ELENCO ABSTRACT FALUN
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ELENCO ABSTRACT FALUN
XI CONGRESSO DEGLI ITALIANISTI SCANDINAVI Edito, inedito, riedito Falun, 9-11 giugno 2016 Elenco delle comunicazioni Riikka Ala-Risku, Sociolinguistica letteraria: cosa ci insegna la metalingua della narrativa? In più occasioni è stata osservata la frequenza con cui gli autori italiani novecenteschi e contemporanei ricorrono sulla pagina all’uso di commenti metalinguistici espliciti, rivolti in modo particolare all’accoglimento del dialetto e di altri elementi diatopicamente connotati accanto all’italiano (De Mauro 2007, Matt 2014). Più in generale, è stato notato il legame tra la metalingua e il plurilinguismo letterario, sia come elemento caratterizzante dei personaggi, sia come strumento narrativo-stilistico. I commenti metalinguistici contribuiscono alla rappresentazione della comunità bilingue (Timm 1978), ma sono usati anche per segnalare gli elementi alloglotti come “altri” e per garantire la comprensione del lettore monolingue con traduzioni e perifrasi (Jonsson 2012). I commenti metalinguistici riflettono ideologie linguistiche che possono perfino diventare l’argomento stesso della narrazione (Callahan 2001) o descrivono situazioni di contatto e conflitto linguistico (Müller 2015). Nel contesto italiano, gli studi sulla metalingua di Andrea Camilleri ne hanno osservato la funzione ludica e il ruolo nel procedere della trama (Santulli 2010, Wizmuller-Zocco 2010), mentre il romanesco degli autori non romani è considerato ora un richiamo ancestrale, ora un oggetto di analisi quasi filologico (D’Achille 2012). La presente comunicazione intende dare una lettura sociolinguistica di una selezione di opere letterarie contenute in due corpora diversi. Da un lato, il Primo Tesoro della Lingua Letteraria Italiana del Novecento, con i suoi 100 romanzi lemmatizzati ed etichettati secondo l’uso o la provenienza, ci permette di esaminare l’aspetto quantitativo della metalingua in collegamento all’uso del dialetto. Dall’altro, solo una lettura ravvicinata di opere contemporanee può dirci qualcosa di più dettagliato sul modo in cui gli autori commentano i processi sociolinguistici in atto nella comunità e tra i personaggi descritti. L’analisi dei testi rivela una ricca varietà di commenti metalinguistici e una particolare sensibilità al dialetto e all’italiano regionale. Benché non manchino esempi in cui l’uso del dialetto è commentato negativamente come appartenente a personaggi di status socioeconomico basso, in altri casi è valorizzato come indispensabile per l’integrazione sociale e dotato di maggior potere espressivo. Talvolta la metalingua costituisce l’unica spia del plurilinguismo implicito nell’assenza concreta di elementi dialettali. Appare chiaro che per meglio comprendere il ruolo della metalingua nella narrativa, essa va analizzata insieme agli altri “effetti collaterali” del plurilinguismo letterario: gli apparati paratestuali, le tecniche traduttive interne al testo e l’uso del corsivo, parentesi e altri indizi grafici che tutti fanno risaltare il contrasto tra le varietà linguistiche coinvolte. L’analisi della metalingua si rivela uno strumento utile anche per indagare sul rapporto tra l’autore e il lettore. Attraverso i commenti, l’autore si rivolge al lettore (spesso con un dichiarato approccio didascalico) rendendo visibili le proprie ipotesi sulla competenza di chi legge, e più in generale la percezione sull’uso linguistico reale e ideale nella società descritta. Bibliografia Callahan, L. (2001). "Metalinguistic References in a Spanish/English Corpus". Hispania 84 (3), 417-427. D’Achille, P. (2012). “Elementi romani in Caos calmo di Sandro Veronesi e Il contagio di Walter Siti”. In Id. – Stefinlongo, A. – Boccafurni, A. M. (a c. di), Lasciatece parlà. Il romanesco nell'Italia di oggi. Roma: Carocci, 117-129. De Mauro, T. (2007). "Primo Tesoro della Lingua Letteraria Italiana del Novecento" (introduzione al DVD). In PTLLIN, 1-121. Jonsson, C. (2012). "Making Silenced Voices Heard: Code-switching in Multilingual Literary Texts in Sweden". In Sebba, M. – Mahootian, S. – Ead. (a c. di), Language Mixing and Code-Switching in Writing. Abingdon: Routledge, 212232. Matt, L. (2014). Forme della narrativa italiana di oggi. Roma: Aracne. Müller, K. (2015). “Code-switching in Italo-Brazilian literature from Rio Grande do Sul and São Paulo: A sociolinguistic analysis of the forms and functions of literary code-switching”. Language and Literature 24 (3), 249-263. PTLLIN (2007) = Primo Tesoro della Lingua Letteraria Italiana del Novecento. De Mauro, T. (a c. di). Torino: UTET – Fondazione Maria e Goffredo Bellonci. Santulli, F. (2010). Montalbano linguista: la riflessione metalinguistica nelle storie del commissario. Milano: Arcipelago edizioni. Timm, L. (1978). "Code switching in War and Peace". In Paradis, M. (a c. di), Aspects of Bilingualism. Columbia: Hornbeam, 302-315. Vizmuller-Zocco, J. (2010). "I gialli di Andrea Camilleri come occasione metalinguistica". Italica 87 (1), 115-1f 1 Riitta Ammunet, E il titolo americano Deliverance in italiano divenne Un tranquillo weekend di paura Lo scopo del presente contributo è stato di riflettere sui meccanismi con i quali i film americani, composti da un sintagma nominale, vengono tradotti in italiano. Oggetto di particolare interesse sono stati i titoli costituiti da un solo nome dal contenuto astratto (es. Deliverance (1972), titolo italiano: Un tranquillo weekend di paura e The Shining (1980), conosciuto col titolo italiano: Shining; titolo della prima edizione del romanzo di Stephen King su cui si basa il film: Una splendida festa di morte). Diversamente da quanto fatto nel capitolo dedicato ai titoli cinematografici del nostro dottorato, abbiamo ribaltato il punto di vista, nel senso che abbiamo questa volta passato in rassegna le schede di tutti i film con la dicitura “produzione USA”, mentre nell’analisi scritta per il suddetto capitolo del nostro dottorato avevamo lavorato esclusivamente con i titoli italiani (titoli di film italiani o tradotti in italiano). Il corpus è tuttavia stato lo stesso, www.mymovies.it, di cui abbiamo presi in analisi nuovamente i titoli degli stessi anni, un’annata di ogni dieci anni, partendo dal 1904 e arrivando al 2014. In questo studio non abbiamo commentato la felicità o meno di certe soluzioni, anzi – analizzando il materiale, le traduzioni troppo differenti dall’originale non le abbiamo proprio considerate, visto che, in ultima istanza, ci interessa, anche in questa sede, l’uso dell’articolo determinativo, argomento del nostro dottorato. Ugualmente non presenteremo qui le soluzioni identiche nelle due lingue, es. The Theory of Everything > La teoria del tutto o comunque adattate, dal punto di vista dell’uso dell’articolo, alla sintassi italiana. Pertanto, per quanto riguarda il titolo Night at the Museum: Secret of the Tomb > Notte al museo 3 - Il segreto del faraone, l'adattamento alla sintassi italiana (Secret / Il secreto + complemento di specificazione) non è di per sé tanto interessante. È però interessante notare che per il titolo in italiano si è preferito un complemento [+UMANO], e abbiamo quindi a che fare con una discrepanza di punto di vista. Bibliografia Ammunet, Riitta (in fieri): Quo vadis, articolo determinativo? La grammatica del sintagma nominale italiano – Osservazioni sulla neutralizzazione della determinatezza. Tesi di dottorato. Università di Helsinki. Genette, Gérard (1987): Seuils. Éditions du Seuil, coll. "Poétique", Paris. Hoek, Leo H. (1981): La marque du titre: Dispositifs sémiotiques d'une pratique textuelle. Mouton, La Haye. Iannelli, Ettore C. (2015 eBook, 1998¹ª): Riflessione sulla traduzione dei titoli dei film. Milano. Alessandro Aresti, Andrea Mantegna allo scrittoio. Alcune note filologiche e linguistiche alle sue lettere All’Università di Liegi, nell’ambito di un progetto di ricerca di durata biennale (Marie Curie FP7-PEOPLE-COFUND-BEIPD), sto lavorando all’edizione (o, in diversi casi, riedizione) e al commento linguistico di lettere di artisti italiani del Tre e del Quattrocento. Fra gli obiettivi fondamentali della ricerca rientra quello di fotografare, relativamente al periodo indicato, usi e competenze di una categoria di scriventi quasi del tutto trascurata nell’ambito degli studi storico-linguistici. Mi focalizzerò per l’occasione su 26 lettere del pittore padovano Andrea Mantegna (14311506), spedite ad alcuni Gonzaga fra il 1463 e il 1506 e conservate all’Archivio di Stato di Mantova: insieme con una a Lorenzo il Magnifico del 26 agosto 1484, conservata all’Archivio di Stato di Firenze, sono allo stato attuale delle conoscenze le uniche note. Dopo una breve introduzione al contenuto delle lettere e ai vari contesti in cui esse vedono la luce, mi soffermerò su alcune questioni filologiche relative al corpus. Cercherò poi di tracciare un profilo linguistico dello scrivente Mantegna, arrivando anche a formulare qualche ipotesi sul suo grado di acculturazione. Ilaria Batassa, Tra le carte di Montano: edito, inedito e riedito La narrativa breve di Lorenzo Montano offre un fertile terreno per comprendere come i concetti di edito, inedito e riedito possano intrecciarsi in maniera indissolubile. Montano scrisse racconti che furono pubblicati in quotidiani e riviste: alcuni di essi vennero selezionati per una riedizione in volume (Carte nel vento) e modificati. Tuttavia, nel Fondo Montano della Biblioteca civica di Verona si trovano racconti inediti, varianti della prima redazione, varianti non accolte nella riedizione in volume. Si prenderanno ad esempio due racconti: La signorina Chiari (pubblicato in quotidiano e scelto per Carte nel vento) e La gita a Bergamo (dattiloscritto inedito). Si cercherà, mediante la ricostruzione della storia interna dei due testi, di dare conto delle scelte autoriali, di analizzare le varianti, la decisione di pubblicare o non pubblicare, l’inclusione o la non inclusione in Carte nel vento, ultima opera di Montano, zibaldone di tutta la sua produzione (poetica, saggistica, narrativa) e vera cartina di tornasole per comprendere la forte coscienza montaniana di cosa deve essere edito e cosa deve rimanere inedito. Nelle conclusioni si analizzerà l’atteggiamento editoriale di Montano nei confronti dei propri scritti, per dimostrare come nel Novecento l’editoria influenzi (e modifichi) i concetti di inedito ed edito. Bibliografia ILARIA BATASSA – AGOSTINO CONTÒ, Catalogazione del Fondo Lorenzo Montano della Biblioteca civica di Verona, in corso di pubblicazione. LORENZO MONTANO, Carte nel vento, Firenze, Sansoni, 1956. LORENZO MONTANO, I racconti inediti, a cura di Ilaria Batassa, in corso di pubblicazione. Francesco Bianco, Titolo dell'intervento: Nuovi strumenti per l'insegnamento della lingua e della letteratura italiana in Repubblica Ceca Sfruttando i fondi stanziati dall'ateneo per i progetti per l'innovazione della didattica (FRUP), il dipartimento di lingue e letterature romanze dell'Università