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Notiziario settimanale n. 485 del 06/06/2014 versione stampa Questa versione stampabile del notiziario settimanale contiene, in forma integrale, gli articoli più significativi pubblicati nella versione on-line, che è consultabile sul sito dell'Accademia Apuana della Pace leaderistica che ha caratterizzato tanti eventi associativi negli ultimi anni, a partire dalla Marcia della Pace Perugia-Assisi. Per la gestione monopolitistica di questo evento, non per la sua scelta di candidarsi alle ultime elezioni politiche, Flavio Lotti è stato sfiduciato dalle reti di società civile organizzata che cercano ora con modalità più partecipative di portare avanti campagne ed eventi inclusivi e rispettosi dei valori della nonviolenza. 12/06/2014: Giornata mondiale contor il lavoro minorile. 13/06/2014: Per non dimenticare: la strage nazi-fascista di Sant'Anna di Forno (MS) avvenuta il 13 giugno del 1944 Indice generale Niente nuvole sull'Arena (di Martina Pignatti Morano)............................. 1 2 giugno: festa della repubblica che ripudia la guerra (di Movimento nonviolento)............................................................................................... 2 Per una rete di centri per l'etica ambientale (di Matteo Mascia, Chiara Tintori)....................................................................................................... 2 Sei proposte per un'altra finanza (di Andrea Baranes)................................ 3 Dimissioni in bianco, torna la legge. Ma altre tutele si perdono (di Anna Rita Tinti)................................................................................................... 3 «Siate eretici»: l'intervento di Don Ciotti al Congresso Nazionale di Slow Food Italia (di Don Luigi Ciotti)................................................................ 5 Dalle rovine della seconda guerra mondiale all'Europa (di Francesco Maria Feltri)............................................................................................... 6 L’India si tinge di arancione, il potere a NaMo (di Francesca Rosso)......10 52 città si ribellano al gioco d’azzardo (di Gabriele Mandolesi).............11 Non complice. Storia di un obiettore (di Piero Scaramucci e Letizia Gozzini)................................................................................................... 11 La Cina, questa sconosciuta (di Vincenzo Comito)..................................11 "Porto Volontario" nasce in Toscana il primo social network per le associazioni di volontariato (di CESVOT)............................................... 12 Editoriale Niente nuvole sull'Arena (di Martina Pignatti Morano) Il 25 aprile all'Arena di Verona c'era una luce abbagliante, il sole per fortuna splendeva tutto il pomeriggio e l'evento ha ridato fiducia a migliaia di persone nel movimento per la pace. Certamente i tempi limitati, e l'obbligo imposto dalla Fondazione Arena di mantenere prevalente la componente artistica dell'evento, hanno costretto gli organizzatori a limitare il numero degli interventi, ma decine e decine di persone hanno parlato dal palco. Donne e uomini di tutte le età, con proposte costruttive che andavano ben oltre il semplice e necessario NO agli F35, portavoci di reti più che di singole organizzazioni. E' proprio questo il segnale che ci stiamo allontanando dalla cultura 1 Grazie a questo nuovo processo di convergenza tra reti, è stata lanciata all'Arena di Verona e pubblicamente presentata il 2 giugno con un comunicato ufficiale, la Campagna per il disarmo e la difesa civile, con una proposta di legge di iniziativa popolare per l'istituzione e il finanziamento del “Dipartimento per la difesa civile, non armata e nonviolenta”. Tale campagna viene proposta da Rete Italiana per il Disarmo – Controllarmi (www.disarmo.org), Conferenza Nazionale Enti di Servizio Civile – CNESC (www.cnesc.it), Forum Nazionale per il Servizio Civile – FNSC (www.forumserviziocivile.it), Tavolo Interventi Civili di Pace – ICP (www.interventicivilidipace.org), Campagna Sbilanciamoci! (www.sbilanciamoci.org), Rete della Pace (www.retedellapace.it). Si veda il comunicato disponibile qui: http://www.unponteper.it/il-2-giugno-e-la-festa-della-repubblica-cheripudia-la-guerra/ Niente mediazioni dunque con la politica, niente disponibilità a negoziare una “diminuzione” della spesa militare, ma la forte richiesta di azzerare programmi come quello degli F35 e iniziare a costruire con serietà un nuovo sistema organico di difesa civile nonviolenta. Nessun tavolo di trattative con il governo o i parlamentari per la campagna Difesa Civile, ma la richiesta alla politica di discuterne apertamente in eventi pubblici dal momento in cui il testo verrà presentato in Cassazione. I Corpi Civili di Pace potrebbero già iniziare ad operare tramite la sperimentazione finanziata per gli anni 2014-2015-2016, ma i 9 milioni di euro previsti sono stati stanziati sul bilancio dell'Ufficio Nazionale Servizio Civile, che deve ancora produrre un bando sperimentale su queste progettazioni. C'è da dire che da dicembre 2013, quando il finanziamento è stato approvato, è cambiato il governo, sono rimasti senza nomine per mesi i sottosegretari, e senza un referente politico l'UNSC ha dichiarato di non poter procedere. Ora il referente c'è, è il Sottosegretario Bobba, che speriamo possa riaprire immediatamente il percorso di sperimentazione dei Corpi Civili di Pace. Nel frattempo molte associazioni del Tavolo Interventi Civili di Pace stanno studiando possibili interventi da sottoporre a eventuale bando CCP, ma non conosciamo ancora il nuovo meccanismo di accreditamento degli enti (molti di noi non sono enti di servizio civile quindi non avrebbero titolo, ad ora, per entrare nella sperimentazione) né i tempi e le caratteristiche di un eventuale bando sperimentale. Per stimolare le istituzioni a propore un modello per noi minimamente accettabile abbiamo prodotto un documento firmato da tutte le reti rilevanti, di cui speriamo venga compreso il valore. Certamente non è facile decidere di impegnarsi in interventi seri con i progetti poverissimi del servizio civile italiano, quindi la sfida sarà convincere chi può veramente organizzare interventi di peacebuilding a partecipare al bando e reperire da sé i confinanziamenti necessari. Una collaborazione di questi Corpi Civili con agenzie ONU sarebbe auspicabile nella lunga durata ma l'emendamento Marcon alla finanziaria ha collocato i 9 milioni di euro sul bilancio dell'UNSC quindi ci vorrebbe una nuova decisione politica e un nuovo voto per dirottarli su missioni ONU. Inoltre, persino gli UN Volunteers richiedono finanziamenti e standard ben diversi da quelli che può offrire il sistema italiano del servizio civile, e se l'Italia decidesse di finanziare un programma come quello non farebbe che trasferire il budget alle Nazioni Unite, perdendo qualsiasi chance di sviluppare una capacità italiana di peacebuilding e difesa civile nonviolenta. Una collaborazione futura tra i nostri progetti e missioni ONU può essere costruita ma richiederebbe anni (non mesi) di mediazione con l'ONU, da parte di gruppi già presenti sul terreno su particolari scenari, come fatto recentemente da Nonviolent Peaceforce. La United Nations Logistics Base http://www.unlb.org/ di Bridisi si occupa di mera logistica e telecomunicazioni per le missioni di peacekeeping: acquistare beni tramite aste, immagazzinarli e poi smistare mezzi e container alle operazioni di peacekeeping. Persino i corsi di formazione della Center of Excellence Training Facility sono strettamente legati alla logistica. Non è facile quindi trovare in Italia centri e strutture ONU con cui programmare attività che possano essere stimolanti per noi, ma un dialogo con il programma UN Volunteers può iniziare in qualsiasi momento se c'è volontà politica per tesserlo negli anni. Speriamo nel frattempo che chi, nei nostri ministeri, si occupa di gestione civile delle situazioni di crisi, in collegamento con agenzie dell'Unione Europea e dell'ONU, inizi a dialogare maggiormente con la società civile. Un'occasione potrebbe essere quella offerta dal nuovo Istituto Europeo per la Pace, inaugurato a Bruxelles qualche settimana fa e per ora interamente governativo. All'Arena di Verona non sapevamo nemmeno se l'Italia avrebbe aderito, ma ora la decisione politica è stata presa e l'italiano Staffan De Mistura presiede il comitato direttivo dell'Istituto. Abbiamo chiesto in questi giorni di interloquire con il Ministero degli Esteri sull'impostazione del centro e speriamo vi siano spazi, al suo interno, per sviluppare con la società civile metodologie nonviolente e innovative di trasformazione dei conflitti. Chissà che questo non possa offrire uno stimolo utile, anche in Italia, alla rinascita degli Studi sulla Pace. Martina Pignatti Morano – Un ponte per... e Tavolo Interventi Civili di Pace Campagna per il disarmo e la difesa civile e lanciando oggi la proposta di legge di iniziativa popolare per l'istituzione e il finanziamento del “Dipartimento per la difesa civile, non armata e nonviolenta”. Obiettivo della Campagna è dare piena attuazione all'articolo 52 della Costituzione (“la difesa della patria è sacro dovere del cittadino”) che non è mai stato applicato veramente, perché per difesa si è sempre intesa solo quella armata, affidata ai militari, mentre la Corte Costituzionale ha riconosciuto pari dignità e valore alla difesa nonviolenta, come avviene con l'istituto del Servizio Civile nazionale. La difesa civile, non armata e nonviolenta è difesa della Costituzione e dei diritti civili e sociali che in essa sono affermati; preparazione di mezzi e strumenti non armati di intervento nelle controversie internazionali; difesa dell’integrità della vita, dei beni e dell’ambiente dai danni che derivano dalle calamità naturali, dal consumo di territorio e dalla cattiva gestione dei beni comuni. Il disegno di Legge istituisce un Dipartimento che comprenderà il Servizio civile, la Protezione Civile, i Corpi civili di pace e l'Istituto di ricerche sulla Pace e il Disarmo. Il finanziamento della nuova difesa civile dovrà avvenire grazie all'introduzione dell'”opzione fiscale”, cioè la possibilità per i cittadini, in sede di dichiarazione dei redditi, di destinare il 6 per mille alla difesa non armata. Inoltre si propone che le spese sostenute dal Ministero della Difesa relative all’acquisto di nuovi sistemi d’arma siano ridotte in misura tale da assicurare i risparmi necessari per non dover aumentare i costi per i cittadini. Lo strumento politico della legge di iniziativa popolare vuole aprire un confronto pubblico per ridefinire i concetti di difesa, sicurezza, minaccia, dando centralità alla Costituzione che “ripudia la guerra” (art. 11). La Campagna è stata presentata il 25 aprile 2014 in Arena di pace e disarmo; viene lanciata in occasione del 2 giugno 2014, Festa della Repubblica; la raccolta delle 50.000 firme necessarie inizierà il 2 ottobre 2014, Giornata internazionale della Nonviolenza, e si concluderà dopo 6 mesi. link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2074 Evidenza Documenti Rete Italiana per il Disarmo – Controllarmi: www.disarmo.org Conferenza Nazionale Enti di Servizio Civile – CNESC: www.cnesc.it Forum Nazionale per il Servizio Civile – FNSC: www.forumserviziocivile.it Tavolo Interventi Civili di Pace – ICP: www.interventicivilidipace.org Campagna Sbilanciamoci!: www.sbilanciamoci.org Rete della Pace: www.retedellapace.it link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2073 2 giugno: festa della repubblica che ripudia la guerra (di Movimento nonviolento) La madre è la Resistenza antifascista, il padre è il Referendum