12-22 - La Gazzetta del Medio Campidano

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12-22 - La Gazzetta del Medio Campidano
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1 aprile 2015
SAN GAVINO MONREALE
Un segnale di speranza:
nuove assunzioni alla fonderia
Nuovi posti di lavoro alla fonderia, che fa capo alla Portovesme Srl di proprietà della multinazionale svizzera Glencore.
Segnali di speranza in un territorio dove è rimasto solo lo
stabilimento sangavinese in mezzo ad un cimitero di fabbriche. Le assunzioni sono state fatte tramite ditte esterne come
ricorda il sangavinese Alessio Frau, 35 anni, che in fonderia
lavora da quando aveva 21 anni ed è iscritto alla Cgil: «Tre
lavoratori sono di San Gavino e due di Villacidro. L’età media
di circa 24 anni è molto bassa ed è un segnale molto positivo
dal momento che la Portovesme Srl ha chiesto un incremento
nella produzione dei metalli preziosi (oro e argento) che vengono raffinati nell’impianto di San Gavino».
BUSTE PAGA PESANTI Così la fonderia, che il 10 giugno
compirà 83 anni di attività, si dimostra in grande salute e tra
diretti e indiretti garantisce 110 posti di lavoro a cui se ne
aggiungono almeno altri 30 dell’indotto.
ORO E ARGENTO Come produzione si parte dai dati dello
scorso anno: 55mila tonnellate di piombo suddivise in lingotti
da 40 chilogrammi da cui sono stati raffinati 850 chilogrammi
d’oro e 150 tonnellate d’argento, metalli preziosi che costituiscono il business della fonderia e che vengono venduti anche su mercati internazionali. Per il 2015 non ci sono ancora
dati ufficiali ma l’azienda punta ad ampliare ancora di più la
produzione. «Oggi - aggiunge Alessio Frau, che è diventato
PABILLONIS. LA
capoturno - la fonderia è diventata una raffineria di metalli e
non abbiamo nessuna fusione perché il metallo arriva già raffinato dall’impianto di Portovesme. Oggi non esiste più l’inquinamento di un tempo perché le emissioni sono totalmente
cambiate. L’azienda è sottoposta a controlli quotidiani, settimanali e mensili da parte di diversi enti come l’Arpas, la Asl ed
altre autorità competenti. Anche noi come lavoratori siamo
sottoposti a controlli quotidiani».
I SINDACATI La notizia delle assunzioni viene salutata positivamente da tutti ed in particolare dalle Rsu della fabbrica
Roberto Basciu (Cgil), Carlo Ambus (Uil) e Antonello Corona
(Cisl) anche se non manca qualche perplessità: «Ci sono state
anche altre assunzioni nel recente passato - sottolinea quest’ultimo - e avevamo chiesto un occhio di riguardo per San
Gavino, ma prima di queste assunzioni sono arrivati lavoratori
provenienti da altri territori come il Sulcis e il Cagliaritano.
Avremmo preferito l’assunzione di maestranze del posto senza avere niente di personale nei confronti dei lavoratori che
sono entrati in fabbrica».
LAVORO STABILE In ogni caso i nuovi posti di lavoro riescono ad essere un freno all’emigrazione: «Vedo entusiasmo
- conclude Alessio Frau - da parte dei giovani assunti, che
hanno anche una opportunità di lavoro ed una prospettiva
per la vita futura e iniziano a fare dei progetti (dalla macchina
CRISI DELL’EDILIZIA FA NUOVE VITTIME
ad andare a cena fuori con gli amici, poi la casa). In questo
modo non c’è precarietà nella vita sociale e viene data la possibilità di pensare al futuro».
FONDERIA APERTA Inoltre negli ultimi anni la fonderia si è
aperta al territorio con manifestazioni come “Monumenti aperti” che ha avuto più di un migliaio di visite con ingressi di
associazioni culturali con in corso la produzione e le colate di
metalli. C’è la massima trasparenza nei confronti della cittadinanza.
Gian Luigi Pittau
SAN GAVINO. APRE BRICH HAIR STYLIST
Disoccupato, raccoglie asparagi per sbarcare il lunario
Cinquant’anni,disoccupato e con una famiglia da mantenere.
“Una famiglia tipo”, in questo periodo di crisi, dove la caratteristica è la mancanza del lavoro, che, purtroppo, rappresenta una triste realtà non solo in paese, ma in tante comunità
della nostra Isola. Giancarlo Podda, lavoratore nel settore edile, con la chiusura dei cantieri ha perso il lavoro e non riesce a
trovare un’altra occupazione. Come lui sono in tanti in paese
che non riescono a sbarcare il lunario e portare a casa uno
stipendio per sfamare la famiglia e far fronte alle esigenze minime quotidiane. Ogni giorno diventa sempre più consistente
la fila di coloro che si recano negli uffici sociali del comune per
avere un piccolo contributo economico. Molti si recano anche alla Caritas parrocchiale per avere un pacco provviste e
tirare avanti. Giancarlo non arriva a tanto, forse la dignità o un
particolare senso di pudore non gli permettono di fare questi
passi. «Mi sento ancora forte e sono pronto a fare qualsiasi
lavoro: purtroppo non c’è niente», spiega il muratore. Che
fare dunque? Di carattere gioviale, ma franco, non gli manca
certamente lo spirito organizzativo e l’arte di arrangiarsi e così
si è inventato un nuovo modo di procurarsi un po’ di soldi.
«Vado a cercare asparagi e li rivendo: devo pur sempre dar da
mangiare alla famiglia», precisa in modo schietto e sicuro. Il
raccoglitore si alza di mattino presto e percorre le campagne
del paese alla ricerca dei prelibati asparagi. «In un giorno ne
raccolgo diversi chilogrammi e alla fine riesco a venderli tutti», dichiara ancora l’operaio. In questi giorni il campo d’azione si è allargato e si è spinto anche in territori più lontani: «Mi
reco nelle colline della Marmilla dove il prodotto è abbondante e di ottima qualità». Alla fine della giornata, tolte le spese
per la benzina,qualcosa riesce a portare a casa. Ma finita la
stagione degli asparagi quale altra attività escogiterà l’operaio disoccupato?
Dario Frau
L’intraprendenza di un giovane
contro la crisi
Il periodo che stiamo attraversando comporta non poche difficoltà, specie nel Medio Campidano che, come hanno rivelato gli ultimi dati Istat, risulta essere la provincia più povera
d’Italia. Nonostante ciò è ammirevole la forza di chi non si
arrende e cerca di andare avanti investendo su sé stesso e sul
territorio. È il caso di Fabrizio Pani, un giovane di 28 anni, che
ha deciso di aprire una nuova attività nel paese in cui è nato,
cresciuto e vive tuttora, San Gavino. Infatti a marzo Fabrizio
ha aperto il suo salone da parrucchiere, professione nella quale
si cimenta da non poco tempo, “Brich Hair Stylist” in Piazza
Cesare Battisti (Fronte vecchia stazione FS). “Mi son voluto
mettere in gioco - sostiene Fabrizio - anche se il periodo di
crisi è particolarmente grave. Bisogna provarci. San Gavino è
una piazza molto difficile. Io credo in questo paese e spero
che prima o poi si risollevi”. E allora c’è da fare un applauso al
coraggio e all’intraprendenza di un ragazzo che ha fatto una
scelta in controtendenza con la volontà di vincere quest’ardua scommessa con tanta passione, dedizione e sacrificio. A
Fabrizio, quindi, un grosso in bocca al lupo.
Lorenzo Argiolas
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SAN GAVINO MONREALE
La storia di Andrea Marrocu,
uno dei tanti lavoratori in mobilità
T
roppo giovane per andare in pensione, troppo “vecchio”
per poter lavorare. È la storia di Andrea Marrocu, comune
a tantissimi altri lavoratori del Medio Campidano e dell’intera
Sardegna. Il 47enne sangavinese, ex tecnico dell’Alcoa Trasformazioni, si trova in mobilità ordinaria e chiede di vedere
realizzato un diritto riconosciuto dalla costituzione della Repubblica Italiana: il lavoro.
LA STORIA «Sono in mobilità - racconta Andrea Marrocu da oltre un anno. Ho mandato oltre 200 curriculum, ma sono
stato chiamato solo per un colloquio di lavoro in Sardegna. In
Italia non esiste una politica che tuteli chi ha superato i 40
anni. Io, e come me tanti altri, siamo troppo “vecchi” per lavorare e troppo giovani per la pensione o “costiamo troppo”.
Per andare in pesione ci vogliono 44 anni di contributi, ne ho
24 e dovrei lavorare per altri 20: ma noi lavoratori con esperienza veniamo scartati a priori senza motivo, anche se un’impresa che assume chi è in mobilità avrebbe sgravi fiscali per 3
anni. Eppure se uno di noi dovesse costare anche duemila
euro riuscirebbe a far guadagnare molto di più ad un’azienda
rispetto ad una persona giovane che non ha una esperienza
SARDARA. UN
adeguata e che magari rischia di fare danni.
RICERCA DI LAVORO Ho mandato, come ho detto prima,
almeno duecento richieste sia in Italia che all’estero, ma ho
avuto solo pochissime risposte e un solo colloquio di lavoro
in Sardegna. La mia considerazione è che in Italia dovrebbe
cambiare la mentalità: purtroppo le aziende non valorizzano in
modo adeguato l’esperienza maturata».
IL DRAMMA DEI 40ENNI «Una persona che ha più di 40
anni in genere ha un mutuo da pagare, una famiglia da mantenere e tante altre spese. Per utilizzare un paragone potrei dire
che se c’è un fiume, e da una parte della riva ci sono i giovani
e dall’altra i pensionati, iIn mezzo ci siamo noi: se facciamo un
passo sbagliato rischiamo di annegare».
E a San Gavino, uno dei 28 centri della provincia più povera
d’Italia, la situazione è molto critica: «Sono iscritto all’ufficio
provinciale del lavoro che ha sede a San Gavino, ma non ho
mai ricevuto una chiamata - rimarca Marrocu - neanche per
pochi mesi: solo il deserto È una situazione scandalosa, peggio di me stanno i lavoratori con la mobilità in deroga che
ricevono i soldi una volta all’anno».
APPELLO ALLE ISTITUZIONI Andrea Marrocu ha le idee
chiare: «Chiediamo di spendere la nostra professionalità in
Sardegna: non vogliamo né l’elemosina, né l’assistenzialismo.
Il presidente della Regione, oltre a sviluppare le politiche di
lavoro per i giovani, deve intervenire per collocare le persone
che hanno maturato anni di esperienza con politiche
innovative. La Regione ha il dovere di ricollocare persone
come me che possono dare un valore aggiunto: vogliamo dare
il nostro contributo alla Sardegna in modo che possa
risollevarsi dalla crisi».
Gian Luigi Pittau
NUOVO MODO DI VALORIZZARE E PROMUOVERE L’ENTROTERRA
“Su Viaggiadori”: in viaggio alla riscoperta della Sardegna
H
a lasciato l’isola circa 15 anni fa per raggiungerne un’altra, l’Inghilterra. E quando tre anni fa Ambra Dessì è
tornata con una laurea in mano nel settore turistico, aveva già
in mente il progetto da realizzare nella sua terra d’origine. Far
conoscere a viaggiatori e corregionali la cultura sarda attraverso capacità di accoglienza e tour all’interno della Sardegna. È nata così l’agenzia viaggi di Sardara, di recente denominata “Su Viaggiadori”, che da tre anni si pone come obiettivo
la valorizzazione del territorio e la promozione dell’entroterra
sardo. Bellezze naturali, storia, archeologia, folklore ed enogastronomia degli antichi borghi.
Uno dei punti chiave perseguito dall’agenzia sardarese è
quello di offrire una serie di attività e di attrattive, non solo
durante il periodo estivo, ma anche e soprattutto durante le
altre stagioni dell’anno. Anziché focalizzarsi solo sulle bel-
lezze naturalistiche delle coste, propone ai viaggiatori un
approccio differente, la conoscenza delle realtà interne, e li
conduce in angoli dell’isola fuori dalle rotte abitualmente
percorse. La titolare Ambra ritiene, infatti, che qualsiasi tour
o gita turistica si organizzi non debba mai essere banale, ma
debba contenere sempre una parte conoscitiva di trasmissione della cultura e ricchezza sarda.
Suo padre Marino, che collabora con lei, racconta: «Ricordo
la struttura alberghiera di un paesino molisano di circa 400
abitanti, un “albergo diffuso” con animazione. Ogni giorno i
soggiornanti, dai balconi delle camere, potevano assistere
alle serenate di un’orchestrina, e questo stratagemma consentiva a questo minuscolo borgo di fare il doppio delle
presenze di un paese come Sardara. A volte basta una semplice idea per attirare i visitatori, come quella di presentare a
tavola specialità culinarie. Per esempio, “is macarronis cun
bannja de caboniscu” è un tipico piatto sardarese da far
degustare ai turisti perché ogni pietanza ha una sua storia e
chi mangia un prodotto tipico locale ne assapora la cultura».
Persegue anche un altro obiettivo l’agenzia viaggi di Sardara che ha un database con 156 circoli sardi in Italia e circa
trecento nel mondo: far conoscere la Sardegna alla seconda
e terza generazione di emigrati sardi cresciuti o nati fuori
dall’isola. «E talvolta anche a chi vi risiede da sempre, ma
non la conosce - sottolinea Ambra. - Per esempio, non tutti
sanno che, assieme all’Irlanda, la nostra isola è la terra più
antica d’Europa per i sistemi di vita, organizzativi e amministrativi del popolo sardo e di democrazia dalle origini nuragiche».