Palacký di Olomouc sta sviluppando nuovi strumenti didattici destinati a studenti di italianistica. In questa sede, in particolare, si presenteranno due recenti iniziative, di cui una portata a compimento, l'altra in itinere: • Un manuale di letteratura italiana dalle origini al Rinascimento; • Un manuale di sintassi italiana. Entrambi i testi, scritti in italiano (utilizzabili, dunque, anche fuori dal contesto nel quale sono stati prodotti), perseguono due fini: 1) in una prospettiva cinestetica, insegnare anche la lingua italiana (pratica) mentre si veicolano contenuti di altro genere (letteratura e le conoscenze teoriche di sintassi); 2) rivolgersi, potenzialmente, anche a lettori e discenti italofoni (o comunque non cecofoni). Di questi strumenti si presenteranno le caratteristiche, la filosofia di fondo, gli obiettivi e i possibili sviluppi, legati anche all'implementazione di nuove risorse informatiche. Ida Caiazza, Metamorfosi editoriali di epistolari cinquecenteschi La comunicazione si concentra sulle diverse forme assunte da alcuni epistolari rinascimentali attraverso le successive edizioni cinquecentesche. Il contesto è quello della ricerca in atto sul genere dell'epistolografia amorosa dei secoli XVI e XVII (uno dei grandi successi editoriali del periodo), che riconduce le raccolte di lettere d'argomento erotico pubblicate tra Cinque e Seicento al genere del “libro di lettere amorose”, del quale identifica le peculiarità e ricostruisce lo sviluppo. I “libri di lettere amorose” (costola del “libro di lettere” sviluppatosi sulla scia della fortuna del Primo libro delle lettere di Pietro Aretino del 1538) fanno riferimento alla humus culturale e sociale dei poligrafi e delle stamperie, e sono pertanto influenzati dalla necessità di incrementare le vendite, di cavalcare l'onda dei successi editoriali, di ridurre al minimo lo sforzo creativo e i tempi della composizione per adeguarsi alle tempistiche dettate dalle esigenze del mercato editoriale. Sono opere spesso concepite per incontrare i gusti dei lettori, e poi man mano adeguate al cambiamento di tali gusti e adattate alle nuove esigenze della scena editoriale. Tale operazione di adattamento, attuata per iniziativa degli autori ma anche degli editori e dei curatori, può dare luogo talvolta a cambiamenti importanti nella struttura, nell'impostazione, nella sostanza stessa degli epistolari. È interessante osservare questi cambiamenti attraverso il confronto tra le edizioni successive, considerando oltre agli epistolari in sé anche le zone paratestuali, le quali spesso forniscono chiavi di lettura illuminanti sulle nuove versioni delle opere. All'illustrazione del fenomeno generale segue l'analisi di alcuni esempi di metamorfosi editoriale. Le Lettere amorose di Girolamo Parabosco (edite tra il 1545 e il 1617) compaiono come opera a metà strada tra la raccolta di lettere di stampo aretiniano – finalizzata cioè all'esibizione di relazioni illustri dell'autore – e il repertorio di modelli di scrittura. Con la successiva aggiunta del secondo, del terzo e del quarto libro, si fa man mano sempre più evidente la vocazione letteraria, derivante dalla progressiva perdita di interesse da parte del pubblico per le vicende personali dell'autore. Le Amorose di Alvise Pasqualigo (1563-1607) sono presentate nella loro prima versione come documento di uno scandalo coinvolgente due famiglie nobili veneziane, nella seconda come opera di invenzione letteraria di taglio romanzesco (in entrambi i casi per opera dello scaltro editore Sansovino). La trama del romanzo viene poi ripresa in chiave teatrale dallo stesso Pasqualigo, e riproposta nel tardo Ottocento in veste di novella da Adolfo Albertazzi. Carla Cariboni Killander, Un’immagine dell’Italia: le lettere del viaggiatore settecentesco Jacob Jonas Björnståhl Imbarcatosi a Tolone il 4 dicembre 1770, dopo aver viaggiato tre anni in Francia (con une breve puntata in Svizzera) in compagnia di Carl Fredrik Rudbeck, il giovane nobile di cui è precettore, il viaggiatore svedese Jacob Jonas Björnståhl (1731-1779) raggiunge quattro giorni dopo il porto di Civitavecchia. Björnståhl e Rudbeck resteranno in Italia poco più di tre anni: nel settembre 1773, a cavallo di un mulo, attraverseranno le Alpi, diretti verso la Svizzera e Ginevra, per poi continuare il loro viaggio verso Londra. Qui si separeranno: Rudbeck tornerà a casa e Björnståhl approderà, dopo un lungo viaggio per mare, in Tessaglia, dove morirà nel 1779, senza aver mai rivisto la Svezia. Delle 83 lettere che Björnståhl indirizza all’amico bibliotecario di corte a Stoccolma Carl Christoffer Gjörwell (1731–1811), contenute nell’opera Resa til Frankrike, Italien, Sweitz, Tyskland, Holland, Turkiet, och Grekeland (1780-1784), 31 provengono dall’Italia (Napoli, Roma, Firenze, Livorno, Bologna, Venezia, Verona, Milano, Pavia, Genova, Torino). Nelle sue lettere italiane Björnståhl descrive luoghi, persone, usi e costumi. Guidato da un’inestinguibile curiosità e aiutato da una buona conoscenza della lingua italiana, Björnståhl si profila non come un semplice osservatore, ma come un vero e proprio attore sulla scena italiana, instaurando contatti con numerose persone e personalità dell’epoca. La mia relazione mira a rendere conto delle lettere italiane di Björnståhl al fine di delucidare quale immagine dell’Italia se ne ricava. Più particolarmente mi propongo di soffermarmi sulle parti in cui il discorso di Björnståhl, il cui taglio è perlopiù descrittivo ed informativo, si fa assiologico: quali aspetti della vita italiana attirano l’attenzione di Björnståhl e lo inducono a esprimere giudizi valutativi? Quali sono questi giudizi e in che rapporto si trovano rispetto a quelli emessi sui paesi di cui, giunto a quel punto del suo periplo, Björnståhl ha una conoscenza diretta, cioè la Svezia e la Francia? Nonostante affermi di volere evitare le “Propositiones comparativas” (Resa I:285), Björnståhl procede spesso per confronti, applicando il metodo comparativo tipico del paradigma illuministico. Quali sono i confronti che Björnståhl è indotto a stabilire tra Italia, Svezia e Francia? Björnståhl, Jacob Jonas, Resa til Frankrike, Italien, Sweitz, Tyskland, Holland, England, Turkiet, och Grekeland: beskrifven af och efter Jac. Jon. Björnståhl. Efter des död utgifven af Carl Christof. Gjörwell. Delar 1-6. Stockholm, Nordström, 1780-1784. Roberta Colonna Dahlman, Strategie di narrazione retrospettiva ne “I giorni dell’abbandono” di Elena Ferrante Questa presentazione propone una riflessione sulle strategie di narrazione retrospettiva nel romanzo di Elena Ferrante “I giorni dell’abbandono” (2011) e intende dimostrare come il ricorso a determinati strumenti stilistico-linguistici permetta di esprimere una narrazione prevalentemente incentrata sui diversi stati psicologici della protagonista. In particolare, l’attenzione è rivolta in primo luogo alle occorrenze di discorso diretto libero e di discorso indiretto libero. L’ipotesi proposta è che nel primo caso la combinazione della collocazione spaziotemporale della protagonista con quella della narratrice risulti in una convergenza di contesti: contesto della storia e contesto di narrazione finiscono con il coincidere e al narratario è consentito di sentire le parole espresse o pensate dal personaggio nello svolgersi della storia come se fossero espresse nel momento della narrazione (cf. Chatman 1978, Cohn 1978). Si veda, come esempio, il brano in (1): (1) A chi mi fa del male, reagisco restituendo la pariglia. Io sono l’otto di spada, io sono la vespa che punge, io sono la serpe scura (Ferrante, 2011: 252). Invece, nel caso del discorso indiretto libero, l’ipotesi è che la combinazione della collocazione spaziotemporale della protagonista con quella della narratrice risulti in uno spostamento (c.d. shift) da un contesto all’altro, che tende a preservare la distinzione tra contesto della storia e contesto di narrazione (cf. Schlenker 2004; Recanati 2010; Giorgi 2010). Sarebbe questo spostamento nel corpo dello stesso discorso a spiegare la possibilità che alcuni elementi del discorso siano valutati rispetto al contesto di narrazione (per esempio, tempi verbali e pronomi), mentre altri elementi vengano valutati con riferimento al contesto della storia (per esempio, espressioni indicali). Si veda, come esempio, il brano in (2): (2) Ma l’essenziale infine l’aveva detto, si era deciso a dirlo, e ora mi sentivo in pettoun dolore lungo che mi stava privando di ogni sentimento (Ferrante, 2011: 190). Infine, s’intende evidenziare una particolare tecnica narrativa che ricorre nel romanzo di Ferrante: l’uso di infiniti in isolamento. Si veda, come esempio, il brano in (3): (3) Reagire. Mi misi a rassettare. [...] Lucidità, determinazione, tenersi alla vita (Ferrante 2011: 249). L’ipotesi proposta in questa presentazione è che questi infiniti siano realizzazioni di discorso libero. Tuttavia, non è del tutto evidente se essi rappresentino casi di discorso diretto libero o di discorso indiretto libero. Bibliografia Chatman, Seymour. 1978. Story and Discourse. Narrative Structure in Fiction and Film. Ithaca & London: Cornell University Press. Cohn, Dorrit. 1978. Transparent Minds. Narrative Modes for Presenting Consciousness in Fiction. Princeton, NJ: Princeton University Press. Ferrante, Elena. 2011. Cronache del Mal d’Amore. Roma: Edizioni e/o. Giorgi, Alessandra. 2010. About the Speaker. Towards a Syntax of Indexicality. Oxford: Oxford University Press. Recanati, François. 2010. Truth-Conditional Pragmatics. Oxford: Clarendon Press. Schlenker, Philippe. 