ELENCO ABSTRACT FALUN

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ELENCO ABSTRACT FALUN
XI CONGRESSO DEGLI ITALIANISTI SCANDINAVI
Edito, inedito, riedito
Falun, 9-11 giugno 2016
Elenco delle comunicazioni
Riikka Ala-Risku, Sociolinguistica letteraria: cosa ci insegna la metalingua della narrativa?
In più occasioni è stata osservata la frequenza con cui gli autori italiani novecenteschi e
contemporanei ricorrono sulla pagina all’uso di commenti metalinguistici espliciti, rivolti in
modo particolare all’accoglimento del dialetto e di altri elementi diatopicamente connotati
accanto all’italiano (De Mauro 2007, Matt 2014).
Più in generale, è stato notato il legame tra la metalingua e il plurilinguismo letterario, sia
come elemento caratterizzante dei personaggi, sia come strumento narrativo-stilistico. I
commenti metalinguistici contribuiscono alla rappresentazione della comunità bilingue
(Timm 1978), ma sono usati anche per segnalare gli elementi alloglotti come “altri” e per
garantire la comprensione del lettore monolingue con traduzioni e perifrasi (Jonsson 2012). I
commenti metalinguistici riflettono ideologie linguistiche che possono perfino diventare
l’argomento stesso della narrazione (Callahan 2001) o descrivono situazioni di contatto e
conflitto linguistico (Müller 2015).
Nel contesto italiano, gli studi sulla metalingua di Andrea Camilleri ne hanno osservato la
funzione ludica e il ruolo nel procedere della trama (Santulli 2010, Wizmuller-Zocco 2010),
mentre il romanesco degli autori non romani è considerato ora un richiamo ancestrale, ora un
oggetto di analisi quasi filologico (D’Achille 2012).
La presente comunicazione intende dare una lettura sociolinguistica di una selezione di opere
letterarie contenute in due corpora diversi. Da un lato, il Primo Tesoro della Lingua Letteraria
Italiana del Novecento, con i suoi 100 romanzi lemmatizzati ed etichettati secondo l’uso o la
provenienza, ci permette di esaminare l’aspetto quantitativo della metalingua in collegamento
all’uso del dialetto. Dall’altro, solo una lettura ravvicinata di opere contemporanee può dirci
qualcosa di più dettagliato sul modo in cui gli autori commentano i processi sociolinguistici in
atto nella comunità e tra i personaggi descritti.
L’analisi dei testi rivela una ricca varietà di commenti metalinguistici e una particolare
sensibilità al dialetto e all’italiano regionale. Benché non manchino esempi in cui l’uso del
dialetto è commentato negativamente come appartenente a personaggi di status socioeconomico basso, in altri casi è valorizzato come indispensabile per l’integrazione sociale e
dotato di maggior potere espressivo. Talvolta la metalingua costituisce l’unica spia del
plurilinguismo implicito nell’assenza concreta di elementi dialettali. Appare chiaro che per
meglio comprendere il ruolo della metalingua nella narrativa, essa va analizzata insieme agli
altri “effetti collaterali” del plurilinguismo letterario: gli apparati paratestuali, le tecniche
traduttive interne al testo e l’uso del corsivo, parentesi e altri indizi grafici che tutti fanno
risaltare il contrasto tra le varietà linguistiche coinvolte. L’analisi della metalingua si rivela
uno strumento utile
anche per indagare sul rapporto tra l’autore e il lettore.
Attraverso i commenti, l’autore si rivolge al lettore (spesso con un dichiarato approccio
didascalico) rendendo visibili le proprie ipotesi sulla competenza di chi legge, e più in
generale la percezione sull’uso linguistico reale e ideale nella società descritta.
Bibliografia
Callahan, L. (2001). "Metalinguistic References in a Spanish/English Corpus". Hispania 84
(3), 417-427.
D’Achille, P. (2012). “Elementi romani in Caos calmo di Sandro Veronesi e Il contagio di
Walter Siti”. In Id. – Stefinlongo, A. – Boccafurni, A. M. (a c. di), Lasciatece parlà. Il
romanesco nell'Italia di oggi. Roma: Carocci, 117-129.
De Mauro, T. (2007). "Primo Tesoro della Lingua Letteraria Italiana del Novecento"
(introduzione al DVD). In PTLLIN, 1-121.
Jonsson, C. (2012). "Making Silenced Voices Heard: Code-switching in Multilingual Literary
Texts in Sweden". In Sebba, M. – Mahootian, S. – Ead. (a c. di),
Language Mixing and Code-Switching in Writing. Abingdon: Routledge, 212232.
Matt, L. (2014). Forme della narrativa italiana di oggi. Roma: Aracne.
Müller, K. (2015). “Code-switching in Italo-Brazilian literature from Rio Grande do Sul and
São Paulo: A sociolinguistic analysis of the forms and functions of literary
code-switching”. Language and Literature 24 (3), 249-263.
PTLLIN (2007) = Primo Tesoro della Lingua Letteraria Italiana del Novecento. De
Mauro, T. (a c. di). Torino: UTET – Fondazione Maria e Goffredo Bellonci.
Santulli, F. (2010). Montalbano linguista: la riflessione metalinguistica nelle storie del
commissario. Milano: Arcipelago edizioni.
Timm, L. (1978). "Code switching in War and Peace". In Paradis, M. (a c. di), Aspects of
Bilingualism. Columbia: Hornbeam, 302-315.
Vizmuller-Zocco, J. (2010). "I gialli di Andrea Camilleri come occasione metalinguistica".
Italica 87 (1), 115-1f 1
Riitta Ammunet, E il titolo americano Deliverance in italiano divenne Un tranquillo weekend
di paura
Lo scopo del presente contributo è stato di riflettere sui meccanismi con i quali i film
americani, composti da un sintagma nominale, vengono tradotti in italiano. Oggetto di
particolare interesse sono stati i titoli costituiti da un solo nome dal contenuto astratto (es.
Deliverance (1972), titolo italiano: Un tranquillo weekend di paura e The Shining (1980),
conosciuto col titolo italiano: Shining; titolo della prima edizione del romanzo di Stephen
King su cui si basa il film: Una splendida festa di morte).
Diversamente da quanto fatto nel capitolo dedicato ai titoli cinematografici del nostro
dottorato, abbiamo ribaltato il punto di vista, nel senso che abbiamo questa volta passato in
rassegna le schede di tutti i film con la dicitura “produzione USA”, mentre nell’analisi scritta
per il suddetto capitolo del nostro dottorato avevamo lavorato esclusivamente con i titoli
italiani (titoli di film italiani o tradotti in italiano). Il corpus è tuttavia stato lo stesso,
www.mymovies.it, di cui abbiamo presi in analisi nuovamente i titoli degli stessi anni,
un’annata di ogni dieci anni, partendo dal 1904 e arrivando al 2014.
In questo studio non abbiamo commentato la felicità o meno di certe soluzioni, anzi –
analizzando il materiale, le traduzioni troppo differenti dall’originale non le abbiamo proprio
considerate, visto che, in ultima istanza, ci interessa, anche in questa sede, l’uso dell’articolo
determinativo, argomento del nostro dottorato. Ugualmente non presenteremo qui le soluzioni
identiche nelle due lingue, es. The Theory of Everything > La teoria del tutto o comunque
adattate, dal punto di vista dell’uso dell’articolo, alla sintassi italiana. Pertanto, per quanto
riguarda il titolo Night at the Museum: Secret of the Tomb > Notte al museo 3 - Il segreto del
faraone, l'adattamento alla sintassi italiana (Secret / Il secreto + complemento di
specificazione) non è di per sé tanto interessante. È però interessante notare che per il titolo in
italiano si è preferito un complemento [+UMANO], e abbiamo quindi a che fare con una
discrepanza di punto di vista.
Bibliografia
Ammunet, Riitta (in fieri): Quo vadis, articolo determinativo? La grammatica del sintagma
nominale italiano – Osservazioni sulla neutralizzazione della determinatezza. Tesi di
dottorato. Università di Helsinki.
Genette, Gérard (1987): Seuils. Éditions du Seuil, coll. "Poétique", Paris.
Hoek, Leo H. (1981): La marque du titre: Dispositifs sémiotiques d'une pratique textuelle.
Mouton, La Haye.
Iannelli, Ettore C. (2015 eBook, 1998¹ª): Riflessione sulla traduzione dei titoli dei film.
Milano.
Alessandro Aresti, Andrea Mantegna allo scrittoio. Alcune note filologiche e linguistiche alle
sue lettere
All’Università di Liegi, nell’ambito di un progetto di ricerca di durata biennale (Marie Curie
FP7-PEOPLE-COFUND-BEIPD), sto lavorando all’edizione (o, in diversi casi, riedizione) e
al commento linguistico di lettere di artisti italiani del Tre e del Quattrocento. Fra gli obiettivi
fondamentali della ricerca rientra quello di fotografare, relativamente al periodo indicato, usi
e competenze di una categoria di scriventi quasi del tutto trascurata nell’ambito degli studi
storico-linguistici.
Mi focalizzerò per l’occasione su 26 lettere del pittore padovano Andrea Mantegna (14311506), spedite ad alcuni Gonzaga fra il 1463 e il 1506 e conservate all’Archivio di Stato di
Mantova: insieme con una a Lorenzo il Magnifico del 26 agosto 1484, conservata
all’Archivio di Stato di Firenze, sono allo stato attuale delle conoscenze le uniche note.
Dopo una breve introduzione al contenuto delle lettere e ai vari contesti in cui esse vedono la
luce, mi soffermerò su alcune questioni filologiche relative al corpus. Cercherò poi di
tracciare un profilo linguistico dello scrivente Mantegna, arrivando anche a formulare qualche
ipotesi sul suo grado di acculturazione.
Ilaria Batassa, Tra le carte di Montano: edito, inedito e riedito
La narrativa breve di Lorenzo Montano offre un fertile terreno per comprendere come i
concetti di edito, inedito e riedito possano intrecciarsi in maniera indissolubile.
Montano scrisse racconti che furono pubblicati in quotidiani e riviste: alcuni di essi vennero
selezionati per una riedizione in volume (Carte nel vento) e modificati. Tuttavia, nel Fondo
Montano della Biblioteca civica di Verona si trovano racconti inediti, varianti della prima
redazione, varianti non accolte nella riedizione in volume.
Si prenderanno ad esempio due racconti: La signorina Chiari (pubblicato in quotidiano e
scelto per Carte nel vento) e La gita a Bergamo (dattiloscritto inedito). Si cercherà, mediante
la ricostruzione della storia interna dei due testi, di dare conto delle scelte autoriali, di
analizzare le varianti, la decisione di pubblicare o non pubblicare, l’inclusione o la non
inclusione in Carte nel vento, ultima opera di Montano, zibaldone di tutta la sua produzione
(poetica, saggistica, narrativa) e vera cartina di tornasole per comprendere la forte coscienza
montaniana di cosa deve essere edito e cosa deve rimanere inedito.
Nelle conclusioni si analizzerà l’atteggiamento editoriale di Montano nei confronti dei propri
scritti, per dimostrare come nel Novecento l’editoria influenzi (e modifichi) i concetti di
inedito ed edito.
Bibliografia
ILARIA BATASSA – AGOSTINO CONTÒ, Catalogazione del Fondo Lorenzo Montano della
Biblioteca civica di Verona, in corso di pubblicazione.
LORENZO MONTANO, Carte nel vento, Firenze, Sansoni, 1956.
LORENZO MONTANO, I racconti inediti, a cura di Ilaria Batassa, in corso di pubblicazione.
Francesco Bianco, Titolo dell'intervento: Nuovi strumenti per l'insegnamento della lingua e
della letteratura italiana in Repubblica Ceca
Sfruttando i fondi stanziati dall'ateneo per i progetti per l'innovazione della didattica (FRUP),
il dipartimento di lingue e letterature romanze dell'Università Palacký di Olomouc sta
sviluppando nuovi strumenti didattici destinati a studenti di italianistica.
