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Notiziario settimanale n. 485 del 06/06/2014
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Questa versione stampabile del notiziario settimanale contiene, in forma integrale, gli articoli più significativi pubblicati nella
versione on-line, che è consultabile sul sito dell'Accademia Apuana della Pace
leaderistica che ha caratterizzato tanti eventi associativi negli ultimi anni,
a partire dalla Marcia della Pace Perugia-Assisi. Per la gestione
monopolitistica di questo evento, non per la sua scelta di candidarsi alle
ultime elezioni politiche, Flavio Lotti è stato sfiduciato dalle reti di società
civile organizzata che cercano ora con modalità più partecipative di
portare avanti campagne ed eventi inclusivi e rispettosi dei valori della
nonviolenza.
12/06/2014: Giornata mondiale contor il lavoro minorile.
13/06/2014: Per non dimenticare: la strage nazi-fascista di Sant'Anna di
Forno (MS) avvenuta il 13 giugno del 1944
Indice generale
Niente nuvole sull'Arena (di Martina Pignatti Morano)............................. 1
2 giugno: festa della repubblica che ripudia la guerra (di Movimento
nonviolento)............................................................................................... 2
Per una rete di centri per l'etica ambientale (di Matteo Mascia, Chiara
Tintori)....................................................................................................... 2
Sei proposte per un'altra finanza (di Andrea Baranes)................................ 3
Dimissioni in bianco, torna la legge. Ma altre tutele si perdono (di Anna
Rita Tinti)................................................................................................... 3
«Siate eretici»: l'intervento di Don Ciotti al Congresso Nazionale di Slow
Food Italia (di Don Luigi Ciotti)................................................................ 5
Dalle rovine della seconda guerra mondiale all'Europa (di Francesco
Maria Feltri)............................................................................................... 6
L’India si tinge di arancione, il potere a NaMo (di Francesca Rosso)......10
52 città si ribellano al gioco d’azzardo (di Gabriele Mandolesi).............11
Non complice. Storia di un obiettore (di Piero Scaramucci e Letizia
Gozzini)................................................................................................... 11
La Cina, questa sconosciuta (di Vincenzo Comito)..................................11
"Porto Volontario" nasce in Toscana il primo social network per le
associazioni di volontariato (di CESVOT)............................................... 12
Editoriale
Niente nuvole sull'Arena (di Martina Pignatti
Morano)
Il 25 aprile all'Arena di Verona c'era una luce abbagliante, il sole per
fortuna splendeva tutto il pomeriggio e l'evento ha ridato fiducia a
migliaia di persone nel movimento per la pace. Certamente i tempi
limitati, e l'obbligo imposto dalla Fondazione Arena di mantenere
prevalente la componente artistica dell'evento, hanno costretto gli
organizzatori a limitare il numero degli interventi, ma decine e decine di
persone hanno parlato dal palco. Donne e uomini di tutte le età, con
proposte costruttive che andavano ben oltre il semplice e necessario NO
agli F35, portavoci di reti più che di singole organizzazioni.
E' proprio questo il segnale che ci stiamo allontanando dalla cultura
1
Grazie a questo nuovo processo di convergenza tra reti, è stata lanciata
all'Arena di Verona e pubblicamente presentata il 2 giugno con un
comunicato ufficiale, la Campagna per il disarmo e la difesa civile, con
una proposta di legge di iniziativa popolare per l'istituzione e il
finanziamento del “Dipartimento per la difesa civile, non armata e
nonviolenta”. Tale campagna viene proposta da Rete Italiana per il
Disarmo – Controllarmi (www.disarmo.org), Conferenza Nazionale Enti
di Servizio Civile – CNESC (www.cnesc.it), Forum Nazionale per il
Servizio Civile – FNSC (www.forumserviziocivile.it), Tavolo Interventi
Civili di Pace – ICP (www.interventicivilidipace.org), Campagna
Sbilanciamoci!
(www.sbilanciamoci.org),
Rete
della
Pace
(www.retedellapace.it). Si veda il comunicato disponibile qui:
http://www.unponteper.it/il-2-giugno-e-la-festa-della-repubblica-cheripudia-la-guerra/
Niente mediazioni dunque con la politica, niente disponibilità a negoziare
una “diminuzione” della spesa militare, ma la forte richiesta di azzerare
programmi come quello degli F35 e iniziare a costruire con serietà un
nuovo sistema organico di difesa civile nonviolenta. Nessun tavolo di
trattative con il governo o i parlamentari per la campagna Difesa Civile,
ma la richiesta alla politica di discuterne apertamente in eventi pubblici
dal momento in cui il testo verrà presentato in Cassazione.
I Corpi Civili di Pace potrebbero già iniziare ad operare tramite la
sperimentazione finanziata per gli anni 2014-2015-2016, ma i 9 milioni di
euro previsti sono stati stanziati sul bilancio dell'Ufficio Nazionale
Servizio Civile, che deve ancora produrre un bando sperimentale su queste
progettazioni.
C'è da dire che da dicembre 2013, quando il finanziamento è stato
approvato, è cambiato il governo, sono rimasti senza nomine per mesi i
sottosegretari, e senza un referente politico l'UNSC ha dichiarato di non
poter procedere. Ora il referente c'è, è il Sottosegretario Bobba, che
speriamo possa riaprire immediatamente il percorso di sperimentazione
dei Corpi Civili di Pace.
Nel frattempo molte associazioni del Tavolo Interventi Civili di Pace
stanno studiando possibili interventi da sottoporre a eventuale bando CCP,
ma non conosciamo ancora il nuovo meccanismo di accreditamento degli
enti (molti di noi non sono enti di servizio civile quindi non avrebbero
titolo, ad ora, per entrare nella sperimentazione) né i tempi e le
caratteristiche di un eventuale bando sperimentale. Per stimolare le
istituzioni a propore un modello per noi minimamente accettabile abbiamo
prodotto un documento firmato da tutte le reti rilevanti, di cui speriamo
venga compreso il valore. Certamente non è facile decidere di impegnarsi
in interventi seri con i progetti poverissimi del servizio civile italiano,
quindi la sfida sarà convincere chi può veramente organizzare interventi di
peacebuilding a partecipare al bando e reperire da sé i confinanziamenti
necessari.
Una collaborazione di questi Corpi Civili con agenzie ONU sarebbe
auspicabile nella lunga durata ma l'emendamento Marcon alla finanziaria
ha collocato i 9 milioni di euro sul bilancio dell'UNSC quindi ci vorrebbe
una nuova decisione politica e un nuovo voto per dirottarli su missioni
ONU. Inoltre, persino gli UN Volunteers richiedono finanziamenti e
standard ben diversi da quelli che può offrire il sistema italiano del
servizio civile, e se l'Italia decidesse di finanziare un programma come
quello non farebbe che trasferire il budget alle Nazioni Unite, perdendo
qualsiasi chance di sviluppare una capacità italiana di peacebuilding e
difesa civile nonviolenta. Una collaborazione futura tra i nostri progetti e
missioni ONU può essere costruita ma richiederebbe anni (non mesi) di
mediazione con l'ONU, da parte di gruppi già presenti sul terreno su
particolari scenari, come fatto recentemente da Nonviolent Peaceforce.
La United Nations Logistics Base http://www.unlb.org/ di Bridisi si
occupa di mera logistica e telecomunicazioni per le missioni di
peacekeeping: acquistare beni tramite aste, immagazzinarli e poi smistare
mezzi e container alle operazioni di peacekeeping. Persino i corsi di
formazione della Center of Excellence Training Facility sono strettamente
legati alla logistica. Non è facile quindi trovare in Italia centri e strutture
ONU con cui programmare attività che possano essere stimolanti per noi,
ma un dialogo con il programma UN Volunteers può iniziare in qualsiasi
momento se c'è volontà politica per tesserlo negli anni.
Speriamo nel frattempo che chi, nei nostri ministeri, si occupa di gestione
civile delle situazioni di crisi, in collegamento con agenzie dell'Unione
Europea e dell'ONU, inizi a dialogare maggiormente con la società civile.
Un'occasione potrebbe essere quella offerta dal nuovo Istituto Europeo per
la Pace, inaugurato a Bruxelles qualche settimana fa e per ora interamente
governativo. All'Arena di Verona non sapevamo nemmeno se l'Italia
avrebbe aderito, ma ora la decisione politica è stata presa e l'italiano
Staffan De Mistura presiede il comitato direttivo dell'Istituto. Abbiamo
chiesto in questi giorni di interloquire con il Ministero degli Esteri
sull'impostazione del centro e speriamo vi siano spazi, al suo interno, per
sviluppare con la società civile metodologie nonviolente e innovative di
trasformazione dei conflitti. Chissà che questo non possa offrire uno
stimolo utile, anche in Italia, alla rinascita degli Studi sulla Pace.
Martina Pignatti Morano – Un ponte per... e Tavolo Interventi Civili di
Pace
Campagna per il disarmo e la difesa civile e lanciando oggi la proposta di
legge di iniziativa popolare per l'istituzione e il finanziamento del
“Dipartimento per la difesa civile, non armata e nonviolenta”.
Obiettivo della Campagna è dare piena attuazione all'articolo 52 della
Costituzione (“la difesa della patria è sacro dovere del cittadino”) che non
è mai stato applicato veramente, perché per difesa si è sempre intesa solo
quella armata, affidata ai militari, mentre la Corte Costituzionale ha
riconosciuto pari dignità e valore alla difesa nonviolenta, come avviene
con l'istituto del Servizio Civile nazionale.
La difesa civile, non armata e nonviolenta è difesa della Costituzione e dei
diritti civili e sociali che in essa sono affermati; preparazione di mezzi e
strumenti non armati di intervento nelle controversie internazionali; difesa
dell’integrità della vita, dei beni e dell’ambiente dai danni che derivano
dalle calamità naturali, dal consumo di territorio e dalla cattiva gestione
dei beni comuni.
Il disegno di Legge istituisce un Dipartimento che comprenderà il Servizio
civile, la Protezione Civile, i Corpi civili di pace e l'Istituto di ricerche
sulla Pace e il Disarmo.
Il finanziamento della nuova difesa civile dovrà avvenire grazie
all'introduzione dell'”opzione fiscale”, cioè la possibilità per i cittadini, in
sede di dichiarazione dei redditi, di destinare il 6 per mille alla difesa non
armata. Inoltre si propone che le spese sostenute dal Ministero della
Difesa relative all’acquisto di nuovi sistemi d’arma siano ridotte in misura
tale da assicurare i risparmi necessari per non dover aumentare i costi per i
cittadini.
Lo strumento politico della legge di iniziativa popolare vuole aprire un
confronto pubblico per ridefinire i concetti di difesa, sicurezza, minaccia,
dando centralità alla Costituzione che “ripudia la guerra” (art. 11).
La Campagna è stata presentata il 25 aprile 2014 in Arena di pace e
disarmo; viene lanciata in occasione del 2 giugno 2014, Festa della
Repubblica; la raccolta delle 50.000 firme necessarie inizierà il 2 ottobre
2014, Giornata internazionale della Nonviolenza, e si concluderà dopo 6
mesi.
link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2074
Evidenza
Documenti
Rete Italiana per il Disarmo – Controllarmi: www.disarmo.org
Conferenza Nazionale Enti di Servizio Civile – CNESC: www.cnesc.it
Forum
Nazionale
per
il
Servizio
Civile
–
FNSC:
www.forumserviziocivile.it
Tavolo Interventi Civili di Pace – ICP: www.interventicivilidipace.org
Campagna Sbilanciamoci!: www.sbilanciamoci.org
Rete della Pace: www.retedellapace.it
link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2073
2 giugno: festa della repubblica che ripudia la
guerra (di Movimento nonviolento)
La madre è la Resistenza antifascista, il padre è il Referendum
democratico: la Repubblica italiana è nata in un'urna il 2 giugno del 1946.
Perché, per festeggiare il suo compleanno, lo Stato organizza la parata
militare delle Forze Armate? E' una contraddizione ormai insopportabile.
I movimenti per la Pace e il Disarmo rispondono a Napolitano e lanciano
una proposta di legge per istituire la difesa civile, non armata e
nonviolenta.
