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LPIDOC # 82 le Alpi del Sole sommario IN PRIMO PIANO 3 La Regione Piemonte 3 ha varato un progetto di legge sull’elisky. Ecco quello che i commi non dicono di Alberto Gianola 11 6 Can che morde è male educato ESCURSIONISMO 31 Il Giro della Castellata 7 Un nuovo portale internet turismo verde 8 Nelle Alpi c’è una Perla chiamata Limone Piemonte di Simone Bobbio Scialpinismo 0 1 Quei campioni in pelli e tutina di Irene Borgna Sentieri e Rifugi 11 I Sentieri dei Saraceni pronti all’assalto degli escursionisti 44 54 di Massimo A. Allamanola a cura di Tiziana Gallian TRAVERSATE IN QUOTA 44 Va’ dove ti portano le gambe! di Grazia Franzoni e Marco Berta Ricorrenze / 1 54 Il capitano Cossato e la sua cima di Lorenzo Bagnoli Ricorrenze / 2 60 Bartolomeo Peyrot, il primo italiano sul Monviso di Marco Fraschia L’uomo che non passò alla storia 70 di Dario Viale Ricordi d’autore 14 I vent’anni del Sentiero Cavallero LO SCAFFALE di Bruno Comina di Maurizio Giaminardi In copertina: il Monte Salza dal Vallone di Rui (foto di Enrica Raviola). 13 Addio a Francesco Musso presidente TAM Piemonte. Alla sua memoria dedicato un sentiero in Valle Maudagna 18 Perché la Valle Grana ci crede ancora! 60 Prime salite Monte Mongioie, Monte Moro, Monte Ponset, Contrafforti di Lausa Bruna, Punta Maladecia, Testa Gias dei Laghi, Rocca la Meja, Rocca dei Duc 31 21 LA REPLICA per scoprire lo spazio Marittime Mercantour 18 CRONACA ALPINISTICA SPELEOLOGIA 19 Piaggia Bella ha un nuovo ingresso di Alberto Gabutti 74 La prima volta di Mauro Manfredi 78 Il mito dello Scarason raccontato da un maestro dell’alpinismo, Ottanta escursioni dalla Riviera di Levante alle Alpi Liguri, I mammiferi delle Alpi, Le stanze segrete delle montagne, Ripido! LE ALPI DEL SOLE 83 Notizie dalle sezioni Bra, Cuneo, Fossano, Garessio Mondovì, Ormea, Peveragno Savona ALPIDOC è la pubblicazione trimestrale dell’associazione Le Alpi del Sole che comprende le sezioni del Club Alpino Italiano di Alba – Barge – Bra – Cavour – Cervasca – Ceva – Cuneo – Fossano – Garessio – Mondovì Ormea – Peveragno – Saluzzo – Racconigi – Savigliano – Savona. LPIDOC Comitato editoriale: Giorgio Aimo, Carlo Biei, Marco Bologna, Paola Bonavia, Angelo Brizio, Piergiorgio Fiorito, Grazia Franzoni, Alberto Gianola, Raffaella Antona, Ilario Marro, Pier Paolo Mattis, Bruno Mezzomo, Ruggero Michelis, Carla Nalotto, Carla Rolando, Roberto Torra. Direttore responsabile: Nanni Villani. Coordinamento della Redazione: Enrica Raviola. Progetto grafico e impaginazione: Costarossa Edizioni. Corrispondenti sezionali: Piero Marocco (Alba), Umberto Bernardotto (Barge), Chiara Audisio (Bra), Giancarlo Menotti (Cavour), Claudio Costamagna (Cervasca), Marco Plassio (Ceva), Franco Dardanello (Cuneo), Osvaldo Imberti (Fossano), Achille Andreis (Garessio), Giorgio Aimo (Mondovì), Ezio Michelis (Ormea), Elio Viada (Peveragno), Carla Rolando (Racconigi), Franco Galliano (Saluzzo), Piero Bertoglio (Savigliano), Bobo Santi (Savona). Hanno collaborato a questo numero: Achille Andreis, Massimo Andreis Allamandola, Chiara Audisio, Lorenzo Bagnoli, Marco Berta, Simone Bobbio, Irene Borgna, Agostino Bormida, Michele Colombotto, Bruno Comina, Franco Dardanello, padre Oreste Fabbrone, Grazia Franzoni, Marco Fraschia, Alberto Gabutti, Tiziana Gallian, Maurizio Giaminardi, Alberto Gianola, Gianfranco Ghibaudo, Mauro Manfredi, Dario Viale. DIREZIONE, REDAZIONE, PUBBLICITÀ E AMMINISTRAZIONE: Costarossa Edizioni, via Sottana 2, 12010 Vignolo (Cn), tel. 0171/46128, e-mail [email protected]. Prezzo per copia: 3,50 euro. arretrati: prezzo di copertina + 1,50 euro spese spedizione. ABBONAMENTO: 13,00 euro, versamento su ccp n. 78034238 intestato a Costarossa Edizioni, 12010 Vignolo (Cn); IBAN per bonifico: IT78H0760110200000078034238. STAMPA: Tipolito Europa di Botto Antonio & C. snc, via degli Artigiani 17, 12100 Cuneo (Cn), tel. 0171/603633, fax 0171/681415, e-mail [email protected]. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DBC/CN – filiale di Cuneo • Registrazione del Tribunale di Cuneo n. 466 del 274-1992. Il materiale inviato a fini redazionali e non espressamente richiesto non verrà restituito. L’Editore garantisce la riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di chiederne la rettifica o la cancellazione. Le informazioni custodite nell’archivio di Costarossa Edizioni verranno utilizzate solamente per inviare agli abbonati la rivista ed eventuali comunicazioni ad essa relative (legge 657/96 tutela dei dati personali). L’Editore declina ogni responsabilità in caso di mancato recapito da parte dei Servizi Postali. Segui ALPIDOC su LPIDOC è una testata edita con il sostegno di Medaglia d'oro al Valore Civile in primo piano La Regione Piemonte ha varato un progetto di legge in materia di eliski. Ecco quello che i commi non dicono… Foto Archivio Guide Alpine Risemountain (www.risemountain.it) Con il pretesto di regolamentare l’utilizzo ludico dell’elicottero in montagna, si apre la strada a una liberalizzazione che, sottovalutando i rischi dello sci fuori pista, può di creare guai seri ai soggetti che dovrebbero trarre benificio dalle convenzioni Testo di Alberto Gianola I l Consiglio regionale piemontese sta esaminando un progetto di legge che si vorrebbe volto a regolamentare l’utilizzo ludico dell’elicottero in montagna, specie per il trasporto di sciatori, allo scopo di proteggere l’ambiente. A ben vedere, le norme proposte sono foriere di una liberalizzazione che, se approvata, creerà più problemi di quanti vorrebbe risolverne. Il progetto in questione prevede il divieto assoluto di sorvolo solo sui territori di parchi nazionali. Altrove, anche nelle aree protette e nei parchi regionali, convenzioni tra soggetti che offrono il servizio di eliski e comuni o enti gestori di zone tutelate possono permettere il trasporto di sciatori, con modalità prefissate in ordine al numero di voli, alle rotte e agli orari. In sostanza viene attribuito ai comuni il potere di regolare in concreto, entro una vaga cornice di principi generali, l’attività dell’eliski sui propri territori. Scopo espressamente perseguito è quello di incrementare i vantaggi economici delle aree alpine, salvaguardando al tempo stesso l’ambiente: si pensa in questo modo di promuovere ulteriormente il turismo alpino con benefiche ricadute locali. alpidoc 82 • 3 Verso l’affollata vetta del Tibert (foto di Franco Dardanello). In realtà le cose sono ben diverse. L’elicottero ha un notevole impatto ambientale. Produce rumore, inquina per via dell’elevata emissione di gas di scarico, disturba gli animali quando le condizioni ambientali rendono difficile il reintegro delle energie consumate per una fuga improvvisa fino a mettere a repentaglio la vita dell’animale stesso. L’elicottero allontana gli altri frequentatori della montagna. Effetto delle nuove norme sarà quello di sostituire a molti scialpinisti ed escursionisti con racchette un numero esiguo di elisciatori, con un sicuro calo dell’indotto economico. È sintomatico che negli altri paesi dell’arco alpino l’eliski sia vietato o fortemente limitato. Nelle Dolomiti lo si è prima ammesso e poi posto da parte perché ci è resi conto che portava più svantaggi che vantaggi. Già i dati illustrati dovrebbero indurre a vietare l’eliski o quantomeno a limitarlo a un numero contenutissimo di zone ben definite, rigorosamente al di fuori delle aree protette, individuate sulla base di una attenta valutazione dell’impatto ambientale e della sicurezza in sinergia con istituzioni particolarmente competenti in materia. Oltre agli aspetti ambientali ed economici, il progetto di legge sull’eliski presenta notevoli criticità sotto il profilo giuridico. Esso attribuisce ai comuni il potere di decidere in ordine agli 4 • alpidoc 82 itinerari di volo, ai modi per garantire la sicurezza delle persone coinvolte nelle operazioni con elicottero in volo e al suolo. Un potere che presuppone competenze specialistiche di cui non sempre gli amministratori comunali possono disporre direttamente e che va di pari passo con la responsabilità. Anche in presenza di un accompagnatore professionale e titolato del gruppo, il comune potrebbe essere chiamato a rispondere laddove la sua scelta non fosse stata sufficientemente prudente. A differenza dello sci di discesa, lo sci fuori pista si svolge in zone non gestite e dunque può essere affrontato in relativa sicurezza solo da chi sia in possesso, oltreché di buone capacità tecniche in ordine alla conduzione degli sci, anche di conoscenze dell’ambiente alpino invernale tali da ridurre al minimo il rischio di incidenti, in particolare dovuti alla caduta di slavine. L’organizzazione e la gestione di una gita fuori pista comporta una valutazione specialistica ex ante del percorso sulla base dello stato del manto nevoso e delle previsioni meteo, una valutazione specialistica in loco al momento della partenza, una valutazione specialistica continua del percorso seguito durante la salita e la discesa. A volte anche pochi metri di differenza possono rappresentare il confine tra la vita e la morte. L’elicottero evita la salita. Studi approfonditi indicano che la pressione esercitata sul manto nevoso da uno sciatore in discesa è il doppio di quella esercitata in salita. Senza mettere in Effetto delle nuove norme sarà quello di sostituire a molti scialpinisti ed escursionisti con racchette un numero esiguo di elisciatori, con un sicuro calo dell’indotto economico. discussione l’esperienza, le capacità tecniche, la prudenza e il senso di responsabilità dello sciatore, la discesa pone indubbi rischi, difficilmente stimabili in anticipo, per il solo fatto di agire in un ambiente che per definizione è “pericoloso”. In un contesto così problematico, la presenza di un accompagnatore professionale potrebbe non sollevare l’amministrazione comunale o l’ente gestore da responsabilità, poiché sono costoro ad aver deciso l’itinerario e ad aver stabilito le modalità onde garantire la sicurezza, ovvero ad aver dato via libera alla singola iniziativa. Il ruolo di organizzatore, supervisore e controllore dell’ente può comportare una sua responsabilità nell’ipotesi di incidente, a meno che l’istituzione non riesca a provare il caso fortuito. Un altra criticità concerne l’atterraggio in quota. Esso avverrà in zone limitate dove sicuramente saranno presenti scialpinisti, posto che gli itinerari appetibili agli occhi di questi ultimi per condizioni meteo e di neve saranno gli stessi ai quali faranno riferimento gli elisciatori. L’elicottero per atterrare necessita di spazio: la cosa pone un problema di precedenza. La proposta di legge non si pronuncia sul punto, ribaltando implicitamente il problema sui comuni (o enti gestori), laddove questi si vedono attribuito il potere di stabilire gli itinerari di volo. L’ente organizzatore non ha il potere di riservare aree in quota all’atterraggio degli elicotteri per scopi ludici, escludendo da tali zone altre categorie di fruitori. In altri termini. l’ente pubblico non può interdire l’accesso a una cima agli scialpinisti per un certo periodo allo scopo di permettere l’atterraggio di un elicottero privato che trasporti sciatori a pagamento. Il risultato delle nuove regole sarà dunque una convivenza problematica di scialpinisti ed elisciatori in un ambiente non facile, una convivenza potenzialmente foriera di incidenti con riferimento ai quali ancora una volta potrebbero essere chiamati a rispondere coloro che hanno scelto l’itinerario. In un tal contesto, i possibili costi che i comuni o gli enti gestori si troverebbero ad affrontare nell’ipotesi di incidente di cui venissero ritenuti responsabili sarebbero di gran lunga superiori ai proventi ricavati dalle convenzioni – proventi che, in certi casi, debbono essere impegnati per interventi ambientali, strutturali e paesaggistici nel territorio di propria competenza. Eventuali contratti di assicurazione, laddove fossero utilizzabili, avrebbero comunque costi elevati per via dei rischi coperti, e comunque coprirebbero solo la responsabilità civile. In sintesi, il risultato del progetto di legge sarà quello di caricare i comuni e gli enti gestori di aree tutelate di una pesante responsabilità foriera di costi non indifferenti. È indicativo che altrove la disciplina dell’eliski sia informata a scelte diverse, tese a coinvolgere enti diversi, portatori di competenze specialistiche differenti ma complementari. È il caso della Valle d’Aosta, dove la legislazione in materia prevede che gli itinerari di volo vengano stabiliti dai comuni in accordo con la stazione forestale competente per territorio e con l’Unione Valdostana guide. ◢ alpidoc 82 • 5 stampa Tip. Europa - 2012 grafica: Can che morde è male educato Fondo europeo di sviluppo regionale Fonds européen de développement régional Programma Alcotra 2007-2013 Insieme oltre i confini Programme Alcotra 2007-2013 Ensemble par-delà les frontières www.diegoviada.com Gli aggressori a quattro zampe stessi e comunque non provenienti dal Centro della Regione che li prepara prima di consegnarli agli allevatori illustrazioni: Alfredo Dellavalle piazza Regina Elena, 30 12010 Valdieri CN tel. 0171 97397 - fax 0171 97542 [email protected] www.parcoalpimarittime.it gli animali e noi I eun cane se... da difesa del gregge mi si avvicina minaccioso? a nostra prendendo ui quali la realtà quando il lupo vero da circa he l’hanno stanza. Alcuni rattandosi o minacciato ad allontanarsi Da alcuni anni anche nelle nostre vallate ha fatto la sua comparsa il cane da difesa del gregge, o cane da guardianìa, di solito la razza da pastore maremmano-abruzzese, quella più usata da sempre nell’Italia centrale, a difesa dagli attacchi di lupi e cani randagi. Questo cane cresce a contatto con le pecore: il gregge diventa la sua famiglia, da difendere contro qualsiasi minaccia. Un buon cane tende però a distinguere fra una minaccia legata al lupo o ad altri cani, da una minaccia dovuta alle persone e, infatti, si cerca piccolo cani vademecum per visitatori di selezionare poco aggressivi nei responsabili confronti della nostra specie, pur mantenendo la loro efficacia nei confronti di potenziali predatori. gli animali e noi ebbe mpre il lupo, nacciato iovani animali on si lasciano ogna anche un lupo vuol diretto. Infatti molte delle attività all’aria aperta che siamo abitua a considerare “leggere” e “innocue” non sono sempre così “ecosostenibili”: spesso escursionisti, alpinisti, scialpinisti e fotogra inseguono la loro passione nei pochi ambienti appartati risparmia dalla massa dei turisti, dove senza volerlo interferiscono con la faun e con gli ecosistemi delicati delle praterie dei canaloni, laalpine, replica dei torrenti, delle pareti, delle vette e dei ghiacciai. Il rischio è quin quello di rompere l’equilibrio degli ultimi lembi di natura alpin ancora incontaminata. Normalmente chi si dedica a queste attività è sensibile al fascin e al rispetto della natura: di sicuro quindi non farà piacere a nessun potenziali fonti di disturbo per l’ambiente sonoscoprire per diloessere più o di pericolo per glianimali animali. lasciati a se 6• piccolo vademecum per visitatori resp l Parco naturale delle Alpi Marittime ha appena dato alle stampe un pieghevole dal titolo Gli animali e Non dobbiamo dimenticarci che, perconsapevoli. quanto le nostre intenzion noi. Piccolo vademecum per visitatori siano amichevoli, gli animali ci vedono come predatori, Si tratta di una guida ai comportamenti corretti scappano che e per sfuggire a quella che credono una minaccia, talvol ogni escursionista, sciatore,la arrampicatore, fotografo mettendo a repentaglio loro vita. Per fortuna possiamo continua a scalare, sciare e fotografare montagnae senza creare troppi dovrebbe tenere in montagna in in generale, nell’area problemi: basta mettere in pratica qualche accorgimento protetta in particolare, per evitare di danneggiare e cerca di evitare alcuni luoghi particolarmente fragili o i periodi dell’ann l’ambiente e la fauna che lo popola. in cui gli animali sono più vulnerabili. Tra i vari fare e cosa non fare se si per trova undei piccolo Noncosa c’è bisogno di andare lontano fare danni, si può capriolo, si incontra un rimanendo lupo, si “inciampa” combinare guai anche sul sentiero o in nei una pressi del rifugi innocente e spontaneo come nutrire un singolo viperaune gesto così via, è contemplato anche quello che animale può essere deleterio per lui e potenzialmente DEDICATO A SCIATORI E ARRAMPIC riguarda gli incontri ravvicinati con i cani da guardiania. pericolos anche per noi. fagiani di monte in Argomento e molto sentito da chi frequenta la può avere voglio farespinoso un’escursione Anche l’esuberanza dei nostri amici a quattro zampe Il fagiano di monte o gallo force montagna, come le reazioni sollevate dai ha preso nel Parco con ildimostrano miofauna cane? effetti negativi sulla alpina: per questo il Parco adattato all’ambiente alpin Sedentario, anch Sono i nostri amici zampe,pubblicato conlimitare cui dividiamosullo contributi chea quattro abbiamo scorso la sofferta decisione di l’accesso ai numero canisasusopravvivere tutti i sentie di neve invernale: vi scava delle g la casa e il nostro tempo libero: è un vero dispiacere in quota. Infatti un cane sfuggito al controllo del padrone può della rivista. termicamente, dove passa buon dover partire per una gita senza di loro. Ma per quanto comportare per i selvatici livelli di stress nella inSfugge periodi così siaparticolarmen ai predatori che a una indolealle tranquilla, ogni cane è unalti predatore Inabbia merito aggressioni denunciate zona continuamente cibo. e il suodelicati, istinto latente è sempre pronto a o addirittura il pericolo di essere feriti o uccisi. Tuttavia, con l’aumento degli sp svegliarsi in presenza di un odore promettente del Rifugio Mongioie dalla sezione CAI di Albenga,del Parco: è allora dedicato lo scialpinismo, le ciaspole o il fre o di un Questo animale chepieghevole fugge. Ecco che il nostroa tutti i frequentatori abbiamo chiesto un parere alper Centro è un piccolo vademecum amici Gestione della natura, è soggetta ae forti stress: l’ar compagno timido e giocherellone può trasformarsi oseguito di uno spavent sotto i nostri occhi in unGrandi efficace cacciatore. che vogliono immergersi nell’ambiente alpino in sciatore punta di scarpon Conservazione Carnivori, che ha il causa Ciò comporta per i galli un dispen L’accoppiata uomo-cane, se questi è tenuto per non disturbare. che in undello momento dell’anno pa al guinzaglio,Lupo non è inPiemonte realtà percepita come Progetto occupandosi, tra l’altro, ne diminuisce la capacità di sop una grande minaccia dagli animali, che possono farsi studio dei asistemi di prevenzione Per ridurre il da rischio di danneggi osservare anche distanza relativamente ravvicinata. degli attacchi è sufficiente fare un po’ di a Il pericoloal diventa però sempre più concreto canide bestiame domestico. seguiamo una sola traccia e con l’aumentare del numero dei cani, anche tenuti Ecco la risposta: «I non cani cui si parla nell’articolo di discesa. Rinunciare ogni ta al guinzaglio: se un cane solo vienedi considerato è un grosso sacrificio: ma è prop un disturbo eccessivo, molti cani possono invece non quelli preparati e distribuiti dal che il fagiano scava il suo riparo metterefanno in allarmeparte la faunadi selvatica. Centro Regionale per la Selezione e l’Allevamento dei Cani da Protezione; generalmente si tratta di animali non correttamente gestiti dal proprietario in quanto inseriti con il bestiame senza una corretta fase di “addestramento”. Vista le dimensioni delle razze utilizzate (pastore maremmano abruzzese o pastore dei Pirenei) e i luoghi in cui questi cani lavorano, è necessario che gli animali siano seguiti da persone adeguatamente formate e consapevoli della loro potenziale aggressività. Per questo motivo è stato istituito il Centro, che ha il compito di selezionare i cani sulla base di caratteristiche e se... cosa fare? cosa fare? l’avifauna delle fal Può capitare durante le nostre escursioni di incontrare unalpidoc gregge custodito 82da cani da difesa. È importante in questo caso tenere presente una cosa: tutti i cani sono dei potenziali predatori e in quanto tali reagiscono rincorrendo la preda nel momento in cui questa si dà alla fuga. Quando ci viene incontro, fermiamoci Nel Parco è in vigore un regolamento che consente l’accesso ai cani solo su determinati itinerari. La prima regola è informarsi sul sito internet del Parco o presso gli uffici turistici se il percorso che ci si appresta a seguire è consentito anche ai nostri amici a quattro zampe. Sebbene spesso sia faticoso, è importante tenere il cane Le pareti rocciose sono l’habitat di uccelli,che vi trovano il luogo e per proteggere i piccoli da volp umani molesti. Scalatori e fotogr avere un forte impatto negativo reale, il falco pellegrino, il gipeto comportamentali e attitudinali. I cani selezionati devono da una parte essere adatti alla vigilanza degli animali al pascolo (se inseriti da cuccioli nel gregge sviluppano un forte attaccamento per gli ovini, che considerano la loro famiglia) e dall’altra presentare un’indole tranquilla, senza manifestare aggressività nei confronti dell’uomo. Come si legge nella Relazione sull’attività svolta nell’ambito del Centro stesso negli anni 20102011, “un attaccamento esclusivo del cane al bestiame, senza contatti con gli esseri umani, può formare cani diffidenti e spaventati nei confronti delle persone. Tali animali possono risultare poco gestibili nel quotidiano, ma soprattutto possono facilmente costituire un pericolo per le persone estranee al bestiame. È necessario pertanto che il cane da guardiania venga adeguatamente “socializzato” nei confronti non solo del gregge ma principalmente delle persone”. Ovviamente i cartelli di attenzione non servono per scaricare la responsabilità, che rimane del proprietario del cane. L’articolo 2052 del Codice Civile recita infatti: “Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale [C.P. 672], sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito”. Nel caso dei cani affidati dal Centro Regionale per la Selezione e l’Allevamento dei Cani da Protezione, la responsabilità dei cani rispetto a terzi è dell’allevatore affidatario. Per quanto riguarda il dubbio su fatto che, come si legge sui cartelli di attenzione, si tratti di cani adeguatamente condizionati, in effetti la dicitura si riferisce ai cani preparati dal Centro Regionale, anche se i cartelli sono stati distribuiti indistintamente a tutti coloro che possedevano un cane da guardiania». ◢ avviso ai naviganti Un nuovo portale internet per scoprire lo spazio Marittime Mercantour I l Parco naturale delle Alpi Marittime e il Parc national du Mercantour si presentano insieme in un nuovo sito internet – www.marittimemercantour.eu – realizzato nell’ambito del Piano Integrato transfrontaliero Marittime Mercantour “La diversità naturale e culturale al centro dello sviluppo sostenibile e integrato”, programma europeo Alcotra 2007-2013. Attraverso centinaia di pagine, fotografie, video, è possibile scoprire virtualmente le Alpi Marittime e il Mercantour, la loro straordinaria biodiversità, ottenere informazioni turistiche, conoscere le tappe lungo le quali si è consolidata e accresciuta la collaborazione transfrontaliera tra le due aree protette e i progetti in corso. Si tratta di un portale di servizio con moltissime informazioni utili, ma anche con tanti contenuti da leggere. “Punti di vista” è la sezione in cui sono raccolti scritti di autori che fra realtà e fantasia conducono in un personalissimo viaggio attraverso le Alpi del Sud. I testi presentano, attraverso l’interpretazione delle Marittime e del Mercantour, piccole preziose tessere di uno straordinario giardino terrestre che merita di essere conosciuto, vissuto, rispettato. Sono un omaggio a uno spazio che non conosce frontiere, a un mondo minerale che da millenni è rifugio per uomini, piante, animali. Marittimemercantour.eu sarà in continuo aggiornamento e presto sarà integrato con nuove rubriche e sezioni dedicate all’escursionismo e alla cartografia tematica per offrire ai “naviganti” uno strumento sempre più ricco e interessante. alpidoc 82 • 7 turismo verde Nelle Alpi c’è una Perla chiamata Limone Piemonte Dal 2012 fa parte di un’associazione di ventotto stazioni turistiche montane che promuovono vacanze all’insegna della mobilità dolce Testo di Simone Bobbio «M i consegna gentilmente le chiavi della macchina?» La domanda non è formulata da un carabiniere a un posto di blocco, bensì dalla gentile impiegata dell’ufficio turistico di Werfenweng, splendida stazione sciistica nelle Alpi salisburghesi, Austria. Il turista italiano preferirebbe consegnare la madre piuttosto che privarsi dell’amata automobile, ma viene immediatamente rassicurato. «In cambio le daremo il pass per viaggiare gratuitamente con tutta la famiglia sui mezzi di trasporto della località. Si tratta di veicoli elettrici, carrozze trainate da cavalli e taxi alimentati con biogas prodotto in loco.» Werfenweng è una delle ventotto stazioni turistiche montane che hanno avviato varie iniziative per lo sviluppo della mobilità dolce, aderendo all’associazione internazionale Alpine Pearls. Le “Perle”, distribuite tra i sei stati alpini (Italia, Francia, Svizzera, Austria, Germania e Slovenia), annoverano grandi e piccole località e invitano i propri ospiti a mandare in vacanza anche l’automobile. Da gennaio 2012 Limone