampi lassi temporali: in poche tavole, dalla variazione degli ambienti,
si può desumere che siano passate ore o giorni (fig. 1). In questo modo il flusso del tempo interno
alla narrazione rallenta proporzionalmente al rallentare del flusso temporale esterno (quello proprio
del lettore). Più il lettore cerca di ricostruire la mappa cronologica della sequenza, più il tempo di
lettura si allunga, più il tempo narrativo sembra allungarsi a sua volta. Siamo così di fronte, invece
che a un dono unilaterale, a un vero e proprio scambio tra medium e lettore.
Nel codice verbale di Blame! si nota immediatamente la rarefazione del dialogo, che se non è
assente è minimizzato all’estremo. In questo si riscontra un’affinità con l’opera di Jiro Taniguchi
che, nel suo fumetto più significativo (la serie L’uomo che cammina), aveva già reso in forma
stringata dialoghi e didascalie funzionalmente alla necessità di comunicare sensazioni di serenità e
rilassatezza, affidandosi al meccanismo della conoscenza intuitiva che è alla base della tradizione
zen. Anche Nihei sviluppa il proprio manga confidando nelle capacità intuitive del lettore, e con lo
strumento dei silenzi (esaltato al punto di contare sole 96 battute in un albo di 210 tavole 12) genera
un mondo contorto e criptico che costringe il lettore ad elaborare pochi e confusi indizi suggeriti da
dialoghi sporadici e vaghi, inducendolo a ricollegare mentalmente elementi sparsi all’interno della
collana. Nihei ricorre nel fumetto al meccanismo secondo il quale McLuhan aveva immaginato che
funzionasse la televisione, che condannerebbe chi la guarda:
a riconfigurare i pochi punti ritenuti in una specie di opera astratta. Egli partecipa di colpo alla
creazione d’una realtà […] presentata a puntini: […] è nella posizione d’un individuo al quale si
proponga di proiettare i propri fantasmi su delle macchie d’inchiostro […]. L[e] immagin[i] […] ci
chied[ono] in ogni istante di chiudere gli spazi del mosaico 13.
Il lettore è così costretto ad elaborare le informazioni associando eventi soltanto accennati e
sfruttando eventualmente l’ausilio di dettagli grafici inseriti in immagini complesse che, come
sostiene Barbieri riferendosi al genere del fumetto espressionista:
sono difficili, perché […] ci vogliono trasmettere moltissime cose; perché […] un’immagine che
costringe a una lettura ci costringe anche a vedere al suo interno molti particolari che non vedremmo
con una lettura più veloce14.
È necessario essere quindi molto attenti, soffermarsi sui disegni, decifrarli e colmare
autonomamente le lacune e le omissioni dell’autore per ottenere una chiara geografia dei luoghi e
degli eventi, secondo il procedimento illustrato da Baudrillard nell’analisi del linguaggio poetico e
del lapsus freudiano:
un certo tipo di disordine, di rottura, di negazione dell’ordine usuale e prevedibile del linguaggio
accrescono la quantità d’informazione […]. Si tratta appunto d’un contenuto latente, rimosso, che
attende di sorgere e “approfitta” delle fantasie, degli interstizi, dei punti deboli del discorso logico per
far eruzione15.
Figura 2, Nihei (num. 2, giugno 2000: 152, 153).
I protratti silenzi utilizzati da Nihei servono a trasmettere gli effetti di straniamento e di
alienazione percepibili a contatto con forme di vita artificiale in un mondo ostile e desolato (fig. 2),
all’interno del quale non si incontrano entità diverse da sé stessi con le quali identificarsi.
Questo sostanziale mutismo, funzionale al trasferimento del lettore nel medium, opera in modo
nuovo rispetto al passato:
quando nasce l’Uomo Ragno, […] la sua carriera di eroe è sempre messa in forse dal destino dei suoi
studi, delle sue finanze o dall’andamento del suo cuore. Per non parlare dell’Incredibile Hulk, […] la
cui personalità buona non sopporta l’idea di trasformarsi […] nel mostro rabbioso; da cui frustrazioni,
conflitti di coscienza e così via. Insomma, il successo dei […] personaggi fu in buona parte dovuto
proprio al fatto di avere un’interiorità. Ma per dimostrare di averla essi dovevano parlare […]. [T]utto,
o quasi, viene preceduto, accompagnato e seguito da parole di commento, di sfida e di personale
riflessione16.