democratico: la Repubblica italiana è nata in un'urna il 2 giugno del 1946. Perché, per festeggiare il suo compleanno, lo Stato organizza la parata militare delle Forze Armate? E' una contraddizione ormai insopportabile. I movimenti per la Pace e il Disarmo rispondono a Napolitano e lanciano una proposta di legge per istituire la difesa civile, non armata e nonviolenta. Il 2 giugno ad avere il diritto di sfilare sono le forze del lavoro, i sindacati, le categorie delle arti e dei mestieri, gli studenti, gli educatori, gli immigrati, i bambini con le madri e i padri, le ragazze e i ragazzi del servizio civile. Queste sono le vere forze vive della Repubblica che chiedono di rimuovere l'ostacolo delle enormi spese militari ed avere a disposizione ingenti risorse per dare piena attuazione a tutti i principi fondanti della Costituzione: lavoro, diritti umani, dignità sociale, libertà, uguaglianza, autonomie locali, decentramento, sviluppo della cultura e ricerca, tutela del paesaggio, patrimonio artistico, diritto d'asilo per gli stranieri e ripudio della guerra. I nostri movimenti celebrano il 2 giugno promuovendo congiuntamente la 2 Approfondimenti Ambiente ed energia Per una rete di centri per l'etica ambientale (di Matteo Mascia, Chiara Tintori) Alcune realtà italiane impegnate nell’etica ambientale si mettono in rete. Con una «Carta di intenti», lanciano una collaborazione per richiamare la centralità, in questo nostro tempo, dei temi legati all’ambiente e alla sostenibilità ed essere interlocutrice credibile per le istituzioni, capace di interagire con il mondo dell’economia, della politica, della cultura e dell’educazione. Ad oggi sono parte della rete Aggiornamenti Sociali, Rivista della Fondazione Culturale San Fedele, i Centri di Etica Ambientale di Bergamo e di Parma, la Fondazione Lanza di Padova, il monastero di Siloe in Toscana e il Centro Studi sulle culture della pace e della sostenibilità dell’Università di Modena. fine dell'anonimato sulla reale proprietà delle imprese. La Carta delinea i principi che muovono queste diverse strutture nella promozione di un umanesimo ecologico, capace di intrecciare la custodia dell’ambiente con quella delle relazioni interumane nonché l’attenzione alle prossime generazioni. È con i nostri comportamenti che possiamo o meno attuare un modello di sviluppo sostenibile. Cura e responsabilità, rispetto e tutela della diversità, precauzione, sobrietà, solidarietà e accoglienza: le questioni ambientali oggi sono necessariamente anche questioni etiche. Si passa poi al sistema bancario ombra, quella pletora di società che si comportano come banche senza essere sottoposte a controlli e vigilanza. È forse la questione che meglio mostra l'inaccettabile lentezza dell'Ue. A settembre 2013 il Commissario Barnier afferma che «dobbiamo adesso interessarci dei rischi causati dal sistema bancario ombra». Mentre gli Stati sono sottoposti a un controllo strettissimo, per questo gigantesco sistema che si muove al di là di qualsiasi regola, oltre cinque anni dopo il fallimento della Lehman Brothers, la Commissione, bontà sua, dichiara che è tempo di mostrare un qualche interesse. In ultimo, l'appello pone una domanda sulla regolamentazione dei derivati, a partire dagli Otc, ovvero gli strumenti negoziati al di fuori delle Borse valori e che sono utilizzati per oltre il 90% in attività puramente speculative. Come in altri casi, qualcosa è stato fatto (in particolare con la Direttiva Emir e l'introduzione di limiti per i derivati sulle materie prime), ma è nuovamente troppo poco per potere seriamente contrastare gli enormi impatti di tali strumenti. Le richieste potrebbero essere anche altre, ma queste sei sono tra le più urgenti se non altro per evitare che un disastro come quello che ha colpito l'Europa negli ultimi anni possa ripetersi. Parliamo di proposte note da tempo, ma la cui introduzione è impantanata tra ritardi, veti incrociati e infinite discussioni. Una situazione in cui gioca un peso decisivo l'azione delle potentissime lobby del settore. Per questo, al di là del merito, colpisce come a lanciare l'appello siano 25 banche e istituti finanziari. Banche che chiedono regole certe e più stringenti contro la finanza speculativa, e che mostrano concretamente, tramite il loro operato quotidiano, come un modello bancario nettamente differente sia non solo possibile, ma funzioni anche molto meglio di quello tradizionale. Due modi lontanissimi di intendere la finanza. Da un lato un fine in se stesso per fare soldi dai soldi nel più breve tempo possibile; dall'altro uno strumento trasparente al servizio delle persone e dell'economia. La finanza come problema o come parte della soluzione. In ultima analisi, l'appello domanda semplicemente ai candidati alla presidenza della Commissione da quale lato intendano schierarsi. La rete, che si vuole del tutto aperta a nuovi contributi, promuoverà un seminario annuale e condividerà iniziative e strumenti di formazione e comunicazione, perché sempre più è in gioco il futuro delle persone e delle comunità umane. Un primo articolo che presenta i soggetti coinvolti e segnala il percorso che ha portato alla costituzione della rete è stato pubblicato nel numero di maggio di Aggiornamenti sociali (Matteo Mascia, Chiara Tintori, Una rete di centri per l’etica ambientale) (fonte: Aggiornamenti Sociali) link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2071 Economia Sei proposte per un'altra finanza (di Andrea Baranes) Eureka!/Un appello della Federazione delle banche etiche chiede di tassare le transazioni finanziarie, combattere i paradisi fiscali e il sistema bancario ombra. «Cambiamo la finanza per cambiare l'Europa» è l'appello lanciato dalla Federazione europea delle banche etiche e alternative - Febea, la rete di 25 istituti in 14 Paesi europei con oltre 500 mila tra soci e clienti. Un appello indirizzato ai candidati alla Presidenza della Commissione e che chiede un impegno su sei proposte chiave per «ricondurre la finanza al servizio del bene comune». La prima riguarda l'introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie per contrastare speculazione ed eccessi quali il trading ad alta frequenza. Il Parlamento ha votato a larga maggioranza per una sua introduzione, la Commissione ha pubblicato ormai due anni fa un'ottima bozza di direttiva, 12 Paesi hanno avviato una procedura di cooperazione rafforzata per accelerare i tempi. Eppure, unicamente a maggio del 2014 l'Ecofin sembra avere dato un timido via libera, ancora con moltissime ombre su quali saranno gli strumenti sottoposti a tassazione e su tempi e modalità di introduzione. La seconda verte sulla separazione tra banche commerciali e banche di investimento. Una misura centrale anche secondo il rapporto Liikanen, commissionato dalla stessa Ue per capire le priorità da affrontare e guidato dal governatore della Banca Centrale finlandese. Una regola recentemente reintrodotta negli Usa ma ancora in fase embrionale nel vecchio continente. La terza chiede di riconoscere l'esistenza di diversi modelli bancari, e della finanza etica in particolare, anche nell'applicazione dell'accordo di Basilea III. Un accordo per ridurre il rischio e aumentare quantità e qualità dei patrimoni bancari, ma duramente criticato anche perché pensato a "taglia unica" su misura per i gruppi di maggiore dimensione. Nel tradurre nell'Ue tale accordo (tramite la Direttiva Crd) sarebbe possibile rimediare almeno in parte a tali storture. La richiesta successiva è per un impegno maggiore nel contrasto ai paradisi fiscali. Qualcosa è stato fatto negli ultimi anni, ma con tempi spropositati rispetto a quelli con cui l'ingegneria finanziaria inventa nuovi trucchi per eludere le poche regole in vigore. È necessario ribaltare l'attuale approccio, non prendendosela con l'isoletta tropicale di turno ma impedendo alle nostre imprese e banche di sfruttare le scappatoie esistenti. Per questo servono una rendicontazione Paese per Paese dei bilanci e la 3 Per leggere e firmare l'appello: www.bancaetica.it/blog/cambiamofinanzaper-cambiare-leuropa La riproduzione di questo articolo è autorizzata a condizione che sia citata la fonte: www.sbilanciamoci.info. (fonte: Sbilanciamoci Info) link: http://www.sbilanciamoci.info/Sezioni/capitali/Sei-proposte-per-un-altrafinanza-24443 Questione di genere Dimissioni in bianco, torna la legge. Ma altre tutele si perdono (di Anna Rita Tinti) Nel quadro del Jobs Act è stata inserita una nuova legge sulle dimissioni in bianco che introduce metodi certi contro gli abusi, ma spazza via le garanzie che tutelavano da altre forme di coercizione. Una proposta per far fronte alle tante forme di scacco legate alle dimissioni volontarie. La riforma della disciplina delle dimissioni: prevenire e semplificare? Il ddl 1409, all’esame del Senato nel quadro al Jobs Act, è il disegno di legge sulle modalità di risoluzione del contratto di lavoro per dimissioni volontarie o risoluzione consensuale. Lo scopo del decreto è rendere impossibile la pratica delle “dimissioni in bianco”: quelle che di solito vengono fatte firmare alla lavoratrice o al lavoratore al momento della (e come condizione per) la stipula del contratto. Dimissioni firmate in bianco e poi esibite, aggiungendo la data, dal datore di lavoro nel momento in cui vuole “liberarsi” senza limiti, costi e fastidi, del vincolo contrattuale con il lavoratore. Il legislatore sceglie di prevenire: la lettera di dimissioni, o l’atto di risoluzione consensuale del contratto, va redatta, a pena di nullità, su un apposito modulo, provvisto di un codice alfa-numerico progressivo che ne garantisca la data e la data non può essere anteriore di più di 15 giorni rispetto a quella delle dimissioni. È giusto tenere alta l’attenzione su questo decreto e sollecitarne una rapida approvazione, ma allo stesso tempo è utile avere uno sguardo critico e fare attenzione ad alcuni aspetti del progetto per scongiurare soluzioni precipitose più che rapide. Il ddl, infatti, nell’apprezzabile intento di prevenire e semplificare, trascina nell’abrogazione anche norme che hanno come finalità una tutela più ampia e differenziata: perché le dimissioni in bianco non sono l’unico modo per estorcere o condizionare la decisione di dimettersi, decisione che inoltre potrebbe avvenire nella mancanza di consapevolezza dei propri diritti, delle conseguenze e delle alternative possibili. Non vi è alcun dubbio, quindi, sul fatto che il ricatto della firma in bianco vada contrastato preventivamente. Introdurre il modulo a data certa in tutti i casi di dimissioni e risoluzioni consensuali è necessario, razionale, e coerente con una logica di semplificazione: corrisponde all’interesse di lavoratrici e lavoratori a non subire un’umiliazione essendo per di più gravati del difficile onere di dimostrarla; all’interesse dei datori di lavoro onesti a non subire pratiche di concorrenza sleale; all’interesse di tutti a diminuire il contenzioso. Molti sono i dubbi, invece, sul fatto che tale intervento diventi l’occasione per fare piazza pulita di tutte le norme di garanzia esistenti in materia di dimissioni delle lavoratrici e dei lavoratori. Proverò a esporre tali dubbi, partendo da ciò che esiste. I precedenti e la disciplina vigente: cosa conservare e cosa no La soluzione dei moduli con ordine progressivo e data certa riprende la legge n. 188 approvata nel 2007 e abrogata l’anno successivo nel quadro di una indiscriminata e strumentale operazione di “semplificazione”. C’è una grande differenza però tra la legge del 2007 e l’attuale proposta: la legge 188 si era ben guardata dal toccare una “storica” modalità di controllo delle dimissioni che consisteva nell’obbligo di “convalida” presso le