Marisa Putzolu
SARDARA
Al bar Carpe Diem si fa scuola d’arte
Periodicamente, a Sardara, il bar Carpe Diem di
Silvia Caddeo si trasforma in scuola d’arte aperta
a tutti, con corsi svolti da chef, sommelier, artisti
del latte, artigiani della birra e professionisti del
settore ristorazione, alla fine dei quali vengono
rilasciati attestati di partecipazione. Lo scorso 25
febbraio è stata la volta del degustatore cagliaritano Isidoro Sanna, dell’associazione Home
Brewers Sardi, che ha condotto otto ore di lezioni
teoriche e pratiche su come si prepara una birra
fatta in casa. Storia e stili di birra, metodi, attrezzature, igiene e tutti i processi per produrre birra
artigianale, dalle materie prime all’imbottigliamento. «Nella fase di ammostamento - spiega in sintesi Sanna - il malto macinato viene lasciato in
infusione con acqua per trasformare gli amidi in
zuccheri più semplici. Poi vi è la fase di filtrazione, il risciacquo delle trebbie e la bollitura del
mosto, al quale si aggiunge il luppolo ed eventuali spezie. Le trebbie esauste sono da buttare e,
dopo il raffreddamento nel fermentatore, viene
raccolto il mosto in un contenitore. Infine, rag-
giunti i 20 gradi, si inocula il lievito».
A gennaio invece il bar sardarese ha ospitato lo
chef Maurizio Frau di Gonnoscodina per il corso
d’intaglio di frutta e vegetali, mirato ad insegnare
tecniche di base e segreti delle sculture su frutta e
verdura, realizzate per guarnire e valorizzare un piatto, un bicchiere da cocktail o una tavola imbandita
di decorazioni ortofrutticole. E si sono tenuti già
cinque volte lezioni di Latte Art condotti dal professore fiorentino Gabriele Cortopassi e Giuseppe
Musiu di Ussana, per creare disegni su caffé macchiati e cappuccini.
L’iniziativa ha riscontrato notorietà fino a Palermo,
tanto che Giuseppe Mellina, noto come “Il Mago
del Cappuccino”, ha voluto dedicare a Silvia e al
suo bar una delle sue colazioni decorative. La titolare Silvia Caddeo fa sapere: «Ne faremo tanti altri,
anche per coinvolgere più cittadini del territorio.
Per il prossimo appuntamento, previsto di sabato,
e probabilmente per un corso base sui vini, sceglierò un posto che possa ospitare un numero maggiore di partecipanti». (m. p.)
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1 aprile 2015
Spiagge sarde scippate da un sito siciliano
Sindaci e Regione: “Siamo sdegnati, pronti a chiedere i danni”
di Paolo Salvatore Orrù
P
er promuovere le spiagge di Gela, Palermo e Ragusa un
importante sito di viaggi siciliano - la notizia è stata data
da tiscali.it e successivamente rilanciata da altri quotidiani sardi - ha utilizzato le foto delle spiagge sarde di Cala
Goloritzè, Is Arutas e Gabbiani. Immagini favolose, da sogno,
ma che di Sicilia non hanno alcunché. Di sicuro, i vacanzieri,
italiani o stranieri che si recheranno in quella regione non
troveranno nessun paradise lost, nessun eden, nessuna estasi
naturalistica, nulla di quanto sta ancora promettendo il dépliant
web di EsploraSicilia.com: davanti ai loro occhi si staglierà
solo un’umile patacca o una maldestra imitazione dell’originale, magari venduta a innocenti raggirati a prezzi esorbitanti.
Il sindaco di Baunei - “Non è la prima volta che sedicenti
imprenditori tentano di farsi pubblicità a nostre spese, ora
basta”, ha tuonato Salvatore Corrias, il sindaco del comune di
Baunei, il vero proprietario della caletta Cala Goloritzè e della
spiaggia dei Gabbiani. Per il primo cittadino, insomma, la misura è colma: “Non possiamo più accettare che qualcuno
pubblicizzi il suo territorio a nostro discapito, per avere qualche chance di vendere i loro immaginari pacchetti turistici”.
Lo sdegno del capo dell’esecutivo è comprensibile, perché
già altre volte, in questo caso alcuni siti stranieri, hanno tentato di raggirare i possibili clienti con offerte ingannevoli.
“Abbiamo segnalato alle autorità competenti anche alcuni
indirizzi web di Creta, Spagna e Cipro: del resto, è come se i
modenesi dovessero decidere di pubblicizzare la loro città
utilizzando come immagine simbolo la Certosa di Parma”, conclude il sindaco del paese ogliastrino.
GUSPINI.
La denuncia - Successivamente il sindaco via Facebook ha
fatto sapere urbi et orbi che a causa dell’utilizzo “improprio
delle immagini delle spiagge di Baunei, Cala Goloritzè spacciata per Caltanissetta e la Spiaggia dei Gabbiani per Ragusa,
l’Amministrazione ha deciso di conferire mandato legale ad
un avvocato di fiducia finalizzato a promuovere azione
stragiudiziale per comporre la vertenza ed eventuale azione
giudiziale a tutela dell’immagine dell’Ente e del territorio ritenuto leso dalle pubblicazioni apparse su EsploraSicilia.com”.
Il primo cittadino di Cabras - Anche Cabras è pronto a proteggere la sua preziosa immagine: il comune dell’oristanese è
salito di recente sulla ribalta delle cronache per il rinvenimento nelle sue campagne delle statue di Monte Prama, una scoperta che potrebbe rivoluzionare la storia del popolo sardo. E
guarda caso, la spiaggia di Is Arutas che tanto piace al sito
siciliano è a pochi passi da quegli scavi. “Non abbiamo alcuna intenzione di soprassedere: manderemo una lettera di diffida al proprietario dell’agenzia viaggi, pretendiamo scuse pubbliche. E se queste non arriveranno, do già per certa un’azione legale”, ha detto il sindaco di Cabras, Cristiano Carrus. Che
poi ha chiosato: “Non vorrei che un domani qualcuno decidesse di pubblicizzare come proprie le statue dei nostri Giganti”.
Regione in prima linea - Senza dubbio, nell’isola più grande
del Mediterraneo non mancano le spiagge splendide ma, evidentemente, non come quelle sarde. L’assessore regionale al
Turismo della Regione Sardegna, Francesco Morandi, è pronto a proteggere gli interessi dell’Isola. “Prima di tutto ci tute-
ORGANIZZATO DALL’ASSOCIAZIONE
leremo sotto il profilo legale, siamo di fronte a un inganno,
informeremo l’antitrust: queste iniziative rischiano di mettere
la Sardegna sotto una cattiva luce, facendole subire un danno
economico importante”. L’assessore ha, inoltre, fatto sapere
che la giunta regionale si occuperà della vicenda già dalla
prossima riunione: “Valuteremo la situazione, agiremo nelle
sedi più opportune”, ha garantito Morandi.
I riconoscimenti - La Sardegna può garantire buoni affari: è
una delle regioni più gettonate, con 5 spiagge vincitrici nella
classifica nazionale di Tripadvisor, che nel 2015 ha posto in
testa alla sua graduatoria La Pelosa a Stintino, Cala Mariolu a
Baunei, Porto Giunco a Villasimius, La Cinta a San Teodoro e
la spiaggia Capriccioli ad Arzachena. Senza contare i riconoscimenti di Legambiente e Touring Club Italiano: hanno sostenuto che le coste di Baunei, Ogliastra e Baronia rappresentano il miglior comprensorio d’Italia a livello turistico, premiando in modo particolare il comune di Baunei con le 5 vele.
Come si difende Esplorasicilia.com - E i proprietari del sito
cosa dicono? Per Giovanni Elio Desiderio, amministratore e
account manager di esplorasicilia.com non ci sono responsabilità da parte della società (“è in liquidazione”) che sinora ha
gestito il sito. E se ci sono, devono essere attribuite alla web
agency BT Studio di Roma. Che a loro volta, contattati telefonicamente, hanno asserito l’assolta estraneità ai fatti. Il solito
giochetto delle scatole cinesi. Comunque, chissà cosa direbbero i siciliani se qualcuno mettesse l’Etna al posto del
Gennargentu.
XCONOSCERE XFARE
Le donne in agricoltura
Complice ancora una volta il suggestivo scenario offerto dalle Case a Corte di via Caprera, l’associazione femminile di
volontariato “X Conoscere X Fare” ha tenuto un convegno
dal titolo “Ogni giorno 8 Marzo”, relativo al rapporto tra l’agricoltura e le donne, con particolare riferimento alla figura delle
imprenditrici sarde nel territorio del Medio Campidano. Patrocinata dal Comune e impreziosita dall’esposizione delle fotografie di Massimo Lucio Cara per la mostra “Volti di donna”, la
serata è stata presentata dal presidente dell’associazione di
volontariato Maria Francesca Mandis: «La lotta al femminicidio e il riconoscimento del valore della donna in ogni settore
della società sono due battaglie che devono necessariamente
coesistere. La sensibilità e il coraggio delle donne, che hanno
da sempre lavorato dietro le quinte, spesso all’ombra dei loro
mariti, merita di essere omaggiata e per questo oggi in aula ha affermato - si succederanno gli interventi di imprenditrici,
contadine, braccianti: donne che hanno fatto del proprio rapporto privilegiato con la natura non soltanto un business, ma
anche un modo di approcciarsi alla vita».
La prima parola è spettata ad Angelo Zanda di Laore, l’agenzia deputata all’assistenza e al supporto delle aziende agricole, che ha illustrato il ruolo dei 32 sportelli attraverso i quali
l’ente opera sul territorio e gli incentivi disponibili per cercare
di favorire agricoltori e allevatori, «essendo l’agricoltura - ha
puntualizzato - un’attiva stimolante, accessibile e propositiva
in cui il ruolo delle donne è di fondamentale importanza». Il
successivo intervento è stato quello di Mariangela Perra, imprenditrice di Dolianova che ha messo a parte la platea della
sua esperienza di vita: «Sono figlia di agricoltori e sin da piccola la natura costituisce una componente irrinunciabile della
mia esistenza. Già mio bisnonno nel 1800 produceva olio extravergine, e io stessa ho rilevato l’attività di famiglia appor-
tando tuttavia quelle innovazioni necessarie a sostenere il progresso nel settore»,
ha raccontato l’imprenditrice di Dolianova. «A poco a poco, l’impresa è cresciuta e
oggi sopravvive, nonostante la crisi economica e le mille preoccupazioni con cui
un autonomo deve quotidianamente confrontarsi. Benché spesso mi chieda se sto davvero facendo
bene, è la passione a portarmi avanti. Come dimenticare le
reazioni delle banche quando chiesi un prestito, necessario
ad acquistare nuovi macchinari e a ricoprire le spese di produzione? Siamo in un paese in cui ancora, negli anni 2000, nonostante una ricca storia professionale alle spalle, è facile per
una donna che voglia creare una propria attività sentirsi chiedere se ha un marito come “garante” di solvibilità».
La serata è stata impreziosita dalle testimonianze portate da
diverse donne imprenditrici, tra cui l’allevatrice Monica Saba
di Arbus, vice coordinatrice regionale di impresa donna
Coldiretti e presidente del consorzio di imprese di Arbus “Ciao”,
che lavora in sinergia con la “Casa Verde CO2” e ha voluto
ricordare l’onorificenza di Cavaliere del Lavoro di cui Daniela
Ducato è stata insignita al Quirinale lo scorso 7 marzo da parte
del presidente della Repubblica, in quanto «Campionessa
mondiale di innovazione, orgoglio della nostra Italia migliore». È stata quindi la volta di Piera Carcangiu, per la Lega delle
Cooperative del Medio Campidano, che ha posto l’accento
sull’importante contributo della donna nel mondo dell’agricoltura, sin dagli albori della storia, e più in generale sulle
limitazioni di potere in cui esse spesso incorrono rispetto ai
colleghi del sesso opposto. Toccante testimonianza, quella di
Annalisa Lecca, allevatrice di suini di razza sarda in località
“Cabasu”: «Non mi definisco un’imprenditrice, ma una sem-
plice contadina. La nostra azienda ha visto tempi migliori, ora
il lavoro è fermo benché spesso vengano a farci visita i piccoli
studenti delle elementari attraverso quei progetti noti come
“fattorie didattiche”, in cui i bambini provenienti da grandi
città, o comunque realtà totalmente urbanizzate, spesso non
hanno mai avuto l’occasione di ammirare un campo di grano
coltivato o un fiore non circondato dal cemento, a differenza
di quanti sono cresciuti circondati dalla campagna. Come un
qualsiasi contadino - ha concluso Annalisa Lecca - mi auguro
che le cose cambino, appellandomi al principio che ho seguito
per tutta la vita, secondo cui ciò che semino, un giorno raccoglierò».