Piemonte è entrata a far parte della rete. La filosofia delle Perle La proposta turistica è in controtendenza rispetto al modello dominante. Fu la motorizzazione di massa, la diffusione capillare dell’utilitaria, a trasformare splendidi angoli delle Alpi in moderne stazioni sciistiche dove godere dei paesaggi innevati e dei campi trasformati in 8 • alpidoc 82 piste da sci, a un paio d’ore d’auto dalla città. In origine, le più belle località di montagna non erano che boschi, alpeggi e villaggi spesso raggiungibili soltanto a piedi, nella bella stagione. L’automobile che aprì la montagna al turismo di massa ne modificò inesorabilmente il paesaggio: mulattiere trasformate in strade carrozzabili, pascoli divenuti parcheggi e file di mezzi a quattro ruote in coda lungo i tornanti. Oggi l’obiettivo delle Alpine Pearls, sintetizzato in un decalogo a cui tutti i comuni membri devono attenersi, è quello di promuovere un turismo più rispettoso dell’ambiente, delle comunità locali e degli stessi turisti che le frequentano. Il successo riscosso dall’iniziativa, fin dal 2006, anno di nascita dell’associazione, dimostra che i visitatori apprezzano la formula di una vacanza rilassante, in cui il disagio di non poter utilizzare la propria auto privata è ampiamente compensato da navette efficienti, che risparmiano la fatica di mettersi alla guida su strade trafficate, dopo un’intensa giornata sulla neve. Limone: un anno da Perla A un anno dall’ingresso del Comune di Limone Piemonte tra le Alpine Pearls si può trarre un primo bilancio dei vantaggi che l’adesione ha comportato, a livello turistico e a livello di iniziative avviate sul territorio. Franco Revelli, il sindaco, ha fortemente insistito per inserire Limone all’interno di questa rete internazionale: «In un Comune posto al confine tra tre regioni e due stati, è importante saper stringere accordi utilizzo delle seconde case e all’aumento del cosiddetto turismo di prossimità: dobbiamo essere pronti ad accogliere i nostri visitatori nella maniera più ecologica e pulita possibile». transfrontalieri in grado di sviluppare alleanze tra più interlocutori. È ciò che stiamo tentando di fare con la ferrovia per insistere sul trasporto pulito su rotaia rispetto a quello su gomma. In questo anno siamo riusciti a mettere d’accordo le città di Torino, Cuneo, Nizza e Mentone, insieme ai paesi della Valle Vermenagna e della Valle Roya, sul valore strategico della linea Cuneo-Nizza. Il fatto di far parte di un’associazione di località di montagna che promuove la mobilità dolce ci dà una maggior autorevolezza sul piano politico. A livello locale, l’adesione alle Alpine Pearls è stata uno strumento di dibattito e discussione con gli operatori turistici per spingere anche loro a una maggiore attenzione verso nuove forme di turismo sostenibile che da noi tardano a prendere piede. Infine, abbiamo concluso la costruzione del nuovo Parcheggio del Sole che consente di pedonalizzare una porzione più ampia del paese e abbiamo introdotto una quarantina di biciclette elettriche che sono state una vera attrazione estiva. La crisi sta producendo un aumento delle presenze turistiche nel nostro paese, grazie al maggiore Le montagne all’avanguardia Le Alpi sono un territorio che incide poco sulle emissioni di anidride carbonica e sul riscaldamento globale, tuttavia ne subiscono più direttamente gli effetti con lo scioglimento dei ghiacci, la migrazione della flora verso quote più elevate e la diminuzione delle precipitazioni nevose. Ma proprio da questo territorio nascono, dal basso, i progetti più innovativi e interessanti volti alla protezione dell’ambiente: lo sviluppo di case passive, le produzioni alternative di energia elettrica, la limitazione del traffico su gomma e gli incentivi per fini turistici della mobilità dolce. Ridurre le automobili in quei luoghi dove il loro impatto è più evidente, dove il loro rombo dà più fastidio e dove i costi di manutenzione della rete stradale, a carico della collettività non certo degli automobilisti, sono più elevati rappresenta dunque il futuro in montagna, sia per chi vi abita e lavora, sia per i turisti, che possono così imparare qualcosa da riportare con sé in città, finita la vacanza. Info: www.alpine-pearls.com/it/home.html. ◢ alpidoc 82 • 9 scialpinismo Quei campioni in pelli e tutina Il Valle Stura Sci Club, con gli atleti del Team Bottero, scala le classifiche del circuito Piemonte Ski Alp Testo di Irene Borgna S ono animali inconfondibili e fanno ormai parte della fauna locale. Il loro habitat d’elezione è la neve fresca, anche se nelle ore notturne e in caso di maltempo non disdegnano quella battuta. Mentre la domenica sali con lo zaino imballato di panini e vestiti pesanti, ti sorpassano sbuffando con addosso una tutina aderente che mette freddo a vederla. Normalmente devi ancora raggiungere la vetta che quelli già scendono, e mentre sei lì che ti togli le pelli, fai pranzo e scatti qualche foto, eccoli che risalgono, e c’è da giurare che saranno di ritorno alla macchina prima di te. Chi sono? Da dove vengono? Chi li manda? Ma soprattutto, perché lo fanno? Sono i garisti dello scialpinismo e nel panorama locale hanno una nuova rappresentanza, il Team Bottero Ski Alp del Valle Stura Sci Club, forte di un direttore tecnico motivatissimo, Giorgio Giraudo, e di undici atleti: Fabrizio Armando (Beinette), Fabio Cavallo (Peveragno), Carlalberto “Cala” Cimenti (Pragelato), Cristina Clerico (Cuneo), Maurizio Enrici (Boves), Mauro Giraudo (Valdieri), Erica Magnaldi (Cuneo), Fabrizio Sopra: Pettavino, Moletto, Clerico, Giraudo, Cavallo e Armando dopo la gara di Garessio (foto Archivio Team Bottero Ski Alp). 10 • alpidoc 82 Mandrile (Cuneo), Marco Moletto (Limone) ed Erik Pettavino (Limone). Hanno esordito alla grande l’8 dicembre al San Sicario Vertical: Cristina Clerico si è imposta in campo femminile, mentre fra gli uomini hanno dato ottima prova di sé Fabio Cavallo (6°), Fabrizio Armando (7°), Maurizio Enrici (9°) e Cala Cimenti (13°). Alla seconda gara stagionale, disputata il giorno di Santo Stefano a Doues, in Val d’Aosta, Fabio Cavallo si è confermato amico del 6° posto, con una prestazione di assoluto rispetto che lo ha visto a soli due minuti dal podio. Ottime anche le prove di Maurizio Enrici (10°) e Fabrizio Armando (11°). Il Team Bottero ha poi chiuso in bellezza il 2012 con la conquista della Val Tanaro: a Garessio, il 29 dicembre, la nuova squadra ha fatto man bassa, imponendosi nella classifica maschile, nella classifica giovani e anche nella classifica a tecnica libera femminile. In campo maschile, prestazione di assoluto rilievo di Marco Moletto, che ha superato i 500 metri di dislivello nello strepitoso tempo di 18 primi e 40 secondi. Al secondo posto il tenace atleta locale Alberto Fazio, che ha regolato in volata l’ottimo e costante Fabio Cavallo; al quinto posto si è piazzato Fabrizio Armando, al dodicesimo Mauro Giraudo, attardato da un guaio tecnico. Lascia ben sperare poi l’affermazione di Erik Pettavino, mascotte sedicenne della squadra, che si è imposto nella categoria giovani, facendo anche segnalare il decimo tempo assoluto. Il Team ha infine voluto dire la sua anche in campo femminile: miglior tempo assoluto e prima nella categoria tecnica libera è risultata Erica Magnaldi, di estrazione fondista e volto nuovo dei vertical di Ski Alp. ◢ sentieri e rifugi I Sentieri dei Saraceni pronti all’assalto degli esursionisti Sistemata in alta Valle Tanaro la nuova segnaletica verticale Testo di Massimo Andreis Allamandola L a proposta di intervento denominata “I Sentieri dei Saraceni” ha avuto un lungo iter tecnico e burocratico iniziato nel lontano 2009, ed è passata attraverso la riforma degli enti montani preposti alla sua realizzazione, ma alla fine, grazie anche al supporto delle sezioni CAI di Ormea e di Garessio, possiamo con soddisfazione affermare che il progetto è stato portato a termine e pure l’alta Valle Tanaro ora è dotata della nuova segnaletica verticale CAI sui principali sentieri che attraversano le Alpi Liguri . Il lavoro ha previsto la posa di oltre trecento nuove frecce di direzione e di circa un centinaio di nuove paline; dove è stato possibile, abbiamo riutilizzato quelle già presenti in loco. Interessati dall’intervento sono stati i sentieri del settore del Colle di Casotto, Mindino e Alpe di Seno, quelli della Balconata di Ormea, quelli del Monte Armetta, Cantarana e Ormea, quelli della Valle Pennavaire, e quelli del settore del Colle San Bernardo e Monte Galero tra il Piemonte e la Liguria. Il lavoro principale di infrastrutturazione è stato completato tra i mesi di settembre e ottobre 2012, ma durante l’estate alcuni professionisti locali in stretta collaborazione con le sezioni CAI di Garessio e Ormea hanno passato molte ore ad elaborare le schede degli oltre 150 luoghi di posa sparsi tra i boschi e le montagne dei rispettivi territori comunali. Fondamentale è stato l’utilizzo Il nuovo cartello “a norma” piazzato poco prima della cima del Monte Armetta; sullo sfondo il Pizzo di Ormea (foto di Massimo A. Allamandola). alpidoc 82 • 11 sperimentale del software Catasto Luoghi di Posa, che il CAI Piemonte insieme alla Regione Piemonte sta testando per permettere alle sezioni CAI interessate di gestire il catasto stesso e per facilitare la creazione dei pannelli contenenti le varie tabelle da inviare alle ditte costruttrici per la stampa. Da parte nostra dobbiamo dire che questo sofware ci è stato di grande aiuto per completare in tempo utile l’intero lavoro rispettando le strette scadenze temporali – ottobre 2012 – che la Comunità Montana ci Segnaletica a Pian del Fo, lungo la Balconata di Ormea verso Viozene (foto di Massimo A. Allamandola); sotto: i volontari del Gruppo Sentieri della sezione CAI di Ormea al lavoro a Nasagò (foto di Ezio Michelis). 12 • alpidoc 82 aveva imposto; a giugno, infatti, ci era stato presentato un progetto molto poco dettagliato e soprattutto privo di dettagli esecutivi circa i luoghi di posa della nuova segnaletica verticale. Avevamo dunque pochissimo tempo davanti a noi per “salvare” questa proposta di intervento, completarla e permettere l’accesso da parte della Comunità Montana ai Fondi per lo Sviluppo Rurale-Misura 313 destinati all’infrastrutturazione della rete sentieristica locale. Siamo riusciti nell’impresa forse soprattutto grazie alla passione che ci accomuna per questi territori delle Alpi Liguri, tra Italia e Francia, a cavallo tra Piemonte e Liguria, una porzione dell’arco alpino che un tempo, nei libri di geografia, era considerata soltanto un’appendice marginale delle Alpi Marittime, ma che la nuova Suddivisione Orografica Internazionale Unificata del Sistema Alpino (SOIUSA), ha riconosciuto come settore autonomo. Il progetto ha coinvolto anche molti sentieri di reti escursionistiche locali, regionali e internazionali come per esempio la Via Alpina (nello specifico gli itinerari R151, R152 e R153 e R154 ), l’Alta Via dei Monti Liguri (tra il Monte Galero e il Colle di Nava) e la Balconata di Ormea. Laddove possibile, abbiamo integrato nella segnaletica verticale, all’interno delle frecce, i loghi di questi itinerari per facilitare la loro fruizione ai tanti turisti, soprattutto tedeschi, svizzeri e francesi, che percorrono ogni anno l’Alta Via e la Via Alpina, da Garessio al Principato di Monaco e viceversa. Le principali vette e i principali sentieri delle Alpi Liguri sono ora più facilmente accessibili per chi vuole iniziare un trekking partendo dal fondovalle, dall’abitato di Garessio, dove si ha la possibilità di scegliere l’itinerario preferito tra la destra o la sinistra orografica del fiume Tanaro. Sul versante destro l’escursionista troverà l’Alta Via dei Monti Liguri che, dal Colle San Bernardo o dalla Fontana delle Meraviglie, lo porterà attraverso le creste del Monte Galero, in Valle Pennavaire. Da lì potrà continuare sull’Alta Via dei Monti Liguri verso il Monte Saccarello per poi decidere se sconfinare in Valle Roya o passare nel Parco del Marguareis. Sul versante sinistro del Tanaro troverà il Colle di Casotto e il Monte Mindino, lo storico punto di partenza della GTA nel 1970, oggi fatta iniziare da Viozene per comodità e per la mancanza di posti tappa e di rifugi gestiti in questa parte di valle (è tuttavia in progetto il recupero di questa porzione dimenticata di Grande Traversata). Dal Mindino, attraverso il Colle di Casotto, l’escursionista potrà risalire e scendere nel Vallone dell’Alpe di Perabruna, con tappa al Rifugio Savona (non gestito, di proprietà del CAI Savona); di lì proseguire verso Ormea attraverso il Passo della Scaletta, per arrivare a Eca, inizio ufficiale della Balconata di Ormea. Da Eca, sulla Balconata, si potrà continuare attraverso i meravigliosi borghi di Villaro, Chionea, Aimoni, Quarzina e raggiungere Viozene, per proseguire, con tappa al Rifugio Mongioie, alla scoperta delle “meraviglie calcaree” del Parco del Margaureis. Questi due itinerari “paralleli” vogliono simbolicamente rappresentare la “complessità geomofologica” delle Alpi Liguri, connesse e allo stesso tempo divise da quel sistema geologico e geografico che è l’alta Valle Tanaro: un insieme di valli e montagne che rappresentano un ponte di collegamento tra il Colle di Tenda e la Bocchetta di Altare (Colle di Cadibona) . Speriamo che il completamento del progetto possa contribuire a far conoscere anche alle nuove generazioni locali questo particolare territorio alpino, e insegnare loro a rispettarlo e a valorizzarlo. Un ringraziamento particolare a Ezio Michelis, del CAI di Ormea, senza il quale questo progetto sarebbe “rimasto sulla carta”, a chi lo ha portato avanti quando ancora si chiamava “I Sentieri dei Saraceni”, e a Silvano Damiano del CAI di Pinasca che ci ha offerto un importante contributo tecnico per l’utilizzo del software Catasto Luoghi di Posa del CAI Piemonte. Il nostro lavoro, attraverso la nuova Commissione Senteristica Alta Valle Tanaro, costituita dalle sezioni CAI di Ormea, Garessio e Ceva, continuerà soprattutto verso settori delle Alpi Liguri ancora marginali ma non per questo meno importanti, come tutto il massiccio del Monte Antoroto, il Colle dei Termini e il Pizzo di Ormea, l’area e i sentieri della Capanna Sociale Manolino del CAI di Ceva e il vallone della Conca Revelli nel Comune di Ormea, dove si trova il Bivacco Cavarero della sezione CAI di Mondovì: un vallone di conformazione glaciale molto particolare, che merita senz’altro una visita e che è raggiungibile sia da Mondovì, sia da Garessio o da Ormea. ◢ lutto Addio a Francesco Musso, presidente TAM Piemonte. Alla sua memoria dedicato un sentiero in Valle Maudagna F rancesco Musso, presidente della Commissione Tutela Ambiente Montano del CAI Regione Piemonte e Valle d’Aosta, nonché di Legambiente Cuneo, lo scorso settembre, a soli sessantacinque anni, ci ha improvvisamente lasciati. Domenica 7 ottobre, autorità CAI, operatori TAM e amici si sono dati appuntamento a Miroglio, in Valle Maudagna, per inaugurare il sentiero Rocca Davì a lui dedicato. L’iniziativa è stata di Lodovico Marchisio, vicepresidente della Commissione TAM, che per ricordare Musso ha pensato di intitolargli un percorso proprio nei luoghi in cui egli aveva organizzato il suo ultimo convegno. In meno di un mese i volontari della sottosezione GEB (Gruppo Escursionisti Bancari) della sezione CAI di Torino, di cui Marchisio fa parte, si sono attivati per rendere agibile il sentiero che da Miroglio, transitando nei pressi delle Grotte del Caudano, ricollega ora Frabosa Sottana. Percorso, questo, che è intenzione del CAI, in collaborazione con le Alpi del Sole e Legambiente, attrezzare completamente e accatastare. alpidoc 82 • 13 I vent’anni del Sentiero Cavallero L’anniversario dell’inaugurazione del percorso celebrato ad Acceglio per iniziativa del Gruppo Alpinistico Benese del CAI Fossano Testo di Bruno Comina R itrovarsi vent’anni dopo per un sentiero? O per Roberto? Per te, ragazzo speciale e indimenticabile, che fai ancora commuovere non solo i tuoi amici di allora ma anche i giovani di oggi che si guardano stupiti e si chiedono perché tanto pathos nelle parole, nei visi, nell’aria che si respira quando si parla di te. Alcuni stralci di articoli tratti da Nuovi Sentieri (pubblicazione del CAI di Fossano) nei numeri usciti dal settembre 1991 al settembre 1992. È stata proprio una festa. Per due giorni la tua casa si è riempita di amici e conoscenti e il giorno della tua partenza c’erano tutti, proprio tutti, a dirti “ciao, arrivederci, ci mancherai”. Non avevo mai visto tanta sincerità e spontaneità in un saluto, tante irrefrenabili lacrime senza padrone che, come un torrente in piena, bagnavano i fiori che ti avevamo portato. Qualcuno, che non ti conosceva bene, si è anche un po’ stupito, però era lì anche lui perché nessuno poteva mancare. E poi i giovani, a cantare e suonare per te come tu tante volte avevi fatto per loro e che, anche a festa finita, nessuno riusciva a portar via, a far tornare a casa. Non vogliamo qui parlare di Roberto perché per il tracciato I l Sentiero Cavallero è un sentiero escursionistico ad anello che si sviluppa in alta Valle Maira. È dedicato a Roberto Cavallero, alpinista morto il 30 giugno 1991, a soli diciotto anni, in un incidente presso il Colle della Forcellina, sul tracciato del sentiero medesimo. Dopo la scomparsa di Roberto, fu indetta una sottoscrizione a favore della famiglia, la quale decise di destinare i fondi a un’iniziativa legata alla montagna. Il Gruppo Alpinistico Benese del CAI di Fossano si occupò della realizzazione del tracciato, basandosi su un’idea di Nino Perino. Durante l’inverno 1991-1992 si perfezionò l’organizzazione logistica (integrazione dei fondi, ricerca dei materiali, eccetera) e nel 1992 si provvide a completare la tracciatura e la segnalazione del percorso, che fu inaugurato il 27 settembre 1992. Il percorso si sviluppa in cinque tappe, quasi interamente nel comune di Acceglio; ogni tappa ha termine in corrispondenza di una struttura atta alla sosta, rifugio, bivacco o posto tappa GTA. Si parte dal Campo Base di Chiappera, frazione di Acceglio, e attraverso il Colle Maurin si raggiunge il Bivacco Barenghi (primo giorno); per questa prima parte dell’itinerario si consiglia l’utilizzo di imbracatura, perché è necessario attraversare il Passo di Terre Nere, molto esposto e attrezzato con catene. Dal Barenghi si raggiunge il Bivacco Bonelli, attraverso il Passo della Forcellina dove morì Roberto (secondo giorno). Dal Bonelli si raggiunge il Bivacco Enrico e Mario (terzo giorno), lungo un sentiero che passa alla base del Monte Oronaye. Dal Bivacco Enrico e Mario si raggiunge il posto tappa GTA di Chialvetta (quarto giorno); il percorso prevede il superamento del Monte Scaletta, dove sono tuttora presenti trincee e tunnel (utile munirsi di una torcia) realizzati dai soldati 14 • alpidoc 82 chi ha avuto la fortuna di conoscerlo sarebbero ben poca cosa queste quattro righe, mentre per chi non l’ha conosciuto non basterebbero certo per chiarire né chi era né quanto ha lasciato in tutti noi. Il Gruppo Alpinistico Benese “Dario Oreglia” coltiva una speranza: riuscire a realizzare un sentiero da dedicare alla memoria di Roberto che troppo presto ci ha lasciati. I costi, sia materiali che di impegno, sono certamente alti e superiori alle nostre attuali forze, ma con l’aiuto di molti, soci e amici che sicuramente ci daranno una mano, siamo certi che questa speranza non sarà un sogno ma un modo di tradurre un sogno in realtà. Per Roberto, per la sua famiglia, per tutta Bene. Impegnativo giro escursionistico di cinque giorni in alta Valle Maira seguendo antiche tracce abbandonate e vecchie mulattiere militari fra scenari di incomparabile bellezza paesaggistica. Lo scorso 30 settembre, ad Acceglio, si è celebrato il ventesimo anniversario dell’inaugurazione del Sentiero Cavallero. In programma, dopo la messa celebrata da padre Oreste, l’esibizione della Banda Musicale Città di Bene Vagienna, del Coro Alpini Sezione ANA di Bene Vagienna, del Coro Paolo Aguzzi del Gruppo Seniores del CAI Fossano Coj del Fià Curt, seguita dal pranzo. La manifestazione è stata organizzata con la collaborazione di Bene Banca Credito Cooperativo di Bene Vagienna, Comune di Bene Vagienna, Club Alpino Italiano Sezione di Fossano, Comunità Montana Valli Maira e Grana, Comune e Pro Loco di Acceglio, Salumificio Benese, Etichettando Arti Grafiche Benesi. italiani in previsione del conflitto con la Francia nel ventennio fascista. Si conclude il percorso raggiungendo le sorgenti del Maira e di qui il Campo Base di Chiappera (quinto giorno). Il sentiero è indicato con segnavia di vernice rossi e blu e con la sigla “SRC”; nei tratti su pietraia, “ometti” di pietre e paline in legno aiutano ad individuare il tracciato. È necessario ricordare che alcune parti del “Cavallero” sono in comune con altri sentieri. Ogni anno, durante l’estate, il Gruppo Alpinistico Benese organizza un’escursione giornaliera lungo una parte del sentiero; quando si raggiunge la meta viene celebrata la messa in ricordo di Roberto. alpidoc 82 • 15 Alcuni momenti della messa celebrata in ricordo di Roberto Cavallero: il discorso del presidente del CAI Piemonte, il fossanese Michele Colonna; le esibizioni del Coro Paolo Aguzzi del Gruppo Seniores del CAI Fossano Coj del Fià Curt e del Coro Alpini Sezione ANA di Bene Vagienna (foto di Giancarlo Rejneri). Il sentiero, decisamente in quota per le nostre zone, viaggia su un’altezza intorno ai 2500 metri per quattro giorni. Solo partendo da Chiappera e toccando Chialvetta si scende sotto i 2000 metri. In tutto circa 50 chilometri di sentiero tracciato in modo discreto ma preciso nei punti importanti, perché non vogliamo precludere a nessuno quel po’ di ricerca personale o quelle volute varianti che fanno dell’andar per monti una delle caratteristiche più piacevoli. Quando Nino ci disse che il sentiero era bello e che meritava una sistemazione si sbagliava: dire bello è molto riduttivo, è ben più che solo bello! Unisce passi, creste, canaloni, valloni in un continuo alternarsi di situazioni e paesaggi, di inaspettate scoperte e sicure conferme che abbiamo provato percorrendolo e che il depliant, per quanto necessario, anticipa e perciò in parte diminuisce. Avevi proprio ragione, questo 16 • alpidoc 82 sentiero bisognava farlo e noi, grazie a due nostri amici, Dario e Roberto, ora siamo riusciti a realizzarlo. È questo un grazie a denti stretti e con il rimpianto nel cuore perché nessun sentiero potrà rassegnarci all’idea che quanto abbiamo fatto proprio loro non possano percorrerlo. Dario, al quale dobbiamo la nascita del gruppo, Roberto per cui cui risentiamo un tonfo nel cuore ogni volta che prendiamo in mano il depliant ormai stampato sul quale il suo nome, nostro malgrado, compare. Io no so quanto avanti andremo, quanto riusciremo ancora a fare con le nostre forze ora che ci siamo messi in cammino. Quanto abbiamo fatto in questi due anni è senz’altro molto, forse troppo, ma questa partenza così forte, così toccante per tutti, sicuramente lascerà un segno, uno slancio che non si fermerà tanto facilmente. E così, dopo vent’anni, possiamo ben affermare che quello slancio continua. Un po’ di storia era indispensabile per capire con quali radici è cresciuta la nostra pianta. In questi venti anni il gruppo ha organizzato moltissime gite portando in montagna un numero di persone allora impensabile. E il sentiero è ancora lì, sempre in ordine, ben segnato, curato. I 35.000 depliant finora stampati testimoniano l’interesse della gente, le tracce nate in questi anni su molti tratti di pietraia evidenziano continui passaggi, i pendii di alcuni ripidi colli ripuliti dal pietrisco che li ricopriva a causa dei molti talloni che cercavano di frenare la discesa sono la miglior prova che il sentiero continua a essere percorso ogni anno. E infine la festa ad Acceglio per ricordare sì il sentiero, ma soprattutto chi ci ha lasciato. Quindi di nuovo, come vent’anni fa, prima in chiesa, la messa, la banda, i cori, i discorsi tutt’altro che formali ma solo e totalmente di cuore. Si è nuovamente respirata quell’aria che ci ha commossi come allora, come se fosse ieri che tutto è successo, che tutto è stato fatto. Gian, Claudio, Angelo, Michele, Nino, Riccardo non sono stati altro che corde che, senza alcun accordo preventivo, hanno vibrato all’unisono nel ricordo con quello strano sapore del dolore che tutti in qualche modo abbiamo dentro e che tutti ci accomuna. E poi via, a mangiare qualcosa tutti insieme Il Rifugio Livio Bianco aperto on demand A nche quest’anno il rifugio, raggiungibile da Sant’Anna di Valdieri in circa tre ore di cammino, condizioni neve e meteo permettendo, sarà aperto su prenotazione tutti i weekend a partire da sabato 2 marzo fino all’apertura ufficiale a metà giugno. Per prenotazioni e info: [email protected]; gestore: Livio Bertaina, 335.5461677, 0171.698600; notizie aggiornate su meteo e innevamento sul sito www.rifugioliviobianco.it. (circa duecento persone) in allegria vera, sentita, profonda sotto il tendone che la Pro Loco di Acceglio ci ha messo a disposizione aiutandoci nell’organizzazione logistica della giornata. È filato tutto liscio, tutto “calcolato e perfetto” come meglio nessuno avrebbe potuto non conoscendo in anticipo il numero dei partecipanti (un po’ di fortuna ci vuole anche o no!). La chiesa piena zeppa, ma nessuno in piedi, il tendone pieno zeppo, ma tutti seduti con il proprio vassoio e il vino