Direzioni territoriali del lavoro. Una forma di garanzia aggiuntiva nelle situazioni considerate a maggiore rischio di abusi [1]: per le lavoratrici in occasione del matrimonio e di maternità, per i lavoratori, dal 2001, in caso di fruizione del congedo di paternità. In entrambe le circostanze, l’obbligo di convalida, corrispondendo a periodi in cui era vietato licenziare, assumeva una funzione prevalentemente antielusiva nei confronti di pressioni del datore di lavoro (anche nella forma delle dimissioni in bianco o della pretesa della “clausola di nubilato”, ma non solo) volte ad aggirare il divieto inducendo la lavoratrice a dimettersi. Dopo la legge 188 è la volta della 92 del 2012, la cosiddetta “riforma Fornero”, che interviene su questa materia in due direzioni: - rafforzando la tutela preesistente connessa alla maternità/paternità e imperniata sulla procedura di convalida - introducendo una nuova disciplina di controllo per tutti gli altri casi di dimissioni [2]. Il ddl in discussione in questi giorni abroga completamente la riforma Fornero [3], facendo venir meno entrambe le procedure, quella antica e rivisitata, e quella nuova. La convalida delle dimissioni dei lavoratori genitori: non solo dimissioni in bianco! Per le dimissioni della lavoratrice madre e del lavoratore padre la legge 92 ha esteso l’obbligo di convalida fino al compimento del terzo anno di età del figlio. La convalida assume così una funzione più ampia di quella antidiscriminatoria e antielusiva del divieto di licenziamento, che resta fermo al primo anno: si accentua il suo ruolo promozionale della fruizione dei diritti di conciliazione dei tempi (non a caso i tre anni di vita del figlio 4 coincidono con il periodo del congedo parentale indennizzato); e si allarga la garanzia al padre lavoratore in forma autonoma. Le Direzioni territoriali del lavoro hanno consolidato una prassi per cui la lavoratrice (il lavoratore) è invitata a convalidare le dimissioni in un colloquio che prevede un ampio scambio di informazioni dai contenuti predeterminati. Chi si dimette riceve tutte le informazioni sui diritti che si mantengono e su quelli che si perdono, su congedi, permessi e riposi legati alla genitorialità, nonché sulla possibilità di rivolgersi alla Consigliera di parità. La conoscenza di queste informazioni permette alla lavoratrice di prendere una decisione libera cioè pienamente consapevole, oltre che corrispondente alla volontà. Allo stesso tempo, la persona che si sta licenziando è a sua volta invitata a fornire informazioni: sulla propria condizione genitoriale, sull’azienda e sul settore produttivo, sulle caratteristiche del proprio contratto di lavoro e, soprattutto, sui motivi della decisione assunta. Le informazioni fornite dalla lavoratrice, o dal lavoratore, da una parte si inseriscono in un processo molto semplice di istruttoria che porterà a convalidare o no le dimissioni, dall’altra vengono trasmesse per l’elaborazione statistica alla Consigliera di parità territorialmente competente e, a livello nazionale, al Ministero del lavoro che, su questa materia, è tenuto a pubblicare una relazione annuale. È evidente la polifunzionalità di questa procedura di convalida. Per la lavoratrice madre (il lavoratore padre) si tratta del diritto a sospendere gli effetti di una decisione delicata e importante assunta in un periodo ad alta vulnerabilità, e a riformularla in campo neutro, lontano da condizionamenti, verificando le eventuali alternative e potendo coinvolgere una figura di garanzia. Per la collettività, i dati sulle convalide delle dimissioni dei lavoratori genitori, oltre a descrivere l’andamento del fenomeno, registrano lo stato di salute delle politiche di conciliazione dei tempi di lavoro e di cura: ogni rinuncia al posto di lavoro motivata con l’incompatibilità tra l’occupazione lavorativa e l’assistenza al figlio, con l’assenza o il costo alto dei servizi, con l’indisponibilità di familiari di supporto, con orari troppo rigidi e/o mancata concessione del part-time (sono le motivazioni più frequentemente riferite, ma anche il dato sulle dimissioni per cambiamento di attività, in crescita nel 2013, può presentare una correlazione con le stesse esigenze) rappresenta una denuncia dell’inefficienza di tali politiche e fornisce indicazioni sui bisogni reali delle persone e sugli ambienti lavorativi più refrattari a offrire risposte organizzative adeguate. Questa procedura di convalida merita il discredito che è implicito nella proposta della sua abrogazione? La risposta non è scontata né può essere sbrigativa: non basta dire che l’esiguo numero delle mancate convalide, 52 nel 2013, ne dimostra l’inutilità. Certamente il funzionamento della convalida nella prassi, dopo l’estensione operata dalla legge 92, meriterebbe una verifica: per vedere quanto corrisponda alle più ampie finalità implicite in quell’estensione; per valutare l’attendibilità dei dati così raccolti; per capire se non ci siano situazioni che sfuggono alla rilevazione statistica pur traendo beneficio dall’esistenza della procedura [4]. Una ragione generale di metodo consiglia prudenza: una procedura di garanzia, che copre uno spettro di situazioni e interessi più vasto rispetto alla fattispecie identificata con l’espressione “dimissioni in bianco” non si cancella se non sostituendola con una protezione equivalente e altrettanto estesa. La procedura avrebbe piuttosto bisogno di manutenzione: basterebbero linee guida adatte, per evitare l’affermarsi di prassi burocratiche sbrigative e/o il consolidarsi di difformità territoriali troppo marcate; per arricchire l’aspetto promozionale dei diritti di conciliazione anche attraverso una formazione specifica dei funzionari e un più intenso e stabile coinvolgimento delle Consigliere di parità; per migliorare la qualità della rilevazione dei dati, in particolare facendo in modo che resti sempre una traccia statistica dei “ripensamenti” e dando visibilità anche alle motivazioni delle “mancate convalide”. Dunque, se con l’introduzione del modulo che garantisce la data delle dimissioni si previene la forma più subdola di ricatto occupazionale, non si capisce perché la speciale procedura di convalida delle dimissioni per i genitori lavoratori non debba (essere messa in grado di) continuare a svolgere le altre diverse funzioni che la caratterizzano, e che andrebbero piuttosto valorizzate. potrebbero portare al ritiro delle dimissioni e della richiesta di convalida senza tuttavia essere catalogati come “mancate convalide” Il regime generale in materia di dimissioni: salvare il diritto di revoca. (fonte: InGenere: donne e uomini per la società che cambia) link: http://www.ingenere.it/articoli/dimissioni-bianco-torna-la-legge-ma-altretutele-si-perdono Per tutti i casi di dimissioni cui non si applica la procedura “speciale” legata alla genitorialità la legge 92 ha introdotto una nuova disciplina che generalizza il metodo della convalida. Ma l’estensione è più apparente che reale. Si tratta infatti di una convalida “leggera” e senza istruttoria, da svolgersi indifferentemente presso la Direzione territoriale del lavoro, o il centro per l’impiego, o in sede sindacale. Inoltre questa procedura, che consentirebbe al lavoratore almeno di manifestare la sua volontà davanti a un soggetto terzo, ha poche probabilità di essere davvero praticata: perché la legge permette al datore di lavoro di giocare comunque “in casa” proponendo al lavoratore, in alternativa alla convalida, di confermare le dimissioni sottoscrivendo la ricevuta di trasmissione telematica della cessazione del rapporto di lavoro: con quale “libertà” da condizionamenti è facile immaginare. Un tassello di questa disciplina merita però attenzione. Si tratta del diritto di revocare le dimissioni: sette giorni di tempo, nei quali il lavoratore può convalidarle o contestarle come non autentiche, o anche solo revocarle, cioè ripensarci e “tornare indietro” senza dover necessariamente dimostrare di aver subito pressioni. Quella settimana realizza una tutela circoscritta nel tempo, ma ampia quanto a situazioni coperte: dalla volontà estorta (in qualsiasi forma), ad azioni di condizionamento/pressione al limite della indimostrabilità, fino alla decisione avventata e al conseguente ripensamento. E’ un “tempo di garanzia” che permette contatti esterni e qualche riflessione. Peccato che sia di fatto azzerato quando la modalità prescelta per la conferma delle dimissioni è la “sottoscrizione in calce”, che consente al datore di lavoro di bruciare i tempi facendo immediatamente sottoscrivere la ricevuta al lavoratore, “prima che ci ripensi”: una firma in più, una semplice formalità, che il lavoratore potrebbe certo posticipare di una settimana – ma nessuno controlla che sia effettivamente messo in grado di farlo – adempiuta la quale la decisione diventa irrevocabile. Prima ancora che complicata, la disciplina, con le sue troppe opzioni, è intrinsecamente contraddittoria e può essere abbandonata senza rimpianti. Quasi per intero: perché il diritto di revocare le dimissioni, entro un breve limite temporale – a maggior ragione se il modulo con data certa può essere fornito dallo stesso datore di lavoro! – andrebbe invece, per le ragioni appena dette, salvato e reso effettivo. Queste riflessioni traggono spunto da una indagine in corso sulle procedure di convalida delle dimissioni in alcune regioni italiane, nell’ambito di una ricerca sul ruolo dei servizi ispettivi nel controllo della legalità del lavoro, coordinata da Gisella De Simone (Un. di Genova). La ricerca è inserita nel più ampio progetto Legal_frame_work – Lavoro e legalità nella società dell’inclusione (PRIN 2010-2011), coordinatore nazionale Donata Gottardi. Qui una versione estesa e più approfondita dell'articolo tinti_su_ddl_dimissioni_.pdf [1] L’obbligo di convalida risale al 1963 ed era stato successivamente ripreso nel 2006 per il matrimonio, nel 1971 per maternità: dall’inizio della gravidanza fino al compimento di un anno del figlio vita del figlio, nel 2001 esteso anche ai papà che usufruiscono di congedo di paternità [2] Ballestrero, La disciplina delle dimissioni: i mediocri frutti di una buona intenzione, www.ingenere.it, 10/07/2012. [3] Dimenticando – verosimilmente una svista – di disporre alcunché sulla procedura di convalida delle dimissioni nel periodo in cui vige il divieto di licenziamento per matrimonio, che resterebbe così, solitariamente, in vigore. [4] Mi riferisco ai casi di ripensamento sulla volontà di dimettersi che 5 Stili di vita «Siate eretici»: l'intervento di Don Ciotti al Congresso Nazionale di Slow Food Italia (di Don Luigi Ciotti) Sono molto emozionato e vi porto tutta la mia amicizia […] Nell’invito che mi avete mandato, Roberto Burdese ha scritto per me una frase che io vi riconsegno e che voi conoscete molto bene: «Il sogno condiviso di un sistema alimentare ispirato dai principi del buono, pulito e giusto». Sì, c’è bisogno di giustizia, vi prego c’è bisogno di giustizia nel nostro Paese e non solo: dobbiamo uscire anche dai nostri recinti, dobbiamo guardare a questa mondialità, guardare alla vergogna della fame che travolge milioni, miliardi di persone. In Italia il problema non è solo l’insufficienza di giustizia, ma la scarsa perseveranza nel costruire giustizia. I ragazzi che noi accogliamo al gruppo Abele arrivano con storie pesanti e non ricevono 4 ore alla settimana in alternativa alla pena. Io non voglio giudicare nessuno, ma c’è bisogno di giustizia nel nostro Paese, una giustizia che deve essere costruita. Da anni in Italia c’è una guerra silenziosa, che non è combattuta con le armi militari, ma con quelle economiche. È questa la guerra silenziosa che sta avvenendo nel mondo. È in