In questa sede, in particolare, si presenteranno due recenti iniziative, di cui una portata a
compimento, l'altra in itinere:
• Un manuale di letteratura italiana dalle origini al Rinascimento;
• Un manuale di sintassi italiana.
Entrambi i testi, scritti in italiano (utilizzabili, dunque, anche fuori dal contesto nel quale sono
stati prodotti), perseguono due fini: 1) in una prospettiva cinestetica, insegnare anche la lingua
italiana (pratica) mentre si veicolano contenuti di altro genere (letteratura e le conoscenze
teoriche di sintassi); 2) rivolgersi, potenzialmente, anche a lettori e discenti italofoni (o
comunque non cecofoni).
Di questi strumenti si presenteranno le caratteristiche, la filosofia di fondo, gli obiettivi e i
possibili sviluppi, legati anche all'implementazione di nuove risorse informatiche.
Ida Caiazza, Metamorfosi editoriali di epistolari cinquecenteschi
La comunicazione si concentra sulle diverse forme assunte da alcuni epistolari rinascimentali
attraverso le successive edizioni cinquecentesche.
Il contesto è quello della ricerca in atto sul genere dell'epistolografia amorosa dei secoli XVI e
XVII (uno dei grandi successi editoriali del periodo), che riconduce le raccolte di lettere
d'argomento erotico pubblicate tra Cinque e Seicento al genere del “libro di lettere amorose”,
del quale identifica le peculiarità e ricostruisce lo sviluppo.
I “libri di lettere amorose” (costola del “libro di lettere” sviluppatosi sulla scia della fortuna
del Primo libro delle lettere di Pietro Aretino del 1538) fanno riferimento alla humus
culturale e sociale dei poligrafi e delle stamperie, e sono pertanto influenzati dalla necessità di
incrementare le vendite, di cavalcare l'onda dei successi editoriali, di ridurre al minimo lo
sforzo creativo e i tempi della composizione per adeguarsi alle tempistiche dettate dalle
esigenze del mercato editoriale.
Sono opere spesso concepite per incontrare i gusti dei lettori, e poi man mano adeguate al
cambiamento di tali gusti e adattate alle nuove esigenze della scena editoriale. Tale
operazione di adattamento, attuata per iniziativa degli autori ma anche degli editori e dei
curatori, può dare luogo talvolta a cambiamenti importanti nella struttura, nell'impostazione,
nella sostanza stessa degli epistolari. È interessante osservare questi cambiamenti attraverso il
confronto tra le edizioni successive, considerando oltre agli epistolari in sé anche le zone
paratestuali, le quali spesso forniscono chiavi di lettura illuminanti sulle nuove versioni delle
opere.
All'illustrazione del fenomeno generale segue l'analisi di alcuni esempi di metamorfosi
editoriale.
Le Lettere amorose di Girolamo Parabosco (edite tra il 1545 e il 1617) compaiono come
opera a metà strada tra la raccolta di lettere di stampo aretiniano – finalizzata cioè
all'esibizione di relazioni illustri dell'autore – e il repertorio di modelli di scrittura. Con la
successiva aggiunta del secondo, del terzo e del quarto libro, si fa man mano sempre più
evidente la vocazione letteraria, derivante dalla progressiva perdita di interesse da parte del
pubblico per le vicende personali dell'autore.
Le Amorose di Alvise Pasqualigo (1563-1607) sono presentate nella loro prima versione
come documento di uno scandalo coinvolgente due famiglie nobili veneziane, nella seconda
come opera di invenzione letteraria di taglio romanzesco (in entrambi i casi per opera dello
scaltro editore Sansovino). La trama del romanzo viene poi ripresa in chiave teatrale dallo
stesso Pasqualigo, e riproposta nel tardo Ottocento in veste di novella da Adolfo Albertazzi.
Carla Cariboni Killander, Un’immagine dell’Italia: le lettere del viaggiatore settecentesco
Jacob Jonas Björnståhl
Imbarcatosi a Tolone il 4 dicembre 1770, dopo aver viaggiato tre anni in Francia (con une
breve puntata in Svizzera) in compagnia di Carl Fredrik Rudbeck, il giovane nobile di cui è
precettore, il viaggiatore svedese Jacob Jonas Björnståhl (1731-1779) raggiunge quattro
giorni dopo il porto di Civitavecchia. Björnståhl e Rudbeck resteranno in Italia poco più di tre
anni: nel settembre 1773, a cavallo di un mulo, attraverseranno le Alpi, diretti verso la
Svizzera e Ginevra, per poi continuare il loro viaggio verso Londra. Qui si separeranno:
Rudbeck tornerà a casa e Björnståhl approderà, dopo un lungo viaggio per mare, in Tessaglia,
dove morirà nel 1779, senza aver mai rivisto la Svezia.
Delle 83 lettere che Björnståhl indirizza all’amico bibliotecario di corte a Stoccolma Carl
Christoffer Gjörwell (1731–1811), contenute nell’opera Resa til Frankrike, Italien, Sweitz,
Tyskland, Holland, Turkiet, och Grekeland (1780-1784), 31 provengono dall’Italia (Napoli,
Roma, Firenze, Livorno, Bologna, Venezia, Verona, Milano, Pavia, Genova, Torino). Nelle
sue lettere italiane Björnståhl descrive luoghi, persone, usi e costumi. Guidato da
un’inestinguibile curiosità e aiutato da una buona conoscenza della lingua italiana, Björnståhl
si profila non come un semplice osservatore, ma come un vero e proprio attore sulla scena
italiana, instaurando contatti con numerose persone e personalità dell’epoca.
La mia relazione mira a rendere conto delle lettere italiane di Björnståhl al fine di
delucidare quale immagine dell’Italia se ne ricava. Più particolarmente mi propongo di
soffermarmi sulle parti in cui il discorso di Björnståhl, il cui taglio è perlopiù descrittivo ed
informativo, si fa assiologico: quali aspetti della vita italiana attirano l’attenzione di
Björnståhl e lo inducono a esprimere giudizi valutativi? Quali sono questi giudizi e in che
rapporto si trovano rispetto a quelli emessi sui paesi di cui, giunto a quel punto del suo
periplo, Björnståhl ha una conoscenza diretta, cioè la Svezia e la Francia? Nonostante affermi
di volere evitare le “Propositiones comparativas” (Resa I:285), Björnståhl procede spesso per
confronti, applicando il metodo comparativo tipico del paradigma illuministico. Quali sono i
confronti che Björnståhl è indotto a stabilire tra Italia, Svezia e Francia?
Björnståhl, Jacob Jonas, Resa til Frankrike, Italien, Sweitz, Tyskland, Holland, England,
Turkiet, och Grekeland: beskrifven af och efter Jac. Jon. Björnståhl. Efter des död utgifven af
Carl Christof. Gjörwell. Delar 1-6. Stockholm, Nordström, 1780-1784.
Roberta Colonna Dahlman, Strategie di narrazione retrospettiva ne “I giorni
dell’abbandono” di Elena Ferrante
Questa presentazione propone una riflessione sulle strategie di narrazione retrospettiva nel
romanzo di Elena Ferrante “I giorni dell’abbandono” (2011) e intende dimostrare come il
ricorso a determinati strumenti stilistico-linguistici permetta di esprimere una narrazione
prevalentemente incentrata sui diversi stati psicologici della protagonista.
In particolare, l’attenzione è rivolta in primo luogo alle occorrenze di discorso diretto libero e
di discorso indiretto libero. L’ipotesi proposta è che nel primo caso la combinazione della
collocazione spaziotemporale della protagonista con quella della
narratrice risulti in una convergenza di contesti: contesto della storia e contesto di narrazione
finiscono con il coincidere e al narratario è consentito di sentire le parole espresse o pensate
dal personaggio nello svolgersi della storia come se fossero espresse nel momento della
narrazione (cf. Chatman 1978, Cohn 1978). Si veda, come esempio, il brano in (1):
(1) A chi mi fa del male, reagisco restituendo la pariglia. Io sono l’otto di spada, io
sono la vespa che punge, io sono la serpe scura (Ferrante, 2011: 252).
Invece, nel caso del discorso indiretto libero, l’ipotesi è che la combinazione della
collocazione spaziotemporale della protagonista con quella della narratrice
risulti in uno spostamento (c.d. shift) da un contesto all’altro, che tende a preservare la
distinzione tra contesto della storia e contesto di narrazione (cf. Schlenker 2004; Recanati
2010; Giorgi 2010). Sarebbe questo spostamento nel corpo dello stesso discorso a spiegare la
possibilità che alcuni elementi del discorso siano valutati rispetto al contesto di narrazione
(per esempio, tempi verbali e pronomi), mentre altri elementi vengano valutati con
riferimento al contesto della storia (per esempio, espressioni indicali). Si veda, come esempio,
il brano in (2):
(2) Ma l’essenziale infine l’aveva detto, si era deciso a dirlo, e ora mi sentivo in
pettoun dolore lungo che mi stava privando di ogni sentimento (Ferrante, 2011: 190).
Infine, s’intende evidenziare una particolare tecnica narrativa che ricorre nel romanzo di
Ferrante: l’uso di infiniti in isolamento. Si veda, come esempio, il brano in (3):
(3) Reagire. Mi misi a rassettare. [...] Lucidità, determinazione, tenersi alla vita
(Ferrante 2011: 249).
L’ipotesi proposta in questa presentazione è che questi infiniti siano realizzazioni di discorso
libero. Tuttavia, non è del tutto evidente se essi rappresentino casi di discorso diretto libero o
di discorso indiretto libero.
Bibliografia
Chatman, Seymour. 1978. Story and Discourse. Narrative Structure in Fiction and Film.
Ithaca & London: Cornell University Press.
Cohn, Dorrit. 1978. Transparent Minds. Narrative Modes for Presenting Consciousness in
Fiction. Princeton, NJ: Princeton University Press.
Ferrante, Elena. 2011. Cronache del Mal d’Amore. Roma: Edizioni e/o.
Giorgi, Alessandra. 2010. About the Speaker. Towards a Syntax of Indexicality. Oxford:
Oxford University Press.
Recanati, François. 2010. Truth-Conditional Pragmatics. Oxford: Clarendon Press.
Schlenker, Philippe. 2004. Context of thought and context of utterance: A note on free
indirect discourse and the historical present. Mind and Language 9/3, 279-304.
Ernesto Di Renzo, Attualità e obsolescenze della Scienza di Pellegrino Artusi
La scienza in cucina e l'arte del mangiar bene di Pellegrino Artusi è uno di quei casi
emblematici di successo editoriale le cui cause non sono affatto presagibili, indubitabili o
scontate dall'origine. Ne è riprova il fatto che l'autore stesso dovette provvedere alla
pubblicazione dell'opera a sue spese, non avendo trovato alcun editore disposto ad investire su
di essa. Nonostante ciò, dal 1891, anno della prima edizione, al 1911, anno della morte
dell'Artusi, l'opera conobbe ben 15 edizioni, tutte curate dallo stesso autore. A queste, già da
molto prima che esplodesse il boom della gastrografia (versione libresca della gastromania
televisiva) ne sono seguite altre 96, e diverse ancora se ne sono aggiunte in lingue differenti
dall'italiano: malgrado l'idea di cucina contenuta nell'opera sia tutt'altro che attuale, aggiornata
o facilmente esportabile al di fuori dei confini geografici e culturali della nazione.
La Scienza è molto di più del tipico libro di ricette gastronomiche a vocazione repertoriale.
Con i suoi incisi, i suoi excursus, le sue digressioni, i suoi aneddoti, i suoi costanti rimandi
alla letteratura italiana è anche e soprattutto un libro letterario, politico, antropologico di cui è
possibile decifrare l'ordito tra i piatti e i menù di un'Italia "inventata".
