La rassegna di oggi

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La rassegna di oggi
RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – giovedì 16 febbraio 2017
(Gli articoli di questa rassegna, dedicata prevalentemente ad argomenti locali di carattere economico e sindacale, sono
scaricati dal sito internet dei quotidiani indicati. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti)
ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE (pag. 2)
Piano casa contro la crisi (M. Veneto e Gazzettino, 4 articoli)
Pilosio, slittano le commesse. Cassa per 123 addetti in Friuli (M. Veneto, 2 articoli)
Rischio scissione in Regione. Travanut: «Bivio decisivo» (M. Veneto)
Film, spot e serie tv. Business da 10 milioni (Piccolo)
CRONACHE LOCALI (pag. 6)
Bofrost, 30 esuberi al call-center Overtel (Gazzettino Pordenone)
Libri per la scuola: insegnante regala il “bonus docenti” (M. Veneto Pordenone)
Edilizia in caduta libera in Alto Friuli (M. Veneto Udine)
Chiusaforte, bando del comune per quattro disoccupati (M. Veneto Udine)
Palmanova, emergenza lavoro: una persona su 4 ha problemi di reddito (M. Veneto Ud)
Sedegliano, studio sulla fusione. Risparmi su personale e pratiche (M. Veneto Udine)
Riecco la centrale a biomasse. Sarà pronta entro l’anno (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
Duca d’Aosta, una “iniezione” di 1,5 milioni (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
Ripudiata Monfalcone. Grado “esce” dall’Uti per stare con Aquileia (Piccolo Go-Monf.)
I triestini bocciano i servizi pubblici (Piccolo Trieste)
Dai mini alloggi alle ville storiche. Le proprietà fantasma del Comune (Piccolo Trieste)
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ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE
Piano casa contro la crisi (M. Veneto)
di Michela Zanutto - Un piano casa per combattere la crisi economica. È la proposta arrivata ieri
nell’ambito del primo degli appuntamenti della seconda giornata di Future Forum. A lanciare l’idea
è l’Afe, l'Associazione Friuli Europa, attraverso il suo vice presidente Sandro Fabbro. Un’idea che
si basa sull’osservazione dell’esistente: «In Friuli Venezia Giulia ci sono 300 mila edifici costruiti
prima degli anni Settanta – ha sottolineato Fabbro –, ipotizzando di riqualificare dal punto di vista
energetico anche solo un terzo del patrimonio con un intervento medio di 50 mila euro, si genera un
piano da 5 miliardi, di cui uno di spesa pubblica regionale e il resto dai privati». A discutere del
tema assieme a Fabbro, dopo i saluti del componente di giunta camerale Graziano Tilatti, anche
Alessandro Colautti, componente della IV commissione consiliare regionale; Roberto Muradore,
segretario generale della Cisl dell’udinese e della Bassa friulana; Roberto Contessi, capogruppo
della sezione “Industrie costruzioni edilizie” di Confindustria Udine, intervistati dal caporedattore
vicario del Messaggero Veneto Paolo Mosanghini. Secondo Fabbro, «negli ultimi anni la capacità
della regione di produrre ricchezza ha subito un arretramento più forte che in altre regioni: è 15ª in
termini di perdita di Pil. Occorrono dunque almeno due misure di investimento, una di breve e una
di lungo periodo, per uscire dalla gabbia in cui il territorio è finito». Stando ai dati del Fondo
monetario internazionale relativi al 2015, il Pil del Friuli Venezia Giulia dal 2008 al 2014 ha perso
il 14 per cento del suo peso. Restando nell’ambito del Nordest il Fvg è la regione che ha prodotto il
ruolino di marcia peggiore, 15ª su 20 a livello nazionale. L’obiettivo del “Piano straordinario
regionale anticrisi” (che sarà presentato nei dettagli operativi il 3 marzo dall’Afe) è,
prioritariamente, «il forte rilancio dell’occupazione attraverso la rigenerazione del capitale
territoriale regionale. Le risorse per finanziare il Piano – ha precisato Fabbro – dovrebbero essere
prevalentemente private, attivate da una significativa leva finanziaria pubblica regionale». Un
impegno, per il bilancio regionale, di almeno 200 milioni l’anno, per Fabbro «del tutto sostenibile».
Inutile pensare di costruire ex novo, secondo il numero due dell’Afe, alla luce dell’enorme
patrimonio inutilizzato in Friuli Venezia Giulia. Stando ai dati Istat relativi al 2011, il 3,6 per cento
del patrimonio immobiliare era inutilizzato. Parliamo di circa 300 mila case vuote, che potrebbero
essere riutilizzate. Da considerare anche che tra il 2013 e il 2015 gli emigrati iscritti all’anagrafe
degli italiani residenti all’estero passano, in Friuli Venezia Giulia, da 162 mila 203 a 172 mila 88
con una crescita di 9 mila 885 unità che incidono, sui residenti, per il 14,09 per cento dove in
Veneto, per esempio, lo stesso indicatore è pari al 6,9 per cento, stando ai dati pubblicati nella
Regione in cifre (2016). «Quindi il Friuli Venezia Giulia è oramai uscito dalle medie del Nordest
perché è maglia nera di un intero territorio – rimarca Fabbro –. Se leggiamo assieme suolo,
insediamenti e popolazione, non possiamo che concludere che, essere tra i perdenti della
globalizzazione, si traduce in una forte contrazione del capitale territoriale e che siamo, forse da più
di una decina d’anni, dentro una fase di forte deterritorializzazione. Poiché il capitale umano si sta
impoverendo più velocemente che nel resto d’Italia e d’Europa e gli insediamenti sono in buona
parte sottoutilizzati oppure obsoleti con intere aree che si spopolano». Dal Piano lanciato dall’Afe,
che tenta di rimettere in piedi le sorti economiche di un territorio, passerebbe il doppio beneficio
della «messa in sicurezza del patrimonio esistente esposto a rischio sismico», ha sottolineato
Fabbro. Ma ci vuole un cambio di passo in tutto il sistema, hanno convenuto tutti i relatori, a partire
da una burocrazia che si è avvitata su se stessa, a discapito di cittadini e imprese. E non solo.
Secondo Muradore, «per costruire oggi il futuro della regione va compresa la specificità dei singoli
territori. E non l’abbiamo ancora fatto. Ma ricette uguali per diseguali sono sbagliate». E se per
Contessi dovremmo anche cominciare a guardare a chi fa meglio di noi, come il Trentino Alto
Adige, con tutte le differenze del caso, Colautti ha evidenziato come quella regione abbia «messo
un filtro nella contribuzione al debito nazionale. Fino al 10 per cento e poi – ha detto con una
metafora – lo Stato deve “suonare loro il campanello” e chiedere il permesso. Mentre noi non
abbiamo messo una soglia. E questa è una battaglia da fare».