In Blame! questo non accade. In Blame! nessuno esprime sentimenti di odio, di paura o di
frustrazione, perché nessuno possiede quella umana interiorità alla quale fa riferimento Barbieri.
Nell’ambiente disegnato da Nihei non vi sono esseri umani non contaminati dal virus della
connessione alle reti informatiche, o almeno non vi è alcun personaggio manifestamente umano. La
missione del protagonista è incentrata proprio sul ritrovamento di qualcuno di essi: se egli insiste
nella sua odissea è perché non ne ha ancora incontrati.
Le sensazioni di alienazione e di straniamento si traducono anche nei rari dialoghi per effetto
della scelta di un registro linguistico di impianto asetticamente tecnico-scientifico. Si vedano per es.
le frasi puramente enunciative, assolutamente prive di enfasi ed espressività, contenute nei due
riquadri seguenti:
Figura 3, Nihei (num. 6, febbraio 2002: 185).
Chi sta parlando non esprime un sentimento di paura o di gioia per l’incontro che potrebbe
avvenire, ma si limita ad esporre la probabilità che accada qualcosa.
Nei dialoghi è caratteristica inoltre, per disorientare il lettore, l’assenza di quei “segnali
discorsivi che costituiscono uno dei fenomeni più importanti fra le strategie di simulazione del
parlato”17 come le interiezioni (che comunicano lo stato emotivo del personaggio), le imprecazioni,
i segnali di presa di turno, di richiesta di attenzione e via dicendo; e anche il turpiloquio è sfruttato
minimamente. Il lessico è invece infarcito di tecnicismi alienanti, a discapito delle espressioni
idiomatiche e dei colloquialismi, generici o orientati verso il gergo, che potrebbero invece simulare
il parlato. Mancano, ancora, gli appelli alle divinità e a qualsivoglia entità ultraterrena, il che
suggerisce anche le più disparate ipotesi relative al rapporto intimo dei personaggi con il mondo
extraumano. Infine, per consolidare la natura non-umana dei personaggi e per rendere ben manifesta
la loro capacità dialettica categorica e schematica (simile a quella di una macchina), è per esempio
assente nei discorsi l’uso di tempi verbali con valore epistemico o con un valore affine.
In Blame! è frequente il ricorso alla lingua inglese: lo stesso protagonista si chiama Killy, che è
un intraducibile diminutivo di assassino, e anche le varie organizzazioni intorno alle quali ruota la
storia hanno nomi anglofoni (per es. Safeguard e Net Sphere). La presenza dell’inglese dipende
certamente da una facile associazione con le analoghe scelte compiute in materia dalla fantascienza
cyberpunk.
Il ricorso al lessico della fantascienza più radicale, oltreché a quello informatico, costituisce
però assai spesso un’insidia per i traduttori. Si nota immediatamente un grossolano errore
nell’espressione esseri viventi fatti di silicone18 invece che esseri di silicio, come farebbero supporre
l’ambientazione del manga ed il riassunto della relativa versione americana 19, in cui tali esseri sono
definiti Silicon Lifes (l’errore è stato però corretto nei volumi successivi). È anche evidente l’errato
continuo riferimento ad una Rete dei Geni Terminali che è invece un Net Terminal Gene, ossia un
‘gene per collegarsi alla rete’ (lett. ‘gene terminale di rete’) – errore persistente all’interno di tutta la
collana pubblicata fino ad oggi.
Altra nota dolente della versione italiana è la diffusa trasformazione dei nomi di alcuni
personaggi e di alcuni luoghi ed elementi affini. La Net Sphere (‘sfera di rete’) viene ribattezzata
Safenet (‘rete di sicurezza’) probabilmente per omologarla alle Safeguards (‘guardie di sicurezza’).
Un personaggio di nome Mensab diventa Mancyborg (lett. ‘Uomocibernetico’) per accentuare la
natura fantascientifica dell’ambiente o per rendere più trasparente un nome altrimenti poco
comunicativo. Il nome Clawsa si trasforma in Cross senza tener presente il valore che claw (lett.