Paolo Divizia, Il cimitero di Praga di Umberto Eco tra correzioni d’autore e traduzioni
La critica delle varianti in Italia la si pratica da almeno una settantina di anni, almeno da quel
Saggio d’un commento alle correzioni del Petrarca volgare che Contini pubblicò nel 1943, ed
è stata definita da Cesare Segre come «il più sicuro strumento per cogliere il funzionamento, e
la funzionalità, dell’elaborazione testuale, risalendo abbastanza indietro rispetto alla forma
«definitiva» dei testi, e permettendo di cogliere una parte del dinamismo che sorregge e
prepara la loro staticità» (C. Segre, Avviamento all’analisi del testo letterario, Einaudi 1999).
Tuttavia il lettore comune, e purtroppo anche buona parte della critica, ritiene che si tratti di
ben poca cosa e che in fondo tutte le edizioni si equivalgano, oppure – nei casi in cui le
differenze siano macroscopiche – concepisce come “da leggere” una sola tra le versioni
approntate dall’autore.
Eppure i testi vivono di varianti, e non v’è autore interessato allo stile o al contenuto delle
proprie opere che, avendone la possibilità, non decida di almeno ritoccare i propri testi nel
corso del tempo.
Il caso di un autore come Umberto Eco – in parte descritto recentemente dallo stesso autore
sul quotidiano «Repubblica» in un’intervista o comunicato-stampa mascherato da intervista, e
nella Nota alla nuova edizione de Il nome della rosa (2012) – è interessante perché, in quanto
scrittore di successo mondiale, le sue opere vengono tradotte in tempi molto brevi (ma così
non fu per il suo primo romanzo) in tutte le principali lingue e «non c’è lettore più severo e
pignolo di un traduttore, che deve soppesare parola per parola. E i vari traduttori si accorgono
che là c’è una contraddizione, che qui hai scritto nord invece di sud, che una frase si presta a
una duplice interpretazione perché magari manca una virgola, e così via.»
Il risultato è che in italiano il testo dei romanzi di Umberto Eco cambia leggermente da
un’edizione all’altra, mentre le traduzioni straniere riflettono stadi diversi dell’evoluzione del
testo. Nell’intervento si mostrerà un esempio dal capitolo 9. Parigi secondo due edizioni
italiane, e alcune traduzioni (ceco, polacco, inglese, francese, spagnolo, catalano, tedesco).
Camilla Erichsen Skalle, Vocalità e silenzio femminile: il mito di Eco nella letteratura
italiana
La presenza della figura mitologica di Narciso nella cultura occidentale è ben nota (Le Rouge
et le Noir di Stendhal, The Picture of Dorian Gray di Oscar Wilde, Metamorfosi di Narciso di
Salvador Dalí, come leitmotiv nella poesia di Valery e tanti altri), ma le rielaborazioni
artistiche che focalizzano l’attenzione sul motivo della ninfa Eco, condannata a ripetere le
parole altrui, sembra essere meno presente. Un’eccezione è il romanzo Con i miei mille occhi
(1997) di Paola Capriolo. Per l’XI Congresso degli Italianisti Scandinavi propongo un
intervento che indaga la lunga storia letteraria della figura mitologica di Eco concentrandomi
in particolar modo sulla rivisitazione contemporanea della Capriolo e mettendone in risalto la
tematizzazione della presenza e della soggettività della voce femminile.
Giovanni Fort, I resoconti di viaggio di Pietro Querini, Nicolò De Michiele e Cristofalo
Fioravante. Un singolare percorso geografico, linguistico e testuale: tra Italia e Scandinavia;
tra veneziano, toscano ed altre lingue; tra codices unici inediti, antiche edizioni rielaborate,
riedizioni, traduzioni, e adattamenti contemporanei.
Aprile 1431, la Querina salpa da Candia alla volta delle Fiandre. Non le raggiungerà mai: una
tempesta travolge la nave veneziana all’imbocco della Manica, cambiandone rotta e destini. I
pochi superstiti toccheranno terra, il 5 Gennaio dell’anno successivo, sull’isolotto di Sandøya,
nell’arcipelago delle Lofoten. Soccorsi dagli abitanti di Røst, i naufraghi trascorrono qui
alcuni mesi prima di cominciare il viaggio che li porterà a Trondheim, Vadstena, e infine
Londra, sulla via del ritorno a Venezia. In patria, il capitano Pietro Querini e i due ufficiali di
bordo Nicolò De Michiele e Cristofalo Fioravante lasciano narrazione scritta della loro
esperienza. Il resoconto di Querini, autografo, in veneziano del quattrocento, è conservato nel
Ms. Vat. Lat. 5256, fol. 42-55 presso la Biblioteca Apostolica Vaticana di Roma. De Michiele
e Fioravanti si affidano invece entrambi al letterato fiorentino Antonio di Corrado de Cardini:
il testo, redatto con maggiori influssi del toscano, è conservato presso la Biblioteca Nazionale
Marciana di Venezia, Ms. VII, 368 (7936). La testimonianza raccolta in questi due codices
unici, di cui manca ad oggi una edizione critica, ebbe però diffusione e fortuna soprattutto in
una rielaborazione successiva: Ramusio includerà infatti entrambi i resoconti nel quarto tomo
del secondo volume di Delle Navigationi et viaggi, dato alle stampe nel 1559. La versione
ramusiana cinquecentesca è nuova incarnazione dei testi originali, resi in toscano del tempo e
non di rado emendati e modificati con una certa libertà, secondo il modus operandi tipico
dell’umanista trevigiano. Principalmente in questa forma le vicende del naufragio della
Querina sono state a lungo tramandate, in Italia, e all’estero in traduzione. L’ultima edizione
in norvegese, del 2004, si basa ancora sulla fonte secondaria ramusiana. La prima edizione
italiana che propone un testo adattato basandosi sui manoscritti originali risale solo al 2007.
Questi resoconti di viaggio sono importanti fonti per la storia antica della Scandinavia,
nonché tasselli rilevanti per comprendere lo sviluppo di contatti che hanno lasciato un segno
ad oggi indelebile nella cultura del Veneto, e in quella norvegese. La loro storia testuale, tra
manoscritti, edizioni, traduzioni e rielaborazioni, si presenta a sua volta oltremodo
interessante: ben si può prestare a mirati studi volti a mappare le tappe di questo percorso,
colmandone eventuali lacune e offrendo riflessioni e supporti validi, sia per la ricerca che per
la didattica, in ambito linguistico-storico, dialettologico o filologico-letterario.
Enrico Garavelli, «Non c’è da fidarsi mai dei poeti». Una chiacchierata di Antonio
Fogazzaro con Lina Tomassetti
Nel gennaio del 1909, nella sua Vicenza, Antonio Fogazzaro rilasciava un’intervista alla
giornalista e scrittrice Lina Tomassetti (l’irrequieta figlia dello storico Giuseppe), più nota
con lo pseudonimo di Melitta. Il testo della conversazione veniva prontamente pubblicato sul
quinto fascicolo del settimanale «Rivista di Roma», diretto dallo storico Alberto Lumbroso.
Tre anni più tardi, scomparso nel frattempo lo scrittore, la Tomassetti includeva il pezzo in
una sua raccolta di scritti, Irritabile genus. Tipi e figure di letterati italiani (Roma 1912).
La ristampa in volume è caratterizzata da alcune interessanti varianti, linguistiche, stilistiche e
di contenuto; e comporta l’aggiunta di alcuni paragrafi. Il ritrovamento da parte di chi scrive
delle bozze dell’articolo apparso sulla «Rivista di Roma» in una biblioteca di provincia getta
nuova luce sul processo di riscrittura dell’inedito e del già edito. Tali bozze, spedite a
Lumbroso, presentano infatti sia le correzioni dell’intervistatrice che quelle, autografe,
dell’intervistato.
Il documento permette dunque di svolgere qualche considerazione sulle varianti di
responsabilità rispettivamente di Fogazzaro e di Melitta, anche in relazione alla tipologia tutto
sommato ambigua dello scritto, costellato di virgolettati, e di mettere meglio a fuoco il
processo di rielaborazione dell’articolo stesso, che coinvolge alcuni delicati giudizi su letterati
contemporanei come D’Annunzio e De Amicis.
Bibliografia minima
Lucia STRAPPINI, Fogazzaro, Antonio, in Dizionario biografico degli italiani, XLVIII, Roma,
Istituto dell’Enciclopedia italiana, 1997, pp. 420-428
Anna Lia BONELLA, Lumbroso, Alberto Emanuele, in Dizionario biografico degli italiani,
LXVI, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 2006, pp. 542-545
MELITTA [Lina Tomassetti], Irritabile genus. Tipi e figure di letterati italiani, Roma, «Rivista
di Roma» Editrice, 1912
Antonio FOGAZZARO, Lettere scelte, a cura di Tommaso Gallarati Scotti, Milano, Mondadori,
1940
Marco Gargiulo, Il plurilinguismo neorealista di Matteo Garrone
Rispetto al passato, il cinema italiano più recente è senza dubbio caratterizzato da una sempre
maggiore apertura nei confronti di varietà linguistiche e sociolinguistiche diverse e dei
dialetti. Uno spazio importante, infatti, è offerto oggi anche a varietà dialettali solitamente
poco frequenti sullo schermo e quelle varietà usate tradizionalmente con intenti espressivi o
farseschi, sono oggi usate anche in maniera nuova e inedita.
In questo contributo presenterò un’analisi della particolare caratteristica del cinema
plurilingue di Matteo Garrone, che evolve da un plurilinguismo spinto presente nei primi film,
Terra di mezzo (1996) e Ospiti (1998), fino ad un plurilinguismo tendente alla narratività,
come in Gomorra (2008) e Reality (2012), e alle nuove esperienze di The Tale of Tales
(2015).
Questi film rappresentano un esempio molto interessante per l’uso che il regista fa di un
nuovo realismo cinematografico capace di portare sullo schermo una commistione di lingue e
dialetti che rifugge dallo stereotipo e diventa consapevolmente concreto, anche in esperimenti
di dialettalità forse simbolista, come nel Primo Amore (2004).
Gabriele Iannàccaro, Come fare l’edizione di un atlante dei proverbi romanzi?
La comunicazione intende indagare i criteri da adottare per l’edizione di un atlante linguistico
paremiologico, in cui cioè si renda conto della distribuzione spaziale dei proverbi all’interno
del mondo italiano e romanzo. Esclusa l’ipotesi di una pura lista, ancorché geograficamente
ordinata, di proverbi, è necessario mettere a fuoco i parametri linguistici, etnologici e letterari
che possono guidare ad una classificazione coerente del materiale da editare. Saranno
analizzate diverse possibilità di sistematizzazione e diverse rappresentazioni geolinguistiche
dei proverbi, traendo gli esempi da materiali italiani e romanzi presenti nel grande database
del progetto PAREMIOROM all’Università di Barcellona.
Elizaveta Khachaturyan, Plurilinguismo nei testi
L’uso di lingue diverse nello stesso testo, ovvero la polifonia linguistica, costituisce un
argomento di grande attualità al confine tra varie discipline umanistiche. Nel mio studio verrà
analizzato un caso specifico che aiuterà a chiarire alcuni aspetti del problema.
L’oggetto dello studio sarà il libro di C. Ginzburg “Miti-emblemi-spie” e le traduzioni del
libro in francese, inglese e russo. Nel testo originale scritto in italiano, tante altre lingue sono
presenti: p.es. il latino, il greco, il volgare, l’inglese, il tedesco, il francese. Queste lingue
appaiono soprattutto nelle citazioni, nei titoli delle altre opere citate e nelle nozioni utilizzate.