Ultimo intervento, quello di Martino Scano, per la Confederazione Italiana Agrinsieme: «La differente sensibilità delle donne rispetto agli uomini è un valore aggiunto che le rende insostituibili e necessarie, specie nel mondo agricolo, in virtù del
loro rapporto da sempre privilegiato con i segreti della natura,
a cui sono più vicine, e che ho potuto riscontrare in diverse
occasioni. Quanto alla situazione attuale dell’agricoltura sarda, ritengo che le parole chiave del cambiamento siano le nuove idee e la multifunzionalità: assolutamente necessario, inoltre - ha puntualizzato Scano - sarà mettere in campo relazioni
economiche e strumenti di servizio in grado di produrre valore
aggiunto e maggiore competitività»
Francesca Virdis
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Villacidro: seminari conoscitivi su Maria Carta
L’Istituto Comprensivo Statale n° 2 “Giuseppe Dessì”
di Villacidro, relativamente al
progetto “FaiBì 2.0 in limba
sarda” ai sensi della Legge
482/99 sulla valorizzazione
delle lingue e delle culture
delle minoranze linguistiche,
in rete con gli Istituti Comprensivi di Serramanna e Villacidro “Loru”, ha organizzato due seminari conoscitivi su Maria Carta, che si
sono tenuti presso la scuola
primaria di via Tirso in Villacidro il 6 e il 13 marzo 2015.
I seminari sono stati curati
dal professor Emanuele Garau, massimo estimatore della vita e delle opere di Maria
Carta. Infatti, nel 1998 pubblica la sua biografia con il
libro “Maria Carta” per le
Edizioni Della Torre e nel
2006 firma la regia ed è protagonista dello spettacolo
“S’ora chi no t’ido”, che nel
2007 darà vita all’omonimo
Cd in suo omaggio. Lo stesso docente ha messo a disposizione documenti storici e unici del suo archivio
privato con i quali è stata allestita la sala che ha accolto
il seminario.
Nel primo incontro, “Maria
Carta si racconta”, Emanuele Garau con una ricerca minuziosa e certosina ha fatto
in modo che la stessa Maria
Carta raccontasse la sua
vita, attraverso filmati su alcune sue interpretazioni e
interviste preziosamente
raccolte nell’arco della sua
breve vita. Particolarmente
coinvolgenti sono stati i filmati relativi all’interpretazione del “Dies irae” e “Deus ti
salvet Maria”, oltre alla lettura della dedica fatta a
Maria Carta dall’autore Giuseppe Dessì nel 1974. Al termine del racconto è riemersa la figura di una donna
sarda fiera e orgogliosa in
tutta la sua complessità. Nel
Il Medio Campidano presente a Bologna
in occasione della Giornata della Memoria
Forse erano duecentomila, forse qualche migliaia in meno o in
più, quello che è certo è che alla “XX giornata della memoria e
dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie” a
Bologna erano in molti. Con i parenti delle 1034 vittime giunti
da tutta Italia, in modo particolate dalle regioni storiche dove
è nata la camorra, la ndrangheta e cosa nostra, assieme ai
gonfaloni di moltissimi comuni d’Italia, politici, amministratori
regionali e provinciali, si sono date appuntamento le 1600
associazioni coordinate da Libera, gruppi, scuole e realtà di
base impegnate in modo corresponsabile nel diffondere la
cultura della legalità. La Sardegna non poteva mancare all’appuntamento con il coordinamento regionale e i suoi presìdi.
Anche Guspini era presente con i rappresentanti del Presidio
Libera intitolato a Silvia Ruotolo, uccisa nel giugno del 1977
da una pioggia di proiettili mentre guardava dal balcone di
casa il rientro dei figli Francesco e Alessandra da scuola, e gli
studenti dell’Istituto “Michelangelo Buonarroti” che hanno
portato avanti tutto l’anno il progetto “Giovani globali e solidali”. Il percorso ha avuto il suo culmine nella giornata di
Bologna, la quale è stata preceduta da attività svolte in istituto e da due incontri, tenutisi a Guspini: il primo ha invitato gli
studenti a riflettere sull’esperienza di un giovane profugo
afgano; Alidad Shiri, il secondo, aperto a tutti i guspinesi, ha
proposta la testimonianza di suor Carolina Iavazzi, collaboratrice di don Pino Puglisi ucciso da mano mafiosa nel quartiere
di Brancaccio a Palermo.
A Bologna, c’erano tutti, con i parenti delle vittime c’erano gli
uomini di buona volontà, soprattutto giovani che hanno voluto ribadire che “La verità illumina la giustizia” solo se c’è la
volontà di essere corresponsabili nel cercare di costruire un
mondo più giusto, nel quale il rispetto e l’onestà siano guidati
dalla verità.
Quanto detto da don Luigi Ciotti dal palco è stato semplice ed
elementare; il fondatore di Libera ha ribadito l’obbligo di ricordare le vittime e i soprusi subiti e, soprattutto, ha chiesto a
tutti di non tacere sulla ricerca della verità per le ingiustizie
subite, sulla violenza che colpisce donne e bambini, sulla corruzione dilagante, sui reati vecchi e nuovi, anche quelli non
previsti dalle leggi, come quelli ambientali.
È stato il richiamo forte a ribellarsi, vegliare, denunciare tutte
le forme di schiavitù che rendono l’uomo vittima e succube
dell’altro uomo.
In Piazza VIII agosto a Bologna, il primo giorno di primavera,
quelli che c’erano hanno potuto sentire, in un silenzio assordante la lettura, come in una lunghissima litania, dei nomi
delle vittime innocenti di tutte le mafie, pari a 904, delle stragi
del 2 agosto 1980 a Bologna, di Ustica del 27 giugno 1980 e
della Uno Bianca, in numero di 130, in tutto 1034 nomi che
continueranno a vivere e fecondare la nostra terra grazie all’impegno di tutti coloro che si impegneranno affinché la verità illumini, finalmente, la giustizia.
Sandro Renato Garau
secondo incontro “Maria
Carta e il cinema”, Emanuele Garau , attraverso spezzoni di film dei suoi 25 anni
di carriera, ha illustrato le
sue interpretazioni nel cinema e nel teatro, mettendo in
evidenza la poliedricità di
questa donna, forse poco
apprezzata dalla sua amata
Sardegna in vita, ma riscoperta e valorizzata successivamente. È stata messa in
evidenza una donna audace e orgogliosa che ha sempre prestato molta attenzione nell’accettare i vari ruo-
li, restando sempre ben salda ai suoi principi.
Di notevole intensità sono
stati i filmati tratti dal “Gesù
di Nazareth” di Zeffirelli.
La particolarità dei due incontri è stata nel coinvolgimento, nelle emozioni forti e
nell’interesse dei presenti
suscitati dal relatore, padrone perfetto degli argomenti
trattati, offerti in modo egregio al pubblico, con professionalità e passione.
Ornella Vinci
Servizio fotografico
Stefano Murgia
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16
1 aprile 2015
GUSPINI
L’origine
della Festa
di Santa Maria
L
a chiesa di Santa Maria, in stile romanico, era parte integrante di un convento
di monaci di rito greco-bizantino (infatti la
statua della Madonna venerata è dormiente
e non assunta in cielo secondo l’uso cattolico) ed è orientata lungo la direzione ovestest, con l’abside di forma semicircolare in
pietre squadrate di notevole spessore e copertura a cono attraverso coppi, rivolto verso il sole nascente, simboleggiando così,
nella cultura cristiana, il sole della salvezza
(sol salutis), luogo da cui verrà, alla fine dei
tempi, il sole della giustizia (sol justitiae) per
giudicare l’umanità.
Sopra un piccolo portale per accedere al tempio è scolpita la croce di Malta. Infatti, dopo
il primo periodo di costruzione, intorno al
1100, esso divenne sede dell’ordine cavalleresco-religioso dei Gerosolimitani.
Dell’antico monastero oggi resta solo un affresco riportato in pittura da Michelangelo
Medici nel 1796 (1,35 x 0,96 mt, custodito
nella prima arcata interna alla chiesa) raffigurante la Vergine assunta in cielo, portata
dagli angeli.
Durante la dominazione spagnola, in Sardegna si diede luogo a un’identità politica unitaria attraverso l’imposizione del mercato
popolare catalano per la diffusione di una
cultura comune sul commercio. In Sardegna
si parla delle fiere di piazza sin dal 1575, quando sotto gli spagnoli-aragonesi si iniziarono
attività commerciali tipiche dei mercati
ispanici: ‘La fiera nella Piazza’, portata nell’Isola, era caratteristica nelle principali città
portuali spagnole e portoghesi. Nel 1600 iniziò un lungo periodo di brigantaggio con
persone che girovagavano spacciandosi per
venditori ambulanti di merci e animali, non di
raro frutto dei loro furti.
I vicerè spagnoli emanarono vari ‘pregoni’
per vietare la vendita ambulante. Successive norme di polizia vietarono il cambio di
residenza, previo accertamento della buona
condotta nei luoghi di precedenza dimora.
L’imposizione dell’uso delle fiere aveva lo
scopo di far pagare le tasse sui prodotti del
commercio che, avvenendo in pubblico, di
fatto non poteva sfuggire al ‘dazio’ previsto
dalle norme, mentre la gendarmeria poteva
controllare meglio l’ordine pubblico.
Il luogo privilegiato per gli scambi commerciali erano le fiere nelle piazze che si tenevano in occasione di feste patronali o di eventi
importanti e dove i produttori, piccoli e grandi, portavano le loro mercanzie. Anche
Guspini, per una sua antica attitudine al commercio, vanta una tradizione di fiere di grande prestigio fin da tempi molto antichi. Durante la festa di Santa Maria si allestiva una
fiera che durava otto giorni. Nella piazza
della chiesa giungevano i commercianti e gli
artigiani della zona per vendere o comprare i
prodotti, soprattutto pelli e bestiame. Tale
fiera era resa ancora più importante perché
si fissava il prezzo del grano e dei cereali,
che aveva valore per tutto il territorio. Il volume di affari durante la fiera divenne un avvenimento economico importante. Lo spiazzo, ‘la piazza’ antistante la chiesa di Santa
Maria, era il luogo ideale per il deposito e il
mercato.
Accanto alla chiesa vi era un complesso
monastico costituito da piccoli edifici - tipo
novenari - scomparsi nel 1850 in seguito all’espansione urbana nell’omonima via: sorgeva vicino alla borgata posta alle pendici
del monte Santa Margherita, un tempo al di
fuori del centro urbano, che in epoca medioevale era abitato da laici che lavoravano gli
orti e le terre di proprietà della chiesa.
Negli edifici confinanti sono stati rinvenuti
resti di costruzioni, in particolare un pozzo
di pregevole fattura appartenente a un chiostro, con al centro il giardinetto, formato da
un porticato su due piani con tre lati sostenuti da tozzi pilastri che sorreggono quattro
campate per lato coperte da volte a crociera.
Anticamente nella “piazza” si svolgeva la
fiera del pellame e del cuoio a cura dai locali
maestri conciapeddis. L’imprenditoria
conciaria ha infatti incessantemente rappre-
Sette note in musica, continuano
le audizioni nel Medio Campidano
Proseguono nel Medio Campidano le audizioni del festival canoro
“Sette Note in Musica”, a cura
dell’agenzia “La mole e il nuraghe
Agency Production”, che quest’anno festeggia la sua terza edizione. Nato dall’ iniziativa della
direttrice artistica Donatella Cabiddu e di un nutrito staff di collaboratori, l’evento, presentato dal
conduttore Krystian Zeta, si propone di promuovere le eccellenze
del panorama musicale isolano
selezionando cantanti provenienti
da tutta Italia, d’età compresa tra Donatella Cabiddu
i 14 e i 30 anni. «Ma soltanto in
sedici - puntualizza Donatella Cabiddu - giungeranno alla
finale di settembre e potranno concorrere per i generosi premi in palio. Il limite d’età si è reso necessario in quanto, in
caso di vittoria,- spiega - difficilmente riusciremmo a produrre cantanti al di sopra o al di sotto di tale soglia, dal momento
che il primo premio consiste nell’ incisione discografica di
un inedito. La finale di settembre, in cui i cantanti verranno
accompagnati da un’orchestra dal vivo, verrà trasmessa in
diretta TV e costituisce un’occasione unica per esibirsi davanti a una giuria d’eccezione, formata da personalità del
mondo della musica tra cui spiccano, in qualità di presidente, il produttore discografico della casa Universal Music
Group Fausto Donato, l’insegnante Loretta Martinez, già
nota per far parte della commissione di canto di “Amici” di
Maria de Filippi, il consulente musicale per cinema, teatro e
televisione Andrea Leprotti».
Cominciate a dicembre, le audizioni hanno visto oltre 200
giovani darsi il cambio sul palcoscenico, guidati dal desiderio di sfondare nel mondo della musica: «Indubbiamente in un cantante cerchiamo grinta, presenza scenica e tecnica vocale. Ma -precisa Donatella Cabiddu - ai nostri
occhi è tanto più rara, in quanto preziosa, quella umiltà
d’animo che spesso manca agli artisti. Aiutare, ma senza
illudere, i giovani cantanti: è con questo pensiero che tre
anni fa ho deciso di promuovere “Sette Note in Musica”.