‘unghia’) poteva avere nel rappresentare questo personaggio, armato con una particolare spada. È
incomprensibile, ancora, la trasformazione del nome Sanakan in Sakan. Più comprensibile, invece,
la scelta di sostituire Toha Heavy Industries con East Asia Industry (in cui Toha Heavy, poco
familiare a un lettore occidentale, è assai meno efficace di East Asia), se non fosse però per
quell’Industries divenuto Industry che trasforma la natura stessa del soggetto; come accade nel caso
della Cyber-Life Inc., tradotta come Fabbrica delle elettro-vite e così ridotta ad un mero
stabilimento industriale e privata della sua natura corporativa.
Figura 4, Nihei (num. 3, agosto 2000: 63).
Proprio denominazioni come Cyber-Life Inc. testimoniano il riciclo della cultura (e
dell’ossessione) dei loghi e dei marchi. Nihei, marchiando con simboli precisi i soggetti
appartenenti a determinate organizzazioni (cfr., per es., i segni sulle fronti delle Safeguards in fig.
4), non solo li rende insiemi di entità omologate e serializzate, ma ne fa dei simulacri ai quali si
riferisce l’intero universo di Blame! Se ad una prima analisi è evidente l’influenza esercitata dalla
visionarietà del William Burroughs confabulatore e cospiratore 20 e dei narratori cyberpunk di guerre
delle corporazioni multinazionali21, entrambi esempi dell’esaltazione dei loghi e dei marchi a
scapito delle individualità (elemento in perfetta sincronia con l’universo disumano qui
rappresentato), è anche vero che la presenza di loghi e di marchi può ben rinviare ad un principio
secondo il quale “tutta la realtà è assorbita dall’iperrealtà del codice e della simulazione. È un
principio di simulazione quello che ormai ci governa […]: sono i modelli che ci generano” 22.
Questo fattore, nel rapporto tra albo e lettore, interviene e rende quest’ultimo l’unico elemento
indipendente, autonomo e produttore di un pensiero, poiché estraneo al coacervo di organizzazioni e
fazioni rappresentate dai massificanti marchi validi per tutti (i loghi, appunto).
L’intestazione e la conclusione degli episodi vengono contrassegnate come logs23 invece che
come capitoli o paragrafi, così da avere per es. Log.49 in apertura e Log.49@ END24 in chiusura
della quarantanovesima frazione narrativa. Questo, anche grazie all’uso accessorio della
“chiocciola”, è un evidente riferimento al mondo di Internet e dei blog25, e dimostra l’ulteriore
sforzo dell’autore di instaurare un rapporto di interazione con il lettore, nell’ennesimo tentativo di
rendere quest’ultimo parte attiva nel processo di definizione della vicenda.
Il contesto ermetico di Blame!, come si diceva, è esso stesso uno strumento di stimolazione
dell’utente ad utilizzare il proprio pensiero per sforzarsi di penetrare il funzionamento
dell’applicazione/fumetto anziché limitarsi a subirla. Questo perché Nihei fa del manga un vero e
proprio strumento di analisi, costantemente perfezionato: Blame! può essere infatti considerato un
vero e proprio sistema in continuo aggiornamento in cui gli elementi inseriti a posteriori (quelli che
nel campo del software vengono definiti upgrade) sono validi non solo per lo sviluppo delle
vicende attualmente in corso ma anche per gli eventi ad esse precedenti, i quali devono essere
perciò rivisti e riconsiderati alla luce del nuovo volume/software attualmente in lettura/uso.
L’atteggiamento di Nihei è quello di chi presuppone un rapporto dialettico non con un lettore a
lui contemporaneo, ma con un lettore di un futuro posteriore a quello degli eventi narrati; un lettore
che si trovi quindi a confrontarsi con un periodo, più o meno confuso, del quale conosca comunque
qualche elemento, che si deve sforzare di interpretare. Questo sforzo preteso dall’autore segna una
vera rivoluzione del fumetto, che da prodotto di svago diviene vero produttore di pensiero e di
cultura.