Le inserzioni plurilingui sono a volte tradotte da C. Ginzburg, ma a volte sono lasciate nontradotte in lingua originale. È interessante che nelle tre traduzioni del libro di Ginzburg (che
analizzeremo), la polifonia linguistica non viene sempre conservata: alcune inserzioni (nontradotte nella versione italiana) vengono tradotte e diventano parte del testo monolingue, p.es.
le citazioni in volgare o in latino; alcune inserzioni invece rimangono non-tradotte come nel
testo originale. La scelta di ogni traduttore è individuale. La traduzione in inglese, per
esempio, contiene meno inserzioni in un’altra lingua. Mentre nella traduzione russa
l’inserzione in un’altra lingua è spesso accompagnata dalla traduzione in russo. Così le tre
traduzioni del libro di Ginzburg rappresentano tre soluzioni diverse al problema del
plurilinguismo nel testo. Non c’è dubbio che l’atteggiamento al plurilinguismo nel testo
dipende dal traduttore e cambia a seconda della lingua usata per la traduzione. Allo stesso
tempo non solo i fattori linguistici ma anche i fattori socio-culturali sono importanti per
questa scelta. Il nostro obiettivo sarà di analizzare il ruolo di questi fattori nelle tre traduzioni.
Iørn Korzen, Struttura testuale e interpretazione nella traduzione da una lingua scandinava
in italiano
Purtroppo nell’insegnamento dell’italiano nei paesi scandinavi vi è una forte tendenza a
focalizzare quasi unicamente il livello morfologico e sintattico e a trascurare invece la
strutturazione testuale; eppure proprio nella struttura testuale l’italiano si distingue
notevolmente dalle lingue scandinave. Le differenze maggiori riguardano:
• lunghezza e complessità delle frasi;
• il numero di proposizioni testualizzate nella stessa frase;
• lo stile nominale vs. verbale;
• il grado di deverbalizzazione delle singole proposizioni;
• il tipo e la forma delle anafore più frequenti.
Un testo italiano reso con la struttura testuale scandinava rischia di apparire rudimentale e
banale e, conseguentemente, di deludere le norme e aspettative di un parlante madrelingua
italiano (De Mauro 1970, Bazzanella 2005).
Il tipo testuale gioca un ruolo essenziale per la struttura testuale e influisce sulle differenze
menzionate (Skytte 2000, Korzen 2015), ma ceteris paribus le frasi italiane tendono ad essere
più lunghe di quelle scandinave e a contenere un numero superiore di proposizioni
testualizzate (Gylling 2013). Tipicamente prevale uno stile più nominale nella
testualizzazione italiana, il che incide sulla realizzazione testuale delle singole proposizioni.
Per esempio le proposizioni “satellite” (che descrivono fatti pragmaticamente e/o
narrativamente di sfondo) si realizzano spesso in forma deverbalizzata, cioè con verbo
implicito/nominalizzato o omesso. Invece la deverbalizzazione è generalmente molto più rara
nelle lingue scandinave, dove i verbi tendono a realizzarsi in forma esplicita (finita) senza
distinzione di carattere morfologico (Korzen 2009).
Tale differenza impone un’interpretazione del testo da parte del traduttore: l’interpretazione di
un contenuto nucleo (principale) vs. un contenuto satellite (di sfondo) è essenziale per la
“gerarchizzazione” tipica di un testo (tradotto in) italiano, gerarchizzazione realizzata per
esempio attraverso la deverbalizzazione o nell’uso delle diverse forme del passato. Si tratta di
un’analisi di tipo pragmatico che riguarda l’importanza della singola proposizione per la
storia narrata o, se testo non narrativo, per lo scopo del testo, e l’analisi implica l’inclusione
nella stessa “unità cognitiva” di più eventi o situazioni verbali rispetto a quello che avviene
nella testualizzazione, più lineare, scandinava.
Nel mio intervento citerò esempi italiani e danesi che illustrano le differenze menzionate,
esempi presi sia da testi fonte e le loro traduzioni, sia da testi paralleli, cioè testi autentici
prodotti indipendentemente nelle due lingue, ma in situazioni equivalenti e per target e con
contenuti equivalenti. Inoltre includerò esempi di come la differenza tra stile nominale e stile
verbale influisca sulla sintassi anaforica.
Bibliografia essenziale
Bazzanella, Carla (2005). Linguistica e pragmatica del linguaggio. Un’introduzione. RomaBari: Laterza.
De Mauro, Tullio (1970). Tra Thamus e Theuth. Note sulla norma parlata e scritta, formale e
informale nella produzione e realizzazione dei segni linguistici, Bollettino del Centro di studi
filologici e linguistic italiani 11: 167-179.
Gylling, Morten (2013), The Structure of Discourse. A Corpus-Based Cross-Linguistic Study,
Copenaghen: Copenhagen Business School (tesi di dottorato).
Korzen, Iørn (2009). Struttura testuale e anafora evolutiva: tipologia romanza e tipologia
germanica Korzen, Iørn & Lavinio, Cristina (ed.): Lingue, culture e testi istituzionali. Firenze:
Franco Cesati, 33-60.
Korzen, Iørn (2015). Dalla Costituzione al Mr. Bean: aspetti diafasici di alcuni tipi testuali
italiani e danesi. In Elena Pistolesi, Rosa Pugliese & Barbara Gili Fivela (a cura di). Parole,
gesti, interpretazioni. Studi linguistici per Carla Bazzanella. Roma: Aracne, 233-256.
Skytte, Gunver (2000). Tekstækvivalens i komparativt perspektiv. Skytte, Gunver & Iørn
Korzen. Italiensk-dansk sprogbrug i komparativt perspektiv. København: Samfundslitteratur,
51-58.
Sara Lindbladh, Un confronto tra i segnali discorsivi bene e be’ – valori semantici e funzioni
pragmatiche
Nella presente comunicazione saranno discusse due forme imparentate: la forma bene
nell’uso come segnale discorsivo, e la forma troncata be’, spesso definita come
un’interiezione (p. es. in Garzanti Linguistica), la quale può, ugualmente, funzionare come
segnale discorsivo. L’analisi è effettuata nelcampo dell’analisi conversazionale (p. es. Sacks
et al. 1974), la linguistica interazionale (p. es. Couper-Kuhlen & Selting 2001), le teorie sugli
atti linguistici (p. es. Searle 1969, Bach & Harnish1979) e la teoria della cortesia (p. es.
Brown & Levinson 1987), con l’obiettivo di stabilire ciò che contraddistingue i segnali
discorsivi per quanto riguarda i valori semantici e le funzioni pragmatiche.
Discuterò l’uso di bene e be’ in un particolare contesto, specificamente nell’uso come una
reazione al turno precedente. Il contesto conversazionale è essenziale per la stabilizzazione
dei significati e le funzioni dei segnali discorsivi; sia il turno al quale reagisce la forma, sia gli
enunciati che seguono. Bene costituisce spesso una reazione dopo turni con atti linguistici
constativi che contengono informazioni positive, come in 1):
1) B: ciao tutto bene?
A: tutto bene
B: bene senti non ti trattengo voglio sapere se Marina è in loco (LIP RB4)
Bene porta spesso un valore conclusivo; in esempio 1) ha la funzione di segnalare
che si chiude la parte introduttiva della telefonata, per poter passare all’introduzione
dell’obiettivo principale della telefonata. I turni constativi dopo i quali occorre be’ sono
spesso delle valutazioni o ipotesi, come in 2):
2) B: [...] poi poi ci sarà un problema anche di riadattamento anche da parte
degli
eh degli
A: certo
B: degli studenti non soltanto i professori anche per gli studenti
A: be’ certamente anche da parte degli studenti (LIP FA13)
Qui esprime ovvietà per il contenuto presentato nel turno precedente. Be’ può rispondere
anche a delle informazioni, però, in quel caso esprime che qualcosa nel turno precedente è
scorretto:
3) A: ho capito ah ah perché eh Daniele m’aveva detto che ritornavi stamattina ah va
be’
B: be’ no stamattina -po- si partiva e_ lì_ (LIP RB7)
Per quanto riguarda turni con direttivi, l’uso di bene è possibile dopo una richiesta o una
proposta, come in 4) dove esprime conferma:
4) B: un bacio grande grande e una buona giornata poi Tizia’ do un bacio a
Maria effe gi con mamma Carmela # a Maria i esse con tutta la famiglia
A: bene (NB6 12 A)
Be’, invece, è usato per rispondere a direttivi quando la risposta è dispreferita. In 5) è
pronunciato dopo una domanda:
5) A: come sta andando?
B: be’ senti lui ci ha il sei stiracchiato insomma stiracchiato il sei grosso
modo in tutto però hanno
Anche se non è definito come un segnale discorsivo in Garzanti Linguistica, sono descritti
degli usi che io considero tipici per i segnali discorsivi: “In espressioni esclamative può
esprimere entusiasmo, consenso (anche in senso ironico); si usa anche, senza un preciso
significato, per cominciare o troncare un discorso:
bene, bravo, bis!; «Ci sentiamo domani?» «Bene!»; ma bene, si è rotto tutto!; bene, adesso
vediamo la parte storica; bene, non parliamone più”. fatto un quadro mi hanno fatto un
quadro un po’ tragico insomma (LIP FB12)
Be’ indica che non è facile dare una risposta alla domanda fatta dal parlante A (come sta
andando?); ci vuole un resoconto più lungo per spiegare tutto.
Può anche essere il caso che il parlante introduca il turno con be’ perché ha qualcosa di
negativo da presentare, il che è espresso solo alla fine del turno (mi hanno fatto un quadro un
po’ tragico insomma).
Bibliografia
Bach, K., Harnish, R. M. (1979) Linguistic communication and speech acts
(a cura di). Cambridge: Cambridge University Press.
Brown, P., Levinson, S. C. (1987) Politeness: Some universals in language usage .
Cambridge: Cambridge University Press.
Couper-Kuhlen, E., Selting, M. (2001) Studies in Interactional Linguistics. Amsterdam: John
Benjamins
Sacks, H., Schegloff, E. A., Jefferson, G. (1974) ”A simplest systematics for the
organization of turn-taking for conversation”. Language, 50, 696-735.
Searle, J. (1969) Speech acts: An essay in the philosophy of language (cura di). Cambridge:
Cambridge University Press.
Dizionario: Garzanti Linguistica (http://www.garzantilinguistica.it)
Monica Miscali, Andare nel Nord. Una storia inedita della prima emigrazione italiana in
Norvegia (XIX- XX secolo)
Giacomo Giuseppe Mazza era nato nel 1844 in Italia ma viveva a Christiania dove lavorava
come “musicante”. Mazza non viveva da solo nella piccola capitale nordica, come lui aveva
deciso di trasferirsi anche Anatolio Cerubini di Bagni di Luca che lavorava come cuoco nella
trattoria Roma sempre di Christiania. Mazza e Cerubini non erano i soli ad aver deciso di
abbandonare quell´Italia da poco unita e come loro tanti altri italiani si erano trasferiti nel
Nord già nel XIX secolo.
La mia comunicazione intende presentare la storia dei primi italiani che emigrarono in
Norvegia dal XIX secolo fino agli inizi del XX secolo. Si tratta di una storia inedita in quanto
finora niente è stato scritto su questo argomento.
La Norvegia in qual periodo era un paese poverissimo e moltissimi i norvegesi che, costretti
dalla miseria, abbandonavano il proprio paese per trovare lavoro soprattutto negli Stati Uniti
d´America. Considerate le condizioni economiche della Norvegia quali ragioni spingevano gli
italiani a emigrare in questo lembo estremo di Europa? Che cosa cercavano e che lavori
svolgevano? Di che tipo di documenti avevano bisogno per trasferirsi al Nord? Si trattava di
un´emigrazione temporanea oppure permanente? Quanti decidevano pertanto di stabilirsi per
sempre in Norvegia e quanti fecero ritorno in Italia?
L´intento della mia comunicazione è dunque di poter rispondere a queste domande e di poter
ricostruire la storia dei primi italiani che si trasferirono per lavoro o per altre ragioni ancora da
scoprire in Norvegia. La metodologia impiegata sarà la ricostruzione micro-storica. I
documenti che intendo analizzare sono le fonti archiviste: censimenti della popolazione, libri
ecclesiastici e altri registri contenenti i nomi degli emigrati (Emigrantprotokoll,
Utvandrerliste, Passprotokoll).