Il 2 giugno ad avere il diritto di sfilare sono le forze del lavoro, i sindacati,
le categorie delle arti e dei mestieri, gli studenti, gli educatori, gli
immigrati, i bambini con le madri e i padri, le ragazze e i ragazzi del
servizio civile. Queste sono le vere forze vive della Repubblica che
chiedono di rimuovere l'ostacolo delle enormi spese militari ed avere a
disposizione ingenti risorse per dare piena attuazione a tutti i principi
fondanti della Costituzione: lavoro, diritti umani, dignità sociale, libertà,
uguaglianza, autonomie locali, decentramento, sviluppo della cultura e
ricerca, tutela del paesaggio, patrimonio artistico, diritto d'asilo per gli
stranieri e ripudio della guerra.
I nostri movimenti celebrano il 2 giugno promuovendo congiuntamente la
2
Approfondimenti
Ambiente ed energia
Per una rete di centri per l'etica ambientale (di
Matteo Mascia, Chiara Tintori)
Alcune realtà italiane impegnate nell’etica ambientale si mettono in rete.
Con una «Carta di intenti», lanciano una collaborazione per richiamare la
centralità, in questo nostro tempo, dei temi legati all’ambiente e alla
sostenibilità ed essere interlocutrice credibile per le istituzioni, capace di
interagire con il mondo dell’economia, della politica, della cultura e
dell’educazione.
Ad oggi sono parte della rete Aggiornamenti Sociali, Rivista della
Fondazione Culturale San Fedele, i Centri di Etica Ambientale di Bergamo
e di Parma, la Fondazione Lanza di Padova, il monastero di Siloe in
Toscana e il Centro Studi sulle culture della pace e della sostenibilità
dell’Università di Modena.
fine dell'anonimato sulla reale proprietà delle imprese.
La Carta delinea i principi che muovono queste diverse strutture nella
promozione di un umanesimo ecologico, capace di intrecciare la custodia
dell’ambiente con quella delle relazioni interumane nonché l’attenzione
alle prossime generazioni. È con i nostri comportamenti che possiamo o
meno attuare un modello di sviluppo sostenibile. Cura e responsabilità,
rispetto e tutela della diversità, precauzione, sobrietà, solidarietà e
accoglienza: le questioni ambientali oggi sono necessariamente anche
questioni etiche.
Si passa poi al sistema bancario ombra, quella pletora di società che si
comportano come banche senza essere sottoposte a controlli e vigilanza. È
forse la questione che meglio mostra l'inaccettabile lentezza dell'Ue. A
settembre 2013 il Commissario Barnier afferma che «dobbiamo adesso
interessarci dei rischi causati dal sistema bancario ombra». Mentre gli
Stati sono sottoposti a un controllo strettissimo, per questo gigantesco
sistema che si muove al di là di qualsiasi regola, oltre cinque anni dopo il
fallimento della Lehman Brothers, la Commissione, bontà sua, dichiara
che è tempo di mostrare un qualche interesse. In ultimo, l'appello pone una
domanda sulla regolamentazione dei derivati, a partire dagli Otc, ovvero
gli strumenti negoziati al di fuori delle Borse valori e che sono utilizzati
per oltre il 90% in attività puramente speculative. Come in altri casi,
qualcosa è stato fatto (in particolare con la Direttiva Emir e l'introduzione
di limiti per i derivati sulle materie prime), ma è nuovamente troppo poco
per potere seriamente contrastare gli enormi impatti di tali strumenti. Le
richieste potrebbero essere anche altre, ma queste sei sono tra le più
urgenti se non altro per evitare che un disastro come quello che ha colpito
l'Europa negli ultimi anni possa ripetersi. Parliamo di proposte note da
tempo, ma la cui introduzione è impantanata tra ritardi, veti incrociati e
infinite discussioni. Una situazione in cui gioca un peso decisivo l'azione
delle potentissime lobby del settore. Per questo, al di là del merito,
colpisce come a lanciare l'appello siano 25 banche e istituti finanziari.
Banche che chiedono regole certe e più stringenti contro la finanza
speculativa, e che mostrano concretamente, tramite il loro operato
quotidiano, come un modello bancario nettamente differente sia non solo
possibile, ma funzioni anche molto meglio di quello tradizionale. Due
modi lontanissimi di intendere la finanza. Da un lato un fine in se stesso
per fare soldi dai soldi nel più breve tempo possibile; dall'altro uno
strumento trasparente al servizio delle persone e dell'economia. La finanza
come problema o come parte della soluzione. In ultima analisi, l'appello
domanda semplicemente ai candidati alla presidenza della Commissione
da quale lato intendano schierarsi.
La rete, che si vuole del tutto aperta a nuovi contributi, promuoverà un
seminario annuale e condividerà iniziative e strumenti di formazione e
comunicazione, perché sempre più è in gioco il futuro delle persone e
delle comunità umane. Un primo articolo che presenta i soggetti coinvolti
e segnala il percorso che ha portato alla costituzione della rete è stato
pubblicato nel numero di maggio di Aggiornamenti sociali (Matteo
Mascia, Chiara Tintori, Una rete di centri per l’etica ambientale)
(fonte: Aggiornamenti Sociali)
link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2071
Economia
Sei proposte per un'altra finanza (di Andrea
Baranes)
Eureka!/Un appello della Federazione delle banche etiche chiede di
tassare le transazioni finanziarie, combattere i paradisi fiscali e il sistema
bancario ombra.
«Cambiamo la finanza per cambiare l'Europa» è l'appello lanciato dalla
Federazione europea delle banche etiche e alternative - Febea, la rete di 25
istituti in 14 Paesi europei con oltre 500 mila tra soci e clienti. Un appello
indirizzato ai candidati alla Presidenza della Commissione e che chiede un
impegno su sei proposte chiave per «ricondurre la finanza al servizio del
bene comune».
La prima riguarda l'introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie
per contrastare speculazione ed eccessi quali il trading ad alta frequenza. Il
Parlamento ha votato a larga maggioranza per una sua introduzione, la
Commissione ha pubblicato ormai due anni fa un'ottima bozza di direttiva,
12 Paesi hanno avviato una procedura di cooperazione rafforzata per
accelerare i tempi. Eppure, unicamente a maggio del 2014 l'Ecofin sembra
avere dato un timido via libera, ancora con moltissime ombre su quali
saranno gli strumenti sottoposti a tassazione e su tempi e modalità di
introduzione.
La seconda verte sulla separazione tra banche commerciali e banche di
investimento. Una misura centrale anche secondo il rapporto Liikanen,
commissionato dalla stessa Ue per capire le priorità da affrontare e guidato
dal governatore della Banca Centrale finlandese. Una regola recentemente
reintrodotta negli Usa ma ancora in fase embrionale nel vecchio
continente. La terza chiede di riconoscere l'esistenza di diversi modelli
bancari, e della finanza etica in particolare, anche nell'applicazione
dell'accordo di Basilea III. Un accordo per ridurre il rischio e aumentare
quantità e qualità dei patrimoni bancari, ma duramente criticato anche
perché pensato a "taglia unica" su misura per i gruppi di maggiore
dimensione. Nel tradurre nell'Ue tale accordo (tramite la Direttiva Crd)
sarebbe possibile rimediare almeno in parte a tali storture.
La richiesta successiva è per un impegno maggiore nel contrasto ai
paradisi fiscali. Qualcosa è stato fatto negli ultimi anni, ma con tempi
spropositati rispetto a quelli con cui l'ingegneria finanziaria inventa nuovi
trucchi per eludere le poche regole in vigore. È necessario ribaltare
l'attuale approccio, non prendendosela con l'isoletta tropicale di turno ma
impedendo alle nostre imprese e banche di sfruttare le scappatoie esistenti.
Per questo servono una rendicontazione Paese per Paese dei bilanci e la
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Per leggere e firmare l'appello: www.bancaetica.it/blog/cambiamofinanzaper-cambiare-leuropa
La riproduzione di questo articolo è autorizzata a condizione che sia citata
la fonte: www.sbilanciamoci.info.
(fonte: Sbilanciamoci Info)
link:
http://www.sbilanciamoci.info/Sezioni/capitali/Sei-proposte-per-un-altrafinanza-24443
Questione di genere
Dimissioni in bianco, torna la legge. Ma altre tutele
si perdono (di Anna Rita Tinti)
Nel quadro del Jobs Act è stata inserita una nuova legge sulle dimissioni
in bianco che introduce metodi certi contro gli abusi, ma spazza via le
garanzie che tutelavano da altre forme di coercizione. Una proposta per far
fronte alle tante forme di scacco legate alle dimissioni volontarie.
La riforma della disciplina delle dimissioni: prevenire e semplificare?
Il ddl 1409, all’esame del Senato nel quadro al Jobs Act, è il disegno di
legge sulle modalità di risoluzione del contratto di lavoro per dimissioni
volontarie o risoluzione consensuale. Lo scopo del decreto è rendere
impossibile la pratica delle “dimissioni in bianco”: quelle che di solito
vengono fatte firmare alla lavoratrice o al lavoratore al momento della (e
come condizione per) la stipula del contratto. Dimissioni firmate in bianco
e poi esibite, aggiungendo la data, dal datore di lavoro nel momento in cui
vuole “liberarsi” senza limiti, costi e fastidi, del vincolo contrattuale con il
lavoratore. Il legislatore sceglie di prevenire: la lettera di dimissioni, o
l’atto di risoluzione consensuale del contratto, va redatta, a pena di nullità,
su un apposito modulo, provvisto di un codice alfa-numerico progressivo
che ne garantisca la data e la data non può essere anteriore di più di 15
giorni rispetto a quella delle dimissioni.
È giusto tenere alta l’attenzione su questo decreto e sollecitarne una rapida
approvazione, ma allo stesso tempo è utile avere uno sguardo critico e fare
attenzione ad alcuni aspetti del progetto per scongiurare soluzioni
precipitose più che rapide.
Il ddl, infatti, nell’apprezzabile intento di prevenire e semplificare,
trascina nell’abrogazione anche norme che hanno come finalità una tutela
più ampia e differenziata: perché le dimissioni in bianco non sono l’unico
modo per estorcere o condizionare la decisione di dimettersi, decisione
che inoltre potrebbe avvenire nella mancanza di consapevolezza dei propri
diritti, delle conseguenze e delle alternative possibili.
Non vi è alcun dubbio, quindi, sul fatto che il ricatto della firma in bianco
vada contrastato preventivamente. Introdurre il modulo a data certa in tutti
i casi di dimissioni e risoluzioni consensuali è necessario, razionale, e
coerente con una logica di semplificazione: corrisponde all’interesse di
lavoratrici e lavoratori a non subire un’umiliazione essendo per di più
gravati del difficile onere di dimostrarla; all’interesse dei datori di lavoro
onesti a non subire pratiche di concorrenza sleale; all’interesse di tutti a
diminuire il contenzioso.
Molti sono i dubbi, invece, sul fatto che tale intervento diventi l’occasione
per fare piazza pulita di tutte le norme di garanzia esistenti in materia di
dimissioni delle lavoratrici e dei lavoratori. Proverò a esporre tali dubbi,
partendo da ciò che esiste.
I precedenti e la disciplina vigente: cosa conservare e cosa no
La soluzione dei moduli con ordine progressivo e data certa riprende la
legge n. 188 approvata nel 2007 e abrogata l’anno successivo nel quadro
di una indiscriminata e strumentale operazione di “semplificazione”. C’è
una grande differenza però tra la legge del 2007 e l’attuale proposta: la
legge 188 si era ben guardata dal toccare una “storica” modalità di
controllo delle dimissioni che consisteva nell’obbligo di “convalida”
presso le Direzioni territoriali del lavoro. Una forma di garanzia
aggiuntiva nelle situazioni considerate a maggiore rischio di abusi [1]: per
le lavoratrici in occasione del matrimonio e di maternità, per i lavoratori,
dal 2001, in caso di fruizione del congedo di paternità. In entrambe le
circostanze, l’obbligo di convalida, corrispondendo a periodi in cui era
vietato licenziare, assumeva una funzione prevalentemente antielusiva nei
confronti di pressioni del datore di lavoro (anche nella forma delle
dimissioni in bianco o della pretesa della “clausola di nubilato”, ma non
solo) volte ad aggirare il divieto inducendo la lavoratrice a dimettersi.