Daniele Puddu, Riccardo Frau e Valentina Bertocchi sono
solo alcuni tra i ragazzi che abbiamo selezionato nelle scorse
edizioni e che hanno ottenuto riscontro a livello nazionale,
incidendo inediti presso grandi case discografiche. Sono
del tutto contraria ai talent show, in cui ritengo che i ragazzi soffrano e vengano umiliati inutilmente. Sostengo invece la necessità di fare quella che in altri tempi era solita
chiamarsi “gavetta”: io stessa mi sono formata in questo
modo, cantando per diecimila lire l’ora, privandomi di tante cose, eppure tornando indietro non prenderei nessuna
scorciatoia per arrivare al successo. Un’altra peculiarità
dell’iniziativa che mi preme evidenziare è la sua “trasparenza”: i partecipanti non pagano per essere provinati, ma
sono tenuti a corrisponderci soltanto una somma simbolica, qualora entrino a far parte dei 16 finalisti. Questo per
distinguerci dai molti concorsi, evidentemente fasulli, che
circolano da alcuni anni e millantano successi mondiali,
dischi di platino e chissà che altri traguardi. È un ambiente
difficile, il nostro, e il consiglio che mi sento di dare a chi
desidera intraprendere questo percorso è quello di non
pensare mai di essere arrivato. La strada è lunga e nel
canto, come nella vita, non si finisce mai di imparare».
Francesca Virdis
sentato un punto di riferimento nell’economia di Guspini. Il mestiere di conciapelli e le
attività connesse alla lavorazione, come ad
esempio la fabbricazione di lame, sono uniti
da un legame arcaico con l’allevamento del
bestiame. Le attività artigianali, di fatto, non
erano altro che la cornice di un micromondo
sociale ed economico che univa le componenti della società . Intorno alla pastorizia,
dunque, si era sviluppato il commercio non
solo dei prodotti caseari (ricotta e formaggio di pecora, capra e mucca), ma anche delle pelli, della lana, degli animali da macello,
da allevamento, da tiro e da sella.
Si produceva di tutto, tessuti coi telai tipici
sardi, manufatti di creta (brocche di tutte le
misure), recipienti di rame, attrezzi in ferro da
lavoro per contadini e artigiani.
La fiera si svolgeva nella stagione più “abbondante” di risorse economiche, dopo la
mietitura, quando il sovrappiù della produzione era posto in vendita, e attorno al convento sorsero anche un mercato e una fiera
del bestiame, che aveva il suo apice il 15
agosto, in occasione della festa tuttora celebrata.
Mauro Serra
COLLINAS. UNA
CANZONE IN SARDO
“La Sardegna? Non è
solo Costa Smeralda”
“A Sa Sardigna” è il titolo
della canzone che Umberto
Concu, 72 anni di Collinas,
dedica alla sua Isola. Riprodotta in un cd, integrata con
la versione karaoke guida e
voce, sound, base, è già un
successo. «Versi in sardo dice l’autore - che parlano
dell’amore che ho per la mia
terra, perché il nostro territorio è un prezioso tesoro».
Racconta che l’idea è nata Umberto Concu
sei anni fa. «L’ispirazione un
giorno mentre riflettevo sulle vicissitudini della Sardegna. Possibile, mi son detto, che la nostra terra sia conosciuta solo per la
Costa Smeralda. Non è soltanto questa la luce che la renda famosa e bella. È molto di più».
E così, da una vita appassionato di musica e canzoni, si arma di
buona volontà ed inizia a comporre i versi. Rigorosamente in lingua sarda. «Nel lavoro - aggiunge - sono stato aiutato dall’assessore ai servizi sociale di Collinas, Marco Garau, e dal musicista
Davide Pintus. Senza la loro collaborazione e il sostegno morale
forse non ce l’avrei fatta». Ricorda che il cd è stato già presentato
in occasione della tradizionale festa paesana in onore di Santa
Maria Angiargia. «La festa, simbolo del nostro paese, è stata anche racchiusa in un’immagine a forma di cuore sulla copertina del
disco, assieme all’immagine geografica dell’Isola». Per Concu un
regalo alla sua terra e non «un prodotto commerciale». Anche se
ammette che «un’offerta per chi volesse avere il cd è bene accetta
per pagare le spese sostenute».
Santina Ravì
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17
“Sollevatori di pietre”: in cento pagine
la storia mineraria della Sardegna
I
l libro è stato scritto dal guspinese Nicola Manca, consulente parlamentare del Pd.In cento pagine Nicola Manca,
nostro concittadino guspinese, concentra le sue riflessioni
sulle miniere del nostro territorio, sulla Sardegna e sui sardi.
“Sollevatori di pietre”, questo è il titolo del libro introdotto
dall’ex deputato del Pci l’on. Salvatore Cherchi. Come racconta lo stesso scrittore, il titolo è suggerito da un’interpellanza parlamentare sul banditismo, del nostro conterraneo
Renzo Laconi, rivolta all’allora ministro degli Interni, Amintore Fanfani. Alla risposta arrogante e di disprezzo sulla Sardegna del ministro, il dirigente comunista sardo rispose: «I sardi
sono un popolo di sollevatori di pietre», sono quelli che hanno costruito settemila torri di pietra. In tutto il libro è presente,
anche se sapientemente nascosto, l’orgoglio sardo, manifestato da uno dei nostri più fini intellettuali, come Laconi, e,
quel mal di Sardegna tipico del sardo emigrato.
Lo sforzo intellettuale di Nicola è stato quello di raccontare la
storia complessa della nostra terra, e la storia delle nostre
miniere, in modo semplice e accattivante, dando allo scritto
quel profumo di “sardità” non caricaturale. Nella premessa, a
tal proposito, osserva: «L’identità non può essere l’abito che
si indossa nei giorni di festa, può coniugarsi con la complessità del nostro tempo - locale globale - accettarne la sfida e
ritrovare il senso di una comunità: vorrei dire
un protagonismo sociale dei Sardi. Non quindi
un “bozzolo genetico” da preservare ma una
costruzione “stratificata” e plurale, un respiro
più ampio». Con questo approccio culturale,
Nicola ripercorre le strade tracciate dai più grandi
intellettuali sardi e di quelli, non sardi, che hanno voluto discorrere di Sardegna. Si racconta la
Sardegna zoomando sulle miniere, sul SulcisIglesiente e sul Guspinese-Arburese: storia di tentativi imprenditoriali autoctoni e di colonizzazione di imprese nazionali ed estere; storia di avanzate tecnologie nella coltivazione
delle miniere; storia di sofferenza e di sfruttamento ma, anche,
di ribellione e di lotta, storia di avanguardie che hanno dedicato la propria vita per l’emancipazione dei lavoratori.
La miniera scorre nelle vene di Nicola, è allocata nel suo Dna.
Come lui stesso racconta, suo nonno paterno partendo da
Solarussa, giovanissimo, lavorò nell’azienda mineraria di Montevecchio. Anche suo padre fu dipendente della medesima
azienda e fece parte dello staff che elaborò e produsse la famosa auto-vagone. Il “patrimonio genetico” è importante, ma
non sufficiente, per discorrere di miniera, come ha fatto Nicola. Bisogna possedere, anche, una grande capacità politica.
Pauli Arbarei,
Chiese e religiosità
Lo scorso gennaio Pauli Arbarei ha potuto
arricchire la propria bibliografia con un
nuovo volume dedicato agli edifici sacri
del paese. Agostino Stellato, originario di
Pompu e appassionato di ricerche archivistiche, ha dedicato tempo ed energie all’indagine di un territorio pressoché inesplorato: la storia di Pauli attraverso i documenti ecclesiastici e le fonti custodite
presso l’Archivio di Ales. Dopo aver tracciato un quadro generale sull’aspetto e le
condizioni di vita vigenti a Pauli tra il XVIII
e il XX secolo, l’autore si avventura nella
questione dell’identificazione della statua
della Madonna d’Itria, conservata nella
Parrocchia di San Vincenzo Diacono Martire, che potrebbe in realtà raffigurare la
Vergine del Rosario e provenire dall’antico
villaggio di Sitzamus. Una teoria che porta
alla luce risvolti interessanti e che ci permette di collegarci con la storia del paese
scomparso nel XVIII secolo, i cui abitanti
sopravvissuti confluirono in parte nella
popolazione di Pauli Arbarei. L’indagine di
Stellato si fa ancora più appassionante nel
momento in cui si addentra nella questione
dell’esistenza di tre chiese oltre le due presenti attualmente.
Il fatto risulta quantomeno singolare, dato
che le fonti archivistiche riportano l’esistenza delle chiese di Sant’Elena e di San Sebastiano ma al giorno d’oggi non esistono
toponimi che le ricordino o che vi facciano
riferimento. Per quanto riguarda la chiesetta di Santa Maria, essa si trovava presso
l’attuale campo sportivo e le sue mura esterne erano ancora visibili sul finire degli anni
Sessanta.
Non si con o s c e
l’ubicazione delle altre
due
chiese
scomparse
ma l’autore
ritiene che
sorgessero rispettivamente presso l’ex-Monte
Granatico e una casa privata dell’antico vicinato de Is Pangas. L’opera si conclude con l’inventario degli argenti e degli oggetti sacri della
comunità di Pauli Arbarei.
Questo volume porta alla luce tutta una serie di
zone d’ombra nella storia di Pauli Arbarei che
l’autore, per giunta non originario del posto, si
è premurato di indagare. Stellato conduce
un’analisi scrupolosa attenendosi ai documenti
e osservando attentamente le tracce che la storia ha lasciato sotto i nostri occhi. Forse sarà
impossibile ricostruire integralmente il passato
del piccolo centro della Marmilla, date le tutt’altro che cospicue fonti in merito, ma questa
pubblicazione è di certo preziosa per risvegliare l’interesse dei suoi abitanti e consegnare loro
un pezzo di storia del paese. Purtroppo l’autore è stato ostacolato dall’intransigenza e dalla
poca disponibilità di chi poteva aiutarlo nelle
ricerche; per questo il libro non è stato presentato pubblicamente e la pubblicazione è avvenuta leggermente in ritardo rispetto i tempi previsti. Si spera comunque che gli abitanti di Pauli
Arbarei lo trovino interessante e ne apprezzino
l’indiscutibile valore storico.
Francesca Garau
La politica lo conquistò da giovanissimo, fu protagonista di primo piano del Sessantotto guspinese. Partecipò attivamente all’occupazione dell’Istituto Tecnico per respingere il disegno di
legge Longoni, che aumentava gli anni di tirocinio post diploma. Quella lotta fu un momento di
aggregazione, di studio e acculturamento politico, si discuteva di tutto e su tutto. Il giovane
calciatore del Guspini-calcio, amante della pittura, conquistato alla politica, conseguito il diploma, lasciò
Guspini per Firenze e per la facoltà di Architettura; in questa
città iniziò a fare la grande politica, prima nel gruppo del Manifesto e poi nel Pci, come dirigente locale. Eletto deputato del
Pci, nel 1984, iniziò un percorso politico a livello nazionale.
Trasferitosi a Roma, nel partito dei Democratici di Sinistra,
come esperto di politiche internazionali, collaborò con la Direzione e, poi, con lo staff di Massimo D’Alema, Ministro degli
Esteri. Per le stesse materie, oggi, è consulente del gruppo
parlamentare del Pd. Il discorrere di questioni internazionali e
l’operare in questo ambito non hanno allontanato Nicola
Manca dalla Sardegna e dalle nostre miniere ma, come lui stesso sostiene: «Le radici non si strappano».
Rinaldo Ruggeri
Juan@Rosada,
una passeggiata
nel nostro passato
Medio Campidano, Costa Verde, miniere,
mare, ricordi. Sandro Garau ha visto, e quando ha iniziato a scrivere questa storia, probabilmente è tornato sui luoghi per vedere ancora e per raccontare. Il pretesto è il ritorno
dall’Argentina di Juan, figlio di emigrato, che,
avvertito della morte del nonno paterno, prende l’aereo e giunge a Guspini per partecipare
ai funerali. Juan collabora a un giornale di
Buenos Aires cui manda puntualmente i suoi
reportages e le foto necessarie per far conoscere meglio la sua terra d’origine. A Buenos
Aires ha moglie e due figli, ma qui nel libro ci
vengono fatte conoscere solo le mail che invia alla sorella Rosada.
Dicevamo del ritorno dell’autore per ritrovare
e descrivere le coste, i colori del mare e i luoghi che vi si affacciano, le dune, gli scogli, la
colonia per i figli dei lavoratori delle miniere e
come, in quei tempi, benestanti e contadini,
che a fine luglio finivano il lavoro del raccolto, vi andassero per qualche giorno o per settimane intere. I benestanti si servivano delle
carrozze, i contadini più spesso de su carru a
bois, portandosi appresso biade e paglia per
le bestie e alimenti e coperte per sé.
E poi le passeggiate lungo diversi paesi e
monti del Campidano e la Giara, a ritrovare
nuraghi, cavallini e pozzi sacri, e le miniere,
una volta fonte di lavoro e di sudore, ma anche di certezze e di modestissimo benessere,
le strade, anzi i sentieri per arrivarvi. E i lavori
all’interno delle gallerie, gli scavi, le mine, il
trasporto dei minerali, la loro selezione, e i
muli, e
un mulo
particolarmente
unico,
che riusciva a
comprendere quanti vagoni gli avessero agganciato da trainare, e che rifiutava di muoversi se superavano un certo numero.
