MUSEO CRIMINOLOGICO
Transcript
MUSEO CRIMINOLOGICO
MUSEO CRIMINOLOGICO INDICE STRUMENTI DI TORTURA Cantini e Ragazzo Presentazione Agresta Ceppo della pubblica gogna Avenati Gabbia di Milazzo Bernasconi Ascia/Coltello del carnefice Cantini Mastro Titta De Tomasi Piro Asse di sospensione Falgone Sedia chiodata Salardi Vergine di Norimberga Silvestri Campana delle Mantellate Tevere La ruota Urlo Cintura di castità/Squartamento coi cavalli PRESENTAZIONE Il Museo Criminologico nasce nel 1930 con lo scopo di dare supporto per lo studio del sistema penale e penitenziario, oltre che strumento scientifico per la formazione di funzionari e magistrati e di divulgazione al tempo stesso. Il Museo Criminologico è ospitato nel Palazzo del Gonfalone, edificio risalente al 1827, fatto costruire da Papa Leone XII per destinarlo a casa di correzione dei giovani minorenni.La casa di correzione accoglieva i minori accusati di delitti e i discoli, ragazzi, cioè, particolarmente vivaci, spediti in quel luogo da genitori o tutori per fini “educativi”, che ottenevano il permesso dal papa in cambio del pagamento degli alimenti. L’edificio del Gonfalone, innalzato su tre piani, disponeva di quaranta celle. Al piano terra erano situati il refettorio, la cappella, un deposito per la lana, le vasche, un passaggio coperto e un cortile dove, a gruppi di otto, agli ospiti era concesso di trascorrere pochi minuti all’aperto, gli unici momenti a cui ai cui i giovani prigionieri era consentito parlare tra loro. Al primo piano, un salone che riceveva luce da due grandi finestroni posti sui due lati, veniva utilizzato per la filatura della lana e due stanze occupate dal personale di servizio. Il cappellano, svolgeva la carica di direttore. La limitata capienza delle quaranta celle, costrinse le autorità della prigione a cercare un nuovo edificio per trasferirvi la prigione minorile, cosicché il carcere leonino fu abbandonato e nel 1854 i prigionieri trasferiti a S. Balbina, capace di centocinquanta posti. Rimasta inutilizzato per alcuni anni, la prigione leonina fu quindi destinata a sede dell’Archivio centrale di Stato per essere, infine, acquisito dall’Amministrazione penitenziaria nel 1966. I lavori per adattare l’edificio a sede del Museo iniziarono nel 1973 e furono completati nel 1975. CEPPO DELLA PUBBLICA GOGNA Trave di legno a due fori, nei quali erano serrate le caviglie dei condannati. I ceppi, solitamente, venivano collocati all'ingresso delle città o lungo vie di intenso traffico. Oltre che come strumento punitivo, il ceppo era adoperato anche per impedire la fuga dei ladri appena catturati per le strade. GABBIA DI MILAZZO... La gabbia di ferro, contenente uno scheletro umano fu rinvenuta casualmente il 17 febbraio 1928 da una squadra di detenuti che eseguiva lavori di scavo nel terreno compreso nella cinta esterna del carcere di Milazzo, in Sicilia. La gabbia era a circa venticinque centimetri di profondità. Tra le ossa dello scheletro, ricoperti dalla terra, emersero cinque bottoni, di cui tre, a superficie piatta, portano, in basso, la scritta Enniskilling 27, al centro la sagoma di tre torri, di cui quella centrale è sormontata da una bandiera. Sul retro di uno di uno dei tre bottoni si legge la scritta Covent Garden. Gli altri due bottoni, a forma convessa, riportano rispettivamente un’ancora e il rilievo di tre cannoncini. Le scritte e le caratteristiche dei bottoni furono oggetto di studio di alcuni studiosi inglesi, i quali stabilirono che i bottoni appartenevano alla divisa dei soldati del 27° reggimento Enniskilling. Agli ordini di S.M. Britannica il reggimento aveva partecipato agli scontri con le truppe napoleoniche