atto un gigante furto di lavoro, di giustizia e di speranza. Bisogna guardare alle nostre realtà, ma essere anche un po’ strabici e rivolgerci oltre per fermare questa guerra che sta assassinando la speranza di milioni di persone. Per ogni minuto che passa, la spesa militare nel mondo è uguale a 3.000.000 $, e non ci sono i soldi per la giustizia e la dignità delle persone. Abbiamo bisogno di giustizia. Ci sono 9.000.000 di persone in povertà relativa in Italia, 5.000.000 in povertà assoluta, ma tra chi ha perso lavoro, chi cerca lavoro, chi vive forme di precariato, chi è in cassa integrazione, chi è sfruttato, noi abbiamo 7.000.000 di persone nel nostro Paese, che vivono il disagio lavorativo. Non è possibile, e la cosa che ancora di più mi sconcerta, è che mentre noi sediamo al tavolo delle grandi potenze, l’Italia ha 6.000.000 di persone analfabete […]. Noi siamo qui per riflettere insieme, per unire i nostri pensieri, le nostre esperienze, i nostri vissuti, perché abbiamo bisogno di giustizia, di dignità, di lavoro. E il vostro grido è un grido di dignità per voi e anche per quelli che fanno più fatica. L’Italia è tra i primi posti tra i paesi europei per la corruzione pubblica e non riusciamo ad avere una legge completa di contrasto alla corruzione, la stessa che l’Europa ci chiede dal 1999. La corruzione è una ferita dentro di noi, non è un problema marginale: inquina l’economia e la politica. Deve farci stare male questa situazione. Gli affari sporchi delle mafie interessano ormai tutta la filiera agroalimentare e con sofferenza vi devo dire che le mafie sono tornate forti. Questo non deve farci dimenticare la stima e la riconoscenza per quel coraggio e quell’impegno di molti segmenti della magistratura e delle forze di polizia, delle istituzioni, non deve farci dimenticare quella positività che anche insieme abbiamo costruito sui beni confiscati. Le sottolineo queste positività che danno dignità e speranza, ma devo ricordare che negli ultimi 20 anni in cui abbiamo lavorato insieme per fare crescere la legalità, è cresciuta di più l’illegalità nel nostro Paese. Già perché non è sufficiente quello che facciamo quando dall’altra parte c’è chi ha fatto leggi ad personam, quando non si fanno leggi come si dovrebbe, quando non riusciamo ad avere una legge sulla corruzione adeguata, quando da 21 anni chiediamo una legge che metta nel codice penale i reati contro l’ambiente e non riusciamo ancora a ottenerla, perché i venti contrari, gli interessi contrari ci sono e sono puntuali. Le mafie sono ritornate forti, ve lo dico con estrema cognizione di causa, ma anche con tanta fatica. Hanno tanto denaro liquido in questo momento di grande crisi e comprano, investono, acquistano loro i terreni. Partono proprio dall’acquisto dei terreni e compongono tutta la filiera, fino ad arrivare ai centri commerciali. Matteo Denaro Messina aveva una percentuale alta in una catena di supermercati Italia ed è latitante da parecchi anni. La mafia ce la troviamo sulle nostre tavole, 34 ristoranti e pizzerie a Roma sequestrati dalla magistratura perché in mano all’ndrangheta calabrese. […]. C’è una violenza in guanti bianchi, una violenza anonima, del denaro che circola solo per produrre dell’altro denaro uccidendo il lavoro di tante persone. Le mafie prestano denaro attraverso pseudo società finanziarie a piccole-medie imprese in difficoltà, sono forme di usura. E in questo momento di fatica di tanta gente, inconsapevolmente molti vengono strangolati in questa situazione, ma il grande dato è la mafiosità. C’è una mafiosità diffusa che è il vero patrimonio delle mafie e dei corrotti, prima ancora del patrimonio economico e non sono io a dirlo, ma lo ha affermato in una sua relazione un paio di anni addietro la Banca d’Italia: questi personaggi mafiosi “siedono nei consigli di amministrazione di Enti pubblici”. Allora amici vi esorto nella gratitudine delle cose cha abbiamo costruito in questi anni insieme, quella raccolta di firme, 1.000.000, per sottrarre ai mafiosi i patrimoni e restituirli alla collettività, ci siamo inventati insieme le cooperative sui beni confiscati. Oggi la legge deve cambiare. Questi anni hanno permesso di vedere le ombre, i ritardi, la burocrazia del sistema, ma nonostante questo abbiamo costruito insieme qualcosa. Io ricordo la prima pasta che faceva schifo, era scotta, biologica, ma scotta e il primo vino diciamo che era buono per non umiliare i ragazzi. Poi siete arrivati voi con la vostra competenza e professionalità e poi sono arrivati gli altri amici, Cia e Coldiretti, perché bisogna stare insieme perché quello è un nemico, la mafia è un nemico. E allora è stato tutto possibile. Il vino oggi è buono e in quel vino c’è anche un pezzo di voi, di chi si è messo in gioco per dare una mano. E lo so che è una piccola cosa quella che abbiamo fatto, quanto di più si potrebbe fare qui e altrove. E abbiamo lavorato perché qui e in Europa, dove l’ultimo dato parla di 3600 organizzazioni criminali, ci sia una direttiva di confisca dei beni a livello europeo e la restituzione alla collettività. Prepariamoci dunque a dare una mano in territori più difficili sparsi per il mondo, per accompagnarli ricchi di questa esperienza, con i nostri limiti e le nostre fatiche, ma coscienti del fatto che insieme è possibile. Le mafie non rimangono in silenzio e proprio in questi giorni c’è rappresaglia, dopo che il Papa ha voluto ricevere e sentire quei nomi incessanti di tutti i familiari delle vittime di mafia, ma se siamo uniti è il bene che vince, non vince il male e non vince la violenza e chi copre le mafie, perché i mafiosi sono nessuno. La mafia è forte, ma la forza della mafia non è dentro, ma sta fuori dalla mafia. Libera è in tutti i processi come costituzione di parte civile contro la famiglia di Matteo Denaro Messina, nel processo stato e mafia, siamo in tutti i processi contro le slot machine che mafia e camorra gestiscono. Siamo cittadini che mettono la loro faccia. Vi prego non chiamiamoci più società civile perché è come l’acqua bagnata, chiamiamoci società responsabile perché non si può essere cittadini a intermittenza, come sono tanti. E non facciamo come quelli che si commuovono per Lampedusa e poi non si vedono più, perché non basta commuoversi, ma bisogna muoversi di più tutti. Allora non rassegniamoci a questa convivenza, non rimaniamo a guardare, dobbiamo ribellarci all’impotenza per fare in modo che a esser normale non sia l’illegalità e la corruzione, le mafie e la furbizia, ma che a diventare normale con l’impegno di tutti, sia la trasparenza. Io credo che si debba sempre distinguere per non confondere, che è importante valorizzare quanti nei vari ambiti sono onesti, puliti e trasparenti. Anche in politica c’è della bella gente che ci crede e s’impegna, pertanto bisogna evitare le facili generalizzazioni che ogni tanto si sentono, perché è il sistema che deve cambiare. Ovvio ci sono anche i lazzaroni che magari vanno a occupare il Ministero dell’Interno. Lasciatemi dire quello che diceva Giuseppe Dossetti, uno dei padri della Costituzione italiana e poi monaco, chiuso a Montesole nel silenzio della parola e che quando ha visto che qualcuno voleva mettere in discussione la Costituzione, sempre da monaco ha ripreso la parola dicendo: «che senza il rinnovamento profondo e radicale e delle coscienze e delle persone responsabili della vita amministrativa e politica, il rinnovamento sarà più apparente che 6 reale». È la responsabilità la spina dorsale della democrazia e della nostra Costituzione e la nostra Costituzione è fondata sull’etica della responsabilità. E la prima parte della Costituzione non deve essere cambiata, ma attuata. E allora la responsabilità è un sentimento morale che nasce dal rapporto vivo con la propria coscienza. Cedere la propria responsabilità è rinunciare alla nostra libertà. Siamo chiamati oggi più che mai tutti a scelte coraggiose. Il coraggio di fare scelte anche scomode e di rifiutare i compromessi. Bisogna prendere posizione e decidere ancora più oggi da che parte stare. Dobbiamo uscire dai nostri recinti. Cito le parole di Papa Francesco nel documento che ha mandato per la Giornata mondiale della pace il 1° gennaio, e i contenuti della telefonata che poi ha avuto con Carlo Petrini. In quella telefonata al di là dei riferimenti che qua ognuno rappresenta c’eravate anche voi, il vostro impegno, le vostre scelte che hanno permesso di graffiare la coscienza di tanta gente nell’arco di questi anni. E il Papa in quel documento parla della natura, dell’ambiente, dell’agricoltura, cioè parla di voi quando dice: «la fraternità aiuta a custodire e coltivare la natura in particolare il settore agricolo e il settore produttivo primario con la vitale vocazione di coltivare e custodire le risorse naturali per nutrire l’umanità». Allora qui dobbiamo uscire, sui nostri orti, sui lavori meravigliosi fatti sui beni confiscati e non dimentichiamo che è proprio l’umiltà la derivazione della parola humus che vuol dire terra. Essere umili vuol dire terra. La terra ci invita a essere persone umili. Io credo che sia giusto riconoscere il bene che c’è introno a noi per valorizzarlo e promuoverlo. Io sono nato in montagna a Pieve di Cadore e in posti così ami la natura, non puoi non amarla, il bisogno di quella dignità, di quelle vacche. Ci siamo incontrati di recente con gli amici della Coldiretti del Piemonte che ci hanno proposto le asine per il latte, perché abbiamo bisogno di dare dignità al lavoro dei ragazzi. E allora stiamo insieme con la capacità di riconoscere il bene che c’è attorno a noi per valorizzarlo, promuoverlo e sostenerlo. Anche voi siete un segno concreto di questo bene a partire de quella meraviglia di Terra Madre, perché la terra è la madre che ci dice che cosa è la speranza. C’è un grande bisogno di speranza e noi dobbiamo essere un segno di speranza curando tra noi alleanze e fiducia, stupore e accoglienza reciproca. Speranza è la consapevolezza che solo unendo le forze degli onesti la richiesta di cambiamento diventa forza di cambiamento. Vi auguro di essere eretici perché eresia dal greco significa scelta. Eretico è la persona che sceglie. L’eretico è colui che più della verità ama la ricerca della verità. L’eresia dei fatti prima di quella delle parole. L’eresia che sta nell’etica prima che nei discorsi. L’eresia della coerenza, del coraggio, della gratuità, della responsabilità, dell’impegno. Oggi è eretico chi mette la propria libertà al servizio degli altri, chi impegna la propria libertà per chi ancora libero non è. Eretico è colui che non si accontenta dei saperi di seconda mano, chi studia chi approfondisce chi si mette in gioco in quello che fa chi crede che solo nel “noi” l’”io” possa trovare una realizzazione. Chi si ribella al sonno delle coscienze, chi non si rassegna alle ingiustizie, chi non pensa che la povertà sia una fatalità. Chi non cede alla tentazione del cinismo e dell’indifferenza che sono le malattie spirituali della nostra epoca. Trascrizione dell'intervento di Don Luigi Ciotti il 10/05/2014 al Congresso di Slow Food Italia (fonte: Slow Food) link: http://www.slowfood.it/sloweb/ac4162cfdfe93d527f9ef2cc1b81da8a/siateeretici-lintervento-di-don-ciotti-al-congresso-nazionale-di-slow-food-italia Notizie dal mondo Europa Dalle rovine della seconda guerra all'Europa (di Francesco Maria Feltri) mondiale Vorrei subito precisare che in questi ultimi anni, a seguito dell'imminente ingresso nell'Unione Europea di numerosi paesi dell'Est, ci si è resi conto che l'Europa è una realtà molto più ampia e complessa di quella che solitamente noi pensiamo sia. Il termine Europa evoca in noi istintivamente - l'Europa Occidentale; in realtà i lituani sono fierissimi