Dopo la legge 188 è la volta della 92 del 2012, la cosiddetta “riforma
Fornero”, che interviene su questa materia in due direzioni:
- rafforzando la tutela preesistente connessa alla maternità/paternità e
imperniata sulla procedura di convalida
- introducendo una nuova disciplina di controllo per tutti gli altri casi di
dimissioni [2].
Il ddl in discussione in questi giorni abroga completamente la riforma
Fornero [3], facendo venir meno entrambe le procedure, quella antica e
rivisitata, e quella nuova.
La convalida delle dimissioni dei lavoratori genitori: non solo dimissioni
in bianco!
Per le dimissioni della lavoratrice madre e del lavoratore padre la legge 92
ha esteso l’obbligo di convalida fino al compimento del terzo anno di età
del figlio. La convalida assume così una funzione più ampia di quella
antidiscriminatoria e antielusiva del divieto di licenziamento, che resta
fermo al primo anno: si accentua il suo ruolo promozionale della fruizione
dei diritti di conciliazione dei tempi (non a caso i tre anni di vita del figlio
4
coincidono con il periodo del congedo parentale indennizzato); e si allarga
la garanzia al padre lavoratore in forma autonoma.
Le Direzioni territoriali del lavoro hanno consolidato una prassi per cui la
lavoratrice (il lavoratore) è invitata a convalidare le dimissioni in un
colloquio che prevede un ampio scambio di informazioni dai contenuti
predeterminati. Chi si dimette riceve tutte le informazioni sui diritti che si
mantengono e su quelli che si perdono, su congedi, permessi e riposi legati
alla genitorialità, nonché sulla possibilità di rivolgersi alla Consigliera di
parità. La conoscenza di queste informazioni permette alla lavoratrice di
prendere una decisione libera cioè pienamente consapevole, oltre che
corrispondente alla volontà. Allo stesso tempo, la persona che si sta
licenziando è a sua volta invitata a fornire informazioni: sulla propria
condizione genitoriale, sull’azienda e sul settore produttivo, sulle
caratteristiche del proprio contratto di lavoro e, soprattutto, sui motivi
della decisione assunta. Le informazioni fornite dalla lavoratrice, o dal
lavoratore, da una parte si inseriscono in un processo molto semplice di
istruttoria che porterà a convalidare o no le dimissioni, dall’altra vengono
trasmesse per l’elaborazione statistica alla Consigliera di parità
territorialmente competente e, a livello nazionale, al Ministero del lavoro
che, su questa materia, è tenuto a pubblicare una relazione annuale.
È evidente la polifunzionalità di questa procedura di convalida. Per la
lavoratrice madre (il lavoratore padre) si tratta del diritto a sospendere gli
effetti di una decisione delicata e importante assunta in un periodo ad alta
vulnerabilità, e a riformularla in campo neutro, lontano da
condizionamenti, verificando le eventuali alternative e potendo
coinvolgere una figura di garanzia. Per la collettività, i dati sulle convalide
delle dimissioni dei lavoratori genitori, oltre a descrivere l’andamento del
fenomeno, registrano lo stato di salute delle politiche di conciliazione dei
tempi di lavoro e di cura: ogni rinuncia al posto di lavoro motivata con
l’incompatibilità tra l’occupazione lavorativa e l’assistenza al figlio, con
l’assenza o il costo alto dei servizi, con l’indisponibilità di familiari di
supporto, con orari troppo rigidi e/o mancata concessione del part-time
(sono le motivazioni più frequentemente riferite, ma anche il dato sulle
dimissioni per cambiamento di attività, in crescita nel 2013, può
presentare una correlazione con le stesse esigenze) rappresenta una
denuncia dell’inefficienza di tali politiche e fornisce indicazioni sui
bisogni reali delle persone e sugli ambienti lavorativi più refrattari a
offrire risposte organizzative adeguate.
Questa procedura di convalida merita il discredito che è implicito nella
proposta della sua abrogazione? La risposta non è scontata né può essere
sbrigativa: non basta dire che l’esiguo numero delle mancate convalide, 52
nel 2013, ne dimostra l’inutilità. Certamente il funzionamento della
convalida nella prassi, dopo l’estensione operata dalla legge 92,
meriterebbe una verifica: per vedere quanto corrisponda alle più ampie
finalità implicite in quell’estensione; per valutare l’attendibilità dei dati
così raccolti; per capire se non ci siano situazioni che sfuggono alla
rilevazione statistica pur traendo beneficio dall’esistenza della procedura
[4]. Una ragione generale di metodo consiglia prudenza: una procedura di
garanzia, che copre uno spettro di situazioni e interessi più vasto rispetto
alla fattispecie identificata con l’espressione “dimissioni in bianco” non si
cancella se non sostituendola con una protezione equivalente e altrettanto
estesa. La procedura avrebbe piuttosto bisogno di manutenzione:
basterebbero linee guida adatte, per evitare l’affermarsi di prassi
burocratiche sbrigative e/o il consolidarsi di difformità territoriali troppo
marcate; per arricchire l’aspetto promozionale dei diritti di conciliazione
anche attraverso una formazione specifica dei funzionari e un più intenso e
stabile coinvolgimento delle Consigliere di parità; per migliorare la qualità
della rilevazione dei dati, in particolare facendo in modo che resti sempre
una traccia statistica dei “ripensamenti” e dando visibilità anche alle
motivazioni delle “mancate convalide”.
Dunque, se con l’introduzione del modulo che garantisce la data delle
dimissioni si previene la forma più subdola di ricatto occupazionale, non
si capisce perché la speciale procedura di convalida delle dimissioni per i
genitori lavoratori non debba (essere messa in grado di) continuare a
svolgere le altre diverse funzioni che la caratterizzano, e che andrebbero
piuttosto valorizzate.
potrebbero portare al ritiro delle dimissioni e della richiesta di convalida
senza tuttavia essere catalogati come “mancate convalide”
Il regime generale in materia di dimissioni: salvare il diritto di revoca.
(fonte: InGenere: donne e uomini per la società che cambia)
link:
http://www.ingenere.it/articoli/dimissioni-bianco-torna-la-legge-ma-altretutele-si-perdono
Per tutti i casi di dimissioni cui non si applica la procedura “speciale”
legata alla genitorialità la legge 92 ha introdotto una nuova disciplina che
generalizza il metodo della convalida. Ma l’estensione è più apparente che
reale. Si tratta infatti di una convalida “leggera” e senza istruttoria, da
svolgersi indifferentemente presso la Direzione territoriale del lavoro, o il
centro per l’impiego, o in sede sindacale. Inoltre questa procedura, che
consentirebbe al lavoratore almeno di manifestare la sua volontà davanti a
un soggetto terzo, ha poche probabilità di essere davvero praticata: perché
la legge permette al datore di lavoro di giocare comunque “in casa”
proponendo al lavoratore, in alternativa alla convalida, di confermare le
dimissioni sottoscrivendo la ricevuta di trasmissione telematica della
cessazione del rapporto di lavoro: con quale “libertà” da condizionamenti
è facile immaginare.
Un tassello di questa disciplina merita però attenzione. Si tratta del diritto
di revocare le dimissioni: sette giorni di tempo, nei quali il lavoratore può
convalidarle o contestarle come non autentiche, o anche solo revocarle,
cioè ripensarci e “tornare indietro” senza dover necessariamente
dimostrare di aver subito pressioni. Quella settimana realizza una tutela
circoscritta nel tempo, ma ampia quanto a situazioni coperte: dalla volontà
estorta (in qualsiasi forma), ad azioni di condizionamento/pressione al
limite della indimostrabilità, fino alla decisione avventata e al conseguente
ripensamento. E’ un “tempo di garanzia” che permette contatti esterni e
qualche riflessione. Peccato che sia di fatto azzerato quando la modalità
prescelta per la conferma delle dimissioni è la “sottoscrizione in calce”,
che consente al datore di lavoro di bruciare i tempi facendo
immediatamente sottoscrivere la ricevuta al lavoratore, “prima che ci
ripensi”: una firma in più, una semplice formalità, che il lavoratore
potrebbe certo posticipare di una settimana – ma nessuno controlla che sia
effettivamente messo in grado di farlo – adempiuta la quale la decisione
diventa irrevocabile.
Prima ancora che complicata, la disciplina, con le sue troppe opzioni, è
intrinsecamente contraddittoria e può essere abbandonata senza rimpianti.
Quasi per intero: perché il diritto di revocare le dimissioni, entro un breve
limite temporale – a maggior ragione se il modulo con data certa può
essere fornito dallo stesso datore di lavoro! – andrebbe invece, per le
ragioni appena dette, salvato e reso effettivo.
Queste riflessioni traggono spunto da una indagine in corso sulle
procedure di convalida delle dimissioni in alcune regioni italiane,
nell’ambito di una ricerca sul ruolo dei servizi ispettivi nel controllo della
legalità del lavoro, coordinata da Gisella De Simone (Un. di Genova). La
ricerca è inserita nel più ampio progetto Legal_frame_work – Lavoro e
legalità nella società dell’inclusione (PRIN 2010-2011), coordinatore
nazionale Donata Gottardi. Qui una versione estesa e più approfondita
dell'articolo tinti_su_ddl_dimissioni_.pdf
[1] L’obbligo di convalida risale al 1963 ed era stato successivamente
ripreso nel 2006 per il matrimonio, nel 1971 per maternità: dall’inizio
della gravidanza fino al compimento di un anno del figlio vita del figlio,
nel 2001 esteso anche ai papà che usufruiscono di congedo di paternità
[2] Ballestrero, La disciplina delle dimissioni: i mediocri frutti di una
buona intenzione, www.ingenere.it, 10/07/2012.
[3] Dimenticando – verosimilmente una svista – di disporre alcunché sulla
procedura di convalida delle dimissioni nel periodo in cui vige il divieto di
licenziamento per matrimonio, che resterebbe così, solitariamente, in
vigore.
[4] Mi riferisco ai casi di ripensamento sulla volontà di dimettersi che
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Stili di vita
«Siate eretici»: l'intervento di Don Ciotti al
Congresso Nazionale di Slow Food Italia (di Don
Luigi Ciotti)
Sono molto emozionato e vi porto tutta la mia amicizia […] Nell’invito
che mi avete mandato, Roberto Burdese ha scritto per me una frase che io
vi riconsegno e che voi conoscete molto bene: «Il sogno condiviso di un
sistema alimentare ispirato dai principi del buono, pulito e giusto».
Sì, c’è bisogno di giustizia, vi prego c’è bisogno di giustizia nel nostro
Paese e non solo: dobbiamo uscire anche dai nostri recinti, dobbiamo
guardare a questa mondialità, guardare alla vergogna della fame che
travolge milioni, miliardi di persone. In Italia il problema non è solo
l’insufficienza di giustizia, ma la scarsa perseveranza nel costruire
giustizia. I ragazzi che noi accogliamo al gruppo Abele arrivano con storie
pesanti e non ricevono 4 ore alla settimana in alternativa alla pena. Io non
voglio giudicare nessuno, ma c’è bisogno di giustizia nel nostro Paese,
una giustizia che deve essere costruita. Da anni in Italia c’è una guerra
silenziosa, che non è combattuta con le armi militari, ma con quelle
economiche. È questa la guerra silenziosa che sta avvenendo nel mondo. È
in atto un gigante furto di lavoro, di giustizia e di speranza. Bisogna
guardare alle nostre realtà, ma essere anche un po’ strabici e rivolgerci
oltre per fermare questa guerra che sta assassinando la speranza di milioni
di persone. Per ogni minuto che passa, la spesa militare nel mondo è
uguale a 3.000.000 $, e non ci sono i soldi per la giustizia e la dignità delle
persone. Abbiamo bisogno di giustizia. Ci sono 9.000.000 di persone in
povertà relativa in Italia, 5.000.000 in povertà assoluta, ma tra chi ha perso
lavoro, chi cerca lavoro, chi vive forme di precariato, chi è in cassa
integrazione, chi è sfruttato, noi abbiamo 7.000.000 di persone nel nostro
Paese, che vivono il disagio lavorativo. Non è possibile, e la cosa che
ancora di più mi sconcerta, è che mentre noi sediamo al tavolo delle
grandi potenze, l’Italia ha 6.000.000 di persone analfabete […]. Noi siamo
qui per riflettere insieme, per unire i nostri pensieri, le nostre esperienze, i
nostri vissuti, perché abbiamo bisogno di giustizia, di dignità, di lavoro. E
il vostro grido è un grido di dignità per voi e anche per quelli che fanno
più fatica. L’Italia è tra i primi posti tra i paesi europei per la corruzione
pubblica e non riusciamo ad avere una legge completa di contrasto alla
corruzione, la stessa che l’Europa ci chiede dal 1999. La corruzione è una
ferita dentro di noi, non è un problema marginale: inquina l’economia e la
politica. Deve farci stare male questa situazione.