in Italia meridionale, in particolare in Calabria e in Sicilia. Nel luglio 1806 il reggimento, che occupava il castello di Milazzo, era stato sconfitto presso Maida, in Calabria. Per quanto riguarda l’identità dell’uomo rinchiuso nella gabbia, dalla consultazione dei registri matricola del reggimento emerse che il soldato Andrew Leonard, di 25 anni, era stato dichiarato disertore. L’ipotesi, abbastanza attendibile, che il soldato Leonard fosse stato condannato alla pena di morte per diserzione, ed esposto in gabbia sulle mura del castello, fu accreditata dalle indagini medico legali svolte dal prof. Giuseppe De Crecchio. ...GABBIA DI MILAZZO I risultati dell’esame dello scheletro ne accertarono l’età (circa 30 anni) e la statura (circa 165 centimetri), dati che corrispondevano alle caratteristiche riportate nei registri del reggimento. Poiché allo scheletro mancavano le parti inferiori delle gambe, la mano sinistra, l’avambraccio e la mano destra, fu ipotizzato che l’uomo era stato sottoposto a mutilazione ed esposto nella gabbia a scopo intimidatori. ASCIA Per decapitazione o decollazione si intende tagliare la testa a qualcuno provocandone così la morte, o anche a qualcuno già morto. Numerosi studiosi si sono dedicati a questo tema, giungendo a classificare i casi di decapitazione in tre sottocategorie: decapitazione sacra, decapitazione profana e decapitazione magica. La sottocategoria più antica, la decapitazione sacra, è stata sovente applicata sia come metodo di esecuzione capitale sia come pratica a scopo propiziatorio in tempi antichissimi. Un esempio calzante a tal proposito è il mito di Ifigenia condannata a subire la decapitazione per volere di Artemide ma poi salvata dalla dea stessa. Tracce dell'analogo significato della decapitazione sono state rinvenute tra le fonti celtiche e in tempi più recenti tra i Bagobo presso i quali la decapitazione del nemico e la danza attorno alla sua testa esposta al pubblico costituivano un rito propiziatorio per il raccolto. Invece per decapitazione profana si intende il trattamento riservato presso molti popoli al nemico ucciso. Infine con decapitazione magica si fa riferimento sempre alla decapitazione del nemico sconfitto ma in questo caso il trofeo viene conservato per servirsene a scopo d'oracolo o premonizioni. COLTELLO DEL CARNEFICE Coltello del carnefice di Roma, il manico è di bronzo, a tortiglione, con sovrapposta una testa di leone. Il fodero del coltello è di cuoio con guarnizioni in ottone. Arma con la quale il carnefice eseguiva la condanna alla mutilazione, riservata solitamente agli indigenti che non avevano i mezzi per pagare forti multe. Secondo la condanna, il carnefice cavava gli occhi, tagliava orecchie e nasi. Ai ladri colti in fragranza era tagliata la mano sinistra la prima volta e, in caso di recidiva, la mano destra. Mastro Titta Giovanni Battista Bugatti, detto Mastro Titta (Senigallia, 6 marzo 1779 – Roma, 18 giugno 1869) è noto anche come "er Boja de Roma", fu un celebre esecutore di sentenze capitali dello Stato Pontificio. La sua carriera di incaricato delle esecuzioni delle condanne a morte iniziò il 22 marzo 1796: fino al 1864 raggiunse la quota di 514 esecuzioni. Mastro Titta eseguiva sentenze in tutto il territorio pontificio. . Egli era naturalmente mal visto dai suoi concittadini, tanto che gli era vietato, per prudenza, recarsi nel centro della città, dall'altro lato del Tevere. Ma siccome a Roma le esecuzioni capitali pubbliche decretate dal papa, soprattutto quelle "esemplari" per il popolo, non avvenivano nel borgo papalino, ma sull'altra sponda del Tevere a Piazza del Popolo o a Campo de' Fiori in eccezione