La costante attenzione richiesta al lettore pone quest’ultimo nella condizione privilegiata di chi
rappresenta una forma di vita naturale contrapposta a quelle artificiali illustrate dall’autore. Un
dualismo che vede quindi contrapposti un essere umano bisognoso di dare e ricevere emozioni (il
lettore, appunto) e un mondo artificiale che è invece incapace di provarne, di condividerne, di
produrne.
Figura 5, Nihei (num. 4, ottobre 2000: 85).
Figura 6, Nihei (num. 2, giugno 2000: 106).
Figura 7, Nihei (num. 8, gennaio 2003: 118).
L’interazione tra codice iconico e codice verbale denota un ricorso estremamente libero alle più
frequenti regole grammaticali del fumetto 26, così da avere vignette delimitate in parte dalle classiche
linee di demarcazione e in parte dai bordi esterni della pagina (fig. 5), fenomeno che suggerisce una
prosecuzione dell’immagine oltre la tavola (quindi nel territorio del lettore, al di là del fumetto);
balloons irregolari utilizzati anche per riportare le onomatopee, considerate perciò quasi una forma
di linguaggio propria degli oggetti che producono quel preciso suono o rumore (come il tatlack di
fig. 5), come per rimarcarne l’eccessivo valore che viene loro attribuito; segni di punteggiatura
talora caricati di un’autonomia di cui normalmente non godono (per es. i puntini di sospensione
isolati in una nuvoletta); assenza di didascalie (di norma utilizzate per dare indicazioni sulla
collocazione spazio-temporale degli eventi), fatta eccezione per quella accessoria del sopratitolo
dell’opera: Maybe on Earth, maybe in the future27, perfettamente in linea con il principio
antinarrativo che caratterizza questo manga; un lettering (inteso come selezione sia del font che del
balloon) che si configura talvolta (cfr. figg. 6, 7) come esclusivo dell’uno o dell’altro personaggio.
Figura 8, Nihei (num. 2, giugno 2000: 166).
Figura 9, Hans Bellmer, La bambola, 1935-36, Collezione Timothy Baum.
Una contaminazione particolarmente importante da rilevare è quella che coinvolge il design dei
cyborg (fig. 8), modellati sulle fattezze delle bambole modulari assemblate da Hans Bellmer (fig.
9). La consapevolezza dei riferimenti di Nihei alla poetica di Bellmer e la conoscenza della
provocazione intellettuale28 lanciata da quest’ultimo aumentano nel lettore il piacere e la capacità di
esplorare l’universo di Blame!
In Bellmer:
[a]n easily available, unprotesting young girl is subjected to the worst excesses. […] [H]e worked on a
special formal theme based on the architectural qualities of bricks and suggesting wartime cellars
where bodies often lay. […] Bellmer […] managed, as in his dolls, to express the exasperation of
physical passion without ever falling into the traps of narrative or complaisance. […] [T]he tragedy of
death is an integral part of the world of desire […]. [T]he erogenous zones of the body are exhibited in
tumescence […] and extreme fetishists acts are arrested by the convultions of their own excess 29.
Figura 10, Nihei (num. 4, ottobre 2000: 139).
Figura 11, Nihei (num. 4, ottobre 2000: 82).
Figura 12, Nihei (num. 2, giugno 2000: 66).
I “peggiori eccessi” ai quali Nihei sottopone i suoi cyborg sono quelli della tecnologia
impazzita, brutalizzante e deturpante (fig. 10), perfetto equivalente dello sfrenato desiderio erotico
di Bellmer; anche questa tecnologia, come il feticismo bellmeriano, è destinata a soffocare tra le
proprie convulsioni (fig. 11). I corpi di Nihei sono disarticolati, somigliano a manichini (fig. 8) e
vengono trattati come tali, facendo loro assumere posizioni contorte e scomode (fig. 11), quasi
fastidiose per l’osservatore. L’intero universo di Nihei sembra essere in procinto di collassare a
causa della sua espansione incontrollata (le immense strutture architettoniche assemblate dagli
androidi costruttori misurano superfici grandi quanto interi continenti 30), proprio come fuori
controllo è l’esaltazione erotica delle bambole di Bellmer. Anche in Blame!, infine, si avverte la
presenza incombente, e sia pure raramente resa esplicita, della componente sessuale 31 (cfr. le
creature dalle braccia falliche di fig. 12), forse come riflesso di una società consumatrice furtiva
della pornografia.