che veniva spillato in continuazione da tre damigiane che non siamo nemmeno riusciti a finire. Un grazie di cuore ai partecipanti, a tutti coloro che ci hanno dato un aiuto, a chi ha offerto musica come a chi ha offerto contributi, ma soprattutto un grazie a chi ha lavorato perché tutto andasse per il meglio. E tutto è andato per il meglio! Anche il meteo, dopo le piogge continue del sabato e le previsioni per nulla incoraggianti. Svegliarsi domenica mattina ad Acceglio con il cielo sgombro di nubi ci è sembrato quasi un miracolo. E poco importa che nel pomeriggio la pioggia abbia ricominciato a cadere. Era ormai null’altro che un tardivo sfogo del tempo che in nessun modo avrebbe potuto rovinare la giornata, men che meno un sereno rientro a casa. ◢ Novità alla Casa Alpina di Sant’Anna di Valdieri L a Casa Alpina “Giraudo” di Sant’Anna di Valdieri riprende le attività. Il Parco Alpi Marittime, che gestiva la struttura per conto della Provincia di Cuneo, attraverso un bando pubblico l’ha affidata per quattro anni a Michela Formento. Aperta dal mese di maggio a quello di ottobre, la Casa Alpina è particolarmente adatta a ospitare gruppi: dispone infatti di 90 posti letto oltre che di ampi spazi per attività comuni e all’aperto. I soggiorni possono essere in autogestione, B&B, mezza pensione e pensione completa. Info: 333.2666450. alpidoc 82 • 17 Perché la Valle Grana ci crede ancora! Un gruppo di volontari e di operai forestali della Regione ha ritracciato il sentiero che collega Narbona con il Santuario di San Magno Testo di Maurizio Giaminardi I n un periodo di grande incertezza per il futuro delle piccole comunità di montagna, Castelmagno crede ancora nella propria sopravvivenza e nella possibilità di uno sviluppo che dia spazio a nuovi insediamenti. A volte questa speranza è alimentata anche da traguardi che possono apparire piccoli, ma che racchiudono in sé grandi significati. Ne è un esempio la ricostruzione del sentiero che collega la borgata di Narbona con il Santuario di San Magno attraverso il Colle delle Crosette. Grazie all’impegno e alla professionalità degli operai forestali della Regione Piemonte, a cui va tutto il nostro sincero ringraziamento, e a un nutrito gruppo di volontari della valle, oggi è di nuovo possibile percorrere un itinerario particolarmente suggestivo dal punto di vista naturalistico, che si snoda tra gole ripide seguendo per un tratto il Rio Narbona, per poi 18 • alpidoc 82 inerpicarsi deciso verso il colle sopra citato. Qui è particolarmente pregevole l’intervento delle squadre forestali che hanno letteralmente ricostruito i cinquanta e più tornanti che consentono la risalita. Questo è solo un tassello di una serie di iniziative che, unitamente al recupero architettonico della Borgata Valliera e alla recente riapertura nella stessa località di un rifugio escursionistico, dimostrano come sia giusto crederci ancora e come siano tanti coloro che la pensano come noi. Grazie a questo intervento oggi è possibile percorrere a piedi tutta la sinistra orografica della Valle Grana – disponendo di un punto di appoggio sia a Valliera sia a Chiappi-San Magno – e proseguire la traversata in direzione della Valle Maira. Per la descrizione dell’itinerario si rimanda alla pagina internet www.castelmagno-oc.com/ pres_cast/sentieri/champ_arb.htm. ◢ speleologia Piaggia Bella ha un nuovo ingresso La sedicesima entrata è stata battezzata Suppongo ed è il risultato di uno scavo condotto da svariati gruppi nell’arco di tre anni Testo di Alberto Gabutti, GSP S i è concluso nel mese di agosto un lungo scavo durato tre estati che ha permesso di aggiungere un nuovo ingresso alla Grotta di Piaggia Bella, nel massiccio del Marguareis. La sedicesima entrata si chiama Suppongo e termina in Popongo. A parte i giochi di parole, si tratta di circa cento metri in pianta, quasi tutti interamente scavati, che permettono di raggiungere le zone a monte del sifone dei Piedi Umidi, entrando nelle Gallerie Popongo scoperte nel 2008. Sono queste regioni molto complesse, esplorate intensamente negli anni Ottanta con la giunzione con la Gola del Visconte (‘83) e con il Gache (’86) e poi quasi abbandonate fino al 2008 perché raggiungibili solo dopo dieci-dodici ore di faticosa progressione. Ora sono a un’ora scarsa dall’ingresso Suppongo, che si trova a cinque minuti dalla Capanna Saracco Volante. Ma lo scavo di Suppongo, oltre a riaprire una finestra esplorativa che potrebbe portare ad altri risultati importanti, è stato un vero momento di “libera speleologia”. Vi ha partecipato quasi una cinquantina di speleologi di diversi gruppi. Non solo speleo piemontesi, liguri e francesi, che sul Marguareis sono di casa, ma chiunque sia transitato in Capanna in queste tre estati ha dato il suo contributo. La giunzione è il risultato della “speleologia del Marguareis” – non di uno o più gruppi – e si spera lo stesso avvenga per le esplorazioni del “dopo Suppongo”. ◢ E da Suppongo siamo arrivati a Popongo! (foto Archivio GSP). alpidoc 82 • 19 © costarossa - foto Nanni Villani Meglio un giorno da sambucana… La pecora sambucana è sinonimo di carne particolarmente magra, tenera e gustosa… non a caso l’agnello sambucano, commercializzato dalla cooperativa Lou Barmaset, è diventato un Presidio Slow Food; di Latte, che viene trasformato in toumo, un saporito formaggio tipico locale; di Lana, molto resistente e di ottima qualità, che il consorzio l’escaroun, in collaborazione col LaniFicio FrateLLi Piacenza di Pollone, lavora per confezionare maglioni, guanti, sciarpe, berretti, plaid, acquistabili anche nel punto vendita allestito presso l’ecomuseo della Pastorizia a Pontebernardo. consorzio l’escaroun per la valorizzazione della pecora sambucana comunità Montana Valle Stura via Divisione cuneense 5, 12010 Demonte (cn), tel. 0171/955555, fax 0171 955055, www.vallestura.cn.it cronaca alpinistica Prime salite a cura di Gianfranco Ghibaudo, [email protected] ◢ liguri ◣ • Monte Mongioie Rocca dei Campanili (2390 m) »Parete sud » 1. Trial » M. Valente e C. Rizzo » agosto 2010 Sviluppo: 180 m. Difficoltà: TD (6b max, 6a obbl.). Attacco: a dx della via Nonno sprint (nome alla base). Salita: vedi Alpidoc n. 77. » 2. Due bottoni nel pozzo » A. Pozzi & C. L1 e L2, richiodata, finita e pulita da M. Valente e C. Rizzo nell’agosto 2011 » 3. Afa » M. Valente e C. Rizzo » agosto e novembre 2011 Sviluppo: 170 m. Difficoltà: TD (6b+ max, 6a+ obbl.). Tral, Due bottoni nel pozzo, Afa Sviluppo: 160 m. Difficoltà: TD+ (7b? max, 6b+ obbl.). Attacco: a dx della precedente (nome alla base). Salita: vedi foto. L1) 6c. L2) 7b (da confermare?). L3) 6b+. L4) 6a. L5) 6b. Discesa: C1) sulla via fino a una catena solo di calata (45 m). C2) sulla via fino ad arrivare alla S2 sul bordo dello strapiombo (45 m). C3) fino a terra (55 m). Note: via molto esigente nei primi due tiri anche se addolcita dalla ottima richiodatura sportiva. Roccia super su L2, L3 e L5. Ancora da liberare L2. Sono necessarie due corde da 55 metri e dodici rinvii. alpidoc 82 • 21 22 • alpidoc 82 Gli arrampicatori del cielo Attacco: a dx della precedente (nome alla base). Salita: vedi foto. L1) 6a+/6b. L2: 6b+. L3) 6b+/6c. L4) 6a. L5) 6b. Discesa: C1) sulla via fino a S3 (50 m). C2) in verticale fino a una sosta indipendente sul bordo dello strapiombo (50 m). C3) fino a terra (50 m). Note: via bellissima e omogenea, un po’ più difficile di Trial, interamente chiodata a fix inox da 10 mm. • Monte Moro Rocce del Gatto » Cresta ovest » Gli arrampicatori del cielo » Via aperta in due riprese da Igor Napoli dapprima con Laura Ottonelli, poi terminata con Enrico Rosato il 4 marzo 2007 Sviluppo: 300 m. Difficoltà: D (5+ max). Accesso stradale: esistono due possibilità: A) Mondovì, Frabosa Sottana, Pratonevoso, Baita delle Stelle (1700 m. ca.), se la sbarra non è abbassata, e di qui scendere per rododendri e pietraie quasi fino alla base dei torrioni più bassi; B) lasciare l’auto una decina di chilometri prima della Baita (a 1000 m ca.), in uno spiazzo della strada per Artesina-Pratonevoso, a monte dei due tornanti che precedono la caratteristica chiesetta dove cui la strada si sdoppia. Si imbocca una comoda mulattiera sulla sx che porta ad alcune prese d’acqua. Ultimamente sono stati fatti dei tagli nel bosco, con relative stradine di servizio. Avvicinamento: prendendo le ultime diramazioni a sx di queste nuove tracce, ci si avvicina in modo abbastanza pulito alla via. L’attacco si trova a 1470 metri circa, nei pressi di un gruppetto di faggi addossati alla parete, poco sopra un altro risaltino di poca importanza. Salita: vedi foto. L1) si attacca un muretto grigiastro con fessure, in direzione di una prima clessidra, a circa 3 metri da terra, seminascosta dietro un arbusto (4, 4+). Poi il primo spit (piuttosto in alto, a 12 metri, segnalato da un pezzo di nylon) e successivamente un blocco incastrato con cordone (5+). Nut piccolissimo, quindi friend n. 4 in bella fessura verso sx. Uscita a sx (5+), ancora in fessura, con altra pietra incastrata da fettucciare. Sosta comoda su 2 spit (30 m). L2) si sale un bel muro che diventa giallastro (3 spit, 4+), poi si attraversa a sx, leggero strapiombo e sosta su fettucce (20 m). L3) trasferimento facile di 60 metri su cresta rocciosa (2), sosta su fettucce. L4) si sale la cresta (uno spit alto molto a dx su una lama e un chiodo a V (sosta su fettuccia, 3+, 4, 20 m). L5) cresta (4, 5, 2 spit, sosta su fettucce, 20 m). L6) placca abbattuta (4, 3+), poi placca verticale (4, 4+, 2 spit, sosta con fettucce, 30 m). L7) si scende qualche metro sulla dx. Bel risalto verticale (tratto chiave, 3 spit, 4+, 5). Chiodo, spit in fessura lievemente strapiombante (5, 5+). Sosta su comodo terrazzino (uno spit solo perché molto facile, integrare con uno o due friend o nut, 30 m). L8) si sale in cresta (4+ in partenza), poi senza percorso obbligato (sosta su fettuccia, 3, 2, 60-70 m). L9) si scende una decina di metri sulla dx del filo di cresta. Si continua su bella placca dapprima appoggiata (5+, 5, 4+, 3 spit). Poi si sale un muretto giallo (5, 1 spit, sosta su 2 spit con anello, 20 m). Attenzione: la doppia per scendere non conviene farla qui, meglio proseguire su L10. L10) cresta (3+ in partenza), poi si cammina sino alla calata (20 m). Discesa: si usa la calata a sx, su placca molto bella, dov’è attrezzato un bel monotiro di 25 metri. Note: via molto panoramica ma di scarso ingaggio, adatta a chi arrampica bene sul quinto grado e vuole cimentarsi su una via “di montagna” utilizzando spit e protezioni veloci. L’ambiente circostante, ameno e bucolico, la scarsa esposizione, congiunta alla possibilità di abbandonare la cresta pressoché in qualsiasi momento, facilita le cose e trasforma il viaggio in un’avventura antistress. Nel volume Mondolè e dintorni Igor Napoli diceva che per una ripetizione erano necessari il martello e qualche chiodo. Adesso i chiodi che mancavano sono stati piantati, quindi il materiale occorrente per una ripetizione si riduce a 2-3 nut piccoli, un mazzetto di friend dall’1 al 4, fettucce; una corda da 50 metri è sufficiente. Roccia nel complesso buona. Sulla via sono presenti 23 spit e 4 chiodi. alpidoc 82 • 23 ◢ marittime ◣ • Monte Ponset Anticima sud-ovest (2604 m) » Parete sud-ovest » On a fait le job! » F. Praz e B. Bernard » 21 giugno 2011 Matte One Sviluppo: 200 m. Difficoltà: TD (6a max, 5+ obbl.). Avvicinamento: da Madone de Fenêtre si segue il sentiero del Vallon du Ponset, lo si abbandona alla quota di 2150 metri circa e si sale ai piedi dell’Anticima Sud-ovest del Ponset (parete caratteristica a forma di triangolo). Risalendo dei facili gradini rocciosi si arriva all’attacco della via. Salita: L1) si sale nel punto più basso, si supera uno strapiombo bianco sulla sx, si traversa un po’ a dx e si raggiunge il filo dello sperone poco marcato. Sosta su un ripiano (6a, 5+, 1 chiodo, 45 m). L2) si sale e dopo 20 metri si raggiungono delle 24 • alpidoc 82 rocce rosse a sx della sosta. Si supera una placca direttamente, all’altezza di un chiodo, si traversa a dx e si raggiunge un piccolo diedro, lo si supera e si raggiunge una bella placca, poi si sosta sul filo di cresta (5+, 50 m). L2 bis) da una cengia facile si scende 5 metri a sx e si sosta su un pino (1 chiodo). L3) si traversa leggermente a sx e si sale diretti una placca fino a raggiungere il filo di un pilastro. Si evita uno strapiombo a sx e si sale a sx fino a raggiungere una zona con alberi (5+, 40 m). L4) si raggiunge la cresta sud-ovest fino a una breccia e si sosta su un pino (4, 40 m). Si continua diritto in cresta e si contorna un gendarme passando a sx. In cresta fino alla cima. Discesa: da una breccia dietro la cima, si scende sul versante ovest per un evidente canale. Note: via di stampo classico, non attrezzata (solo tre chiodi in posto); portare friend e fettucce. • Contrafforti di Lausa Bruna » Parete est-sud/est » Matte One » Barbara Buffa, Matteo e Paolo Cavallo » 25 agosto 2012 Sviluppo: 120 m. Difficoltà: D- (5b max). Salita: vedi foto. Attacco: direttamente dal sentiero in comune con la via Calma baby (spit visibili). L1) si sale un muro, poi una placca e breve traverso a sx fino alla sosta (4c, 25 m). L2) si sale direttamente sopra la sosta fino in cima al primo pilastro, poi in diagonale a sx sulla faccia dx del canale fino alla sosta (5b, 4a, 35 m). L3) dalla sosta si attraversa il canale verso sx, poi si supera un diedrino uscendo subito a sx su una bella placca. Direttamente per belle placche fino in cima, dove finisce anche la via Fortunadrago (4c, 5b, 58 m). Discesa: con due doppie utilizzando la prima sosta di Calma baby (attenzione: la prima è da 60 metri esatti) o con tre doppie utilizzando la seconda sosta di Calma baby e la seconda di Fortunadrago e ancora la prima di Calma baby. Note: via aperta, come le altre, dal basso, con difficoltà contenute ma continue, su muri e belle placche su roccia molto buona. Indispensabili corde da 60 metri. » Parete sud » Perturbazione addominale » Igor Napoli e Diego Fiorito nel 2011 terminata il 23 giugno 2012 da Igor Napoli e Mauro Costamagna Sviluppo: 300 m ca. Difficoltà: TD- (5c max). Avvicinamento: come per la via Normale, che si userà in discesa. In un’ora di cammino si raggiunge il grande masso (nella foto indicato con la M), dove si possono lasciare alcune cose. Quindi ancora una quindicina di minuti nel canale alla sx del masso, superando un primo risalto, poi una quinta rocciosa dietro la quale attacca la via (spit visibile sulla placca). Salita: vedi foto. L1) si sale verso dx su roccia non eccezionale (3a, 4a, 55 m). L2) ci si trasferisce in cresta, verso la placconata scura caratterizzata da una larga fessura. Sosta su uno spit, su comodo terrazzino (3a, 4a, 20 m). L3) si sale inizialmente a dx uno spigoletto, si continua su placca, spaccata a sx, spigolo e placca finale (5b, 5c e un passo di 6a, 55 m). L4) si affronta il grande gendarme non direttamente, ma con un giro verso dx. Sosta su aereo terrazzino in parete verticale (5b, 5c, 50-55 m). L5) si sale con partenza verticale. Si arriva in punta al gendarme con arrampicata divertente su roccia arancione ben appigliata. Sosta e ancoraggio per una calata di 30 metri su uno spit e cordone, sul filo di cresta. Ci si cala nel canale di dx, senza affrontare lo scuro e rotto secondo gendarme che segue. Si risale il canale appena raggiunto per una decina di metri, fino a trovare sulla dx, su una placca chiara, il primo spit dell’ultimo tiro (5b, 5c, 5a, 53 m). L6) si sale su roccia a tratti un po’ meno bella degli ultimi tre tiri. Segue il bordo dx del canale, per placche articolate e un traverso a sx. Ultima sosta su due spit (4a, 5a, 55 m). Si segue un canale di 30 metri fino a uscire in vetta. Note: via attrezzata con spit da 10 mm, utili corde da 60 metri, necessario un assortimento di nut (o friend) medio piccoli, tre-quattro fettucce. I primi due tiri non sono esaltanti a causa della qualità della roccia, che necessita attenzione. Interessanti le lunghezze 3, 4 e 5. È l’unica via di roccia che raggiunge la vetta della Maladecia. Perturbazione addominale • Punta Maladecia Gendarme sud (2750 m) alpidoc 82 • 25 • Testa Gias dei Laghi (2739 m) » Parete sud-ovest » 62 anni e non sentirci » L. Orsi » estate 2012 62 anni e non sentirci Difficoltà: TD+ (6b+ max, 6a+ obbl.). Sviluppo: 250 m. Accesso stradale: dopo Vinadio si imbocca la provinciale che sale a Sant’Anna di Vinadio e si prosegue per 4 chilometri oltre il bivio per il Colle della Lombarda fino a svoltare a sx sulla sterrata (poco prima di un lungo rettilineo in salita) che sale alla Comba Mourrè (strada dissestata, conviene lasciare l’auto all’imbocco della sterrata). Avvicinamento: si continua per un sentiero che sale inoltrandosi nel vallone; quando questo piega decisamente a dx si prosegue nella pietraia (ometti) fino all’evidente parete (30-45 minuti dalla strada provinciale). Salita: vedi foto. L1) 6a. 26 • alpidoc 82 L2) 5c. L3) 6b+. L4) 5c. L5) 6a+. L6) 6a. Discesa: si scende facilmente a piedi sulla dx della parete dal colletto. Note: via attrezzata completamente a fix da 10 mm. Utili dodici rinvii, corda da 50 metri, set di friend (non indispensabile). Roccia da buona a molto buona, attenzione a uno spuntone all'inizio di L5. ◢ COZIE MERIDIONALI ◣ • Rocca la Meja (2831 m) » Parete sud » Eppure il vento soffia ancora » S. Aragno, M. Bernini e M. Piras » luglio 2012 Eppure il vento soffia ancora Sviluppo: 300 m ca. Difficoltà: TD+ (6c/6c+, 6b obbl.). Avvicinamento: da Demonte in Valle Stura oppure da Castelmagno in Valle Grana si sale fino al Colle di Valcavera da dove si scende all’altopiano della Gardetta e si prosegue per la sterrata fino al Colle Margherina; evidente da qui la parete. Dal parcheggio al Colle Margherina si segue il sentiero per la cengia della Normale. La via attacca sullo zoccolo a sx della via Correnti Gravitazionali (scritta alla base e fix a qualche metro da terra). Salita: vedi foto. L1) si segue il bel muro grigio, prima utilizzando il diedro di dx poi diritti (4 spit, 5c, 30 m). L2) si sale una bellissima placca su roccia lavorata fin sotto il tetto (4 spit, 5c, 30 m, il tiro è abbinabile al seguente). L3) si aggira a sx il tetto, ci si sposta a dx alla sosta (1 spit, 5b, 15 m). Si supera il pratone (è presente una sosta a metà su uno sperone grigio) e si prosegue fin sotto lo spigolo della parte alta, posto una ventina di metri a dx della via 31anni e non sentirli. Nome alla base. L4) si segue lo spigolo fino al quarto fix per poi spostarsi sulla parete di dx (consigliabile allungare il quarto e quinto rinviaggio), si passa la cengia e in obliquo alla sosta (7 spit, 6a+, 35 m). L5) si sale con passi difficili a uscire dalla sosta, poi dal terzo fix si va verso sx e si continua per muri rossi e gradoni fino alla sosta (6 spit, 6c/6c+, 35 m). L6) si sale un bellissimo ma corto diedro (4 spit, 6a+, 25 m). L7) partenza in fessura poi placca-muro; dal secondo spit ci si sposta a sx, runout fino allo spit successivo, ribaltamento non facile e placca (4 spit, 6a+, 25 m). L8) dalla sosta ci si sposta a sx, spit con cordino, corto traverso, pochi metri su marciume poi muretto impegnativo; sosta facoltativa. Se si allungano i primi due spit la corda non tira (8 spit, 6b, 50 m). L9) difficili passaggi per andare al primo spit e superarlo verso destra, poi più facile fino a entrare in un fessurone; spit all’uscita (3 spit, 6c/6c+, 6a, 30 m). L10) si sale un bellissimo muretto giallo, primo spit alto, dopo il secondo è possibile mettere un friend medio; sosta in cima al pilastro (2 spit, 5c/6a, 25 m). Discesa: con sei doppie; tutte le doppie a parte la terza e l’ultima è consigliato farle con una corda sola. Dall’ultima sosta si fa una calata da 30 metri tralasciando la sosta di partenza del tiro. Seconda doppia sul bordo della parete, una sola corda (30 m). Terza doppia da 50 metri per arrivare alla partenza del quinto tiro. Altre due doppie da 30 metri. Ultima doppia dalla base del diedro fino a terra (60 m). Note: la via parte dallo zoccolo sotto la cengia della Normale per seguire poi fedelmente il pilastro a dx di quello di 31 anni e non sentirli, e si sviluppa tra placche, muri verticali, fessure e diedri. Itinerario a tratti piuttosto ingaggiato, il grado obbligatorio è meglio avercelo tutto. Parzialmente attrezzata con fix inox, soste con 2 fix, cordino e maillon solo nella parte alta. Utili mezze corde da 60 metri, indispensabile una serie di friend e undici rinvii. alpidoc 82 • 27 Seghe con la luna Dawa Tensing • Rocca dei Duc » Parete nord-est » 1. Seghe con la luna » Alberto Fantone, Gianluca Bocca e Mario Brovia » agosto 2012 Difficoltà: TD+ (7a max, 6a+ obbl.). Sviluppo: 145 m. Accesso: si parcheggia al ponte per il bivio di Oncino, si sale la strada in direzione del paese per 100 metri e si prende una traccia che porta alla base della parete sotto i grandi tetti (2 minuti). Attacco in comune con la via Il racconto di Pilar. Salita: vedi foto. L1) lunghezza in comune con la via Il racconto di Pilar (25 m, 5c, 3 spit). L2) 30 m, 6a+, 6 spit. L3) 25 m, 7a, 7 spit. L4) 25 m, 6b, 5 spit. L5) 40 m, 6c, 9 spit. Discesa: a piedi sulla sx guardando la parete, su traccia nel bosco con bolli rossi (10 minuti). Note: la via supera il grande tetto di sx con un tiro atletico; probabilmente l’ultima via possibile nella parete. Completamente attrezzata con trenta spit inox da 10 mm + soste con due spit, catena e maillon. Portare corda singola e dieci rinvii. Utili, ma non indispensabili, friend da 0,5 a 3 tipo Camalot. Roccia (gneiss a grana grossa) molto buona. Possibile concatenare, nella parte alta, la via con una delle tre già esistenti. » 2. Dawa Tensing » Massimo Crespo e Alberto Fantone » agosto-settembre 2012 Difficoltà: ED (7a+ max, 6c obbl.). Sviluppo: 135 m. Accesso: si parcheggia al ponte per il bivio di Oncino, si sale per 200 metri la strada in direzione del paese, si prende una traccia con bolli rossi subito dopo la barriera parasassi e si sale nel bosco di castagni fino alla baracca dei Canina. L’attacco si trova 15 metri a valle, in comune con la via Michelin-De Poli (15 minuti). Salita: vedi foto. L1) in comune con la Michelin-De Poli (30 m, 6a+, 7 spit). 