Nella narrazione si susseguono le testimonianze di vecchi ottanta e novantenni che raccontano le loro esperienze, i rapporti tra lavoratori e padroni, le fatiche, le lotte, i sindacati o
pseudo tali durante il periodo fascista e dopo,
le razioni del cibo o dei fiammiferi, gli incidenti
nel lavoro, le innovazioni con macchine di ultima generazione e quindi l’aumento della produttività a scapito del mantenimento di un
uguale numero di posti di lavoro, il terrore
dell’arrivo degli americani, i bombardamenti...
e ancora, nella crisi, la ricerca di un posto di
lavoro in miniera da parte di quanti non possedevano niente, neppure un orticello dove
coltivare le proprie insalate.
Un racconto di tempi lontani, di speranze e di
battaglie, dimenticate o mai conosciute, vissute dai nostri nonni, che rinvigorisce i ricordi di chi quelle esperienze le ha vissute, utile
in particolare ai nostri giovani per comprendere il significato della fatica e della responsabilità e, crediamo, per ridargli coraggio in
questo nostro momento non facile.
Venanzio Tuveri
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1 aprile 2015
VILLACIDRO. IN PROGRAMMA DAL 15 AL 20 SETTEMBRE
Premio Giuseppe Dessì, entro il 20 giugno
la presentazione delle opere alla selezione
Cerimonia
di premiazione
edizione 2013
A
vrà un sapore speciale, quest’anno, il premio “Giuseppe Dessì”: il concorso letterario intitolato allo scrittore sardo
(nato a Cagliari nel 1909 e
scomparso a Roma nel 1977),
e promosso dall’omonima
Fondazione, giunge infatti
alla sua trentesima edizione.
Un traguardo significativo
per l’annuale appuntamento
di settembre a Villacidro, la
cittadina del Medio Campida-
no, a una cinquantina di chilometri da Cagliari, dove Dessì visse l’infanzia e l’adolescenza e che da grande ispirò tante pagine della sua pro-
SERRENTI
Firenze, socia dell’Accademia Nazionale dei Lincei e tra
i più autorevoli studiosi dell’opera di Giuseppe Dessì) e
composta da Mario Baudino,
Duilio Caocci, Giuseppe Langella, Massimo Onofri, Stefano Salis e dal neo presidente
della Fondazione Dessì, Christian Balloi, il compito di selezionare tre finalisti per ciascuna delle due sezioni del
concorso fra tutte le opere
che saranno pervenute (l’anno scorso furono 398, 208 per
la narrativa e 190 per la poesia). Tra queste terne gli stessi giurati dovranno infine
eleggere e incoronare i vincitori nella serata conclusiva, il
20 settembre a Villacidro: in
palio ci sono cinquemila euro
per il comparto narrativa e altrettanti per la poesia, oltre
alla soddisfazione di iscrivere il proprio nome nell’albo
d’oro del Premio Dessì accanto a quelli di scrittori come
Sandro Petroni, Nico Orengo,
Laura Pariani, Salvatore Mannuzzu, Marcello Fois, Michela Murgia, Niccolò Ammaniti, Salvatore Silvano Nigro,
Giuseppe Lupo, Antonio Pascale e poeti come Elio Pecora, Maria Luisa Spaziani,
GUSPINI. SISTEMA
“Grazie Fred!” Il Teatro si tinge di swing
Nell’ambito del progetto “Grazie Fred!”, il Teatro comunale
di Serrenti ha portato per la
prima volta in scena lo spettacolo musico-teatrale, tratto
dal testo del musicista cagliaritano Roberto Atzori, per
rendere omaggio all’indimenticabile cantautore del swing
Fred Buscaglione, uno degli
artisti più noti del panorama
musicale italiano, che mosse
i suoi primi passi in Sardegna
fondando a Cagliari la sua
prima orchestra, il “Quintetto Aster”. In collaborazione
con “Bulli & Pupe” della compagnia teatrale Divadio, la
scuola di musica Namm, i ballerini della Black Stars e l’associazione Momotù Serrenti,
attori, comparse, musicisti,
cantanti e ballerini professionisti hanno rappresentato il
duro lavoro di anni svolto da
Atzori con il recupero di documenti d’archivio sulla figura di Buscaglione e sul contesto del primo dopoguerra
italiano.
I brani che hanno reso cele-
duzione letteraria, compreso
il suo romanzo più fortunato,
“Paese d’ombre” (Premio
Strega nel 1972).
Mentre è ancora in cantiere il
cartellone della consueta settimana di eventi - presentazioni editoriali, spettacoli, incontri - che da martedì 15 settembre farà da prologo alla
cerimonia di proclamazione e
premiazione dei vincitori, in
programma domenica 20 settembre, il trentesimo Premio
Dessì pone il suo primo mattone con l’annuncio del bando di partecipazione. Le norme del regolamento, che si
può consultare nel sito della
Fondazione
Dessì
(www.fondazionedessi.it),
sono quelle consuete: al concorso letterario, articolato in
due sezioni, Narrativa e Poesia, possono partecipare opere in lingua italiana pubblicate dopo il 31 gennaio 2014. I
volumi devono essere spediti (in nove copie) alla segreteria del premio entro e non
oltre il prossimo 20 giugno.
Spetterà poi alla giuria, presieduta da Anna Dolfi (professore ordinario di Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università di
BIBLIOTECARIO
novità e rottura con il passato, che Fred introdusse con
canzoni popolari di gangster
e pin-up. La coordinatrice
Ambra Floris ha commentato: «A nome di tutto lo staff,
ringrazio di cuore quanti hanno partecipato allo spettacolo, soprattutto il numeroso
pubblico. Quasi due ore di
musica, danza, videoproiezioni e teatro, alla riscoperta di
un musicista che neanche la
morte, giunta precocemente
per un incidente d’auto, ha
potuto far tramontare. I suoi
brani sono tutt’oggi utilizzati
come colonna sonora di spot
televisivi. E la sua figura (baffetto, cappello e completo
gessato), è entrata nella leggenda».
Marisa Putzolu
MONTE LINAS
Concorso letterario sul cibo
In collaborazione con la Cooperativa Agorà
Sardegna, il sistema bibliotecario “Monte
Linas” del Medio Campidano promuove la
XII edizione del concorso letterario
“SaporiAmo-ricette che uniscono il mondo”,
rivolto ai giovanissimi studenti delle scuole
medie ed elementari di Arbus,
Gonnosfanadiga, Guspini, Pabillonis, San
Gavino Monreale, Sardara, Villacidro. Tema
del concorso, il cibo, in quanto “diritto primario di ogni uomo”. Alla luce del fatto che
non a tutti è concesso disporre di cibo sufficiente, e che nel mondo le varietà di quest’ultimo possono essere le più diverse, ai
bre lo swing in Italia sono
stati eseguiti dal vivo dall’orchestra “I ragazzi del Jukebox”, che con le coriste hanno ripercorso la storia di Buscaglione da quando fu
scoperto, mentre era tenuto
prigioniero a Cagliari durante la seconda guerra mondiale dall’esercito alleato, fino ad
oggi. Gli attori Alba Berti e
Andrea Cortese invece, grazie a divertenti piéce teatrali,
hanno accompagnato gli
spettatori nell’atmosfera degli anni Cinquanta.
E sulle note di “Che Bambola”, “Buonasera Signorina”,
“Guarda che Luna”, il corpo
di ballo “Black Stars” di Pino
Mereu ha coinvolto il pubblico nelle danze e riportato in
vita per una sera il clima di
Giancarlo Pontiggia, Alda
Merini, Eugenio De Signoribus, Gilberto Isella, Gian Piero Bona e Alba Donati, tra i
vincitori delle passate edizioni.
Alle due sezioni strettamente letterarie si affianca come
sempre un altro riconoscimento, il Premio Speciale della Giuria (con una dotazione
anche in questo caso di cinquemila euro) da assegnare a
una figura di spicco della cultura, della società o della politica italiana: un riconoscimento che in passato è andato a personalità del calibro di
Luigi Pintor, Sergio Zavoli,
Alberto Bevilaqua, Arnoldo
Foà, Francesco Cossiga,
Marco Pannella, Piero Angela, Ascanio Celestini, Mogol,
Philippe Daverio e Toni Servillo.
Il trentesimo Premio Dessì è
organizzato dalla Fondazione
“Giuseppe Dessì” e dal Comune di Villacidro col patrocinio del Consiglio Regionale della Sardegna, dell’Assessorato Regionale alla Pubblica Istruzione, del Ministero
per i Beni e le Attività Culturali e della Fondazione Banco di Sardegna. (r. m. c.)
partecipanti viene richiesto di trovare piatti
particolari e caratteristici provenienti da qualsiasi tradizione culinaria.
I ragazzi potranno prendere parte al concorso
singolarmente o in classi, dando la possibilità
alla propria scuola di ricevere in dono alcune
opere di narrativa che andranno ad aggiungersi alla biblioteca scolastica o di classe. I
lavori dovranno pervenire entro il 31 maggio.
Per informazioni, rivolgersi alla biblioteca comunale di appartenenza oppure alla Biblioteca Comunale “Sergio Atzeni” – Guspini, via
S. Nicolò n. 9, o telefonare allo 070 9760602.
Francesca Virdis
PAULI ARBAREI
Concorso di poesie “Giochi di parole”
La Piccola Libreria Sa Tellaja di Pauli Arbarei
in collaborazione con l’Associazione Turistica Pro Loco e il Comune ha bandito un concorso di poesie e filastrocche dal titolo “Giochi di parole”. Il tema delle composizioni è
libero e possono partecipare tutti i residenti
e non in Pauli Arbarei di un’età compresa tra
i 6 e i 99 anni. I concorrenti saranno classificati in base a due categorie principali: ragazzi
(dai 6 ai 18 anni) e adulti (dai 19 in su). La
giuria sarà composta da 5 membri e eleggerà
tre vincitori per ogni categoria. La premiazione avverrà il 15 maggio presso il Centro di
Aggregazione Sociale in via Vittorio Emanuele III, 1 in concomitanza con i festeggiamenti
in onore di Sant’Isidoro. La scadenza per la
presentazione degli elaborati, che devono
essere inediti, è fissata al 30 aprile. Il testo
completo del bando è consultabile presso la
Biblioteca Comunale di Pauli Arbarei, in via
Cagliari 8, o presso la libreria, in via Cagliari
7A. I premi consisteranno in buoni per l’acquisto di libri e pubblicazioni.
Inizialmente il concorso prevedeva la partecipazione da parte dei soli residenti in Pauli Arbarei, ma in seguito alle numerose richieste
da parte dei non residenti di aderire all’iniziativa, si è deciso di aprire il bando a tutti. Lo
scopo di questa manifestazione è quello di
coinvolgere gli abitanti di questo piccolo comune in un evento culturale che risulti creativo, rendendoli protagonisti in prima persona.
Si spera dunque nel successo di questa prima
edizione come sintomo di un rinnovato sviluppo culturale del paese.
Francesca Garau
PDF Compressor Pro
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19
VILLANOVAFORRU
In esposizione
le 68 opere
della collezione
Arte 52
L
o scorso 15 marzo il Museo Sa Corona Arrubia ha celebrato la chiusura della manifestazione Arte 52 che ha visto
l’inaugurazione di una mostra d’arte alla settimana per un anno.
Tutti gli artisti che hanno esposto nel corso di quest’anno
hanno volontariamente donato una propria opera al museo
contribuendo a creare una collezione che potrebbe essere
ospitata a breve presso alcune delle più importanti capitali
europee. Il presidente del Consorzio, Egidio Cadau, e il direttore del Museo, Paolo Sirena, si dichiarano estremamente soddisfatti dell’esito della manifestazione, soprattutto perché un
museo al centro della Marmilla può vantare ora un’importanza
a livello europeo.
La collezione Arte 52, composta da 68 opere, sarà visitabile
presso il Museo dal 15 marzo al 19 aprile. La chiusura di Arte
52 si è rivelata, dunque, un successo: i posti a sedere della
sala conferenze erano completamente occupati e visitare la
mostra risultava particolarmente difficile dato l’affollamento
della sala esposizioni. All’evento erano presenti gran parte
degli artisti che hanno esposto durante le cinquantadue settimane della manifestazione e tutti gli appassionati d’arte che
hanno frequentato periodicamente le esposizioni. La manifestazione si è conclusa con un pranzo, dietro il pagamento di
un quota per ogni partecipante, presso il Centro Ristoro del
Museo. È un vero peccato che questo locale, affacciato sulla
parete rocciosa de Sa Corona Arrubia e sulla campagna circostante, sia utilizzato soltanto per queste rare occasioni mentre, se abilmente gestito, potrebbe completare l’offerta turisti-
ca proposta dal Museo.
Tutte le opere della collezione Arte 52 sono visibili anche nel
catalogo dal titolo Arte 52 art collection, curato dal direttore
Paolo Sirena, assieme alle notizie biografiche sugli autori e
alle analisi dei più importanti critici d’arte dell’isola.
Il progetto Arte 52, come si legge nell’invito all’evento, «è
stata un’esperienza che ha evocato l’arte in molteplici forme e
ha permesso di interrogarsi sull’impatto nel territorio di eventi
con un’intensa impronta culturale» e ha «offerto la possibilità, a chiunque lo desiderasse, di accostarsi all’opera d’arte e
sviluppare così una propria sensibilità e capacità critica che
permetta una rinnovata interpretazione del mondo circostante». Una preziosa occasione per Sa Corona Arrubia di farsi
conoscere in Europa e nel mondo.