Gli affari sporchi delle mafie interessano ormai tutta la filiera
agroalimentare e con sofferenza vi devo dire che le mafie sono tornate
forti. Questo non deve farci dimenticare la stima e la riconoscenza per
quel coraggio e quell’impegno di molti segmenti della magistratura e delle
forze di polizia, delle istituzioni, non deve farci dimenticare quella
positività che anche insieme abbiamo costruito sui beni confiscati. Le
sottolineo queste positività che danno dignità e speranza, ma devo
ricordare che negli ultimi 20 anni in cui abbiamo lavorato insieme per fare
crescere la legalità, è cresciuta di più l’illegalità nel nostro Paese. Già
perché non è sufficiente quello che facciamo quando dall’altra parte c’è
chi ha fatto leggi ad personam, quando non si fanno leggi come si
dovrebbe, quando non riusciamo ad avere una legge sulla corruzione
adeguata, quando da 21 anni chiediamo una legge che metta nel codice
penale i reati contro l’ambiente e non riusciamo ancora a ottenerla, perché
i venti contrari, gli interessi contrari ci sono e sono puntuali. Le mafie
sono ritornate forti, ve lo dico con estrema cognizione di causa, ma anche
con tanta fatica. Hanno tanto denaro liquido in questo momento di grande
crisi e comprano, investono, acquistano loro i terreni. Partono proprio
dall’acquisto dei terreni e compongono tutta la filiera, fino ad arrivare ai
centri commerciali. Matteo Denaro Messina aveva una percentuale alta in
una catena di supermercati Italia ed è latitante da parecchi anni. La mafia
ce la troviamo sulle nostre tavole, 34 ristoranti e pizzerie a Roma
sequestrati dalla magistratura perché in mano all’ndrangheta calabrese.
[…].
C’è una violenza in guanti bianchi, una violenza anonima, del denaro che
circola solo per produrre dell’altro denaro uccidendo il lavoro di tante
persone. Le mafie prestano denaro attraverso pseudo società finanziarie a
piccole-medie imprese in difficoltà, sono forme di usura. E in questo
momento di fatica di tanta gente, inconsapevolmente molti vengono
strangolati in questa situazione, ma il grande dato è la mafiosità. C’è una
mafiosità diffusa che è il vero patrimonio delle mafie e dei corrotti, prima
ancora del patrimonio economico e non sono io a dirlo, ma lo ha affermato
in una sua relazione un paio di anni addietro la Banca d’Italia: questi
personaggi mafiosi “siedono nei consigli di amministrazione di Enti
pubblici”. Allora amici vi esorto nella gratitudine delle cose cha abbiamo
costruito in questi anni insieme, quella raccolta di firme, 1.000.000, per
sottrarre ai mafiosi i patrimoni e restituirli alla collettività, ci siamo
inventati insieme le cooperative sui beni confiscati. Oggi la legge deve
cambiare. Questi anni hanno permesso di vedere le ombre, i ritardi, la
burocrazia del sistema, ma nonostante questo abbiamo costruito insieme
qualcosa. Io ricordo la prima pasta che faceva schifo, era scotta, biologica,
ma scotta e il primo vino diciamo che era buono per non umiliare i
ragazzi. Poi siete arrivati voi con la vostra competenza e professionalità e
poi sono arrivati gli altri amici, Cia e Coldiretti, perché bisogna stare
insieme perché quello è un nemico, la mafia è un nemico.
E allora è stato tutto possibile. Il vino oggi è buono e in quel vino c’è
anche un pezzo di voi, di chi si è messo in gioco per dare una mano. E lo
so che è una piccola cosa quella che abbiamo fatto, quanto di più si
potrebbe fare qui e altrove. E abbiamo lavorato perché qui e in Europa,
dove l’ultimo dato parla di 3600 organizzazioni criminali, ci sia una
direttiva di confisca dei beni a livello europeo e la restituzione alla
collettività. Prepariamoci dunque a dare una mano in territori più difficili
sparsi per il mondo, per accompagnarli ricchi di questa esperienza, con i
nostri limiti e le nostre fatiche, ma coscienti del fatto che insieme è
possibile. Le mafie non rimangono in silenzio e proprio in questi giorni
c’è rappresaglia, dopo che il Papa ha voluto ricevere e sentire quei nomi
incessanti di tutti i familiari delle vittime di mafia, ma se siamo uniti è il
bene che vince, non vince il male e non vince la violenza e chi copre le
mafie, perché i mafiosi sono nessuno. La mafia è forte, ma la forza della
mafia non è dentro, ma sta fuori dalla mafia. Libera è in tutti i processi
come costituzione di parte civile contro la famiglia di Matteo Denaro
Messina, nel processo stato e mafia, siamo in tutti i processi contro le slot
machine che mafia e camorra gestiscono. Siamo cittadini che mettono la
loro faccia. Vi prego non chiamiamoci più società civile perché è come
l’acqua bagnata, chiamiamoci società responsabile perché non si può
essere cittadini a intermittenza, come sono tanti. E non facciamo come
quelli che si commuovono per Lampedusa e poi non si vedono più, perché
non basta commuoversi, ma bisogna muoversi di più tutti.
Allora non rassegniamoci a questa convivenza, non rimaniamo a guardare,
dobbiamo ribellarci all’impotenza per fare in modo che a esser normale
non sia l’illegalità e la corruzione, le mafie e la furbizia, ma che a
diventare normale con l’impegno di tutti, sia la trasparenza. Io credo che si
debba sempre distinguere per non confondere, che è importante
valorizzare quanti nei vari ambiti sono onesti, puliti e trasparenti. Anche in
politica c’è della bella gente che ci crede e s’impegna, pertanto bisogna
evitare le facili generalizzazioni che ogni tanto si sentono, perché è il
sistema che deve cambiare. Ovvio ci sono anche i lazzaroni che magari
vanno a occupare il Ministero dell’Interno. Lasciatemi dire quello che
diceva Giuseppe Dossetti, uno dei padri della Costituzione italiana e poi
monaco, chiuso a Montesole nel silenzio della parola e che quando ha
visto che qualcuno voleva mettere in discussione la Costituzione, sempre
da monaco ha ripreso la parola dicendo: «che senza il rinnovamento
profondo e radicale e delle coscienze e delle persone responsabili della
vita amministrativa e politica, il rinnovamento sarà più apparente che
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reale».
È la responsabilità la spina dorsale della democrazia e della nostra
Costituzione e la nostra Costituzione è fondata sull’etica della
responsabilità. E la prima parte della Costituzione non deve essere
cambiata, ma attuata. E allora la responsabilità è un sentimento morale che
nasce dal rapporto vivo con la propria coscienza. Cedere la propria
responsabilità è rinunciare alla nostra libertà. Siamo chiamati oggi più che
mai tutti a scelte coraggiose. Il coraggio di fare scelte anche scomode e di
rifiutare i compromessi. Bisogna prendere posizione e decidere ancora più
oggi da che parte stare. Dobbiamo uscire dai nostri recinti. Cito le parole
di Papa Francesco nel documento che ha mandato per la Giornata
mondiale della pace il 1° gennaio, e i contenuti della telefonata che poi ha
avuto con Carlo Petrini. In quella telefonata al di là dei riferimenti che qua
ognuno rappresenta c’eravate anche voi, il vostro impegno, le vostre scelte
che hanno permesso di graffiare la coscienza di tanta gente nell’arco di
questi anni. E il Papa in quel documento parla della natura, dell’ambiente,
dell’agricoltura, cioè parla di voi quando dice: «la fraternità aiuta a
custodire e coltivare la natura in particolare il settore agricolo e il settore
produttivo primario con la vitale vocazione di coltivare e custodire le
risorse naturali per nutrire l’umanità». Allora qui dobbiamo uscire, sui
nostri orti, sui lavori meravigliosi fatti sui beni confiscati e non
dimentichiamo che è proprio l’umiltà la derivazione della parola humus
che vuol dire terra. Essere umili vuol dire terra. La terra ci invita a essere
persone umili. Io credo che sia giusto riconoscere il bene che c’è introno a
noi per valorizzarlo e promuoverlo. Io sono nato in montagna a Pieve di
Cadore e in posti così ami la natura, non puoi non amarla, il bisogno di
quella dignità, di quelle vacche. Ci siamo incontrati di recente con gli
amici della Coldiretti del Piemonte che ci hanno proposto le asine per il
latte, perché abbiamo bisogno di dare dignità al lavoro dei ragazzi. E
allora stiamo insieme con la capacità di riconoscere il bene che c’è attorno
a noi per valorizzarlo, promuoverlo e sostenerlo. Anche voi siete un segno
concreto di questo bene a partire de quella meraviglia di Terra Madre,
perché la terra è la madre che ci dice che cosa è la speranza. C’è un grande
bisogno di speranza e noi dobbiamo essere un segno di speranza curando
tra noi alleanze e fiducia, stupore e accoglienza reciproca. Speranza è la
consapevolezza che solo unendo le forze degli onesti la richiesta di
cambiamento diventa forza di cambiamento.
Vi auguro di essere eretici perché eresia dal greco significa scelta. Eretico
è la persona che sceglie. L’eretico è colui che più della verità ama la
ricerca della verità. L’eresia dei fatti prima di quella delle parole. L’eresia
che sta nell’etica prima che nei discorsi. L’eresia della coerenza, del
coraggio, della gratuità, della responsabilità, dell’impegno. Oggi è eretico
chi mette la propria libertà al servizio degli altri, chi impegna la propria
libertà per chi ancora libero non è. Eretico è colui che non si accontenta
dei saperi di seconda mano, chi studia chi approfondisce chi si mette in
gioco in quello che fa chi crede che solo nel “noi” l’”io” possa trovare una
realizzazione. Chi si ribella al sonno delle coscienze, chi non si rassegna
alle ingiustizie, chi non pensa che la povertà sia una fatalità. Chi non cede
alla tentazione del cinismo e dell’indifferenza che sono le malattie
spirituali della nostra epoca.
Trascrizione dell'intervento di Don Luigi Ciotti il 10/05/2014 al Congresso
di Slow Food Italia
(fonte: Slow Food)
link:
http://www.slowfood.it/sloweb/ac4162cfdfe93d527f9ef2cc1b81da8a/siateeretici-lintervento-di-don-ciotti-al-congresso-nazionale-di-slow-food-italia
Notizie dal mondo
Europa
Dalle rovine della seconda guerra
all'Europa (di Francesco Maria Feltri)
mondiale
Vorrei subito precisare che in questi ultimi anni, a seguito dell'imminente
ingresso nell'Unione Europea di numerosi paesi dell'Est, ci si è resi conto
che l'Europa è una realtà molto più ampia e complessa di quella che
solitamente noi pensiamo sia. Il termine Europa evoca in noi istintivamente - l'Europa Occidentale; in realtà i lituani sono fierissimi nel
dire che il centro geografico dell'Europa passa da loro, perché, in effetti,
c'è l'immenso spazio russo che sposta notevolmente l'Europa verso Est. Da
più parti, soggetti diversi, da Gorbaciov a Giovanni Paolo II° amavano
dire che l'Europa va dall'Atlantico agli Urali.