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Un bonus sulle case sfitte (Gazzettino)
Allo studio diversi sostegni per sbloccare parte di un patrimonio di 40mila alloggi
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Accusa dei costruttori: «Manca una strategia per superare il declino»
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Muradore spiega il consenso del sindacato: «Così facciamo crescere anche l’indotto»
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Pilosio, slittano le commesse. Cassa per 123 addetti in Friuli (M. Veneto)
di Michela Zanutto - Pilosio ricorre alla cassa integrazione straordinaria per i 123 dipendenti dello
stabilimento di Feletto (con l’ok del sindacato). L’ammortizzatore sociale sarà utilizzato a rotazione
in base ai carichi di lavoro per il 15 per cento del personale, vale a dire una ventina di persone. «Qui
il problema sono gli anni precedenti, non questo - sottolinea Pasquale Stasio, segretario regionale
della Fim Cisl e referente della categoria per Udine -. I 40 milioni di fatturato centrati in passato
erano per così dire “dopati” da Roots che se ne prendeva più o meno la metà. Venute a mancare
quelle commesse adesso la struttura non è più dimensionata alle richieste e comincia a diventare
pesante». La decisione dell’azienda è stata presentata al sindacato ieri dall’amministratore delegato
Johann Strunz durante un incontro tra i vertici aziendali e le organizzazioni di categoria, prima
dell’assemblea sindacale con i dipendenti. «Come sindacato abbiamo detto che capiamo le difficoltà
e apriamo l’ammortizzatore sociale - ha aggiunto Stasio -. Ma ora vogliamo vedere il Piano
industriale, con dati definiti, e poi vediamo cosa succede nel giro di un anno». Lo spauracchio è la
dichiarazione di esubero della ventina di posti, per l’esattezza 22, al momento oggetto della cassa
integrazione. «Se le condizioni per ridurre il numero di lavoratori si saranno create, allora vedremo
come fare», ha aggiunto Stasio. In una nota diffusa nel pomeriggio di ieri l’azienda ha spiegato che
«a causa dello slittamento di alcune commesse si rende necessario il ricorso alla cassa integrazione
straordinaria, che riguarderà i 123 dipendenti della Pilosio spa, cioè solo della sede produttiva di
Feletto Umberto e non delle filiali estere. Il personale era stato interessato nel recente passato da un
contratto di solidarietà terminato lo scorso novembre. L’obiettivo è di utilizzare la Cig durante i
prossimi mesi, dando comunque continuità agli ordini già acquisiti e che saranno acquisiti». In
questa fase Pilosio è impegnata nella redazione di un piano industriale che si estenderà durante il
corso del Cigs e, al termine del quale, «verranno fatte le relative valutazioni». L’amministratore
delegato Strunz ha fatto il punto anche sulla redazione del piano di concordato preventivo che deve
essere depositato al tribunale di Udine entro 120 giorni dalla richiesta di accesso alla procedura,
avvenuta lo scorso 26 gennaio. Se il bilancio 2016 chiude a 17 milioni, la stima «prudenziale» fatta
per il 2017 scende a 15. In programma c’è anche la chiusura dell’ufficio di Milano e si sta
valutando il destino del piccolo hub di Treviso. Sulla bilancia in questo caso vanno i costi e i
benefici di un polo che rappresenta il contatto diretto con la clientela del Veneto. A Treviso
lavorano tre persone fra cui un progettista tecnico e un operatore di front office. Un’altra tegola
caduta sulla testa dei dipendenti che, insieme all’amministratore delegato e alla proprietà, sono
impegnati nel salvataggio dell’azienda. Per loro infatti è arrivata anche una brutta sorpresa nella
busta paga di gennaio, perché lo stipendio fuori dal concordato e relativo cioè ai primi venti giorni
di gennaio è stato congelato, come previsto dalla legge. «Ho contattato personalmente la
commissaria Daniela Kisling e l’azienda per capire se era possibile fare pagare in via eccezionale
questi venti giorni - ha sottolineato Stasio -, ma l’iter prevede una richiesta formale al tribunale che
si serve del parere della commissaria. E Kisling ha già fatto sapere che preferisce stabilizzare la
situazione di cassa prima di avvallare pagamenti ai dipendenti. Per questa ragione se ne riparlerà
dopo l’estate. Siamo già entrati in contatto con l’assessorato al Lavoro e adesso è in calendario un
incontro con l’assessorato all’industria per aprire un focus regionale sulla vicenda».
Roustayan: io non ho colpe, l’attuale gestione è disastrosa
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Rischio scissione in Regione. Travanut: «Bivio decisivo» (M. Veneto)
di Mattia Pertoldi - L’ombra della scissione interna al Pd si allunga sino in Fvg e, in particolare,
all’interno del Consiglio regionale dove il primo ad ammettere – pubblicamente – che nel caso in
cui i renziani non dovessero tornare sui propri passi sarebbe pronto allo strappo è Mauro Travanut.
Non una novità, si dirà, viste le tante critiche, aspre e dure, del consigliere della Bassa nei confronti
del Pd renziano. Questa volta, però, Travanut va oltre e lascia trapelare la possibilità, in caso di
rottura a Roma, di dare vita a piazza Oberdan a un gruppo consiliare nuovo. Con chi, visto che da
regolamento servono almeno tre persone? Travanut non lo dice, ma a Palazzo si fanno i nomi di
almeno due altri possibili consiglieri: Silvana Cremaschi e Stefano Pustetto. Consigliere che
impressione le ha dato, lunedì, l’intervento di Matteo Renzi in direzione? «La parte iniziale è stata
sgangherata e carente, pur se pronunciata da un fiorentino, dal punto di vista lessicale e piena di
vuoti logici. Devo dire che la teatralità, invece, non è stata male, per quanto ormai conosciuta e
consumata. La parte peggiore, però, è stata la chiosa finale». Per quali motivi? «Chi riveste i panni
del capo deve essere saggio, non esattamente l’opposto, facendo sintesi tra le diverse voci ed
evitando di giocare una partita strana, votata unicamente al proprio successo personale. Ho ascoltato
tutti gli interventi. Certamente ce n’erano di contrastanti, ma tutti davano alcuni suggerimenti.
Perfino il ministro Andrea Orlando ha provato a smussare le posizioni, eppure Renzi ha reagito
semplicemente raccogliendo il tutto e gettandolo nel vuoto. E io continuo a essere allibito dal fatto
che il Pd sia condotto da un segretario di questo tipo». La scissione, dunque, per lei è inevitabile?