28 • alpidoc 82 » 3. Simona e domani » Massimo e Roberto Canina » negli anni Ottanta per i primi due tiri richiodata e terminata dal basso da Massimo Crespo e Alberto Fantone nell’agosto 2012 Difficoltà: TD+ (7a max, 6b obbl.). Sviluppo: 120 m. Accesso: come per la via Dawa Tensing fino alla baracca dei Canina; l’attacco è 5 metri a dx (15 minuti). Salita: vedi foto. L1) 40 m, 6c, 10 spit. L2) 25 m, 7a, 6 spit. L3) 30 m, 7a, 7 spit. Discesa: come per la via Dawa Tensing. Note: via quasi completamente in fessura, il primo tiro è uno dei più belli della Valle Po nel suo grado. Come per la precedente, ideale è salire prima una via nella parte bassa, arrivando così all’attacco in due minuti. La via è completamente attrezzata con ventinove spit inox da 10 mm + soste con due spit, catena e maillon. Portare corda singola e undici rinvii. ◢ Simona e domani L2) due spit della Michelin-De Poli poi dritto per bombè e strapiombi. Un passo obbligatorio difficile (45 m, 7a+, 9 spit). L3) ristabilimento a sx su una rampa obliqua (20 m, 6a, 1 spit). L4) dinamici in forte strapiombo con uscita obbligatoria (15 m, 6c+, 2 spit). L5) fessura strapiombante a incastro di dita (i nastri sono d’obbligo), uscita nel bosco (25 m, 7a+, 2 spit). Discesa: a piedi sulla sx fino a raggiungere la Madonna del Bel Faggio; di qui, prima su sterrata in discesa poi sulla strada asfaltata di Oncino, si torna al ponte (20 minuti). Note: via impegnativa e molto varia, la più difficile dei Duc, supera con una linea diretta gli strapiombi in centro parete. Ideale è salire prima una via nella parte bassa (ad esempio Seghe con la luna), arrivando così all’attacco in due minuti. La via è attrezzata con ventuno spit inox da 10 mm + soste con due spit, catena e maillon. Portare nove rinvii e friend da 0,3 a 2 tipo Camalot. alpidoc 82 • 29 VIALE CALZATURE © costarossa © costarossa il negozio di riferimento per la calzatura sportiva VIALE CALZATURE, via Cacciatori delle Alpi, CUNEO, tel. 0171/681570 Orario: dal martedì al sabato 9,00/12,30-15,00/19,30 chiuso il lunedì Giro castellata Il della Escursioni nel cuore dell’alta Valle Varaita Testo a cura di Tiziana Gallian Il fascino di una storia millenaria Il Giro della Castellata L’invito a partire arriva dall’alta Valle Varaita, situata tra i rilievi del Piemonte meridionale, percorrendo un circuito che unisce alla bellezza del paesaggio e alla maestosità delle montagne il fascino di una storia millenaria. Questa parte del versante alpino fu scelta come luogo di transumanza da pastori itineranti che salivano dalle coste della Liguria e che trovarono proprio in questa zona il sito ideale per i primi insediamenti: estesi pascoli, una eccezionale pietra da costruzione, abbondanza di acqua, riserve di legna da ardere e riparo dalle valanghe. Le incisioni rupestri della grande tavola-altare del Cumbal de l’Ase a Pontechianale testimoniano della presenza ancestrale dell’uomo. Popolazioni di ceppo indoeuropeo, i celti, arrivarono in seguito in questi territori e si fusero con quelle preesistenti. La toponomastica conserva la presenza di questo antico passato: la radice var- e il suffisso -asc rinviano a un periodo preromano. I portali degli edifici religiosi di San Giacomo a borgata Chiesa, di San Antonio a Chianale, di Santa Margherita a Casteldelfino con le loro têtes coupées, decori ancestrali ed evocativi, insieme con le decorazioni scolpite di mensole, architravi e capitelli su abitazioni private, contraddistinguono la pietra della valle con un repertorio suggestivo. Evento di rilievo locale, riportato dalla tradizione orale e diventato oramai quasi una leggenda, è l’incursione dei saraceni attorno all’anno Mille; con improvvise scorribande essi saccheggiarono i monasteri dell’alta valle mettendo a dura prova l’esistenza delle comunità, le quali insorsero con grande animosità e riuscirono a cacciare gli invasori, come si racconta oggi durante le feste della Baia di Sampeyre o della Beò di Bellino (i costumi dei figuranti che interpretano le sarazines sono un tripudio di nastri multicolori). Toponimi come Monte Gabel (jabel in arabo = montagna), Monte Maurel (con possibile riferimento ai Mori, oltre che al colore marrone scuro della roccia) e Viòl de la Sarasina, a Bellino, suggeriscono il perdurare del ricordo di lontane scorrerie, pur in luoghi così impervi. La Repubblica degli Escartons Mentre il territorio dell’attuale Valle Varaita fino alla località Confine, a monte dell’abitato di Sampeyre, nel 1091 passava nelle mani di Bonifacio del Vasto e successivamente in quelle del nipote Manfredo II, primo marchese di Saluzzo, l’alta valle visse una grande avventura storica: in un’epoca di angherie feudali, essa seppe contrattare e ottenere una notevole indipendenza amministrativa rispetto al potere centrale, vivendo un intenso periodo di fervore e benessere. La cosiddetta Repubblica degli Escartons inglobava la 32 • alpidoc 82 alpidoc 82• 27 Castellata, ovvero i comuni di Bellino, Casteldelfino e Pontechianale, e le alte valli della Dora, del Chisone, Briançon, e il Queyras. Una sorta di confederazione di cantoni a cavallo delle Alpi che si autogovernavano in modo democratico, definendosi franco-borghesi. La Carta delle Libertà, oggi nota come Grande Charte Briançonnaise, fu stipulata a Beauvoir-en-Royans il 29 maggio del 1343 tra il delfino Umberto II de la Tourdu-Pin e diciotto rappresentanti di oltre cinquanta comunità alpine: scritta su pelle di pecora, era una sorta di costituzione che decretava l’affrancamento dalle servitù feudali, il diritto alla libertà individuale, alla proprietà e all’autogestione del territorio. Nel 1349 Umberto II, rimasto senza eredi, cedette il Delfinato al re di Francia, Filippo VI di Valois, a condizione che il territorio conservasse il suo nome e il suo blasone. Il termine Escarton deriva dal verbo escartonner (ripartire), ovvero suddividere tra tutti obblighi e responsabilità e allo stesso tempo organizzare soccorso reciproco in caso di necessità, o, ancora, proteggersi dai potenti vicini. La gestione delle terre comunali era interamente libera, affidata ai sindaci locali che erano eletti sulla base della loro reputazione di “uomo onesto”. Non c’erano restrizioni alla libertà di circolazione. L’istruzione era organizzata minuziosamente: in ogni villaggio erano nominati maestri e l’alfabetizzazione, tra il sesso maschile, era pressoché completa. L’intenso periodo di democrazia e di indipendenza si concluse ufficialmente nel 1713 con il Trattato di Utrecht, quando questo territorio iniziò a essere considerato d’importanza strategica sullo scacchiere europeo. I Savoia acquisirono i territori della Castellata. La popolazione Foto Archivio Comunità Montana Valli del Monviso (salvo dove diversamente indicato). In apertura: Grange Pralambert Superiori con, sullo sfondo, il Pelvo d’Elva (foto di Enrica Raviola). A pagina 32: quadrupede in pietra inserito all’esterno della Parrocchiale di San Giacomo a Chiesa (foto di Enrica Raviola). A pagina 33: vista su Chianale dal Sentiero Lanzetti (foto di Enrica Raviola). In questa pagina, dall’alto: Chianale (foto di Enrica Raviola), Fontanile, Celle, Chiazale. Nella pagina a fianco: scorcio dal Lago Bagnour (foto di Enrica Raviola). 28 • alpidoc 81 Il Bosco dell’Alevé Su queste montagne i fianchi sono nettamente contrapposti: l’adrech, esposto a sud, è più aperto mentre l’ubac, rivolto a nord, più ombroso e fitto di boschi. Camminando in quota, percorrendo gli altopiani, ci si rende conto di come il bacino idrografico sia stato modellato dagli antichi ghiacciai che, dalla vetta imponente del Monviso – sovrastante le altre cime –, si estendevano nella parte superiore della valle. I massicci che punteggiano l’orizzonte non hanno mai costituito una barriera invalicabile: da sempre le genti li hanno percorsi e considerati punto di incontro per merci e traffici, scambio di prodotti e istanze culturali, nonché come luogo ideale di emigrazione. L’Ubaye, la Provenza, il Queyras e il Delfinato sono solo lì, dietro l’angolo. Fitte pinete di larici ricoprono i versanti della valle, lasciando più in basso il verde rigoglioso delle latifoglie, ma è soprattutto la cembreta del Bosco dell’Alevé (da elvu, termine con il quale è chiamato in lingua occitana il pino cembro), da sempre soggetta a tutela ambientale, a costituire un sito di forte richiamo naturalistico. Già nel 1387, l’articolo 35 degli Il Giro della Castellata continuò comunque a mantenere scambi culturali e sociali, a contrarre matrimoni, a esercitare il contrabbando, a spostarsi tra le montagne alla ricerca di occupazione nel periodo invernale, incurante delle nuove demarcazioni stabilite sulla carta dalle potenze europee. Pesante fu il contributo di sangue versato dai montanari durante i due conflitti mondiali. Basta visitare i villaggi e leggere i nomi dei caduti sulle lapidi. Un’intera generazione è rimasta dispersa in Russia. L’emigrazione, la mancanza di alternative a una economia agricola non più al passo con i tempi sono state le ragioni preminenti di un lento e inesorabile spopolamento. alpidoc 81 • 29 L’anno del Corno In questa pagina, da sinistra: una sala del Museo del Tempo e delle Meridiane a Celle di Bellino; alcuni personaggi della Beò; pizzo al tombolo; rosace intagliata nel legno sull’architrave di una casa di Chianale (foto di Enrica Raviola); pietra angolare con tête coupée inserita capovolta all’esterno della Parrocchiale di San Giacomo a Chiesa di Bellino (foto di Enrica Raviola). A pagina 38: sant’Antonio affrescato sull’omonima cappella a Chianale (foto di Enrica Raviola); il gigantesco san Cristoforo ( XVI secolo) sulla facciata della Parrocchiale di Santa Margherita a Casteldefino. 36 • alpidoc 82 Statuti di Casteldelfino proibisce di «coupper, extraire, arrecher ou rompre» qualsiasi specie arborea presente nell’Alevé. Si tratta di un bosco plurimillenario – a cui allude il poeta Virgilio nell’Eneide quando definisce il Monviso “Vesulus pinifer”– che si estende per ben 820 ettari. Per le sue particolari caratteristiche, dal 2000 il Bosco dell’Alevé è stato inserito nell’elenco dei siti di interesse ambientale della Comunità Europea. Per farne conoscere meglio tutte le peculiarità, a Casteldelfino, nei locali dell’ex Ala comunale, è stato aperto un apposito Centro visita: in un unico grande diorama in scala naturale è stato ricostruito l’ambiente del bosco, si passeggia tra gli alberi, si ascoltano i suoni, si percepisce l’aroma della pineta. Alle scolaresche che visitano il Bosco dell’Alevé si racconta che la sua vastità equivale a quella di 2030 campi da calcio! Inoltre si sottolinea come sia l’habitat di circa 40 specie di mammiferi, di almeno 1000 specie di insetti, di 163 specie di licheni e di innumerevoli arbusti e piante, per non parlare degli uccelli, presenti in ben oltre 70 specie. Simbolo di questo spettacolare bosco è la nocciolaia, che accoglie i visitatori con il suo inconfondibile verso; grande divoratrice di pinoli, ne fa scorta per l’inverno seminandoli in tanti ghiotti mucchietti. a monte, infatti, sono presenti un gran numero di elementi arcaici, che spesso sono scomparsi persino in vaste zone dell’Occitania d’Oltralpe, i quali permettono di considerare queste varietà dialettali, unitamente a quelle delle alte valli vicine, fra le più belle, interessanti e vive di tutta l’area occitana. La lingua occitana Le danze In Valle Varaita, come nella maggior parte delle vallate cuneesi, si parla correntemente l’occitano, una nobile lingua presente nei testi letterari a partire dall’XI secolo e utilizzata persino da Dante Alighieri nella Divina Commedia (nel canto XXVI del Purgatorio il poeta fa infatti esprimere in lingua d’Oc il trobador Arnaut Daniel). Nel territorio di quella che fu l’antica Castellata – e in particolare a Blins, La Vila e Pont, come vengono di norma chiamati i comuni dell’alta valle – l’occitano ha però conservato un elevato grado di purezza, appena contaminato da qualche francesismo e da rari piemontesismi. Nelle località situate più Il patrimonio delle danze tradizionali in Valle Varaita è quanto mai ricco, anche perché il ballo è il leit motiv di ogni ricorrenza degna di questo nome, dalla Baia di Sampeyre o dalla Beò di Blins, alle innumerevoli feste patronali estive e invernali. Muoversi al ritmo di una giga o di una corenta ha sempre creato intensi momenti di aggregazione, senza distinzioni di età; per questo motivo, a differenza che altrove, la pratica del ballo in valle non è mai cessata, ma si è tramandata nel tempo. Le melodie più antiche di questo repertorio risalgono per lo più al XIX secolo, e sono originarie di Bellino e Chianale. Il costume tradizionale Il Giro della Castellata In alta valle – soprattutto durante l’estate, in occasione delle feste patronali – si possono ammirare uomini, donne e bambini in costume tradizionale. Chi volesse documentarsi al riguardo può visitare, a Chianale, il Museo del Costume e dell’Artigianato tessile allestito nella Missione Cappuccina. Particolarmente interessante è l’abito femminile, la gonela, in panno di lana di colore nero – anche quello nuziale –, con tre grandi pieghe sul dorso e diritto, senza alcun restringimento in vita. È adornato da un grembiule e uno scialle, di cotone o lana, di seta per le spose, ma comunque dai colori piuttosto vivaci. Preziosa è anche la cuffia (la béra), la cui tesa è costituita da un largo pizzo al tombolo, realizzato a volte con centinaia di fuselli. alpidoc 82 • 37 Il patrimonio architettonico In questa terra di frontiera ricca di suggestioni, l’eredità della storia è considerevole anche dal punto di vista architettonico e artistico. Bellino e le sue nove borgate presentano splendidi edifici, case austere, scorci singolari, un intatto patrimonio gnomonico, frutto del savoir-faire di abili artisti locali. Sui quadranti delle meridiane motti filosofici, massime di vita sottolineano la fragilità dell’uomo, l’inesorabile scorrere del tempo e lo invitano a cogliere l’attimo presente e a viverlo nella sua pienezza. In borgata Celle, nei locali dell’ex scuola elementare, il Museo del Tempo e delle Meridiane offre una chiave di lettura delle meridiane dipinte sulle case e sugli edifici religiosi del comune. La Parrocchiale di San Giacomo a borgata Chiesa presenta su una parete esterna una singolare raffigurazione di testa raggiata, forse emblema di Belenos, il dio Sole dei Celti. Testimonianze tangibili dell’epoca aurea della Castellata, a Casteldelfino, antica capitale di questo territorio, sono i ruderi del castello delfinale, l’elegante Casa Ronchail e il rilievo marmoreo soprastante la fontana nel centro paese con la Madonna affiancata dalle armi di Francia. La Parrocchiale di Santa Margherita conserva un pregevole ciclo di affreschi di inizio Cinquecento e un fonte battesimale con rappresentato il giglio, simbolo reale. Chianale, un tempo stazione di pedaggio per il Colle dell’Agnello, oggi è stato inserito nel circuito dei “Borghi più belli d’Italia”. La Cappella di Sant’Antonio e il tempio protestante si affacciano sullo Chemin Royal, l’antico cammino che portava verso la Francia. Nella cappella dedicata a santa Maria Maddalena, nella frazione Maddalena, meritano un’occhiata i singolari santi a sei dita (di probabile esecuzione ottocentesca). Percorrere oggi questi luoghi significa immergersi in un mondo che per più di quattro secoli ha saputo armonizzare la montagna con la vita dell’uomo, uno scrigno di storia, cultura e tral dizioni ancora oggi ben vive. 38 • alpidoc 82 protestanti potevano professare il loro credo in seguito all’editto di nan Mappa dell'itinerario le tappe Il Giro della Castellata si articola in quattro tappe. di media difficoltà escursionistica, che offrono l’opportunità di visitare e scoprire le bellezze storico-artistiche di Bellino, Casteldelfino, Pontechianale e Chianale e allo stesso tempo di godere degli splendidi panorami dell’alta Valle Varaita, avendo come punti di appoggio tre rifugi in quota. Parte della seconda tappa ricalca l’itinerario classico del Giro del Monviso. Per informazioni: Comunità Montana Valli del Monviso - Ufficio turistico di Frassino, piazza Marconi 5, tel. 0175.970640, www.vallidelmonviso.gov.it, www.vallevaraita.cn.it, Vedi mappa ingrandita [email protected]; Agenzia Segnavia Porta di Valle, Brossasco, Tappe dell'itinerario via Provinciale, tel. 0175.689629, www.segnavia.piemonte.it, Chianale / Rifugio Vallanta [email protected]. Tempo di percorrenza: 5h Dislivello: 1.257 m 1. Chianale - Rifugio Vallanta Usciti dall’abitato di Chianale (1.797m) si tiene la strada asfaltata del colle dell’Agn vecchia dogana e una curva con un ponte e poi si svolta a destra sul sentiero che s strada. Si arriva ad un tornante verso sinistra a fianco di alcune baite, dove parte i sale ancora regolari fino ad un altro piccolo altipiano e poi all’erta finale che porta s da cui il Monviso appare in tutto il suo splendore. Da qui si può compiere una picco raggiungere senza grandi difficoltà la cima della Losetta (3.054m). Ritornati al colle Il Rifugio Vallanta. Pontechianale, passando per un bel piano alla base di Punta Caprera. Si tralascia il bivio per il Vallone delle Forciolline e si imbocca il sentiero che, attraversato il torrente con una passerella, conduce al Passo di San Chiaffredo, in direzione del Rifugio Quintino Sella. Questo tratto si snoda sul percorso classico del Giro del Monviso, e presenta una piacevole salita all’interno del bosco. Usciti dal bosco si percorre una pietraia e con una ripida salita si arriva nei pressi del Bivacco Bertoglio. In breve si raggiunge il Passo di San Chiaffredo (2743 m), dove si svolta a destra seguendo le indicazioni per il Rifugio Bagnour. Si sale regolari nella pietraia fino a giungere a un passaggio chiamato La Calatà, che permette di svalicare nel Vallone dei Duc. Con una discesa a tratti ripida si giunge a un laghetto sulle cui rive scheda tecnica 2. Rifugio Vallanta - Rifugio Bagnour Tempo di percorrenza: 6,30 ore. Dislivello: 1029 m. Dal rifugio si scende verso borgata Castello di di Soustra e la Losetta. Lo si imbocca per salire dolcemente fino ad un grande pian ◢ Tempo di percorrenza: 5 ore. Dislivello: 1257 m. Usciti dall’abitato di Chianale si tiene la strada asfaltata del Colle dell’Agnello, si passano la vecchia dogana e una curva con un ponte e poi si svolta a destra sul sentiero che sbuca nuovamente sulla strada. Si arriva a un tornante verso sinistra a fianco di alcune baite, dove parte il sentiero per il Vallone di Soustra e la Losetta. Lo si imbocca per salire dolcemente fino a un grande piano con gli alpeggi. Si sale ancora regolari fino a un altro piccolo altipiano e poi all’erta finale che porta sul Passo della Losetta, da cui il Monviso appare in tutto il suo splendore. Da qui si può compiere una piccola deviazione per raggiungere senza grandi difficoltà la Cima della Losetta (3054 m). Ritornati al colle, con una gradevole discesa nel Vallone di Vallanta si arriva a un bivio in cui si svolta a sinistra per il Rifugio Vallanta (2445 m), che si raggiunge in breve. alpidoc 82 • 39 scheda tecnica ◢ Qui sopra: veleggiando con il surf sulle acque del bacino artificiale di Pontechianale. Nella pagina a fianco: il Rifugio Bagnour (foto di Enrica Raviola). solitamente si incontrano alcuni asini e cavalli. La discesa, ora più dolce, conduce al Bosco dell’Alevé, il più grande bosco di pini cembri d’Europa. Usciti dal bosco si arriva al Lago Bagnour, sulle cui sponde sorge l’omonimo rifugio (2017 m), punto d’arrivo della tappa. Il Giro della Castellata 3. Rifugio Bagnour - Rifugio Melezé Tempo di percorrenza: 5 ore. Dislivello: 409 m. Dal Rifugio Bagnour si scende verso il Lago Secco, passando nel cuore del Bosco dell’Alevé. Superato il laghetto si giunge alle Grange Pralambert superiori e inferiori e, seguendo le indicazioni per Bertines e Casteldelfino, si continua a scendere. Si attraversa Bertines per giungere quindi in breve a Casteldelfino. Il sentiero che porta nel Vallone di Bellino ha inizio nella parte bassa del paese, vicino alla Cappella di Sant’Eusebio e al parco giochi. Per raggiungerlo si imbocca una piccola strada asfaltata a valle del distributore di benzina. Il sentiero passa sotto i resti dell’antico castello e inizia a salire, sbucando sulla strada asfaltata all’altezza di Posterle. Qui si segue la strada fino 40 • alpidoc 82 a trovare i cartelli che ci indicano il sentiero a sinistra per Ribiera e borgata Chiesa. Da qui si prosegue su una stradina fino a Fontanile, dove si prende un sentiero che sale nel bosco e che conduce a Pleyne e successivamente a Prafauchier e a Celle. Usciti da Celle, si imbocca una sterrata che passa davanti a un garage e si giunge a Chiazale. La si attraversa, passando accanto all’agriturismo Lou Saret, e si sale sulla strada principale che in breve conduce al Rifugio Melezè (1812 m). 4. Rifugio Melezè - Chianale Tempo di percorrenza: 6 ore. Dislivello: 895 m. Dal rifugio si scende lungo la mulattiera sulla sinistra che costeggia la grande pietraia e raggiunge l’abitato del Culet. Si prosegue lungo la strada sterrata che conduce alla provinciale e si oltrepassa il bel ponte in pietra sul Varaita, percorrendo il versante esposto a nord di fronte a Chiazale. Attraversata la passerella che conduce nella borgata, si segue l’antico chemin royal sotto la Cappella dell’Angelo Custode e si arriva a Celle e poi a Prafauchier. Da questa frazione, seguendo la carrozzabile della valle per alcuni tornanti, si arriva all’attacco della strada militare per la Battagliola. In località Bals una piacevole sterrata sale dolcemente sino alla Punta del Cavallo e al Colle della Bat- alpidoc 81 • 35 scheda tecnica ◢ Il Giro della Castellata La Castellata in due giorni: Casteldelfino - Pontechianale - Melezé - Casteldelfino Dalla circonvallazione del capoluogo (1296 m), prima del bivio per Bellino, sulla sinistra si segue la mulattiera che, attraversato il Varaita, lo risale sulla destra orografica (a sinistra salendo). Si passa sulla sponda opposta, raggiungendo l’abitato di Castello (1603 m) e il lago artificiale. Da Castello, passando sulla diga, si raggiunge il largo sentiero che con alcuni saliscendi percorre tutta la sponda del lago per raggiungere l’abitato di Maddalena (1614 m). Prima del campeggio, in corrispondenza di un rio (Cumbal della Villa) si lascia la pista verso destra per seguire una traccia di sentiero sulla sinistra guadagnando quota con tornanti e traversoni. La radura di Costa Romagna a 2200 metri conduce al Colletto della Battagliola (2284 m). Vicina è la Punta della Battagliola (2401 m). Un sentiero ben tracciato conduce serpeggiando in cresta verso la parete del Monte Pietralunga (2730 m). Si oltrepassa il massiccio roccioso inerpicandosi nel Pas del Chat che porta ai pascoli del Vallone del Bondormir e al colle omonimo (2657 m). Da qui si prosegue tenendosi in quota verso i paravalanghe e le baite delle Combe Superiori (2082 m). Una pista forestale scende agevolmente fino al Rifugio Melezé (1812 m). Dal rifugio si segue il sentiero sulla sinistra che costeggia la grande pietraia di Preifiol. Si oltrepassa il bel ponte in pietra sul Varaita e si prosegue sul lato esposto a nord costeggiando l’abitato di Chiazale. Superato il ponte che conduce nella borgata, si percorre la vecchia mulattiera che passa sotto la Cappella dell’Angelo Custode e conduce all’abitato di Celle e Prafauchier. Da questa frazione ci Il Vallone di Bellino visto dal sentiero che sale al Bagnour si sposta sul versante (foto di Enrica Raviola). esposto a nord attraversando nuovamente il Varaita e seguendo una bella pista forestale che scende fino a borgata Chiesa. Il sentiero costeggia il fiume e scende fino al borgo di Casteldelfino (1296 m) accanto ai ruderi del castello delfinale. tagliola (2282 m); quest’ultima deve il nome a una cruenta battaglia combattuta nel 1744 tra i Savoia e le truppe franco-spagnole nella quale persero la vita circa tremila persone. Dalla cima si possono ammirare la maestosità del Monviso, il Vallone di Vallanta, il Bosco dell’Alevé, il lago di Pontechianale e, dalla parte opposta, il Pelvo d’Elva e le Alpi Marittime. Dal colle una ripida discesa in mezzo ai larici porta velocemente sulle rive 42 • alpidoc 82 del lago di Pontechianale. Si passa tra i due campeggi, si attraversa il torrente e si svolta a sinistra arrivando in una piazzetta dove sorge il municipio. A lato del palazzo del Comune si prende una salita che porta sulla strada principale. Si svolta a sinistra e qualche metro più avanti si scende seguendo le indicazioni del Sentiero Crotto, che conduce fino a Chianale con una piacevole passeggiata a lato del Varaita. ◢ foto nanni villani © costarossa Negozio specializzato in alpinismo e outdoor Vasto assortimento calzature con pedana di prova scarponi e parete attrezzata per prova pedule d’arrampicata Zona outlet con prezzi scontatissimi! Spazio riservato alla lettura Sconto 10% ai soci CAI RVIA ACASCINA V A COLOMBARO, S C H I EZONA T TSPORT O VILLAGE-IPERCOOP SPORT CUNEO Lunedì 15,30-19,30 martedì, giovedì, sabato 09,30-12,30 e 15,30-19,30 mercoledì e venerdì orario continuato 10,00-20,00 w w w. r a v a s c h i e t t o . c o m 0171/692081, [email protected] Va’ dove ti portano le gambe! Questo lo spirito con cui una coppia di irriducibili selvatici affronta la sua traversata alpina, giunta al secondo capitolo: dalla Valle Stura alla Valle Po Testo e foto di Grazia Franzoni e Marco Berta C amminare per valli, creste, cime, senza una meta precisa, forti dell’autosufficienza contenuta in uno zaino forse un po’ troppo pesante, seguendo il motto “Va’ dove ti portano il cuore e le gambe”: questo lo spirito della nostra prima tratta della “traversata selvatica”, realizzata nel 2009 (vedi Alpidoc n. 75), che ci aveva lasciato un fortissimo desiderio di continuare. L’estate del 2011 ci offre l’occasione di proseguire, in stile ancora più selvatico, se possibile: infatti in agosto si apre una lunga finestra di tempo stabile con notti limpidissime che ci permettono di dormire con serenità à la belle étoile. La partenza è scontata: San Bernolfo, in Valle Stura, dove avevamo terminato la prima traversata. L’obiettivo, come al solito senza troppe certezze, è il Monviso, per 44 • alpidoc 82 In agosto si apre una lunga finestra di tempo stabile con notti limpidissime che ci permettono di dormire con serenità à la belle étoile. In apertura: Grazia e Marco, due cuori e un sacco bivacco… Qui sopra: sulla vetta del Monviso con Paolo. A fianco: per chi affronta selvaticamente una traversata, l’interrogativo circa la meta della giornata è d’obbligo. alpidoc 82 • 45 Va’ dove ti portano le gambe! celebrare anche noi, nel nostro piccolo, il 150° anniversario della prima salita. Decidiamo di alleggerire gli zaini del materiale tecnico, visto che il percorso previsto non offre molte possibilità di arrampicata di basso livello. Giusto uno spezzone di cordino, un casco e pochissima ferraglia e fettucciame. Abbiamo già sperimentato che in traversata è troppo complicato e impegnativo realizzare salite di media difficoltà. Pochi anche i supporti elettronici (approfondiamo il discorso a parte…). Dal punto di vista alimentare, decidiamo di essere completamente autonomi e di affidarci solo a quanto possiamo trovare lungo il percorso per integrare quel che abbiamo messo nello zaino alla partenza: il primo contatto con l’asfalto, e quindi possibilità di comperare qualcosa, sarà al Colle della Maddalena. Ecco qualche appunto tratto dagli otto giorni di traversata. Dal punto di vista alimentare, decidiamo di essere completamente autonomi e di affidarci solo a quanto possiamo trovare lungo il percorso per integrare quel che abbiamo messo nello zaino alla partenza. Nella pagina a fianco: Grazia, sulla vetta del Tenibres, consulta la cartina con un paio di escursionisti interessati alla traversata. Qui sotto: Marco arrichisce il frugale couscous con scaglie di parmigiano. 