Vera Nigrisoli Wärnhjelm, Edizioni e riedizioni: il primo manuale di italiano per stranieri in
Svezia
La prima grammatica d’italiano pubblicata in Svezia risale al 1667 ed è opera del toscano
Ambrosio Frediani allora "Maestro di lingua italiana" all'Università di Uppsala. Il manualetto,
Brevissima ma perfettissima instruzione gramaticale della lingua toscana in bocca romana,
consta di solo 64 pagine. Le succinte spiegazioni grammaticali fornite dall’autore sono redatte
in latino e nessuna traduzione è fornita in svedese. Nell’introduzione all'opera, scritta solo in
italiano, Frediani espone il proprio particolare metodo didattico grazie al quale i discenti
sarebbero in grado di parlare la nostra lingua nel giro di appena due o tre mesi. Nel 1660
l’autore aveva, in realtà, già stampato un’altra grammatichetta molto simile, Della lingua
toscana in bocca romana brevissima & accuratissima instrutione & eruditione, a Greifswald
in Pomerania, territorio allora appartenente alla Svezia e altro rinomato centro universitario.
Quest’opera, pur molto simile nella struttura alla successiva di Uppsala, si distingue, tuttavia,
per la traduzione a fronte in tedesco e per le parti di supporto (tavole riassuntive,
nomenclatura, proverbi).
Nel presente contributo si analizzerà il manuale di Uppsala evidenziandone le differenze con
l'edizione di Greifswald e si cercherà di contestualizzarlo attraverso il paragone con altri
manuali di lingua italiana per stranieri della stessa epoca.
Claudio Nobili, Repertori dei gesti italiani tra edito e inedito: proposta del Gestibolario
Il presente contributo si inserisce nel filone di ricerca della lessicografia applicata alla
gestualità italiana, ed è articolato in due parti.
Nella prima si intende descriverne lo stato dell’arte, ripercorrendo in diacronia una rassegna
dei repertori lessicografici dei gesti italiani, e proponendo una tabella riassuntiva strutturata
secondo i seguenti parametri di possibile variazione: obiettivo, oggetto, destinatario e criteri
di redazione. Nella seconda parte sono presentate innovazioni e linee metodologiche per la
redazione di un nuovo dizionario di gesti italiani, in costruzione e dunque inedito, che
chiamiamo Gestibolario, con la discussione di alcune entrate.
Il Gestibolario è concepito come repertorio di gesti codificati che accompagnano il parlato (e
perciò definiti da Poggi 2006 «coverbali» in base al parametro «relazione con altre
modalità»), a partire da autentiche situazioni di parlato in contesto politico-istituzionale, per
un futuro interprete italiano L1/LS.
Il lavoro muove dalle ipotesi seguenti: 1. come i gesti simbolici, che possono essere autonomi
rispetto al parlato, sostituendolo completamente, già repertoriati in letteratura (cfr. Munari
1963; Diadori 1990; Poggi 2006; Caon 2010), i gesti coverbali costituiscono un lessico, del
quale è possibile stilare un dizionario; 2. come per i gesti simbolici, il segnale dei gesti
coverbali può essere analizzato in base ai quattro parametri formazionali configurazione della
mano, orientamento del palmo e delle dita, luogo e movimento; 3. per ogni gesto è possibile
enucleare un significato letterale, astratto con valore generale determinato all’interno del
sistema, e un significato contestuale (o senso), ed è pertanto possibile fornirne la
corrispondente traduzione verbale in prospettiva intersemiotica; 4. il meccanismo di
costruzione da parte di un parlante del possibile significato contestuale di un gesto dal
significato letterale, qualora non coincidano, può essere classificato come meccanismo
retorico.
Il Gestibolario presenterebbe pertanto tre innovazioni rispetto a quanto finora offerto dalla
ricerca: a. una classificazione dei gesti coverbali italiani; b. una prospettiva attenta a problemi
d’interpretariato e traduzione; c. un tentativo di classificazione per meccanismi classificabili
come retorici operanti nella costruzione del significato contestuale; d. una rappresentazione di
ciascuna entrata mediante un fotogramma estratto da una reale situazione comunicativa.
La metodologia di realizzazione di un dizionario così immaginato richiede un lavoro
estensivo di raccolta delle entrate lessicali e un lavoro intensivo di analisi semantica di ogni
entrata.
Allo stadio attuale della ricerca, le quattro ipotesi di partenza sembrerebbero trovare riscontro
nei dati finora raccolti, e i criteri metodologici nella progressiva redazione del Gestibolario.
Riferimenti bibliografici:
Caon, F. 2010. Dizionario dei gesti degli italiani. Una prospettiva interculturale, Perugia,
Guerra.
Diadori, P. 1990. Senza parole. 100 gesti degli italiani, Roma, Bonacci.
Munari, B. 1963. Supplemento al dizionario italiano, Mantova, Corraini.
Poggi, I. 2006. Le parole del corpo. Introduzione alla comunicazione multimodale, Roma,
Carocci.
Ottaviani Gabriele, La continua riedizione di Fratelli d’Italia
Scrivere, riscrivere, emendare, ampliare, tornare sui propri passi, rivedere una volta, e poi
un’altra, e poi ancora, e ancora, e ancora le proprie decisioni, fino a quando non si è convinti,
ammesso che si riesca a esserlo, alla fine di questo lungo processo: per chiunque abbia
l’esigenza di imprimere su carta il proprio pensiero, il procedimento della revisione è uno
scoglio che non si può non affrontare. Inesorabile, si presenta sempre, come un varco
impervio, e non ci sono altre strade che consentano di passare oltre, aggirando l’ostacolo. Per
alcuni autori, poi, il fenomeno della riscrittura è una peculiarità poetica, che attiene
all’essenza stessa della propria opera (si pensi, tra gli altri, a Pontiggia), e nel Novecento
italiano l’esempio più fulgido di tutti in questo senso è con ogni probabilità Alberto Arbasino,
in particolare per quanto concerne il suo romanzo-saggio-manifesto, Fratelli d’Italia. Scritto
inizialmente nel 1963 e pubblicato da Feltrinelli, rivisto e riedito da Einaudi nel 1976 e in
seguito ancora rielaborato nel 1991 (la terza edizione, targata Adelphi, è del 1993), narra le
vicende estive in giro per l’Europa e l’Italia di Antonio e l’Elefante, due giovani omosessuali.
In realtà però questo è solo un pretesto, per raccontare un certo ambiente culturale italiano
negli anni Sessanta. Le varie revisioni presentano differenze sostanziali, al di là del mero
conteggio delle pagine, tematiche, poetiche, concettuali, esistenziali.
Giuseppe Persiani, Alle origini di un tema letterario siciliano: Pirandello e Rosso di San
Secondo
In un mio lavoro precedente e, successivamente, in una comunicazione al X Congresso degli
italianisti scandinavi ho cercato di dimostrare che è possibile individuare un tema letterario
siciliano che, a partire da una formulazione di Luigi Pirandello (nel discorso di Catania per
festeggiare gli ottant’anni di Verga, 1920), ripresa con variazioni da Tomasi di Lampedusa
nel Gattopardo, caratterizza tutta una serie di scrittori siciliani fino ai nostri giorni (da
Borgese, Vittorini, Freni, Consolo, Maraini fino a Riotta, Di Stefano, Grasso): storie di
personaggi che lasciano la Sicilia in età ancora giovane per realizzarsi “nel continente” e che
poi – non però in tutti i casi – vi fanno ritorno.
Nella comunicazione che intendo proporre, vorrei invece ritornare al punto di partenza. È
possibile infatti individuare precisi richiami tra la formulazione usata da Pirandello e le
recensioni da lui scritte per le prime opere narrative di Rosso di San Secondo (le novelle di
Ponentino, 1916, e il romanzo La fuga, 1917, opere entrambe influenzate dal soggiorno
giovanile di Rosso in Olanda). Gli epistolari pirandelliani pubblicati testimoniano del resto la
(pressoché) quotidiana consuetudine tra i due scrittori negli anni in questione. Che poi
Pirandello stesso sia stato “tra quelli che evadono” non è certo da mettere in dubbio, mentre
ciò – a parte pochi sporadici indizi – non sembra trovare espressione nella sua opera letteraria.
Una rilettura del libretto da lui scritto negli ultimi anni della sua vita per Malipiero (La favola
del figlio cambiato, che riprende la novella Il figlio cambiato, di parecchi anni prima)
permette però di trarre delle conclusioni diverse.
Bibliografia:
G. Persiani, La saettella del trapano: identità meridionale e percezione dello straniero nella
narrativa di Luigi Pirandello, in Pirandelliana, 4, 2010, pp. 35-50.
Gianmarco Pitzanti, Riviste mediche su carta e in rete, quanto in comune e quanto di diverso?
Secondo le ultime rilevazioni del Censis (2014) gli italiani utilizzano il web sempre più
spesso per informarsi su questioni legate alla salute e al benessere; allo stesso tempo “la rete”
risponde a questo bisogno con una varietà e un numero pressoché sconfinato di siti, rubriche,
blog che trattano ogni aspetto di questo tema. L’autodiagnosi e l’autocura sono pratiche che
solo pochi anni fa avrebbero destato perplessità in chiunque, ai nostri giorni si assiste sempre
più a questo fenomeno con esisti talvolta non proprio positivi. In questo panorama l’editoria
che si occupa di divulgazione medica, anche in seguito al processo di digitalizzazione che ha
interessato tutti o quasi gli ambiti della vita umana, si è trovata a dover adeguare il proprio
linguaggio specialistico ad una platea sempre più vasta e diversificata di lettori/acquirenti.
Questo studio prenderà in considerazione le affinità e le divergenze tra gli aspetti linguistici
peculiari del linguaggio della divulgazione medica confrontando una selezione di articoli
presenti nelle tradizionali riviste mediche su carta e quelle disponibili in rete. Attraverso
questa indagine sarà possibile avere un’idea di base delle strategie di divulgazione messe in
atto dagli estensori degli articoli nelle due diverse modalità.
Nello specifico saranno analizzati aspetti lessicali, come la presenza di lessico con elevati
gradi di specialismo, la scelta di un lessico medico “comune” o la presenza sempre più
evidente di anglismi (lingua di preferenza della letteratura scientifica mondiale). Dal punto di
vista morfosintattico si potrà apprezzare quanto le strategie di spersonalizzazione tipiche del
linguaggio scientifico stiano lasciando il passo alla presenza nel testo della personalità
dell’estensore. Qualche considerazione sarà dedicata alle strategie di persuasione sempre più
fini e centrate sull’utente della divulgazione medica contemporanea.
Bibliografia
GUALDO R., TELVE S., (2011), Linguaggi specialistici dell’italiano, Carocci, Roma.
INGROSSO M., (2001), (a cura di), Comunicare la salute. Scenari, tecniche, progetti per il
benessere e la qualità della vita, Franco Angeli, Milano.
Id., (2008), (a cura di), La salute comunicata. Ricerche e valutazioni nei media e nei servizi
sanitari, Franco Angeli, Milano.
MAROCCO A., (2004), La comunicazione scientifica nell’era digitale: inizio di una nuova
epoca?, in Annali dell’Istituto Superiore di Sanità, 40, 3, pp.353-6.
SERIANNI L., (2005), Un treno di sintomi: i medici e le parole; percorsi linguistici nel
passato e nel presente, Garzanti, Milano.
Anna Stella Poli, Luciano Erba, Dei cristalli naturali: fra macrotesto, completezza e volontà
autoriale
Lo scopo del mio intervento sarà discutere metodologicamente e problematicamente
l'operazione svolta sul quaderno di traduzioni erbiano Dei cristalli naturali, edito nel 1991 e
recentemente ristampato in versione ampiamente implementata.