Anche gli studi architettonici stessi fatti dall’artista tedesco si rintracciano nel disegno di Nihei
che, prima di essere fumettista, è proprio architetto: gli spazi in rovina e sventrati del disegnatore
giapponese alludono a scenari post-bellici e sono abitati da corpi esausti e deturpati.
Figura 13, Maurits Cornelis Escher, 1951, La casa dei gradini.
Un’ulteriore operazione di remixaggio degna di rilievo è quella effettuata da Nihei sul lavoro di
Maurits Cornelis Escher, le cui prospettive e costruzioni impossibili (fig. 13) sono giustificate in
Blame! dalla loro collocazione all’interno di un cyberspazio, un universo virtuale (o metaverso32)
nel quale la presenza di strutture ‘errate’ non è soltanto possibile, ma è anche necessaria e
funzionale.
Figura 14, Nihei (num. 7, luglio 2002: 149).
Il personaggio di fig. 14, se dovesse salire la scala che vi è rappresentata (arrampicata sul
soffitto invece che addossata alla parete, dalla quale, invece che dal pavimento, si sviluppa), non
farebbe altro che interagire con i dati secondo le regole dei metaversi elettronici del cyberpunk.
Questa giustificazione della metafisica e dell’astrattismo attraverso il digitale attribuisce un forte
valore mediatico al recupero delle culture dello scorso secolo, riutilizzandole come moneta di
scambio all’interno del pensiero contemporaneo.
Anche la tendenza espressionista del tratto, individuabile nel forte uso delle ombre e dei neri
dominanti (figg. 5, 10, 14), e l’ampio bestiario che attinge in parte alle aberrazioni di Bellmer (i
manichini-umani di figg. 4, 8, 9), in parte alle visioni fantastiche di Escher (i camaleonti-geometrici
corazzati di fig. 13) e in parte alle leggende sia del medioevo europeo (creature-golem che
ricordano l’homunculus degli alchimisti) che di quello giapponese (le Safeguards armate di
immensi corpi taglienti e contundenti assomigliano agli oni33 armati di clave), contribuiscono a
sottolineare quanto Nihei, come altri suoi contemporanei, ritenga estremamente importante
arricchire di interventi culturali tra i più disparati la sua produzione.
Le innovazioni operate da Nihei sono talmente incisive da aver stimolato la nascita di specifici
siti web e forum34 (curati e aggiornati con dedizione certosina) nei quali gli utenti suggeriscono
sempre nuove chiavi d’interpretazione della vicenda narrata e dell’ambiente disegnato,
confrontandosi continuamente tra loro. In questo fenomeno, rappresentato dalla nascita di
particolari comunità virtuali attente all’opera di Nihei, si nota un’interessante affinità con il
romanzo Pattern recognition (L’accademia dei sogni) di Gibson, nel quale viene descritta una parasocietà multietnica, ossessionata dalle griffe e dalla moda, che in Internet discute circa l’origine ed
il significato di sequenze video ispirate ad un periodo storico imprecisato, ma evidentemente rétro,
pubblicate repentinamente e senza un apparente ordine esplicito.
È a questa ‘identificazione dello schema’ (l’individuazione delle fonti e delle informazioni
omesse) che possiamo riferire le parole di Baudrillard quando dice che “i media moderni esigono
[…] una maggiore partecipazione immediata, una risposta incessante”35.
Nella globalizzazione del contesto (il riferimento ad elementi accomunanti o comuni ad ognuno
quali l’uniformità dell’abbigliamento, la produzione seriale degli oggetti e degli esseri viventi, il
concetto di Rete e di cyberspazio, l’internazionale terminologia inglese e le corporazioni-logo)
Blame! si rivela però un autentico prodotto no-global che oppone alla cultura della massificazione il
suo stesso linguaggio per destabilizzarla.
NOTE.
1. È il termine giapponese col quale si indicano i cartoni animati. In Italia è usato per indicare i
cartoni tratti dalle serie a fumetti degli autori nipponici.