«Non lo so, certamente c’è da sperare che il partito non sia ridotto così male da continuare a farsi
guidare da Renzi. Le strade possibili sono due: il segretario continua a restare ottuso, e allora le
conseguenze saranno figlie della sua mancanza di acutezza, oppure i suoi amici e chi gli sta vicino
lo convince a tenere conto, in assemblea, dell’intero corpo del partito». Quando parla di amici si
riferisce al presidente e ai due vicesegretari? «Figuriamoci, abbiamo già visto troppe volte come si
inchinino al volere del capo. No, spero in Dario Franceschini». La situazione in Regione, invece,
qual è? «È lo specchio del nazionale, con la differenza che non penso che Antonella Grim voglia
silurare Debora Serracchiani. Ci sono sfasature di carattere storico-particolaristico, ma di fatto da
noi la presidente è anche la segretaria del Pd, considerato come il partito non si è mai staccato
dall’alveo di chi comanda». Grim ha allargato la segreteria... «Per cortesia. Noi le avevamo
suggerito: azzera tutto, mettiamo a posto le cose e poi facciamo il congresso. Il tutto, invece, si è
risolto inserendo un paio di figurine in segreteria, cioè ampliando il parco, ma lasciando il contorno
identico a prima invece di invitare a entrare coloro che danno fastidio perché liberi di pensiero». Ma
se i bersaniani dovessero andarsene dal Pd, lei cosa farebbe? «Andrei con loro. Sicuramente non
resterei nel campo dei renziani. La mia natura è precisa e voglio salvaguardare la mia psiche in
senso lato». Formando un nuovo gruppo in Consiglio? «La vicenda nazionale ha stretti legami con
quella regionale. Spero che Franceschini sia bravo, ma se continuano a sputarci addosso, non
resterò supino a subire i maltrattamenti. Con chi uscirei? I coraggiosi non saranno moltissimi, ma
esistono ancora».
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Film, spot e serie tv. Business da 10 milioni (Piccolo)
di Diego D’Amelio - Il cinema è la macchina dei sogni, ma anche un formidabile motore per
l’economia. La considerazione vale anche per il Friuli Venezia Giulia, che nel corso del 2016 ha
registrato una spesa da 10 milioni da parte delle produzioni che hanno girato in loco film, serie
televisive, pubblicità e video musicali. A tanto ammonta l'indotto economico complessivo generato
da società italiane e internazionali, attirate dai finanziamenti messi a disposizione dalla Regione
attraverso Fvg Film Commission e dalla possibilità di contare sulla versatilità delle ambientazioni,
che in un raggio di meno di cento chilometri alternano mare, montagna, campagna, città d'arte e
piccoli paesi. Tra cinema, tv e pubblicità, le produzioni del 2016 sono state 26, per un totale di 434
giornate di lavorazione, di cui 329 di ripresa. Quasi undicimila i pernottamenti alberghieri: una
media di trenta al giorno nel corso dell'intero anno. E non sono mancate nemmeno le ricadute
occupazionali, con 231 professionisti del settore, 88 attori e 3.228 comparse reperiti in Fvg e
coinvolti nelle riprese. L’anno appena passato è stato di quelli di ricordare, grazie soprattutto al
forte impatto economico della fiction Rai “La porta rossa”, la cui troupe ha lavorato in regione per
oltre cinque mesi, movimentando un indotto di oltre 4 milioni. Il 2016 ha segnato inoltre il ritorno a
Trieste di Gabriele Salvatores per la realizzazione del seguito de “Il ragazzo invisibile”, prodotto
dalla Indigo Film: undici settimane di riprese e una spesa diretta sul territorio di 1,6 milioni, cui si
sommano altri 1,2 di indotto. L’effetto moltiplicatore è di quelli importanti, se si pensa che il Film
Fund regionale ha finanziato la produzione con 200mila euro. La Fvg Film Commission, andata
incontro a pesanti tagli e dure polemiche durante la passata amministrazione regionale di
centrodestra, ha incassato 1,2 milioni nel 2016: 270mila euro sono serviti al funzionamento della
struttura, mentre 930 mila sono andati a costituire il Film Fund, sostenendo dunque le spese delle
produzioni. Un caso per nulla isolato in Italia, dove è in atto una vera e propria competizione fra i
territori per accaparrarsi le produzioni ad alto budget, attirandole con i contributi pubblici alle
riprese. I risultati in Fvg non sono mancati, posto che per ogni euro di spesa pubblica ha generato un
indotto di dieci euro. La scomodità dei collegamenti è passata in secondo piano nelle valutazioni
delle produzioni che hanno scelto il Fvg, attirate dal finanziamento regionale, dalla bellezza dei
luoghi e della capacità della Film Commission di reperire location adatte e maestranze all’altezza.
La strategia di sostegno al cinema ricade così anche sull'economia reale e il cinema finisce per
generare indotto e creare posti di lavoro. Discorso valido non soltanto per le grandi produzioni
come "La porta rossa" e "Il ragazzo invisibile", ma anche nell'eventualità di presenze più
circoscritte. È il caso di “Sembra mio figlio”, lungometraggio di Costanza Quatriglio, girato per
quattro settimane in Fvg e ora atteso alla prossima edizione di Cannes. Ma anche di film come
“Easy” di Andrea Magnani (coproduzione italo-ucraina) o di coproduzioni italo-slovene come
“Storie di boschi di castagne” di Gregor Bozic e “Comedy of tears” di Marko Sosic. Nel 2016
Trieste e il Fvg sono stati inoltre sede di dieci spot pubblicitari, fra cui quelli di Jaguar, Ikea,
Mercedes, Toyota, Ferrero e Dacia. Oltre al girato, l'anno scorso ha segnato importanti
soddisfazioni per le vetrine internazionali di alcuni dei film girati in precedenza in Fvg. Tre sono
stati proiettati al Festival di Cannes, a cominciare da “L'ultima spiaggia”, il documentario di Davide
Del Degan e Thanos Anastopoulos dedicato al Pedocin di Trieste. Sulla Croisette hanno camminato
inoltre Alessandro Comodin e Laura Samani, registi rispettivamente di “I tempi felici verranno
presto” e “La Santa che dorme”. A Venezia è stato invece presentato “Monte” di Amir Naderi,
premiato con il Glory to the Filmaker Award 2016. Il presidente di Film Commission Fvg, Federico
Poiullucci, ritiene che i «benefici economici generati siano sotto gli occhi di tutti. Oltre ai ritorni di
spesa e di immagine, sono sempre più incoraggianti i dati sull'occupazione di personale locale: negli
anni si è formato un vero e proprio comparto professionale e le case di produzione, per tradizione
restie ad assumere sui territori, sanno ormai che in Fvg si lavora bene, con personale affidabile ed
altamente preparato. La consistenza dei benefici dimostra la bontà dell'approccio su cui si basa
l'istituzione dei fondi regionali: non si tratta di una logica assistenzialistica o concentrata solo sul
piano culturale, ma della valorizzazione del settore come risorsa economica per la regione».