2004. Context of thought and context of utterance: A note on free indirect discourse and the historical present. Mind and Language 9/3, 279-304. Ernesto Di Renzo, Attualità e obsolescenze della Scienza di Pellegrino Artusi La scienza in cucina e l'arte del mangiar bene di Pellegrino Artusi è uno di quei casi emblematici di successo editoriale le cui cause non sono affatto presagibili, indubitabili o scontate dall'origine. Ne è riprova il fatto che l'autore stesso dovette provvedere alla pubblicazione dell'opera a sue spese, non avendo trovato alcun editore disposto ad investire su di essa. Nonostante ciò, dal 1891, anno della prima edizione, al 1911, anno della morte dell'Artusi, l'opera conobbe ben 15 edizioni, tutte curate dallo stesso autore. A queste, già da molto prima che esplodesse il boom della gastrografia (versione libresca della gastromania televisiva) ne sono seguite altre 96, e diverse ancora se ne sono aggiunte in lingue differenti dall'italiano: malgrado l'idea di cucina contenuta nell'opera sia tutt'altro che attuale, aggiornata o facilmente esportabile al di fuori dei confini geografici e culturali della nazione. La Scienza è molto di più del tipico libro di ricette gastronomiche a vocazione repertoriale. Con i suoi incisi, i suoi excursus, le sue digressioni, i suoi aneddoti, i suoi costanti rimandi alla letteratura italiana è anche e soprattutto un libro letterario, politico, antropologico di cui è possibile decifrare l'ordito tra i piatti e i menù di un'Italia "inventata". Paolo Divizia, Il cimitero di Praga di Umberto Eco tra correzioni d’autore e traduzioni La critica delle varianti in Italia la si pratica da almeno una settantina di anni, almeno da quel Saggio d’un commento alle correzioni del Petrarca volgare che Contini pubblicò nel 1943, ed è stata definita da Cesare Segre come «il più sicuro strumento per cogliere il funzionamento, e la funzionalità, dell’elaborazione testuale, risalendo abbastanza indietro rispetto alla forma «definitiva» dei testi, e permettendo di cogliere una parte del dinamismo che sorregge e prepara la loro staticità» (C. Segre, Avviamento all’analisi del testo letterario, Einaudi 1999). Tuttavia il lettore comune, e purtroppo anche buona parte della critica, ritiene che si tratti di ben poca cosa e che in fondo tutte le edizioni si equivalgano, oppure – nei casi in cui le differenze siano macroscopiche – concepisce come “da leggere” una sola tra le versioni approntate dall’autore. Eppure i testi vivono di varianti, e non v’è autore interessato allo stile o al contenuto delle proprie opere che, avendone la possibilità, non decida di almeno ritoccare i propri testi nel corso del tempo. Il caso di un autore come Umberto Eco – in parte descritto recentemente dallo stesso autore sul quotidiano «Repubblica» in un’intervista o comunicato-stampa mascherato da intervista, e nella Nota alla nuova edizione de Il nome della rosa (2012) – è interessante perché, in quanto scrittore di successo mondiale, le sue opere vengono tradotte in tempi molto brevi (ma così non fu per il suo primo romanzo) in tutte le principali lingue e «non c’è lettore più severo e pignolo di un traduttore, che deve soppesare parola per parola. E i vari traduttori si accorgono che là c’è una contraddizione, che qui hai scritto nord invece di sud, che una frase si presta a una duplice interpretazione perché magari manca una virgola, e così via.» Il risultato è che in italiano il testo dei romanzi di Umberto Eco cambia leggermente da un’edizione all’altra, mentre le traduzioni straniere riflettono stadi diversi dell’evoluzione del testo. Nell’intervento si mostrerà un esempio dal capitolo 9. Parigi secondo due edizioni italiane, e alcune traduzioni (ceco, polacco, inglese, francese, spagnolo, catalano, tedesco). Camilla Erichsen Skalle, Vocalità e silenzio femminile: il mito di Eco nella letteratura italiana La presenza della figura mitologica di Narciso nella cultura occidentale è ben nota (Le Rouge et le Noir di Stendhal, The Picture of Dorian Gray di Oscar Wilde, Metamorfosi di Narciso di Salvador Dalí, come leitmotiv nella poesia di Valery e tanti altri), ma le rielaborazioni artistiche che focalizzano l’attenzione sul motivo della ninfa Eco, condannata a ripetere le parole altrui, sembra essere meno presente. Un’eccezione è il romanzo Con i miei mille occhi (1997) di Paola Capriolo. Per l’XI Congresso degli Italianisti Scandinavi propongo un intervento che indaga la lunga storia letteraria della figura mitologica di Eco concentrandomi in particolar modo sulla rivisitazione contemporanea della Capriolo e mettendone in risalto la tematizzazione della presenza e della soggettività della voce femminile. Giovanni Fort, I resoconti di viaggio di Pietro Querini, Nicolò De Michiele e Cristofalo Fioravante. Un singolare percorso geografico, linguistico e testuale: tra Italia e Scandinavia; tra veneziano, toscano ed altre lingue; tra codices unici inediti, antiche edizioni rielaborate, riedizioni, traduzioni, e adattamenti contemporanei. Aprile 1431, la Querina salpa da Candia alla volta delle Fiandre. Non le raggiungerà mai: una tempesta travolge la nave veneziana all’imbocco della Manica, cambiandone rotta e destini. I pochi superstiti toccheranno terra, il 5 Gennaio dell’anno successivo, sull’isolotto di Sandøya, nell’arcipelago delle Lofoten. Soccorsi dagli abitanti di Røst, i naufraghi trascorrono qui alcuni mesi prima di cominciare il viaggio che li porterà a Trondheim, Vadstena, e infine Londra, sulla via del ritorno a Venezia. In patria, il capitano Pietro Querini e i due ufficiali di bordo Nicolò De Michiele e Cristofalo Fioravante lasciano narrazione scritta della loro esperienza. Il resoconto di Querini, autografo, in veneziano del quattrocento, è conservato nel Ms. Vat. Lat. 5256, fol. 42-55 presso la Biblioteca Apostolica Vaticana di Roma. De Michiele e Fioravanti si affidano invece entrambi al letterato fiorentino Antonio di Corrado de Cardini: il testo, redatto con maggiori influssi del toscano, è conservato presso la Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia, Ms. VII, 368 (7936). La testimonianza raccolta in questi due codices unici, di cui manca ad oggi una edizione critica, ebbe però diffusione e fortuna soprattutto in una rielaborazione successiva: Ramusio includerà infatti entrambi i resoconti nel quarto tomo del secondo volume di Delle Navigationi et viaggi, dato alle stampe nel 1559. La versione ramusiana cinquecentesca è nuova incarnazione dei testi originali, resi in toscano del tempo e non di rado emendati e modificati con una certa libertà, secondo il modus operandi tipico dell’umanista trevigiano. Principalmente in questa forma le vicende del naufragio della Querina sono state a lungo tramandate, in Italia, e all’estero in traduzione. L’ultima edizione in norvegese, del 2004, si basa ancora sulla fonte secondaria ramusiana. La prima edizione italiana che propone un testo adattato basandosi sui manoscritti originali risale solo al 2007. Questi resoconti di viaggio sono importanti fonti per la storia antica della Scandinavia, nonché tasselli rilevanti per comprendere lo sviluppo di contatti che hanno lasciato un segno ad oggi indelebile nella cultura del Veneto, e in quella norvegese. La loro storia testuale, tra manoscritti, edizioni, traduzioni e rielaborazioni, si presenta a sua volta oltremodo interessante: ben si può prestare a mirati studi volti a mappare le tappe di questo percorso, colmandone eventuali lacune e offrendo riflessioni e supporti validi, sia per la ricerca che per la didattica, in ambito linguistico-storico, dialettologico o filologico-letterario. Enrico Garavelli, «Non c’è da fidarsi mai dei poeti». Una chiacchierata di Antonio Fogazzaro con Lina Tomassetti Nel gennaio del 1909, nella sua Vicenza, Antonio Fogazzaro rilasciava un’intervista alla giornalista e scrittrice Lina Tomassetti (l’irrequieta figlia dello storico Giuseppe), più nota con lo pseudonimo di Melitta. Il testo della conversazione veniva prontamente pubblicato sul quinto fascicolo del settimanale «Rivista di Roma», diretto dallo storico Alberto Lumbroso. Tre anni più tardi, scomparso nel frattempo lo scrittore, la Tomassetti includeva il pezzo in una sua raccolta di scritti, Irritabile genus. Tipi e figure di letterati italiani (Roma 1912). La ristampa in volume è caratterizzata da alcune interessanti varianti, linguistiche, stilistiche e di contenuto; e comporta l’aggiunta di alcuni paragrafi. Il ritrovamento da parte di chi scrive delle bozze dell’articolo apparso sulla «Rivista di Roma» in una biblioteca di provincia getta nuova luce sul processo di riscrittura dell’inedito e del già edito. Tali bozze, spedite a Lumbroso, presentano infatti sia le correzioni dell’intervistatrice che quelle, autografe, dell’intervistato. Il documento permette dunque di svolgere qualche considerazione sulle varianti di responsabilità rispettivamente di Fogazzaro e di Melitta, anche in relazione alla tipologia tutto sommato ambigua dello scritto, costellato di virgolettati, e di mettere meglio a fuoco il processo di rielaborazione dell’articolo stesso, che coinvolge alcuni delicati giudizi su letterati contemporanei come D’Annunzio e De Amicis. Bibliografia minima Lucia STRAPPINI, Fogazzaro, Antonio, in Dizionario biografico degli italiani, XLVIII, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 1997, pp. 420-428 Anna Lia BONELLA, Lumbroso, Alberto Emanuele, in Dizionario biografico degli italiani, LXVI, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 2006, pp. 542-545 MELITTA [Lina Tomassetti], Irritabile genus. Tipi e figure di letterati italiani, Roma, «Rivista di Roma» Editrice, 1912 Antonio FOGAZZARO, Lettere scelte, a cura di Tommaso Gallarati Scotti, Milano, Mondadori, 1940 Marco Gargiulo, Il plurilinguismo neorealista di Matteo Garrone Rispetto al passato, il cinema italiano più recente è senza dubbio caratterizzato da una sempre maggiore apertura nei confronti di varietà linguistiche e sociolinguistiche diverse e dei dialetti. Uno spazio importante, infatti, è offerto oggi anche a varietà dialettali solitamente poco frequenti sullo schermo e quelle varietà usate tradizionalmente con intenti espressivi o farseschi, sono oggi usate anche in maniera nuova e inedita. In questo contributo presenterò un’analisi della particolare caratteristica del cinema plurilingue di Matteo Garrone, che evolve da un plurilinguismo spinto presente nei primi film, Terra di mezzo (1996) e Ospiti (1998), fino ad un plurilinguismo tendente alla narratività, come in Gomorra (2008) e Reality (2012), e alle nuove esperienze di The Tale of Tales (2015). Questi film rappresentano un esempio molto interessante per l’uso che il regista fa di un nuovo realismo cinematografico capace di portare sullo schermo una commistione di lingue e dialetti che rifugge dallo stereotipo e diventa consapevolmente concreto, anche in esperimenti di dialettalità forse simbolista, come nel Primo Amore (2004). Gabriele Iannàccaro, Come fare l’edizione di un atlante dei proverbi romanzi? La comunicazione intende indagare i criteri da adottare per l’edizione di un atlante linguistico paremiologico, in cui cioè si renda conto della distribuzione spaziale dei proverbi all’interno del mondo italiano e romanzo. Esclusa l’ipotesi di una pura lista, ancorché geograficamente ordinata, di proverbi, è necessario mettere a fuoco i parametri linguistici, etnologici e letterari che possono guidare ad una classificazione coerente del materiale da editare. Saranno analizzate diverse possibilità di sistematizzazione e diverse rappresentazioni geolinguistiche dei proverbi, traendo gli esempi da materiali italiani e romanzi presenti nel grande database del progetto PAREMIOROM all’Università di Barcellona. Elizaveta Khachaturyan, Plurilinguismo nei testi L’uso di lingue diverse nello stesso testo, ovvero la polifonia linguistica, costituisce un argomento di grande attualità al confine tra varie discipline umanistiche. Nel mio studio verrà analizzato un caso specifico che aiuterà a chiarire alcuni aspetti del problema. L’oggetto dello studio sarà il libro di C. Ginzburg “Miti-emblemi-spie” e le traduzioni del libro in francese, inglese e russo. Nel testo originale scritto in italiano, tante altre lingue sono presenti: p.es. il latino, il greco, il volgare, l’inglese, il tedesco, il francese. Queste lingue appaiono soprattutto nelle citazioni, nei titoli delle altre opere citate e nelle nozioni utilizzate. Le