nel dire che il centro geografico dell'Europa passa da loro, perché, in effetti, c'è l'immenso spazio russo che sposta notevolmente l'Europa verso Est. Da più parti, soggetti diversi, da Gorbaciov a Giovanni Paolo II° amavano dire che l'Europa va dall'Atlantico agli Urali. Oggi non abbiamo il tempo di occuparci di tutta l'Europa, cercheremo allora di occuparci solo di quella parte che, nel dopoguerra, ha dovuto risolvere problemi particolari, tra cui la ricostruzione e il confronto con l'altra metà dell'Europa, quella passata sotto il dominio sovietico, trovando fra altre soluzioni possibili quella della Comunità Europea, evolutasi gradualmente in Unione Europea. Vorrei suddividere il mio intervento in tre capitoli, il primo dei quali è una rapida introduzione di tipo terminologico, vale a dire quali sono alcuni problemi che attraversano tutto il '900 e che oggi si ripropongono in forma nuova, ma che hanno la loro origine all'inizio del '900. Concentreremo poi la nostra attenzione sugli anni decisivi compresi tra il 1920, il 1925, il 1933, con l'arco della Germania nazista fino alla guerra e infine porremo la nostra attenzione sul tema della ricostruzione. Partiamo da come si presenta il sistema degli Stati europei all'inizio del '900: innanzitutto esso si caratterizza per due elementi importanti. Nel campo della politica estera l'elemento principale è il cosiddetto Statonazione; a dire la verità vi sono ancora degli imperi multinazionali, quali l'impero austriaco, l'austro-ungarico, quello tedesco che domina mezza Polonia, l'impero russo e l'impero turco; tuttavia la maggioranza degli Stati sta orientandosi verso una sorta di equilibrio tra i confini di uno Stato e la lingua e la cultura della popolazione che vive entro quei confini, nel tentativo di renderli sovrapponibili. Cioè i confini dello Stato in cui abitano i francesi, si cerca di farli coincidere con i confini e con lo spazio abitato dai francesi, in modo che le due cose siano equivalenti. In ogni caso, l'elemento caratteristico è poi il fatto che l'Europa ha più centri, nel senso che vi sono varie potenze che animano lo scenario politico europeo e non c'è un'unica potenza egemone. Se da questo scenario andiamo a vedere i problemi dei singoli Stati, ci accorgiamo che i problemi sono fondamentalmente due: il primo è una importantissima carenza di democrazia. Per quanto sembri strano la democrazia è una conquista recente; in Italia, fino al 1913, non solo le donne sono completamente escluse dal voto, ma votano praticamente le persone con un reddito elevato, per cui, all'inizio del '900, la democrazia è una realtà che non c'è in Inghilterra, non c'è in Francia, non c'è in Italia, per cui le classi popolari, di fatto, sono escluse dalla partecipazione vera della gestione dello Stato. Oltretutto dobbiamo anche ricordare che tendenzialmente - lo stato dell'inizio '900 (modello Inghilterra, ma vale un po' per tutti) segue ancora un modello liberista: questo vuol dire che lo Stato si disinteressa della situazione economica. Il postulato è che la macchina economica è un meccanismo autonomo, che si regola da solo sulla base della legge della domanda e dell'offerta; questo provoca periodicamente gravissime situazioni per le fasce più deboli della popolazione che, in caso di crisi, non hanno alcuna protezione in quanto lo Stato si disinteressa completamente dei disoccupati. In una situazione di questo genere non meraviglia che i movimenti socialisti puntino il dito verso questo stato che chiamano "borghese", perché non è lo stato di tutti, ma è lo stato dei ricchi, tanto è vero che quando c'è lo sciopero arriva l'esercito e quando c'è la crisi nell'occupazione lo stesso stato sostiene di non avere niente a che fare con quel problema. Si capisce allora come i socialisti - in tutta Europa 7 abbiano ottimi motivi per puntare il dito verso l'ipocrisia di questo sistema, che comunque crolla da solo con la prima guerra mondiale, con lo scoppio di una serie di incidenti (forse questa guerra non la voleva nessuno), l'Europa sprofonda in una catastrofe ed esce dalla prima guerra mondiale (questo non ve lo dovete mai dimenticare) ancora più a pezzi che dalla seconda guerra mondiale. I problemi che l'Europa e il mondo intero devono risolvere nel '19, sono infinitamente più pesanti se non altro perché nel '45 c'era un precedente positivo o negativo, che portava a dire che in una certa maniera le cose anche in precedenza - non avevano funzionato. Dopo il 1918 era stata tentata la Società delle Nazioni e si era visto che non funzionava come grande organismo di regolamentazione dei conflitti internazionali. Le nuove Nazioni Unite non funzioneranno, però cercano di fare tesoro di quello che la Società delle Nazioni aveva perduto; la stessa cosa a livello economico, in particolare balzerà subito agli occhi la più clamorosa delle differenze: se la scelta che venne fatta nel '19 fu quella di penalizzare, punire e umiliare il principale nemico sconfitto, cioè la Germania, nel 1945, viceversa, i tre grandi Paesi sconfitti (Italia, Germania e Giappone) sono in ogni modo sostenuti dai vincitori; Stati Uniti in primo luogo. Come si vede, una strategia di segno completamente diverso che fa tesoro dell'errore compiuto in precedenza. La prima guerra mondiale è importantissima per vari motivi, ma il dato più inquietante è forse il fatto che mette in scena le masse: ci si accorge che la società moderna è una società di massa, anche se qualcosa era già cominciato con le dimensioni delle industrie sempre più grandi, ma per l'Italia, il più banale degli esempi, che si era di fronte ad una realtà di massa è con la ritirata di Caporetto, quando eserciti della prima guerra mondiale hanno coinvolto milioni di soldati. A Caporetto, nel momento più critico, l'esercito italiano, cioè lo Stato con messaggi di vario tipo (teniamo presenti che all'epoca molti soldati erano analfabeti) promise che se la guerra fosse stata vinta, ci sarebbero stati dei miglioramenti sociali. In sostanza, lo Stato si rende conto che, se vuole continuare a sopravvivere, ha bisogno del consenso delle masse, ma si potrebbe anche dire che, subito dopo la guerra, le masse fanno paura, perché hanno fatto una rivoluzione, fanno paura perché occupano le terre, a Torino occupano le fabbriche. Si può allora dire che il fascismo è simultaneamente due cose: innanzitutto, sostenuto dai grandi industriali e da tante altre forze nel tentativo di bloccare l'ascesa delle masse, ma nello stesso tempo come tentativo di governare, perché il fascismo - come il nazionalsocialismo vogliono essere regimi di massa. Le masse non devono essere protagoniste, la democrazia viene disprezzata e cancellata, però ci si rende conto che le masse sono un soggetto importante, non si può far finta che esse non siano presenti sullo scenario politico e sociale; ecco che le masse vengono costantemente mobilitate in grandi raduni, in grandi organizzazioni giovanili e grandi organizzazioni di dopolavoro. Con una strategia tutta sua, che negava in sè i principi stessi della democrazia, il fascismo e il nazismo si sono posti seriamente il problema delle masse. In particolare, il discorso vale per la Germania, non solo perché le liturgie di massa negli stadi sono state particolarmente raffinate, ma anche perché la realtà sociale che porta il nazionalsocialismo al potere è di segno particolare. Non dobbiamo mai dimenticare che la Germania subisce e vive negli anni '20-30 due realtà drammatiche: nel 1923 una inflazione devastante per cui un uovo finisce per costare una cifra assurda, a indicare che la moneta è morta. Una immagine che colpisce molto è quella di un signore che deve rinnovare la tappezzeria del proprio salotto e, per farlo, usa le banconote da dieci marchi anziché la carta da parati. Chi aveva qualche risparmio in banca si è ritrovato carta straccia, chi aveva beni immobili si è ritrovato - speculando - con grandi fortune. Ancora più importante è da segnalare l'esperienza americana, cioè la realtà della grande crisi del '29. E' questa una esperienza centrale nella storia del '900, intorno alla quale vorrei insistere, perché è da lì che nascono tantissimi elementi importanti. Il dato più elementare è che il mercato si blocca, il potere d'acquisto - soprattutto dei contadini americani - si ferma, nessuno più compra e quindi le fabbriche americane non sanno più a chi vendere automobili, vestiti, beni di consumo... Allora, il significato storico del New Deal di F. D. Roosevelt consisterà nello scoprire che il sistema capitalistico, se può essere rilanciato, potrà essere fatto solo con il sostegno e l'aiuto dello Stato; il mercato è finito, il mercato è un feticcio, non è vero che da solo è vita, ha anima, è capace di far funzionare l'economia, perché si tocca con mano che il mercato si è completamente bloccato. Il significato storico del New Deal consiste nell'aver assunto le opere pubbliche come grande strada da percorrere: la diga sul Tennessee diventa simbolo del new deal, il che vuol dire che migliaia e migliaia di persone percepiscono di nuovo un salario, hanno un potere d'acquisto, possono di nuovo comprare e, faticosamente, il meccanismo riparte. Questo significa che lo Stato si accorge che non può ignorare i suoi cittadini ed è lo stesso modello capitalista che richiede questo intervento dall'esterno. In Germania il discorso sarà doppiamente vero: il primo elemento che dobbiamo ricordare sono i voti del partito nazista che crescono in modo direttamente proporzionale ai disoccupati: in USA sono diciassette milioni, in Germania arrivano a sei milioni, nel 1932. Man mano che vediamo - tra il '30 e il '32 - crescere il grafico dei disoccupati, alle varie elezioni cresce il grafico dei voti del partito nazista. E' ovvio che gli operai tedeschi e non solo loro, sono disperati e, in questo contesto, c'è da osservare che simultaneamente cresce il grafico dei voti comunisti, per cui c'è una forbice terrificante e in mezzo, la democrazia è considerata qualcosa di inutile, di assolutamente incapace di risolvere i problemi del cittadino tedesco comune. Tuttavia la maggioranza dei voti in un contesto in cui la volontà di ritornare grandi come grande potenza tedesca è molto importante, indirizzerà il trentasette per cento dei voti sul partito nazista nel '32 e porterà Hitler al potere. Qui dobbiamo avere molto chiara una strategia economica di Hitler: una strategia lucida e il primo concetto importante che mi devo sforzare di far comprendere ai miei studenti, è che Hitler non è un pazzo, Hitler ha una strategia, ma anche le idee di un razzismo esasperato, che lo porteranno a compiere uno dei più efferati crimini della storia, ma Hitler ha un progetto preciso nel quale singoli elementi, con una grande volta, si tengono l'uno con l'altro e permettono la costruzione di un edificio compatto e saldissimo. La prima strategia consisterà nell'organizzare - di nuovo - il riarmo della Germania: è l'equivalente della diga del Tennesse e l'intervento dello Stato nell'economia, sotto forma di commesse, ha fin dall'inizio - come obiettivo - la guerra, perché nella concezione di Hitler l'espansionismo tedesco è parte integrante e il fine del suo progetto. Una volta che abbiamo tenuto presente questa meta finale, venata di razzismo potenzialmente genocida, dobbiamo metterci dal punto di vista di un tedesco comune, a due livelli. Il primo livello: pensate a un disoccupato berlinese o di qualunque altro grande centro industriale che chiede a chiunque uno straccio di lavoro e dappertutto questo gli è negato, immaginate cosa succede a questa persona se un amico lo porta a un raduno nazista: si sentirà caricare in modo appassionato ed entusiasmante, tanto da non sentirsi più l'ultima ruota del carro, ma di appartenere ad un popolo dal grande destino purché segua il Fuehrer e testimonianze numerosissime, anche dall'interno del mondo cattolico, dicono che il braccio scattava automaticamente in fuori in segno di adesione. Nei grandi raduni di massa, quando Hitler visitava una città, la gente, (e ripeto anche tanti cattolici) chi più, chi meno, pur problematicamente, con pentimento a posteriori, ha aderito perché Hitler ha galvanizzato e dato speranza ad un popolo disperato. Il secondo elemento importante: le promesse di Hitler non sono menzogne, nel 1933 vi sono sei milioni di disoccupati, due anni dopo la disoccupazione è già ridotta a un milione, nel 1939 si importa manodopera dalla Polonia e c'è piena occupazione. Ci sono una serie di filmati a colori che venivano proiettati nei cinegiornali prima dei film, che mostrano operai al lavoro, che per la prima volta in vita loro hanno le ferie pagate in crociera. Quindi migliaia di tedeschi che hanno guardato a Hitler come al loro salvatore. Questo è un aspetto che bisogna riconoscere, ma dobbiamo capire in modo corretto che in Germania, il nazionalsocialismo ha goduto di un favore, di un fascino formidabile e dobbiamo essere consapevoli che essere nazisti era straordinariamente bello; se non abbiamo chiaro questo, credo che del nazismo non capiamo nulla: ecco perché sono spesso fuorvianti i paralleli che la sinistra troppo spesso fa - per motivi politici - tra Pinochet e Hitler. 