al divieto, il Bugatti doveva attraversare il Ponte Sant'Angelo per andare a prestare i suoi servigi. Il mantello scarlatto che Mastro Titta indossava durante le esecuzioni è conservato nel Museo Criminologico di Roma. ANSE DI SOSPENSIONE Alla confraternita di San Giovanni Decollato di Alessandria era affidato il pietoso compito di assistere i condannati a morte in confortatorio durante le 12 ore che precedevano l’esecuzione, per prepararli a “ben morire”, accompagnarli al luogo del patibolo, assistere all’esecuzione di morte e trasportare i cadaveri per seppellirli nella chiesa della confraternita. Le asse di sospensione o residui di lacci furono utilizzati per eseguire le condanne a morte. SEDIA CHIODATA Sedia di tortura puntuta, usata fino al 1809 a Norimberga e a Regensburg. La sedia era utilizzata durante gli interrogatori, in particolare nei processi per stregoneria. Per ottenere la confessione dalla presunta strega il torturatore accendeva un fuoco sotto la sedia, in modo da rendere incandescenti le punte di ferro che ricoprivano la struttura della seggiola. VERGINE DI NORIMBERGA... Le fonti storiche riferiscono che questo strumento era utilizzato prevalentemente in Germania, ma anche in altre nazioni europee, nel Medio Evo. Il prototipo della terribile macchina fu rinvenuto a Norimberga, nei sotterranei di un edificio dove, in passato, era stato il Tribunale Segreto della città, si dice che coloro che erano parte di questo tribunale erano in realtà dei membri di una setta che faceva un giuramento solenne di fedeltà. Il reato più comune che poi prevedeva questa pena era quello di eresia, ma anche omicidio, vilipendio della religione e molti altri. Il condannato era condotto sul luogo del supplizio passando attraverso sette porte. Alla fine di un lungo corridoio si trovava al cospetto della macchina di morte, una sorta di armadio di ferro che riproduceva vagamente le sembianze di una figura femminile, con due ante sul davanti che, aprendosi, mostravano affilatissime punte di ferro, e che aveva alla base una doppia fila di lame rotanti sopra una botola che si apriva quando il condannato veniva introdotto per subire il fatale “abbraccio” della “Vergine”. Lo sventurato veniva rinchiuso nella macchina andando incontro a una morte atroce. …Vergine di Norimberga I resti della vittima erano gettati, attraverso un canale sotterraneo, nel fiume che scorreva sotto la sede del Tribunale Segreto. A Monaco, secondo alcune testimonianze, durante il governo del principe Carlo Teodoro, era utilizzata un simile strumento di supplizio, situato nella cosiddetta via della Donzella. LA RUOTA Il condannato era legato per i polsi e le caviglie ad una grande ruota e con una mazza gli venivano rotte le ossa di braccia e gambe. Talvolta veniva dato un colpo di grazia sullo sterno, provocandone la morte. In altri casi invece veniva lasciato vivo per ore esposto al pubblico prima di essere ucciso. In altre circostanze la persona che aveva commesso il crimine era legata sulla ruota che veniva fatta girare per indurre nausea e vomito. Se la rotazione era veloce e prolungata il suppliziato poteva soffrire di disturbi circolatori. Questa forma di tortura raramente si rivelava mortale. In alcuni casi sotto la ruota del supplizio venivano messe delle punte su cui gli arti del condannato, durante la rotazione, venivano lacerati, inducendo così la morte per dissanguamento. La cintura di castità La cintura di castità è un mezzo di contenzione fisica, mediante il quale è possibile impedire a un soggetto, consenziente o meno, di avere rapporti sessuali mediante la penetrazione. La cintura di castità può essere applicata SQUARTAMENTO