2. Il termine manga sta per ‘immagine in movimento, vignetta’ ed è il corrispettivo del nostro
fumetto. La parola è ormai da quasi un decennio entrata anche nel vocabolario italiano per
distinguere, da quelle occidentali, le opere fumettistiche di origine nipponica, alcune delle quali si
leggono sfogliando le pagine da sinistra verso destra (la costola del volume si trova perciò sulla
destra). Solitamente in tutti i manga editi per i tipi di Star Comics è presente una pagina illustrata
chiarificatrice di questo sistema di lettura.
3. Gadducci/Tavosanis.
4. L’investigatore privato creato dallo scrittore Raymond Chandler e divenuto il simbolo del
genere hard-boiled.
5. «A differenza di quanto accadeva prima, la batteria utilizza i piatti, anziché la grancassa, per la
scansione del tempo. Questa, assieme ai tamburi, serve adesso a produrre […] un’impressione
molto caratterizzante di frantumazione ritmica. […] Il contrabbasso mantiene la vecchia funzione di
sostegno, […] il pianoforte, quando non è in assolo, usa riempire le pause dei solisti con rapidi
accordi. Su questo fondale effervescente, Monk, Gillespie e Parker studiano giri armonici
complicati […] spesso dissonanti, fanno uso di salti d’ottava e di quinta diminuita. Soprattutto
questo intervallo diventa un segno distintivo del nuovo jazz […]. Le frasi brevi e secche dei solisti
[…] suggeriscono il nome del jazz moderno: “bebop”, o più semplicemente “bop”»: Fayenz (1996:
32).
6. Termine inglese (lett. ‘scherzo manesco’) con il quale si definisce una comicità grottesca e
spesso disancorata dal senso ed espressa soltanto attraverso smorfie e atteggiamenti grossolani e
caricaturali. Si è soliti individuarla come un’evoluzione dell’umorismo nonsense che ha reso famosi
gruppi di comici quali i Fratelli Marx ed i Monty Python.
7. Mereghetti (2003: 984).
8. Di cui è uscita finora in lingua italiana una serie di 9 albi, di circa 250 pagine ognuno,
pubblicati a scadenze irregolari tra l’aprile del 2000 e l’ottobre del 2003.
9. Morgana (2003: 166).
10. Cfr. Barbieri (1995: 252).
11. Barbieri (1995: 258).
12. Nihei (gennaio 2003, num. 8).
3. McLuhan (1967: 334).
4. Barbieri (1995: 86-87).
5. Baudrillard (2002: 232, 240).
6. Barbieri (1995: 224).
7. Morgana (2003: 177).
8. Nihei (num. 1, aprile 2000: 202; la traduzione è di Valentina Mosca).
9. Disponibile all’indirizzo internet www.angelfire.com/co/baol/mangagenerica.html.
20. Cfr. Islam Inc. e Interzona in Burroughs (1994a) e Zona e Polizia Nova in Burroughs (1994b).
2. Cfr. Tessier-Ashpool e Senso/Rete in Gibson (1986).
22. Baudrillard (2002: 12).
23. La parola inglese log significa ‘diario, registro’ e viene qui usata nell’accezione di ‘diario di
bordo’ o ‘registro della missione’, forse anche come reminiscenza di serie fantascientifiche quali
Star Trek.
24. Nihei (num. 8, gennaio 2003: 153, 180).
25. «[C]ontrazione di Web e Log, commenti (tracce) sul web. Particolare pagina web strutturata
come un diario che raccoglie testi aperti ai commenti dei lettori. Gli utenti possono scrivere nelle
pagine-blog pensieri, opinioni, poesie, esperienze, oppure inserire dei link su specifici argomenti,
nonché immagini» (Longo).
26. Cfr. Morgana (2003: 167-169).
27. ‘Forse sulla Terra, forse nel futuro’.
28. È molto forte la tentazione di stabilire un’equazione tra la provocazione culturale di Bellmer
sotto il nazismo e quella di Nihei. Se Bellmer stigmatizzava la perdita dell’identità individuale
all’interno del popolo tedesco, Nihei fa lo stesso con il popolo massificato dei consumisti, e lo fa
tramite gli stessi manichini di sessant’anni fa per ricordarci i pericoli dell’omologazione.