8 Non c'è paragone, perché Pinochet vuole semplicemente che gli operai che hanno nazionalizzato le miniere di rame stiano zitti e pensino a lavorare e immettano profitti nelle casse dello Stato e delle grandi multinazionali americane. A Pinochet non interessa essere amato dal popolo, in Hitler c'è il desiderio di captare consenso in un regime totalitario di massa. A questo punto, siamo nel 1939, abbiamo dei balzi formidabili e, quando Hitler invade la Polonia, la sconfigge in un mese, l'anno dopo invade la Francia e, in due mesi, la guerra è vinta e, persino qualche generale, che nutriva qualche perplessità nei confronti di Hitler, non oserà più dire nulla. Qui mi riallaccio a quanto detto nell'introduzione, laddove si parla di Resistenza: per l'Italia è vero, non lo è per la Germania o meglio, la cosiddetta altra Germania, in cui sono pochissimi i personaggi nascosti nell'emigrazione all'estero e la Germania uscirà dalla guerra con un serio problema, quello che lì la resistenza di massa non c'è stata: quel poco che c'è stato sono complotti di militari che il 20 luglio 1944 cercano di mettere una bomba, quando ci si accorge che la guerra è ormai persa. Infatti era già avvenuto lo sbarco in Normandia e la grande offensiva sovietica sul fronte orientale. Se mi permettete un parallelo un po' polemico e audace, è come dire che Vittorio Emanuele II' è il leader della resistenza solo perché quando gli americani sono in Sicilia si rende conto che se va avanti così perde il trono e perde tutto, cosa che poi avverrà, però il suo tentativo del 25 luglio di abbattere Mussolini, è nato dal rendersi conto che la guerra è persa e seguire Mussolini significa togliere l'ultima possibilità di sopravvivenza per la monarchia. Dunque la Germania si avvia alla guerra e, pur con un po' di esagerazione, possiamo dire che gli anni '40-44 vedono effettivamente un primo grande progetto di unione Europea, tanto è vero che è chiamato dai tedeschi "nuovo ordine europeo". Un progetto in cui si crea una grande area che (siamo nel 1943) va dai Pirenei fino al Volga, tutto, ad eccezione della Svizzera, è occupato dall'esercito tedesco e, (non c'era ancora stata la disfatta di Stalingrado), i nazisti già progettano come riorganizzare quest'area, il genocidio degli ebrei fa parte di questa estrema pulizia razziale, poi si progetta la sterilizzazione degli slavi perché si dovrà decidere se e quanti dovranno essere utilizzati come schiavi alla produzione economica tedesca e poi i danesi, i belgi, gli olandesi, considerati più ariani che verrebbero messi ad un livello più alto della gerarchia e, via via, fino ai francesi, agli italiani, per arrivare ai serbi, polacchi, russi, che sono invece gli scarti. Quindi c'è un progetto di Unione Europea, che però non ha niente a che vedere con quello che sarebbe arrivato dopo e che nascerà come risposta morale e politica ai disastri della seconda guerra mondiale. A questo punto vediamo come esce l'Europa dalla guerra. Innanzitutto è inutile ricordare i disastri materiali, anche se dobbiamo tenere presente che una delle differenze radicali che distingue la prima dalla seconda guerra mondiale è che l'epicentro della prima è a Ovest, mentre l'epicentro della seconda è a Est; è il fronte occidentale che decide la vittoria e la sconfitta della Germania nel 1914: lì ha vinto, l'esercito russo si è arreso, Lenin firma la pace, ma poiché la guerra sul fronte occidentale non viene vinta, il risultato sarà la disfatta. Viceversa non dobbiamo dimenticare che l'epicentro della seconda guerra mondiale è a Est, quindi maggior numero di morti: non sappiamo quanti sono stati, si può ipotizzare una cifra di circa cinquantacinque milioni e oggi molti storici arrivano a ipotizzare che ventisette milioni di questi cinquantacinque erano cittadini sovietici (ucraini, estoni o lettoni) la maggioranza sono civili, caduti per la violenza e la brutalità con cui la guerra si è scatenata sul fronte orientale. Questo però è un asso nella manica per l'Occidente, perché vuol dire che l'Occidente esce dalla guerra molto meno devastato di quanto a volte pensiamo. Sono le città tedesche che sono rase al suolo, è l'Est che è raso al suolo: Varsavia viene distrutta tre volte durante la guerra, una prima volta bombardata dai tedeschi nel 1939, il ghetto viene raso al suolo nel '43 e quando i polacchi tentano l'insurrezione nazionalista nel '44, c'è la distruzione totale. Lo stesso scenario di distruzione lo troviamo a Stalingrado dopo sei mesi di combattimenti, lo troviamo a Berlino, a Dresda e in altre città tedesche, ma Parigi esce intatta, così come Roma e Milano non finiscono in un totale cumulo di macerie. I principali impianti industriali francesi e italiani non devono ricominciare da zero, quindi questa è una differenza importante rispetto all'Est Europa, comunque la differenza importante fra Est e Ovest riguarda l'esercito che materialmente ha operato la liberazione. I polacchi non vogliono questo termine, si rifiutano di usare la parola "liberazione" per l'arrivo dei sovietici a Varsavia, a Cracovia e in altre loro città perché una metà del loro Stato era già stato occupato nel '39, nel '45 hanno occupato anche l'altra metà. Voi capite che il punto di vista di quali sono i diversi modi di guardare la memoria del passato sta emergendo clamorosamente. La stessa cosa vale per i lituani, i lettoni e gli stessi ucraini vivono questa esperienza del rapporto con il passato, ma i polacchi la vivono in termini estremamente drammatici. Così come lo vivono in termini molto diversi, rispetto agli italiani, i tedeschi; dobbiamo ricordare che, quando gli americani arrivano dalla Normandia, una delle prime città tedesche che investono è Acquisgrana, i combattimenti sono violenti, ma una volta che la forza armata tedesca si arrende, la popolazione - immediatamente - instaura ottimi rapporti con gli americani e guarda a loro come a degli ex-nemici. In Germania Orientale la realtà è completamente diversa: in quel versante i tedeschi vivono una esperienza di fine guerra assolutamente traumatica, in primo luogo sul piano dei confini. Guardate dove è Berlino oggi, guardate su una cartina storica dove era Berlino nel 1939: lì c'è tutta la Prussia Orientale, metà circa della Polonia attuale che viene schiacciata verso occidente. Una delle prime importanti dichiarazioni che fece il cancelliere Kohl, all'indomani dell'unificazione, fu di non avere nessuna rivendicazione al di là della linea Oder-Neisse, cosa accolta con sollievo da tutti, perché voleva dire accettare - nel bene e nel male - la lezione della storia e voleva dire tappare la bocca ai profughi ultranazionalisti (e spesso nazisti) che avrebbero voluto almeno risarcimenti economici, se non addirittura il ritorno ai confini del 1939. Voi capite che queste sono questioni legatissime alla geopolitica dell'Europa, che affondano le loro radici in quelle che chiamiamo le rovine della guerra. Inoltre c'è da tener presente che l'arrivo dell'armata rossa comporta la violenza su almeno un milione di donne tedesche: tutte le donne berlinesi tra i dodici e i sessantacinque anni sono state violentate e queste sono cose che pesano nella memoria. Altra cosa importante è che nel 1990, a unificazione tedesca avvenuta, si decide a Berlino - dove fu firmata la pace - di costruire un grande Museo della Memoria. Per quanto riguarda la Shoà ormai c'è una ammissione autocritica, se poi andiamo a toccare il nervo scoperto della guerra sul fronte orientale, la situazione è tuttora estremamente variegata. Questa la situazione presente un po' dappertutto nel 1945 e i problemi sono di ordine economico e di ordine politico. Partiamo dal discorso politico: in Italia c'è stato il dato importante della Resistenza, anche se non dobbiamo esagerarne il ruolo, che ha avuto un'ampia partecipazione di massa. E' la prima volta che contadini e operai, in tutte le zone, specialmente in Lombardia, Piemonte e, soprattutto, in Emilia, danno un contributo significativo di partecipazione e comunque in forma grandemente superiore rispetto a quanto accaduto durante la prima guerra mondiale, quando ad arruolarsi sono stati gli studenti, mentre i contadini hanno accettato la guerra così come si accetta la grandine; c'è comunque una assunzione di consapevolezza politica e questo vuol dire che la nuova Costituzione Repubblicana non può far finta di ignorare queste spinte e così abbiamo una delle costituzioni più democratiche di tutta Europa, nella cui elaborazione si è speso moltissimo Giuseppe Dossetti, la cui figura e il cui ruolo è ancora troppo poco conosciuto per quanto riguarda la stesura materiale del testo della Costituzione nella quale il concetto più importante è appunto quello che una costituzione vale e regge nel tempo se si trovano punti di mediazione condivisi da tutti. La grandezza di Dossetti fu quella di trovare il punto di incontro in cui si potevano confrontare laici, comunisti e cattolici, ciascuno con la propria peculiarità. Per quello che riguarda la nascita graduale di aggregazioni a livello europeo, abbiamo innanzitutto un elemento importante da mettere a fuoco: l'Est e l'Ovest sono due realtà diverse e l'Est è sotto la dominazione comunista, la Germania a sua volta è divisa e a questo punto tutti si rendono conto che è indispensabile - se si vuole evitare un'ulteriore espansione dell'Unione Sovietica - integrare di nuovo la Germania, evitando di penalizzarla come si è fatto nel '18, trattandola da partner a pieno titolo e non da potenza umiliata e sconfitta. 