La silloge originale comprende autori cronologicamente, geograficamente e stilisticamente
assai distanti: spaziando dal barocco tormentato di Sponde a quello prezioso di Saint-Amant,
al contenuto lirismo di Machado, alla malinconia di Rodenbach, giungendo al
contemporaneo, colto, controverso Thom Gunn attraverso grandi voci del Novecento francese
come Cendrars, Frénaud, Michaux e Ponge. Di ognuno sono stati trascelti solo pochi testi,
l'autoantologia è estremamente selecta e calibrata, un vero e proprio macrotesto poetico,
coeso e condensato.
Avendo ritrovato, nello studio del poeta, in via Giason del Maino, le bozze complete di Dei
cristalli naturali, (composte in larga parte da testi già editi in riviste, antologie o volumi,
sottoposti a minuzioso vaglio dal poeta che vi apporta varianti per lo più lessicali o fonetiche;
nonché da un nucleo di traduzioni da Rodenbach approntate per l'occasione, di cui è
conservato l'avantesto completo, di notevole complessità) vorrei poter curare un'edizione
critica che dia conto della composita e complessa vicenda genetica dei testi in questione.
Ma prima di ogni altra questione, sarà senz'altro necessario mettere a fuoco lo statuto della
seconda edizione del quaderno di traduzioni, I miei poeti tradotti: scegliendo se porre a testo
l'ultima volontà autoriale, seguendo dunque l'assetto del '91 e dando conto al limite in una
seconda fascia d'apparato evolutivo degli eventuali refusi corretti nell'edizione del 2014 o se
decidere di considerare l'edizione implementata, curata da Lucia Erba, Anna Longoni e
Franco Buffoni, come nuova vulgata che superi la precedente anche in casi filologicamente
complessi.
La riflessione dovrà a mio parere estendersi anche al mutato status della raccolta: se si può
pensare che la struttura dell'antologia del '91 rappresenti un vero e proprio macrotesto, le
annessioni del 2014, introducendo una serie di autori comunque scelti e tradotti dall'autore,
snaturano necessariamente l'organismo testuale determinatosi o ne segnalano semplicemente
un proficuo aggiornamento?
Annalia Proietti Ergun, Interferenza linguistica all’interfaccia sintassi-discorso: le traduzioni
letterarie dal turco in italiano
Cardinaletti (2004, 2005) ha evidenziato come nelle traduzioni letterarie dall’inglese
all’italiano, si verifichi una presenza preponderante del pronome pieno anche là dove il
soggetto nullo sarebbe stato una scelta più appropriata. Cardinaletti (2005) aggiunge che
nelle traduzioni italiane dal tedesco e dall’inglese il soggetto viene prodotto in posizione
preverbale anche là dove la posizione naturale sarebbe stata quella postverbale. Cardinaletti
(2005) si chiede se questo tipo di interferenza possa essere letto come attrito linguistico, un
fenomeno che normalmente si osserva negli emigranti, in cui il contatto continuo e protratto
con la lingua seconda induce un cambiamento nella lingua madre. A prescindere se questo
tipo di interferenza possa essere considerata o meno attrito, è interessante vedere come anche
nella traduzione scritta l’interfaccia tra sintassi e discorso risulti vulnerabile ai fenomeni di
interferenza interlinguistica. I ricercatori che si occupano di studiare l’interfaccia tra sintassi e
discorso si sono occupati soprattutto di fenomeni di transfer in quelle lingue dove vi era solo
una parziale sovrapposizione della sintassi, ipotizzando che il fenomeno del transfer avvenisse
unicamente in quegli aspetti della sintassi che erano perfettamente sovrapponibili (ad esempio
nel caso di bilingui italiano/inglese, le interferenze avvenivano solo nella produzione del
pronome pieno, mentre la produzione del pronome nullo rimaneva intatta (Döpke, 1998; Hulk
& Muller, 2000; Muller & Hulk 2001). Recenti studi (Sorace & Serratrice, 2009; Serratrice,
Sorace, Filiaci & Baldo, 2012) hanno dimostrato che vi sono fenomeni di transfer anche tra
lingue che sono sintatticamente simili, come nel caso dello spagnolo e dell’italiano, facendoci
capire che il fenomeno del transfer deve essere analizzato in maniera più accurata.
In questo studio si analizzano due opere tradotte dal turco in italiano: İnce Mehmet, Mehmet il
falco di Yaşar Kemal e Engereğin Gözündeki Kamaşma, l’Eunuco di Costantinopoli, di Zülfü
Livaneli, rispetto le caratteristiche del parametro del soggetto nullo (Chomsky
1979,1981,1982). Turco e italiano sono entrambe lingue a soggetto nullo ma rispondono a
restrizioni pragmatiche di diversa natura, innanzi tutto in turco il pronome pieno è
maggiormente utilizzato rispetto alle altre lingue pro drop (Enç, 1989), inoltre anche la
distribuzione del soggetto postverbale, caratteristica attribuita al parametro pro drop (Rizzi
1982, Jaeggli & Safir 1989), presenta alcune divergenze: in italiano, con i verbi inaccusativi,
la posizione preverbale è considerata quella neutra (Pinto, 1997), mentre in turco il soggetto
post verbale può essere utilizzato solo per dare informazioni che si presuppongono note
all’interlocutore (Ergüvanlı, 1984).
L’analisi di queste due opere dimostra come l’interfaccia fra discorso e sintassi sia vulnerabile
a fenomeni di interferenza simili a quelli già osservati nei soggetti sotto attrito e nei bilingui
precoci, in questo caso specifico però, l’interferenza non può essere attribuita a fenomeni di
predominanza della lingua seconda sulla lingua madre ma piuttosto al carico cognitivo
richiesto dall’elaborazione simultanea di due lingue.
Eva Rammairone, Il tema dell’ingratitudine nell’Umanesimo italiano attraverso l’inedito
Tratato contro a la ingratituidine di Vespasiano da Bisticci
Vespasiano da Bisticci è conosciuto al pubblico degli studiosi come “il principe de’ librai”
nella Firenze del Quattrocento, fucina dell’Umanesimo. Vespasiano riuscì a fare di una
semplice “officina” e rivendita di libri manoscritti un carrefour letterario da cui diffondere in
tutta Europa testi curati filologicamente e di alto livello estetico: egli imbastì, infatti, una fitta
trama di rapporti con i più grandi umanisti del tempo, da Leonardo Bruni a Giannozzo
Manetti, oltre che con prelati e ambasciatori stranieri, da Giano Pannonio a Giovanni Vitez,
da Andrea Holes a Jean Jouffroy. Nel 1469, con l’avvento della stampa a Firenze, i suoi affari
cominciarono a languire e prima di assistere al definitivo tramonto della sua attività decise di
ritirarsi nel locus amoenus dell’Antella, nelle campagne fiorentine. Qui trasferì le sue
memorie sulla carta, scrivendo sia le Vite degli uomini illustri che aveva conosciuto, ritratti
fedeli di personalità eccellenti del Quattrocento italiano ed europeo, sia opere meditative,
specchio della cultura e dei costumi del suo tempo.
Tra queste ultime ancora inedito è il Tratato contro a la ingratitudine, testo contenuto in un
codice miscellaneo conservato alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze e segnato
Magl.VIII, 1442.
Il testo, di cui sto allestendo un’edizione critica, si presenta come un excursus sul tema
dell’ingratitudine che si rifà alle trattazioni filosofiche e teologiche più note dell’antichità.
Sarà interessante elaborare un percorso tematico su questo argomento che riesca a collocare
l’opera di Vespasiano tra quelle che fecero dell’ingratitudine un vero e proprio genere
letterario. Gli esempi antichi sono numerosi: basti pensare al ternario di Antonio di Meglio, al
commento al Trionfo della Fama di Jacopo Bracciolini, all’epistola boccacciana a Pino de’
Rossi o a uno dei Capitoli machiavelliani dal titolo, Dell’ingratitudine, che ebbe come fonte
diretta non solo il trattato ma anche il Commentario alla vita di Giannozzo Manetti di
Vespasiano.
Viene spontaneo chiedersi perché Vespasiano abbia scelto questo tra i tanti peccati che
affliggevano il suo tempo. L’ingratitudine è infatti quella che ricevette il destinatario
dell’opera Luca degl’Albizi è paragonabile a quella che moltissimi uomini illustri del tempo
di Vespasiano, quelli che egli conobbe da vicino, che subirono l’estrema ingratitudine con la
condanna all’esilio. L’ingratitudine
aveva colpito il suo amico intimo Giannozzo Manetti, così come molti esponenti della
famiglia Strozzi e Pandolfini; dell’ingratitudine fu vittima anche Vespasiano stesso, che
probabilmente si aspettava qualche riconoscimento maggiore dopo una vita condotta
all’insegna dell’onesto servizio.
BIBLIOGRAFIA:
E. FRIZZI, Di Vespasiano da Bisticci e delle sue biografie, Pisa, 1880.
W. G. WATERS, E. WATERS, The Vespasiano memoirs: liver of illustrious men of the 15th
century by Vespasiano da Bisticci, New York, 1926.
V. DA BISTICCI, Vite di portoghesi illustri, a cura di H. T. COELHO-G. BATTELLI,
Firenze, 1934.
L. PONGRACZ, Vespasiano da Bisticci e i suoi clienti ungheresi, «Annuario dell’Accademia
d’Ungheria in Roma», Roma, 1939, pp. 229-247.
G. MERCATI, Una lettera di V. da Bisticci a Jean Jouffroi vescovo di Arras e la biblioteca
romana del Jouffroi, «Melanges dedies a la mémoire de Felix Grat I», Parigi, 1946, pp. 357366.
E. GARIN, La giovinezza di Donato Acciaiuoli, «Rinascimento», n. 1, 1950, pp. 43-73.
A. GRECO, L’Umanesimo volgare: (Vespasiano da Bisticci), anno accademico 1963-1964,
Roma, 1964.
A. DE LA MARE, Vespasiano da Bisticci, historian and bokseller, PhD Thesis London
University (Faculty of Arts), 1966.
G. M. CAGNI, Vespasiano da Bisticci e il suo epistolario, Roma, 1969.
V. DA BISTICCI, Le Vite, Edizione critica con introduzione e commento di A. GRECO,
Firenze, 1976.
N. MACHIAVELLI, Dell’ingratitudine, in Capitoli, Introd., Testo critico e Commentario a
cura di G. Inglese, Roma, Bulzoni, 1981, pp. 127-40.
A. DE LA MARE, New research on humanistic scribes in Florence, in Miniatura fiorentina
del Rinascimento 1440-1525: un primo censimento, a cura di A. GARZELLI, Firenze, 1985,
pp. 393-600.
A. DE LA MARE, Vespasiano da Bisticci e i copisti fiorentini di Federico, in Federico da
Montefeltro, lo stato, le arti, la cultura, a cura di G. CERBONI BAIARDI, G. CHITTOLINI,
P. FLORIANI, Roma, 1986, Vol. III, pp. 81-96.
M. MARTELLI, Il “ritratto” nelle “Vite” di Vespasiano da Bisticci, in Immaginare l’autore. Il
ritratto del letterato nella cultura umanistica, Convegno di studi, Firenze, 26-27 marzo 1998,
Firenze, 2000, pp. 199-206.
A. CORBO, Riflessioni sulle “Vite di uomini illustri del secolo XV” di Vespasiano da
Bisticci, «Lazio ieri e oggi. Rivista mensile di cultura, arte, turismo», XXXVIII, 2002, pp.
168-169.
L. BOSCHETTO, Una nuova lettera di Giannozzo Manetti a Vespasiano da Bisticci con
alcune considerazioni sul commercio librario tra Firenze e Napoli a metà Quattrocento,
«Medioevo e Rinascimento», Vol.15, 2004, pp. 175-207.