29. Passeron (1978: 120-124; “Una giovane ragazza facilmente disponibile è sottoposta ai
peggiori eccessi. […] Egli lavorò su un particolare tema formale basato sulle qualità architettoniche
di mattoni e sotterranei allusivi a tempi di guerra, dove spesso giacciono corpi. […] Bellmer […]
riuscì, come nelle sue bambole, ad esprimere l’esasperazione della passione fisica senza mai cadere
nelle trappole della narrativa o della compiacenza. […] La tragedia della morte è parte integrale del
mondo del desiderio […]. [L]e zone erogene del corpo sono mostrate in tumefazione […] e atti
estremi di feticismo vengono arrestati dalle convulsioni dei loro stessi eccessi”).
30. Viene in mente BAMA (l’“Asse Metropolitano Boston-Atlanta”) di Gibson (1986: 43 et
passim).
3. A queste osservazioni è in qualche modo riconducibile, come medium di Bellmer e Nihei,
anche la poetica di James Graham Ballard, per il quale «la tecnica è decostruzione mortale del
corpo […] aperto alle “ferite simboliche”, di un corpo confuso con la tecnologia nella sua
dimensione di stupro e di violenza, nella chirurgia selvaggia e continua che essa esercita: incisioni,
escissioni, scarnificazioni, aperture del corpo, in cui la piaga e la gioia “sessuale” non sono che un
caso particolare […], un corpo […] sottomesso interamente al segno […]. Ora, certi orifizi naturali
cui si è soliti associare il sesso e le attività sessuali non sono nulla a confronto […] di tutti gli orifizi
artificiali» (Baudrillard 1998: 15, 17).
32. Con questo termine viene comunemente inteso un universo astratto, puramente concettuale. In
questo caso esso è l’equivalente del cyberspazio come rappresentazione digitale di una struttura
metafisica.
33. Sono particolari demoni antropomorfi della mitologia giapponese, dotati di corna e vestiti con
pelli tigrate, violenti e poco intelligenti.
34. Cfr. www.angelfire.com/co/baol/blame_summary.html, www.studiokrum.com/blame e
www.wangazine.it/ wangami.php?showurl=http://www.wangazine.it/RF_Blame.html.
35. Baudrillard (2002: 75).
Bibliografia:
Barbieri Daniele, 1995, I linguaggi del fumetto, Milano, R.C.S. Libri & Grandi Opere.
Baudrillard Jean, 1998, Crash. In VILLANI T. (a cura di), Millepiani num. 14, Cyberfilosofie,
Milano, Associazione Culturale Mimesis: 13-21 (ed. or.: Crash, in Traverses num. 4, 1976: 2429).
Baudrillard Jean, 2002, Lo scambio simbolico e la morte, Milano, Feltrinelli (ed. or.: L’échange
symbolique et la mort, 1976).
Burroughs William, 1994a, Il pasto nudo, Carnago (VA), Sugarco Edizioni (ed. or.: The naked
lunch, 1959).
Burroughs William, 1994b, Nova express, Carnago (VA), Sugarco Edizioni (ed. or.: Nova
Express, 1964).
Fayenz Franco, 1996, La musica jazz, Milano, Il Saggiatore.
Gadducci Fabio e Tavosanis Mirko, www.fantascienza.com/edf/files/cyberpunk95/
MOVIMENT.HTM.
Longo Francesco, www.dizionarioinformatico.com.
McLuhan Marshall, 1967, Gli strumenti del comunicare, Milano, Il Saggiatore (ed. or.:
Understanding Media, 1964).
Nihei Tsutomu, 2000-2003, Blame!, Modena, Panini.
PAOLO MEREGHETTI, 2003, Il Mereghetti dizionario dei film 2004, Milano, Baldini Castoldi
Dalai.
Morgana Silvia, 2003, La lingua del fumetto. In Bonomi I., Masini A., Morgana S. (a cura di),
La lingua e i mass media, Roma, Carocci editore: 165-206.
Passeron René, 1978, Phaidon Encyclopedia of Surrealism, Oxford, Phaidon Press.