Quando si gioca a SimCity con la realtà

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Quando si gioca a SimCity con la realtà
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Jon Gertner
Quando si gioca a
SimCity con la realtà
The New York Times, 18 marzo 2007;
Titolo originale: Playing SimCity for
real – Scelto e tradotto da Fabrizio
Bottini
[Le “città ideali” della California]
Per gran parte del secolo scorso, valli e colline attorno a Los Angeles
sono state una specie di paradiso dell’edilizia, un mosaico di vastissimi
ranch, molti che risalivano a metà ‘800, e che offrivano ai costruttori una
riserva apparentemente infinita di superfici. Col boom edilizio della
regione, lottizzazioni residenziali e complessi per uffici si diffusero in modo
costante su queste terre dei ranch, fino a quando la Los Angeles County
arrivò a coprire non solo Los Angeles ma anche un centinaio di altri centri
minori. Quanto possa ancora crescere quest’area, può essere un
problema di geografia. A ovest e a sud c’è l’Oceano Pacifico. A est il
deserto. La Angeles National Forest e le San Gabriel Mountains segnano
il confine nord-orientale. Può darsi che il sogno della California
meridionale non finisca qui. Ma è un sogno a cui sta finendo lo spazio.
Però circa 90 chilometri a nord della città, oltre le montagne di San
Gabriel, si trova ancora del territorio aperto, non ancora toccato dalle pale
delle ruspe dei grandi costruttori. É questo il luogo della futura città di
Centennial, popolazione 70.000 abitanti, poco lontano dalla Interstate 5,
oggi ancora campi di ondeggiante prateria brucata dalle mandrie per oltre
cento anni. Visto da lontano, lo spazio di Centennial appare come una
pezza di stoffa verde e dorata, ripiegata qui e là in piccole gobbe e
avvallamenti, distesa su un’area lunga otto chilometri e larga quattro. Più
oltre, si alzano le Tehachapi Mountains, e se si guarda meglio si nota un
luccicare d’argento attraverso il paesaggio: l’acqua del California
Aqueduct che scorre verso sud. Un’immagine aperta, bella, remota: ma,
come mi ha confidato un costruttore, non tanto bella e remota da renderla
off-limits.
I 4.700 ettari su cui si stenderà Centennial fanno parte del Tejon Ranch,
une delle ultime grandi proprietà della California. Il ranch copre
complessivamente oltre 100.000 ettari, circa un terzo edlla superficie dello
stato di Rhode Island. É tanto grande che molte cose dalla California
settentrionale a quella meridionale – gas naturale, acqua potabile,
elettricità, cavi di fibra ottica, le automobili sulla I-5 – devono passarci
attraverso. Ci stanno circa 14.000 capi di bestiame, e i campi coltivati
producono mandorle, pistacchi e uva. “Tutte le altre grandi proprietà del
XIX secolo sono state smembrate da parecchio tempo” racconta Jan de
Leeuw, direttore del dipartimento di statistica alla U.C.L.A., che abita
vicino al ranch e si oppone al progetto di Centennial. “Tejon invece è
rimasto integro. Esiste, come un dinosauro”.
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La Los Angeles County ospita già oltre 10 milioni di abitanti, il che la
rende di gran lunga la più popolosa degli Stati Uniti. Ma questa
popolazione cresce ancora, soprattutto per via del flusso costante di
immigrazione. Come trovar posto a questa crescita, è un problema molto
difficile. Una delle soluzioni più discusse, è di costruire all’interno della
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città. Robert Lang, direttore del Metropolitan Institute al Virginia Tech,
spiega che “la grande sfida del XXI secolo sarà quella di ricostruire il
paesaggio del secondo dopoguerra”: in altre parole, trasformare i
parcheggi e i centri commerciali abbandonati dell’insediamento urbano
diffuso in complessi residenziali e commerciali “infill”. “Los Angeles
rappresenta il principale progetto di infill del paese” mi ha detto Lang,
sottolineando come sia in gran parte finite l’epoca dei grandi nuovi
insediamenti della California meridionale, con l’eccezione di Centennial, il
cui progetto ha appena cominciato il suo percorso attraverso le procedure
di valutazione ambientale della Los Angeles County. Nevada e Arizona
possono anche continuare a realizzare una città nuova dopo l’altra. Los
Angeles si addenserà, più di quanto non si amplierà.