46 • alpidoc 82 Un altro over 3000? A Cuneo saliamo sul pullman per la Valle Stura. Nonostante sul sito della ditta di autobus fosse previsto l’arrivo a Bagni, a Borgo l’autista cambia e scopriamo che i tagli imposti al servizio di trasporto provinciale hanno limitato la corsa a Vinadio! Peccato che nemmeno tutti gli autisti lo sappiano... Comunque, grazie alla solidarietà montanara, con tre diversi passaggi arriviamo rapidamente a San Bernolfo. Prima cima, e primo moto di disappunto, il Corborant: non avevamo, infatti, ancora visto l’“incatenamento” della cresta finale, che sinceramente riteniamo poco utile ai fini della sicurezza e di brutto impatto. Scendiamo al Lac du Cimon, sopra il più ampio Lac de Rabuons, sulle cui sponde troviamo un bel fazzoletto d’erba adatto al bivacco. Alle sei del pomeriggio siamo sul Becco Alto di Ischiator, che il nostro GPS quota qualche metro sopra i 3000 metri: chissà chi ha ragione... Saliamo sulla vetta della Rocca Rossa. Di nuovo over 3000? Troppo pochi i metri di differenza, però viene la tentazione di rivedere tutte le quote di questa sequenza di cime che oscillano intorno ai tremila. Secondo moto di disappunto: è impiastrata di vernice! Ma questo “problema” lo conoscevamo già! Sul Tenibres troviamo un gruppo di amici… in effetti questa zona è parecchio più frequentata rispetto alle neglette Alpi Liguri. Risaliamo il pendio di sfasciumi che porta alla Brèche de Borgonio, quindi scendiamo nel vallone, fino al rifugio di Vens. Viva la sobrietà Ci divertiamo a salire sulle rocce arzigogolate della Cime de la Tortisse, poi percorriamo il lunghissimo crinale che dal Colle del Ferro, at- Va’ dove ti portano le gambe! Fermata soppressa alpidoc 82 • 47 Sulle tracce di Aste e Biancardi L’orizzonte è meglio di un display Grazia, poco sotto la vetta del Sautron, saluta l’amico Paolo. Siamo partiti con poco, pochissimo materiale elettronico: la macchina foto, un photo logger (poi vi spieghiamo cosa è), un orologio-barometro-altimetro, un vecchio e tradizionale cellulare come cordone ombelicale con la civiltà. Siamo sinceri, una volta eravamo amanti della tecnologia, quando ritenevamo che potesse servire a qualcosa; ora siamo molto meno geek, come si dice in gergo, poco inclini a spese per gadget tecnologici molto poco duraturi (nel senso che diventano obsoleti nel giro di pochi mesi), costosi, fragili, avidi di batterie (e questo è un guaio in una traversata zaino in spalla). Francamente, se vai alla ricerca del selvatico che alberga dentro di te, ci sembra poco coerente camminare con gli occhi puntati su un display piuttosto che sul paesaggio che hai intorno. Quindi al bando gps cartografici o telefonini con applicazioni che addirittura “riconoscono” le cime dei monti! Siamo fermi ai pc, che usiamo per lavoro/divertimento/comunicazione non disdegnando la “rete sociale”, ma non possediamo tablet o smartphone e non ne sentiamo, per ora, la mancanza. Alla fine qualche fotocopia di cartina, il caro vecchio altimetro tanto per sapere quanto manca alla cima o per azzeccare un colle dalla quota conosciuta. Il piccolo aggeggio di cui parlavamo prima è un realtà un gipiessino mignon, grosso come un accendino, nato per “loggare” le foto, dando loro le coordinate geografiche, ma noi lo abbiamo usato solo per tarare l’altimetro in mancanza di punti noti e per scoprire che alcune montagne conosciute sono forse più alte di quanto indicato sulle vecchie e poco aggiornate cartine a disposizione per il Cuneese. 48 • alpidoc 82 Spegnete quella luna! Risaliamo l’Enclausetta e poi il mitico (scialpinisticamente parlando) Ventasuso: ci sembra incredibile che una delle più gettonate mete di scialpinismo facile sia priva di sentiero estivo! Per prati arriviamo presto ad attraversare la statale lungo il lago del Colle della Maddalena. Una tappa al bar è obbligatoria per bere un cappuccino e sfogliare un quotidiano. Al valico facciamo un po’ di spesa: formaggio, grissini, lattina di birra, dolci. A sorpresa, incrociamo gli amici savonesi Bobo, Daniela e bimbi che ci offrono del pane fresco. Abbandoniamo con piacere il nastro d’asfalto e il relativo traffico di automezzi per inoltrarci nel Vallone dell’Oronaye e poi in quello del Sautron. Qui ci fanno compagnia le greggi di pecore dei pastori francesi, ben controllate dai grossi cani bianchi, non del tutto amichevoli… Entriamo nel regno del calcare dello Chambeyron, l’acqua comunque è disponibile in abbondanza. Dormiamo sulla sponda del piccolo laghetto sotto il Colle del Sautron, in compagnia di una luna incredibilmente, e quasi fastidiosamente, luminosa! Crisi di astinenza Costeggiamo le pareti imponenti della Cima del Vallonetto dedicando un pensiero agli amici liguri e valdostani che in questi ultimi anni hanno speso tempo ed energie per aprire qui nuove vie. Valgono la pena! Salendo il pendio finale del Sautron dal Colle della Portiola scorgiamo il nostro speciale comitato di accoglienza in Valle Maira: è Paolo, nostro fratello di montagna, che dalla vetta si sbraccia per darci il benvenuto nella sua valle. Scendendo nello splendido vallone carsico dominato dalla mole dello Chambeyron, abbiamo una visione: quattro funamboli che percorrono il pietroso sentiero su bici monoruota! Non dubitiamo che si tratti di un gruppo di pazzi francesi! Noi seguiamo il Sentiero Dino Icardi passando quindi per il Colle dell’Infernetto e il relativo vallone fino alle Grange Colle. Qui incontriamo un altro Paolo e il suo clan di amici che stanno terminando di attrezzare una nuova falesia: ne approfittiamo per elemosinare un po’ di verdura fresca: ormai siamo in vera e propria crisi di astinenza! Il letto di questa sera è una terrazza erbosa di una grangia situata poco più in alto, con tanto di ringhiera in legno. Va’ dove ti portano le gambe! traverso il Passo di Morgon, le cime dei monti Aiga e Pebrun, arriva fino al Colle del Puriac. Un bellissimo saliscendi in cresta che chiude con ripidi pendii la conca di Ferriere. Da qui saliamo la Rocca dei Tre Vescovi, l’Enchastraye, qualche cima senza nome e infine il Pè de Jun, scoprendo una versione per noi inedita di queste montagne: senza neve, infatti, appaiono come un parco geologico, vista la sorprendente varietà della roccia: dagli scisti luccicanti alle bellissime pieghe metamorfiche alle placche di conglomerato roseo! Ci guidano gli esagoni verdi che, molto discreti segnano, i confini del Parco del Mercantour, unica concessione alla vernice dei vicini francesi. Anche questa, insieme all’ormai nota sobria segnaletica standard oltreconfine, ci sembra una buona soluzione per le aree più remote, di basso impatto rispetto alle targhe che arrugginiscono e ai paletti che cadono. Tutto questo “entusiasmo geologico” attutisce un po’ – ma non elimina – stanchezza, fame, sete… Zero acqua nei dintorni del percorso, oggi. In cerca di un posto per bivaccare, non certo tra queste cataste di massi, notiamo un residuo di neve sopravvissuta nella valletta a nord del Pè de Jun. Saltando da un pietrone all’altro la raggiungiamo e organizziamo una rapida precena per resistere ancora un po’. Fusione di neve, cottura di couscous e poi ancora in marcia, quasi al buio, fino a trovare, a orecchio, la tanto attesa sorgente. Siamo nei pressi di Gias Puriac, sotto la cima dell’Enclausetta. Un muro in pietra fa da testata del nostro letto d’erba. alpidoc 82 • 49 Va’ dove ti portano le gambe! Con la testa tra le nuvole… Nella prima mattinata, con le nuvole che si addensano nel cielo, saliamo fino al Colle e al Monte Bellino. Scendendo sul versante di Bellino riusciamo a ottenere frutta e addirittura della torta di verdura da un cordialissimo gruppo di escursionisti che si appassiona al nostro progetto. Decidiamo di evitare la discesa traversando a mezza costa sul versante sinistro della valle. Una serie di grange pressoché equidistanti marca la curva di livello intorno ai 2400 metri. Piccoli capolavori di architettura alpina, con le spesse lose che sovente ormai fanno crollare le vecchie travi in legno di larice. Proprio queste grange ci fanno da riparo quando inizia a piovere, peraltro in modo intermittente. Non c’è più un vero e proprio sentiero, ma tracce che tagliano i ripidissimi pendii erbosi. Nella nebbia a un certo punto ci appare una madonnina bianca: siamo così mal ridotti? Per fortuna no, una di queste grange è stata ristrutturata e in questo momento ospita l’allegro pranzo di un gruppo di amici che, per arricchire il nostro pasto, ci offre un pezzo di pane fresco. 50 • alpidoc 82 Dopo aver costeggiato le arcigne pendici del Pelvo di Ciabrera entriamo nell’ampio Vallone di Rui, dove troviamo la prima grangia abitata e utilizzata per la lavorazione del latte. Insistiamo un po’ e riusciamo ad assaggiare il mitico tomino fresco: puro gusto di panna! Arriviamo al Passo di Fiutrusa ma, considerate l’ora e la stanchezza, rinunciamo alla cima. La discesa verso Pontechianale è tutta una sorpresa, tanto più che la nebbia contribuisce a rendere ancora più gotico un paesaggio di per sé severo, con le strette forre ai cui versanti franosi si abbarbicano larici pionieri, i giochi della luce al tramonto tra i banchi di nuvole, i muggiti lontani delle mucche… Scendiamo godendoci un po’ di bosco dopo tanti giorni di prateria, ma dobbiamo però prendere atto che questo tipo di foresta non è affatto ospitale per il bivacco: pendii ripidi, erba alta e per di più oggi bagnata. Optiamo per un tetto sulla testa: quando ci appare un nucleo di case arroccate a picco sul rio, ci sembra un castello pronto ad accoglierci! Scegliamo una stanza con una porzione di tetto che sembra abbastanza stabile e passiamo così la nostra prima notte al coperto. Quando arriviamo a Pontechianale ci aspetta un vero e proprio choc da folla: il bar sulla piazza pedonale è pieno all’inverosimile, tanto da farci rinunciare all’agognato cappuccino; in panetteria c’è una coda chilometrica, noi siamo insofferenti e temiamo che le ceste quando arriverà il nostro turno saranno vuote, per cui anche qui desistiamo. Chiamiamo Paolo, che ci sta raggiungendo dalla Valle Maira, e gli ordiniamo pane e focaccia in quantità, sperando che lui sia più fortunato. Comperiamo frutta fresca e altri generi di conforto per l’ultima tappa. Al bar del campeggio conquistiamo finalmente il banco caffè, poi camminiamo sul sentiero lungolago fino a Castello. Qui con Paolo organizziamo il materiale e risaliamo il Vallone di Vallanta fino a imboccare il ripido sentiero che porta al Bivacco Berardo. Il nostro amico decide di passare più confortevolmente la notte nel bivacco, mentre noi abbiamo come meta il riparo sotto roccia noto come Balma Pons, che avevamo già individuato in una precedente camminata in zona. Qualcuno ha realizzato un basamento in pietre piatte e un muretto di riparo. In effetti c’è posto per due persone, ma anche in tre ci si potrebbe dormire. Dopo aver cenato tutti insieme, proviamo inutilmente a convincere Paolo a rimanere con noi, prefigurando per lui inquietanti visite notturne… Leggeri va bene, però… Incredibilmente quando Paolo ci raggiunge prima dell’alba per colazione, ci racconta di strane luci nella notte che poi si sono allonta- Va’ dove ti portano le gambe! Via dalla pazza folla Nella nebbia a un certo punto ci appare una madonnina bianca: siamo così mal ridotti? Sotto: Grazia, avvolta dalle nebbie, sopra la “grangia dell’apparizione”. Nella pagina a fianco: Marco, in versione Lawrence d’Arabia, a un bivio cruciale del Sentiero Cavallero. alpidoc 82 • 51 GTA da riscoprire Va’ dove ti portano le gambe! nate… Eccolo, il fantasma di Mathews! A fine giornata, una coppia di ragazzi che aveva dormito al Bivacco delle Forciolline ci racconta di un alpinista solitario, sceso tardissimo dal Viso, che nonostante la stanchezza aveva voluto proseguire verso il Berardo e il fondovalle… Mistero risolto! La salita alla Normale del Viso è poco affollata; il ghiacciaio è talmente gradinato che si riesce a procedere senza piccozza e dopo il Bivacco Andreotti saliamo slegati, godendoci il tepore del sole e la bellezza delle rocce circostanti. In vetta rimaniamo quasi un’ora in amena compagnia internazionale, dai super accesso- riati (kit ferrata!) tedeschi ai due skyrunner che un paio di volte la settimana salgono da Pian del Re in circa due ore e mezza o tre, in braghette da corsa e gilet. Bravi, ma se per caso qualcosa va storto? Cari amici corridori, vi auguriamo che non succeda mai, altrimenti, dovremmo aiutarvi noi con gli zaini grossi, pieni di materiale “per ogni evenienza”! Iniziamo l’interminabile e un po’ noiosa discesa verso Pian del Re. Ci ripetiamo, ma non ci piace l’attrezzatura del Canale delle Sagnette, che oltretutto in discesa ci sembra piuttosto pericoloso da percorrere tenendo in mano una catena, considerata l’alta frequentazione. Per- Lo scatto selvatico Premesso che veniamo da esperienze “pesanti” di viaggi fotografici (ai tempi della foto analogica siamo riusciti a girare un mese in bici con due corpi reflex e cinque obiettivi), siamo ormai inguaribilmente attratti e gratificati dalle prestazioni fotografiche delle leggere, economiche, performanti “compatte”, alla faccia di chi preferisce di nuovo “farsi carico” di chili di corpi, lenti e accessori vari. Compagna durante la traversata è stata una vecchiotta ma validissima macchina foto di notissima marca giapponese, dotata di due batterie e una scheda di memoria da due giga. Solo otto megapixel (orrore dirà qualcuno), scatti in jpg (il quale ora sviene), ma un ideale obiettivo zoom con una focale equivalente al vecchio 24-85 mm, adattissimo ai paesaggi montani, a qualche primo piano e a qualche macro di fiori o rocce. Indubbiamente poco efficace per riprendere lo sguardo di un camoscio curioso o il planare di un’aquila, ma insomma, bisogna accontentarsi se si vuole viaggiare leggeri! 52 • alpidoc 82 ché non attrezzare solo dei punti di assicurazione, in modo che ogni gruppo si regoli in base alle proprie capacità: cordata/corda fissa/ disarrampicata/corsa al volo? Forse un po’ meno persone salirebbero il Monviso? O forse con più consapevolezza e preparazione? La risposta resta aperta… Termina così la seconda tranche della nostra traversata, allietata dalla piacevolezza degli ambienti, ma un po’ amareggiata dalle situazioni lavorative: cercare il segnale del cellulare per tenere i contatti con una gentile collega che monitora internet per sapere dove si andrà a insegnare il prossimo anno scolastico, sforzarsi di tenere lontane le altrimenti quotidiane discussioni su cosa fare del futuro lavorativo, in un’età in cui farebbe piacere avere qualche certezza in più, in cui addirittura un tempo si pensava a “tirare i remi in barca”! Ormai lo abbiamo capito, nulla è stabile, dobbiamo essere flessibili e adattarci. Quello che per noi resta un punto fermo, la nostra ancora per il futuro, è proprio la montagna, con tutto quello che fisicamente e simbolicamente le sta intorno: relazioni, amicizie genuine, attività, emozioni… Anche lei subisce i contraccolpi degli stravolgimenti planetari, ma siamo abbastanza sicuri che non saremo noi a vederne la fine. Nel frattempo, ora che tutti enfatizzano la necessità di uno stile di vita all’insegna della sobrietà e del rigore, possiamo con buona ragione unirci al coro invitando a sperimentare anche la montagna in versione minimalista… Per quanto ci riguarda, l’avventura selvatica continua: la prossima tappa sarà alla scoperta del (quasi) misterioso mondo oltre il Monviso! l Nella pagina a fianco: Grazia in discesa dal Monviso. In questa pagina, dall’alto: sobrietà è esigere lavandini in pietra naturale, scegliere verdure rigorosamente bio, prenotare solo comfort suites… alpidoc 82 • 53 Il capitano Cossato e la sua cima Al cartografo militare Luigi Giovanni Fecia di Cossato sono attribuite diciotto prime ascensioni nelle Alpi Cozie e Marittime, tra le quali quella del Clapier. Tale fu il suo prestigio che Vicitor de Cessole volle rendergli onore intitolandogli una vetta Testo di Lorenzo Bagnoli N on è insolito, scorrendo la storia delle esplorazioni delle Alpi soprattutto degli ultimi due secoli, imbattersi in figure di topografi o cartografi militari appartenenti agli organi cartografici ufficiali degli Stati alpini, in Italia anche preunitari. Sovente, infatti, sono stati costoro, in un’azione di ricognizione approfondita e sistematica del territorio, a raggiungere le zone più interne della catena alpina per completare la loro conoscenza del territorio, oppure le vette più elevate per avere della regione circostante una visuale il più cartografica possibile. In un’epoca in cui i viaggiatori per lo più non considerano ancora le Alpi come una destinazione ma solo come una via di transito fra l’Italia e il resto dell’Europa, i cartografi militari diventano – a loro insaputa – i primi veri alpinisti, sebbene pratichino la montagna non per diletto ma per obbligo professionale. Anche la storia delle nostre Alpi Marittime ricorda i nomi di alcuni militari cartografi, fra i quali il capitano Cossato, sovente annoverato tra i primi esploratori delle Marittime, di cui tuttavia si sa ben poco, nonostante una cima porti il suo nome. Il “battesimo” della Cima Cossato avvenne nel 1918 e “padrino” fu addirittura Victor Spitalieri de Cessole, per l’autorevolezza del quale la proposta di attribuzione del In un’epoca in cui i viaggiatori per lo più non considerano ancora le Alpi come una destinazione ma solo come una via di transito fra l’Italia e il resto dell’Europa, i cartografi militari diventano – a loro insaputa – i primi veri alpinisti, sebbene pratichino la montagna non per diletto ma per obbligo professionale. A lato: un ritratto di Luigi Giovanni Fecia di Cossato (fonte: Enciclopedia militare, vol. 3, p. 676). Nella pagina a fianco: la Cima Cossato e i suoi “vicini” in una fotografia dell’ottobre 1932 (fonte: Rivista Mensile, 1933, p. 551). 54 • alpidoc 82 toponimo venne immediatamente approvata dal Club Alpino Italiano. Tuttavia, il “successo alpinistico” riscosso dalla vetta fu alquanto effimero. Sovente non segnata sulle carte, oppure addirittura localizzata erroneamente poiché confusa con altre sommità circostanti, gli alpinisti che la raggiungono sono sempre meno numerosi. Rimangono una bella descrizione con fotografie sulla Rivista Mensile del CAI del 1933, la descrizione sulle diverse edizioni della Guida dei Monti d’Italia, qualche accenno su internet, ma – come ha testimoniato lo stesso gestore del Refuge de la Valmasque (ex Rifugio Guglielmo Kleudgen) nell’agosto 2012 – ben pochi amanti delle Marittime si dirigono verso di essa. L’itinerario per raggiungerla, non banale sebbene non richieda doti alpinistiche, risulta peraltro difficile da seguire a causa delle informazioni imprecise o contraddittorie che si possono trovare, oltre che nelle carte, anche nelle diverse guide. La panoramicità è comunque degna di un cartografo, e alcuni passaggi possono addirittura risultare vertiginosi. Cossato, dopo un primo momento di gloria, sembra aver subito la stessa sorte della “sua” vetta, tanto che sovente gli autori che lo citano fanno intendere che di lui non si sia tramandato nemmeno il nome di battesimo. Studi o ricerche su Cossato, infatti, non ne sono più stati fatti per quasi un secolo finché, in occasione del Convegno del Comitato Scientifico Ligure-Piemontese “Le Rocce della Scoperta. Momenti e problemi di storia della scienza nelle Alpi Occidentali”, svoltosi al Monte dei Cappuccini di Torino il 25 e 26 ottobre 2008, si è tornati a parlare di lui. In tale occasione fu infatti dimostrato che dietro a tale breve appellativo si cela Luigi Giovanni Fecia di Cossato (Biella, 8 gennaio 1800 - Cossato, 23 gennaio 1882), chiamato più comunemente Luigi – da non confondersi però col figlio omonimo –, antenato del celebre Carlo, il sommergibilista eroe della seconda guerra mondiale. Di Luigi si sapeva già che era stato aiutante in campo di Carlo Alberto durante il difficile periodo della battaglia di Novara – quando il re abdicò a favore del figlio Vittorio Emanuele –, che era stato eletto deputato al Parlamento subalpino nel 1853 e che finì la sua brillante carriera militare come luogotenente generale e comandante generale del Corpo Reale di Stato Maggiore, ma la coincidenza della sua identità con quella del Cossato delle Marittime fu invece proposta per la prima volta solo in quella occasione. Rinviando agli atti del Conve- alpidoc 82 • 55 L’atto di battesimo della Cima Cossato Quando salii questa cima il 9 luglio 1912 con la guida Ippolito Bernart ed il portatore Romano Laurenti (forse preceduto da qualche altro alpinista di cui ignoro il nome) essa mi è parsa degna di perdere la sua anonimia prendendo posto fra le cime nominate: e in modo del tutto naturale ho pensato all’esploratore del M. Clapier e del M. Tenibres, il capitano Cossato, ingegnere dello Stato Maggiore Sardo, che fece per vari anni numerose stazioni su vette importanti delle Alpi Marittime per preparare i lavori della carta Sarda. È così ch’egli accampò, secondo Vaccarone, successivamente nel 1832 sul M. Clapier, nel 1846 sul M. Ténibres, la Cima della Guercia, la C. di Pal, il M. Girauda, il Tournairet, la Rocca dell’Abisso. È probabile che la brigata topografica ch’egli dirigeva traversasse per prima il valico ghiacciato oggi noto sotto il nome di Passo di M. Clapier. V’è modo di riconoscere con certezza che il capitano Cossato fu il primo salitore del Clapier e del Tenibres, ammettendo che questa certezza non possa applicarsi alle altre cime sopra nominate. Ad ogni modo il capitano Cossato deve figurare in primissima linea fra quelli che ebbero nelle Alpi Marittime la primizia dei bei panorami, che gli alpinisti non vennero ad ammirare che assai più tardi. Questo titolo varrebbe da solo per porgere al Cossato l’onore di tale battesimo. Victor Spitalieri de Cessole, Rivista Mensile, 1918, p. 123 Nella pagina a fianco: la Cima Cossato dalla cresta della Charnassère (foto di Lorenzo Bagnoli). gno in questione per conoscere le ragioni per cui si è giunti a tale conclusione, in questa sede ci si limiterà a riassumere brevemente la sua attività alpinistica e la sua produzione cartografica. Il capitano Cossato e la sua cima Il centenario della prima salita alla Cima Cossato è passato inosservato. Per quel che concerne la prima, è possibile, grazie a quanto tramandatoci da Luigi Vaccarone, attribuirgli diciotto prime ascensioni, la maggior parte delle quali nelle Alpi Cozie e cinque nelle Alpi Marittime. Queste ultime sono le ascensioni al Monte Clapier (3046 m), alla Rocca dell’Abisso (2755 m), al Monte Girauda (2606 m), alla Cima della Guercia (2692 m) e al Monte Tenibres (3032 m), la prima avvenuta nel 1832 e le altre nel 1836, sicché si deve pensare ad almeno due spedizioni topografiche nelle Marittime. Circa il Clapier, anche la Guida dei Monti d’Italia attribuisce la prima ascensione 56 • alpidoc 82 a Cossato nel 1832, aggiungendo un particolare di cui finora non si sono trovati altri riscontri: la costruzione da parte sua e del suo gruppo di lavoro di un ricovero appena sotto la vetta. Per quanto riguarda invece la produzione cartografica di Cossato, presso l’Archivio dell’Istituto Geografico Militare di Firenze sono conservate 50 carte o schizzi firmati da lui. A parte un foglio della “Carta del Canavese” del 1821-1822 e la carta “Il Moncenisio da La Ferriere all’Ospizio” del 1829 che costituiscono casi isolati, particolarmente interessanti sono 31 minute di campagna (su 142 totali) della carta “Riviere di Levante e di Ponente, e parte delle Provincie di Alessandria e Pavia” del 1827-1829, che però rappresentano solo zone esterne alle Alpi Marittime. Dei 113 fogli della “Carta topografica degli Stati di Terraferma di S.M. il Re di Sardegna” del 1816-1830 (che servì da originale per il disegno della corrispondente carta topografica della quale fu decisa la pubblicazione nel 1851), 17 sono firmati da Cossato, ma anche in questo caso nessuno è relativo alle Marittime. Pertanto, se in un primo momento (dal 1821 al 1829), come testimoniano le carte che si sono conservate fino a oggi, Cossato si era dedicato a un’intensa attività di topografo rilevatore in zone di più facile accesso, quali la pianura Padana o l’Appennino Ligure, negli anni successivi (dal 1831 al 1836), secondo altre fonti oggi non più reperibili ma note agli studiosi fino a circa un secolo fa, si spostò verso le Alpi Occidentali per lavori in zone che richiedevano doti alpinistiche ben superiori. Tuttavia, di questo secondo periodo non si sono trovate carte da lui firmate, probabilmente perché, diventato capitano nel 1826 (come risulta dal suo foglio matricolare conservato presso l’Archivio di Stato di Torino), ricopriva un ruolo più di comando e di coordinamento dei lavori che non di compilazione di singole carte. Il centenario della prima salita alla Cima Cossato, avvenuta nell’estate del 1912, è passato inosservato e non ci sono notizie di rievocazioni o celebrazioni, né in Italia né in Francia. Rimane l’auspicio che, in previsione del centenario del battesimo della vetta, che cadrà nel 2018, si potrà commemorare adeguatamente un importante cartografo italiano cui tanto devono gli amanti delle Alpi Marittime, e che tale occasione porterà altresì a una migliore conoscenza della cima che ne porta il nome l La descrizione ufficiale CIMA COSSATO 2887 m (2876 m IGN) Importante elevazione rocciosa sullo spartiacque, a S del Colle dell’Agnel, dominante il Ghiacciaio del Clapier e le combe dei laghi de l’Agnel e Gelé. Così denominata in onore del capitano Cossato, ingegnere e topografo dello Stato Maggiore Sardo, che stabilì numerose stazioni trigonometriche sulle vette delle Alpi Marittime per l’allestimento della Carta Sarda. Durante i lavori compì numerose prime ascensioni, tra cui quella del M. Clapier, del Tenibres e, probabilmente di parecchie altre cime della catena, tanto che lo si può annoverare tra i primi esploratori delle Alpi Marittime. Guida dei Monti d’Italia, Alpi Marittime, vol. 1, p. 163. alpidoc 82 • 57 Lasciata l’automobile a Casterino, si raggiunge in un paio d’ore, dapprima su strada e poi su una comoda e ben tracciata mulattiera, il Refuge de Valmasque (2233 m) sul Lago Verde. Oltrepassato lo scolmatore immediatamente a est del rifugio, si imbocca il sentiero in direzione del Lago Gelé (2588 m). Eccettuati certi passaggi leggermente esposti, il sentiero procede facilmente lungo il versante della montagna ed è ben segnalato da frequenti ometti di pietra. In circa un’ora si giunge al lago, dove finisce il sentiero tracciato e da dove si distingue chiaramente verso nord il Colletto Ovest della Charnassère (2727 m), raggiungibile in poco più di un quarto d’ora su un pendio erboso. Da questo punto si segue la facile cresta di gneiss, dapprima in direzione est-ovest mantenendosi sempre sul versante sud, e successivamente, dal nodo orografico presso la Forcella ◢ scheda tecnica Cima Cossato (2887 m) Cossato (2858 m), in direzione sud-nord. Tempo totale di percorrenza da Casterino: 4 ore circa. Per l’itinerario di discesa, si può scendere dal canalone che collega direttamente la Forcella Cossato al Lago Gelé e da qui, ripreso il primo tratto del sentiero dell’andata, continuare verso il Lago Nero, per raggiungere nuovamente il Lago Verde e infine Casterino. ◢ Il capitano Cossato e la sua cima Sopra: particolare della cartina relativa al Nodo di Vernasca con la localizzazione della Cima Cossato (fonte: Guida dei Monti d’Italia, Alpi Marittime, vol. 1, tra le pp. 152 e 153). Sotto: simpatici incontri lungo la via di salita (foto di Lorenzo Bagnoli). 