inserzioni plurilingui sono a volte tradotte da C. Ginzburg, ma a volte sono lasciate nontradotte in lingua originale. È interessante che nelle tre traduzioni del libro di Ginzburg (che analizzeremo), la polifonia linguistica non viene sempre conservata: alcune inserzioni (nontradotte nella versione italiana) vengono tradotte e diventano parte del testo monolingue, p.es. le citazioni in volgare o in latino; alcune inserzioni invece rimangono non-tradotte come nel testo originale. La scelta di ogni traduttore è individuale. La traduzione in inglese, per esempio, contiene meno inserzioni in un’altra lingua. Mentre nella traduzione russa l’inserzione in un’altra lingua è spesso accompagnata dalla traduzione in russo. Così le tre traduzioni del libro di Ginzburg rappresentano tre soluzioni diverse al problema del plurilinguismo nel testo. Non c’è dubbio che l’atteggiamento al plurilinguismo nel testo dipende dal traduttore e cambia a seconda della lingua usata per la traduzione. Allo stesso tempo non solo i fattori linguistici ma anche i fattori socio-culturali sono importanti per questa scelta. Il nostro obiettivo sarà di analizzare il ruolo di questi fattori nelle tre traduzioni. Iørn Korzen, Struttura testuale e interpretazione nella traduzione da una lingua scandinava in italiano Purtroppo nell’insegnamento dell’italiano nei paesi scandinavi vi è una forte tendenza a focalizzare quasi unicamente il livello morfologico e sintattico e a trascurare invece la strutturazione testuale; eppure proprio nella struttura testuale l’italiano si distingue notevolmente dalle lingue scandinave. Le differenze maggiori riguardano: • lunghezza e complessità delle frasi; • il numero di proposizioni testualizzate nella stessa frase; • lo stile nominale vs. verbale; • il grado di deverbalizzazione delle singole proposizioni; • il tipo e la forma delle anafore più frequenti. Un testo italiano reso con la struttura testuale scandinava rischia di apparire rudimentale e banale e, conseguentemente, di deludere le norme e aspettative di un parlante madrelingua italiano (De Mauro 1970, Bazzanella 2005). Il tipo testuale gioca un ruolo essenziale per la struttura testuale e influisce sulle differenze menzionate (Skytte 2000, Korzen 2015), ma ceteris paribus le frasi italiane tendono ad essere più lunghe di quelle scandinave e a contenere un numero superiore di proposizioni testualizzate (Gylling 2013). Tipicamente prevale uno stile più nominale nella testualizzazione italiana, il che incide sulla realizzazione testuale delle singole proposizioni. Per esempio le proposizioni “satellite” (che descrivono fatti pragmaticamente e/o narrativamente di sfondo) si realizzano spesso in forma deverbalizzata, cioè con verbo implicito/nominalizzato o omesso. Invece la deverbalizzazione è generalmente molto più rara nelle lingue scandinave, dove i verbi tendono a realizzarsi in forma esplicita (finita) senza distinzione di carattere morfologico (Korzen 2009). Tale differenza impone un’interpretazione del testo da parte del traduttore: l’interpretazione di un contenuto nucleo (principale) vs. un contenuto satellite (di sfondo) è essenziale per la “gerarchizzazione” tipica di un testo (tradotto in) italiano, gerarchizzazione realizzata per esempio attraverso la deverbalizzazione o nell’uso delle diverse forme del passato. Si tratta di un’analisi di tipo pragmatico che riguarda l’importanza della singola proposizione per la storia narrata o, se testo non narrativo, per lo scopo del testo, e l’analisi implica l’inclusione nella stessa “unità cognitiva” di più eventi o situazioni verbali rispetto a quello che avviene nella testualizzazione, più lineare, scandinava. Nel mio intervento citerò esempi italiani e danesi che illustrano le differenze menzionate, esempi presi sia da testi fonte e le loro traduzioni, sia da testi paralleli, cioè testi autentici prodotti indipendentemente nelle due lingue, ma in situazioni equivalenti e per target e con contenuti equivalenti. Inoltre includerò esempi di come la differenza tra stile nominale e stile verbale influisca sulla sintassi anaforica. Bibliografia essenziale Bazzanella, Carla (2005). Linguistica e pragmatica del linguaggio. Un’introduzione. RomaBari: Laterza. De Mauro, Tullio (1970). Tra Thamus e Theuth. Note sulla norma parlata e scritta, formale e informale nella produzione e realizzazione dei segni linguistici, Bollettino del Centro di studi filologici e linguistic italiani 11: 167-179. Gylling, Morten (2013), The Structure of Discourse. A Corpus-Based Cross-Linguistic Study, Copenaghen: Copenhagen Business School (tesi di dottorato). Korzen, Iørn (2009). Struttura testuale e anafora evolutiva: tipologia romanza e tipologia germanica Korzen, Iørn & Lavinio, Cristina (ed.): Lingue, culture e testi istituzionali. Firenze: Franco Cesati, 33-60. Korzen, Iørn (2015). Dalla Costituzione al Mr. Bean: aspetti diafasici di alcuni tipi testuali italiani e danesi. In Elena Pistolesi, Rosa Pugliese & Barbara Gili Fivela (a cura di). Parole, gesti, interpretazioni. Studi linguistici per Carla Bazzanella. Roma: Aracne, 233-256. Skytte, Gunver (2000). Tekstækvivalens i komparativt perspektiv. Skytte, Gunver & Iørn Korzen. Italiensk-dansk sprogbrug i komparativt perspektiv. København: Samfundslitteratur, 51-58. Sara Lindbladh, Un confronto tra i segnali discorsivi bene e be’ – valori semantici e funzioni pragmatiche Nella presente comunicazione saranno discusse due forme imparentate: la forma bene nell’uso come segnale discorsivo, e la forma troncata be’, spesso definita come un’interiezione (p. es. in Garzanti Linguistica), la quale può, ugualmente, funzionare come segnale discorsivo. L’analisi è effettuata nelcampo dell’analisi conversazionale (p. es. Sacks et al. 1974), la linguistica interazionale (p. es. Couper-Kuhlen & Selting 2001), le teorie sugli atti linguistici (p. es. Searle 1969, Bach & Harnish1979) e la teoria della cortesia (p. es. Brown & Levinson 1987), con l’obiettivo di stabilire ciò che contraddistingue i segnali discorsivi per quanto riguarda i valori semantici e le funzioni pragmatiche. Discuterò l’uso di bene e be’ in un particolare contesto, specificamente nell’uso come una reazione al turno precedente. Il contesto conversazionale è essenziale per la stabilizzazione dei significati e le funzioni dei segnali discorsivi; sia il turno al quale reagisce la forma, sia gli enunciati che seguono. Bene costituisce spesso una reazione dopo turni con atti linguistici constativi che contengono informazioni positive, come in 1): 1) B: ciao tutto bene? A: tutto bene B: bene senti non ti trattengo voglio sapere se Marina è in loco (LIP RB4) Bene porta spesso un valore conclusivo; in esempio 1) ha la funzione di segnalare che si chiude la parte introduttiva della telefonata, per poter passare all’introduzione dell’obiettivo principale della telefonata. I turni constativi dopo i quali occorre be’ sono spesso delle valutazioni o ipotesi, come in 2): 2) B: [...] poi poi ci sarà un problema anche di riadattamento anche da parte degli eh degli A: certo B: degli studenti non soltanto i professori anche per gli studenti A: be’ certamente anche da parte degli studenti (LIP FA13) Qui esprime ovvietà per il contenuto presentato nel turno precedente. Be’ può rispondere anche a delle informazioni, però, in quel caso esprime che qualcosa nel turno precedente è scorretto: 3) A: ho capito ah ah perché eh Daniele m’aveva detto che ritornavi stamattina ah va be’ B: be’ no stamattina -po- si partiva e_ lì_ (LIP RB7) Per quanto riguarda turni con direttivi, l’uso di bene è possibile dopo una richiesta o una proposta, come in 4) dove esprime conferma: 4) B: un bacio grande grande e una buona giornata poi Tizia’ do un bacio a Maria effe gi con mamma Carmela # a Maria i esse con tutta la famiglia A: bene (NB6 12 A) Be’, invece, è usato per rispondere a direttivi quando la risposta è dispreferita. In 5) è pronunciato dopo una domanda: 5) A: come sta andando? B: be’ senti lui ci ha il sei stiracchiato insomma stiracchiato il sei grosso modo in tutto però hanno Anche se non è definito come un segnale discorsivo in Garzanti Linguistica, sono descritti degli usi che io considero tipici per i segnali discorsivi: “In espressioni esclamative può esprimere entusiasmo, consenso (anche in senso ironico); si usa anche, senza un preciso significato, per cominciare o troncare un discorso: bene, bravo, bis!; «Ci sentiamo domani?» «Bene!»; ma bene, si è rotto tutto!; bene, adesso vediamo la parte storica; bene, non parliamone più”. fatto un quadro mi hanno fatto un quadro un po’ tragico insomma (LIP FB12) Be’ indica che non è facile dare una risposta alla domanda fatta dal parlante A (come sta andando?); ci vuole un resoconto più lungo per spiegare tutto. Può anche essere il caso che il parlante introduca il turno con be’ perché ha qualcosa di negativo da presentare, il che è espresso solo alla fine del turno (mi hanno fatto un quadro un po’ tragico insomma). Bibliografia Bach, K., Harnish, R. M. (1979) Linguistic communication and speech acts (a cura di). Cambridge: Cambridge University Press. Brown, P., Levinson, S. C. (1987) Politeness: Some universals in language usage . Cambridge: Cambridge University Press. Couper-Kuhlen, E., Selting, M. (2001) Studies in Interactional Linguistics. Amsterdam: John Benjamins Sacks, H., Schegloff, E. A., Jefferson, G. (1974) ”A simplest systematics for the organization of turn-taking for conversation”. Language, 50, 696-735. Searle, J. (1969) Speech acts: An essay in the philosophy of language (cura di). Cambridge: Cambridge University Press. Dizionario: Garzanti Linguistica (http://www.garzantilinguistica.it) Monica Miscali, Andare nel Nord. Una storia inedita della prima emigrazione italiana in Norvegia (XIX- XX secolo) Giacomo Giuseppe Mazza era nato nel 1844 in Italia ma viveva a Christiania dove lavorava come “musicante”. Mazza non viveva da solo nella piccola capitale nordica, come lui aveva deciso di trasferirsi anche Anatolio Cerubini di Bagni di Luca che lavorava come cuoco nella trattoria Roma sempre di Christiania. Mazza e Cerubini non erano i soli ad aver deciso di abbandonare quell´Italia da poco unita e come loro tanti altri italiani si erano trasferiti nel Nord già nel XIX secolo. La mia comunicazione intende presentare la storia dei primi italiani che emigrarono in Norvegia dal XIX secolo fino agli inizi del XX secolo. Si tratta di una storia inedita in quanto finora niente è stato scritto su questo argomento. La Norvegia in qual periodo era un paese poverissimo e moltissimi i norvegesi che, costretti dalla miseria, abbandonavano il proprio paese per trovare lavoro soprattutto negli Stati Uniti d´America. Considerate le condizioni economiche della Norvegia quali ragioni spingevano gli italiani a emigrare in questo lembo estremo di Europa? Che cosa cercavano e che lavori svolgevano? Di che tipo di documenti avevano bisogno per trasferirsi al Nord? Si trattava di un´emigrazione temporanea oppure permanente? Quanti decidevano