COI CAVALLI L'esecuzione più in voga nel medioevo consisteva però nel seguente procedimento: il prigioniero veniva legato con una grossa fune, sia all'altezza delle braccia che delle gambe; le funi erano poi assicurate a una grossa sbarra di legno o di metallo che a sua volta veniva legata a dei cavalli, uno per ogni estremità della vittima. Si costringeva poi i cavalli a dare dei INDICE CASI De Tomasi Piro Gaetano Bresci Falgone Graziosi Ferrera Bellentani Freddo Sorelle Cataldi/Paternò Mazziotti Cianciulli Piacentini Cuocolo Pizzale Antonietta Longo Salardi Cesare Lombroso Sherif Vizzardelli Stazi Sabatini Sun Tittone Tevere Pasolini GAETANO BRESCI: ATTENTATORE DI UMBERTO I La sera del 29 luglio 1900, a Monza il re d’Italia Umberto I si allontanava, a bordo di una carrozza scoperta, dalla palestra della società ginnica “Forti e Liberi”, dove aveva premiato alcuni atleti. Ad un tratto, gli si avvicinò un giovane il quale, armato di una rivoltella, colpì a morte il sovrano. Il giovane attentatore fu subito arrestato e identificato. Il suo nome era Gaetano Bresci, 31 anni, anarchico toscano, di professione tessitore. Bresci viveva negli Stati Uniti, nel New Jersey, ed era tornato in Italia il 17 maggio con l’obiettivo preciso di uccidere il re. La motivazione del gesto la fornì lo stesso Bresci, egli voleva vendicare gli operai uccisi 2 anni prima a Milano, dorante una manifestazione contro il caro vita. L’ordine di far partire le cannonate era partito dal generale Bava Beccaris, ma la responsabilità politica dell’aggressione agli operai era, secondo molti, del re in persona. Gaetano Bresci fu rinviato a giudizio dalla Corte d’Assise di Milano e il processo si svolse con una rapidità insolita per quei tempi. Giudicato colpevole del delitto di regicidio, Bresci, con sentenza del 29 agosto 1900 fu condannato alla pena dell’ergastolo. Egli sostenne che il progetto di uccidere Umberto I era stato una sua iniziativa, pertanto nessun altro anarchico fu chiamato in causa. Trasferito nel penitenziario di Santo Stefano a Ventotene, la mattina de 22 maggio 1901, dopo 10 mesi di reclusione, Gaetano Bresci si suicidò. GRAZIOSI Arnaldo Graziosi, 32 anni, fu condannato per l’omicidio della moglie Maria Cappa, 24 anni. L’omicidio fu commesso in un albergo di Fiuggi il 21 ottobre del 1945. Con la coppia era presente anche la figlia di tre anni che dormiva nel letto dei genitori. Graziosi si dichiarò innocente e sostenne che la moglie si era suicidata perché lacerata dai sensi di colpa per aver contratto una malattia venerea durante una relazione prematrimoniale. Accanto al cadavere della donna fu ritrovata una lettera d’addio della vittima con il seguente messaggio. Gli inquirenti non credettero alla versione del suicidio e Graziosi frinviato a giudizio per omicidio. Il processo ebbe inizio il 2 giugno 1947 presso la Corte d’Assise di Frosinone. A carico dell’imputato prevalse la tesi che il maestro aveva un valido movente per commettere l’omicidio: la relazione sentimentale con una giovane pianista sua allieva. La perizia calligrafica, inoltre, aveva accertato che il biglietto non era stato scritto dalla vittima. Graziosi fu condannato a 24 anni, 9 mesi, 20 giorni di reclusione. L’anno dopo la Cassazione confermò la condanna. Graziosi, detenuto nel carcere di Frosinone, evase venti giorni dopo la sentenza della Cassazione, ma fu catturato dopo alcuni giorni sui monti della Ciociaria. In carcere si dedicò alla composizione di colonne sonore per documentari. Nell’agosto del 1959, dopo 14 anni di detenzione, Graziosi ottenne la grazia, chiesta dalla figlia, ormai diciassettenne, al Presidente della Repubblica. Il 