Francesca Garau
Artisti di Gonnos:
inaugurazione della mostra di Giuliano Saba
N
ella sua locandina di presentazione, Giuliano Saba dice
di se stesso: “Nato nel 1949 nel sud della Sardegna,
già in tenera età compresi che, per compiacere il mio desiderio di giocare, avrei dovuto provvedere da solo alla realizzazione dei giochi. A scuola imparai a disegnare e a immagazzinare nella mente figure geometriche e linee, dalle
quali rimasi sempre più affascinato”
Con queste parole Giuliano spiega, “in nuce”, l’origine della
sua poetica, vale a dire la sua concezione artistica, di fronte
alla “durezza” degli acciai e dei metalli, che forgia, che plasma e che modella con una passione forsennata e spiritata,
ma, nel contempo, nei risultati delle opere che concepisce e
crea, poeticamente delicata e leggera, lieve come le farfalle e
le libellule che fa germogliare dalla durezza e compattezza
dell’inox.
Nelle stanze del Cottolengo di Suor Emilia, riempie gli spazi,
a fianco delle sue opere, con innumerevoli bigliettini che
illustrano il succo della sua concezione dell’arte, e di aforismi
di pittori o musicisti che ammira: “Il fuoco infonde calore e
vita al metallo. Ma è il martello che lo forgia”; oppure:
“Un’opera d’arte, di qualsiasi genere sia, non ha bisogno
di rivelare le sue misure. Capisci che ti piace, quando ti
esplode dentro”; o, ancora: “Il pensiero è una forma d’arte
e costruire con la mente è una sinfonia di colori”; “Non
c’è blu senza il giallo e senza l’arancione - come dice
Vincent Gogh -”; “L’arte è un insieme di linee tracciate
con il compasso dell’immaginazione”; “Non chiamatemi
artista. Sono soltanto uno che pensa e crea”: la qualcosa,
commento io, non è proprio poco. Anzi... Giuliano, poi, continua con i suoi “pizzini” alla siciliana: “L’arte è una notte
insonne che danza sul tavolo da lavoro”; “Anche la mia
migliore opera d’arte ha i suoi pregi e i suoi difetti: mio
figlio”. E, infine: “La musica è il genere d’arte perfetto. La
musica non può rivelare mai il suo segreto più nascosto”.
Alcuni di questi pensieri, o aforismi, sono condivisibili, autentici e hanno una qualche originalità, anche se sentenziosa;
altri suoi adagi, sono, in ogni caso, scontati: sono luoghi
comuni, come quando scrive, su di un ennesimo bigliettino,
che “La migliore opera d’Arte in assoluto è la donna”. Su
cui, tuttavia, non è difficile trovarsi d’accordo.
In collaborazione con il Comune di Gonnosfanadiga e l’Assessore alla cultura A. Rita Soddu dal 7 febbraio fino al 15, è
stata inaugurata la mostra dell’artista Giuliano Saba presso
l’ex orfanotrofio di Suor Emilia, in Via Cottolengo. Le opere
dello scultore sono restate esposte, rispettivamente nei giorni di sabato e domenica, assieme a quelle di altri artisti locali,
tra i quali Francesco Vacca, Franco Sedda e Pinuccio Littera.
“Tutta l’arte - dice Giuliano Saba riprendendo e ripetendo
un remoto concetto di Lucio Anneo Seneca il giovane espresso ne “La brevità della vita” - è l’imitazione della natura”.
Fin qua, nulla di nuovo, se non fosse che lo scultore del
metallo si ricongiunge pure ad una antichissima tradizione
plurimillenaria appartenente ai paesi che si affacciano al Mediterraneo. Ai soli e alle lune dell’antico Egitto dei Faraoni e
della “Mezza Luna Fertile” del Medio oriente. O, in particolare, alla Sardegna nuragica la quale, con le caratteristiche e
speciali tecniche pertinenti alle fusioni e agli amalgami di
bronzo, modellava e forgiava il metallo scolpendo le statuette
giunte fino a noi, dissepolte dai detriti dei nuraghi o delle
tombe dei giganti.
Scelse, ci racconta Giuliano Saba, la professione di saldatore,
incantato fin da bambino dai carpentieri di una famiglia di
Gonnosfanadiga i cui componenti, durante l’intero giorno,
vicino al mantice ansimante che pompava aria e ossigeno
sui carboni del Sulcis, forgiavano il ferro rovente e fiammeggiante dandogli lineamenti e sagome quanto mai varie.
Dalla sua entusiasmata lavorazione dell’inox sono nate in
seguito, facendo l’artista per hobby, come egli stesso ama
definirsi, delle leggerissime farfalle, libellule; o fiori, come
margherite, tife latifoglie; o soli che si fondono raggianti
assieme a mezze lune dorate o argentate; o chitarre dai riflessi cromatici tipici dell’acciaio inox inondato dai riflessi viola, verdi e blu; e tutto quel che gli ricorda, nei colori, sconsolatamente la sua terra natale: le campagne, i quartieri e i
vicinati di Gonnos, i riflessi delle acque melmose e stagnanti
o rumoreggianti e scorrenti del Rio Piras.
Giuliano Saba è appunto emigrato ormai da quarantaquarantacinque anni, e vive a San Giuliano Nuovo, che appartiene alla Circoscrizione Fraschetta, nella Bassa pianura
padana, distante da Alessandria, capoluogo, circa 16 km.
In quella terra così diversa dalla sua Sardegna, e dopo aver
girato col suo lavoro d’operaio saldatore e fonditore lasciando le tracce della sua passione di artigiano e d’artista che dà
forma all’acciaio inossidabile in molti cantieri sparsi nei Paesi del Nord Europa, ormai, da pensionato, è più o meno stabile e fermo a San Giuliano.
Lì, nel suo banco di lavoro, come Michelangelo de Virgilio,
come Giorgio Bortoli, grandi scultori di polimateriali, anche
Giuliano Saba forgia l’acciaio inox. Vi imprime i suoi stati
d’animo. Da quella materia inerte inventata dall’uomo riesce a trarre energie di cose segrete: lo colora e impreziosisce
con i bagliori d’oro, d’argento, di rossi sfavillanti e di brillanti opalescenze madreperlacee, azzurre bianche verdi
iridescenti, che si imprimono nell’occhio di chi vi posa lo
sguardo.
Queste sue opere, questi suoi acciai, parlano e riportano
alla memoria l’ambiente ciottoloso e acquitrinoso del Rio
Piras, che lo ha visto crescere da piccino.E, da San Giuliano, ove ormai risiede, manda un messaggio e un augurio ai
giovani di Gonnos: “Mi piacerebbe che l’arte del mio fare
spingesse i giovani a creare, a giocare con la loro mente e
le loro potenzialità, per fare in modo che l’artigianato
possa tornare a risplendere della luce che merita. Lavorare l’inox - continua, e riafferma - è sempre stata una delle
mie passioni e adesso l’ho trasformata in Arte, o per meglio dire, quest’arte ha trasformato il sogno della mia vita
in realtà”.
Con questo messaggio nella mente e nel cuore, rientra, ogni
tanto, a Gonnos. Ci porta le sue opere d’acciaio, le espone.
Così acqueta, per un poco, la sua nostalgia di esule.
Augusto Tomasi
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1 aprile 2015
Cultura
Su sadru chi seus pedrendu
Parrit u Prinzipi Asullu
Scracàlius
di Gigi Tatti
Contixeddu de Venanziu Tuveri furriau in sadru de tziu Arremundicu
Is disi funti bellas, no nci nd’at mai una chi potit disgratzias, epuru custas arribant sempiri. In
s’ierru podit proi o fai temporàda, ma chi as frabicàu béi sa domu, e in logu chi no siat perigulosu,
podis abarrai trancuillu. In s’istadi su sobi est buddiu e ti podis arrinfriscai in mari, o a s’umbra
de ua màta, chi custa no s’abruxiat po fogu. Poita ca nc’est sempiri cuncunu, o macu, o
mamallucu o dillicuenti, no est fazili a cumprendi, chi ddu põit, e chi su bentu suat fòti, sa
pampa est capassa de curri po
chilometrus.
Taniebi tenìat s’aiaiu chi curregìat
u otixeddu e ddoi semiàt bidruras
de tantis calidadis, tamatiga, làtia,
mebõi e matas de meba, pira,
anangiu e atras calidadis.
Abarrendu cun s’aiaiu de
pipieddu, iat imparau a stimai su
sàtu, a marrai, prantai, acuài, pudài
e spibidài is cosas a su momentu
giustu; su babu e sa mama ndi
fiant cuntentus, a issus no dd’is
abarràt tempus po andai a su sàtu.
Tenìat catodixi annus, is
baganzias de scolla fiant cumenzadas, iat incoxau sa bricichèta e fut andau a s’òtu, s’aiaiu no
ddoi fut ca fiat mobadiu. S’iat fatu u giru po bì chi totu andat bei e no fessant intraus a furài.
Candu, totu in d’una si fut pesàda, a tretu, ua tiria de fumu e su ‘entu giài ddi potat su fragu. A
cuncunu, abuendu, ddi fiat fuìu su fogu. Cumenti passàt su tempus su fogu si fiat amanniàu.
Cussu, in s’otixeddu acuàu e totu bidri no curriat perigulu, s’aguriài de ua sirena dd’iat fat’a
cumprendi ca is pompieris fiant arribendu, agiudaus de genti de bona voluntadi, a studai su
fogu. Iat dezidiu de andai a bì e donài ua mãu de agiudu.
Su ‘entu fòti poderàt su fumu basciu, paris de terra, in sa ìa fiat cument’e chi ddoi fessat nebida
de no si bì a duus metrus de trètu. Ua machina fiat frima, giai in mes’e sa ìa, posta de tressu e,
cumenti fut passau, dd’iant tzerriàu: «Zia mia stait màbi, si podis agiudai o tzerriài cuncunu.»
No nci fut tempus po tzerriài genti: «Zia tua - iat nau a sa piciochedda - nce dda fait a tranzì sa
machina a sa domixedda mia? Chi nou ddu fatzu deu, aiaiu miu téit ua machina cument’e custa
e m’at imparau a dda ghiai.» Sa zia iat atziau sa conca, fiat a suidus longus e is ogus lambigosus,
a stentu nci fiat passada a su sedigliu a su costau. Taniebi si fut setziu iat allutu su motori e
partiu. In pagus minutus si fut stesiàu de su fumu e arribau a sòtu, iat frimau sa machina e iat
agiudau sa femia a ndi cabai. Intraus in sa domixedda, dd’iat donàu ua butiglia de acua e ua
tassa. «Si oit arrinfriscai pagu pagu? Ingúi ddoi est s’aposent’e si sciacuài.» Issa iat moviu sa
conca e bufau s’acua: «Gratzias - iat nau pesendusindi a stentu - andu a mi sciacuài sa faci.»
«Ois chi t’acumpangi, zièta?» ia pedìu sa piciochedda. Sa zia iat fàtu ca nou cun sa conca.
«Gratzias - iat nau a Taniebi sa piciochedda - sen’e s’agiudu tuu no sciu cumenti ias’ai fatu.
Deu seu Adella, e tui?» Taniebi dd’iat nau su nomini suu bregungiosu po is cumprimentus:
totus iant’ai fatu sa propria cosa. Ua pintura in sa mesa cun d’ua scrita asuta iat fàtu crosidadi
a sa piciochedda: «”Bisai po cresci”- iat ligiu - dd’as fatu tui?» «Impari cun aiaiu. Deu apu
scritu bisai, e issu apustis duas disi iat aciuntu po cresci, at cumpretau su penzamentu miu e
deu apu cumprendiu mèdas cosas.»
Sa zia de Adella fu torrada de si sciacuài cun s’arrisu me in is lrabas. «Imou stau mellus mèda,
mi seu arrinfriscada, gratzias.» Taniebi no fut abituau a essi arringratziau aici e no capìat in sei.
«Prim’e inghitzai custu afoghigiamentu apu
segau e papau ua pariga de piricocus, funti
saborìus: ddus’obeis tastai? Aici fadeus u
girixeddu in s’otu.» Adella fut prexada e, impari cun sa zia iant sighìu su piciocheddu.
Taniebi, dd’is iat amostau màtas e birduras,
frimendusì in sa mat’e su piricocu e de sa
prúa, nd’iat segau ua pariga donendiddus a
is femias. «No nc’est abisongiu de ddus
sciacuai. Deu no ndi sciàcu mai: segu e papu.»
Fiant di aderus saborius prus de is chi bendint
in su mercau. «No nd’apu mai papau aici
saborius, ndi ois tui puru zièta?» «Andu a
pigài u strexu - iat nau Taniebi torrendu luegus
- aici sind’arregolleis a domu». «Ses mèda
donosu, Taniebi… » sa boxi de Adella tremìat
narendu custus fueddus, no ddus iat mai naus
a nemus. Taniebi si fut fat’arrubiu, iat sighìu a ponni piricocu e prúa in sa sachita «Nc’at
tamatiga, crocoriga e atras bidruras - iat nau seghendindi - tantis nosu no si dda papaus totu».
«Taniebi - iat nau sa zia - tu s’as agiudau si nd’as potau a innoi candu fia allupendu de su fumu,
in prusu si préis de custas delitzias, ses di averas gentili». «Aiaiu miu iat’ai fatu sa propria
cosa». «Gratzias Taniebi, u muntõi de gratzias, cun sa speranzia, ua dì de podi arricambiai sa
gentilesa tua. Mi dispraxit ca funt abetendusì e, biu ca su fogu est studau, si ndi depeus andai.