Secondo Greg Hise, professore di storia e urbanistica alla University of
Southern California e autore di parecchi libri sullo sviluppo della regione,
la decisione se promuovere l’infill o crescere in orizzontale potrebbe non
essere “un problema di o questo o quello”. L’area potrebbe aver bisogno
di entrambi. I promotori di Centennial sono di questo parere. “Soltanto
densificare non basterà a tutto il bisogno di abitazioni dello stato della
California” mi dice Robert Stine, C.E.O. del Tejon Ranch, durante il nostro
incontro di gennaio. L’infill non basterebbe neppure, giudica, ad allentare
la pressione alla forte crescita dei prezzi delle abitazioni nella regione.
Parlando con Stine e i suoi soci del progetto Centennial emerge
l’immagine non di un intervento ultimo nel suo genere, ma della prima
nuova città Americana del XXI secolo, che contiene le idee più sofisticate
in termini di ambiente, salute, sostenibilità. Probabilemente non sarà
possibile costruire una seconda Centennial nella Los Angeles County, ma
l’esperimento potrebbe essere replicato altrove. “Per noi del gruppo di
lavoro” spiega Randall Lewis, dirigente del Lewis Group of Companies,
una delle tre imprese associate nel Tejon Ranch, “non si tratta solo del più
grosso intervento che abbiamo mai realizzato; è anche il più ricco di
significato. Centennial sarà un laboratorio da studiare per i prossimi
cent’anni. Si vedrà quante cose abbiamo indovinato. E anche quelle che
si possono migliorare”. Costruire una città di queste dimensioni richiederà
almeno vent’anni, concordano i soci, forse trenta. Molte delle persone che
ci lavorano, e anche alcuni degli oppositori, mi hanno precisato che
probabilmente loro non ci saranno più, all’epoca in cui sarà terminata.
Il Tejon Ranch è stato creato a metà ‘800 da Edward Fitzgerald Beale,
sovrintendente per gli Affari Indiani del Nevada e California, che pagò
90.000 dollari per comprare quattro ranchos messicani. Il figlio di Beale
più tardi cedette il ranch a un consorzio di ricchi angelenos, che nel 1936
convertirono il Tejon in società per azioni. Un grosso pacchetto della
compagnia era controllato sin dall’inizio dalla famiglia Chandler,
proprietaria anche del The Los Angeles Times e della Times Mirror
Company.
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Paragonata alle moderne public corporations, quella del Tejon si può
considerare abbastanza povera in termini di redditi. Nel 2005, la metà
delle entrate di 26 milioni è stata dalle attività agricole (principalmente
frutta e mandorle). Altri redditi sono quelli dai contratti con gli allevatori,
che fanno pascolare il bestiame, dalle concessioni alle compagnie
estraggono minerali, mescolano cemento o affittano spazi nel Tejon; poi
da quanto paga lo stato della California, che fa passare linee elettriche e
tubature del gas attraverso il territorio del ranch. Qualche dollaro arriva
anche da caccia e pesca: costa 20.000 dollari, per esempio, prendere un
alce. Soprattutto, però, il Tejon è stato una land bank nel vero senso della
parola, col proprio immenso valore (una capitalizzazione sul mercato di
circa 850 milioni di dollari) a riflettere il potenziale come area edificabile.
Harry Chandler, editore del Los Angeles Times e magnate immobiliare la
cui famiglia ha controllato il ranch per buona parte del primo secolo,
l’aveva capito molto tempo fa: “Non lasciate mai che il consiglio di
amministrazione del Tejon venda nessun terreno nel Grapevine Canyon”,
disse a un collega più o meno nel 1916, riferendosi a una specifica zona
che ora sta a ridosso della Interstate 5. “Un giorno diventerà di grande
valore”.
Verso la fine degli anni ‘90, con Robert Stine a gestire il Tejon, il consiglio
si faceva sempre più ansioso di procedere con l’urbanizzazione. In parte
la cosa era dovuta alla crescita di Los Angeles e alla straordinaria
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domanda di abitazioni di quegli anni. Quello che un tempo sarebbe stato
inconcepibile – abitare e lavorare a un’ora di distanza in macchina, ai
margini rurali della Los Angeles County – era diventato perfettamente
accettabile. Al tempo stesso, gli azionisti del Tejon controllavano una
compagnia con enormi potenzialità nei suoi terreni, e molta poca visibilità.
Il gruppo di investimento di New York, Third Avenue Management,
acquistò un pachetto di 3,2 milioni dalla Times Mirror alla fine dei ‘90.