6 marzo 1997, sulle pagine di un quotidiano romano, un trafiletto annunciava che Arnaldo Graziosi si era suicidato lanciandosi dal balcone della sua casa di Grottaferrata. BELLENTANI Questo caso ha come protagonista la contessa Pia Bellentani, moglie del conte Bellentani,industriale milanese, madre di due bambine. La sera del 15 settembre 1948, durante una serata mondana,uccise l'amante Carlo Sacchi. Anch'esso sposato e padre di due bambine,col quale da 8 anni intratteneva una complicata relazione. Nel corso della serata Sacchi,aveva tenuto nei confronti della donna un comportamento arrogante e non esitava a deriderla,incurante della donna che lo supplicava di essere gentile. Così ferita dal suo comportamento ,prese la pistola del marito e colpì l'amante a bruciapelo. La contessa fu riconosciuta inferma mentalmente dal giudice, che la condannò a 10 anni di manicomio giudiziario,ma le furono ridotti a 7. Il suo psichiatra stabilì che la donna tra vittima di un male ereditario,manifestatosi già in giovane età. All'interno del manicomio la contessa non aveva rapporti con le altre detenute ma solamente con il direttore e la madre superiora. Scontata la condanna,la donna uscì dal manicomio scortata dal suo avvocato, e si limitò a salutare con un braccio alzato la folla di fotografi e giornalisti che la attendevano all'esterno. SORELLE CATALDI Le sorelle Lidia e Franca Cataldi, il 20 ottobre 1945 uccisero Angela Barruca e il figlio di 3 anni. Il fatto avvenne a Roma, nell'appartamento della vittima. Sposata e con un figlio, Angela Barruca più volte aveva prestato dei soldi alle sorelle in cerca di lavoro. La mattina del 20 ottobre le sorelle Cataldi si recarono nell'abitazione della vittima per chiedere ancora del denaro, ma la Barruca si rifiutò. Scoppiò una violenta lite e la donna fu immobilizzata sul divano e il figlio chiuso nel bagno. Una volta riempita una valigia intera di oggetti, temendo di essere denunciate, le sorelle colpirono la donna con un coltello e fecero uguale con il bambino. Le sorelle scapparono precipitosamente dall'appartamento e abbandonarono il coltello su un muretto. Grazie al portiere dello stabile, cui non era sfuggita la fuga delle ragazze, le sorelle furono arrestate e processate per il duplice omicidio. TRIGONA E PATERNò Nel 2 Marzo 1911, la contessa Giulia Trigona, moglie infelice del conte Romualdo Trigona, morì per mano del suo amante, il barone Vincenzo Paternò. La relazione dei due era iniziata nel 1909 ma, dopo circa 2 anni, Giulia Trigona decise di tr5oncare la relazione contro il volere di Paternò. Paternò chiese un ultimo appuntamento alla donna e lei acconsentì. Nella mente di Paternò, però, era già progettato il tragico epilogo che si sarebbe compiuto. Dopo circa un quarto d’ora dal loro incontro una cameriera che passava nel corridoio spiò dal buco della serratura e vide l’uomo che brandiva un coltello e ripetutamente colpiva la donna, poi afferrò una pistola e fece partire un colpo. Vincenzo Paternò, soccorso immediatamente, si salvò e fu accusato di omicidio premeditato. Il difensore di Paternò invocò la semi-infermità mentale per il suo assistito e chiese di sottoporlo a perizia mentale. Riconosciuto però sano di mente, l’imputato fu trasferito nel carcere di Roma di Regina Coeli e fu condannato alla pena dell’ergastolo. Nel 1942 Paternò ricevette la grazia e morì nel 1949. Cianciulli Leonarda Cianciulli nacque a Montella di Avellino nel 1893, da Emilia Di Nolfi e da Mariano Cianciulli, ebbe un infanzia infelice e solo nella sua adolescenza, scopre nei uomini la consolazione alla vita grigia e triste. Con Raffaele Pansardi si sposerà poco prima della prima