58 • alpidoc 82 © costarossa Rifugio Ervedo ZANoTTi (2200 m) Comune: Pietraporzio (CN) Località: alto Vallone del Piz Custodia chiavi: c/o negozio “Pietraporzio idee e prodotti”, via Nazionale sn, Pietraporzio, tel. 0171/96519, sig.a Paola AMErIO, tel. 338/1898768 Apertura: incustodito con ritiro chiavi Accesso: da Pietraporzio al Pian della regina, 2 km strada sterrata poi sentiero T, ore 2,30 Rifugio federico fEDERiCi Ettore MARCHESiNi al PAgARì (2650 m) Comune: Entracque (CN) Località: Ghiacciaio del Pagarì Tel.: 0171/978398 E-mail: [email protected] Sito: www.rifugiopagari.com Gestore: Andrea PITTAVINO (Aladar), tel. 380/7108075 Apertura: 1/7-15/9 Accesso: da san Giacomo di Entracque, su sentiero E, ore 4,45 Rifugio Alfredo TALARiCo (1750 m) Comune: Pietraporzio (CN) Località: Vallone di Pontebernardo Custodia chiavi: c/o negozio “Pietraporzio idee e prodotti”, via Nazionale sn, Pietraporzio, tel. 0171/96519, sig.a Paola AMErIO, tel. 338/1898768 Apertura: incustodito con ritiro chiavi Accesso: da Pontebernardo, su sentiero T, ore 1,15 Rifugio gENoVA - Bartolomeo figARi (2015 m ) Comune: Entracque (CN) Località: Lago Brocan Tel.: 0171/978138 E-mail: [email protected] Sito: www.rifugiogenova.it Gestore: Dario GIOrsETTI, tel. 340/4614189 Apertura: 15/6-15/9 Accesso: dal Lago della rovina, su sentiero E, ore 1,30 La segreteria è aperta nei giorni di martedì, mercoledì, giovedì, venerdì dalle ore 17,00 alle 19,00; il giovedì anche dalle ore 21,00 alle 22,30. Galleria Mazzini 7/3, 16121 Genova, tel. 0039 10 592122, fax 0039 10 8601815, www.cailiguregenova.it, [email protected] SEZIONE LIGURE GENOVA Rifugio Lorenzo BoZANo (2463 m) Comune: Valdieri (CN) Località: Alto Vallone dell’Argentera Tel.: 0171/97351 E-mail: [email protected] Sito: www.rifugiobozano.com Gestore: Marco QUAGLIA, tel. 328/3567556 Apertura: 15/6-15/9 Accesso: da Terme di Valdieri al Gias delle Mosche, su strada e poi sentiero E, ore 2,30 Rifugio Emilio QuESTA (2388 m) Comune: Valdieri (CN) Località: Lago delle Portette Tel.: 0171/97338 E-mail: [email protected] Sito: www.rifugioquesta.it Gestore: guida alpina Flavio POGGIO, tel. 347/7959051 Apertura: 15/6-15/9 Accesso: da Terme di Valdieri, su sentiero E, ore 3,30 Bartolomeo Peyrot, il primo italiano sul Monviso Centocinquant’anni fa il bobbiese Bartolomeo Peyrot fu il primo italiano a raggiungere, in veste di portatore al soldo dell’inglese Francis Fox Tuckett, la vetta del Re di Pietra. Il CAI Uget Val Pellice, per ricordare l’impresa e il personaggio, nel 2012 ha allestito una mostra e girato un film. Questo articolo ne è il dovuto completamento Testo e ricerca iconografica a cura di Marco Fraschia 60 • alpidoc 82 F inalmente un buon diavolo, piccolo, ma di buona volontà, accettò di accompagnarci per una mercede di 2 franchi e 45 centesimi al giorno, oltre il vitto. Egli si chiama Bartolomeo Peyrotte1, e si obbligò di rimanere con noi per quanto tempo avessimo voluto 2. Così l’inglese Francis Fox Tuckett presenta il portatore che aveva assoldato a Bobbio Pellice affinché lo accompagnasse sul Monviso assieme con le sue due guide Michel Croz di Chamonix e Peter Perren di Zermatt. I tre erano partiti il 2 luglio da Torino dove si erano fermati di ritorno dal gruppo del Gran Paradiso e dalle Valli di Lanzo. Raggiunta Pinerolo, l’omnibus li aveva portati a Torre Pellice «in due ore e un quarto». Da qui, dopo aver visitato i dintorni e pernottato all’Hôtel de l’Ours – «eccellente, pulitissimo e condotto molto bene da gente cordialissima» – alle 4,30 del 3 luglio si erano messi in viaggio alla volta di Bobbio Pellice, che avevano raggiunto dopo due ore di calesse. Non ci è dato sapere come fece Tuckett a trovare Peyrot, né che cosa stesse facendo quel mattino il giovane bobbiese. Possiamo immaginare che non ebbe problemi a comunicare in francese con la gente del posto, dal momento che questa era la lingua usata dalla comunità valdese per il catechismo e la predicazione al culto domenicale. Possiamo anche pensare che Tuckett si sia rivolto direttamente al pastore (di anime) valdese, che all’epoca era Barthélemy Davit, abituato a vedere comparire ogni tanto viaggiatori inglesi in visita alle comunità valdesi della valle. Quanto a Peyrot, come tutti i montanari dell’epoca, sarà stato intento a uno dei tanti lavori di campagna: accudire le bestie, tagliare erba, allargare il fieno, zappare l’orto o il campo di patate. Oppure, se è vero, come risulta da fonti orali non verificate, che facesse il calzolaio, sarà stato alle prese con scarpe o zoccoli da realizzare o aggiustare. Fatto sta che tra l’arrivo in calesse a Bobbio Pellice, alle 6,30, di Francis Fox Tuckett con le sue due guide e la partenza a piedi alle 8 dal paese assieme a Peyrot passò un’ora e mezza soltanto, e tanto bastò a Bartolomeo Peyrot per cambiare la propria vita ed entrare, suo malgrado, nella storia dell’alpinismo. Tra tutti, il più carico era, ovviamente, il buon Peyrot: Una deliziosa passeggiata di tre ore di passo moderato, a cagione delle gambe straordinariamente corte del nostro nuovo compagno di viaggio, ci mise ai piedi del colle della Croce. Trovammo ivi un’osteria decente la quale trae il suo sostentamento dal passaggio abbastanza vivo tra La Torre e la valle del Queyraz [sic], dacché la strada è molto praticata. Vista l’ora e la prospettiva di non avere per il resto della giornata altre possibilità di rifocillarsi, i quattro si fermano a mangiare pranzo alla Ciabota del Prà (1732 m). Quando ci levammo era già un’ora dopo mezzogiorno. Peyrotte, durante tutto il pasto, si palesò un divoratore prodigioso. Io penso che in questo incontro egli volle altrettanto indennizzarsi della passate privazioni, quanto provvedersi contro le incertezze dell’indomani. 1 Il cognome Peyrot è scritto Peyrotte alla francese, ma in Val Pellice e Val Germanasca è sempre stato Peyrot, così come compare sui documenti anagrafici dell’epoca. Analogamente Tuckett scrive Perrn il nome della sua guida svizzera tenendo conto della pronuncia tedesca del nome, che andrebbe scritto correttamente Perren. 2 Salvo diversa indicazione, tutte le citazioni del racconto della salita al Re di Pietra sono tratte da Francis Fox Tuckett, Una notte sulla cima del Monviso (4 luglio 1862) in Gazzetta di Torino, 18 e 19 marzo 1863 (Appendice). Lo stesso racconto, leggermente modificato e un po’ più breve, compare anche in inglese col titolo A night on the summit of Monte Viso in The Alpine Journal, vol. I, 1863-1864, pp. 23-33 (marzo 1863), mentre il seguito del resoconto si trova in Francis Fox Tuckett, Explorations in the Alps of Dauphinè during the month of July, 1862. Read at the meeting of the Alpine Club, June, 9 th. 1863 in The Alpine Journal, vol. I, 1863-1864, pp. 145-183 (dicembre 1863). Una traduzione italiana di A night on the summit of Monte Viso si trova anche in Marco Albino Ferrari (a cura di), Racconti di pareti e scalatori, Torino, Einaudi, 2011, pp. 5-14. alpidoc 82 • 61 Qualche notizia biografica Bartolomeo Peyrot. primo italiano sul Monviso Bartolomeo Peyrot, ormai anziano, nella foto d’epoca conservata presso la sede del CAI UGET Val Pellice. Di Bartolomeo Peyrot (Barthélemy nei documenti d’archivio, Peyrotte nella relazione di Tuckett, Sella e altri contemporanei) conosciamo ben poco. Da ricerche d’archivio e articoli di giornale sappiamo che nasce a Bobbio Pellice il 2 novembre 1836 da David Peyrot (1801-1879) e Jeanne Allio (1804-?) e il 13 dello stesso mese viene battezzato valdese, con Paul Artus e Catherine Bertin, sua moglie, come padrino e madrina. Molto probabilmente partecipa alle guerre d’indipendenza ottenendo anche delle medaglie. Dopo la salita con Tuckett nel 1862, nell’agosto del 1863 accompagna sul Monviso ancora un gruppo, ma senza raggiungere la cima. Il 24 settembre 1871 si sposa nel tempio di Bobbio Pellice con Constance Bonjour; celebra il matrimonio il pastore Matthieu Gay. Dopo pochi mesi, il 12 dicembre 1871 nasce il primogenito David, cui segue quattro anni dopo (10 maggio 1875) la figlia Jeanne. David emigra a Marsiglia dove tuttora ci sono eredi Peyrot. Il 17 novembre 1920, all’età di ottantaquattro anni, Bartolomeo Peyrot muore in borgata Giaime di Luserna San Giovanni presso la casa della figlia Jeanne, sposata Bertin. Dal registro dei funerali della chiesa valdese di San Giovanni sappiamo che era vedovo e operaio (ouvrier) di professione. In tre ore il gruppo raggiunge la sommità del Colle Seilliere (2851 m): «…là ad un tratto, ci si presentò la magnifica veduta del Monviso». Dopo una sosta di un’ora, alle 17 si riparte in direzione del Colle di Vallanta, che viene raggiunto alle 18,30: «Il tempo era bello, il sole tramontando faceva splendere co’ suoi raggi dorati le rocce del Viso che oramai ci torreggiava daccanto maestosamente». La discesa nel Vallone di Vallanta avviene senza difficoltà, a parte qualche problema a trovare un posto per la notte: Trovammo i più alti chalets abitati, ma sia per inospitalità degli abitanti, sia perché sospettassero della nostra apparenza, essi non vollero darci ricovero, e nemmeno venderci una goccia di latte. Ma quando, circa alle 8, arrivammo al prossimo gruppo di case, indicato vicino alla lettera A della carta che accompagna il giornale del signor Mathews 3 a un’ora circa sotto il colle, trovammo negli abitanti una squisita cordialità. Il pastore ci accolse, insieme con sua moglie, assai di buon cuore. E quella povera gente non finiva più di dirci i bene arrivati e di chiederci scusa del loro stato che non permetteva di usarci tutta l’accoglienza che avrebbero voluto. Le oneste offerte furono accettate con grato animo, e qualche istante dopo, davanti al fuoco, bolliva allegramente una bella pentola di latte, con dentro del cioccolatte che noi vi aggiungemmo. Ci ristorammo con un po’ di cena, e stanchi già abbastanza per non essere difficili intorno al continua a pagina 66 3 Peaks, Passes and Glaciers, seconda serie, vol. II, Londra, Longmans, Green and Co.,1862, pag. 132. 62 • alpidoc 82 alpidoc 81 • 71 E dopo l’exploit, il ricordo dei posteri Al momento di congedarsi da Peyrot, Tuckett gli rilascia una lettera di accompagnamento da presentare come credenziale ai futuri clienti: Je certifie que Bartolomeo Peyrotte m’a accompagné de Bobbio à cet endroit par Pra, le col de Seylières, le col de Vallanta, Ponte Castello, Chianale et le Col de l’Agnello, et je suis très content de lui. Des chalets entre le col de Vallanta et Ponte Castello nous sommes montés avec les guides Michel Croz de Chamonix et Pierre Perrin de Zermatt à la dernière cime du Monviso, sur laquelle nous avons passé la nuit du 4 en jouissant de la plus belle vue sur la plaine d’Italie, les montagnes de la France, les Alpes Maritimes etc. Je trouve qu’il faut remarquer que B. Peyrotte est le premier piémontais qui à mis le pied sur cette montagne. Queyras, 6 juillet 1862 Francis Fox Tuckett de Bristol en Angleterre L’anno seguente, e precisamente il 5 agosto 1863, a Sampeyre, Peyrot fa leggere la sua credenziale a un gruppo di alpinisti di ritorno da un tentativo di salita al Viso. Egli sta accompagnando sulla montagna, passando dalla Val Varaita, «un’altra carovana di viaggiatori […] della quale faceva parte una non meno elegante e gentile che coraggiosa signora torinese». Si tratta di Alessandra Boarelli che darà nome al pianoro nel Vallone delle Forciolline, dove la comitiva passa la notte senza riuscire, il giorno dopo, a raggiungere la cima 1. Forte di questo fallimento, Quintino Sella, nel raccontare la propria ascensione, effettuata il 12 agosto 1863, non si risparmia di denigrare il buon Peyrot, al quale, secondo lo statista, nel tentativo di poco precedente alla sua salita, venne talmente meno ogni specie di animo, che dopo molte difficoltà e tentennamenti finì di rifiutarsi affatto a condurre la comitiva sulla vetta del Monviso. Io non mi meraviglio troppo del poco entusiasmo del primo italiano che fu sul Monviso, perché dalle frasi della relazione del Tuckett che lo riguardano, arguisco come già allora molto rimpiangesse di essersi posto in cosiffatta impresa, tanto che il Tuckett l’ebbe a motteggiare non poco. Ma tornando alla comitiva, essa non poteva non perder animo per l’avvilimento del Peyrotte, e quindi rinunciò all’impresa 2. Miglior trattamento riservano a Peyrot gli alpinisti inglesi. Oltre alla credenziale rilasciata da Tuckett, John Ball, primo presidente dell’Alpine Club dal 1857 al 1860, cita Peyrot nella sua guida delle Alpi Occidentali relativamente a Bobbio Pellice: «Bartolomè Peyrotte, of this village, accompanied Mr. Tuckett in the ascent of Monte Viso, as a porter. He was found active and useful, and his terms moderate» 3. La stessa citazione compare anche nella traduzione italiana della guida, e il cognome del portatore viene scritto, finalmente, in modo corretto: «Un certo Bartolomeo Peyrot di questo villaggio, accompagnò il signor Tuckett, come portatore, nella sua ascensione sul Monviso. Egli era attivo e intelligente, e discreto riguardo ai prezzi»4. Bisogna aspettare il 1928 perché, per iniziativa dell’UGET Val Pellice, venga posta sul municipio di Bobbio Pellice una lapide che ricorda “il primo italiano scalatore del Monviso”, come titola il settimanale La voce del Pellice del 4 maggio nel fare il resoconto della manifestazione: 1 Citazioni e notizie tratte da Vittorio Grimaldi, Una settimana al Monviso in Rivista Mensile del Club Alpino Italiano, nn. 1-2, gennaio-febbraio 1963, pp. 23-35. 2 Quintino Sella, Una salita al Monviso. Lettera di Quintino Sella a B. Gastaldi segretario della scuola per gli ingegneri, Torino, Tipografia dell’Opinione, 1863, pp. 7-8. 3 John Ball, A guide to the Western Alps, New Edition, London, Longmans, Green and Co., 1877, p. 35. 4 Id, Guida delle Alpi Cozie (distretto del Viso – distretto valdese), con note e aggiunte del Cav. V. Buffa e Dott. E. Rostan, Pinerolo, Chiantore e Mascarellli, 1879, p. 44. 64 • alpidoc 82 Malgrado la violenta bufera che imperversò su tutta la valle […] una numerosa schiera di alpinisti, rappresentanze e valligiani, volle presenziare alla modesta cerimonia. […] Dopo brevi parole del sig. Alessandro Pasquet, il prof. Ubaldo Valbusa, presidente del CAI di Ivrea, tenne il discorso ufficiale, e con la sua calda e dotta parola seppe rievocare in brevi tratti la figura dell’umile Bobbiese, accomunandola a quella di Quintino Sella. […] In prima fila, ed in costume valdese, spiccava la signora Giovanna Peyrot in Bertin, figlia di Bartolomeo Peyrot, con sul petto appuntate le medaglie guadagnate dal padre suo nelle guerre per l’indipendenza» 5. La cerimonia termina con «amichevole thè» presso l’Hôtel Flora e la «vendita di un elegante ricordo di Bartolomeo Peyrot». Dopo la triste parentesi della guerra bisogna aspettare gli anni Sessanta del Novecento per avere altre iniziative legate alla figura di Bartolomeo Peyrot. Il 30 dicembre 1965 il Consiglio comunale di Bobbio Pellice, presieduto dal sindaco Giovanni Baridon, riconosce ufficialmente l’intitolazione di una via Peyrot «dedicata all’alpinista bobbiese che con una spedizione inglese raggiunse in prima scalata la vetta del Monviso» 6. Pochi anni più tardi, il giornale locale Il Pellice del 23 febbraio 1968 annuncia per domenica 25 febbraio una «gara sciistica riservata alla terza categoria. Sono in palio il Trofeo Peyrot, coppe offerte da vari enti, medaglie e premi in natura» 7. L’organizzazione è dello Sci Club Bobbio Pellice con la collaborazione di Pro Loco e amministrazione comunale. Siccome nel trafiletto si sottolinea che «sarà indispensabile la presenza di un po’ di neve» è probabile che questa non sia caduta, visto che sui numeri successivi non c’è nessun resoconto della manifestazione. Infatti, il 22 dicembre dello stesso anno, organizzata dallo Sci Club Bobbio Pellice, si svolge «sulle nevi del Garneud […] una gara di fondo individuale intitolata al Trofeo Bartolomeo Peyrot». Vi partecipano trentanove concorrenti, suddivisi in quattro categorie: seniores, juniores, allievi e veterani. Il trofeo triennale Bartolomeo Peyrot viene assegnato allo Sci Club Angrogna 8. Dopo una pausa nel 1969, dovuta forse all’assenza di neve, la manifestazione riprende nel 1970 e prosegue ogni anno fino al 1974 – con una partecipazione media di settanta-ottanta concorrenti e una punta di centrotrenta nel 1974 – per concludersi definitivamente nel 1977 con centocinquantasei partecipanti, quando il Trofeo Peyrot viene «definitivamente assegnato allo Sci Club Prali per merito di Martinat Livio, Pascal Gino e Genre Mauro» dopo essere passato per due anni consecutivi nelle mani dello Sci Club Nordico di Torino (1973 e 1974). Dovranno passare altri quarant’anni circa perché ci siano altre manifestazioni a ricordo di Bartolomeo Peyrot. Nel 2012, infatti, il CAI UGET Val Pellice in occasione dei centocinquant’anni dalla salita ha realizzato una mostra e un film sul primo italiano sul Monviso. La mostra – che consiste in sette pannelli illustrativi sull’itinerario, il resoconto della salita, i suoi protagonisti e la figura di Bartolomeo Peyrot nella storia – dopo essere stata esposta presso i locali della Dogana Reale di Bobbio Pellice dal 12 maggio al 31 luglio, è salita nei rifugi del CAI UGET Val Pellice: in agosto al Rifugio Granero, nel mese di settembre al Rifugio Barbara e in quello di ottobre al Rifugio Jervis. Il film invece, girato dall’8 al 18 di agosto, dopo la fase di montaggio, è stato presentato ufficialmente il 29 e 30 novembre presso il teatro del Forte di Torre Pellice, nell’ambito della rassegna MontagnArt, alla presenza degli eredi di Bartolomeo Peyrot, residenti a Marsiglia, in Francia. 5 Bartolomeo Peyrot primo italiano scalatore del Monviso ricordato in una lapide a Bobbio Pellice, in La voce del Pellice, 4 maggio 1928. 6 Dal verbale del Consiglio pare di capire che la via esistesse già, ma che vi fosse «la necessità di regolarizzare con un provvedimento» la sua denominazione. 7 Notizie da Bobbio Pellice, in Il Pellice, 23 febbraio 1968. 8 Disputato a Bobbio Pellice il Trofeo Bartolomeo Peyrot, in Il Pellice, 27 dicembre 1968. alpidoc 82 • 65 Bartolomeo Peyrot, primo italiano sul Monviso letto, ci sdraiammo sopra il fieno. Non eravamo ancora coricati che già viaggiavamo nel regno dei sogni 4. Qui Tuckett ha modo di provare il suo sacco a pelo, forse uno dei primi modelli della storia dell’alpinismo, e si sofferma a descrivere minuziosamente quello che nella versione italiana viene definito «sacco ossia letto di campagna» (sleeping bag nel testo inglese). Il nuovo sacco di campagna è coperto di makintosh nella parte inferiore; nella parte superiore, alla distanza di circa 15 pollici dai piedi, comincia ad essere semplicemente come un sacco, fatto di quella istessa stoffa con cui si fabbricano generalmente le coperte di lana rossa, chiamata in commercio col nome di pelle di cigno. Si apre come il davanti di una camicia, per lasciar adito ad entrare comodamente il corpo e dai lati vi sono due fori per far passare le braccia: così si facilita molto ogni movimento della persona. Dove finisce il makintosh, superiormente, comincia una specie di copertina, o di grembiale della stessa stoffa di lana del sacco. Questo grembiale può essere rovesciato all’ingiù sopra i piedi, se si sente freddo, o tirato su sino al collo, ed assicurato alle spalle con due bottoni, se si ha desiderio di aver più caldo alla parte superiore del corpo. Un cappuccio anch’esso di lana, ma privo affatto di makintosh, per lasciar libera la circolazione dell’aria e quindi la traspirazione fa compiuto l’apparecchio. Il tutto per quattro chili di peso. Sulle spalle di Peyrot, ovviamente. Alle 8,15 del 4 luglio, «dopo una buona colazione di pane e latte», la comitiva riparte salendo «lungo le falde del monte che si stende verso mezzodì dal piccolo Monviso tra la valle di Vallanta e quella delle Forciolline». Alle 9,45 è fuori dal bosco di pini cembri e alle 10,30 fa una sosta di mezz’ora presso i laghi delle Forciolline. Alle 11,45 Tuckett e compagni sono alla base della parete sud dove indossano le uose (ghette): Salimmo con passo regolare e senza fretta per un’altra ora e 3/4 più spesso in mezzo alle rocce, oppure per couloirs e talvolta sopra pendii di ghiaccio dove fu d’uopo tagliarci i marciapiedi coll’ascia. All’1,45 ci trovammo sulla vetta della cresta che discende dalla sommità S.S.E. nella direzione del colle delle Sagnette. Si fermano per il pranzo e poi «un’altra ora e mezzo di salita sempre ardua ci condusse alla sommità, così che la salita dal chalet di Vallanta, durò sette ore ed un quarto, dalle quali però si deve dedurne 1 e 1/2 spese in fermate». L’abbondanza di neve consiglia prudentemente ai quattro di accontentarsi della cima orientale, dove il resto della giornata viene speso in misurazioni scientifiche (principalmente pressione atmosferica e temperatura di ebollizione dell’acqua comparate tra loro e rilevate a distanza di un’ora tra le 17 e le 19) e preparativi per il bi- 4 Ciò che colpisce del resoconto del primo giorno di cammino sono la distanza, il dislivello e i tempi. Da Bobbio Pellice agli chalets dove il gruppo passa la notte, che presumibilmente corrispondono alle Grange del Rio, 1988 metri sul livello del mare, all’imbocco del Vallone delle Forciolline, ci saranno almeno 35-40 chilometri, di sicuro 2500 metri di dislivello, solo in salita (Bobbio Pellice 734 metri – Col Sellier 2851 metri = 2117 metri; Bérgerie du Vallon 2428 metri – Passo di Vallanta 2811 metri = 383 metri; 2117 + 383 = 2500 metri esatti!). Oggigiorno una gita in montagna di un certo impegno si aggira tra i 1000 e i 1800 metri di dislivello in salita; molto raramente si superano i 2000 metri di dislivello in un solo giorno. Pertanto i 2500 metri di dislivello su una distanza approssimativa di 35-40 chilometri restano un’impresa tout court anche ai giorni nostri, e lo erano anche all’epoca di Peyrot, soprattutto in relazione all’attrezzatura a disposizione. Chi conosce e frequenta la zona, sa bene che andare da Bobbio Pellice al Prà non è propriamente «una deliziosa passeggiata di tre ore di passo moderato», così come per andare dalla Ciabota del Prà al Colle Sellier in tre ore non bisogna certo fermarsi a guardare il panorama o a contemplare i fiori. Insomma: Bobbio Pellice-Grange del Rio in dodici ore con due ore di sosta al Prà e un’ora al Sellier è un exploit degno delle moderne corse in montagna. 