9 Quindi in Europa, le prime forme di aggregazione a livello sovranazionale guardano all'Unione Europea come ad un traguardo ancora lontanissimo, per cui Altiero Spinelli e i federalisti non vengono ascoltati, il loro è un ruolo di profeti, ma non sono loro le vere anime del processo. Il processo è a livello molto più pragmatico e concreto: ci si rende conto che ci sono dei problemi pratici, di ordine politico, militare ed economico. Più che la vera integrazione europea, è importante il Piano Marshall, questa immensa mole di denaro e generi vari che arrivano dagli USA e che serve a creare un blocco continentale. Questo serve a cementare una grande area a controllo americano, all'interno della quale nasce l'idea di rafforzare ulteriormente questa strategia che coinvolge sempre più la Germania e che ha un effetto anticomunista di alto livello, perché più si sviluppa l'economia, meno disoccupati ci saranno e meno malcontenti sociali; si tagliano alla radice le gambe allo sviluppo di un movimento comunista interno. Al vertice le sinistre vengono espulse da tutti i governi - in Francia come in Italia - mentre, a livello sociale sia il Piano Marshall, ma ancor più questa politica economica finalizzata a integrare le risorse, hanno il compito di risollevare l'economia. Tra i protagonisti di questi anni ne ricordo quattro, il primo dei quali è un protagonista che non c'entra, nel senso che rema controcorrente ed è - per certi versi - un illuso: è Charles De Gaulle. De Gaulle è un personaggio che non ha capito la necessità della strategia che ho provato a riassumere; egli si illude che la Francia sia ancora una grande potenza, che ce la faccia a fare da sola, che possa avere una forza nucleare autonoma. Si sente schiacciato tra USA e URSS, non vuole appiattissi - soprattutto sul piano militare - sul versante statunitense e cerca di recuperare il modello dello Stato-Nazione dell'inizio del '900; per certi versi è un modello ampiamente fallimentare, ma comunque De Gaulle avrà un ruolo decisivo, nel senso che quando vengono stipulati i primi Trattati della Comunità Economica Europea, c'è da parte dei firmatari l'idea che adesso stipuliamo degli accordi economici e poi - gradualmente - quella porzione di sovranità che adesso abbiamo ceduto in parte sulle questioni economiche, piano piano la cederemo anche in ambito politico e militare. De Gaulle interrompe bruscamente questo orientamento e, per certi versi, gli si può attribuire un ruolo di freno allo sviluppo dell'integrazione europea. A me preme invece fissare l'attenzione sugli altri tre personaggi, che per gli storici hanno un elemento in comune: per la Francia Schuman, per la Germania Adenauer, per l'Italia De Gasperi. Questi tre personaggi hanno in comune il fatto di essere uomini di frontiera: Schuman è francese, ma già il cognome ci dice che viene dall'Alsazia, dunque un mezzo tedesco, Adenauer è tedesco della zona del Reno, De Gasperi è un trentino. Sono uomini nati sulla frontiera, hanno capito come si possa e si debba vivere con due o più identità e quindi come l'Europa debba e possa convergere e il fatto che questi tre individui abbiano viva questa realtà di frontiera, ha avuto un ruolo decisivo nello svolgimento di quella politica che ha una serie di elementi convergenti, tenuto conto che non vogliono costruire la Federazione Europea, da questo punto di vista, Spinelli è un visionario che non viene ascoltato da nessuno. Gli altri tre, anzi ognuno di loro, tende a risollevare la propria economia nazionale (a pezzi) con l'obiettivo di collegare a questa anche un risvolto anticomunista forte in tutti e tre e avendo simultaneamente la consapevolezza che l'integrazione della Germania con gli altri è vitale, per impedire una espansione ulteriore del comunismo. Il tutto con un ulteriore elemento politico, militare ed economico che è la potenza americana alle spalle, cosa di cui dobbiamo sempre tenere conto, perché l'Europa nasce in quanto gli americani vedono di buon'occhio questa scelta. Un ultimo concetto importante: in tutti i Paesi europei, negli anni '50 e 60 del boom economico, si farà ampiamente tesoro dell'esperienza del New Deal e - se volete - persino dell'esperienza sociale nazista, cioè del fatto che lo Stato non può più far finta che i problemi e le esigenze della classe operaia e delle masse non lo riguardano. II Welfare State nasce assumendo come modello soprattutto Keynes e un po' ovunque si cercherà di procedere in una direzione per la quale lo Stato cerca di venire incontro, con la sanità, con la scuola, le pensioni, a quelle che sono le esigenze della collettività. Sino a quando poi i debiti pubblici non diventeranno talmente elefantiaci da obbligare a una situazione difficile. Un'ultima osservazione doverosa a titolo di appendice: Adenauer e De Gasperi sono cattolici e questo è importante dirlo e ribadirlo, proprio perché, a loro modo, sono cattolici atipici nello scenario del loro tempo, perché quando viene firmato il trattato di Roma nel 1957, il Concilio Vaticano II' è ancora di là a da venire. Non dobbiamo dimenticare che il cattolicesimo degli anni '50 ai tempi di Pio XII', non è lo stesso cattolicesimo dei giorni nostri; così come non dobbiamo dimenticare che negli anni '50 c'è il sogno cattolico di una Unione Europea, ma se mi permettete una battutaccia, questi pensano alla sindrome di Carlo Magno, pensano al Sacro Romano Impero, non a una libera associazione di democrazie, ma a una specie di restaurazione di una grande cristianità, in cui - tutto sommato - il Papa e la Dottrina Sociale cristiana abbiano il posto centrale. Oggi noi restiamo giustamente inorriditi davanti all'integralismo islamico, credo però che molti cattolici abbiano la memoria corta, se non ricordano che sino al Vaticano II' il cattolicesimo è integralista. Certo non ricorre alla violenza, non mette le bombe, ma per quello che riguarda concetti come la "laicità dello Stato", l'accettazione dei principi elementari della democrazia per cui tutti possono parlare, i principi della libertà di coscienza, sono tutte cose che è il Vaticano II', dieci anni più tardi, a dirle, con molti dei Padri Conciliari perplessi. Non dobbiamo dimenticare che - qua e là - il modello continua ad essere la dittatura di Franco e non certo la democrazia, perché la democrazia puzza di americanismo e questo è guardato con sospetto e con perplessità. A livello cattolico italiano e francese, dobbiamo allora ricordare la originalità di pensatori che sono tutt'altro che rivoluzionari, ma sono quelli che aprono le porte del futuro. De Gasperi con la sua esperienza trentina, che coniuga sinceramente il liberalismo con il cattolicesimo; Sturzo e Dossetti e, in Francia, la figura di Maritain, che sarà seguita soprattutto dalla sinistra democristiana e che per l'epoca - aveva una impostazione molto ardita, in quanto lanciava un principio che, in parte, in maniera autonoma era stata ripresa da Dossetti ed è quella di cui parlavamo prima e cioè che non è più pensabile che uno Stato poggi su un'unica fede cattolica come nel Medio Evo: questo tempo è irrimediabilmente finito, dice Maritain, ne "L'uomo e lo Stato", quello che conta oggi è una fede civile su cui cattolici, credenti e non credenti, possano trovarsi insieme, su cui possano trovare dei punti solidi intorno ai quali, in nome del bene comune, costruire lo Stato. Sono gli stessi principi secondo i quali - per i parametri dell'epoca, l'estrema laicità - venne costruita la Costituzione della Repubblica Italiana che, ricordiamolo sempre, venne elaborata, votata e firmata da uomini come Dossetti e De Gasperi ma non presenta il nome di Dio e questo, per quell'epoca, è qualcosa di sconvolgente; tanto è vero che quando aprono le porte del Mercato Comune Europeo, lasciando lo spiraglio che in futuro possa evolvere in Unione Europea (anche a livello politico) non c'è la sindrome di Carlo Magno. Semplicemente si pensa, in alternativa al nuovo ordine nazista, ad una unione economica e politica di democrazie di popoli che partono da esperienze storiche molto diverse, trovano dei punti in comune e infine riescono a costruire qualcosa insieme. Ho sempre trovato estremamente sterile la polemica sulle radici cristiane dell'Europa nella Costituente Europea, perché o è una affermazione puramente nominale e allora non vuole dire niente, oppure, se ha un significato vuol dire che allora non è cristiano chi non si riconosce in quelle radici e deve essere penalizzato. la qual cosa è demenziale e io ritengo sia molto più saggia una sana riscoperta delle lezioni di grandi maestri cattolici che non hanno avuto paura, nella loro fede integerrima, ad affrontare una laicità molto più ardita di tante strade proposte oggi. (fonte: ACLI di Cernusco sul Naviglio) link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2051 India L’India si tinge di arancione, il potere a NaMo (di Francesca Rosso) “TsuNaMo” è il titolo dello speciale elezioni indiane dell’Hindustan Times. Ed è proprio così: un’onda di successo travolgente per NaMo, 10 Narendra Modi, il leader nazionalista del Bharatiya Janata Party (BJP) che ha conquistato la maggioranza assoluta con 282 seggi, più dei 272 seggi necessari su 543. Non succedeva da 30 anni che un partito riuscisse a conquistare da solo la maggioranza parlamentare: da quando il Partito del Congresso della dinastia Gandhi, oggi spazzato via con meno di 50 poltrone in Parlamento, ottenne 400 seggi sull’onda emotiva dell’assassinio di Indira. Sono state le più lunghe elezioni nella storia del Paese, dal 7 aprile al 12 maggio. E, quelle con la partecipazione record di 551 milioni di votanti, pari al 66,38% dell’elettorato. Una voce stentorea, una campagna martellante sostenuta dai gruppi industriali finanziari che vogliono un governo forte e stabile: NaMo ha conquistato le folle in una campagna costosissima, 457 comizi e 300 mila chilometri percorsi soprattutto in elicottero. Il fior di loto e il color zafferano, simbolo del nazionalismo hindu militante. Ex commerciante di tè, 63 anni, NaMo è una figura che divide, soprattutto dopo le stragi di musulmani in Gujarat del 2002, quando era governatore di quello Stato, che gli costarono gli attacchi del Congresso e il rifiuto del visto negli Stati Uniti. Mentre Modi trionfa, il Partito del Congresso, guidato da 4 generazioni dalla famiglia Gandhi, accetta la sconfitta. Il figlio di Sonia Ghandi (moglie di Rajiv, nuora di Indira che poi era la figlia di Nehru, il primo premier dell’India indipendente), Rahul, non è certo un leader carismatico, sembra chiedersi “che ci faccio io qui?” persino sui manifesti elettorali. Infatti la base sembra preferire Priyanka, la sorella minore, dotata di iniziativa e ottima oratoria. Ha dichiarato il portavoce del Congresso: “Modi ha promesso la luna e le stelle al popolo. E il popolo ha comprato un sogno”. Ed ecco i dettagli del sogno che Modi vuole condividere con un miliardo e duecento milioni di indiani: città moderne ed efficienti, treni superveloci, agevolazioni fiscali per gli imprenditori, snellimento della burocrazia, edilizia, fabbriche, miniere che preoccupano gli ambientalisti. Questi gli obiettivi del “Modi rally” per i prossimi 5 anni: crescita del PIL dell’8-9% come prima del 2008 (negli ultimi anni è stato del 5%), freno all’inflazione e creare occupazione per i giovani (l’età media degli indiani è di 27 anni) sono i suoi obiettivi. Tra il 2010 e il 2012 l’occupazione è cresciuta solo di due milioni, mentre nei primi 5 anni del millennio di 8 milioni. Insomma priorità all’economia. L’India è al 134esimo posto nella classifica dei Paesi in cui è facile aprire un business secondo la Banca Mondiale. Bisogna snellire la burocrazia e ricapitalizzare il sistema bancario attraverso il risparmio per attirare investimenti. Anche l’agricoltura merita attenzione: sono troppi gli sprechi di cibo dalla fattoria al piatto. “Ci vorranno 10 anni, non troppo - ha detto il leader del BJP – per strappare a Cina e USA la palma di potenza mondiale”. Oggi, 21 maggio, è il giorno del giuramento. Modi è già andato a Varanasi, la città santa degli induisti, per una preghiera e la benedizione sulle rive del Gange. Il prossimo Lok Sabha (Camera bassa) del Parlamento indiano stabilirà un record perché avrà fra i suoi membri 61 donne, il numero più alto da quando si è cominciato a votare nel 1952. La presenza di deputati musulmani sarà, invece, la più bassa della storia: solo 24 contro i 30 presenti