guerra mondiale E andarono a vivere a Correggio nel 1930. Leonarda non aveva dimenticato che da piccola due zingare le aveva predetto un amaro destino. Leonarda ebbe diciassette gravidanze ma solo quattro figli. Il ricordo della maledizione accompagnava la donna ogni giorno della sua vita. Con l’avvicinarsi della guerra Leonarda era angosciata perché non voleva mandare il figlio maggiore Giuseppe al fronte, così decise di fare dei sacrifici umani per salvare il figlio. La Cianciulli frequentava tre donne anziane e sole ognuna con il desiderio di andarsene da Correggio. La prima a cadere nella sua rete fu Faustina Setti che cercava l’amore e Leonarda la convinse a partire per Pola senza dire nulla a nessuno e il giorno della partenza la convinse a scrivere delle lettere per spiegare la partenza e dopo di che la Ciaciulli la ammazzo a colpi di scure facendo poi con il corpo del sapone e con il sangue dei dolci. La seconda vittima fu Francesca Soavi. La terza e ultima vittima fu Virginia Caccioppo. Fu proprio la cognata dell’ultima vittima a insospettirsi per la sparizione improvvisa della donna, che aveva visto entrare in casa della Cianciulli prima di sparire per sempre. Nel 1946 la corte dopo aver scartato l’ipotesi che qualcuno potesse aver aiutato la Cianciulli, stabilì che lei fosse l’unica responsabile dei turpi omicidi e la condannò a trent’anni di carcere e tre anni di manicomio giudiziario. Morì nel manicomio giudiziario per donne di Pozzuoli, il 15 ottobre 1970. PROCESSO CUOCOLO La vicenda inizia la mattina del 6 giugno 1906 quando venne scoperto il cadavere del basista della camorra ed esperto in furti, Gennaro Cuocolo. Lo stesso giorno venne trovato anche il cadavere di sua moglie Maria Cutinelli, complice del marito ed ex prostituta. Su questo duplice delitto indaga dapprima la Polizia ma il caso resta inizialmente irrisolto. Successivamente, l’indagine viene ripresa dai Carabinieri Reali che ripresero l’inchiesta e istituirono una squadra speciale, “i Cosacchi”. Fu sostituito anche il PM che veniva considerato troppo rispettoso delle garanzie procedurali ed anche un magistrato inquirente fu costretto a farsi da parte poiché aveva espresso dubbi sull’indagine. La base principale dell’indagine furono le rivelazioni di Gennaro Abbatemaggio, detto “o’ Cucchierello”, pregiudicato di 23 anni a cui si accodarono altri pentiti. Infine, furono rinviati a giudizio altri 30 imputati, tra cui un sacerdote. Il processo iniziò a Viterbo solo nel 1911. Si trattò di un maxiprocesso e diventò anche un grande evento mediatico. La sentenza fu emessa il 12 luglio 1912 e condannò quasi tutti gli imputati, uno dei quali (Gennaro de Marinis) si suicidò in aula. I due principali imputati, Enrico Alfano e Giovanni Rapi furono condannati a 30 anni. Enrico Alfano, “Erricone”, scontò quasi per intero la sua condanna, dato che fu messa in libertà dal Penitenziario di Volterra solo nel 1934, dopo 27 anni di carcere a seguito di un’amnistia. Antonietta Longo Il cadavere di Antonietta Longo venne ritrovato casualmente il 10 luglio 1955 da Antonio Solazzi e Luigi Barboni sul Lago Albano. I due, inizialmente spaventati dal ritrovamento, avvisarono le forze dell'ordine solo il giorno 12 luglio. I carabinieri accertarono che la donna, era stata accoltellata più volte all'addome e alla schiena e infine decapitata. I carabinieri accertarono che Antonietta Longo fu decapitata nello stesso punto in cui fu trovato il suo corpo, perché il terreno sottostante era impregnato di sangue. La testa non venne mai ritrovata. Secondo il medico legale che effettuò l'autopsia sul corpo della giovane, suppose che l'assassino fosse un