pertanto di stabilirsi per sempre in Norvegia e quanti fecero ritorno in Italia? L´intento della mia comunicazione è dunque di poter rispondere a queste domande e di poter ricostruire la storia dei primi italiani che si trasferirono per lavoro o per altre ragioni ancora da scoprire in Norvegia. La metodologia impiegata sarà la ricostruzione micro-storica. I documenti che intendo analizzare sono le fonti archiviste: censimenti della popolazione, libri ecclesiastici e altri registri contenenti i nomi degli emigrati (Emigrantprotokoll, Utvandrerliste, Passprotokoll). Vera Nigrisoli Wärnhjelm, Edizioni e riedizioni: il primo manuale di italiano per stranieri in Svezia La prima grammatica d’italiano pubblicata in Svezia risale al 1667 ed è opera del toscano Ambrosio Frediani allora "Maestro di lingua italiana" all'Università di Uppsala. Il manualetto, Brevissima ma perfettissima instruzione gramaticale della lingua toscana in bocca romana, consta di solo 64 pagine. Le succinte spiegazioni grammaticali fornite dall’autore sono redatte in latino e nessuna traduzione è fornita in svedese. Nell’introduzione all'opera, scritta solo in italiano, Frediani espone il proprio particolare metodo didattico grazie al quale i discenti sarebbero in grado di parlare la nostra lingua nel giro di appena due o tre mesi. Nel 1660 l’autore aveva, in realtà, già stampato un’altra grammatichetta molto simile, Della lingua toscana in bocca romana brevissima & accuratissima instrutione & eruditione, a Greifswald in Pomerania, territorio allora appartenente alla Svezia e altro rinomato centro universitario. Quest’opera, pur molto simile nella struttura alla successiva di Uppsala, si distingue, tuttavia, per la traduzione a fronte in tedesco e per le parti di supporto (tavole riassuntive, nomenclatura, proverbi). Nel presente contributo si analizzerà il manuale di Uppsala evidenziandone le differenze con l'edizione di Greifswald e si cercherà di contestualizzarlo attraverso il paragone con altri manuali di lingua italiana per stranieri della stessa epoca. Claudio Nobili, Repertori dei gesti italiani tra edito e inedito: proposta del Gestibolario Il presente contributo si inserisce nel filone di ricerca della lessicografia applicata alla gestualità italiana, ed è articolato in due parti. Nella prima si intende descriverne lo stato dell’arte, ripercorrendo in diacronia una rassegna dei repertori lessicografici dei gesti italiani, e proponendo una tabella riassuntiva strutturata secondo i seguenti parametri di possibile variazione: obiettivo, oggetto, destinatario e criteri di redazione. Nella seconda parte sono presentate innovazioni e linee metodologiche per la redazione di un nuovo dizionario di gesti italiani, in costruzione e dunque inedito, che chiamiamo Gestibolario, con la discussione di alcune entrate. Il Gestibolario è concepito come repertorio di gesti codificati che accompagnano il parlato (e perciò definiti da Poggi 2006 «coverbali» in base al parametro «relazione con altre modalità»), a partire da autentiche situazioni di parlato in contesto politico-istituzionale, per un futuro interprete italiano L1/LS. Il lavoro muove dalle ipotesi seguenti: 1. come i gesti simbolici, che possono essere autonomi rispetto al parlato, sostituendolo completamente, già repertoriati in letteratura (cfr. Munari 1963; Diadori 1990; Poggi 2006; Caon 2010), i gesti coverbali costituiscono un lessico, del quale è possibile stilare un dizionario; 2. come per i gesti simbolici, il segnale dei gesti coverbali può essere analizzato in base ai quattro parametri formazionali configurazione della mano, orientamento del palmo e delle dita, luogo e movimento; 3. per ogni gesto è possibile enucleare un significato letterale, astratto con valore generale determinato all’interno del sistema, e un significato contestuale (o senso), ed è pertanto possibile fornirne la corrispondente traduzione verbale in prospettiva intersemiotica; 4. il meccanismo di costruzione da parte di un parlante del possibile significato contestuale di un gesto dal significato letterale, qualora non coincidano, può essere classificato come meccanismo retorico. Il Gestibolario presenterebbe pertanto tre innovazioni rispetto a quanto finora offerto dalla ricerca: a. una classificazione dei gesti coverbali italiani; b. una prospettiva attenta a problemi d’interpretariato e traduzione; c. un tentativo di classificazione per meccanismi classificabili come retorici operanti nella costruzione del significato contestuale; d. una rappresentazione di ciascuna entrata mediante un fotogramma estratto da una reale situazione comunicativa. La metodologia di realizzazione di un dizionario così immaginato richiede un lavoro estensivo di raccolta delle entrate lessicali e un lavoro intensivo di analisi semantica di ogni entrata. Allo stadio attuale della ricerca, le quattro ipotesi di partenza sembrerebbero trovare riscontro nei dati finora raccolti, e i criteri metodologici nella progressiva redazione del Gestibolario. Riferimenti bibliografici: Caon, F. 2010. Dizionario dei gesti degli italiani. Una prospettiva interculturale, Perugia, Guerra. Diadori, P. 1990. Senza parole. 100 gesti degli italiani, Roma, Bonacci. Munari, B. 1963. Supplemento al dizionario italiano, Mantova, Corraini. Poggi, I. 2006. Le parole del corpo. Introduzione alla comunicazione multimodale, Roma, Carocci. Ottaviani Gabriele, La continua riedizione di Fratelli d’Italia Scrivere, riscrivere, emendare, ampliare, tornare sui propri passi, rivedere una volta, e poi un’altra, e poi ancora, e ancora, e ancora le proprie decisioni, fino a quando non si è convinti, ammesso che si riesca a esserlo, alla fine di questo lungo processo: per chiunque abbia l’esigenza di imprimere su carta il proprio pensiero, il procedimento della revisione è uno scoglio che non si può non affrontare. Inesorabile, si presenta sempre, come un varco impervio, e non ci sono altre strade che consentano di passare oltre, aggirando l’ostacolo. Per alcuni autori, poi, il fenomeno della riscrittura è una peculiarità poetica, che attiene all’essenza stessa della propria opera (si pensi, tra gli altri, a Pontiggia), e nel Novecento italiano l’esempio più fulgido di tutti in questo senso è con ogni probabilità Alberto Arbasino, in particolare per quanto concerne il suo romanzo-saggio-manifesto, Fratelli d’Italia. Scritto inizialmente nel 1963 e pubblicato da Feltrinelli, rivisto e riedito da Einaudi nel 1976 e in seguito ancora rielaborato nel 1991 (la terza edizione, targata Adelphi, è del 1993), narra le vicende estive in giro per l’Europa e l’Italia di Antonio e l’Elefante, due giovani omosessuali. In realtà però questo è solo un pretesto, per raccontare un certo ambiente culturale italiano negli anni Sessanta. Le varie revisioni presentano differenze sostanziali, al di là del mero conteggio delle pagine, tematiche, poetiche, concettuali, esistenziali. Giuseppe Persiani, Alle origini di un tema letterario siciliano: Pirandello e Rosso di San Secondo In un mio lavoro precedente e, successivamente, in una comunicazione al X Congresso degli italianisti scandinavi ho cercato di dimostrare che è possibile individuare un tema letterario siciliano che, a partire da una formulazione di Luigi Pirandello (nel discorso di Catania per festeggiare gli ottant’anni di Verga, 1920), ripresa con variazioni da Tomasi di Lampedusa nel Gattopardo, caratterizza tutta una serie di scrittori siciliani fino ai nostri giorni (da Borgese, Vittorini, Freni, Consolo, Maraini fino a Riotta, Di Stefano, Grasso): storie di personaggi che lasciano la Sicilia in età ancora giovane per realizzarsi “nel continente” e che poi – non però in tutti i casi – vi fanno ritorno. Nella comunicazione che intendo proporre, vorrei invece ritornare al punto di partenza. È possibile infatti individuare precisi richiami tra la formulazione usata da Pirandello e le recensioni da lui scritte per le prime opere narrative di Rosso di San Secondo (le novelle di Ponentino, 1916, e il romanzo La fuga, 1917, opere entrambe influenzate dal soggiorno giovanile di Rosso in Olanda). Gli epistolari pirandelliani pubblicati testimoniano del resto la (pressoché) quotidiana consuetudine tra i due scrittori negli anni in questione. Che poi Pirandello stesso sia stato “tra quelli che evadono” non è certo da mettere in dubbio, mentre ciò – a parte pochi sporadici indizi – non sembra trovare espressione nella sua opera letteraria. Una rilettura del libretto da lui scritto negli ultimi anni della sua vita per Malipiero (La favola del figlio cambiato, che riprende la novella Il figlio cambiato, di parecchi anni prima) permette però di trarre delle conclusioni diverse. Bibliografia: G. Persiani, La saettella del trapano: identità meridionale e percezione dello straniero nella narrativa di Luigi Pirandello, in Pirandelliana, 4, 2010, pp. 35-50. Gianmarco Pitzanti, Riviste mediche su carta e in rete, quanto in comune e quanto di diverso? Secondo le ultime rilevazioni del Censis (2014) gli italiani utilizzano il web sempre più spesso per informarsi su questioni legate alla salute e al benessere; allo stesso tempo “la rete” risponde a questo bisogno con una varietà e un numero pressoché sconfinato di siti, rubriche, blog che trattano ogni aspetto di questo tema. L’autodiagnosi e l’autocura sono pratiche che solo pochi anni fa avrebbero destato perplessità in chiunque, ai nostri giorni si assiste sempre più a questo fenomeno con esisti talvolta non proprio positivi. In questo panorama l’editoria che si occupa di divulgazione medica, anche in seguito al processo di digitalizzazione che ha interessato tutti o quasi gli ambiti della vita umana, si è trovata a dover adeguare il proprio linguaggio specialistico ad una platea sempre più vasta e diversificata di lettori/acquirenti. Questo studio prenderà in considerazione le affinità e le divergenze tra gli aspetti linguistici peculiari del linguaggio della divulgazione medica confrontando una selezione di articoli presenti nelle tradizionali riviste mediche su carta e quelle disponibili in rete. Attraverso questa indagine sarà possibile avere un’idea di base delle strategie di divulgazione messe in atto dagli estensori degli articoli nelle due diverse modalità. Nello specifico saranno analizzati aspetti lessicali, come la presenza di lessico con elevati gradi di specialismo, la scelta di un lessico medico “comune” o la presenza sempre più evidente di anglismi (lingua di preferenza della letteratura scientifica mondiale). Dal punto di vista morfosintattico si potrà apprezzare quanto le strategie di spersonalizzazione tipiche del linguaggio scientifico stiano lasciando il passo alla presenza nel testo della personalità dell’estensore. Qualche considerazione sarà dedicata alle strategie di persuasione sempre più fini e centrate sull’utente della divulgazione medica contemporanea. Bibliografia GUALDO R., TELVE S., (2011), Linguaggi specialistici dell’italiano, Carocci, Roma. INGROSSO M., (2001), (a cura di), Comunicare la