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CRONACHE LOCALI
Bofrost, 30 esuberi al call-center Overtel (Gazzettino Pordenone)
Lara Zani - Trenta esuberi fra i 115 dipendenti del call center di San Vito che lavora per Bofrost. Lo
ha annunciato la società che lo gestisce, Overtel, chiarendo che alla riduzione di personale a San
Vito si affiancherà il taglio di altri 40 posti nelle altre sedi italiane. «Nonostante l'impegno e tutti gli
sforzi fatti in questi anni per tenere alto il modello di business della vendita al telefono - ha spiegato
l'Ad di Bofrost Italia Gianluca Tesolin -, la realtà è che le vendite tramite call center stanno da
tempo segnando il passo. Già a settembre scorso, annunciando i dati della trimestrale, abbiamo
registrato nel comparto un calo del 5,1%, pari a 1,5 milioni di euro in meno rispetto all'anno
precedente. E questo a fronte della crescita della vendita tradizionale, porta a porta, dove le
assunzioni sono continue». La decisione è tanto più drammatica in quanto va a colpire non solo
un'area, quella del sanvitese, già pesantemente colpita dalla crisi, ma anche perché a pagarla sarà
personale pressoché interamente femminile e per il quale il ricollocamento appare non semplice.
Grande, dunque, la preoccupazione nelle due assemblee sindacali che si sono tenute ieri, in
mattinata e nel pomeriggio, e che sono state molto partecipate. «Innanzitutto - spiega Daniela Duz
(Filcams Cgil) - occorre capire ora quale sarà esattamente la distribuzione degli esuberi fra i diversi
settori nei quali sono impiegate le operatrici, se cioè saranno spalmati fra tutti o concentrati in un
unico settore. C'è da dire, fra l'altro, che fra tutte le nove sedi italiane, San Vito è quella che paga il
prezzo più alto di questa decisione». Il tavolo con l'azienda è già fissato per il 27 febbraio, a
Bologna: «Ci auguriamo - continua Duz - che l'azienda si presenti al tavolo con la disponibilità ad
applicare tutti gli ammortizzatori sociali di cui sarà possibile usufruire e ad aprire una procedura di
mobilità esclusivamente volontaria». Nel frattempo, l'assemblea dei lavoratori ha dato mandato alle
organizzazioni sindacali di dichiarare da ieri lo stato di agitazione, con la possibilità dunque che nei
prossimi giorni si possano decidere iniziative di sciopero: «È ovvio - conclude Duz - che il
malumore è fortissimo e così lo stato di preoccupazione per tutta una serie di scelte aziendali che
sono state fatte. Ora ci attendiamo disponibilità».
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Libri per la scuola: insegnante regala il “bonus docenti” (M. Veneto Pordenone)
di Chiara Benotti - Investe il bonus docente di 500 euro in libri e li dona tutti alla biblioteca
scolastica: è una maestra che nell’istituto comprensivo a Porcia ha l’istruzione nel cuore. Per offrire
buone letture a mille alunni del comprensivo, non ci ha pensato troppo e ha acceso il verde alle
buone pratiche. «L’ho fatto per il bene della scuola – ha raccontato l’insegnante al sindacato FlcCgil
–. Non voglio protagonismi né medaglie, perché il bene dell’istruzione è molto diverso dalla Buona
scuola». Eroi civili in aula: tanti docenti che, come la maestra purliliese hanno rinunciato allo
shopping (tablet, personal computer, libri e abbonamenti al cinema o teatro) con 500 euro. «Brava
la maestra che ha dato un esempio al pianeta istruzione pordenonese: il 90% non vuole assegni di
“premialità” sulla base di giudizi soggettivi dei dirigenti nè bonus – è questo il commento di
Giuseppe Mancaniello sindacalista FlcCgil –. La generosità vince su tutto: come la maestra di
Porcia si sono comportati altri colleghi che hanno rinunciato all’assegno. È un altro pasticcio della
Buona scuola che va abolita con tutta la sciagurata legge di riforma della legge 107». Quella che ha
tirato un bidone anche sugli assegni di premialità: nelle scuole è arrivato l’80% delle cifre promesse
da Roma. «L’istruzione ha bisogno di un nuovo contratto di lavoro e chiarezza – ha continuato
Mancaniello –. Mille euro al mese per i supplenti sono “nozze con i fichi secchi”: stentano a
superare la terza settimana del mese. La docente dell’ic di Porcia che ha investito l’assegno di 500
euro per le buone letture dei bambini è un’altruista al massimo. Chi dice che gli insegnanti devono
sottoporsi a 120 ore di aggiornamento non retribuito è un crumiro». Il vortice degli assegni-bonus
per i docenti e degli acconti all’80% ha avuto un altro effetto. «Il carico di lavoro delle segreterie –
dice indignato Mancaniello – è inaccettabile. Lo “sciopero del bonus” che hanno fatto tanti docenti
nelle superiori e medie provinciali è un altro esempio del rifiuto a maggioranza della legge di
riforma numero 107». Tanti insegnanti hanno deciso di rinunciare all’incentivo che lo Stato ha
assegnato. Pollice verso, quindi, sulla riforma Buona scuola: l’alternativa è quella di fare il gran
rifiuto. «Invito tremila docenti provinciali a considerare la possibilità di donare 500 euro alle scuole
– ha detto un insegnante nelle medie di Porcia – oppure restituirli a Roma».
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Edilizia in caduta libera in Alto Friuli (M. Veneto Udine)
di Gino Grillo - La Cisl Alto Friuli ha illustrato l’andamento del tesseramento del sindacato, oltre
17.300 iscritti al 31 dicembre 2016 nel territorio di competenza che raggruppa 63 comuni distribuiti
tra Carnia, Tarvisiano, Gemonese, Sandanielese e Tarcentino: 136 mila abitanti al 31 dicembre
2015, l’11,2% della popolazione regionale, ben 13 mila in meno dal censimento 1981, ovvero dalla
costituzione dell’Unione, ma che occupano il 36,8% della sua superficie, con una densità pari a 47,2
abitanti per kmq, contro la media regionale di 155,4. Un territorio che per la sua parte più montana
continua a spopolarsi, e registra un costante depauperamento di servizi – più volte denunciato dalla
Cisl Alto Friuli, ma che dall’ultima rilevazione del Mercato del Lavoro ha visto un saldo
occupazionale positivo tra assunzioni e cessazioni (+631), trainato soprattutto dai settori del
terziario e del metalmeccanico. Nel comparto dell’edilizia i numeri si mantengono drammatici:
dagli ultimi dati a disposizione dalla Cassa edile di Udine, a inizio dicembre 2016 il numero delle
imprese medie mensili in provincia è sceso ancora, a quota 737, contro le 803 del 2015 (-8,2%) e le
1.335 del 2008 (-44,8%); stesso discorso per il numero di lavoratori denunciati: sono 3.338 contro i
3.736 del 2015 (-10,6%) e i 6.528 del 2008 (-48,8%). Pure per le ore dichiarate il quadro non
cambia con la media mensile che si attesta sulle 367.743 contro le 402.191 del 2015 (-8,6%) e le
798.607 del 2008 (-53,9%). Ma per questo ultimo aspetto è interessante notare delle forti
oscillazioni percentuali in fatto di variazioni rispetto al mese precedente: mentre il numero di
lavoratori denunciati nel corso del 2016 è rimasto lineare, le ore lavorate dichiarate presentano
picchi altalenanti. «Un fenomeno da tenere sotto osservazione – ha sottolineato il membro della
segreteria alto Friuli Valentino Bertossi – perché potrebbe celare forme di lavoro “grigio”.