nella legislatura precedente, il 4,4% della forza della Camera. Fra voglia di futuro e spettri di intolleranza, riuscirà NaMo a conciliare le contraddizioni del Paese? Francesca Rosso (fonte: Unimondo newsletter) link: http://www.unimondo.org/Notizie/L-India-si-tinge-di-arancione-il-potere-aNaMo-146009 Appelli e campagne Campagne 52 città si ribellano al gioco d’azzardo (di Gabriele Mandolesi) Quando si parla dell’Italia e dei cittadini italiani, spesso uno dei primi stereotipi che vengono in mente è la pigrizia e l’essere in grado di accettare qualunque situazione: l’importante è non avere troppe preoccupazioni e magari riuscire a guadagnarci qualcosa a livello personale. Ci sono invece delle situazioni che dicono il contrario. Una di queste è la straordinaria scelta di baristi che rinunciano agli incassi elevati delle slot machine (1.500/2.000 euro al mese) perchè la vita di qualcuno che si distrugge per la dipendenza da gioco vale molto di più. E altrettanto straordinaria è la reazione civile e colorata delle oltre 150 associazioni e Comuni che hanno aderito alla campagna Slotmob in tutta Italia, spendendo settimane intere a organizzare colazioni di massa per andare a premiare i baristi in 52 città. Con la loro scelta no slot, hanno bloccato un ingranaggio enorme che vede coinvolti politici, lobby e multinazionali. Molti di questi adesso fanno fatica con la crisi a coprire l’affitto del locale, altri lavorano molto di più perchè devono coprire gli introiti ai quali hanno rinunciato quando hanno deciso che non volevano essere complici del famoso “Sistema Gioco Italia”, che di danni ne crea a sufficienza. Il 10 maggio la campagna arriva a Roma, alle 10 presso Largo Appio Claudio, e sarà un evento in cui da tutta Italia verranno coloro che in corso d’anno hanno partecipato ai vari Slotmob per premiare due bar selezionati con l’aiuto di Libera Presidio Roma 7, perchè oltre a non avere le Slot, si vuole anche essere sicuri che con i consumi premiamo persone legate in nessun modo alla criminalità organizzata. E’ importante essere in tanti, dicono i promotori, e far sentire che, quando vogliono, i cittadini italiani sanno alzarsi in piedi e dire ad alta voce che una società fondata sull’azzardo non è gradita da queste parti. (fonte: Comune-info) link: http://comune-info.net/2014/05/52-citta-si-ribellano-slot-mob-al-giocodazzardo/ Recensioni/Segnalazioni Libri Non complice. Storia di un obiettore (di Piero Scaramucci e Letizia Gozzini) Giuseppe Gozzini, Non complice. Storia di un obiettore, (a cura di Piero Scaramucci e Letizia Gozzini), Edizioni dell’Asino, Roma 2014, pp. 252, € 15,00 Della vita di Giuseppe Gozzini (1936-2010) non sono pochi i momenti da ricordare: il processo subito come primo obiettore di coscienza cattolico nel 1962, la militanza nei «Quaderni rossi», il 1968 e il 1969 vissuti in mezzo agli operai milanesi. Il lettore che voglia capire oggi la storia delle minoranze di ieri, le più determinate eticamente e politicamente, dall’interno delle nuove e aspre contraddizioni portate dal mutamento degli scenari politici e dalla globalizzazione economica, potrà trovare numerosi spunti di riflessione nel confronto con la storia di una sinistra non ideologica e settaria, non smaniosa di potere e idolatra dello sviluppo, non preoccupata unicamente di affermare una leadership o di vincere le elezioni. Si tratta, oggi come ieri, di testimoniare una diversità, mite ma decisa nell’esprimere valori «alti» quanto radicali e nell’attuare pratiche conseguenti, attenta al metodo perché cosciente che sono i mezzi a dar 11 senso ai fini. (fonte: Centro Studi Sereno Regis) link: http://serenoregis.org/2014/05/18/non-complice-storia-di-un-obiettore/ La Cina, questa sconosciuta (di Vincenzo Comito) La banca centrale cinese è appena salita oltre il 2% in Eni ed Enel. Eppure l’Italia è il paese che oggi meno sa della Cina. Il gigante asiatico che si avvia a diventare la più grande economia del mondo continua a essere percepito come una minaccia oscura. Un estratto del libro di Vincenzo Comito, La Cina è vicina?, appena uscito per Ediesse Edizioni. Di fronte ad una sterminata letteratura sul caso cinese, per gran parte ostile, l’autore di questo testo non nasconde la sua simpatia per il risveglio del gigante asiatico e per la sua crescente affermazione nel mondo. Una dissenting opinion che non intende nascondere le profonde contraddizioni che tale sviluppo reca con se?. Non si tratta del riconoscimento del fatto che il Paese si avvia, entro pochi anni, a diventare la piu? grande economia del mondo e, nel medio termine, la potenza egemone del mondo. Ne? della speranza, ancora presente, ad esempio, in un autore come Giovanni Arrighi, della natura ancora socialista del Paese; speranza che, a nostro parere, non sembra ormai avere troppe fondamenta. Le simpatie dell’autore per il Paese asiatico hanno altre basi. E segnatamente queste: la Cina e? riuscita, nell’arco di pochi decenni, a togliere dalla poverta? estrema circa 600 milioni di suoi abitanti, anche se certamente esistono ancora nel Paese delle sacche importanti di miseria. I risultati cinesi non hanno, peraltro, niente a che fare con quelli dell’India, un Paese molto lodato per il suo sistema politico democratico. Ma la cui attenzione verso i problemi dei dannati della terra e? sempre stata sostanzialmente minima. Guardiamo ad alcune statistiche ricordate da A. Sen e da J. Dre?ze (Dre? ze, Sen, 2013). L’attesa di vita alla nascita e? oggi di 65 anni per i cittadini indiani, contro i 73 anni per la Cina; la mortalita? infantile ha un valore per il primo Paese del 47 per mille contro il 13 per mille del secondo; per quanto riguarda la percentuale dei bambini vaccinati siamo al 72% contro il 99%; per quella dei bambini sottopeso al 43% contro il 4%; per quella delle ragazze di eta? compresa tra i 15 e i 24 anni alfabetizzate al 74% contro il 99%; infine, il rapporto studenti/maestri nella scuola elementare e? di 40 allievi contro 17. Non c’e? confronto possibile. Su un piano diverso va osservato che di fronte ad un mondo sino a ieri dominato dagli Stati Uniti, l’affermazione della Cina ci porta progressivamente ad avere due padroni del mondo. Il che e? meglio che averne uno solo: il mondo, pur con le sue contraddizioni, ci appare piu? libero. Certo non siamo al crollo degli Stati Uniti, non ci troviamo in una situazione come quella descritta da Rutilio Namaziano, quel funzionario dell’impero romano che, tornando da Roma via mare al suo Paese natale, la Gallia, osservava ogni giorno nel suo lungo viaggio i segni anche fisici della decadenza dell’impero. Chi scrive pensa che sarebbe ancora meglio che il mondo non avesse padroni e che tutti i Paesi si sedessero al tavolo del potere con pari dignita?; ma, aspettando con speranza quel giorno, accontentiamoci di quello che sta succedendo oggi. Si potrebbe sperare che l’Europa diventi il terzo protagonista dei ‘giochi’ mondiali, ma la sua persistente disunione indica che tali speranze sono ormai ridotte al lumicino. Ne? si puo? pensare all’India come un possibile grande protagonista. Il Paese, pur con le sue grandi potenzialita?, appare anch’esso chiaramente al di fuori del circuito dei grandi. Un’altra ragione, per cui l’autore guarda con molta partecipazione alla crescita della Cina e? dovuta al fatto che egli ha avuto molta simpatia da giovane per il grande processo di liberazione dal giogo coloniale dei Paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina e segue, ancora oggi, con molta partecipata attenzione i loro progressi, sul fronte economico, sociale, politico. Non si puo? non assistere con compiacimento al fatto che la Cina e tanti altri Paesi stiano progressivamente acquisendo il rango che spetta loro storicamente e contribuiscano attivamente a stabilire un nuovo equilibrio mondiale. Non si tornera? probabilmente al 1411 quando, nel pieno della dinastia Ming, la Cina, al massimo della sua potenza, aveva un peso economico preponderante rispetto agli altri Paesi del mondo. Ma, d’altro canto, nessuno potra? piu? ritenere che quello da poco iniziato sia un nuovo secolo americano (Chaliand, 2013). Naturalmente bisogna sempre lasciare il beneficio del dubbio a tutte le estrapolazioni dalle tendenze attuali ai prossimi decenni. La storia fa spesso dei brutti scherzi, ma il percorso sembra in larga parte segnato. Vincenzo Comito, La Cina è vicina?, Ediesse Edizioni, Pagine 192, Prezzo 12,00 La riproduzione di questo articolo è autorizzata a condizione che sia citata la fonte: www.sbilanciamoci.info. (fonte: Sbilanciamoci Info) link: http://www.sbilanciamoci.info/Sezioni/globi/La-Cina-questa-sconosciuta24235 Associazioni Documenti "Porto Volontario" nasce in Toscana il primo social network per le associazioni di volontariato (di CESVOT) Una mappa dettagliata e interattiva che segnala al cittadino la presenza di ogni associazione di volontariato presente sul territorio favorendo la visibilità delle associazioni in Toscana. È quanto prevede il progetto "Porto volontario" il primo in Italia di questo genere, voluto dal Cesvot e realizzato insieme a a uidu.org, che ha dato vita al primo social network "sociale" in Toscana con l’obiettivo di offrire un sostegno concreto a tutti coloro che sono impegnati nel mondo del volontariato. Attraverso la piattaforma è possibile conoscere il profilo di ogni associazione, tutte le iniziative organizzate, condividere appelli, avviare raccolte fondi, conoscere il numero e le competenze di volontari di cui necessita un'associazione. A pochi giorni dal lancio del progetto sono già 120 le associazioni toscane che hanno chiesto di aderire alla piattaforma con un tasso di circa 15 iscrizioni al giorno. “Grazie a questo progetto Cesvot – spiegano Andrea Vanini e Enrico Micheli - fondatori di uidu.org - le sue Associazioni e, più in generale, i volontari toscani, potranno avere un luogo su Internet nel quale coordinare le proprie attività come hanno sempre fatto nel mondo reale, ma con l'aggiunta di tutti gli aspetti di interazione, comunità e viralità che sono propri del mondo Internet. uidu.org fin da quando è nato si è prefisso l'obiettivo di mettere Internet a disposizione del Terzo Settore e ad oggi, anche grazie a questo progetto con Cesvot, possiamo dire che stiamo assolvendo al nostro impegno. Internet è da sempre un ottimo strumento per il "profit", noi vogliamo che lo diventi anche per il ‘nonprofit’.” "Il progetto che rappresenta un servizio innovativo di networking e 12 consulenza/formazione e un'importante sfida per Cesvot e per il volontariato toscano - spiega Federico Gelli, Presidente del Cesvot - il mondo del volontariato finalmente coglie a pieno titolo le enormi opportunità rappresentate dal web. Troppo spesso chi è impegnato nel sociale ha, fino ad oggi, sottovalutato ciò che internet è in grado di dare. Non una vetrina statica ma un luogo virtuale, continuamente aggiornato, dove ogni informazione sarà visibile e consultabile da cittadini, operatori del settore e associazioni. Un social network dedicato al 'sociale' che, siamo sicuri, aiuterà in modo concreto il volontariato a trovare partner, donazioni e volontari." Alle associazioni che aderiranno al progetto Cesvot mette a disposizione anche un servizio gratuito di orientamento, formazione e consulenza su comunicazione esterna ed accoglienza di nuovi volontari, per rendere più forte e capillare la presenza del volontariato nella nostra regione. Per aderire al progetto e ricevere ulteriori informazioni, contattare le Delegazioni territoriali di Cesvot oppure il Settore Sviluppo delle reti e delle associazioni: tel. 055.271731, email: [email protected] link: http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2034