Quando ho parlato con Michael Winer, responsabile del portfolio per il
Third Avenue Real Estate Value Fund e membro del consiglio del Tejon,
mi ha spiegato che l’unica altra proprietà paragonabile a quella del Tejon
Ranch forse è quella che sta in Florida, della St. Joe Company, ex attività
cartiera recentemente trasformata in operatore immobiliare. “Vorrei, che ci
fossero più occasioni del genere, ma temo che St. Joe e Tejon Ranch
siano le uniche due”, mi ha detto Winer. “Si rende conto, più di 100.000
ettari a poco più di 100 km dal centro di Los Angeles? Non credo esista
niente del genere vicino a un’area metropolitana, con un potenziale
simile”. Il fatto che ci vogliano decenni per realizzare Centennial non
preoccupa Winer. “Guardi, abbiamo queste azioni già da dieci anni” mi
spiega, sottolineando come la Third Avenue possieda un totale di 4,4
milioni di quote Tejon, il 26% della compagnia. “Siamo investitori con
molta pazienza”.
Nessuno ha mai creduto di poter costruire su tutto il territorio del Tejon. A
causa delle dimensioni e del terreno impervio sarebbe praticamente
impossibile, oltre che ambientalmente sconsiderato. Ma quando il
consiglio ha chiesto a Stine di individuare alcuni siti adatti, si sono studiati
gli archivi del ranch per vedere quali erano stati presi in considerazione in
precedenza. “Più o meno ogni dieci anni, negli ultimi quaranta-cinquanta,
se si guardano gli archivi del Tejon, c’è stato qualche tipo di progetto di
massima” mi racconta Stine. “Se se ne fa una sintesi – a dire il vero noi li
abbiamo sovrapposti tutti con una tecnologia G.P.S. – si vede che
esistono alcune zone del ranch più adatte all’edificazione, e altre grandi
aree a restare riserve naturali”. Alla fine, Stine e il consiglio si sono
concentrate su tre zone considerate valide per l’intervento edilizio. Una è
quella di Centennial, nuova città pianificata con 23.000 abitazioni, metà
delle quali case isolate (il resto condomini e appartamenti). Un’altra è una
zona più piccola vicino alla Interstate – vicino al Grapevine Canyon – che
potrebbe diventare un grosso parco industriale. La terza è una vasta
pittoresca striscia a nord di Centennial che pare adatta per case vacanza.
A differenza di Centennial, che dovrebbe essere un insieme di case a
prezzi abbastanza accessibili e altre attività economiche, il Tejon
Mountain Village, così si chiama, è una zona di relax per ricchi. Copre
circa 12.000 ettari, con centri benessere, alberghi, oltre a 3.500 abitazioni,
su lotti che vanno da una superficie di 1.000 mq, fino a 10 ettari.
Tutti questi progetti lasciano liberi oltre 80.000 ettari del ranch.
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Recentemente la Tejon ha dichiarato di voler trasferirne circa 40.000 ad
aree di conservazione, impedendone così in modo definitivo l’edificabilità.
L’offerta sta a significare che Tejon non vuole trasformare un’area
naturale in una distesa di McMansions. É anche una mossa tattica, la
prima di quella che probabilmente sarà una trattativa. Una riserva naturale
di 40.000 ettari non è cosa da poco; lo Zion National Park in Utah, per
esempio, copre circa 60.000 ettari. Come reazione a questa mossa della
Tejon, però, una serie di gruppi ambientalisti ha iniziato a chiedere un
maggior impegno per la conservazione. La proposta, è di tutelare 100.000
ettari.
Un giorno di gennaio mi sono incontrato al Tejon Ranch, in un baso
edificio che ospita gli uffici della proprietà, con l’urbanista Randy Jackson,
il cui studio Planning Center ha redatto il progetto preliminare di massima
per Centennial, di cui mi ha mostrato alcune diapositive con la città che
sarà. Quando gli ho chiesto a quale città potrebbe assomigliare di più
Centennial, Jackson mi ha risposto che spesso a questa domanda
risponde in modo indiretto. “Dico, beh, è un po’ un pezzo di una cosa, un
po’ di un’altra”. Irvine, California, ha influenzato le forme del verde e dei
giardini, ad esempio. Come altro riferimento, Jackson cita Stapleton,
progetto infill in corso in un aeroporto dismesso a Denver, a cui si è
ispirato per i percorsi pedonali e le scuole. E poi, aggiunge, Centennial ha
l’unicità del luogo e delle occasioni. “É una tela bianca” spiega. “Cosa si
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può fare partendo dal nulla? Lì non c’è niente, salvo cinque o sei alberi e
quel terreno piatto”.