66 • alpidoc 82 L’apparenza del tempo non era punto rassicurante; di quando in quando il vento muggiva in mezzo ai dirupi ed alle balze. Un vapore grigio che s’alzava dalle sottoposte vallate, avviluppava l’altura. In verità, io cominciava a dubitare della saggezza del nostro procedere. Ma oramai non v’era più mezzo di far diversamente; l’oscurità crescente ci circondava. Bisognava prepararsi per la notte. Prima d’ogni cosa pensai a far bollire una bottiglia di vino, mediante il mio apparato, per ristorarci e metterci in grado di affrontare quello che di peggio poteva accadere. Poscia Peyrotte si avviluppò nel sacco che portava seco. Croz si coprì la testa con una maglia di lana. Perrn pose un buon berretto di pelle di foca con lunghe ali che scendevano sopra le orecchie, che io gli prestai. Si unirono tutti ben serrati, stesero sopra di loro una coperta che avevano preso ad imprestito nel chalet, e vi soprapposero ad efficace riparo la coperta mia di makintosh. Io, alla mia volta, mettendomi dentro il mio sacco, coi piedi contro la roccia, in modo che mi fosse difficile di scivolare, cercai di prendere riposo. Alle due e mezza di notte Tuckett si sveglia: Apersi gli occhi, e con molta sorpresa osservai che tutto a noi d’intorno era bianco. Era caduto più di un pollice di neve, e seguitava a cadere a larghi fiocchi in mezzo alla nebbia. La prospettiva non era davvero molto rallegrante, ed il mio spirito era così vicino al prostramento che il pensiero di dover rimanere in quello stato per qualche ora ancora, mi si presentava molto molesto. Faceva molto freddo, ma mi sentii in grado di sfidare un tempo anche più crudo. Mi confortava la maniera con cui sopportava sì difficili prove il mio sacco. I suoi compagni, senza sacco a pelo, stanno decisamente peggio di lui: Bartolomeo Peyrot. primo italiano sul Monviso vacco che viene allestito una dozzina di metri («40 piedi») sotto la vetta. Ciò non impedisce di cogliere la bellezza e la magia del momento: «Il tramonto fu meraviglioso. L’ombra del Monviso si stese vasta e pomposa sopra il velo di nebbia leggera che copriva la pianura del Piemonte». Alle sette di sera però ci sono già due gradi sotto zero: Io ho paura che diversamente volgessero le cose per i miei compagni. Sebbene fossero passabilmente riparati, ed avessero, stando uniti tra di loro, il calore naturale, non erano tuttavia naturalmente sorretti dal mio vivo entusiasmo. Infatti dal sacco, specialmente del povero Peyrotte, uscivano dei gemiti dolorosi. Io mi proposi di incoraggiarlo, cercai in particolare modo di rialzargli il morale facendogli riflettere avanti tutto come egli fosse il primo, tra i sudditi del re d’Italia che avesse asceso il Monviso, e, per sopra mercato, vi si fosse fermato una notte. Una notte di cui gli sarebbe durata la memoria per tutta la vita, e che lo avrebbe reso famoso fra i presenti Didascalie In apertura, a pagina 60: l’immagine scelta per la locandina del film dedicato al primo salitore italiano del Monviso (foto di Marco Fraschia). A pagina 63, dall’alto in senso orario: Francis Fox Tuckett nel 1868, da A Pioneer in the High Alps. Alpine Diaries and Letters of F. F. Tuckett 1856-1874, London, Edward Arnold, 1920; due disegni di Elisabeth Tuckett tratti da Pictures in Tyrol and Elsewhere from a Family Sketchbook, London, Longmans, Green, and Co., 1867, in alto il famoso sacco a pelo di Tuckett; Henri Peyrot, L’auberge au Pra (1907), Archivio Fotografico Valdese, Fondo Henri Peyrot; la lapide posta sul municipio di Bobbio Pellice a ricordo di Bartolomeo Peyrot (Foto Bepi Pividori); un particolare della lettera autografa – indirizzata a Bartolomeo Gastaldi e datata Torino, 15 agosto 1863 – in cui Quintino Sella cita Peyrot, in Salita del Monviso. Anno 1863, p. 5, Centro Documentazione Museo Nazionale della Montagna-CAI-Torino. alpidoc 82 • 67 Il film Da mercoledì 8 a sabato 18 agosto 2012 si sono svolte in alta Val Pellice, nella zona del Monviso, le riprese del film . Inizialmente concepito per uno spettacolo teatrale, il soggetto è stato leggermente modificato per meglio adattarlo alle esigenze cinematografiche. Il film è stato preferito allo spettacolo teatrale dal direttivo Cai Uget Val Pellice per supplire alle difficoltà e all’imbarazzo di calcare la scena di un teatro. Il Cai Uget Val Pellice oltre ad assumersi l’onere dei costi – circa 8000 euro in tutto – ha fornito anche un nutrito numero di attori. Questi gli artefici e protagonisti del film: soggetto: Marco Fraschia; sceneggiatura: Marco Fraschia, Leopoldo Medugno, Emanuele Pasquet; regia: Leopoldo Medugno ed EmanueIn queste pagine, due immagini scattate durante la le Pasquet (Patroclo Film); costumi: Federica lavorazione del film (foto di Marco Fraschia) Pasquet; scenografia: Francesca Giai; fonico: Arianna De Luca; montaggio: Vincenzo Di Natale; consulenze linguistiche: francese, Micaela Fenoglio; patouà, Tatiana Barolin; piemontese, Franco Pasquet; personaggi e interpreti: Bartolomeo Peyrot/Giorgio Benigno; Francis Fox Tuckett/Alessandro Plavan; Michel Crox/Bepi Pividori; Peter Perren/Paolo Colleoni; mamma Peyrot/Dilva Castagno; figlio Peyrot/Stefano Benech; Constance Bonjour (cameriera e moglie di Peyrot)/Valentina Cesan; Pierin/Ermanno Aglì; coppia di pastori/ Claudio ed Elisabetta Paschetto; pastore valdese/Valdo Bellion; oste/Roberto Pontet; cocchiere/Eric Charbonnier; giocatori di morra: Giovanni Charbonnier, Pierino Garnier; Riccardo Davit; Roberto Charbonnier; Paolo Michelin Salomon; Paolo Geymonat. Durata: 36 minuti. ed i venturi di Bobbio. E tutta questa gloria in cambio di poche ore di freddo e di neve. E venendo a cose più umili, ma più utili, gli feci toccare con mano che il disagio presente l’avrebbe giovato ne’ suoi interessi, giacché, dopo una simile escursione, i viaggiatori l’avrebbero chiesto di preferenza a qualunque altro per guida esperimentata. Ma la mia eloquenza andò quasi perduta. Mi parve che dalle sue risposte apparisse ben chiaro che egli avrebbe di buon grado rinunciato alle più brillanti prospettive avvenire per isfuggire il presente che lo travagliava forse troppo. Alle 5,15 i quattro si alzano e, dopo un boccone di colazione, «avendo perso ogni speranza di 68 • alpidoc 82 adoperare il teodolite, che era stato trasportato con tanta fatica», alle 6 iniziano la discesa, resa delicata dalla neve caduta nella notte. Alle 10,15 raggiungono l’alpeggio dove hanno passato la prima notte: «Al chalet, una liberale libazione di latte fresco, fu accettata con molto piacere; e subito dopo ci ponemmo entro il fieno per 3 o 4 ore, onde riguadagnare quanto avevamo perduto di sonno e di riposo la notte scorsa». Alle 14,30 riprendono la discesa verso Castello, in Val Varaita, che raggiungono alle 15,30 dopo aver incontrato «tre o quattro preposti di finanza, armati di carabina, i quali con modi non garbati ci fermarono e sottoposero tutto il nostro povero bagaglio ad una visita rigoro- sissima». Alle 16,50 i quattro sono a Chianale, dove passano la notte in un «albergo di non molto incoraggiante apparenza». Qui termina la relazione comparsa sul quotidiano torinese dell’epoca, non senza l’annotazione finale: «così ebbe termine una interessantissima escursione di cui mi rammenterò ognora come delle più piacevoli da me intraprese fra le montagne». Dal seguito del racconto, pubblicato su The Alpine Journal, e dai diari di Tuckett stesso 5 sappiamo che il 6 luglio, dopo la sveglia alle 4 e partenza alle 5, il gruppo raggiunge il Colle dell’Agnello alle 7,15 per scendere in Francia. Alle 14,30, a Chateau Queyras, Tuckett, Croz e Perren si separano da Peyrot – che presumibilmente rientra a Bobbio passando, forse, dal Colle della Croce – per proseguire verso il Delfinato, dove effettueranno altre importanti l salite nel massiccio degli Ecrins. 5 Francis Fox Tuckett, Explorations in the Alps of Dauphiné during the month of July, 1862. Read at the meeting of the Alpine Club, June, 9 th. 1863, in The Alpine Journal, vol. I, 1863-1864, pp. 145-183, dicembre 1863; A pioneer in the high Alps. Alpine diaries and letters of F. F. Tuckett 1856-1874, London, Edward Arnold, 1920, nello specifico pp. 124-127 e 143-145). alpidoc 82 • 69 L’uomo che non passò alla storia Testo di Dario Viale F u poco prima del Col Seilliere che se lo trovarono davanti per la prima volta da che erano partiti da Bobbio. Bartolomeo lo vedeva da sempre dalla sua valle natia, ma stavolta era ben diverso. Avrebbe dovuto salire quel monte di smisurata mole sino alla sommità. Non gli pareva possibile, assolutamente. Osservato da questo versante a settentrione poi, dove le rocce e i ghiacci uniti alla verticalità conferiscono al Monviso un aspetto orrido e repulsivo, la volontà di scalarlo pareva follia, null’altro che follia. Eppure l’anno prima era stato vinto, lo sapeva bene. Anche se molti ancora dubitavano di quell’incredibile evento. Il signor Tuckett, l’inglese che lo aveva ingaggiato come portatore con una buona paga, aveva avuto l’accortezza di farsi accompagnare dal formidabile montanaro savoiardo che aveva guidato l’ascensione vittoriosa, e che era stato il primo uomo ad aver messo piede sulla vetta, Michel Croz. Del resto, costui gli sembrava davvero affidabile; dall’imperturbabilità che mostrava, si capiva che era dotato di grande forza d’animo, e certamente la forza fisica non era da meno. Infine, non era quello che si parava alla loro vista il versante di salita programmato. Questo si trovava a meridione, una volta scavalcato il Passo di Vallanta, e offriva una parete più fratturata e meno ostica. Così gli aveva detto Michel, e non aveva motivo di dubitarne. Erano pure accompagnati da un altro valligiano, che a sua volta portava spesso i signori sulle nevi perenni e sulle rocce delle sue alte montagne, Peter Perren, nativo di Zermatt in Svizzera. Chamonix, Zermatt erano nomi sconosciuti a Bartolomeo prima di quel giorno, ma sentiva che quei due uomini erano della sua stessa fatta. Come lui vivevano sui monti, zappavano, falciavano, mietevano, tagliavano legna. Magari, dalle loro parti, in estate, c’erano più touristes da accompagnare, perché là le montagne erano più alte, ma in fondo avvertiva che non c’erano grandi differenze tra la sua Valle Pellice e la valle di Chamonix o quella di Zermatt. Prova ne era il fatto che si capissero così bene, malgrado parlassero lingue diverse. Abituato a portare pesi, Bartolomeo non avvertiva troppo il carico che gravava sulle sue spalle, forse anche per l’eccitazione di ciò che lo attendeva l’indomani. «Ho scritto questo breve racconto romanzando alcuni dati storici raccolti da Ezio Nicoli nel volume Monviso Re di Pietra e quelli contenuti nella relazione di Tuckett sulla seconda ascensione del Monviso compiuta nell’estate 1862. L’ho fatto nel tentativo di rendere giustizia al primo cittadino del nuovo Regno d’Italia che ne aveva raggiunto la vetta. Oltre vent’anni fa, leggendo il libro di Nicoli, mi ero sorpreso nello scoprire che il primo salitore italiano non era stato Quintino Sella con la sua spedizione di notabili, come avevo sempre letto e creduto, ma un anonimo valligiano di Bobbio Pellice. Nella monografia non vi sono che rare e ben poco 70 • alpidoc 82 Dopo aver guadagnato il colle scesero nel vallone di Castello dove trovarono cordiale ospitalità presso un alpeggio di margari. Il giorno seguente, nonostante il bel tempo invitasse ad approfittarne, indugiarono alquanto. Infatti il signore inglese a capo della spedizione aveva una bizzarra idea in testa: voleva pernottare sulla vetta! Questa era la cosa che più angustiava Bartolomeo, molto più delle eventuali difficoltà della salita. Sapeva bene che in montagna più si sale in alto più la temperatura si abbassa. E se poi li avesse sorpresi il maltempo? Sarebbero ancora riusciti a scendere? A volte, in alta quota, anche nel cuore dell’estate nevica copiosamente. Era piuttosto perplesso: intuiva che quell’uomo aveva pensieri diversi dai suoi. La sua maggiore istruzione, la diversa educazione formavano una barriera difficile da penetrare. Ma la difficoltà non era solo sua, aveva notato che anche l’inglese con tutta la sua sapienza aveva difficoltà a comprendere il mondo dei valligiani e si fermava alla superficie, spesso accontentandosi delle proprie supposizioni. ❡ La prima parte non fu che una camminata su terreno malagevole, il tratto impegnativo arrivava in alto, sopra la zona dei laghi detti delle Forciolline, dove aveva bivaccato la comitiva di Croz l’anno avanti, prima della conquista. Bartolomeo fece par- tecipe Michel dei propri dubbi: avrebbe preferito non passar la notte in vetta, gli disse. «Ah, moi aussì!», gli confermò questi con un tranquillo sorriso. La calma superiore di Croz ancora una volta lo contagiò positivamente. La parete appariva difficile, ma non impossibile. «Con questo diavolo d’uomo che conosce la strada, poi!» si fece coraggio. In effetti, Bartolomeo se la cavò egregiamente. Era agile e forte, e i passaggi rocciosi non lo impensierirono più di tanto. La cosa che più lo impressionò fu lo sfacelo delle rocce: i massi cadevano al minimo tocco, c’erano pietre instabili ovunque, occorreva prestare grande attenzione, e più di una volta i membri della comitiva rischiarono di esser investiti. «Non sembrava una rovina del genere, vista da sotto», venne da pensare all’uomo di Bobbio. Ora, dopo aver vagato per cenge, canaloni e pareti, erano ormai giunti sulla cresta. Finalmente rivide la sua valle, dal versante opposto: i più alti monti apparivano assai ridimensionati, giù in basso non li aveva mai visti così. Ancora un tratto di arrampicata e quasi senza accorgersene si ritrovò sul vertice della montagna con tutti gli altri. Signore e valligiani parvero, per un istante soltanto, della stessa classe sociale. Tutti emozionati dalla conquista, pur dissimulando abilmente. Bartolomeo realizzò in quel momento, con un sentimento che non avrebbe mai saputo descrivere, di essere lui il primo salitore partito da quei luoghi che ora erano ai suoi piedi. Il primo appartenente a quelle lusinghiere note su questo personaggio. Non mi è parso bello: è come se se nel 1954, l’anno dopo che lo sherpa Tenzing con il neozelandese Hillary aveva scalato l’Everest, una spedizione di maggiorenti nepalesi avesse ripetuto l’exploit (e magari fondato il CAN...) e per esaltare la propria vittoria avesse denigrato e occultato l’impresa compiuta dal connazionale con i britannici. Quando ho saputo che nel 2012, in occasione del centocinquantenario della seconda salita assoluta del Monviso, il Comune di Bobbio e il CAI UGET Valle Pellice avevano istituito una serie di manifestazioni per commemorare il concittadino Peyrot, ho pensato di dare il mio contributo.» alpidoc 82 • 71 L’uomo che non passò alla storia terre dove il Viso si erge come una divinità a dominare valli e pianure e da sempre fa da sfondo alle miserie e alle nobiltà degli uomini. Un numero incalcolabile di esseri umani nel corso dei millenni era vissuto avendolo come punto di riferimento immutabile e irraggiungibile per tutta la vita, e lui, Bartolomeo Peyrot di Bobbio Pellice, era il primo di loro a penetrarne il mistero sino al culmine. Il primo di quelle valli e pianure che avevano contribuito in maniera decisiva a unire il nuovo Regno d’Italia di cui da poco tempo facevano parte. Sentì di aver fatto qualcosa che da sempre era ritenuto impossibile dalle sue genti, compresi uomini ben più temprati e audaci di lui. Così alto e isolato, può darsi che il Monviso un tempo fosse stato addirittura creduto la dimora degli dei, come l’Olimpo dei Greci, pensò. Sapeva pure che, sempre a causa della sua posizione e dunque della sua visibilità da lunghe distanze, fu creduto a lungo il monte più alto del mondo conosciuto. Fin lassù, continuò a riflettere, era stato guidato da qualcuno più intraprendente di lui, d’accordo, ma era salito con le sue sole forze, gravato da un pesante sacco, senza bisogno di legarsi alla corda di Croz. «Del resto, questi inglesi che si onorano di conquistare le cime per le loro imprese, in realtà si affidano a delle guide dalla forza e dal coraggio straordinari». Provava un giusto orgoglio, Bartolomeo: sapeva che nessuno avrebbe potuto contestargli quella sua “prima” sul Viso. Chissà quanti tra la sua gente non gli avrebbero creduto, si immaginò con un sorriso compiaciuto. Dopo la cena, con l’avanzare del crepuscolo, ormai passata l’euforia della conquista, Bartolomeo tornò a preoccuparsi. La notte sarebbe stata gelida a quella quota, e le nubi che a fine di giornata avevano coperto il cielo lo inquietavano. Sarebbe stato così sensato scendere almeno all’anfiteatro dei laghi! Ma nulla, Tuckett doveva fare i suoi esperimenti, non c’erano santi… Certo, l’inglese era attrezzato in modo ben diverso per passare la notte, con un caldo sacco che avrebbe resistito anche all’acqua. Lui invece non trovò di meglio che infilarsi in quello delle provviste svuotato del contenuto e 72 • alpidoc 82 attendere l’alba sperando di riuscire a dormire. La stanchezza e la tensione accumulate gli regalarono alcune ore di sonno piuttosto pesante, considerata la situazione. Poi, all’improvviso, nel cuore della notte si svegliò. Tremava dal freddo. Con sgomento si accorse di essere coperto da un velo di neve, e i fiocchi continuavano a scendere con intensità. Anche i neri baffi gli si erano imbiancati per il vapore ghiacciato all’istante. «Non riusciremo a scendere da questa montagna» pensò con un moto di disperazione. Sentì che tutti erano svegli e commentavano preoccupati l’evento imprevisto, ma non quanto si sarebbe aspettato. Ora poi che l’umidità aveva penetrato i suoi abiti inadatti a quel cimento, il freddo stava diventando gelo e il morale ne risentiva assai. Espresse timidamente al capospedizione i propri dubbi. Se la neve si fosse accumulata non sarebbero riusciti a cavarsela: era impossibile scendere con la roccia coperta dalla coltre bianca! L’inglese per tutta risposta lo prese addirittura in giro: forse il fatto di essere all’asciutto e al caldo gli consentiva una visione diversa della situazione. Peyrot non riuscì più a chiudere occhio neppure per un istante. Un tremito di freddo gli continuò ad attraversare il corpo sino al primo chiarore dell’alba. Quando si alzò, si rese conto che non avrebbe potuto resistere ancora a lungo a quella situazione senza riportare qualche congelamento. Ora, l’azione non avrebbe potuto che fargli bene. Anche se sembrava che il tempo stesse migliorando, le poche dita di neve accumulata e la scarsa visibilità costituivano comunque un bel problema per la discesa. Ma ancora una volta le due guide si dimostrarono all’altezza della situazione. Oltre che di coraggio, erano dotate di un eccezionale intuito, sembravano guidate da una voce interiore che sussurrava loro di andare ora a destra, ora a sinistra, ora giù dritto. Bartolomeo fu di nuovo colpito dalle loro doti, in particolare Croz gli parve più che mai una figura eccezionale, quasi eroica… Dopo che il corpo ebbe ritrovato un po’ di calore, anche il suo morale si risollevò e l’uomo di Bobbio ❡ Ripensò alla scalata del Viso molte volte nel corso della sua vita, ma mai con tanta intensità come quando quando seppe della tragica fine toccata a Michel Croz, colui che primo tra gli uomini ne aveva raggiunto la vetta. Quel campione, dopo aver guidato sul Cervino la prima vittoriosa cordata, era stato scaraventato giù dalla vertiginosa parete nord da un cliente maldestro che gli era rovinato addosso in un delicato passaggio, trascinando con sé anche altri alpinisti. Dopo aver ricevuto la tragica notizia, Bartolomeo sentì il bisogno di commemorare il compagno a suo modo, e così la domenica seguente salì sulle alte giogaie montuose del suo villaggio per averne una visione completa. Il Monte Viso era lì come sempre, immutato e indifferente nell’azzurro del cielo, mentre piccole nubi a mezz’altezza già gli facevan la corte, nonostante l’ora mattutina. Restò seduto a lungo contemplando quel grande ammasso di roccia e neve. Rivisse molti momenti di quella sua avventura, e ripensò anche all’amarezza che aveva provato quando il dottor Botta di Torre Pellice gli aveva fatto vedere l’articolo di giornale in cui si annunciavava che per la prima volta gli italiani avevano scalato il Monviso: un famoso uomo politico di Biella alla testa e altri notabili al seguito, che sull’onda dell’entusiamo per la loro impresa avevano pure fondato una grande associazione di alpinisti, come già avevan fatto gli inglesi anni prima. E a Bartolomeo, salito l’anno prima, neppure un accenno. Completamente rimosso dalla memoria. D’altra parte era profondamente conscio della propria condizione sociale, sapeva bene che quando occorre, per meglio mettere in luce le imprese dei signori, può esser utile adombrare quelle degli umili. Avevan fatto una nobile e grande cosa, pensò Bartolomeo, ma perché nascondere la verità? «Non ti preoccupare,» lo aveva consolato il dottore, che era un uomo mite e giusto «non si può occultare la verità: alla lunga salta sempre fuori. Magari ci vogliono cinquanta, cent’anni o addirittura centocinquanta, ma alla fine trionfa. Sempre!» Massì! Con una punta di compiacimento venato di ironia, gli tornò in mente che alla fiera di Pinerolo, il mese prima, un distinto signore che non conosceva gli aveva chiesto se fosse lui Peyrot. Alla sua risposta affermativa si era complimentato calorosamente e ad alta voce lo aveva indicato agli astanti: «Signori, giù il cappello! Questi è Bartolomeo Peyrot di Bobbio Pellice, il primo cittadino del Regno d’Italia l ad aver scalato il Monviso!». alpidoc 82 • L’uomo che non passò alla storia quasi si sorprese nel discendere – meno carico, è vero – senza difficoltà quelle infide rocce. Ma fu lo stesso con grande sollievo che infine mise piede sulle pietraie dell’anfiteatro delle Forciolline. «Ne è valsa la pena, ma non tornerò mai più su questa montagna, mai più!», questo pensò in quel momento il forte valligiano. Invece, esattamente un anno dopo, Bartolomeo Peyrot si trovò ancora una volta nello stesso identico luogo. Non aveva cambiato idea dentro di sé, ma i complimenti, quel brandello di popolarità e soprattutto le pressioni di altri signori che volevano salire a loro volta il Viso lo avevano alla fine convinto ad accettare l’incarico di guida per una nuova spedizione. Ma in cuor suo titubava. Non aveva paura di ritornare sulla montagna, tutt’altro. Semplicemente non se la sentiva di avere la responsabilità della vita di altre persone. Se fosse successo qualcosa a uno dei suoi clienti non se lo sarebbe mai perdonato, mai. Il rimorso non lo avrebbe lasciato. Aveva molte qualità Bartolomeo, tra cui anche una buona dose di coraggio, ma era troppo sensibile per riuscire a sopportare un simile peso. La montagna, non in buone condizioni, lo aiutò a far desistere la comitiva, e fu con cuore davvero sollevato che si allontanò dalla montagna fatale. Ora era certo che il mestiere di guida non faceva per lui, non si sarebbe più fatto convincere dal possibile buon guadagno e dall’orgoglio vano. 73 La prima volta L’iniziazione di un adolescente all’alpinismo: a marchiarlo a fuoco un’emozione travolgente, quella di sentirsi all’improvviso “grande” grazie a uno spezzone di corda che lo legherà al padre e alla montagna per tutta la vita Testo di Mauro Manfredi P ossono presentarsi, a volte, nell’arco di una vita, momenti ai quali si deve riconoscere una valenza iniziatica. Li imprime nella memoria la loro qualità aurorale di esperienze all’origine di determinati percorsi esistenziali. Iniziatico, infatti, in senso letterale significa “che dà inizio, introduce”. A simili momenti è impossibile sottrarsi, si può soltanto essere loro grati di aver rivelato un orizzonte nuovo, 74 • alpidoc 82 una dimensione – pragmatica, etica, filosofica – mai prima immaginata e subito divenuta in qualche modo familiare. Così almeno è successo a me per quanto riguarda quella misteriosa passione dell’alpinismo che da settant’anni mi spinge a vagare per i monti in tutte le stagioni come inseguendo un richiamo di sirene sempre rinnovato. Era l’estate del 1941. La guerra aveva appena iniziato ad affondare i suoi artigli nella vita quotidiana, ma non al punto da impedirci una vacanza in montagna. Mi ero così ritrovato, assieme ai genitori e alla sorellina, in quel di Courmayeur, alla testata della Valle d’Aosta. Quella località, oggi tanto famosa e modaiola, conservava ancora una misura di ruvida essenzialità montanara, annidata com’era in una conca di boschi e praterie davanti al sipario di strepitosa imponenza costituito dalla bastionata che per affilati salti di profilo si estende dal Monte Bianco fino alle Grandes Jorasses. Nel mio snobismo adolescenziale mi sentivo molto orgoglioso di trovarmi ai piedi della più alta montagna d’Europa. Sapere poi che il mio papà era salito in anni lontani su alcune di quelle cime, era ragione sufficiente per aggiungere a questo orgoglio una ulteriore legittimità, quasi di merito personale. Nulla di neppur vagamente paragonabile mi era capitato fino ad allora di vedere. Percorrendo nei primi giorni i facili sentieri della zona, ero stato afferrato da un sottile incanto. La mia fantasia, libera come non mai di veleggiare, era alimentata da un’inconscia sensazione di attesa, unita a un vago imperativo di tenermi pronto. Sicché, quando mio padre aveva manifestato l’intenzione di condurmi al Colle del Gigante, proprio lassù nel punto centrale di raccordo di quei colossi di ghiaccio, non ero stato colto di sorpresa. La sua proposta giungeva anzi a buon punto a chiudere e concretizzare il cerchio delle mie recenti fantasie. Il programma, perfettamente calibrato sulle mie forze, prevedeva un pernottamento intermedio in modo da spezzare in due tronconi il dislivello complessivo di oltre duemila metri. Così, un bel giorno di primo pomeriggio, raggiunta in macchina la frazione di La Palud, mi ero avviato con papà e alcuni conoscenti per il sentiero che con larghi risvolti conduceva al rifugio-albergo del “Pavillon du Mont Fréty” a 2174 metri di altitudine. Non esisteva ancora, se non allo stadio di intenzione, l’attuale blasonata funivia. Per parte sua il percorso a piedi, privo com’era di suggestioni prospettiche per l’incombere della soprastante muraglia, era risultato piuttosto banale e alquanto faticoso. Passo dopo passo, attraverso una serie di balze prative che sembravano non finire mai, avevo seguito senza lamentarmi la pattuglia degli adulti, aggrappato unicamente alla speranza di veder prima o poi comparire la sagoma del rifugio-albergo. Soltanto a quel punto avevo ridato al mio passo la marzialità richiesta dall’occasione e varcato la soglia con la contenuta esultanza di chi coglie un premio meritato. Così almeno è successo a me per quanto riguarda quella misteriosa passione dell’alpinismo che da settant’anni mi spinge a vagare per i monti in tutte le stagioni come inseguendo un richiamo di sirene sempre rinnovato. In fin dei conti era la prima volta che mi trovavo a tarda sera in alta montagna e mi preparavo a trascorrervi sia pure confortevolmente la notte. L’edificio che ci ospitava, unica presenza nel cuore di una immensità resa più indecifrabile dall’attenuarsi della luce, aveva una sua nobiltà. Il senso di isolamento, di lontananza da tutto e da tutti, sembrava condizionare la piccola comunità dei presenti inducendoli a una moderazione di gesti e parole ben lontana dagli standard della villeggiatura. Ne ero rimasto