L’auspicio per il 2017 è che gli investimenti pubblici messi in campo come per la Terza Corsia o
per ospedali ed altre infrastrutture possa permettere di far lavorare le aziende del territorio, e
naturalmente i loro lavoratori; allo stesso modo molte speranze sono riposte nella ripresa
dell’edilizia residenziale grazie agli incentivi e ai contributi in fatto di prima casa».
Chiusaforte, bando del comune per quattro disoccupati (M. Veneto Udine)
É aperto il bando per dare lavoro per 6 mesi a 4 disoccupati. Prosegue l'impegno del comune per
alleviare le sofferenze di chi ha perso il lavoro. Nell'anno trascorso, infatti, sono stati venti gli
incentivi nel settore del sociale resi disponibili in diversi settori d'attività e ad altrettante tipologie di
utenti, come riferisce l'assessore alle politiche sociali Giorgio Pozzecco. Cinque disoccupati sono
stati impiegati in progetti di cura, manutenzione e riqualificazione ambientale del territorio e del
patrimonio comunale per un periodo da due a sei mesi. In collaborazione con il Liceo Scientifico e
l'Istituto Tecnico Magrini Marchetti di Gemona del Friuli si è data opportunità a quattro studenti del
luogo di curare, durante il periodo scolastico, uno stage formativo di un mese; per prendere contatto
con il mondo del lavoro, in particolare quello del settore pubblico. Altri tre ragazzi hanno
beneficiato durante il periodo estivo, delle cosiddette "Borse lavoro Giovani"; un coinvolgimento
utile alla conoscenza e cura del patrimonio pubblico delle comunità.In sinergia con il Tribunale di
Udine, ancora, quattro soggetti hanno partecipato senza retribuzione, a periodi formativi di recupero
secondo le opportunità rese disponibili dalla normativa del settore giudiziario. Gli ultimi bandi in
scadenza il 17 marzo, comunica il sindaco Fabrizio Fuccaro, confermando l'impegno nel settore
anche per l'anno in corso. Si prevede l'impiego di quattro adulti per sei mesi da marzo ad agosto.
Sono rivolti a disoccupati con più di cinquanta anni se donne e cinquantacinque se uomini.
Centodiecimila euro circa, infine, sono state le risorse impegnate, con fondi principalmente della
regione, degli enti come i Bacini Imbriferi Montani, del Tagliamento e Drava oltre a quelli di
bilancio comunale, mentre i progetti sono stati anche coordinati dall'Ufficio per l'Impiego di
Pontebba e seguiti dai vari settori della struttura comunale. (g.m.)
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Palmanova, emergenza lavoro: una persona su quattro ha problemi di reddito (M. Veneto Ud)
di Monica Del Mondo - «La situazione sociale del comune di Palmanova non è per niente rosea»: lo
afferma la consigliera di minoranza Rita Dose, del gruppo Per la gente, illustrando alcuni dati sui
quali intende avviare una riflessione. «Le famiglie residenti a Palmanova - elenca - sono 2.466,
composte in media da 2,1 membri. Dei circa 5.400 abitanti il 4,5% è in carico ai servizi sociali e di
questa percentuale il 26,5% ha problemi di reddito, il 13,2% è senza lavoro, il 6% è senza casa.
Queste percentuali, va sottolineato, si riferiscono solo alle persone in carico ma c'è anche chi si
vergogna di rivolgersi ai servizi e chi è “dipendente” dai familiari. A Palmanova 70 famiglie hanno
chiesto l'accesso alla Mia (misura attiva di sostegno al reddito) hanno quindi un Isee inferiore a
6.000 euro annui. Circa il 15% degli utenti del servizio sociale inoltre è di età inferiore ai 18 anni e
questa è solo la punta di una generazione per la maggior parte spaesata, senza stimoli, senza
desiderio inteso come interesse per la vita e per il futuro». Questi dati sono stati esaminati anche
durante un recente convegno sul tema “Ricostruiamo la nostra comunità” e su tali tematiche è
iniziato un interessante dibattito. «I numeri riportati - prosegue la consigliera - sono indice della
pesante crisi economico-finanziaria che da anni ci sta impoverendo e che sta aggravando la
situazione di una società già debole, logorata dal consumismo e dall'individualismo». Per Dose, se
di fronte alla crisi economica un piccolo comune come Palmanova può far poco, può e deve invece
impegnarsi per il recupero dei valori sociali attraverso la condivisione e la creazione di relazioni
costruttive. E conclude: «Credo sia obiettivo di tutto il Consiglio comunale migliorare la qualità di
vita dei cittadini, partendo proprio da quello che forse fa meno scalpore e dà meno risalto: le fasce
sociali più deboli. I danni e i problemi sociali creano dei costi, non solo e non soprattutto
economici, che saranno a carico delle generazioni future. É necessario pertanto iniziare a parlarne in
consiglio. Ci sono strumenti che la normativa ci mette a disposizione e che possono andare in
questa direzione».
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Sedegliano, studio sulla fusione. Risparmi su personale e pratiche (M. Veneto Udine)
di Maristella Cescutti - Come previsto dal cronoprogramma stabilito dai tre sindaci insieme con
l’Università di Udine e il ComPa (Centro Competenze Pubblica Amministrazione dell’Anci), è stata
completata l’analisi comparata dei bilanci e della situazione patrimoniale dei Comuni di Flaibano,
Mereto di Tomba e Sedegliano, in vista della fusione sulla quale i cittadini delle tre comunità
saranno chiamati a esprimersi il prossimo giugno. Dalla prima analisi, che si presterà poi ad
approfondimenti in sede di lavoro del gruppo intercomunale predisposto appositamente, il quadro
che emerge dall’esame dei documenti contabili dal 2013 al 2016, è quello di una situazione
sostanzialmente omogenea fra le tre realtà amministrative, senza criticità particolari. Per tutti e tre i
Comuni la struttura della spesa è piuttosto rigida, con pochi spazi per nuovi investimenti e servizi; il
solo costo medio del personale è pari a circa il 19 per cento delle entrate correnti, ciò significa che
un euro su cinque delle entrate serve per pagare i 43 dipendenti delle tre amministrazioni, per un
costo complessivo di quasi un milione 600 mila euro. Il risparmio non sarà solo nel settore dei
dipendenti ma in diversi settori come la gestione dei servizi, dei trasporti sui costi burocratici degli
enti, e anche nella riorganizzazione del Comune unico. Inoltre accanto ai risparmi la fusione
permetterà un miglioramento notevole nella qualità del servizio amministrativo offerto ai cittadini,
che viene meno quando si ha la triplicazione delle pratiche amministrative. Solo per fare un
esempio, il numero di atti amministrativi dei tre Comuni attualmente si aggira sui mille all’anno,
mentre potrebbe essere ridotto a circa 400; il tempo dedicato ad ogni gara d'appalto per i servizi
viene inoltre ridotto di due terzi. «Già da questa analisi – commentano i tre sindaci Luca Picco,
Massimo Moretuzzo e Ivan Donati – si ha la conferma che i bilanci dei nostri enti non hanno
criticità particolari e che la fusione porta ai spazi di miglioramento. Solo passando alla fusione
avremo un risparmio annuo che supera i 70 mila euro nei soli costi degli amministratori. Risparmio
anche per i costi di uffici e segretario comunale. Sarà importante reinvestire tali risparmi
traducendoli in maggiori servizi per i cittadini, proprio per questo abbiamo iniziato questo percorso
partecipativo che coinvolgerà aziende, artigiani, agricoltori, associazioni, cittadini per raccogliere
idee, proposte e discutere delle criticità». Lo slogan per il comune unico sarà «Meno comuni più
comunità» per una popolazione di complessivi 7.672 residenti (Sedegliano 3.868, Mereto di Tomba
2.648, Flaibano1.156) su una superficie totale di 95 chilometri quadrati.