medico. L'autopsia inoltre rilevò un aborto recente. Un elemento fondamentale per l'inchiesta fu l'orologio trovato al polso della donna. Una ricerca svolta presso gli orafi di Roma identificò il cadavere come appartenente ad Antonietta Longo. I carabinieri tentarono di ricostruire le vicende relative agli ultimi giorni di vita della donna. Scoprirono così che pochi mesi prima aveva ritirato tutti i suoi risparmi, aveva chiesto un mese di permesso ai suoi datori di lavoro. Dagli ultimi movimenti accertati, risultò che Antonietta Longo era uscita dalla sua abitazione il mattino del 1º luglio. La sua ultima traccia è una lettera ai suoi familiari, spedita la mattina del 5 luglio. Questo particolare, unito alla data del quotidiano usato per coprire il cadavere, fece concludere agli investigatori che la donna era stata uccisa quel giorno stesso. Furono eseguite ulteriori indagini sulla vita della donna. Furono inoltre ritrovate presso il deposito della stazione Termini le valigie preparate dalla donna. Il caso fu presto archiviato senza processo e non si riuscì a stabilire mai né il movente né l'assassino. Cesare Lombroso Cesare Lombroso nacque a Verona nel 1835, al termine dei suoi studi egli sviluppò una teoria secondo la quale i criminali nascono tali. Ovvero che il problema sta nel cervello, nel cranio e che si può notare anche da alcune caratteristiche del viso. Difatti esso aprì quanti più crani possibili per dimostrare la sua teoria. Però, l’idea che la criminalità sia connessa a particolari caratteristiche fisiche, è molto antica: la troviamo già, ad esempio, nell’Iliade di Omero. Quindi, non solo, il criminale, che è criminale, ce lo ha scritto in faccia: secondo Lombroso, infatti, alcune caratteristiche erano alla base del comportamento del deviante, del delinquente. Lombroso studiò soprattutto i volti. Secondo lui grandi mandibole, canini forti, incisivi mediani molto sviluppati, zigomi sporgenti, arcate sopraccigliari prominenti, naso schiacciato e prognatismo erano sintomo di una qualche devianza. In sostanza il delinquente portava i segni della sua “malattia” scritti in faccia, visibili a tutti. Al di là del volto, studiò, come detto, il cranio e fu un florilegio di misurazioni. Nacque quindi la craniometria. Le ossa vennero misurate e Lombroso stabilì ciò che era normale e ciò che invece non lo era. Vizzardelli William Vizzardelli, aveva 14 anni quando commise il primo omicidio. Il 4 gennaio 1937 uccise a colpi di scure Don Belardinelli, direttore del collegio “Casa delle missioni”, dove il ragazzo frequentava la scuola di avviamento. La seconda vittima fu il portinaio del collegio, Don Andrea Bruno, testimone involontario. La terza e quarta vittima furono il baribere Livio Delfini e l’autista Bruno Veneziani, i cui corpi furono rinvenuti in campagna la mattina del 20 agosto 1938. I due erano stati uccisi con due pistole diverse. La quinta vittima fu il guardiano dell’ufficio del registro, Giuseppe Bernardini. Il manico della scure era imbrattato da una sostanza zuccherina. Dalla cassaforte dell’ufficio, mancava la somma di 12 949 lire. Gli inquirenti convocarono il direttore dell’ufficio del registro, Dottor Guido Vizzaredelli, padre di William, che la sera prima aveva denunciato ai carabinieri la scomparsa del figlio sedicenne, poi ritirata dopo che il ragazzo aveva fatto rientro a casa. Ai carabinieri spiegò che il figlio era appassionato di chimica e spesso passava il tempo a distillare alcolici gli inquirenti si insospettirono e iniziarono ad indagare su William. Prova schiacciante furono le chiavi insanguinate della cassaforte nelle sue tasche. Il giovane confessò, con impressionante