F. BAUSI, Machiavelli, Roma, Salerno edizioni, 2005.
Harald Roalkvam, Il codice di Perelà e l’ultimo rifacimento di Palazzeschi
Il Codice di Perelà: Romanzo futurista fu pubblicato nel 1911. In seguito Aldo Palazzeschi
avrebbe rivisto a più riprese quello che dalla critica è considerato il suo capolavoro narrativo.
Il quinto e ultimo rifacimento da parte dell’autore risale al 1958.
Rispetto alla princeps, molti passaggi furono sviluppati e ampliati nel corso degli anni. Oggi il
romanzo viene considerato il capolavoro narrativo di Palazzeschi, ma la critica sembra quasi
unanime nel preferirne la prima versione. I pochi studi che si sono occupati della quinta
edizione deplorano innanzitutto alcuni interventi dell’autore volti, a loro avviso, ad attenuare
la carica dissacrante e iconoclasta del romanzo futurista. Il giudizio di critici quali Baldacci e
Marchi sulle edizioni successive alla prima tende, infatti, a coincidere con il loro parere sulle
varie fasi della carriera di Palazzeschi, sicché alla valutazione negativa della terza fase
corrisponde la scarsa considerazione dell’ultima riscrittura del romanzo. I commenti riservati
alla versione del 1958 sono per lo più finalizzati a giustificare la decisione di occuparsi
esclusivamente della princeps. Nonostante la preferenza accordata all’opera originaria, la
versione che oggi viene proposta nell’edizione tascabile Mondadori e, quindi, quella destinata
ad una più ampia diffusione, è l’ultima licenziata dall’autore. Diversamente da ciò che
sostengono Marchi e Baldacci, le modifiche e le aggiunte della quinta tendono a far risaltare
gli aspetti grotteschi, carnevaleschi e parodistici presenti già nella princeps. Risulta più
articolato il tema centrale del romanzo, ossia quello dei preconcetti degli uomini, inclini a
proiettare sull’uomo di fumo le loro speranze politiche e metafisiche, nonché i loro concetti
religiosi; la vicenda di Perelà rappresenta parodisticamente la soggettività delle pretese di una
visione del mondo e dell’altro. Questo intervento si propone, appunto, di analizzare questi
aspetti, che costituiscono una vera tematica della conoscenza, così come vengono
rappresentati nell’ultima revisione che Palazzeschi diede al testo.
Marie-Louise Rodén, La mancata beatificazione di Roberto Bellarmino nel Seicento. Il Voto
Bellarmino del cardinale Decio Azzolino: manoscritti, edizioni, conseguenze
Il cardinale Decio Azzolino (1623-1689) di Fermo fu una figura di primo piano nella Curia
romana del 1600. Era il capo indiscusso dello Squadrone Volante, un’influente fazione
all'interno del Collegio dei Cardinali, nonché Segretario di Stato sotto Clemente IX. Azzolino
apparteneva ad un certo numero di congregazioni, tra le quali la Congregazione dei Riti che si
occupava delle cause di beatificazione e di santificazione.
Il gesuita Roberto Bellarmino (1542-1621) fu uno dei più noti teologi della tarda
Controriforma. Una causa per la sua beatificazione, promossa dal suo ordine religioso e dagli
abitanti della città di Capua, dove era stato arcivescovo, iniziò solo pochi anni dopo la sua
morte e fu discussa dalla Congregazione dei Riti tra il 1674 il 1677. Anche se la maggioranza
dei membri della Congregazione era a favore della beatificazione di Bellarmino, il cardinale
Azzolino presentò una dichiarazione molto critica ("Voto Bellarmino"), che fu letta nella
riunione del 26 set 1677. La posizione decisamente contraria di Azzolino portò Papa
Innocenzo XI ad interrompere il processo.
Bellarmino fu beatificato solo nel 1923, canonizzato nel 1930 e l’anno seguente nominato
"Dottore della Chiesa". Il testo di Azzolino, che è riuscì a bloccare il processo per diversi
secoli, è stato stampato nel Settecento quando papa Benedetto XIV riprese la causa di
beatificazione di Bellarmino. Anche in questa occasione la voce critica di Azzolino doveva
essere eliminata, e quindi il suo Voto a Bellarmino fu edito nel 1749 con i contro argomenti
del gesuita Luca Maria Gritta. In questa occasione nacquero anche i dubbi sull’autenticità del
testo di Azzolino.
Gritta aveva due principali obiezioni sul fatto che Azzolino ne fosse veramente l’autore. Il
manoscritto autografo non era più rintracciabile negli archivi o biblioteche vaticane.
L’autografo è stato successivamente ritrovato, dall'autore del presente contributo, nel Fondo
Azzolino dall’Archivio Nazionale Svedese di Stoccolma. Tuttavia, era soprattutto lo stile del
testo a preoccupare il suo avversario ed editore. La fine retorica, che a volte sfiorava la satira,
di Azzolino non corrispondeva ormai più agli ideali stilistici settecenteschi e portò Gritta alla
conclusione che l'autore non fosse l’eminente cardinale ma qualcun altro. La causa di
beatificazione di Bellarmino venne annullata anche quella volta e di nuovo nel 1827, per
essere finalmente realizzata, come detto, nel Novecento. La ricezione del testo di Azzolino
contro la beatificazione di Bellarmino mette in evidenza i cambiamenti di mentalità sia
teologici sia letterari nel contesto politico della Chiesa.
Bibliografia
Baumgarten, Paul Maria. Neue Kunde von Alten Bibeln. Vol. I, Rom: im Selbstverlage des
Verfassers 1922. Vol. II, Krumbach: Franz Aker Buchdruckerei 1927.
Bellarmino, Roberto. Opera Omnia. Vol. I-VII, Venezia: editori diversi 1599-1617.
Rodén, Marie-Louise. Church Politics in Seventeenth-Century Rome. Cardinal Decio
Azzolino, Queen Christina of Sweden and the Squadrone Volante. Stockholm: Almqvist &
Wiksell International 2000.
Rosa, Enrico, S. J. "Il Cardinale Domenico Passionei e la Causa di Beatificazione del Ven.
Cardinale Roberto Bellarmino". Civiltà Cattolica (1918): 1-69.
Salotti, Carlo. Per la Causa di Beatificazione del Ven. Roberto Bellarmino. Appunti
Documentati. Roma: Tipografia Pontificia nell'Istituto Pio IX, 1918.
Andrea Romanzi, Il linguaggio di Holden Caulfield: una (ri)traduzione per trasformare il
protagonista del Giovane Holden di Salinger
L’interesse di questo paper si incentra sull’individuazione dei metodi utilizzati da Matteo
Colombo nella sua operazione di (ri)traduzione del Catcher in the rye di J. D. Salinger a più di
cinquant’anni di distanza dalla prima ad opera di Adriana Motti (1961). Il confronto tra le due
traduzioni risulta interessante per quanto riguarda l’analisi delle differenze sostanziali nelle
scelte dei due traduttori e degli effetti che queste scelte sortiscono sull’opera in quanto totalità.
Inoltre, l'analisi si focalizza sulle soluzioni individuate e sul confronto tra due sistemi
linguistici così differenti, soprattutto per quanto riguarda le forme del parlato colloquiale,
valutando se le scelte si dirigano in una direzione etnocentrica o etnodeviante, e se si creino
quegli elementi di fedeltà abusiva che derivano dalla volontà di riprodurre le peculiarità
linguistiche del source text nel target text.
La scelta di ritradurre un’opera letteraria si basa sempre su motivazioni e obiettivi ben precisi:
in questo caso, era necessario restituire a Holden un linguaggio colloquiale e giovanile che
fosse però scevro da giovanilismi e trendismi di breve durata. Il confronto tra i due testi
d’arrivo mostra come le diverse scelte traduttive – persino quelle lievi e quasi impercettibili –
sul piano linguistico del protagonista, concorrano a modificare il romanzo sul piano stilistico,
agendo fortemente sulla caratterizzazione dell’iconico protagonista dell’opera di Salinger,
chiave di volta nella fortuna del romanzo.
Stefano Rosatti, Il frammentismo di Clemente Rebora
Nel 1914 esce, per le edizioni della «Voce», Frammenti lirici, opera di esordio di Clemente
Rebora. Il titolo dell’opera, apparentemente, viene scelto da Rebora in ossequio alle
caratteristiche della nuova poetica, specie quella vociana, che fa delle soluzioni
espressionistiche di grande forza, della rilevanza data ai processi simbolici e analogici, della
fusione tra poesia e prosa e, appunto, del frammentismo, le proprie caratteristiche principali.
Poco prima della pubblicazione, però, in una lettera a Prezzolini, Rebora, si preoccupa che i
suoi versi vengano pubblicati integralmente, senza tagli, dato che, scrive il poeta, “la verità di
essi non è nel singolo ma nel tutto”. Dopo un lungo silenzio, precedente e seguente la
conversione religiosa del poeta milanese, è Contini a “riscoprirlo”, ma per decretarne, tutto
sommato, i limiti proprio nella sua incapacità di ridurre il frammentismo della sua opera
prima a specifico oggetto poetico; più tardi, Guglielminetti, al contrario, individuerà nei
Frammenti lirici specificazioni e motivi che addirittura farebbero dell’opera un vero e proprio
“canzoniere”. Queste posizioni critiche quasi contrapposte inducono a riflettere sul significato
che, in Rebora, la categoria di frammento letterario assume. Il mio intervento si propone di
mostrare come, in questo poeta, il frammentismo assuma un significato nuovo e prettamente
“moderno”, di disunita unitarietà, per così dire, in cui ciò che viene rifiutato è proprio la
rappresentazione di causa-effetto dei fenomeni (siano essi naturali o interiori), così come
l’oggettivazione dei temi. In questo, e senza voler toccare in alcun modo questioni di valore o
di primato estetico, i Frammenti lirici mostrano sorprendenti somiglianze con Le Occasioni,
opera di molto posteriore e che a suo tempo consacrò in maniera definitiva Montale tra i
nostri poeti della “modernità”.
Entela Tabaku Sörman, Forestierismi, anyone? Ancora sull’italiano dei manuali lingua
straniera
Che tipo di italiano LS viene insegnato oggi? Dopo aver studiato alcuni tratti morfosintattici
tipici del neostandard, in manuali LS pubblicati nei paesi nordici, mi sto concentrando sullo
studio del lessico di questi manuali, partendo dall’uso di forestierismi, regionalismi,
neoformazioni e di alcune locuzioni espressive prima considerate substandard.
In questa sede presenterò i risultati delle occorrenze di forestierismi nell’input di 30 manuali
nordici pubblicati tra il 2000 e il 2015. Inoltre discuterò i fattori sociolinguistici e didattici che
condizionano queste occorrenze.
Bibliografia
Corda, A. & Marello, C. 2004. Lessico. Insegnarlo e impararlo. Perugia, Guerra Edizioni.
De Mauro, T. 2005. La fabbrica delle Parole. Il lessico e problemi di lessicologia. Torino:
UTET Libreria.
Tabaku Sörman, E. 2014. “Che italiano fa” oggi nei manuali di italiano lingua straniera?:
tratti del neostandard in un corpus di manuali svedesi e italiani. Stockholm: Department of
Romance Studies and Classics, Stockholm University.
Igor Tchehoff, La trasposizione intersemiotica triangolare: la vita di Caravaggio a fumetti
Gli ultimi quindici anni hanno visto numerose riscritture della biografia di Michelangelo
Merisi da Caravaggio, sia in forma romanzesca che cinematografica. Nel 2015 la vita
affascinante del pittore italiano è stata oggetto di un altro tipo di trasposizione intermediatica
e questa volta egli diventa protagonista di un fumetto di Milo Manara, Caravaggio. La
tavolozza e la spada. Come ha notato Claudio Strinati, si tratta di una storia raccontata “con
grande rispetto della testimonianza delle fonti e della verità sostanziale di quella vicenda”. I
fatti della vita del pittore sono ben noti dalle prime biografie seicentesche (Vite di
Caravaggio) e sono stati completati dagli storici d’arte degli ultimi cento anni. Inoltre,
Manara inserisce numerose citazioni dei quadri del grande pittore lombardo. L’intervento
esamina la traduzione intersemiotica triangolare (pittura, testo, fumetto) della vita di
Caravaggio, con particolare attenzione alle strategie narrative dell’autore, citazioni pittoriche
e il paratesto.