Oggi non abbiamo il tempo di occuparci di tutta l'Europa, cercheremo
allora di occuparci solo di quella parte che, nel dopoguerra, ha dovuto
risolvere problemi particolari, tra cui la ricostruzione e il confronto con
l'altra metà dell'Europa, quella passata sotto il dominio sovietico, trovando
fra altre soluzioni possibili quella della Comunità Europea, evolutasi
gradualmente in Unione Europea.
Vorrei suddividere il mio intervento in tre capitoli, il primo dei quali è una
rapida introduzione di tipo terminologico, vale a dire quali sono alcuni
problemi che attraversano tutto il '900 e che oggi si ripropongono in forma
nuova, ma che hanno la loro origine all'inizio del '900. Concentreremo poi
la nostra attenzione sugli anni decisivi compresi tra il 1920, il 1925, il
1933, con l'arco della Germania nazista fino alla guerra e infine porremo
la nostra attenzione sul tema della ricostruzione.
Partiamo da come si presenta il sistema degli Stati europei all'inizio del
'900: innanzitutto esso si caratterizza per due elementi importanti. Nel
campo della politica estera l'elemento principale è il cosiddetto Statonazione; a dire la verità vi sono ancora degli imperi multinazionali, quali
l'impero austriaco, l'austro-ungarico, quello tedesco che domina mezza
Polonia, l'impero russo e l'impero turco; tuttavia la maggioranza degli
Stati sta orientandosi verso una sorta di equilibrio tra i confini di uno Stato
e la lingua e la cultura della popolazione che vive entro quei confini, nel
tentativo di renderli sovrapponibili. Cioè i confini dello Stato in cui
abitano i francesi, si cerca di farli coincidere con i confini e con lo spazio
abitato dai francesi, in modo che le due cose siano equivalenti.
In ogni caso, l'elemento caratteristico è poi il fatto che l'Europa ha più
centri, nel senso che vi sono varie potenze che animano lo scenario
politico europeo e non c'è un'unica potenza egemone. Se da questo
scenario andiamo a vedere i problemi dei singoli Stati, ci accorgiamo che i
problemi sono fondamentalmente due: il primo è una importantissima
carenza di democrazia. Per quanto sembri strano la democrazia è una
conquista recente; in Italia, fino al 1913, non solo le donne sono
completamente escluse dal voto, ma votano praticamente le persone con
un reddito elevato, per cui, all'inizio del '900, la democrazia è una realtà
che non c'è in Inghilterra, non c'è in Francia, non c'è in Italia, per cui le
classi popolari, di fatto, sono escluse dalla partecipazione vera della
gestione dello Stato. Oltretutto dobbiamo anche ricordare che tendenzialmente - lo stato dell'inizio '900 (modello Inghilterra, ma vale un
po' per tutti) segue ancora un modello liberista: questo vuol dire che lo
Stato si disinteressa della situazione economica.
Il postulato è che la macchina economica è un meccanismo autonomo, che
si regola da solo sulla base della legge della domanda e dell'offerta; questo
provoca periodicamente gravissime situazioni per le fasce più deboli della
popolazione che, in caso di crisi, non hanno alcuna protezione in quanto lo
Stato si disinteressa completamente dei disoccupati.
In una situazione di questo genere non meraviglia che i movimenti
socialisti puntino il dito verso questo stato che chiamano "borghese",
perché non è lo stato di tutti, ma è lo stato dei ricchi, tanto è vero che
quando c'è lo sciopero arriva l'esercito e quando c'è la crisi
nell'occupazione lo stesso stato sostiene di non avere niente a che fare con
quel problema. Si capisce allora come i socialisti - in tutta Europa 7
abbiano ottimi motivi per puntare il dito verso l'ipocrisia di questo
sistema, che comunque crolla da solo con la prima guerra mondiale, con lo
scoppio di una serie di incidenti (forse questa guerra non la voleva
nessuno), l'Europa sprofonda in una catastrofe ed esce dalla prima guerra
mondiale (questo non ve lo dovete mai dimenticare) ancora più a pezzi
che dalla seconda guerra mondiale.
I problemi che l'Europa e il mondo intero devono risolvere nel '19, sono
infinitamente più pesanti se non altro perché nel '45 c'era un precedente
positivo o negativo, che portava a dire che in una certa maniera le cose anche in precedenza - non avevano funzionato.
Dopo il 1918 era stata tentata la Società delle Nazioni e si era visto che
non funzionava come grande organismo di regolamentazione dei conflitti
internazionali. Le nuove Nazioni Unite non funzioneranno, però cercano
di fare tesoro di quello che la Società delle Nazioni aveva perduto; la
stessa cosa a livello economico, in particolare balzerà subito agli occhi la
più clamorosa delle differenze: se la scelta che venne fatta nel '19 fu quella
di penalizzare, punire e umiliare il principale nemico sconfitto, cioè la
Germania, nel 1945, viceversa, i tre grandi Paesi sconfitti (Italia,
Germania e Giappone) sono in ogni modo sostenuti dai vincitori; Stati
Uniti in primo luogo.
Come si vede, una strategia di segno completamente diverso che fa tesoro
dell'errore compiuto in precedenza. La prima guerra mondiale è
importantissima per vari motivi, ma il dato più inquietante è forse il fatto
che mette in scena le masse: ci si accorge che la società moderna è una
società di massa, anche se qualcosa era già cominciato con le dimensioni
delle industrie sempre più grandi, ma per l'Italia, il più banale degli
esempi, che si era di fronte ad una realtà di massa è con la ritirata di
Caporetto, quando eserciti della prima guerra mondiale hanno coinvolto
milioni di soldati.
A Caporetto, nel momento più critico, l'esercito italiano, cioè lo Stato con
messaggi di vario tipo (teniamo presenti che all'epoca molti soldati erano
analfabeti) promise che se la guerra fosse stata vinta, ci sarebbero stati dei
miglioramenti sociali.
In sostanza, lo Stato si rende conto che, se vuole continuare a
sopravvivere, ha bisogno del consenso delle masse, ma si potrebbe anche
dire che, subito dopo la guerra, le masse fanno paura, perché hanno fatto
una rivoluzione, fanno paura perché occupano le terre, a Torino occupano
le fabbriche. Si può allora dire che il fascismo è simultaneamente due
cose: innanzitutto, sostenuto dai grandi industriali e da tante altre forze nel
tentativo di bloccare l'ascesa delle masse, ma nello stesso tempo come
tentativo di governare, perché il fascismo - come il nazionalsocialismo vogliono essere regimi di massa. Le masse non devono essere
protagoniste, la democrazia viene disprezzata e cancellata, però ci si rende
conto che le masse sono un soggetto importante, non si può far finta che
esse non siano presenti sullo scenario politico e sociale; ecco che le masse
vengono costantemente mobilitate in grandi raduni, in grandi
organizzazioni giovanili e grandi organizzazioni di dopolavoro.
Con una strategia tutta sua, che negava in sè i principi stessi della
democrazia, il fascismo e il nazismo si sono posti seriamente il problema
delle masse. In particolare, il discorso vale per la Germania, non solo
perché le liturgie di massa negli stadi sono state particolarmente raffinate,
ma anche perché la realtà sociale che porta il nazionalsocialismo al potere
è di segno particolare. Non dobbiamo mai dimenticare che la Germania
subisce e vive negli anni '20-30 due realtà drammatiche: nel 1923 una
inflazione devastante per cui un uovo finisce per costare una cifra assurda,
a indicare che la moneta è morta. Una immagine che colpisce molto è
quella di un signore che deve rinnovare la tappezzeria del proprio salotto
e, per farlo, usa le banconote da dieci marchi anziché la carta da parati.
Chi aveva qualche risparmio in banca si è ritrovato carta straccia, chi
aveva beni immobili si è ritrovato - speculando - con grandi fortune.
Ancora più importante è da segnalare l'esperienza americana, cioè la realtà
della grande crisi del '29. E' questa una esperienza centrale nella storia del
'900, intorno alla quale vorrei insistere, perché è da lì che nascono
tantissimi elementi importanti. Il dato più elementare è che il mercato si
blocca, il potere d'acquisto - soprattutto dei contadini americani - si ferma,
nessuno più compra e quindi le fabbriche americane non sanno più a chi
vendere automobili, vestiti, beni di consumo... Allora, il significato storico
del New Deal di F. D. Roosevelt consisterà nello scoprire che il sistema
capitalistico, se può essere rilanciato, potrà essere fatto solo con il
sostegno e l'aiuto dello Stato; il mercato è finito, il mercato è un feticcio,
non è vero che da solo è vita, ha anima, è capace di far funzionare
l'economia, perché si tocca con mano che il mercato si è completamente
bloccato.
Il significato storico del New Deal consiste nell'aver assunto le opere
pubbliche come grande strada da percorrere: la diga sul Tennessee diventa
simbolo del new deal, il che vuol dire che migliaia e migliaia di persone
percepiscono di nuovo un salario, hanno un potere d'acquisto, possono di
nuovo comprare e, faticosamente, il meccanismo riparte. Questo significa
che lo Stato si accorge che non può ignorare i suoi cittadini ed è lo stesso
modello capitalista che richiede questo intervento dall'esterno.
In Germania il discorso sarà doppiamente vero: il primo elemento che
dobbiamo ricordare sono i voti del partito nazista che crescono in modo
direttamente proporzionale ai disoccupati: in USA sono diciassette
milioni, in Germania arrivano a sei milioni, nel 1932. Man mano che
vediamo - tra il '30 e il '32 - crescere il grafico dei disoccupati, alle varie
elezioni cresce il grafico dei voti del partito nazista. E' ovvio che gli operai
tedeschi e non solo loro, sono disperati e, in questo contesto, c'è da
osservare che simultaneamente cresce il grafico dei voti comunisti, per cui
c'è una forbice terrificante e in mezzo, la democrazia è considerata
qualcosa di inutile, di assolutamente incapace di risolvere i problemi del
cittadino tedesco comune. Tuttavia la maggioranza dei voti in un contesto
in cui la volontà di ritornare grandi come grande potenza tedesca è molto
importante, indirizzerà il trentasette per cento dei voti sul partito nazista
nel '32 e porterà Hitler al potere.
Qui dobbiamo avere molto chiara una strategia economica di Hitler: una
strategia lucida e il primo concetto importante che mi devo sforzare di far
comprendere ai miei studenti, è che Hitler non è un pazzo, Hitler ha una
strategia, ma anche le idee di un razzismo esasperato, che lo porteranno a
compiere uno dei più efferati crimini della storia, ma Hitler ha un progetto
preciso nel quale singoli elementi, con una grande volta, si tengono l'uno
con l'altro e permettono la costruzione di un edificio compatto e
saldissimo. La prima strategia consisterà nell'organizzare - di nuovo - il
riarmo della Germania: è l'equivalente della diga del Tennesse e
l'intervento dello Stato nell'economia, sotto forma di commesse, ha fin
dall'inizio - come obiettivo - la guerra, perché nella concezione di Hitler
l'espansionismo tedesco è parte integrante e il fine del suo progetto.
Una volta che abbiamo tenuto presente questa meta finale, venata di
razzismo potenzialmente genocida, dobbiamo metterci dal punto di vista
di un tedesco comune, a due livelli.
Il primo livello: pensate a un disoccupato berlinese o di qualunque altro
grande centro industriale che chiede a chiunque uno straccio di lavoro e
dappertutto questo gli è negato, immaginate cosa succede a questa persona
se un amico lo porta a un raduno nazista: si sentirà caricare in modo
appassionato ed entusiasmante, tanto da non sentirsi più l'ultima ruota del
carro, ma di appartenere ad un popolo dal grande destino purché segua il
Fuehrer e testimonianze numerosissime, anche dall'interno del mondo
cattolico, dicono che il braccio scattava automaticamente in fuori in segno
di adesione. Nei grandi raduni di massa, quando Hitler visitava una città,
la gente, (e ripeto anche tanti cattolici) chi più, chi meno, pur
problematicamente, con pentimento a posteriori, ha aderito perché Hitler
ha galvanizzato e dato speranza ad un popolo disperato.