A differenza delle altre grandi città del paese, nate per la vicinanza al
fiume o alle vie di scambio che le rendeva luoghi ideali per insediarsi e
fare attività, molti dei centri ambiziosamente pianificati – ad esempio
Irvine, o Columbia, Maryland – sono nati da idee sociali, soluzioni molto
meditate al pasticcio suburbano del dopoguerra. “Città espressamente
progettate come alternative allo sprawl” spiega Ann Forsyth, professore di
progettazione urbana all’Università del Minnesota, che ha molto scritto
sulla storia e l’evoluzione delle città nuove. La Forsyth indica come sia
Irvine (iniziata nel 1960, ora ha una superficie di 12.000 ettari) che
Columbia (1962, 6.000 ettari) siano più grandi di Centennial, ma come
quest’ultima con 4.700 ettari probabilmente sia grande a sufficienza per
contenere gli elementi di una new-town: spazio per abitazioni e attività,
così che ci si possa vivere, lavorare, fare acquisti. Naturalmente, non è
detto che il progetto di città autosufficiente si trasformi poi in realtà. A
Irvine ha funzionato: in effetti, lì le attività vanno tanto bene che ci sono
più pendolari in ingresso che in uscita. Ma il problema se (o quando)
Centennial possa diventare autonoma è uno dei temi più dibattuti attorno
al progetto. Gli oppositori intravedono lo spettro di una città dormitorio,
con gli abitanti a intasare le superstrade all’ora di punta, in una folle corsa
avanti e indietro da Los Angeles. Gli urbanisti di Centennial escludono
questa possibilità: esistono nel piano della città molte decine di migliaia di
metri quadrati di superfici industriali e commerciali, e si sono instaurati
rapporti con imprese locali che vorrebbero insediarsi nello office park.
I quattro associati del progetto Centennial - Tejon Ranch, Lewis Group,
Pardee Homes e Standard Pacific Homes – si sono impegnati per 35
milioni di dollari per il piano, e la sua gestione attraverso l’iter di
approvazione della Los Angeles County. Rappresentanti dei quattro
associati, hanno anche passato parecchio tempo attorno al tavolo di
quercia al Tejon, immaginando l’aspetto di Centennial, calcolando quanto
sarebbe costata, chi ci avrebbe abitato; poi è stato compito di Randy
Jackson unificare armonicamente le visioni.
Jackson ha iniziato a progettare sei anni fa, partendo da un perimetro.
Dato che Centennial ha alle spalle le montagne, strade su due lati e un
acquedotto sull’altro, ha una forma geografica quasi definita. Il problema a
questo punto è come organizzare strade e quartieri. “La grossa differenza
tra come si progettava una volta e come si progetta ora, e l’attenzione ai
caratteri naturali” mi spiega Jackson. Nel passato, lo spazio veniva
spianato, e poi si realizzavano fasce verdi e fossi per l’acqua. Ora la
filosofia, per usare le sue parole, è di lasciare che siano il paesaggio e il
sistema di drenaggio naturale a decidere dove costruire. “Leggiamo il
suolo” dice “e il progetto nasce da lì”.
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Jackson riconosce che non c’è nessuno in grado di pensare una città
perfetta. E questa convinzione che l’urbanistica sia una disciplina che si
evolve continuamente è uno dei motivi per cui i soci di Centennial sono
tanto propensi a prendere a prestito quelle che considerano le migliori
idee dalle città di tutto il paese. Quando chiedo a Jackson come ci si sia
accordati sulle dimensioni della nuova città, mi spiega che il primo
obiettivo era una popolazione sufficiente a raggiungere la massa critica
necessaria ad un insediamento autonomo. Gli urbanisti utilizzano una
serie di sofisticati programmi informatici, con dati demografici e da
ricerche di mercato, che consentono di calcolare popolazione e densità
necessarie a dar vita ai nuovi quartieri. Programmi che aiutano anche a
stabilire quante scuole o posti di polizia sino necessari. Non è molto
diverso dall’immaginarli al lavoro con una versione a grandezza naturale
di SimCity. “Per un grocery store ci vogliono da 5.000 a 7.000 abitazioni”
spiega Jackson. I 23.000 alloggi previsti a Centennial – una quantità
probabilmente destinata a diminuire nel corso dell’iter amministrativo –
corrispondono alla necessità di abitanti a sufficienza per avere centri
commerciali, ristoranti, cinema e attività economiche, senza troppa
congestione. Una città di 50.000 abitanti potrebbe bastare per ospitare
una sede universitaria. Nelle ultime versioni, il piano di Jackson prevede
Centennial con otto grossi quartieri, ciascuno con un village center e vari
nuclei di circa 50 abitazioni ciascuno. Complessivamente, le aree
industriali e commerciali coprono circa 400 ettari. Ci sarà una rete di
percorsi e greenways ad incoraggiare gli spostamenti in bicicletta e a
piedi, e una varietà di tecniche per risparmiare acqua ed energia. Il 50%
della superficie della città è a spazi aperti.