Bibliografia
Manara, M. (2015), Caravaggio. La tavolozza e la spada, Panini Comics, Modena.
Marini M. (1989), Caravaggio. Michelangelo Merisi da Caravaggio
praestantissimus», Newton Compton, Roma.
«pictor
Strinati, C. (2015). “Introduzione”. In Manara (2015).
Valdinoci, F., a cura di (2010), Vite di Caravaggio, Casadeilibri, Bologna.
Erika Wolf, Bambinate avanguardistiche. La tecnologia vista dai bambini nella parabola
artistica di Leonardo Sinisgalli.
L’avventura al timone della rivista interdisciplinare “Civiltà delle macchine” (1953-58) è un
momento decisivo nella carriera di Leonardo Sinisgalli, contrassegnato da un assiduo
confronto con artisti, filosofi, scienziati e tecnici su temi di comune interesse, quali il
rinnovamento estetico e la portata civilizzatrice della nuova “era meccanica”. Nella traiettoria
intellettuale del poeta lucano un ruolo non secondario è giocato dalla concomitante
familiarità, a partire dagli anni Cinquanta, con i laboratori tipografici e artistico-artigianali che
si stavano sperimentando in alcune classi elementari del Centro Italia. Dalla frequentazione
tra la redazione dell’ house organ e il mondo della scuola nasceva un sodalizio che portò
presto alla pubblicazione, sulle pagine del bimestrale, di reportage sulle visite guidate degli
alunni agli stabilimenti industriali, dove alla voce dei maestri si affiancavano le illustrazioni
di macchinari e operai eseguite dai bambini. La collaborazione fra l’ambiente della
produzione e dell’innovazione tecnologica e quello scolastico si affrancò poi dalla circostanza
editoriale originaria per acquisire vita autonoma in edizioni illustrate a tiratura limitata e
sfociò, negli anni Sessanta, in una singolare iniziativa dagli echi internazionali, sponsorizzata
da Alitalia e patrocinata ancora da Sinisgalli, in cui il disegno infantile, accompagnato da
slogan, diventava manifesto pubblicitario.
Il mio intervento intende sondare queste storie editoriali finora trascurate in sede critica e
ripercorse unicamente da uno degli insegnanti protagonisti, per restituire loro la centralità di
ri-edizione ludica o variante straniata di altre pratiche testuali. Tra queste, i resoconti dalla
fabbrica redatti da poeti e artisti che “Civiltà delle macchine” ospitava in quegli stessi numeri,
e le raccolte miste di poesie e disegni in edizioni di pregio, consuetudine assai diffusa al
tempo e praticata da Sinisgalli stesso – testi in rapporto ai quali la fantasia degli scolari
rappresenta, come si accennava, un complemento e un contrappunto ironico.
Un posto essenziale nel mio esame congiunto di parola e immagine sarà occupato dalla
portata teorica di tali iniziative e dal significato che esse assumono nella poetica di Sinisgalli.
Illustrerò le implicazioni connesse al dar spazio allo sguardo infantile su macchinari e
invenzioni meccaniche servendomi del concetto di gioco, declinato in particolare in senso
epistemologico e inteso come attività affine al fare artistico. Attraverso l’indagine sugli
aspetti della macchina che risultano inquadrati con più vividezza dagli occhi fanciulleschi,
discuterò di come l’ottica inconsueta prescelta ci riveli nuovi lati della visione sinisgalliana
della tecnologia, dell’arte e della scrittura, e chiarirò il senso che qui assume l’affinità tra la
sensibilità del bambino e quella dell’artista.
Claudia Zavaglini, Michelstaedter 1912-2015: storia di un autore postumo attraverso un
secolo di edizioni, riedizioni e traduzioni
Questo intervento intende ricostruire la storia editoriale di Michelstaedter attraverso alcune
considerazioni sulle edizioni, riedizioni e traduzioni dei suoi scritti. Michelstaedter, non
avendo pubblicato pressoché nulla in vita, è un autore completamente postumo. Dalle prime
edizioni del Dialogo della salute, delle poesie e de La persuasione e la rettorica curate
dall’amico Vladimiro Arangio Ruiz, passando per l’edizione de La persuasione e la rettorica
curata dal cugino Emilio Michelstaedter, fino all’edizione Chiavacci e alle più recenti edizioni
curate da Campailla, la storia editoriale di Michelstaedter ha conosciuto tappe diverse senza
essere giunta ancora a un’edizione critica complessiva degli scritti. Partendo dalle vicende
editoriali, questo intervento intende ripercorrere la storia e la fortuna di Michelstaedter e
avanzare alcune proposte editoriali per l’immediato futuro. A tutt’oggi, infatti, esistono degli
scritti di Michelstaedter diverse edizioni: alle più note e popolari edizioni Adelphi, si sono
affiancati e si affiancano spesso altri tentativi di edizione, talvolta con il fine di restituire quel
che di Michelstaedter rimaneva o rimane inedito o difficilmente reperibile (uno dei più noti e
importanti lavori in questo senso è ad esempio l’edizione curata da Michelis: C.
Michelstaedter, Sfugge la vita: taccuini e appunti, Aragno, Torino 2004) e tuttavia non è stato
ancora avviato con la dovuta serietà un lavoro per un’edizione critica uniforme e completa di
tutti gli scritti, operazione lunga e complessa che rimane tutta da fare.
BIBLIOGRAFIA
CARLO MICHELSTAEDTER, Dialogo della salute. Poesie, a cura di Vladimiro Arangio Ruiz,
Formiggini, Genova 1912
CARLO MICHELSTAEDTER, La persuasione e la rettorica, a cura di Vladimiro Arangio Ruiz,
Formiggini, Genova 1913
CARLO MICHELSTAEDTER, La persuasione e la rettorica. Con appendici critiche, a cura di
Emilio Michelstaedter, Vallecchi, Firenze 1922
CARLO MICHELSTAEDTER, Poesie [1910], a cura di Vladimiro Arangio Ruiz, Garzanti,
Milano 1948
CARLO MICHELSTAEDTER, Opere, a cura di Gaetano Chiavacci, Sansoni, Firenze 1958
CARLO MICHELSTAEDTER, La persuasione e la rettorica [con appendici critiche], a cura di
Maria Adelaide Raschini, Marzorati, Milano 1972
CARLO MICHELSTAEDTER, Poesie. Con disegni inediti, a cura di Sergio Campailla, Pàtron,
Bologna 1974
CARLO MICHELSTAEDTER, Opera grafica e pittorica, a cura di Sergio Campailla, Istituto per
gli Incontri Culturali Mitteleuropei, Gorizia 1975
CARLO MICHELSTAEDTER, Scritti scolastici, a cura di Sergio Campailla, Istituto per gli
Incontri Culturali Mitteleuropei, Gorizia 1976
CARLO MICHELSTAEDTER, La persuasione e la rettorica, a cura di Sergio Campailla, Adelphi,
Milano - Istituto per gli Incontri Culturali Mitteleuropei, Gorizia 1982
CARLO MICHELSTAEDTER, Epistolario, a cura di Sergio Campailla, Adelphi, Milano - Istituto
per gli Incontri Culturali Mitteleuropei, Gorizia 1983; 2a ed. riveduta e ampliata Adelphi,
Milano 2010
CARLO MICHELSTAEDTER, Poesie, a cura di Sergio Campailla, Adelphi, Milano - Istituto per
gli Incontri Culturali Mitteleuropei, Gorizia 1987
CARLO MICHELSTAEDTER, Il dialogo della salute, a cura di Gian Andrea Franchi, Agalev,
Bologna 1988
CARLO MICHELSTAEDTER, Il dialogo della salute e altri dialoghi, a cura di Sergio Campailla,
Adelphi, Milano - Istituto per gli Incontri Culturali Mitteleuropei, Gorizia 1988
CARLO MICHELSTAEDTER, Album G, Edizioni della Laguna, Monfalcone 1992
L'immagine irraggiungibile. Dipinti e disegni di Carlo Michelstaedter, a cura di Antonella
Gallarotti, Edizioni della Laguna, Monfalcone 1992
CARLO MICHELSTAEDTER, La persuasione e la rettorica. Appendici critiche, a cura di Sergio
Campailla, Adelphi, Milano - Istituto per gli Incontri Culturali Mitteleuropei, Gorizia 1995
CARLO MICHELSTAEDTER, Il prediletto punto d'appoggio della dialettica socratica e altri
scritti, a cura di Gian Andrea Franchi, Mimesis, Milano 2000
CARLO MICHELSTAEDTER, Parmenide ed Eraclito. Empedocle. Appunti di filosofia, a cura di
A. Cariolato e E. Fongaro, SE, Milano 2003
CARLO MICHELSTAEDTER, Sfugge la vita. Taccuini e appunti, a cura di Angela Michelis,
Aragno, Torino 2004
CARLO MICHELSTAEDTER, L'anima ignuda nell'isola dei beati. Scritti su Platone, a cura di
David Micheletti, Diabasis, Reggio Emilia 2005
CARLO MICHELSTAEDTER, La melodia del giovane divino. Pensieri - racconti - critiche, a cura
di Sergio Campailla, Adelphi, Milano 2010
CARLO MICHELSTAEDTER, Dialogo della salute e altri scritti sul senso dell'esistenza, a cura di
Giorgio Brianese. Milano-Udine, Mimesis, 2010
Carlo Michelstaedter: far di se stesso fiamma, a cura di Sergio Campailla, Marsilio, Venezia
2010
CARLO MICHELSTAEDTER, La persuasione e la rettorica, edizione critica a cura di Andrea
Comincini, Joker, Novi Ligure 2015
[Le traduzioni non sono state inserite in questa bibliografia – l’autrice sta ultimando la
rassegna delle diverse edizioni in altri paesi.]
Walter Zidaric, Dalla novella Lontano di Luigi Pirandello all’inedito libretto d'opera Lars
Cleen (Lo straniero)
La presente comunicazione si propone di presentare il libretto d’opera Lars Cleen (Lo
straniero), allo stato attuale inedito, tratto dalla novella Lontano di Luigi Pirandello, di cui chi
scrive è ideatore e librettista per la musica di Paolo Rosato.
L'opera è stata rappresentata lo scorso 2 e 3 ottobre al Teatro Metropolia di Helsinki. Nella
novella di Pirandello appare una nave scandinava che arriva in Sicilia, con marinai norvegesi.
Per ragioni che si intendono spiegare nel contributo, all’interno dell’opera i norvegesi sono
stati trasformati in finlandesi, e sono state introdotte delle arie in finnico. Parte
dell’ambientazione scandinava potrebbe pertanto essere d’interesse all’interno di un convegno
organizzato da italianisti scandinavi.
Per concludere: il contributo si focalizzerà sulle trasformazioni nel passaggio dalla novella al
libretto, sulla scelta di Pirandello, poco frequentato dal mondo dell’opera, sull’attualità
dell’argomento, sulla necessità di continuare a far vivere l’opera italiana contemporanea.
Silvia Zoppi Garampi, Sul carteggio inedito Carlo Betocchi - Leone Piccioni (1949-1981)
La comunicazione delinea, conclusa la trascrizione delle lettere inedite tra Carlo Betocchi e
Leone Piccioni, i nuclei tematici che attraversano il corposo carteggio, la fisionomia dei due
corrispondenti, alcuni aspetti dei dibattiti letterari dell’Italia repubblicana.
Le lettere di Carlo Betocchi sono custodite nell’archivio privato di Leone Piccioni.
Le lettere di Leone Piccioni fanno parte del Fondo Betocchi del Gabinetto G. P. Vieusseux di
Firenze.