Il secondo elemento importante: le promesse di Hitler non sono
menzogne, nel 1933 vi sono sei milioni di disoccupati, due anni dopo la
disoccupazione è già ridotta a un milione, nel 1939 si importa manodopera
dalla Polonia e c'è piena occupazione. Ci sono una serie di filmati a colori
che venivano proiettati nei cinegiornali prima dei film, che mostrano
operai al lavoro, che per la prima volta in vita loro hanno le ferie pagate in
crociera. Quindi migliaia di tedeschi che hanno guardato a Hitler come al
loro salvatore.
Questo è un aspetto che bisogna riconoscere, ma dobbiamo capire in modo
corretto che in Germania, il nazionalsocialismo ha goduto di un favore, di
un fascino formidabile e dobbiamo essere consapevoli che essere nazisti
era straordinariamente bello; se non abbiamo chiaro questo, credo che del
nazismo non capiamo nulla: ecco perché sono spesso fuorvianti i paralleli
che la sinistra troppo spesso fa - per motivi politici - tra Pinochet e Hitler.
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Non c'è paragone, perché Pinochet vuole semplicemente che gli operai che
hanno nazionalizzato le miniere di rame stiano zitti e pensino a lavorare e
immettano profitti nelle casse dello Stato e delle grandi multinazionali
americane. A Pinochet non interessa essere amato dal popolo, in Hitler c'è
il desiderio di captare consenso in un regime totalitario di massa.
A questo punto, siamo nel 1939, abbiamo dei balzi formidabili e, quando
Hitler invade la Polonia, la sconfigge in un mese, l'anno dopo invade la
Francia e, in due mesi, la guerra è vinta e, persino qualche generale, che
nutriva qualche perplessità nei confronti di Hitler, non oserà più dire nulla.
Qui mi riallaccio a quanto detto nell'introduzione, laddove si parla di
Resistenza: per l'Italia è vero, non lo è per la Germania o meglio, la
cosiddetta altra Germania, in cui sono pochissimi i personaggi nascosti
nell'emigrazione all'estero e la Germania uscirà dalla guerra con un serio
problema, quello che lì la resistenza di massa non c'è stata: quel poco che
c'è stato sono complotti di militari che il 20 luglio 1944 cercano di mettere
una bomba, quando ci si accorge che la guerra è ormai persa. Infatti era
già avvenuto lo sbarco in Normandia e la grande offensiva sovietica sul
fronte orientale.
Se mi permettete un parallelo un po' polemico e audace, è come dire che
Vittorio Emanuele II' è il leader della resistenza solo perché quando gli
americani sono in Sicilia si rende conto che se va avanti così perde il trono
e perde tutto, cosa che poi avverrà, però il suo tentativo del 25 luglio di
abbattere Mussolini, è nato dal rendersi conto che la guerra è persa e
seguire Mussolini significa togliere l'ultima possibilità di sopravvivenza
per la monarchia.
Dunque la Germania si avvia alla guerra e, pur con un po' di esagerazione,
possiamo dire che gli anni '40-44 vedono effettivamente un primo grande
progetto di unione Europea, tanto è vero che è chiamato dai tedeschi
"nuovo ordine europeo". Un progetto in cui si crea una grande area che
(siamo nel 1943) va dai Pirenei fino al Volga, tutto, ad eccezione della
Svizzera, è occupato dall'esercito tedesco e, (non c'era ancora stata la
disfatta di Stalingrado), i nazisti già progettano come riorganizzare
quest'area, il genocidio degli ebrei fa parte di questa estrema pulizia
razziale, poi si progetta la sterilizzazione degli slavi perché si dovrà
decidere se e quanti dovranno essere utilizzati come schiavi alla
produzione economica tedesca e poi i danesi, i belgi, gli olandesi,
considerati più ariani che verrebbero messi ad un livello più alto della
gerarchia e, via via, fino ai francesi, agli italiani, per arrivare ai serbi,
polacchi, russi, che sono invece gli scarti.
Quindi c'è un progetto di Unione Europea, che però non ha niente a che
vedere con quello che sarebbe arrivato dopo e che nascerà come risposta
morale e politica ai disastri della seconda guerra mondiale.
A questo punto vediamo come esce l'Europa dalla guerra. Innanzitutto è
inutile ricordare i disastri materiali, anche se dobbiamo tenere presente che
una delle differenze radicali che distingue la prima dalla seconda guerra
mondiale è che l'epicentro della prima è a Ovest, mentre l'epicentro della
seconda è a Est; è il fronte occidentale che decide la vittoria e la sconfitta
della Germania nel 1914: lì ha vinto, l'esercito russo si è arreso, Lenin
firma la pace, ma poiché la guerra sul fronte occidentale non viene vinta, il
risultato sarà la disfatta. Viceversa non dobbiamo dimenticare che
l'epicentro della seconda guerra mondiale è a Est, quindi maggior numero
di morti: non sappiamo quanti sono stati, si può ipotizzare una cifra di
circa cinquantacinque milioni e oggi molti storici arrivano a ipotizzare che
ventisette milioni di questi cinquantacinque erano cittadini sovietici
(ucraini, estoni o lettoni) la maggioranza sono civili, caduti per la violenza
e la brutalità con cui la guerra si è scatenata sul fronte orientale.
Questo però è un asso nella manica per l'Occidente, perché vuol dire che
l'Occidente esce dalla guerra molto meno devastato di quanto a volte
pensiamo. Sono le città tedesche che sono rase al suolo, è l'Est che è raso
al suolo: Varsavia viene distrutta tre volte durante la guerra, una prima
volta bombardata dai tedeschi nel 1939, il ghetto viene raso al suolo nel
'43 e quando i polacchi tentano l'insurrezione nazionalista nel '44, c'è la
distruzione totale. Lo stesso scenario di distruzione lo troviamo a
Stalingrado dopo sei mesi di combattimenti, lo troviamo a Berlino, a
Dresda e in altre città tedesche, ma Parigi esce intatta, così come Roma e
Milano non finiscono in un totale cumulo di macerie.
I principali impianti industriali francesi e italiani non devono ricominciare
da zero, quindi questa è una differenza importante rispetto all'Est Europa,
comunque la differenza importante fra Est e Ovest riguarda l'esercito che
materialmente ha operato la liberazione. I polacchi non vogliono questo
termine, si rifiutano di usare la parola "liberazione" per l'arrivo dei
sovietici a Varsavia, a Cracovia e in altre loro città perché una metà del
loro Stato era già stato occupato nel '39, nel '45 hanno occupato anche
l'altra metà. Voi capite che il punto di vista di quali sono i diversi modi di
guardare la memoria del passato sta emergendo clamorosamente. La stessa
cosa vale per i lituani, i lettoni e gli stessi ucraini vivono questa esperienza
del rapporto con il passato, ma i polacchi la vivono in termini
estremamente drammatici.
Così come lo vivono in termini molto diversi, rispetto agli italiani, i
tedeschi; dobbiamo ricordare che, quando gli americani arrivano dalla
Normandia, una delle prime città tedesche che investono è Acquisgrana, i
combattimenti sono violenti, ma una volta che la forza armata tedesca si
arrende, la popolazione - immediatamente - instaura ottimi rapporti con gli
americani e guarda a loro come a degli ex-nemici.
In Germania Orientale la realtà è completamente diversa: in quel versante
i tedeschi vivono una esperienza di fine guerra assolutamente traumatica,
in primo luogo sul piano dei confini. Guardate dove è Berlino oggi,
guardate su una cartina storica dove era Berlino nel 1939: lì c'è tutta la
Prussia Orientale, metà circa della Polonia attuale che viene schiacciata
verso occidente.
Una delle prime importanti dichiarazioni che fece il cancelliere Kohl,
all'indomani dell'unificazione, fu di non avere nessuna rivendicazione al di
là della linea Oder-Neisse, cosa accolta con sollievo da tutti, perché voleva
dire accettare - nel bene e nel male - la lezione della storia e voleva dire
tappare la bocca ai profughi ultranazionalisti (e spesso nazisti) che
avrebbero voluto almeno risarcimenti economici, se non addirittura il
ritorno ai confini del 1939.
Voi capite che queste sono questioni legatissime alla geopolitica
dell'Europa, che affondano le loro radici in quelle che chiamiamo le rovine
della guerra. Inoltre c'è da tener presente che l'arrivo dell'armata rossa
comporta la violenza su almeno un milione di donne tedesche: tutte le
donne berlinesi tra i dodici e i sessantacinque anni sono state violentate e
queste sono cose che pesano nella memoria. Altra cosa importante è che
nel 1990, a unificazione tedesca avvenuta, si decide a Berlino - dove fu
firmata la pace - di costruire un grande Museo della Memoria. Per quanto
riguarda la Shoà ormai c'è una ammissione autocritica, se poi andiamo a
toccare il nervo scoperto della guerra sul fronte orientale, la situazione è
tuttora estremamente variegata.
Questa la situazione presente un po' dappertutto nel 1945 e i problemi
sono di ordine economico e di ordine politico. Partiamo dal discorso
politico: in Italia c'è stato il dato importante della Resistenza, anche se non
dobbiamo esagerarne il ruolo, che ha avuto un'ampia partecipazione di
massa. E' la prima volta che contadini e operai, in tutte le zone,
specialmente in Lombardia, Piemonte e, soprattutto, in Emilia, danno un
contributo significativo di partecipazione e comunque in forma
grandemente superiore rispetto a quanto accaduto durante la prima guerra
mondiale, quando ad arruolarsi sono stati gli studenti, mentre i contadini
hanno accettato la guerra così come si accetta la grandine; c'è comunque
una assunzione di consapevolezza politica e questo vuol dire che la nuova
Costituzione Repubblicana non può far finta di ignorare queste spinte e
così abbiamo una delle costituzioni più democratiche di tutta Europa, nella
cui elaborazione si è speso moltissimo Giuseppe Dossetti, la cui figura e il
cui ruolo è ancora troppo poco conosciuto per quanto riguarda la stesura
materiale del testo della Costituzione nella quale il concetto più
importante è appunto quello che una costituzione vale e regge nel tempo
se si trovano punti di mediazione condivisi da tutti. La grandezza di
Dossetti fu quella di trovare il punto di incontro in cui si potevano
confrontare laici, comunisti e cattolici, ciascuno con la propria peculiarità.
Per quello che riguarda la nascita graduale di aggregazioni a livello
europeo, abbiamo innanzitutto un elemento importante da mettere a fuoco:
l'Est e l'Ovest sono due realtà diverse e l'Est è sotto la dominazione
comunista, la Germania a sua volta è divisa e a questo punto tutti si
rendono conto che è indispensabile - se si vuole evitare un'ulteriore
espansione dell'Unione Sovietica - integrare di nuovo la Germania,
evitando di penalizzarla come si è fatto nel '18, trattandola da partner a
pieno titolo e non da potenza umiliata e sconfitta.
9
Quindi in Europa, le prime forme di aggregazione a livello sovranazionale
guardano all'Unione Europea come ad un traguardo ancora lontanissimo,
per cui Altiero Spinelli e i federalisti non vengono ascoltati, il loro è un
ruolo di profeti, ma non sono loro le vere anime del processo. Il processo è
a livello molto più pragmatico e concreto: ci si rende conto che ci sono dei
problemi pratici, di ordine politico, militare ed economico. Più che la vera
integrazione europea, è importante il Piano Marshall, questa immensa
mole di denaro e generi vari che arrivano dagli USA e che serve a creare
un blocco continentale. Questo serve a cementare una grande area a
controllo americano, all'interno della quale nasce l'idea di rafforzare
ulteriormente questa strategia che coinvolge sempre più la Germania e che
ha un effetto anticomunista di alto livello, perché più si sviluppa
l'economia, meno disoccupati ci saranno e meno malcontenti sociali; si
tagliano alla radice le gambe allo sviluppo di un movimento comunista
interno. Al vertice le sinistre vengono espulse da tutti i governi - in
Francia come in Italia - mentre, a livello sociale sia il Piano Marshall, ma
ancor più questa politica economica finalizzata a integrare le risorse,
hanno il compito di risollevare l'economia.