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Poi arriva la parte più difficile: progettare una società equilibrata,
principalmente attraverso lo strumento dei prezzi degli immobili. La
differenza principale di Centennial rispetto ad altri grandi interventi è che
gran parte delle abitazioni, promettono i costruttori, saranno accessibili al
ceto medio e ai lavoratori della California. Se poi la cosa andrà avanti nel
tempo, è argomento più controverso; se sia Irvine che Columbia si sono
parecchio allontanate dalla spinta utopica originaria, lo si deve al fatto che
la ricchezza è venuta dall’aumento di popolazione e vitalità. “Se
guardiamo ai valori dei suoli, Irvine è un grande successo”, giudica
Michael H. Ebner, storico dell’urbanistica al Lake Forest College in Illinois,
che sta scrivendo un libro sull’America dei suburbi. Ma Irvine, crescendo,
non è riuscita a conservare l’alto livello di accessibilità economica delle
abitazioni sperato in prima istanza dai progettisti, precisa Ebner. In realtà,
lì il reddito medio per famiglia – 83.000 dollari – è ben superiore a quello
medio della California, di 54.000.
Jackson e i suoi colleghi hanno costruito un modello per quella che
dovrebbe essere la composizione di popolazione ideale per Centennial. Si
voleva diversificazione: anziani, giovani famiglie, persone sole; gente ricca
ma anche ceti operai. Gli associati nel progetto Centennial hanno
ipotizzato una comunità che comprenda offerta di appartamenti in affitto, e
prezzi delle abitazioni a partire da circa 250.000 dollari. Si tratta in gran
parte di un problema di fattibilità. Si deve consentire che possano
risiedere qui, vicino a dove lavorano, alcuni pilastri fondamentali della
società, quali agenti di polizia, insegnanti, ecc., in particolare visto che si
tratta di una città isolata; è anche possibile che ci sia bisogno di incentivi
finanziari perché i nuovi abitanti facciano un po’ da pionieri, in un luogo
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dove si è appena asciugato il cemento. Inoltre, nella regione di Los
Angeles, dove una casa da tre stanze spesso parte da 500.000 dollari, dei
prezzi più bassi possono essere un forte elemento di attrazione (i
progettisti calcolano che le abitazioni a prezzo più basso di Centennial
siano economicamente accessibili a oltre il 70% dei nuclei familiari della
California). Quindi le fasi iniziali della realizzazione si dovrebbero
concentrare sulle offerte più economiche di case in proprietà e su quelle in
affitto, perché è di questo tipo di acquirenti e inquilini che Centennial ha
bisogno per cominciare a vivere. Nel giro di alcuni anni, dopo che sarà
iniziato l’effetto “valanga” come lo chiama Jackson, chi è arrivato per
primo troverà occasione di salire la scala. In altre parole, quando i
proprietari iniziali e inquilini avranno innalzato il proprio reddito, a
Centennial saranno in corso di realizzazione quartieri con offerte
economiche superiori, in alcuni casi abitazioni da milioni di dollari.
Parallelamente, invecchiando gli abitanti originari, ci sarà la possibilità di
trasferirsi in spazi più piccoli: ad esempio negli ex appartamenti in affitto, o
in case di livello superiore ma dimensioni contenute, o residenze per
anziani.
“É un modello molto complesso, che contiene i bisogni di chi deve fondare
la comunità, e i modi in cui poi essa matura nel tempo” spiega Jackson.