salute. Scenari, tecniche, progetti per il benessere e la qualità della vita, Franco Angeli, Milano. Id., (2008), (a cura di), La salute comunicata. Ricerche e valutazioni nei media e nei servizi sanitari, Franco Angeli, Milano. MAROCCO A., (2004), La comunicazione scientifica nell’era digitale: inizio di una nuova epoca?, in Annali dell’Istituto Superiore di Sanità, 40, 3, pp.353-6. SERIANNI L., (2005), Un treno di sintomi: i medici e le parole; percorsi linguistici nel passato e nel presente, Garzanti, Milano. Anna Stella Poli, Luciano Erba, Dei cristalli naturali: fra macrotesto, completezza e volontà autoriale Lo scopo del mio intervento sarà discutere metodologicamente e problematicamente l'operazione svolta sul quaderno di traduzioni erbiano Dei cristalli naturali, edito nel 1991 e recentemente ristampato in versione ampiamente implementata. La silloge originale comprende autori cronologicamente, geograficamente e stilisticamente assai distanti: spaziando dal barocco tormentato di Sponde a quello prezioso di Saint-Amant, al contenuto lirismo di Machado, alla malinconia di Rodenbach, giungendo al contemporaneo, colto, controverso Thom Gunn attraverso grandi voci del Novecento francese come Cendrars, Frénaud, Michaux e Ponge. Di ognuno sono stati trascelti solo pochi testi, l'autoantologia è estremamente selecta e calibrata, un vero e proprio macrotesto poetico, coeso e condensato. Avendo ritrovato, nello studio del poeta, in via Giason del Maino, le bozze complete di Dei cristalli naturali, (composte in larga parte da testi già editi in riviste, antologie o volumi, sottoposti a minuzioso vaglio dal poeta che vi apporta varianti per lo più lessicali o fonetiche; nonché da un nucleo di traduzioni da Rodenbach approntate per l'occasione, di cui è conservato l'avantesto completo, di notevole complessità) vorrei poter curare un'edizione critica che dia conto della composita e complessa vicenda genetica dei testi in questione. Ma prima di ogni altra questione, sarà senz'altro necessario mettere a fuoco lo statuto della seconda edizione del quaderno di traduzioni, I miei poeti tradotti: scegliendo se porre a testo l'ultima volontà autoriale, seguendo dunque l'assetto del '91 e dando conto al limite in una seconda fascia d'apparato evolutivo degli eventuali refusi corretti nell'edizione del 2014 o se decidere di considerare l'edizione implementata, curata da Lucia Erba, Anna Longoni e Franco Buffoni, come nuova vulgata che superi la precedente anche in casi filologicamente complessi. La riflessione dovrà a mio parere estendersi anche al mutato status della raccolta: se si può pensare che la struttura dell'antologia del '91 rappresenti un vero e proprio macrotesto, le annessioni del 2014, introducendo una serie di autori comunque scelti e tradotti dall'autore, snaturano necessariamente l'organismo testuale determinatosi o ne segnalano semplicemente un proficuo aggiornamento? Annalia Proietti Ergun, Interferenza linguistica all’interfaccia sintassi-discorso: le traduzioni letterarie dal turco in italiano Cardinaletti (2004, 2005) ha evidenziato come nelle traduzioni letterarie dall’inglese all’italiano, si verifichi una presenza preponderante del pronome pieno anche là dove il soggetto nullo sarebbe stato una scelta più appropriata. Cardinaletti (2005) aggiunge che nelle traduzioni italiane dal tedesco e dall’inglese il soggetto viene prodotto in posizione preverbale anche là dove la posizione naturale sarebbe stata quella postverbale. Cardinaletti (2005) si chiede se questo tipo di interferenza possa essere letto come attrito linguistico, un fenomeno che normalmente si osserva negli emigranti, in cui il contatto continuo e protratto con la lingua seconda induce un cambiamento nella lingua madre. A prescindere se questo tipo di interferenza possa essere considerata o meno attrito, è interessante vedere come anche nella traduzione scritta l’interfaccia tra sintassi e discorso risulti vulnerabile ai fenomeni di interferenza interlinguistica. I ricercatori che si occupano di studiare l’interfaccia tra sintassi e discorso si sono occupati soprattutto di fenomeni di transfer in quelle lingue dove vi era solo una parziale sovrapposizione della sintassi, ipotizzando che il fenomeno del transfer avvenisse unicamente in quegli aspetti della sintassi che erano perfettamente sovrapponibili (ad esempio nel caso di bilingui italiano/inglese, le interferenze avvenivano solo nella produzione del pronome pieno, mentre la produzione del pronome nullo rimaneva intatta (Döpke, 1998; Hulk & Muller, 2000; Muller & Hulk 2001). Recenti studi (Sorace & Serratrice, 2009; Serratrice, Sorace, Filiaci & Baldo, 2012) hanno dimostrato che vi sono fenomeni di transfer anche tra lingue che sono sintatticamente simili, come nel caso dello spagnolo e dell’italiano, facendoci capire che il fenomeno del transfer deve essere analizzato in maniera più accurata. In questo studio si analizzano due opere tradotte dal turco in italiano: İnce Mehmet, Mehmet il falco di Yaşar Kemal e Engereğin Gözündeki Kamaşma, l’Eunuco di Costantinopoli, di Zülfü Livaneli, rispetto le caratteristiche del parametro del soggetto nullo (Chomsky 1979,1981,1982). Turco e italiano sono entrambe lingue a soggetto nullo ma rispondono a restrizioni pragmatiche di diversa natura, innanzi tutto in turco il pronome pieno è maggiormente utilizzato rispetto alle altre lingue pro drop (Enç, 1989), inoltre anche la distribuzione del soggetto postverbale, caratteristica attribuita al parametro pro drop (Rizzi 1982, Jaeggli & Safir 1989), presenta alcune divergenze: in italiano, con i verbi inaccusativi, la posizione preverbale è considerata quella neutra (Pinto, 1997), mentre in turco il soggetto post verbale può essere utilizzato solo per dare informazioni che si presuppongono note all’interlocutore (Ergüvanlı, 1984). L’analisi di queste due opere dimostra come l’interfaccia fra discorso e sintassi sia vulnerabile a fenomeni di interferenza simili a quelli già osservati nei soggetti sotto attrito e nei bilingui precoci, in questo caso specifico però, l’interferenza non può essere attribuita a fenomeni di predominanza della lingua seconda sulla lingua madre ma piuttosto al carico cognitivo richiesto dall’elaborazione simultanea di due lingue. Eva Rammairone, Il tema dell’ingratitudine nell’Umanesimo italiano attraverso l’inedito Tratato contro a la ingratituidine di Vespasiano da Bisticci Vespasiano da Bisticci è conosciuto al pubblico degli studiosi come “il principe de’ librai” nella Firenze del Quattrocento, fucina dell’Umanesimo. Vespasiano riuscì a fare di una semplice “officina” e rivendita di libri manoscritti un carrefour letterario da cui diffondere in tutta Europa testi curati filologicamente e di alto livello estetico: egli imbastì, infatti, una fitta trama di rapporti con i più grandi umanisti del tempo, da Leonardo Bruni a Giannozzo Manetti, oltre che con prelati e ambasciatori stranieri, da Giano Pannonio a Giovanni Vitez, da Andrea Holes a Jean Jouffroy. Nel 1469, con l’avvento della stampa a Firenze, i suoi affari cominciarono a languire e prima di assistere al definitivo tramonto della sua attività decise di ritirarsi nel locus amoenus dell’Antella, nelle campagne fiorentine. Qui trasferì le sue memorie sulla carta, scrivendo sia le Vite degli uomini illustri che aveva conosciuto, ritratti fedeli di personalità eccellenti del Quattrocento italiano ed europeo, sia opere meditative, specchio della cultura e dei costumi del suo tempo. Tra queste ultime ancora inedito è il Tratato contro a la ingratitudine, testo contenuto in un codice miscellaneo conservato alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze e segnato Magl.VIII, 1442. Il testo, di cui sto allestendo un’edizione critica, si presenta come un excursus sul tema dell’ingratitudine che si rifà alle trattazioni filosofiche e teologiche più note dell’antichità. Sarà interessante elaborare un percorso tematico su questo argomento che riesca a collocare l’opera di Vespasiano tra quelle che fecero dell’ingratitudine un vero e proprio genere letterario. Gli esempi antichi sono numerosi: basti pensare al ternario di Antonio di Meglio, al commento al Trionfo della Fama di Jacopo Bracciolini, all’epistola boccacciana a Pino de’ Rossi o a uno dei Capitoli machiavelliani dal titolo, Dell’ingratitudine, che ebbe come fonte diretta non solo il trattato ma anche il Commentario alla vita di Giannozzo Manetti di Vespasiano. Viene spontaneo chiedersi perché Vespasiano abbia scelto questo tra i tanti peccati che affliggevano il suo tempo. L’ingratitudine è infatti quella che ricevette il destinatario dell’opera Luca degl’Albizi è paragonabile a quella che moltissimi uomini illustri del tempo di Vespasiano, quelli che egli conobbe da vicino, che subirono l’estrema ingratitudine con la condanna all’esilio. L’ingratitudine aveva colpito il suo amico intimo Giannozzo Manetti, così come molti esponenti della famiglia Strozzi e Pandolfini; dell’ingratitudine fu vittima anche Vespasiano stesso, che probabilmente si aspettava qualche riconoscimento maggiore dopo una vita condotta all’insegna dell’onesto servizio. BIBLIOGRAFIA: E. FRIZZI, Di Vespasiano da Bisticci e delle sue biografie, Pisa, 1880. W. G. WATERS, E. WATERS, The Vespasiano memoirs: liver of illustrious men of the 15th century by Vespasiano da Bisticci, New York, 1926. V. DA BISTICCI, Vite di portoghesi illustri, a cura di H. T. COELHO-G. BATTELLI, Firenze, 1934. L. PONGRACZ, Vespasiano da Bisticci e i suoi clienti ungheresi, «Annuario dell’Accademia d’Ungheria in Roma», Roma, 1939, pp. 229-247. G. MERCATI, Una lettera di V. da Bisticci a Jean Jouffroi vescovo di Arras e la biblioteca romana del Jouffroi, «Melanges dedies a la mémoire de Felix Grat I», Parigi, 1946, pp. 357366. E. GARIN, La giovinezza di Donato Acciaiuoli, «Rinascimento», n. 1, 1950, pp. 43-73. A. GRECO, L’Umanesimo volgare: (Vespasiano da Bisticci), anno accademico 1963-1964, Roma, 1964. A. DE LA MARE, Vespasiano da Bisticci, historian and bokseller, PhD Thesis London University (Faculty of Arts), 1966. G. M. CAGNI, Vespasiano da Bisticci e il suo epistolario, Roma, 1969. V. DA BISTICCI, Le Vite, Edizione critica con introduzione e commento di A. GRECO, Firenze, 1976. N. MACHIAVELLI, Dell’ingratitudine, in Capitoli, Introd., Testo critico e Commentario a cura di G. Inglese, Roma, Bulzoni, 1981, pp. 127-40. A. DE LA MARE, New research on humanistic scribes in Florence, in Miniatura fiorentina del Rinascimento 1440-1525: un primo censimento, a cura di A. GARZELLI, Firenze, 1985, pp. 393-600. A. DE LA MARE, Vespasiano da Bisticci e i copisti fiorentini di Federico, in Federico da Montefeltro, lo stato, le arti, la cultura, a cura di G. CERBONI BAIARDI, G. CHITTOLINI, P. FLORIANI, Roma, 1986, Vol. III, pp. 81-96. M. MARTELLI, Il “ritratto” nelle “Vite” di Vespasiano da Bisticci, in Immaginare l’autore. Il ritratto del letterato nella cultura umanistica, Convegno di studi, Firenze, 26-27 marzo 1998, Firenze, 2000, pp. 199-206. A. CORBO, Riflessioni sulle “Vite di uomini illustri del secolo XV” di Vespasiano da Bisticci, «Lazio ieri e oggi. Rivista mensile di cultura, arte, turismo», XXXVIII, 2002, pp. 168-169. L. BOSCHETTO, Una nuova lettera di Giannozzo Manetti a Vespasiano da Bisticci con alcune considerazioni sul commercio librario tra Firenze e Napoli a metà Quattrocento, «Medioevo e Rinascimento», Vol.15, 2004, pp. 175-207. F. BAUSI, Machiavelli, Roma, Salerno edizioni, 2005. Harald Roalkvam, Il codice di Perelà e l’ultimo rifacimento di Palazzeschi Il Codice di Perelà: Romanzo futurista fu pubblicato nel 1911. In seguito Aldo Palazzeschi avrebbe rivisto a più riprese quello che dalla critica è considerato il suo capolavoro narrativo. Il quinto e ultimo rifacimento da parte dell’autore risale al 1958. Rispetto alla princeps, molti passaggi furono sviluppati e ampliati nel corso degli anni. Oggi il romanzo viene considerato il capolavoro narrativo di Palazzeschi, ma la critica sembra quasi unanime nel preferirne la prima versione. I pochi studi che si sono occupati della quinta edizione deplorano innanzitutto alcuni interventi dell’autore volti, a loro avviso, ad attenuare la carica dissacrante e iconoclasta del romanzo futurista. Il giudizio di critici quali Baldacci e Marchi sulle edizioni successive alla prima tende, infatti, a coincidere con il loro parere sulle varie fasi della carriera di Palazzeschi, sicché alla valutazione negativa della terza fase corrisponde la scarsa considerazione dell’ultima riscrittura del romanzo. I commenti riservati alla versione del 1958 sono per lo più finalizzati a giustificare la decisione di occuparsi esclusivamente della princeps. Nonostante la preferenza accordata all’opera originaria, la versione che oggi viene proposta nell’edizione tascabile Mondadori e, quindi, quella destinata ad una più ampia diffusione, è l’ultima licenziata dall’autore. Diversamente da ciò che sostengono Marchi e Baldacci, le modifiche e le aggiunte della quinta tendono a far risaltare gli aspetti grotteschi, carnevaleschi e parodistici presenti già nella princeps. Risulta più articolato il tema centrale del romanzo, ossia quello dei preconcetti degli uomini, inclini a proiettare sull’uomo di fumo le loro speranze politiche e metafisiche, nonché i loro concetti religiosi; la vicenda di Perelà rappresenta parodisticamente la soggettività delle pretese di una visione del mondo e dell’altro. Questo intervento si propone, appunto, di analizzare questi aspetti, che costituiscono una vera tematica della conoscenza, così come vengono rappresentati nell’ultima revisione che Palazzeschi diede al testo. Marie-Louise Rodén, La mancata beatificazione di Roberto Bellarmino nel Seicento. Il Voto Bellarmino del cardinale Decio Azzolino: manoscritti, edizioni, conseguenze Il cardinale Decio Azzolino (1623-1689) di Fermo fu una figura di primo piano nella Curia romana del 1600. Era il capo indiscusso dello Squadrone Volante, un’influente fazione all'interno del Collegio dei Cardinali, nonché Segretario di Stato sotto Clemente IX. Azzolino apparteneva ad un certo numero di congregazioni, tra le quali la Congregazione dei Riti che si occupava delle cause di beatificazione e di santificazione. Il gesuita Roberto Bellarmino (1542-1621) fu uno dei più noti teologi della tarda Controriforma. Una causa per la sua beatificazione, promossa dal suo ordine religioso e dagli abitanti della città di Capua, dove era stato arcivescovo, iniziò solo pochi anni dopo la sua morte e fu discussa dalla Congregazione dei Riti tra il 1674 il 1677. Anche se la maggioranza dei membri della Congregazione era a favore della beatificazione di Bellarmino, il cardinale Azzolino presentò una dichiarazione molto critica ("Voto Bellarmino"), che fu letta nella riunione del 26 set 1677. La posizione decisamente contraria di Azzolino portò Papa Innocenzo XI ad interrompere il processo. Bellarmino fu beatificato solo nel 1923, canonizzato nel 1930 e l’anno seguente nominato "Dottore della Chiesa". Il testo di Azzolino, che è riuscì a bloccare il processo per diversi secoli, è stato stampato nel Settecento quando papa Benedetto XIV riprese la causa di beatificazione di Bellarmino. Anche in questa occasione la voce critica di Azzolino doveva essere eliminata, e quindi il suo Voto a Bellarmino fu edito nel 1749 con i contro argomenti del gesuita Luca Maria Gritta. In questa occasione nacquero anche i dubbi sull’autenticità del testo di Azzolino. Gritta aveva due principali obiezioni sul fatto che Azzolino ne fosse veramente l’autore. Il manoscritto autografo non era più rintracciabile negli archivi o biblioteche vaticane. L’autografo è stato successivamente ritrovato, dall'autore del presente contributo, nel Fondo Azzolino dall’Archivio Nazionale Svedese di Stoccolma. Tuttavia, era soprattutto lo stile del testo a preoccupare il suo avversario ed editore. La fine retorica, che a volte sfiorava la satira, di Azzolino non corrispondeva ormai più agli ideali stilistici settecenteschi e portò Gritta alla conclusione che l'autore non fosse l’eminente cardinale ma qualcun altro. La causa di beatificazione di Bellarmino venne annullata anche quella volta e di nuovo nel 1827, per essere finalmente realizzata, come detto, nel Novecento. La ricezione del testo di Azzolino contro la beatificazione di Bellarmino mette in evidenza i cambiamenti di mentalità sia teologici sia letterari nel contesto politico della Chiesa. Bibliografia Baumgarten, Paul Maria. Neue Kunde von Alten Bibeln. Vol. I, Rom: im Selbstverlage des Verfassers 1922. Vol. II, Krumbach: Franz Aker Buchdruckerei 1927. Bellarmino, Roberto. Opera Omnia. Vol. I-VII, Venezia: editori diversi 1599-1617. Rodén, Marie-Louise. Church Politics in Seventeenth-Century Rome. Cardinal Decio Azzolino, Queen Christina of Sweden and the Squadrone Volante. Stockholm: Almqvist & Wiksell International 2000. Rosa, Enrico, S. J. "Il Cardinale Domenico Passionei e la Causa di Beatificazione del Ven. Cardinale Roberto Bellarmino". Civiltà Cattolica (1918): 1-69. Salotti, Carlo. Per la Causa di Beatificazione del Ven. Roberto Bellarmino. Appunti Documentati. Roma: Tipografia Pontificia nell'Istituto Pio IX, 1918. Andrea Romanzi, Il linguaggio di Holden Caulfield: una (ri)traduzione per trasformare il protagonista del Giovane Holden di Salinger L’interesse di questo paper si incentra sull’individuazione dei metodi utilizzati da Matteo Colombo nella sua operazione di (ri)traduzione del Catcher in the rye di J. D. Salinger a più di cinquant’anni di distanza dalla prima ad opera di Adriana Motti (1961). Il confronto tra le due traduzioni risulta interessante per quanto riguarda l’analisi delle differenze sostanziali nelle scelte dei due traduttori e degli effetti che queste scelte sortiscono sull’opera in quanto totalità. Inoltre, l'analisi si focalizza sulle soluzioni individuate e sul confronto tra due sistemi linguistici così differenti, soprattutto per quanto riguarda le forme del parlato colloquiale, valutando se le scelte si dirigano in una direzione etnocentrica o etnodeviante, e se si creino quegli elementi di fedeltà abusiva che derivano dalla volontà di riprodurre le peculiarità linguistiche del source text nel target text. La scelta di ritradurre un’opera letteraria si basa sempre su motivazioni e obiettivi ben precisi: in questo caso, era necessario restituire a Holden un linguaggio colloquiale e giovanile che fosse però scevro da giovanilismi e trendismi di breve durata. Il confronto tra i due testi d’arrivo mostra come le diverse scelte traduttive – persino quelle lievi e quasi impercettibili – sul piano linguistico del protagonista, concorrano a modificare il romanzo sul piano stilistico, agendo fortemente sulla caratterizzazione dell’iconico protagonista dell’opera di Salinger, chiave di volta nella fortuna del romanzo. Stefano Rosatti, Il frammentismo di Clemente Rebora Nel 1914 esce, per le edizioni della «Voce», Frammenti lirici, opera di esordio di Clemente Rebora. Il titolo dell’opera, apparentemente, viene scelto da Rebora in ossequio alle caratteristiche della nuova poetica, specie quella vociana, che fa delle soluzioni espressionistiche di grande forza, della rilevanza data ai processi simbolici e analogici, della fusione tra poesia e prosa e, appunto, del frammentismo, le proprie caratteristiche principali. Poco prima della pubblicazione, però, in una lettera a Prezzolini, Rebora, si preoccupa che i suoi versi vengano pubblicati integralmente, senza tagli, dato che, scrive il poeta, “la verità di essi non è nel singolo ma nel tutto”. Dopo un lungo silenzio, precedente e seguente la conversione religiosa del poeta milanese, è Contini a “riscoprirlo”, ma per decretarne, tutto sommato, i limiti proprio nella sua incapacità di ridurre il frammentismo della sua opera prima a specifico oggetto poetico; più tardi, Guglielminetti, al contrario, individuerà nei Frammenti lirici specificazioni e motivi che addirittura farebbero dell’opera un vero e proprio “canzoniere”. Queste posizioni critiche quasi contrapposte inducono a riflettere sul significato che, in Rebora, la categoria di frammento letterario assume. Il mio intervento si propone di mostrare come, in questo poeta, il frammentismo assuma un significato nuovo e prettamente “moderno”, di disunita unitarietà, per così dire, in cui ciò che viene rifiutato è proprio la rappresentazione di causa-effetto dei fenomeni (siano essi naturali o interiori), così come l’oggettivazione dei temi. In questo, e senza voler toccare in alcun modo questioni di valore o di primato estetico, i Frammenti lirici mostrano sorprendenti somiglianze con Le Occasioni, opera di molto posteriore e che a suo tempo consacrò in maniera definitiva Montale tra i nostri poeti della “modernità”. Entela Tabaku Sörman, Forestierismi, anyone? Ancora sull’italiano dei manuali lingua straniera Che tipo di italiano LS viene insegnato oggi? Dopo aver studiato alcuni tratti morfosintattici tipici del neostandard, in manuali LS pubblicati nei paesi nordici, mi sto concentrando sullo studio del lessico di questi manuali, partendo dall’uso di forestierismi, regionalismi, neoformazioni e di alcune locuzioni espressive prima considerate substandard. In questa sede presenterò i risultati delle occorrenze di forestierismi nell’input di 30 manuali nordici pubblicati tra il 2000 e il 2015. Inoltre discuterò i fattori sociolinguistici e didattici che condizionano queste occorrenze. Bibliografia Corda, A. & Marello, C. 2004. Lessico. Insegnarlo e impararlo. Perugia, Guerra Edizioni. De Mauro, T. 2005. La fabbrica delle Parole. Il lessico e problemi di lessicologia. Torino: UTET Libreria. Tabaku Sörman, E. 2014. “Che italiano fa” oggi nei manuali di italiano lingua straniera?: tratti del neostandard in un corpus di manuali svedesi e italiani. Stockholm: Department of Romance Studies and Classics, Stockholm University. Igor Tchehoff, La trasposizione intersemiotica triangolare: la vita di Caravaggio a fumetti Gli ultimi quindici anni hanno visto numerose riscritture della biografia di