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Riecco la centrale a biomasse. Sarà pronta entro l’anno (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
di Francesco Fain - Per un anno, l’argomento era finito nel dimenticatoio dopo tante battaglie,
manifestazioni, raccolte di firme, ricorsi. Tant’è che più di qualcuno (compreso l’avvocato Marco
Barone) ha iniziato a chiedersi: che fine ha fatto la centrale a biomasse che doveva sorgere in città?
Tutto si è fermato? Ha vinto il blocco dei contras? Apertura entro l’anno A chiarire che il treno non
si è affatto fermato è Enrico Roitz, l’imprenditore goriziano che ha deciso di investire su
quest’impianto. Anzi, in questi impianti. Ad essere realizzata, in questa fase, sarà la prima centrale,
«quella, per intenderci, che verrà costruita - spiega Roitz - nell’area che ospitò la nostra vecchia
sede, adiacente all’ex concessionaria d’auto Sdag, che per un periodo venne trasformata in un
centro d’accoglienza per richiedenti-asilo. Lì, verrà realizzato l’impianto di trattamento rifiuti di
alluminio. E dietro, staccata da questa struttura, sorgerà la centrale a biomasse». La tempistica? «I
lavori inizieranno a marzo. Prima... mi sposo», sorride Roitz. Già, prima di dare il via ai lavori e a
una piccola cerimonia di “posa della prima pietra”, l’imprenditore convolerà a nozze. «Quando sarà
attiva la centrale? In pochi mesi. Entro l’anno? Penso proprio di sì». Ma perché è passato così tanto
tempo da far perdere di vista il progetto? «La parolina magica è “burocrazia”. Ricordo a tutti che
siamo in Italia. L’ultimo pezzo di carta è arrivato il 29 dicembre scorso e senza di quello non
potevamo fare nulla. Ora, ci siamo», annota l’imprenditore. L’altra centrale E dell’altra centrale a
biomasse, quella che dovrebbe sorgere in prossimità della linea ferroviaria, che ne sarà? Tutto
bloccato? Progetto svanito? «No. Realizzeremo pure quella. Ma senza fretta. Ci prendiamo più
tempo e vediamo come funziona la prima per rendere ancora più efficace e moderna la seconda».
Roitz ribadisce che non ci saranno conseguenze di alcun tipo per la popolazione. E ribadisce tutte le
rassicurazioni del caso. «Tali impianti non sono pericolosi per la salute. Non mi stancherò mai di
ripeterlo. La centrale rispetterà i canoni previsti dalle legge. A questo punto, per contestarci,
bisognebbe mettere in dubbio anche i limiti di legge, visto che le nostre emissioni sono largamente
inferiori. Da parte nostra non abbiamo mai raccolto alcuna provocazione, né ribattuto alle
incredibili falsità fatte apparire sulla stampa, proprio perché ci siamo resi conto da subito della loro
strumentalità». La ribalta dell’Expò Come si ricorderà, mentre a Gorizia il “sì” alla centrale a
biomasse suscitava polemiche e divisioni a getto continuo, il progetto industriale era finito all’Expo
di Milano. Succede infatti che l’impianto che verrà costruito in via Trieste nelle immediate
vicinanze della linea ferroviaria, grazie alla tecnologia avanzata adottata, non produrrà ceneri inerti
ma “biochar” di alta qualità, «i cui usi ed applicazioni - spiegò allora l’imprenditore Enrico Roitz sono interessantissimi e oggetto di grande attenzione nel mondo accademico e agricolo/industriale.
Ho avuto modo, in questi mesi, di relazionarmi direttamente con il Cnr di Firenze e in particolare
con il professore Franco Miglietta, massima autorità in Italia sul tema. Peraltro, venni invitato in
qualità di imprenditore “illuminato” al convegno “Biochar: a sustainable solution for agricolture
and the environment” che si tenne al Padiglione Italia mercoledì». Biochar è un termine di recente
introduzione: un vero e proprio neologismo nato per indicare il carbone di legna, specificamente
quello ottenuto dalla pirolisi della biomassa.
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Duca d’Aosta, una “iniezione” di 1,5 milioni (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
di Francesco Fain - Per ora, in cassa, ci sono 250mila euro. Ma il “forziere” della società consortile
Duca d’Aosta è destinato ad irrobustirsi perché sono in arrivo altri 1,5 milioni stanziati dalla
Camera di commercio di Gorizia. Diventa sempre più solido (anche economicamente) il piano di
rilancio dell’aeroporto di Gorizia. L’altra sera si è svolta una nuova riunione operativa in cui si sono
affrontati essenzialmente due temi: il cronoprogramma dei lavori che interesseranno il “Duca
d’Aosta” e la creazione del Consorzio “de noantri” che vedrà la partecipazione del Csia (Consorzio
industriale e artigianale) di Gorizia, della consortile che guida lo scalo di Merna e della Sdag, la
società di gestione dell’autoporto. «Che dire? Per ciò che concerne l’aeroporto, la strada oramai è in
discesa e tutte le tessere stanno andando nel posto giusto. Contiamo di essere operativi - spiega
Ariano Medeot, presidente sia del Consorzio industriale sia della Consortile - a fine marzo, al
massimo ai primi aprile. Gli aerei potranno finalmente decollare e atterrare in assoluta sicurezza e
con la nostra gestione». Proprio in questi giorni, complici anche le belle giornate di sole, si sta
procedendo con il taglio dell’erba. Un’operazione quantomai necessaria, considerato il lungo stop
che ha conosciuto l’attività aeroportuale. «Il cronoprogramma, poi, prevede altre operazioni di
natura preparatoria: vanno terminate - spiega ancora Medeot - le prove di portanza della pista e del
raccordo che abbiamo realizzato per la “Pipistrel”. Poi, procederemo con il tamponamento delle
tante, troppe falle che ci sono sulla recintazione». Non manca una news dell’ultimo minuto. L’Ente
nazionale per l’aviazione civile (Enac) ha chiesto alla consortile di prevedere un presidio all’interno
dell’aeroporto. «Ed è così che abbiamo chiesto - aggiunge il presidente della consortile - di
adeguare la vecchia sede dell’Arma aeronautica che è una struttura ancora in discrete condizioni.