Tra i protagonisti di questi anni ne ricordo quattro, il primo dei quali è un
protagonista che non c'entra, nel senso che rema controcorrente ed è - per
certi versi - un illuso: è Charles De Gaulle. De Gaulle è un personaggio
che non ha capito la necessità della strategia che ho provato a riassumere;
egli si illude che la Francia sia ancora una grande potenza, che ce la faccia
a fare da sola, che possa avere una forza nucleare autonoma. Si sente
schiacciato tra USA e URSS, non vuole appiattissi - soprattutto sul piano
militare - sul versante statunitense e cerca di recuperare il modello dello
Stato-Nazione dell'inizio del '900; per certi versi è un modello
ampiamente fallimentare, ma comunque De Gaulle avrà un ruolo decisivo,
nel senso che quando vengono stipulati i primi Trattati della Comunità
Economica Europea, c'è da parte dei firmatari l'idea che adesso stipuliamo
degli accordi economici e poi - gradualmente - quella porzione di
sovranità che adesso abbiamo ceduto in parte sulle questioni economiche,
piano piano la cederemo anche in ambito politico e militare.
De Gaulle interrompe bruscamente questo orientamento e, per certi versi,
gli si può attribuire un ruolo di freno allo sviluppo dell'integrazione
europea.
A me preme invece fissare l'attenzione sugli altri tre personaggi, che per
gli storici hanno un elemento in comune: per la Francia Schuman, per la
Germania Adenauer, per l'Italia De Gasperi. Questi tre personaggi hanno
in comune il fatto di essere uomini di frontiera: Schuman è francese, ma
già il cognome ci dice che viene dall'Alsazia, dunque un mezzo tedesco,
Adenauer è tedesco della zona del Reno, De Gasperi è un trentino. Sono
uomini nati sulla frontiera, hanno capito come si possa e si debba vivere
con due o più identità e quindi come l'Europa debba e possa convergere e
il fatto che questi tre individui abbiano viva questa realtà di frontiera, ha
avuto un ruolo decisivo nello svolgimento di quella politica che ha una
serie di elementi convergenti, tenuto conto che non vogliono costruire la
Federazione Europea, da questo punto di vista, Spinelli è un visionario che
non viene ascoltato da nessuno.
Gli altri tre, anzi ognuno di loro, tende a risollevare la propria economia
nazionale (a pezzi) con l'obiettivo di collegare a questa anche un risvolto
anticomunista forte in tutti e tre e avendo simultaneamente la
consapevolezza che l'integrazione della Germania con gli altri è vitale, per
impedire una espansione ulteriore del comunismo. Il tutto con un ulteriore
elemento politico, militare ed economico che è la potenza americana alle
spalle, cosa di cui dobbiamo sempre tenere conto, perché l'Europa nasce in
quanto gli americani vedono di buon'occhio questa scelta.
Un ultimo concetto importante: in tutti i Paesi europei, negli anni '50 e 60
del boom economico, si farà ampiamente tesoro dell'esperienza del New
Deal e - se volete - persino dell'esperienza sociale nazista, cioè del fatto
che lo Stato non può più far finta che i problemi e le esigenze della classe
operaia e delle masse non lo riguardano. II Welfare State nasce assumendo
come modello soprattutto Keynes e un po' ovunque si cercherà di
procedere in una direzione per la quale lo Stato cerca di venire incontro,
con la sanità, con la scuola, le pensioni, a quelle che sono le esigenze della
collettività. Sino a quando poi i debiti pubblici non diventeranno talmente
elefantiaci da obbligare a una situazione difficile.
Un'ultima osservazione doverosa a titolo di appendice: Adenauer e De
Gasperi sono cattolici e questo è importante dirlo e ribadirlo, proprio
perché, a loro modo, sono cattolici atipici nello scenario del loro tempo,
perché quando viene firmato il trattato di Roma nel 1957, il Concilio
Vaticano II' è ancora di là a da venire. Non dobbiamo dimenticare che il
cattolicesimo degli anni '50 ai tempi di Pio XII', non è lo stesso
cattolicesimo dei giorni nostri; così come non dobbiamo dimenticare che
negli anni '50 c'è il sogno cattolico di una Unione Europea, ma se mi
permettete una battutaccia, questi pensano alla sindrome di Carlo Magno,
pensano al Sacro Romano Impero, non a una libera associazione di
democrazie, ma a una specie di restaurazione di una grande cristianità, in
cui - tutto sommato - il Papa e la Dottrina Sociale cristiana abbiano il
posto centrale.
Oggi noi restiamo giustamente inorriditi davanti all'integralismo islamico,
credo però che molti cattolici abbiano la memoria corta, se non ricordano
che sino al Vaticano II' il cattolicesimo è integralista. Certo non ricorre
alla violenza, non mette le bombe, ma per quello che riguarda concetti
come la "laicità dello Stato", l'accettazione dei principi elementari della
democrazia per cui tutti possono parlare, i principi della libertà di
coscienza, sono tutte cose che è il Vaticano II', dieci anni più tardi, a dirle,
con molti dei Padri Conciliari perplessi.
Non dobbiamo dimenticare che - qua e là - il modello continua ad essere
la dittatura di Franco e non certo la democrazia, perché la democrazia
puzza di americanismo e questo è guardato con sospetto e con perplessità.
A livello cattolico italiano e francese, dobbiamo allora ricordare la
originalità di pensatori che sono tutt'altro che rivoluzionari, ma sono quelli
che aprono le porte del futuro.
De Gasperi con la sua esperienza trentina, che coniuga sinceramente il
liberalismo con il cattolicesimo; Sturzo e Dossetti e, in Francia, la figura
di Maritain, che sarà seguita soprattutto dalla sinistra democristiana e che per l'epoca - aveva una impostazione molto ardita, in quanto lanciava un
principio che, in parte, in maniera autonoma era stata ripresa da Dossetti
ed è quella di cui parlavamo prima e cioè che non è più pensabile che uno
Stato poggi su un'unica fede cattolica come nel Medio Evo: questo tempo
è irrimediabilmente finito, dice Maritain, ne "L'uomo e lo Stato", quello
che conta oggi è una fede civile su cui cattolici, credenti e non credenti,
possano trovarsi insieme, su cui possano trovare dei punti solidi intorno ai
quali, in nome del bene comune, costruire lo Stato.
Sono gli stessi principi secondo i quali - per i parametri dell'epoca,
l'estrema laicità - venne costruita la Costituzione della Repubblica Italiana
che, ricordiamolo sempre, venne elaborata, votata e firmata da uomini
come Dossetti e De Gasperi ma non presenta il nome di Dio e questo, per
quell'epoca, è qualcosa di sconvolgente; tanto è vero che quando aprono le
porte del Mercato Comune Europeo, lasciando lo spiraglio che in futuro
possa evolvere in Unione Europea (anche a livello politico) non c'è la
sindrome di Carlo Magno. Semplicemente si pensa, in alternativa al nuovo
ordine nazista, ad una unione economica e politica di democrazie di popoli
che partono da esperienze storiche molto diverse, trovano dei punti in
comune e infine riescono a costruire qualcosa insieme.
Ho sempre trovato estremamente sterile la polemica sulle radici cristiane
dell'Europa nella Costituente Europea, perché o è una affermazione
puramente nominale e allora non vuole dire niente, oppure, se ha un
significato vuol dire che allora non è cristiano chi non si riconosce in
quelle radici e deve essere penalizzato. la qual cosa è demenziale e io
ritengo sia molto più saggia una sana riscoperta delle lezioni di grandi
maestri cattolici che non hanno avuto paura, nella loro fede integerrima,
ad affrontare una laicità molto più ardita di tante strade proposte oggi.
(fonte: ACLI di Cernusco sul Naviglio)
link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2051
India
L’India si tinge di arancione, il potere a NaMo (di
Francesca Rosso)
“TsuNaMo” è il titolo dello speciale elezioni indiane dell’Hindustan
Times. Ed è proprio così: un’onda di successo travolgente per NaMo,
10
Narendra Modi, il leader nazionalista del Bharatiya Janata Party (BJP) che
ha conquistato la maggioranza assoluta con 282 seggi, più dei 272 seggi
necessari su 543.
Non succedeva da 30 anni che un partito riuscisse a conquistare da solo la
maggioranza parlamentare: da quando il Partito del Congresso della
dinastia Gandhi, oggi spazzato via con meno di 50 poltrone in Parlamento,
ottenne 400 seggi sull’onda emotiva dell’assassinio di Indira. Sono state le
più lunghe elezioni nella storia del Paese, dal 7 aprile al 12 maggio. E,
quelle con la partecipazione record di 551 milioni di votanti, pari al
66,38% dell’elettorato.
Una voce stentorea, una campagna martellante sostenuta dai gruppi
industriali finanziari che vogliono un governo forte e stabile: NaMo ha
conquistato le folle in una campagna costosissima, 457 comizi e 300 mila
chilometri percorsi soprattutto in elicottero. Il fior di loto e il color
zafferano, simbolo del nazionalismo hindu militante.
Ex commerciante di tè, 63 anni, NaMo è una figura che divide, soprattutto
dopo le stragi di musulmani in Gujarat del 2002, quando era governatore
di quello Stato, che gli costarono gli attacchi del Congresso e il rifiuto del
visto negli Stati Uniti.
Mentre Modi trionfa, il Partito del Congresso, guidato da 4 generazioni
dalla famiglia Gandhi, accetta la sconfitta. Il figlio di Sonia Ghandi
(moglie di Rajiv, nuora di Indira che poi era la figlia di Nehru, il primo
premier dell’India indipendente), Rahul, non è certo un leader carismatico,
sembra chiedersi “che ci faccio io qui?” persino sui manifesti elettorali.
Infatti la base sembra preferire Priyanka, la sorella minore, dotata di
iniziativa e ottima oratoria. Ha dichiarato il portavoce del Congresso:
“Modi ha promesso la luna e le stelle al popolo. E il popolo ha comprato
un sogno”.
Ed ecco i dettagli del sogno che Modi vuole condividere con un miliardo e
duecento milioni di indiani: città moderne ed efficienti, treni superveloci,
agevolazioni fiscali per gli imprenditori, snellimento della burocrazia,
edilizia, fabbriche, miniere che preoccupano gli ambientalisti.
Questi gli obiettivi del “Modi rally” per i prossimi 5 anni: crescita del PIL
dell’8-9% come prima del 2008 (negli ultimi anni è stato del 5%), freno
all’inflazione e creare occupazione per i giovani (l’età media degli indiani
è di 27 anni) sono i suoi obiettivi. Tra il 2010 e il 2012 l’occupazione è
cresciuta solo di due milioni, mentre nei primi 5 anni del millennio di 8
milioni. Insomma priorità all’economia.
L’India è al 134esimo posto nella classifica dei Paesi in cui è facile aprire
un business secondo la Banca Mondiale. Bisogna snellire la burocrazia e
ricapitalizzare il sistema bancario attraverso il risparmio per attirare
investimenti. Anche l’agricoltura merita attenzione: sono troppi gli sprechi
di cibo dalla fattoria al piatto.
“Ci vorranno 10 anni, non troppo - ha detto il leader del BJP – per
strappare a Cina e USA la palma di potenza mondiale”.
Oggi, 21 maggio, è il giorno del giuramento. Modi è già andato a
Varanasi, la città santa degli induisti, per una preghiera e la benedizione
sulle rive del Gange.
Il prossimo Lok Sabha (Camera bassa) del Parlamento indiano stabilirà un
record perché avrà fra i suoi membri 61 donne, il numero più alto da
quando si è cominciato a votare nel 1952. La presenza di deputati
musulmani sarà, invece, la più bassa della storia: solo 24 contro i 30
presenti nella legislatura precedente, il 4,4% della forza della Camera. Fra
voglia di futuro e spettri di intolleranza, riuscirà NaMo a conciliare le
contraddizioni del Paese?