freddezza, tutti i suoi delitti. Il furto dalla cassaforte sarebbe dovuto servire per espatriare in America. Il processo si aprì a Genova il 19 settembre 1940. Giudicato colpevole dei cinque delitti e capace di intendere e di volere, a salvarlo dalla pena di morte fu la sua giovane età. Il 23 settembre successivo fu condannato all’ergastolo, condanna confermata in appello con sentenza del gennaio 1941. Sabatini Alle ore 8:30 del 7 maggio 1955 il commerciante Eraldo Sabatini fu ucciso nel suo negozio di calzature sulla circonvallazione Casilina, a Roma. Ad ucciderlo, con alcuni colpi di pistola, fu la figlia Adriana Sabatini di 26 anni, commessa in una drogheria, dopo una breve e accesa discussione. Unica testimone la compagna dell’uomo, Agnese D. Il movente lo svelerà la stessa Adriana, arrestata subito dopo il parricidio: l’odio che provava per il padre che aveva smesso di occuparsi della famiglia per amore dell’altra donna. La Corte d’Assise di Roma riconobbe Adriana Sabatini colpevole di omicidio volontario aggravato e la condannò a 21 anni di reclusione, pena ridotta a 14 anni per infermità psichica. Dichiarata persona socialmente pericolosa, la Corte ne dispose il ricovero in casa di cura e custodia per un periodo di tre anni. Tittone Il diciottenne P.Tittone uccise i propri nonni, per motivi di interesse, colpendoli a morte con una roncola. Il duplice omicidio si verificò a Sassoferrato il 19 aprile 1947. Pasolini Pier Paolo Pasolini è stato un poeta, scrittore, regista, sceneggiatore, drammaturgo, giornalista ed editorialista italiano. Nella notte tra il 1º e il 2 novembre 1975 Pasolini fu ucciso in maniera brutale: percosso e travolto dalla sua stessa auto sulla spiaggia dell'Idroscalo di Ostia. Il cadavere massacrato venne ritrovato da una donna alle 6 e 30 circa. L'omicidio fu commesso da Pino Pelosi di Guidonia, fermato la notte stessa alla guida dell'auto del Pasolini. Pelosi affermò di essere stato avvicinato da Pasolini nelle vicinanze della Stazione Termini e da questi invitato sulla sua vettura, dietro la promessa di un compenso in denaro. Dopo una cena offerta dallo scrittore, i due si diressero alla periferia di Ostia. La tragedia, secondo la sentenza, scaturì a seguito di una lite per pretese sessuali di Pasolini alle quali Pelosi era riluttante. Il giovane venne minacciato con un bastone del quale si impadronì per percuotere Pasolini fino a farlo stramazzare al suolo. Quindi Pelosi salì a bordo dell'auto dello scrittore e travolse più volte con le ruote il corpo. Pelosi venne condannato in primo grado per omicidio volontario in concorso con ignoti e il 4 dicembre del 1976 con la sentenza della Corte d'Appello, riformava parzialmente la sentenza di primo grado. Il 4 maggio 2010 il p.m. Diana de Martino deciderà, sull’accoglimento dell’istanza, di riaprire il caso della morte di Pierpaolo Pasolini. Di recente l’uomo, che ha già scontato una pena definitiva per l’omicidio, ha cambiato nuovamente versione, dichiarando di non essere stato lui ad uccidere Pasolini. La classe 3B ringrazia : Il Dirigente Scolastico, Prof. Claudio Dore, per l’opportunità e la fiducia che ci ha concesso. Il Museo Criminologico, per averci accolto con simpatia e disponibilità e per l’estrema cura del luogo e dei dettagli. La Prof.ssa Maria Cosentino, p e r a v e r c i accompagnato e preparato per questa esperienza, per la bella giornata passata insieme e per i mille sorrisi.
Documenti analoghi
I BOIA - VIRIO Blog
il disporre di un accesso privilegiato alla conoscenza (per fortuna a
disposizione di tutti), ma solo il saperla organizzare.
Questo mio modo di usare le risorse in rete lo ho già sperimentato
nei ...