“Continueremo a rivederlo ogni anno, per i prossimi 25 anni,
correggendolo, perché non ci si azzecca mai del tutto”. Molte parti del
modello sono state già corrette, compreso il nome della città. All’inizio il
nuovo centro si chiamava Rolling Meadows, come suggerito dalla
geografia del luogo. Ma i progettisti volevano un nome che facesse
pensara contemporaneamente sia all’idea del nuovo che a quella della
tradizione. Un giorno Robert Stine, appassionato lettore dei libri di James
A. Michener, propose uno dei suoi titoli: “Centennial”, trovando tutti
d’accordo. Suonava proprio bene.
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Secondo Stine, costruire Centennial non significa semplicemente arraffare
un pezzo del Tejon per guadagnarci in fretta. “Siamo qui da 150 anni, e il
ranch sarà ancora qui fra altri 150 anni” spiega, “quindi credo che
qualunque cosa su cui si voglia lasciare il nostro marchio debba essere di
qualità tale da migliorare quella del contesto, non di sottrarre qualcosa”.
Naturalmente, questa intenzione non esclude la possibilità nel futuro,
quando Centennial non sarà una distesa d’erba, ma una vera città, che il
Tejon si privi di altre porzioni del suo immenso territorio. E Centennial non
sarà più un centro isolato. Potrebbe diventare il fulcro di una intera
regione. Stine non lo esclude.
Gli oppositori al Tejon Mountain Village, chiedono comunque che il ranch
rinunci a questo futuro. “Invece di un intervento edilizio per parti, miriamo
a un piano per tutto il territorio del ranch, in modo tale che tutti ne
riconoscano il contesto generale” spiega Ileene Anderson, biologa che
lavora a Los Angeles al Center for Biological Diversity, uno delle decine di
gruppi ambientalisti che si sono alleati nell’opposizione al progetto del
Tejon. “Dobbiamo continuare per sempre” mi dice la Anderson, “a
combattere uno per uno progetti di edificazione in aree sensibili, ben oltre
l’arco della mia vita? L’idea sarebbe invece, dato che gli interventi stanno
cominciando, di capire quali siano le aree più adatte, e quelle da
conservare. Vorremmo vedere un piano generale, avere tutte le carte sul
tavolo”.
Durante la mia conversazione con Ileene Anderson e alcuni dei suoi
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colleghi dell’alleanza ambientalista, emergono alcuni problemi. Uno è che
il Tejon Mountain Village – l’insediamento di seconde case previsto in una
zona più selvaggia e probabilmente più ricca di biodiversità del ranch – è
questione di gran lunga più delicata di Centennial, almeno dal punto di
vista ambientale. Tra le altre cose, il villaggio sarebbe collocato in quello
che è un habitat importantissimo per la specie in pericolo del condor della
California, solo di recente scampato al pericolo di estinzione e reintrodotto
in natura. “Credo che quella localizzazione sia un grosso problema” mi
spiega Joel Reynolds, avvocato del Natural Resources Defense Council.
“Non riesco a capire come possano pensare che funzioni, un
insediamento edificato nell’habitat del condor”.
E in realtà è del tutto possibile che il Tejon Mountain Village venga
bloccato durante le procedure di revisione ambientale, anche se la pratica
di Centennial procede. I due progetti sono indipendenti, e tra l’altro
collocate in due circoscrizioni di contea diverse: Centennial in quella di
Los Angeles e Tejon Mountain Village nella Kern. Ma Reynolds e la
Anderson precisano che anche Centennial pone problemi significativi:
innanzi tutto, l’incognita del peso di 23.000 nuove abitazioni e numerose
attività economiche sui servizi pubblici della regione. La nuova città può
anche essere un simbolo di urbanistica progressista, ma questo non
elimina il fatto che si tratta di uno dei più grossi progetti di insediamento
nella storia della California. “In generale siamo tutti d’accordo sul fatto che
Centennial non debba svilupparsi in questo modo, né con queste
dimensioni” giudica Jan de Leeuw, il professore U.C.L.A. e abitante della
zona, che la definisce una cosa “in mezzo al nulla”. Paul Novak,
funzionario urbanista della Los Angeles County, mi spiega che la
localizzazione di Centennial in un’area a popolazione sparsa pone vari
problemi per le infrastrutture. “Credo che alla maggior parte delle persone
vengano in mente le strade” dice. “Ma le strade sono molto meno
complicate di quanto non sia per l’acqua, o le reti fognarie. O i servizi di
polizia, dei pompieri. Dobbiamo garantire ordine e sicurezza a una
comunità di 70.000 persone”. E aggiunge che per avere un ospedale si
devono in genere superare i 50.000 abitanti. I residenti di Centennial
prevedibilmente peserebbero almeno dieci anni sulle strutture mediche
esistenti, fino a raggiungere quantità e densità adeguate.