Francesca Rosso
(fonte: Unimondo newsletter)
link:
http://www.unimondo.org/Notizie/L-India-si-tinge-di-arancione-il-potere-aNaMo-146009
Appelli e campagne
Campagne
52 città si ribellano al gioco d’azzardo (di Gabriele
Mandolesi)
Quando si parla dell’Italia e dei cittadini italiani, spesso uno dei primi
stereotipi che vengono in mente è la pigrizia e l’essere in grado di
accettare qualunque situazione: l’importante è non avere troppe
preoccupazioni e magari riuscire a guadagnarci qualcosa a livello
personale.
Ci sono invece delle situazioni che dicono il contrario. Una di queste è la
straordinaria scelta di baristi che rinunciano agli incassi elevati delle slot
machine (1.500/2.000 euro al mese) perchè la vita di qualcuno che si
distrugge per la dipendenza da gioco vale molto di più. E altrettanto
straordinaria è la reazione civile e colorata delle oltre 150 associazioni e
Comuni che hanno aderito alla campagna Slotmob in tutta Italia,
spendendo settimane intere a organizzare colazioni di massa per andare a
premiare i baristi in 52 città. Con la loro scelta no slot, hanno bloccato un
ingranaggio enorme che vede coinvolti politici, lobby e multinazionali.
Molti di questi adesso fanno fatica con la crisi a coprire l’affitto del locale,
altri lavorano molto di più perchè devono coprire gli introiti ai quali hanno
rinunciato quando hanno deciso che non volevano essere complici del
famoso “Sistema Gioco Italia”, che di danni ne crea a sufficienza.
Il 10 maggio la campagna arriva a Roma, alle 10 presso Largo Appio
Claudio, e sarà un evento in cui da tutta Italia verranno coloro che in corso
d’anno hanno partecipato ai vari Slotmob per premiare due bar selezionati
con l’aiuto di Libera Presidio Roma 7, perchè oltre a non avere le Slot, si
vuole anche essere sicuri che con i consumi premiamo persone legate in
nessun modo alla criminalità organizzata.
E’ importante essere in tanti, dicono i promotori, e far sentire che, quando
vogliono, i cittadini italiani sanno alzarsi in piedi e dire ad alta voce che
una società fondata sull’azzardo non è gradita da queste parti.
(fonte: Comune-info)
link:
http://comune-info.net/2014/05/52-citta-si-ribellano-slot-mob-al-giocodazzardo/
Recensioni/Segnalazioni
Libri
Non complice. Storia di un obiettore (di Piero
Scaramucci e Letizia Gozzini)
Giuseppe Gozzini, Non complice. Storia di un obiettore, (a cura di Piero
Scaramucci e Letizia Gozzini), Edizioni dell’Asino, Roma 2014, pp. 252,
€ 15,00
Della vita di Giuseppe Gozzini (1936-2010) non sono pochi i momenti da
ricordare: il processo subito come primo obiettore di coscienza cattolico
nel 1962, la militanza nei «Quaderni rossi», il 1968 e il 1969 vissuti in
mezzo agli operai milanesi.
Il lettore che voglia capire oggi la storia delle minoranze di ieri, le più
determinate eticamente e politicamente, dall’interno delle nuove e aspre
contraddizioni portate dal mutamento degli scenari politici e dalla
globalizzazione economica, potrà trovare numerosi spunti di riflessione
nel confronto con la storia di una sinistra non ideologica e settaria, non
smaniosa di potere e idolatra dello sviluppo, non preoccupata unicamente
di affermare una leadership o di vincere le elezioni.
Si tratta, oggi come ieri, di testimoniare una diversità, mite ma decisa
nell’esprimere valori «alti» quanto radicali e nell’attuare pratiche
conseguenti, attenta al metodo perché cosciente che sono i mezzi a dar
11
senso ai fini.
(fonte: Centro Studi Sereno Regis)
link: http://serenoregis.org/2014/05/18/non-complice-storia-di-un-obiettore/
La Cina, questa sconosciuta (di Vincenzo Comito)
La banca centrale cinese è appena salita oltre il 2% in Eni ed Enel. Eppure
l’Italia è il paese che oggi meno sa della Cina. Il gigante asiatico che si
avvia a diventare la più grande economia del mondo continua a essere
percepito come una minaccia oscura. Un estratto del libro di Vincenzo
Comito, La Cina è vicina?, appena uscito per Ediesse Edizioni.
Di fronte ad una sterminata letteratura sul caso cinese, per gran parte
ostile, l’autore di questo testo non nasconde la sua simpatia per il risveglio
del gigante asiatico e per la sua crescente affermazione nel mondo. Una
dissenting opinion che non intende nascondere le profonde contraddizioni
che tale sviluppo reca con se?.
Non si tratta del riconoscimento del fatto che il Paese si avvia, entro pochi
anni, a diventare la piu? grande economia del mondo e, nel medio termine,
la potenza egemone del mondo. Ne? della speranza, ancora presente, ad
esempio, in un autore come Giovanni Arrighi, della natura ancora
socialista del Paese; speranza che, a nostro parere, non sembra ormai avere
troppe fondamenta.
Le simpatie dell’autore per il Paese asiatico hanno altre basi. E
segnatamente queste: la Cina e? riuscita, nell’arco di pochi decenni, a
togliere dalla poverta? estrema circa 600 milioni di suoi abitanti, anche se
certamente esistono ancora nel Paese delle sacche importanti di miseria.
I risultati cinesi non hanno, peraltro, niente a che fare con quelli
dell’India, un Paese molto lodato per il suo sistema politico democratico.
Ma la cui attenzione verso i problemi dei dannati della terra e? sempre
stata sostanzialmente minima.
Guardiamo ad alcune statistiche ricordate da A. Sen e da J. Dre?ze (Dre?
ze, Sen, 2013). L’attesa di vita alla nascita e? oggi di 65 anni per i cittadini
indiani, contro i 73 anni per la Cina; la mortalita? infantile ha un valore
per il primo Paese del 47 per mille contro il 13 per mille del secondo; per
quanto riguarda la percentuale dei bambini vaccinati siamo al 72% contro
il 99%; per quella dei bambini sottopeso al 43% contro il 4%; per quella
delle ragazze di eta? compresa tra i 15 e i 24 anni alfabetizzate al 74%
contro il 99%; infine, il rapporto studenti/maestri nella scuola elementare
e? di 40 allievi contro 17. Non c’e? confronto possibile.
Su un piano diverso va osservato che di fronte ad un mondo sino a ieri
dominato dagli Stati Uniti, l’affermazione della Cina ci porta
progressivamente ad avere due padroni del mondo. Il che e? meglio che
averne uno solo: il mondo, pur con le sue contraddizioni, ci appare piu?
libero.
Certo non siamo al crollo degli Stati Uniti, non ci troviamo in una
situazione come quella descritta da Rutilio Namaziano, quel funzionario
dell’impero romano che, tornando da Roma via mare al suo Paese natale,
la Gallia, osservava ogni giorno nel suo lungo viaggio i segni anche fisici
della decadenza dell’impero.
Chi scrive pensa che sarebbe ancora meglio che il mondo non avesse
padroni e che tutti i Paesi si sedessero al tavolo del potere con pari
dignita?; ma, aspettando con speranza quel giorno, accontentiamoci di
quello che sta succedendo oggi.
Si potrebbe sperare che l’Europa diventi il terzo protagonista dei ‘giochi’
mondiali, ma la sua persistente disunione indica che tali speranze sono
ormai ridotte al lumicino. Ne? si puo? pensare all’India come un possibile
grande protagonista. Il Paese, pur con le sue grandi potenzialita?, appare
anch’esso chiaramente al di fuori del circuito dei grandi.
Un’altra ragione, per cui l’autore guarda con molta partecipazione alla
crescita della Cina e? dovuta al fatto che egli ha avuto molta simpatia da
giovane per il grande processo di liberazione dal giogo coloniale dei Paesi
dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina e segue, ancora oggi, con
molta partecipata attenzione i loro progressi, sul fronte economico,
sociale, politico.
Non si puo? non assistere con compiacimento al fatto che la Cina e tanti
altri Paesi stiano progressivamente acquisendo il rango che spetta loro
storicamente e contribuiscano attivamente a stabilire un nuovo equilibrio
mondiale.
Non si tornera? probabilmente al 1411 quando, nel pieno della dinastia
Ming, la Cina, al massimo della sua potenza, aveva un peso economico
preponderante rispetto agli altri Paesi del mondo. Ma, d’altro canto,
nessuno potra? piu? ritenere che quello da poco iniziato sia un nuovo
secolo americano (Chaliand, 2013).
Naturalmente bisogna sempre lasciare il beneficio del dubbio a tutte le
estrapolazioni dalle tendenze attuali ai prossimi decenni. La storia fa
spesso dei brutti scherzi, ma il percorso sembra in larga parte segnato.
Vincenzo Comito, La Cina è vicina?, Ediesse Edizioni, Pagine 192, Prezzo
12,00
La riproduzione di questo articolo è autorizzata a condizione che sia citata
la fonte: www.sbilanciamoci.info.
(fonte: Sbilanciamoci Info)
link:
http://www.sbilanciamoci.info/Sezioni/globi/La-Cina-questa-sconosciuta24235
Associazioni
Documenti
"Porto Volontario" nasce in Toscana il primo social
network per le associazioni di volontariato (di
CESVOT)
Una mappa dettagliata e interattiva che segnala al cittadino la presenza di
ogni associazione di volontariato presente sul territorio favorendo la
visibilità delle associazioni in Toscana.
È quanto prevede il progetto "Porto volontario" il primo in Italia di questo
genere, voluto dal Cesvot e realizzato insieme a a uidu.org, che ha dato
vita al primo social network "sociale" in Toscana con l’obiettivo di offrire
un sostegno concreto a tutti coloro che sono impegnati nel mondo del
volontariato. Attraverso la piattaforma è possibile conoscere il profilo di
ogni associazione, tutte le iniziative organizzate, condividere appelli,
avviare raccolte fondi, conoscere il numero e le competenze di volontari di
cui necessita un'associazione.
A pochi giorni dal lancio del progetto sono già 120 le associazioni toscane
che hanno chiesto di aderire alla piattaforma con un tasso di circa 15
iscrizioni al giorno.
“Grazie a questo progetto Cesvot – spiegano Andrea Vanini e Enrico
Micheli - fondatori di uidu.org - le sue Associazioni e, più in generale, i
volontari toscani, potranno avere un luogo su Internet nel quale coordinare
le proprie attività come hanno sempre fatto nel mondo reale, ma con
l'aggiunta di tutti gli aspetti di interazione, comunità e viralità che sono
propri del mondo Internet. uidu.org fin da quando è nato si è prefisso
l'obiettivo di mettere Internet a disposizione del Terzo Settore e ad oggi,
anche grazie a questo progetto con Cesvot, possiamo dire che stiamo
assolvendo al nostro impegno. Internet è da sempre un ottimo strumento
per il "profit", noi vogliamo che lo diventi anche per il ‘nonprofit’.”
"Il progetto che rappresenta un servizio innovativo di networking e
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consulenza/formazione e un'importante sfida per Cesvot e per il
volontariato toscano - spiega Federico Gelli, Presidente del Cesvot - il
mondo del volontariato finalmente coglie a pieno titolo le enormi
opportunità rappresentate dal web. Troppo spesso chi è impegnato nel
sociale ha, fino ad oggi, sottovalutato ciò che internet è in grado di dare.
Non una vetrina statica ma un luogo virtuale, continuamente aggiornato,
dove ogni informazione sarà visibile e consultabile da cittadini, operatori
del settore e associazioni. Un social network dedicato al 'sociale' che,
siamo sicuri, aiuterà in modo concreto il volontariato a trovare partner,
donazioni e volontari."
Alle associazioni che aderiranno al progetto Cesvot mette a disposizione
anche un servizio gratuito di orientamento, formazione e consulenza su
comunicazione esterna ed accoglienza di nuovi volontari, per rendere più
forte e capillare la presenza del volontariato nella nostra regione. Per
aderire al progetto e ricevere ulteriori informazioni, contattare le
Delegazioni territoriali di Cesvot oppure il Settore Sviluppo delle reti e
delle associazioni: tel. 055.271731, email: [email protected]
link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2034