Michelangelo Merisi da Caravaggio, sia in forma romanzesca che cinematografica. Nel 2015 la vita affascinante del pittore italiano è stata oggetto di un altro tipo di trasposizione intermediatica e questa volta egli diventa protagonista di un fumetto di Milo Manara, Caravaggio. La tavolozza e la spada. Come ha notato Claudio Strinati, si tratta di una storia raccontata “con grande rispetto della testimonianza delle fonti e della verità sostanziale di quella vicenda”. I fatti della vita del pittore sono ben noti dalle prime biografie seicentesche (Vite di Caravaggio) e sono stati completati dagli storici d’arte degli ultimi cento anni. Inoltre, Manara inserisce numerose citazioni dei quadri del grande pittore lombardo. L’intervento esamina la traduzione intersemiotica triangolare (pittura, testo, fumetto) della vita di Caravaggio, con particolare attenzione alle strategie narrative dell’autore, citazioni pittoriche e il paratesto. Bibliografia Manara, M. (2015), Caravaggio. La tavolozza e la spada, Panini Comics, Modena. Marini M. (1989), Caravaggio. Michelangelo Merisi da Caravaggio praestantissimus», Newton Compton, Roma. «pictor Strinati, C. (2015). “Introduzione”. In Manara (2015). Valdinoci, F., a cura di (2010), Vite di Caravaggio, Casadeilibri, Bologna. Erika Wolf, Bambinate avanguardistiche. La tecnologia vista dai bambini nella parabola artistica di Leonardo Sinisgalli. L’avventura al timone della rivista interdisciplinare “Civiltà delle macchine” (1953-58) è un momento decisivo nella carriera di Leonardo Sinisgalli, contrassegnato da un assiduo confronto con artisti, filosofi, scienziati e tecnici su temi di comune interesse, quali il rinnovamento estetico e la portata civilizzatrice della nuova “era meccanica”. Nella traiettoria intellettuale del poeta lucano un ruolo non secondario è giocato dalla concomitante familiarità, a partire dagli anni Cinquanta, con i laboratori tipografici e artistico-artigianali che si stavano sperimentando in alcune classi elementari del Centro Italia. Dalla frequentazione tra la redazione dell’ house organ e il mondo della scuola nasceva un sodalizio che portò presto alla pubblicazione, sulle pagine del bimestrale, di reportage sulle visite guidate degli alunni agli stabilimenti industriali, dove alla voce dei maestri si affiancavano le illustrazioni di macchinari e operai eseguite dai bambini. La collaborazione fra l’ambiente della produzione e dell’innovazione tecnologica e quello scolastico si affrancò poi dalla circostanza editoriale originaria per acquisire vita autonoma in edizioni illustrate a tiratura limitata e sfociò, negli anni Sessanta, in una singolare iniziativa dagli echi internazionali, sponsorizzata da Alitalia e patrocinata ancora da Sinisgalli, in cui il disegno infantile, accompagnato da slogan, diventava manifesto pubblicitario. Il mio intervento intende sondare queste storie editoriali finora trascurate in sede critica e ripercorse unicamente da uno degli insegnanti protagonisti, per restituire loro la centralità di ri-edizione ludica o variante straniata di altre pratiche testuali. Tra queste, i resoconti dalla fabbrica redatti da poeti e artisti che “Civiltà delle macchine” ospitava in quegli stessi numeri, e le raccolte miste di poesie e disegni in edizioni di pregio, consuetudine assai diffusa al tempo e praticata da Sinisgalli stesso – testi in rapporto ai quali la fantasia degli scolari rappresenta, come si accennava, un complemento e un contrappunto ironico. Un posto essenziale nel mio esame congiunto di parola e immagine sarà occupato dalla portata teorica di tali iniziative e dal significato che esse assumono nella poetica di Sinisgalli. Illustrerò le implicazioni connesse al dar spazio allo sguardo infantile su macchinari e invenzioni meccaniche servendomi del concetto di gioco, declinato in particolare in senso epistemologico e inteso come attività affine al fare artistico. Attraverso l’indagine sugli aspetti della macchina che risultano inquadrati con più vividezza dagli occhi fanciulleschi, discuterò di come l’ottica inconsueta prescelta ci riveli nuovi lati della visione sinisgalliana della tecnologia, dell’arte e della scrittura, e chiarirò il senso che qui assume l’affinità tra la sensibilità del bambino e quella dell’artista. Claudia Zavaglini, Michelstaedter 1912-2015: storia di un autore postumo attraverso un secolo di edizioni, riedizioni e traduzioni Questo intervento intende ricostruire la storia editoriale di Michelstaedter attraverso alcune considerazioni sulle edizioni, riedizioni e traduzioni dei suoi scritti. Michelstaedter, non avendo pubblicato pressoché nulla in vita, è un autore completamente postumo. Dalle prime edizioni del Dialogo della salute, delle poesie e de La persuasione e la rettorica curate dall’amico Vladimiro Arangio Ruiz, passando per l’edizione de La persuasione e la rettorica curata dal cugino Emilio Michelstaedter, fino all’edizione Chiavacci e alle più recenti edizioni curate da Campailla, la storia editoriale di Michelstaedter ha conosciuto tappe diverse senza essere giunta ancora a un’edizione critica complessiva degli scritti. Partendo dalle vicende editoriali, questo intervento intende ripercorrere la storia e la fortuna di Michelstaedter e avanzare alcune proposte editoriali per l’immediato futuro. A tutt’oggi, infatti, esistono degli scritti di Michelstaedter diverse edizioni: alle più note e popolari edizioni Adelphi, si sono affiancati e si affiancano spesso altri tentativi di edizione, talvolta con il fine di restituire quel che di Michelstaedter rimaneva o rimane inedito o difficilmente reperibile (uno dei più noti e importanti lavori in questo senso è ad esempio l’edizione curata da Michelis: C. Michelstaedter, Sfugge la vita: taccuini e appunti, Aragno, Torino 2004) e tuttavia non è stato ancora avviato con la dovuta serietà un lavoro per un’edizione critica uniforme e completa di tutti gli scritti, operazione lunga e complessa che rimane tutta da fare. BIBLIOGRAFIA CARLO MICHELSTAEDTER, Dialogo della salute. Poesie, a cura di Vladimiro Arangio Ruiz, Formiggini, Genova 1912 CARLO MICHELSTAEDTER, La persuasione e la rettorica, a cura di Vladimiro Arangio Ruiz, Formiggini, Genova 1913 CARLO MICHELSTAEDTER, La persuasione e la rettorica. Con appendici critiche, a cura di Emilio Michelstaedter, Vallecchi, Firenze 1922 CARLO MICHELSTAEDTER, Poesie [1910], a cura di Vladimiro Arangio Ruiz, Garzanti, Milano 1948 CARLO MICHELSTAEDTER, Opere, a cura di Gaetano Chiavacci, Sansoni, Firenze 1958 CARLO MICHELSTAEDTER, La persuasione e la rettorica [con appendici critiche], a cura di Maria Adelaide Raschini, Marzorati, Milano 1972 CARLO MICHELSTAEDTER, Poesie. Con disegni inediti, a cura di Sergio Campailla, Pàtron, Bologna 1974 CARLO MICHELSTAEDTER, Opera grafica e pittorica, a cura di Sergio Campailla, Istituto per gli Incontri Culturali Mitteleuropei, Gorizia 1975 CARLO MICHELSTAEDTER, Scritti scolastici, a cura di Sergio Campailla, Istituto per gli Incontri Culturali Mitteleuropei, Gorizia 1976 CARLO MICHELSTAEDTER, La persuasione e la rettorica, a cura di Sergio Campailla, Adelphi, Milano - Istituto per gli Incontri Culturali Mitteleuropei, Gorizia 1982 CARLO MICHELSTAEDTER, Epistolario, a cura di Sergio Campailla, Adelphi, Milano - Istituto per gli Incontri Culturali Mitteleuropei, Gorizia 1983; 2a ed. riveduta e ampliata Adelphi, Milano 2010 CARLO MICHELSTAEDTER, Poesie, a cura di Sergio Campailla, Adelphi, Milano - Istituto per gli Incontri Culturali Mitteleuropei, Gorizia 1987 CARLO MICHELSTAEDTER, Il dialogo della salute, a cura di Gian Andrea Franchi, Agalev, Bologna 1988 CARLO MICHELSTAEDTER, Il dialogo della salute e altri dialoghi, a cura di Sergio Campailla, Adelphi, Milano - Istituto per gli Incontri Culturali Mitteleuropei, Gorizia 1988 CARLO MICHELSTAEDTER, Album G, Edizioni della Laguna, Monfalcone 1992 L'immagine irraggiungibile. Dipinti e disegni di Carlo Michelstaedter, a cura di Antonella Gallarotti, Edizioni della Laguna, Monfalcone 1992 CARLO MICHELSTAEDTER, La persuasione e la rettorica. Appendici critiche, a cura di Sergio Campailla, Adelphi, Milano - Istituto per gli Incontri Culturali Mitteleuropei, Gorizia 1995 CARLO MICHELSTAEDTER, Il prediletto punto d'appoggio della dialettica socratica e altri scritti, a cura di Gian Andrea Franchi, Mimesis, Milano 2000 CARLO MICHELSTAEDTER, Parmenide ed Eraclito. Empedocle. Appunti di filosofia, a cura di A. Cariolato e E. Fongaro, SE, Milano 2003 CARLO MICHELSTAEDTER, Sfugge la vita. Taccuini e appunti, a cura di Angela Michelis, Aragno, Torino 2004 CARLO MICHELSTAEDTER, L'anima ignuda nell'isola dei beati. Scritti su Platone, a cura di David Micheletti, Diabasis, Reggio Emilia 2005 CARLO MICHELSTAEDTER, La melodia del giovane divino. Pensieri - racconti - critiche, a cura di Sergio Campailla, Adelphi, Milano 2010 CARLO MICHELSTAEDTER, Dialogo della salute e altri scritti sul senso dell'esistenza, a cura di Giorgio Brianese. Milano-Udine, Mimesis, 2010 Carlo Michelstaedter: far di se stesso fiamma, a cura di Sergio Campailla, Marsilio, Venezia 2010 CARLO MICHELSTAEDTER, La persuasione e la rettorica, edizione critica a cura di Andrea Comincini, Joker, Novi Ligure 2015 [Le traduzioni non sono state inserite in questa bibliografia – l’autrice sta ultimando la rassegna delle diverse edizioni in altri paesi.] Walter Zidaric, Dalla novella Lontano di Luigi Pirandello all’inedito libretto d'opera Lars Cleen (Lo straniero) La presente comunicazione si propone di presentare il libretto d’opera Lars Cleen (Lo straniero), allo stato attuale inedito, tratto dalla novella Lontano di Luigi Pirandello, di cui chi scrive è ideatore e librettista per la musica di Paolo Rosato. L'opera è stata rappresentata lo scorso 2 e 3 ottobre al Teatro Metropolia di Helsinki. Nella novella di Pirandello appare una nave scandinava che arriva in Sicilia, con marinai norvegesi. Per ragioni che si intendono spiegare nel contributo, all’interno dell’opera i norvegesi sono stati trasformati in finlandesi, e sono state introdotte delle arie in finnico. Parte dell’ambientazione scandinava potrebbe pertanto essere d’interesse all’interno di un convegno organizzato da italianisti scandinavi. Per concludere: il contributo si focalizzerà sulle trasformazioni nel passaggio dalla novella al libretto, sulla scelta di Pirandello, poco frequentato dal mondo dell’opera, sull’attualità dell’argomento, sulla necessità di continuare a far vivere l’opera italiana contemporanea. Silvia Zoppi Garampi, Sul carteggio inedito Carlo Betocchi - Leone Piccioni (1949-1981) La comunicazione delinea, conclusa la trascrizione delle lettere inedite tra Carlo Betocchi e Leone Piccioni, i nuclei tematici che attraversano il corposo carteggio, la fisionomia dei due corrispondenti, alcuni aspetti dei dibattiti letterari dell’Italia repubblicana. Le lettere di Carlo Betocchi sono custodite nell’archivio privato di Leone Piccioni. Le lettere di Leone Piccioni fanno parte del Fondo Betocchi del Gabinetto G. P. Vieusseux di Firenze.