Mancai annus ndi conti medas est sa prim’ota chi intru in d’u òtu». «A mimi parrit - iat
arrespostu Taniebi - chi is màtas crexant impari cun sa genti. Uota m’iant nau ca intendint sa
presenzia nosta e si furriant, mancai nosu no si nd’acateus, biendu s’interessu e is curas
nostas».- «Deu puru penzu chi siat possibili», iat arrespostu Adella. «Ecus iais a depi torrai a
s’agatai, candu passais a custas pàtis. Chi nc’est aiaiu s’iat a podi spricai atras cosas. Su mesi
ch’intrat coit su pressaba puru. Ndi teneus cuaturu màtas. Eis a torrai berus»? Adella iat fatu
aghei cun sa conca. «Eus a torrai a t’agatai, berus zièta? E speru allestru, chi tamatiga e
crocoriga funt saborìas cument’e su piricocu».
Si fiant saludaus cun d’ua stringidura a fòti de sa mãu, mancai Adella, donend’arrexõi a
s’istintu, dd’iat’ai imprassau, poita ca Taniebi fiat bellu che ua bisiõi, parrìat u prinzipi asullu,
e is sonnus, si scit, chi unu oit ‘averant.
A si ‘ntendi mellus. tziu Arremundicu.
Ci funt momentus chi unu contixeddu allirgu fai beni gana bella e fai praxeri. Po cussu,
custus “scracàlius” serbint po ci fai passai calincunu minutu chene pensai a is tempus
lègius chi seus passendi in custus annus tristus e prenus de crisi. Aici, apu pensau de si fai
scaresci calincunu pensamentu, ligendi e arriendi cun custus contixeddus sardus chi funt
innoi. Sciu puru, ca cussus chi faint arrì de prus, funt cussus “grassus” e unu pagu scòncius,
ma apu circau de poni scèti cussus prus pagu malandrinus, sciaquendiddus cun dd’unu
pagheddu de aqua lìmpia. Bonu spassiu. Est bellu puru, poita calincunu, circhendu de ddus
ligi imparat prus a lestru a ligi in sa lingua nostra. E custa, est sa cosa chi m’interessat de
prus.
Carmelu est fueddendi de pobiddas cun su gopai Pierinu.
Pierinu: Ma as intèndiu ca in Arabia podis teni cincu pobiddas?
Carmelu: Biadus cussus!
Pierinu: Poita a tui no t’iat a praxi?
Carmelu: No ddu creu, no!
Pierinu: E poita no?
Carmelu: Oghinò, mi tocat a coxinai, sciaquai is pratus e a stirai no po una, ma po cincu
pobiddas!
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Carmelu est bessendi de farmacia e in sa porta incontrat a Casimiru.
Casimiru: Ma ita ses malàdiu?
Carmelu: Ma cali malàdiu!
Casimiru: Ma insaras, ita ci fais in farmacia?
Carmelu: Mi seu fatu ricetai de su dotori una scatula de Viagra.
Casimiru: Viagra? Ma ita mexina est?
Carmelu: Cun custa pastìlias, arrenèscis a fai s’amori po tre bortas de sighiu.
Casimiru: Ma ita est unu calmanti?
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Clementina est in domu sua cun su piciocu Claudiu.
Claudiu: Prima de mi nci andai ti donu s’ùltimu bàsidu.
Clementina: Unu scèti perou.
Claudiu: Certu, unu scèti e pustis mi ndi andu a domu.
Clementina: Dai unu scèti, e fai in pressi, ca mamma torrat tra duas oras!
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Tziu Angelinu est in s’ambulatòriu fueddendi cun su dotori.
Su dotori: Nerimì, ita lamentat, ita disturbus tenit?
Tziu Angelinu: No arrenèsciu prus a pisciai.
Su dotori: Cant’annus tenit?
Tziu Angelinu: Fatzu norantatres a su mesi ch’intrat.
Su dotori: Insaras, segundu mei, at giai pisciau abastantza!
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Angiulu est fueddendi cun s’amigu Sandrinu de traballus in domu.
Sandrinu: Ma tui dd’agiudas a pobidda tua a fai is pulitzias in domu?
Angiulu: Certu ca dd’agiudu. C’iat a mancai atru.
Sandrinu: E comenti dd’agiudas.
Angiulu: Candu est sciaquendi in terra, e deu seu sètziu in sa poltrona, ligendu su giornali,
àrtziu is peis!
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Toniu est discutendi cun s’amigu Brunellu.
Brunellu: Deu ti nau ca is fèminas bivint de prus de is òminis.
Toniu: E ita ti ddu fait pensai?
Brunellu: Càstia cantu viudas ci funt in bidda!
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Anneta est fuedendi cun dd’unu piciocu chi at connotu in dd’unu locali.
Anneta: Ita traballu fait fostei?
Su piciocu: Deu fatzu unu mestieri chi candu fueddu, sa genti m’ascurtat a buca aberta.
Anneta: Ita fait su polìticu?
Su Piciocu: No! Fatzu su dentista!
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Carmelu est arrutu e unu brunchioni de linna nce dd’est fichiu in s’ogu, arribat s’amigu Cesarinu.
Cesarinu: Ma ita t’est capitau?
Carmelu: Seu arrutu e un arrogu de linna mi nc’est prantau in s’ogu.
Cesarinu: Ti s’es ingortu meda, portas s’ogu prenu de sànguni.
Carmelu: Non est nudda. Finalmenti seu stètiu fortunau!
Cesarinu: Ma cali fortunau, fiasta acanta de ci perdi un’ogu!
Carmelu: Certu ca seu fortunau. Pensa ca si fia arrutu asuba de una frocidda, mi fia ingortu puru
s’atru ogu!
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Bastianu est fueddendi cun s’amigu Florenziu.
Florenziu: Mi ndi seu torrau de Continenti poita si pagat tropu de pesoni.
Bastianu: Ge ddu sciu, ddoi apu bìviu deu puru unu scant’annus.
Florenziu: Pensa ca pagau 800 eurus a su mesi, po una domu pitica cantu de su cèssu chi tengu
in bidda.
Bastianu: Custu est nudda! Pensa ca sa domu aundi bivia, fiat aici pitica ca si a mangianu
aberria sa ventana e intrat su soli, tocat ci bessì deu!
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Gerlandu est in dd’unu stùdiu de unu cardiologu.
Su cardiòlogu: Signor Gerlandu, dd’arregordu ca mi depit ancora pagai s’atra vìsita. Oghinò,
no ddu potzu visitai.
Gerlandu: Castit, ca deu timu is retzetas chi fait, non is minàcias!
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1 aprile 2015
LA SARDEGNA NEL CUORE
21
di Sergio Portas
Borghi autentici: a “Fa’la cosa giusta”
dodici comunità sarde per promuovere
una nuova idea di turismo
A
“Fa’ la cosa giusta” venerdì 13 c’era anche il sindaco
di Milano, attorniato da un nugolo di bambini. Giuliano Pisapia cercava di rispondere alle domande dei
piccoli che gli chiedevano cosa leggesse lui da piccolo, quali
le storie che più lo appassionassero, a che giochi giocasse.
Una delle più grandicelle si è spinta a domandargli della sua
ritrosia a ricandidarsi per un secondo mandato, ma lui è stato
abile a svincolarsi, dice che ci farà sapere dopo l’Expo che, se
si dovesse rivelare un successo planetario come dice Matteo
(il Renzi nazionale) gli eviterebbe fin la campagna elettorale.
Qui alla “vecchia” fiera (quella nuova megagalattica è alle
porte di Rho) c’è quel popolo arancione che lo ha portato a
palazzo Marino, quelli convinti che “il futuro è di chi lo fa”
giorno per giorno, quindi non si sta con le mani in mano ad
aspettare che, poniamo, le guerre finiscano da sé ma, affinché
non diventino buchi neri della nostra coscienza, si approfondiscono i temi delle “guerre dimenticate” con Laura
Bastianetto, portavoce della Croce Rossa Italiana e don
Virginio Colmegna della “Casa della Carità” milanese. E poi
Cecilia Strada di Emergency a raccontarci della cura delle vittime alla difesa non violenta, l’università Cattolica che si rivolge ai giovani aspiranti alla cooperazione dicendo loro che
non basta la buona volontà dei singoli, ma occorre almeno
seguire un corso di laurea nel tema specifico. Qui il turismo è
sostenibile o non è, si prediligono le vacanze a piedi, in bicicletta o a dorso d’asino (quanto potrebbe dire in merito la
Sardegna nostra!) e persino il celeberrimo “Cammino di
Santiago” verrà presentato come “Santiago per tutti”, per viaggiatori lenti (come me) per scelta o per necessità: disabili motori o sensoriali, ma anche famiglie con bambini piccoli, malati,
dializzati, anziani. Il percorso “classico”, da Saint Jan Pied de
Port a Santiago de Compostela e quindi a Finisterre. Il turismo
sommeggiato a dorso d’asino lo propone l’“Ostello dei Balocchi”, alla scoperta dei paesaggi e dei profumi del parco
nazionale dell’Appennino tosco-emiliano.
Allo stand dei “Borghi autentici” si possono avere indicazioni turistiche dei territori che fanno parte della sua rete, territori
“interni”, erroneamente definiti “minori”, che invece come
ognun sa hanno grandi patrimoni di cultura di tradizione e di
identità da offrire a chi ha ancora volontà di stupore.
La Sardegna, finalmente! La fa da padrona con 12 comunità
sulle 37 nazionali (Aggius, Siniscola, Galtellì, Silanus, Olzai,
Collinas, Bolotona, Santu Lussurgiu, Domus Rujas, Laconi,
Masullas, Sardara). Scrive Mariella Cortès su “Tottus in Pari”
che “ad illustrare le peculiarità dei Borghi sardi, promotori di
una nuova idea di turismo, abilità e salvaguardia dei saperi,
saranno i tutor dell’ospite. Si tratta di una figura innovativa,
presente solo per la rete sarda: un abitante del Borgo formato
per accompagnare il turista alla scoperta delle peculiarità e
delle eccedenze locali”. E durante l’incontro di presentazione
verranno raccontati anche i liquori e gli elisir prodotti dall’azienda Lugas di Laconi, bacche ed erbe e fiori raccolti dove
pesticida è termine sconosciuto, i coloranti e i conservanti
sono già componenti naturali del finocchietto selvatico, del
timo, del ginepro, del mirto e dell’elicriso, i metodi e le ricette
quelli tramandati dal sapere di sempre. E gli altri paesi di Sar-
degna? Beh quelli di Sadali a raccontarsi hanno mandato la
Cooperativa “LeTre Fate”, qui al loro stand ce ne sono solo
due: Ornella Piroddi e Barbara Laconi, la bandiera dei quattro
mori vigorosamente esibita tra cascate cristalline e grotte delle meraviglie. Ornella e Barbara tengono a precisarmi che la
coop è formata da nove soci e le tre janas da cui prendono
nome si possono visitare nella grotta sita a soli tre chilometri
dal paese. Dicono che le janas fossero scoperte a cucinare
frittelle da un frate non ben identificato, sapete come sono
queste fate dispettose anzichenò; lo hanno ammazzato, e il
buon dio per far scontar loro tanto peccato le ha pietrificate:
venite a vederle per credere, a Sadali. Confesso che lì sono
sempre andato per mangiarci culurgionis di raffinata qualità,
importante appuntamento è la sagra che vi si svolge la prima
domenica di agosto.
Neanche mille abitanti, antichi mulini ad acqua che dicono di
una ricchezza inusuale per un borgo sardo, quelli della cooperativa accompagnano i visitatori per gli antichi sentieri dei
carbonai a vedere scorci di natura davvero incontaminata.
Anche gli insetti debbono trovarci habitat favorevole, l’ultima volta che ci ho messo piede, ero all’ufficio turistico con
parenti e amici, se n’è entrata saltando una splendida cavalletta lunga non meno di venti centimetri: l’urlo di raccapriccio di
quella “verde” di mia nipote Maria Grazia si deve essere sentito fino alla natìa Guspini. Sadali è sulla linea del “trenino
verde” Mandas- Arbatax, c’è un albergo diffuso “Monte
Granatico”, B&B che si chiamano “Le Case del Folletto”, aziende arboristiche e pasticcerie e pastifici che promettono
squisitezze di culurgiones e sebadas.