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Novak nota come il suo superiore, Michael D. Antonovich – consigliere di
contea che esprime uno dei cinque voti che decideranno il destino della
città – non assumerà alcuna posizione su Centennial fino a quando la
domanda non avrà concluso il percorso di revisione ambientale, che
durerà almeno un anno. Gli associati del progetto Centennial, che
ritengono di aver usato molta cura nel quantificare le risorse idriche del
nuovo insediamento, sperano di iniziare i lavori nel 2009. Ma il piano
potrebbe essere facilmente bloccato da qualche ricorso. Novak dice che
un progetto di dimensioni paragonabili non lontano, Newhall Ranch, che
dovrebbe consistere di 21.000 unità residenziali, avrà impiegato 15 anni a
passare dallo stadio di proposta all’inizio dei lavori, se questi
cominceranno come previsto nel 2009. Non si tratta necessariamente di
un fatto negativo: Greg Hise della University of Southern California crede
che i contributi delle strutture tecniche pubbliche, dei cittadini, delle
associazioni ambientali per un periodo che dura anni, alla fine siano un
vantaggio per le città nuove. “Alcune persone si lamentano” commenta
Hise. “Io lo ritengo un fatto positivo”. Ma quello che può complicare le
cose in modo particolare nel caso di Centennial, è che qualunque
trasferimento dal Tejon Ranch ad area di conservazione, per far
procedure le cose – si tratti dei 40.000 ettari proposti dal privato o dei
100.000 degli ambientalisti, o qualunque quantità intermedia –
probabilmente comporterà qualche indennizzo alla Tejon. La possibilità o
meno da parte dello stato e di strutture private di trovare la soma
necessaria per superfici di questa entità, rende il processo di
conservazione molto meno semplice di quanto non sembri. La promessa
di Tejon di vincolare una grande superficie a titolo perpetuo richiederà
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sicuramente qualcosa di più di un solo impegno verbale. Richiederà
risorse politiche, legali, finanziarie.
Le grandi dimensioni e la posizione del Tejon Ranch hanno già
trasformato l’idea della sua trasformazione insediativa in una battaglia sui
temi della casa e della tutela ambientale, del genere che si vede una sola
volta nella vita. Dopo che il territorio di questo ranch sarà stato intaccato,
non ce ne saranno più di uguali. Ecco forse perché da entrambe le parti
mi è stato chiesto quali argomenti trovavo più persuasivi. Se c’è qualcosa
di evidente, però, e che i progetti per il Tejon hanno determinato uno
scontro fra persone ragionevoli. Da ciascuna delle due parti, si tiene in
gran considerazione il valore di quei terreni. Il problema di inconciliabilità,
è che si tratta di un valore attribuito per motivi completamente diversi.
Robert Stine della Tejon la vede in questo modo: “Non si può far contenti
sempre tutti. Questo lo sappiamo. E allora vogliamo fare ciò che è meglio
per questa terra, per i quartieri che vogliamo costruire, e per i nostri
azionisti”. Ma l’alleanza ambientalista non è certo naïve; i suoi componenti
sanno che c’è una fortuna in gioco: uno degli investitori del Tejon, James
Roumell, mi ha raccontato che il valore dell’intervento di Centennial per la
corporation è di 500 milioni.
“Riconosciamo il fatto che si tratta di un terreno privato; si tratta di una
public company che risponde a degli azionisti” dice Ileene Anderson.
“Devono avere un ritorno dal proprio investimento. In California a
popolazione non sta certo diminuendo, e le persone devono pur abitare
da qualche parte”. Ma, dal punto di vista della Anderson, alla fine si arriva
al nodo: i vantaggi del ranch e dei suoi azionisti, e i vantaggi di tutti gli
abitanti California. Per farla ancora più semplice, si può dire che alla fine
ci sono i soldi, o la natura. Nel bene e nel male, la terra significa entrambe
le cose.
[Le immagini sono tratte dal sito http://www.centennialca.com ; altre notizie
all’indirizzo http://www.tejonranch.com (f.b.)]
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