Poi, bisognerà mettere mano anche all’hangar Gleiwitz: nonostante sia stato rimesso in sesto di
recente ha bisogno ancora di alcuni interventi di manutenzione e restyling». Il presidio, fa sapere
ancora Medeot, sarà composto da due persone della consortile, ancora da individuare. Sullo sfondo,
poi, resta da risolvere la questione della “famigliola” di caprioli che ha trasformato la zona
aeroportuale nella sua (ampia e confortevole) casa. «Abbiamo inoltrato tutte le richieste del caso,
c’è anche un progettino e, nei prossimi giorni, si procederà con il trasferimento degli ungulati».
Quindi, anche questa curiosa e inaspettata partita sarà risolta. La Consortile, in parallelo, entrerà a
far parte del nuovo Consorzio unico tutto goriziano. La giornata di ieri (15 febbraio) coincideva con
la scadenza per la formalizzazione dell’interesse della Consortile e della Sdag. «Ed entrambi gli enti
hanno detto ufficialmente “sì” al processo di fusione. Altre tappe? Dovrà essere modificato lo
Statuto entro il 30 aprile. Quindi, il documento modificato dovrà essere recepito, attraverso
successive e distinte delibere, dalla consortile e dalla società di gestione dell’autoporto - conclude
Ariano Medeot -. A conclusione, entrerà in azione un advisor che stilerà un piano per raggruppare i
tre enti». Da rammentare che il Csia di Gorizia è costituito dai Comuni di Gorizia (42,4 per cento) e
Savogna (9,1), dalla ex Provincia di Gorizia (21), da Carifvg (18,3), dalla Camera di commercio
della Venezia Giulia (8) e da tre imprese private, la cui presenza non dovrebbe essere prevista
all’interno del nuovo consorzio allargato.
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Ripudiata Monfalcone. Grado “esce” dall’Uti per stare con Aquileia (Piccolo Go-Monf.)
di Antonio Boemo - Uscire dall’Uti Carso Isonzo Adriatico per passare all’Uti dell’AgroAquileiese. È l’indicazione della maggioranza che sarà votata questa sera in Consiglio comunale a
Grado. Via da Monfalcone, dunque, per legarsi con Aquileia. «Il principio di obbligatorietà della
partecipazione alle Uti - dice il sindaco Dario Raugna - ha cambiato lo scenario e le riflessioni
finora svolte: si rende, infatti, necessario tornare sulla questione della costituzione delle Uti e
chiedere all’aula di esprimersi nel merito». La breve cronistoria ricordata dal primo cittadino e dalla
sua maggioranza parte dal fatto che l’inserimento del Comune di Grado nell’Unione Territoriale
Intercomunale Carso Isonzo Adriatico è stato disposto deliberazione della Giunta Regionale del
luglio 2015 «nel pieno di una crisi politica gradese che a breve (il 26 agosto 2015) avrebbe portato
allo scioglimento del Consiglio comunale». Proprio durante il periodo di crisi in Comune avveniva
la definizione degli ambiti territoriali delle Uti e in questa situazione Grado era di fatto impedito
«qualsiasi partecipazione alla discussione necessaria per giungere alla definizione degli ambiti». A
distanza di due anni dalla definizione degli ambiti territoriali delle Uti la maggioranza è ora, invece,
in grado di esprimere una proposta da inoltrare all’assessore per le autonomie locali che inserisca
Grado in un diverso ambito territoriale. La scelta di passare all’Uti con Aquileia è spiegata con il
fatto che «l’isola di Grado ha sempre avuto una storia di autonomia e, in qualche modo, di
separatezza dal resto del territorio - evidenzia ancora Raugna - al punto da avere sviluppato caratteri
propri». E aggiunge: «Naturalmente, di fronte alla scelta obbligata di partecipare a organismi
istituzionali che ne limiteranno inevitabilmente l’autonomia, è ovvio che la scelta non possa che
essere orientata verso quelle realtà che le sono più vicine per storia, cultura o semplicemente per
una migliore integrazione economica». Ecco il perché della scelta dell’Uti dell’Agro Aquileiese che
«risulterebbe essere meglio integrato e integrabile con il contesto e l'economia gradese, anche a
fronte di un rapporto millenario che fonda le sue basi sin dalle origini del Castrum». «Crediamo
inoltre che sia decisiva, nella valutazione del criterio per l’articolazione territoriale ottimale delle
Uti, l’omogeneità sociale ed economica. In tal senso il ruolo del turismo balneare e dell’indotto
collegato, elemento centrale e più rilevante dell’economia locale oltre che motore di sviluppo per il
futuro di Grado, si integra perfettamente con il turismo culturale che caratterizza Aquileia e
Palmanova, entrambe facenti parte dell’Agro Aquileiese». E c’è l’ulteriore specifica che il territorio
di Grado ha una forte vocazione agricola (Fossalon e Boscat) che si integra con l’economia delle
altre realtà e, nel complesso, anche le dimensioni demografiche dei comuni di quell’ambito non
presentano squilibri che, al contrario, sono «evidenti» nell’Uti Carso Isonzo Adriatico dove il
Comune di Monfalcone risulta di gran lunga quello più popoloso. Se questa sera passerà l’atto di
indirizzo, cosa che appare scontata, sarà formulata istanza alla Regione per il trasferimento, dopo
avere acquisito il parere di entrambe le assemblee interessate, al cambiamento del Comune di Grado
da Monfalcone a Grado.
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I triestini bocciano i servizi pubblici (Piccolo Trieste)
di Silvio Maranzana - Abbastanza soddisfatto della qualità della vita nella propria città, ma non
altrettanto dei servizi pubblici. Contento della famiglia, degli amici e del tempo libero, ma con una
situazione economica che se non è peggiorata, di certo ultimamente non è migliorata. Così appare il
triestino medio nel sondaggio realizzato dall’istituto Demopolis tra i lettori online del Piccolo. A
dichiararsi soddisfatto della qualità della vita a Trieste è il 56% dei lettori del giornale. Secondo il
commento dello stesso istituto, è un dato decisamente superiore rispetto alla media nazionale
rilevata dall’istituto di ricerche. Il restante 44% comunque si dice poco o addirittura per nulla
soddisfatto. La crisi economica d’altro conto continua a pesare in modo che sembra piuttosto
generalizzato e per una buona fetta di persone risulta essersi addirittura acuita. Un triestino su tre,
esattamente il 33% del campione preso in esame, afferma che rispetto a tre anni fa la situazione
economica della propria famiglia è peggiorata. Per la maggioranza dei lettori del Piccolo è rimasta
sostanzialmente uguale: questa risposta l’ha fornita il 57% delle persone consultate. Soltanto un
triestino su 10 afferma che la sua famiglia ha fatto un passo in avanti dal punto di vista economico.