Anche quelli di “Tèssere” hanno mandato qui due ambasciatrici a tutti rappresentare, sono a Baunei e a Cardeu, in Ogliastra
e, come leggo nel loro sito internet, hanno idea che può esserci un mondo nuovo di pensare il lavoro, di vivere l’ambiente,
di instaurare relazioni tra le persone, con la convinzione che
nelle pieghe della tradizione si trovi una ricchezza unica da
valorizzare e proteggere. Franca Cucca, detta “Penelope” tanto è brava al telaio orizzontale, mi dice che il telaio è come un
pianoforte, occorre saperlo suonare. Raccogliamo materiale
tessile usato, dice Penelope che più è vecchio il tessuto meglio è, che ha già conosciuto lo stress della lavorazione, tutti
gli scarti possibili e immaginabili vanno bene purché siano
lavati e disinfettati prima della donazione. Il tutto poi viene
trasformato e lavorato al telaio o ricucito e riconvertito. Siamo
sette fisse a Cardedu e altrettante a Baunei, tutte donne. L’idea
iniziale di Augusta Cabras, che è la presidentessa, mentre in
pizzeria era con tale Lina Pisano, gettando un’occhiata a un
arazzo esposto sulla parete, meno bello di quelli che si facevano una volta al suo paese. Sono riuscite a farsi finanziare dalla
fondazione “Con il Sud”, quinti in Italia. Le cose che espongono qui a Milano sono davvero belle, Stefania Lai mi mostra
una gonna “reciclata” che ha ideato una stilista cagliaritana,
lei e Franca paiono essere nate col telaio in mano e in realtà
hanno iniziato questo lavoro solo da pochi mesi a dimostrazione di un’abilità connaturata col loro Dna. Mi parlano dei
loro telai con la passione di un amante, per cui se si rompe
l’asola di sotto ti tocca lavorarci come fa un meccanico sotto
il motore di una Ferrari, telai che si compongono di cosce,
seppur di legno, di cavalli e cavallini, se ho ben capito una
sorte di aste, con una croce tenuta da una “suocera”, e poi
telai con un filo per dente o con due fili , e 50 o 70 denti in dieci
centimetri di tessuto. Un mondo di meraviglie e di tecnica,
quasi tutto femminile.
A tenere su la reputazione dei maschi sardi c’è Maurizio
Savoldo, di Atzara, espone gomitoli di lana a tintura naturale,
di pecore sarde e merinos, l’azienda ha nome “La Robbia”. 26
tonalità di colori tutti rigorosamente ottenuti dalla macerazione
di piante colte in loco, ad Atzara tengono anche corsi di tintura naturale affiancati da escursioni nelle locali campagne per
la raccolta delle diverse specie botaniche occorrenti. E anche
loro fanno tappeti e arazzi, copri-tavola e cuscini. Mi dice
Maurizio che tre giorni di fiera sono pochi per farsi conoscere
davvero e che in ogni caso anche lui sta indirizzando la produzione ad un mercato che non sia solo sardo o solo italiano,
anche se riconosce che l’interesse per il suo prodotto e la
filosofia che lo sostiene cresce di anno in anno. Qui intorno ci
sono laboratori che ti insegnano a far di tutto, dal lucida labbra al cioccolato al repellente per le zanzare, che debbono
essere scacciate dalle case ma non uccise: gli animalisti non
approverebbero.
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1 aprile 2015
ESSERE FINALMENTE DONNA
“Le difficoltà sono cominciate a undici anni. Ero considerata una persona diversa, non
normale. Ho trascorso anni
davvero difficili, anche perché
io non capivo il motivo di tanto odio e cattiveria nei miei
confronti. Avevo davvero paura. Ora sono pronta al prossimo passo per completare così
il mio sogno di donna”.
Marcella, una vita
straordinariamente normale
Fin da bambino si sentiva a disagio. Vittima di bullismo a scuola.
Poi la nonna, apparsa in un sogno, la spinge ad operarsi
e raggiungere finalmente “la felicità”.
di Marcella Pistis
S
entirsi intrappolata in un corpo che non le appartiene.
Combattere a costo di rischiose cure ed emarginazione
sociale. Marcella ha vissuto per 36 anni dentro una gabbia, inizialmente arrugginita e tanto dolorosa. Col tempo ha
imparato a conviverci e a tramutarla in gabbia dorata, ma era
pur sempre una prigione per la sua anima.
È da qui che inizia la coraggiosa storia di Marcella Ibba, la
storia di un cambiamento che l’ha portata al raggiungimento
di un unico obiettivo: essere finalmente donna. Maquillage
impeccabile, rimmel che evidenziano gli occhi, un cappello
che incornicia il viso e immancabili stivali neri tacco 12.
Marcella sta lì, difronte allo specchio del suo salone “Me” a
San Gavino, per darsi un ultimo tocco. Mi sorride, mi accoglie,
mi abbraccia e, poi scocca l’incantesimo: racconta…
Quando ha capito che qualcosa non andava?
Avevo sei anni. Ricordo che ogni giorno andavo a trovare mia
nonna e con lei passavo il tempo a pregare. Lei infatti m’insegnò a pregare a ringraziare per quello che avevo e a chiedere
a Dio un desiderio. Il mio desiderio era uno solo: “Ti prego
Gesù, fammi svegliare femmina”.
Com’era da bambino? Descriviti.
È difficile descrivermi, chiaramente giocavo con le bambole,
mi piaceva tagliare i capelli alle Barbie delle mie sorelle; avevo
una spiccata predisposizione per il lato artistico, per cui mi
dilettavo a disegnare; adoravo cogliere i fiori e creare acconciature alle mie sorelle, alle mie cugine. Quando giocavo coi
miei cugini, prendevo sempre la parte della femmina.
Quando ha cominciato a sentirsi a disagio?
Il primo periodo in cui mi sono sentita a disagio avevo 11 anni.
È stato quando iniziai a frequentare la scuola media, in particolare i primi anni. Ricordo il primo giorno, arrivai nel piazzale
dove formavano le classi. Sentii poi la voce di un compagno
che disse: «io non voglio stare in classe con quel …». Per la
prima volta in vita mia pensai: “Dio mio, c’è qualcosa che non
va” . Prima di allora non ero totalmente consapevole della mia
condizione. Per gli altri ero considerata una persona diversa,
non normale. Da quel momento iniziò il mio incubo. Avevo
paura di parlare, perché venivo sempre derisa ed emarginata.
Non volevo proprio andarci a scuola. Ero incompresa sia dai
compagni sia dai professori che, non capendo il mio blocco,
mi bocciarono. Tuttavia quel rifiuto fu, al tempo stesso,
propedeutico perché mi salvò la vita.
E fuori dalla scuola come viveva questa condizione?
La situazione non era differente, io avevo terrore di uscire. Per
strada m’insultavano, mi lanciavano pietre, mi sputavano addosso. Avevo terrore persino di andare a fare la spesa perché
mi spaccavano le buste: ogni volta dovevo raccontare bugie a
mia mamma: dicevo che ero caduta o qualsiasi cosa affinché lei
mi credesse e non si preoccupasse per me. Quando tornavo a
casa, ricordo che mi rinchiudevo in camera, tormentata dall’impossibilità di trovare una via d’uscita. Spesso ho pensato al
suicidio, l’unico motivo che mi fermava erano i miei genitori.
Com’era il suo rapporto con i genitori?
Non si parlava di questo, mia mamma sicuramente lo sapeva e
capiva, ma in quel periodo c’era poca preparazione da entrambe le parti. Nonostante l’argomento fosse celato, dentro di
noi si respirava paura perché non colpivano solo me ma an-
che le mie sorelle.
Sono stati anni difficili per lei.
Davvero difficili, anche perché io non capivo il motivo di tanto odio e cattiveria nei miei confronti. Se io ero così a loro cosa
cambiava? Per la mia strada ho incontrato gente davvero cattiva. Mi nascondevo dietro le macchine. A giorni avevo attacchi di panico quando vedevo gruppi di ragazzi che mi venivano incontro. Avevo davvero paura.
Poi cosa è successo?
Poi finalmente, gli ultimi due anni delle scuole medie (dai 14 ai
16 anni) sono stati emblematici. Capitai in una classe in cui,
finalmente, i professori mi videro non più come un diverso,
ma come un ragazzino dotato di straordinarie potenzialità
creative. Devo molto a tre insegnanti in particolare: la professoressa di lettere, Rosalba Sanna; il professore di tecnica ma
soprattutto la professoressa di musica, Patrizia Cardone, che
è stata per me una stella cometa. Sono stata apprezzata, valorizzata, dando spazio al mio talento; realizzando un mio spettacolo musicale. Riscosse talmente tanto successo che ancora oggi se ne parla. Fu proprio da quell’esperienza che presi
coscienza delle mie attitudini artistiche per dare il nuovo senso alla mia vita.
Terminato il mio percorso scolastico, decisi quindi di entrare
nel mondo della bellezza e di fare un corso per parrucchiera a
Cagliari. Altro trauma, gli insulti in ogni dove: in treno, sotto i
portici, per strada, tuttavia stavo imparando a non ascoltare,
nonostante facesse comunque male. Ebbi l’opportunità di lavorare presso un salone a San Gavino, imparai il mestiere e poi
capii che era arrivato il momento di spiegare le ali e volare da
sola. Decisi di lanciarmi ed aprire il mio salone che intitolai
“Estro”. Estro stava per “vena artistica” ma anche come
“Estrogeno”, ossia l’ormone femminile. E da lì è nata la mia
avventura. La persona che sono sempre voluta essere stava
emergendo. Il mio salone è rimasto aperto per sei anni. Fino a
quando ho capito che avevo raggiunto il mio obiettivo, il mio
ruolo ormai mi stava stretto, ero chiusa nella mia parte da
attrice e questo non mi bastava più. Era diventato tutto fermo,
statico. A trent’anni sono partita a Londra.
Come è cominciato il suo percorso?
Dopo quattro anni a Londra, incuriosita da questo mondo,
frequentai vari locali per capire a quale appartenessi. In un
primo momento mi avvicinai a quello gay ma capii che non
c’era un riscontro. Cominciai quindi a seguire persone in transito che prendevano ormoni, altre che avevano già subito
l’intervento (la vaginoplastica) che mi informarono sui passi
che dovevo compiere.
Si è rivolta ad un medico?
Certo. Il mio primo passaggio è stato l’incontro con uno psicologo. Ricordo che durante la prima seduta mi domandò:
«che cosa stavi aspettando?».
Perché ha esitato così tanto, nonostante sapesse di appartenere a un mondo diverso?
Mi bloccava il pensiero di mio padre. Mi sentivo in colpa nei
suoi confronti. Per colpa mia subì anche lui offese e non meritava un altro colpo di grazia. Non volevo provocargli un’altra
sofferenza. Però poi ha prevalso il mio spirito. Organizzai un
party, in occasione del mio compleanno, dove vennero a tro-
varmi tanti amici di San Gavino. Colsi quindi l’occasione per
dichiarare a tutti la mia decisione. Mia sorella, che mi appoggiò dal primo momento, esultò di gioia ma mi ordinò di fare
subito il biglietto e dirlo ai miei. Così mi armai di coraggio e
affrontai, per la prima volta ,questo discorso legato ad un
passato doloroso ma necessario per chiudergli definitivamente
la porta. Il momento fu davvero delicato ma la reazione fu
imprevista. Mia madre disse «sono cose che si vedono tutti i
giorni. Voglio solo che tu sia felice e che faccia bene le cose».
Tornavo spesso a casa proprio perché non vedessero cambiamenti radicali ma che tutto avvenisse gradualmente.
Come è cominciata la trasformazione?
È iniziata a 36 anni con sedute psichiatriche e psicologiche; i
medici mi hanno seguito e preparato fino all’ultimo intervento. Dopo due mesi di sedute cominciarono a somministrarmi
ormoni. Dopo una settimana ero già una donna. Ero un’esplosione, indomabile. Dovetti associare sedute di meditazione
per calmarmi.
Come ha risposto il suo corpo?
Immediatamente. Due mesi dopo avevo già il seno sviluppato. Nonostante fosse doloroso era una sensazione meravigliosa. Era estate, le canottiere facevano già trapelare qualcosa e a me piaceva tantissimo vedermi finalmente donna, o
meglio quasi donna. Possedevo ancora qualcosa che non mi
apparteneva. Mi sentivo ancora una donna a metà.
Com’era quel mondo di transizione, ci si ritrovava?
Entrando in quel mondo, incontrai persone di ogni tipo, c’erano quelle che volevano fare di tutto per rendersi più femminili
possibile, affidandosi a numerosi interventi. Ascoltarle mi faceva paura, io sapevo che ero così, non per forza dovevo
farmi labbra carnose, ingrandirmi gli zigomi e truccarmi eccessivamente. Io non mi sono mai avvicinata all’esagerazione.
Non ho fatto questo passo per piacere agli uomini ma a me
stessa! Mi sono semplicemente perfezionata fisicamente, non
voglio essere un’altra persona. Marcella è sempre stata
Marcella.
Quali interventi chirurgici ha subito?
Dopo quattro anni di cure ormonali, ho subìto il mio primo
intervento che consisteva nell’assottigliarmi le corde vocali e
limarmi il pomo d’Adamo. Un anno e mezzo dopo, nell’agosto
del 2012 quello definitivo: la vaginoplastica, durato sei ore.
Chi le è stato vicino in quegli anni?
Tim. Tim fu dapprima il mio ragazzo, ora è il mio migliore amico.
Lo considero come mio fratello Gianluca, che non ho mai conosciuto e che ora lo guida. È spinto dall’amore di mio fratello.
Ma il mio angelo custode che veglia sempre su di me è la mia
nonna. È a lei che devo tutto, è il suo spirito che mi ha spinto
ad intraprendere questo percorso.
Cosa le manca?
Mi manca forse un compagno, ma quello giusto. Ora non mi
voglio più accontentare e so che dietro quella porta esiste.
Devo solo aspettare e sono sicura che arriverà, mia nonna
dice che devo avere pazienza. Ora sono pronta al prossimo
passo per completare così il mio sogno di donna.
Termina così l’avvincente racconto di Marcella i cui protagonisti sono quegli occhi, ora pieni di gioia, e che più eloquenti
di mille parole hanno descritto la storia di una ragazza straordinariamente normale.