A compensare una certa frustrazione rispetto alla disponibilità di denaro e di beni, è, come rileva lo
stesso direttore di Demopolis, Pietro Vento, «soprattutto la dimensione personale: la principale
ragione di soddisfazione è infatti oggi rappresentata dalla vita familiare e sentimentale, indicata
dall’81% degli intervistati. Ampiamente positivo è, per il 76%, il rapporto con gli amici. Ad
incidere positivamente sulla quotidianità di 7 cittadini su 10 è anche la qualità del tempo libero».
Più critici appaiono i lettori del Piccolo sui servizi pubblici che vengono sostanzialmente bocciati
dal 55% degli intervistati. L’economia risulta nettamente in testa per quanto riguarda quelle che
vengono considerate le reali priorità d’intervento per il territorio in cui vive. Il 60% ha indicato la
necessità di incidere sull’occupazione giovanile, il 51% sugli investimenti per lo sviluppo. Sotto la
soglia del 50% le altre priorità: per il 43% è la sanità pubblica, per il 40% la gestione
dell’immigrazione e per il 32% la sicurezza. Il sondaggio come detto è stato realizzato dall’Istituto
di ricerche Demòpolis che studia le tendenze della società italiana con competenze mirate
nell’analisi dell’opinione pubblica, nelle indagini demoscopiche, nella ricerca sociale, politica e di
mercato, nella comunicazione e nella consulenza strategica. Con un team di ricercatori ed esperti di
comunicazione, l’Istituto analizza le dinamiche sociali, politiche ed economiche del Paese,
realizzando studi, indagini e progetti di ricerca qualitativa e quantitativa per conto di istituzioni,
università, regioni, enti pubblici e privati, aziende, onlus, fondazioni ed organi di stampa.
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Dai mini alloggi alle ville storiche. Le proprietà fantasma del Comune (Piccolo Trieste)
di Lillo Montalto Monella - Più di cinquanta edifici, 341 alloggi, quattro ville storiche ed altrettanti
ruderi: è questa la stima del patrimonio immobiliare sfitto e non locato di proprietà del Comune di
Trieste. L’elenco, reso noto dall’amministrazione dopo la richiesta di accesso civico da parte del
Piccolo (uno strumento, questo, a disposizione di tutti i cittadini), restituisce la fotografia dei
palazzi “fantasma” di proprietà pubblica, emendata per motivi di sicurezza e ordine pubblico dei
numeri civici di ciascuno stabile. Scorrendo la lista è possibile trovare magazzini, ex scuole, locali
d’affari, caserme ma anche alcuni stabili già oggetto di dibattito in passato, come l’ex Macello, l’ex
carcere femminile, l’ex Meccanografico, il Gasometro o l’ex Crda. In città c’è chi non possiede
neanche un tetto e chi invece è erede della storica grande ricchezza immobiliare ma non ha più la
possibilità di mantenere tutto il patrimonio. «La coperta oggi è corta, dobbiamo darci delle
priorità», conferma Lorenzo Giorgi, l’assessore comunale con deleghe a patrimonio e demanio.
Analizzando punto per punto ciascun immobile in elenco, lo storico ex presidente della
Circoscrizione Gretta-Barcola-Grignano individua le cinque principali aree di intervento del suo
mandato. La prima riguarda quei 41 alloggi sfitti dell’ex comprensorio Erdisu in area Urban,
prossimi alla riassegnazione tramite bando di gara, sulla sessantina di monolocali ricevuti
complessivamente in eredità. Venti sono già stati assegnati agli allievi della nuova Accademia
nautica dell’Adriatico che vengono da fuori regione a prezzo calmierato. «Una ristrutturazione
realizzata grazie all’eccezionale lavoro degli Lsu (i lavoratori socialmente utili, ndr), a costo zero».
Un alloggio verrà tenuto per le «emergenze sociali», mentre altri tre saranno destinati al progetto
«Casa degli Sposi 3.0» pensato per permettere sei mesi di indipendenza a quelle giovani coppie
(almeno un italiano, e con un figlio) che attendono di ricevere i finanziamenti di un mutuo. Gli altri
monolocali saranno utilizzati per il turismo, «come albergo veloce», e dati in gestione mediante
bando di gara. Altri otto locali, tra cui due depositi, saranno destinati ad un’area «start-up»
artigianale, a prezzo d’affitto ridotto, in una zona che storicamente ha attitudine di bottega. Una
delle “bandierine” di Giorgi, a suo dire, è la realizzazione di una «Casa delle associazioni» nell’ex
scuola di via Combi, al momento nell’elenco degli immobili inutilizzabili. «Tre o quattro
associazioni a settimana vengono a trovarmi per chiedermi una sede: lì dentro vorrei metterne 36 o
40 che possano restituire qualcosa alla società». La spesa stimata è di circa 700mila euro. C’è
quindi la questione delle quattro ville storiche in rovina e a cui è necessario garantire
sopravvivenza. Per farlo servono soldi: dai due ai tre milioni per la sola dimora Haggiconsta, per
esempio. L’obiettivo, almeno per la Stavropulos, è quello di svincolarsi dall’obbligo di lascito,
ovvero quello di fungere da luogo d’ispirazione e ospitalità per gli artisti. Al quarto punto
dell’agenda c’è «mettere a posto gli alloggi per chi ha problemi sociali», a costi sostenibili. Per
riuscirci, chiede alla Regione di poter usufruire di Lsu locali (niente richiedenti asilo, dunque) per
almeno un anno invece che sei mesi, oltre a dare un occhio di riguardo all’Ater triestina «nell’ottica
del recupero di questi alloggi». Alcuni immobili sono stati destinati all’alienazione: i soldi ricevuti
da chi vorrà acquistare edifici come la don Marzari di Prosecco, fatiscente e con il problema
amianto, saranno gestiti dal bilancio. Più che al flusso di denaro in entrata per la vendita di questi
dieci stabili, bisognerà guardare piuttosto agli affitti dei 33 immobili la cui locazione verrà bandita a
breve. «Daranno possibilità di lavoro ai triestini e consentiranno all’amministrazione di fare cassa».
Per accelerare i tempi e ridurre i costi delle certificazioni Ape, «che un privato può acquistare su
Groupon», il Comune ha «preso due dipendenti e fatto fare loro il corso da certificatori». Così
facendo i locali hanno avuto il via libera per trovare una destinazione d’uso e non rimanere vuoti.
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