stupito e affascinato, come di un segreto codice di comportamento. Della cena e del pernottamento ho invece un ricordo confuso. Sicuramente il mio sonno sarà filato via placido come in pianura, per nulla turbato dalle emozioni della giornata, e soltanto il trambusto delle prime ore mattualpidoc 82 • 75 L’autore Mauro Manfredi, nato a Cuneo nel 1931, medico dentista, alpinista, già presidente della sezione CAI di Cuneo e coordinatore dell’associazione Le Alpi del Sole, oltre alla passione per la montagna coltiva quella per la scrittura. Autore di Chi fuor li maggior tui. Storie di ordinaria famiglia (Eumeswil 2008), per le edizioni Primalpe ha dato alle stampe i volumi Balilla imperfetto (2009) e Il cerchio bianco (2011). tine, unitamente alle autorevoli esortazioni di papà, mi avrà costretto a scendere dal letto. Fatta colazione, la comitiva si era rimessa in cammino, allegra e disinvolta nell’aria frizzante che già aveva accarezzato le vette più alte. Il pendio si era ulteriormente impennato diventando prevalentemente roccioso e riducendo il sentiero a una semplice traccia sempre più stretta dove era bandita ogni svagatezza del passo. In certi La prima volta Scoprivo il piacere di una fisicità libera di esprimersi in modi e spazi mai prima sperimentati, una fisicità primordiale, istintiva, assolutamente naturale. punti diventava addirittura necessario appoggiare le mani, controllare l’equilibrio, compiere insomma movimenti di elementare arrampicata. Si trattava per me di una situazione nuova e stimolante. Scoprivo il piacere di una fisicità libera di esprimersi in modi e spazi mai prima sperimentati, una fisicità primordiale, istintiva, assolutamente naturale. All’occasione, qualunque cucciolo d’uomo impara da solo il gioco dell’arrampicare, come obbedendo a un retaggio stampato nel DNA della specie. Non lo sapevo quel giorno, ma accordavo anch’io quasi automaticamente i miei movimenti a una bussola interiore, la stessa che in anni successivi 76 • alpidoc 82 mi avrebbe guidato sulle rocce delle mie montagne. Assorbito da questo impegno, modesto sul piano tecnico ma non su quello psicologico, avevo completamente dimenticato la fatica, il computo del tempo, la presenza stessa di un ambiente via via più severo. Era questa la prima vera sorpresa di una giornata che aveva ancora altre perle in serbo per me. In capo a tre ore di gradevole ginnastica ero giunto quasi senza accorgermene in vista di quel Rifugio Torino che mio padre aveva tanto decantato. Si trattava del vecchio edificio storico appollaiato sul versante valdostano a ridosso del Colle del Gigante; modesto per dimensioni, ma nobilitato da una ardita collocazione a sbalzo sul Ghiacciaio del Toula proprio di fronte a quella Cresta di Peutérey – definita “il più bel profilo di montagna del mondo” – che dall’Aiguille Noire si snoda con vertiginose impennate fino alla vetta del Monte Bianco. Nella trasparenza di cristallo dell’alta montagna, quella cresta ritagliava una propria sorprendente nitidezza calligrafica. A sua volta, il “vecchio Torino” era la rappresentazione perfetta, ideale, del rifugio alpino inteso come nido caldo e protettivo, focolare nel cuore di una natura incorrotta, umile segno di presenza umana. Avevo varcato la sua soglia con un misto di curiosità e compunzione, come si fa per i luoghi ai quali la storia o l’arte o la fede hanno conferito un’aura in qualche misura sacrale. Nessun altro rifugio poteva già allora vantare una centralità logistica e storica altrettanto significativa nella secolare avventura dell’alpinismo. La condizione d’animo con cui avevo compiuto la mia rituale visita risultava pertanto ampiamente giustificata. A quel punto poche decine di metri ci separavano dalla meta. Una semplice traccia lungo lo sperone meridionale della Punta Helbronner aveva consentito di raggiungere in pochi minuti l’ampia insellatura del Colle del Gigante. Sul versante opposto, quello francese, si era spalancata al mio sguardo una distesa glaciale sterminata cui la denominazione di “Mer de Glace” si attagliava alla perfezione. In quell’immensità rigorosamente minerale, appena ravvivata da stino; e non soltanto per il breve momento della corda, ma in un certo senso per sempre, per un lungo futuro da vivere assieme. La sconvolgente bellezza e unicità di quel momento non avrebbe mai più cessato di condizionarmi; sarebbe anzi cresciuta nel tempo, trasformandosi per gradi dallo stadio iniziale di emozione a quello di matura presa di coscienza. In una mezz’ora di facile cammino avevamo raggiunto la cima del Petit Flambeau a 3440 metri di altitudine. Qui si era conclusa la mia prima salita di un certo impegno, la “conquista”, per di più all’estero, del mio primo tremila. Una fotografia riassume il mio sbalordimento e la mia fierezza. Mi coglie in abbigliamento assai poco ortodosso (pantaloni corti!), ma impettito come un soldatino e con gli occhi strizzati per il riverbero violento della luce. Quel giorno, davanti all’arco incandescente del paesaggio alpino forse più prestigioso d’Europa, si compiva la mia iniziazione. l Era nato un alpinista. La prima volta sovrapposti piani prospettici punteggiati di cuspidi rocciose e calotte innevate, s’imponeva tra tutte la vicina mole aguzza del Dente del Gigante, autentico torrione posto dalla natura a presidio e monito. Papà era stato lassù e tanto bastava; ma le sorprese non erano finite. Come per incanto era saltata fuori una corda ed ero stato legato ai fianchi con l’allora classico nodo delle guide; lo stesso cui negli anni seguenti avrei sempre fatto ricorso per la mia sicurezza in montagna, fedele a una semplicissima prassi oggi soppiantata da altre assai più sofisticate come l’imbragatura e il nodo cosiddetto “mezzo barcaiolo” di marinaresca derivazione. Era la prima e la più esaltante di tutte le “prime volte” che avrebbero segnato i miei percorsi sulle terre alte. Trovarmi su un ghiacciaio in cordata con mio padre era un accadimento che mi catapultava in una dimensione emozionale senza precedenti. Mi sentivo di colpo associato alla sua grandezza, parificato alla sua altezza, partecipe di una uguale responsabilità in un comune de- Carletti, form Il segreto del suo sapore inconfondibile è la stagionatura: in cantina, nel fieno di montagna… Assaggiare per credere! Testun del fen Carletti , quello originale! Carletti Antica Formaggeria Carletti L’ è in vicolo della Chiesa 2 a PEVERAGNO (CN), tel. 0171/383576, [email protected] www. anticaformaggeriacarletti.it alpidoc 82 • 77 © costarossa da oltre trent’anni è sinonimo di formaggi unici, realizzati artigianalmente secondo le regole di una tradizione che si tramanda da generazioni. lo scaffale Il mito dello Scarason raccontato da un maestro dell’alpinismo Fulvio Scotto firma l’epopea di una delle più emblematiche, ma sconosciute, cime delle Alpi Liguri, simbolo di difficoltà e avventura I l maestro Fulvio Scotto (lui che di mestiere fa il professore, non si senta sminuito, anzi: non è da tutti essere considerati “maestri”, dunque figure di riferimento…) si mette davanti alla lavagna e traccia una serie di linee che ci raccontano una storia straordinaria. La lavagna è quella pala di roccia dell’alta Valle Pesio che si chiama Scarason. La storia è l’intreccio di avventure di alpinisti noti e meno noti che su quella lastra strapiombante hanno lasciato un segno. Scarason è il titolo secco del libro che l’accademico Fulvio Scotto ha dato alle stampe per le Edizioni Versante Sud. E la montagna resa celebre da una prima salita assoluta che Alessandro Gogna restituì a tinte forti nel suo Un alpinismo di ricerca, dell’opera dell’attivissimo alpinista savonese è al contempo protagonista e palcoscenico. Lo Scarason è protagonista in quanto tutte le imprese descritte ruotano rigorosamente attorno ad esso, ma alla fine le figure di quanti lo hanno salito prendono decisamente il sopravvento e ➦ Fulvio Scotto l’immagine di questa emblematica cima delle Alpi Liguri sfuma Scarason: Il mito alpinistico via via fino a diventare quasi indefinita (e d’altronde non è delle Alpi Liguri forse così tutte le volte in cui il mito prende il sopravvento sulla Presentazione di Annibale realtà delle cose?). Lo Scarason si trasforma nel fondale di una Salsa, recita che vede avvicendarsi sul palcoscenico un numero molto prefazione di Alessandro selezionato di protagonisti: personaggi famosi come Gianni Gogna Comino, Marco Bernardi, Patrick Berhault, e arrampicatori che Versante Sud, Milano 2012, – sembra in qualche modo sottintendere Scotto – nel gotha 344+XVI pp, 19 euro dell’alpinismo meritano di entrare proprio perché nobilitati dal confronto con questa montagna. Ci si potrebbe chiedere com’è possibile incentrare un intero volume di quasi trecentocinquanta pagine (che in una stesura iniziale erano molte di più) su una cima sconosciuta al di fuori di una ristretta cerchia di arrampicatori, e che negli anni ha visto un numero limitatissimo di salite. Lo si può fare grazie a un certosino lavoro di ricerca come quello che Scotto ha messo in piedi in questa occasione, basato sulla raccolta di scritti e quando possibile sul contatto diretto con chiunque a vario titolo abbia legato il proprio nome allo Scarason. Gioca a fare il detective, Scotto, scovando indizi e notizie che riportano alla luce tentativi di salita di cui si era persa memoria, a partire dal periodo antecedente alla famosa prima salita di Gogna e Armando. Dell’assaggio di Tardito e Folli qualcosa si sapeva; sorprendente è invece scoprire che Sergio Savio prima tenta la solitaria della via di Gogna, poi cerca di forzare, sempre in solitaria, le fessure centrali, lungo le quali saliranno lo stesso Scotto, Calvi e Parodi per aprire 78 • alpidoc 82 la loro Diretta. Di ogni singolo personaggio che si presenta sulla scena, anche “solo” per un tentativo di ripetizione, Scotto ci restituisce un ritratto che è a tutti gli effetti una biografia alpinistica. Di ogni singola salita non c’è la semplice cronaca, ma anche il tentativo spesso riuscito di restituire il contesto – lo spirito dell’epoca, si potrebbe dire – in cui una certa impresa si inserisce. Scarason non è un libro sullo Scarason. È molto di più: è un grande racconto di alpinismo, che indaga sulle sue motivazioni, sul ruolo del caso, sulle spinte e le contraddizioni che animano gli alpinisti. Nanni Villani Ottanta escursioni dalla Riviera di Levante alle Alpi Liguri Q uali sono i sentieri più belli della Liguria? Le escursioni da non perdere, i luoghi più affascinanti? È una domanda difficile e la risposta non può che essere soggettiva: dopo un lungo lavoro di ricerca e selezione, Andrea Parodi ha creato una sorta di “compilation” di percorsi scelti tra più interessanti e spettacolari, spaziando da Levante a Ponente, dal mare ai monti. Sono nate così, all’interno della collana “I sentieri più belli”, quattro guide che contengono in tutto ottanta escursioni, descritte passo per passo e illustrate con cartine semplici e chiare e belle fotografie a colori. La gamma dei percorsi va dalle tranquille passeggiate alla scoperta di antichi borghi, punti panoramici o curiosità naturali, fino alle lunghe traversate e alle salite sulle cime dei monti. Sono stati privilegiati i percorsi ad anello, molto apprezzati perché consentono di ritornare al punto di partenza lungo un percorso diverso da quello dell’andata. Inoltre, per ogni itinerario, sono state evidenziate mete intermedie e indicati tempi parziali di percorrenza, per agevolare chi volesse percorrere solo una parte del cammino. I quattro volumetti, dedicati ad altrettante aree geografiche, nel maggio 2011 erano stati proposti nelle edicole della Liguria in abbinamento con il quotidiano Il Secolo XIX. Ora sono in vendita anche nelle librerie e possono essere acquistati rivolgendosi direttamente all’editore ([email protected]). Piano dell’opera: 1) Riviera di Levante (20 escursioni tra Montemarcello, Cinque Terre, Val di Vara, Tigullio e Portofino). 2) Appennino Ligure (20 escursioni tra Aveto, Antola, I SENTIERI PIÙ BELLI 3 I SENTIERI PIÙ BELLI 4 Monti di Genova e Beigua). 3) Riviera delle Palme (20 escursioni tra Savonese, Finalese, gruppo del Carmo, retroterra di Albenga e Alassio). 4) Alpi della Liguria della Liguria (20 escursioni nei gruppi del Galero, Armetta, delle Palme Saccarello, Toraggio e Pietravecchia). Alpi Riviera Ogni volume, di 52 pagine ciascuno, ha un prezzo di copertina di 4,50 euro. 20 escursioni nei gruppi del Galero, Armetta, Saccarello, Toraggio e Pietravecchia 20 escursioni tra Savonese, Finalese, gruppo del Carmo, retroterra di Albenga e Alassio andrea parodi editore andrea parodi editore ALPI DELLA LIGURIA alpidoc 82 • 1 79 Laura Canalis, I mammiferi delle Alpi. Come riconoscerli, dove e quando osservarli, Blu edizioni, Torino 2012, 272 pp, 17,00 euro. M olto elusivi per le loro abitudini spesso crepuscolari o notturne e per la diffidenza che nutrono nei confronti dell’uomo, i mammiferi non sono animali facilmente avvicinabili, benché la loro espressività e vivacità, oltre che la varietà e complessità dei modelli comportamentali, li rendano tra le prede fotografiche più ambite e tra gli animali più interessanti da studiare. Delle 118 specie di mammiferi note allo stato attuale in Italia, quasi una novantina trovano il loro habitat sulla catena alpina. Questo libro nasce con l’intento di aiutare anche i non esperti a riconoscere le singole specie, fornendo elementi utili a individuarne la presenza attraverso l’identificazione dei segni lasciati sul territorio (come per esempio le orme), specificando zone di diffusione, habitat e caratteristiche di ogni specie e illustrandone abitudini e comportamenti. A ognuna è dedicata un’esauriente scheda – corredata di splendide fotografie che sottolineano gli elementi morfologici utili all’identificazione – completa di nome scientifico, nome volgare in quattro lingue, cartina dell’areale di distribuzione sull’arco alpino e dati relativi a misure, abitudini alimentari, periodi di letargo, biologia. Segnavia è un luogo dove dare appuntamento ai compagni di gita, avere informazioni sulle condizioni, decidere la gita del giorno, incontrare altri “colleghi di sport” e fare colazione insieme. Un luogo dove fermarsi al ritorno per concludere la gita con una merenda sinoira, un panino o unʼinsalata e un bicchiere Informazioni Escursioni guidate Sala per eventi, mostre, corsi e seminari Libreria specializzata in montagna, viaggio, cartografia, editoria locale e libri per ragazzi Vendita prodotti locali SEGNAVIA 80 • alpidoc 82 Noleggio kit da ferrata Servizio trasporto bagagli e persone Porta di Valle - Brossasco www.segnavia.piemonte.it Renzo Dirienzi, Le stanze segrete delle montagne, Primalpe, Cuneo 2012, 140 pp, 11 euro. R enzo Dirienzi, già autore della guida scialpinistica Le nevi del Marguareis, ha dato alle stampe il suo primo romanzo. Un tentativo di sci ripido in un settore periferico delle Alpi Occidentali, un canalone sconosciuto, un incontro inaspettato e uno strano evento avvolto nel mistero si incrociano in quelle che Luigi, il protagonista, indica come le stanze segrete delle montagne, un luogo fisico e metafisico tra inclinati lenzuoli nevosi e corridoi intonsi ai margini delle rocce. L’atmosfera svagata degli anni Settanta e una tormentata vicenda sentimentale accompagnano gli sciatori ai confini della realtà, quando le luci oblique della sera sembrano evocare l’incontro con l’ignoto. Enzo Cardonatti, Ripido! 175 linee di discesa da Genova alla Valle d’Aosta, Edizioni Ripido, Bruino 2012, 352 pp, 32 euro. I l volume, dedicato allo sci ripido ed estremo, è l’ideale prosecuzione di quello omonimo firmato con lo scomparso Federico Negri ed edito nel 2005 dalle Edizioni l’Arciere. Come precisa l’autore, «gli itinerari dell’edizione 2012 sono inediti e sono stati scesi dal 2005 a oggi, eccetto una piccola parte della zona degli Ecrins che sono itinerari classici ma mai editi in italiano». Il libro è costituito da una parte introduttiva e da 131 capitoli, corredati di oltre 500 immagini a colori, in cui vengono presentati 152 itinerari principali di sci ripido e una ventina di itinerari alternativi che si svolgono negli angoli più selvaggi delle vallate cuneesi, torinesi, e valdostane, molto spesso all’interno dei Parchi o nelle loro vicinanze. Accanto alla descrizione degli itinerari, l’autore ha dato voce ai protagonisti inserendo appositi capitoli dove si possono leggere i racconti, le esperienze e le emozioni di alcuni praticanti di questa disciplina, dal semplice appassionato al cosiddetto “pro”. Inoltre, particolare attenzione è stata dedicata al Monviso, a cui è dedicata una completa monografia sulle discese avvenute lungo le sue pareti dal 2005 a oggi, anche in questo caso dando la parola ad alcuni dei protagonisti. L’itinerario numero uno presenta la discesa del canale sud-est del Monte Reixa, situato sulle alture sopra Genova: un omaggio a una città di mare che tanto ha saputo dare all’alpinismo in generale e allo sci estremo nello specifico, avendo dato i natali al più grande interprete italiano di questa disciplina, Stefano De Benedetti. Cardonatti, nato a Torino nel 1960, conduce serate con videoproiezioni e analisi storica sullo sci estremo sia presso le sedi CAI sia in collaborazione con le scuole di alpinismo e sci alpinismo; alpinista e sciatore del ripido da ormai trent’anni, nel 2012 ha fondato le Edizioni Ripido!, casa editrice indipendente che ha come obiettivo la produzione di guide e video di sci ripido ed estremo. Sul sito www.edizioniripido.com è possibile trovare i recapiti delle librerie e dei negozi presso cui è stato distribuito il volume, per altro acquistabile anche direttamente inviando una email a [email protected]. alpidoc 82 • 81 onate Bassa del Druos: grad ilizzazione versanti sco: passerella o superiore del Vala Pian Vallone Alberghi: stab naletica Vallone Alberghi: seg ova: tratto attrezzato Sentiero consolidamento Fremamorta: opere Sentiero rifugio Gen Fremamorta, Alberghi, Sabbione, Finestra, Genova, Ciriegia, Questa e Bassa del Druos, Meris… : non sono che alcuni degli interventi programmati e realizzati dal Parco naturale Alpi Marittime a favore della rete sentieristica che si sviluppa all’interno dell’area protetta. I finanziamenti di Interreg III, del Piano di Sviluppo Rurale, del Piano Integrato Transfrontaliero “Marittime Mercantour” hanno permesso di procedere con lavori di ripristino, manutenzione, segnaletica. Inoltre, nel solo periodo 2000-2012, gli operai del Parco sono stati impiegati sui sentieri per un totale di 22.680 ore. Un dato che da solo dà una misura dell’impegno del Parco naturale Alpi Marittime a favore dell’escursionismo. il Parco cammina con te Fondo europeo di sviluppo regionale Fonds européen de développement régional Programma Alcotra 2007-2013 Insieme oltre i confini Programme Alcotra 2007-2013 Ensemble par-delà les frontières le alpi del sole Notizie dalle sezioni BRA Montagna Insieme Dopo un anno intenso di gite in giro per i nostri monti e anche un po’ più lontano, il programma escursionistico di Montagna Insieme edizione 2012 ha chiuso i battenti. Le gite primaverili ci hanno condotto nel vicino, ma sempre interessante, entroterra ligure e ai laghi nel Nord Piemonte per arrivare fino al crinale dell’Appennino Tosco-emiliano alla visita delle Foreste Casentinesi. L’estate è stata dedicata alla riscoperta delle vette più alte delle Alpi Occidentali e di qualche sparuto ghiacciaio della vicina Valle d’Aosta, mentre l’autunno ci ha portato a esplorare angoli nascosti e intriganti come il Vallone degli Invicibili in Val Pellice e percorsi insoliti nel Vallone di Bellino. Domenica 11 novembre, nel Vallone di Prazzo, in Valle Maira, eccoci finalmente con le gambe sotto il tavolo e i calici levati, degna conclusione di un anno di camminate! Ma già non vediamo l’ora di cominciare la nuova stagione di Montagna Insieme, che riprenderà il 10 marzo con una gita in Liguria. Viaggi virtuali in sede Per continuare a camminare – o meglio a viaggiare – per lo meno in modo virtuale anche nel periodo invernale, sono state organizzate alcune proiezioni di foto in sede. Il ciclo si è aperto il 1° ottobre con una carellata di imma- Tre scatti dall’album di Montagna Insieme 2012: ai Forti di Genova, nelle Foreste Casentinesi e sul sentiero per il Colle Maurin (foto Archivio Sezione Bra). alpidoc 82 • 83 Un viaggio attraverso 150 anni di storia con le vostre foto Nel 2013 il club alpino italiano compie 150 anni. Per augurargli e augurarci “Buon compleanno!” la sezione ha in programma una serie di iniziative. Tra queste, la mostra antologica Un viaggio attraverso 150 anni di storia che vorremmo allestire con fotografie dei braidesi in montagna dal 1863 a oggi. Diventa protagonista di questa iniziativa e portaci le tue fotografie, diapositive, negativi, pubblicazioni, giornali su arrampicata, escursioni, ambiente, personaggi, incontri, riflessioni! Il materiale verrà selezionato e ristampato a nostre spese e dovrà pervenire alla nostra sede entro il 28 febbraio. gini riguardante un trekking sull’Annapurna effettuato da due soci della sezione di Bra e una socia della sezione di Cuneo. In via del tutto eccezionale nello stesso mese ci siamo spostati anche nel deserto del Sahara e in Marocco con gli amici del Circolo Imago di Savigliano. In novembre Maurizio ci accompagnato alla scoperta di Cuba, in attesa – a gennaio – del giro tra i fiordi e i laghi della Norvegia guidati da Daniela e Simone. Cogliamo l’occasione per invitare i soci e non a contattarci (scrivendo una email a [email protected] indirizzata a MariaRosa, ottima organizzatrice delle serate nonché degli “intrattenimenti” post-proiezione) per renderci partecipi delle vostre esperienze e delle vostre avventure di viaggio. Le proiezioni proseguiranno fino a primavera e il calendario è ancora tutto da riempire! Chiara Audisio CUNEO Prossime uscite 23 febbraio, escursione notturna con le racchette da neve, meta da stabilire, sottosezione di Borgo San Dalmazzo. 23 febbraio, escursione notturna con le racchette da neve al Monte Pagliano da Busca. 24 febbraio, escursione scialpinistica al Colle di Vers, sottosezione di Dronero. 84 • alpidoc 82 3 marzo, escursione al mare, meta da stabilire, sottosezione di Borgo San Dalmazzo. 10 marzo, escursione con le racchette da neve, meta da stabilire, sottosezione di Borgo San Dalmazzo. 16 marzo, escursioni scialpinistiche a Nevache, Valle della Clarée (Francia), 2 giorni, sottosezione di Borgo San Dalmazzo. 24 marzo, escursione scialpinistica al Monte Tibert, sottosezione di Dronero. 29 marzo, escursione notturna con le racchette da neve sulla Strada dei Cannoni, da Lemma al Colle di Valmala. Tesseramento 2013 Il tesseramento 2012 ha fatto registrare un incremento di 14 soci portando il totale degli iscritti alla sezione a 2773. A metà di dicembre è ricominciato il tesseramento per l’anno 2013. Si ricorda che le quote di rinnovo o nuova iscrizione sono rimaste invariate rispetto al 2012: 44 euro per il socio ordinario, 24 euro per i familiari, 16 euro per i giovani nati dal 1996 (9 euro dal 2° socio giovane in poi apparte- Info utili Segreteria sezionale, via Porta Mondovì 5, Cuneo, orario di apertura al pubblico: martedì 10-14,30, giovedì 16,3018,30, venerdì 20,30-22,30, tel. e fax 0171.67998, e-mail: [email protected], referente Escursionismo: Enrico Lerda, tel. 347.6411026; sottosezione di Borgo San Dalmazzo, via Monsignor Riberi 12, orario: tutti i venerdì dopo le 21, tel. 329.2169486; sottosezione di Busca, via Pes di Villamarina 5, orario: tutti i giovedì dopo le 21, tel. 347/1341152, e-mail: cai-busca@ libero.it; sottosezione di Dronero, via Pasubio 5, orario: tutti i venerdì dopo le 21, tel. 320.0662743. nente al medesimo nucleo familiare). I soci sono vivamente pregati di portare al momento dell’iscrizione il tesserino sanitario per l’aggiornamento dell’archivio dati sezionale; è richiesto anche un recapito telefonico. Ci si può tesserare nei seguenti orari: lunedì 16-18,30; martedì: 10-14,30 e 16-18,30; giovedì: 1718,30; venerdì: 16-18,30 e 21-22. Le proiezioni del sabato sera La sottosezione di Borgo San Dalmazzo ha organizzato quattro proiezioni, tutte di sabato alle ore 21 nel Salone Consigliare in piazza della Liberazione. Questo il calendario: 2 febbraio, Anna Leo & Ivo Barbarito, Scialpinismo oltre il Circolo polare artico; 16 febbraio, Franco Gosso, il Cammino di Santiago; 9 marzo 2013, Irma Martini, Trekking in Nepal; 23 marzo, Massimo Tardivo, Amici del ripido. Scendendo dal Colle di Vers, con la Marchisa che fa capolino… (foto di Franco Dardanello). alpidoc 82 • 85 Primi corsi 2013 Una settimana a Rodi Nello mese di novembre si sono conclusi il Corso di Arrampicata e quello di Speleologia. Nel mese di dicembre, in collaborazione con la Squadra del Soccorso Alpino di Cuneo, sono stati organizzati due incontri per imparare l’uso dell’apparecchio ricerca travolti in valanga. Nei primi mesi del 2013 la Scuola di Alpinismo e Scialpinismo Gianni Ellena ha in programma il biennale Corso di Arrampicata su Cascate di Ghiaccio riservato ai soci che hanno già frequentato almeno un Corso base di Alpinismo. A gennaio prende il via anche il 38° Corso di Scialpinismo (livello base SA1) che si concluderà domenica 7 aprile. La sottosezione di Borgo San Dalmazzo organizza, con partenza il 12 maggio, una settimana di escursionismo e turismo a Rodi, la principale isola greca del Dodecaneso. Sono in programma camminate lungo la costa nelle pittoresche località di Prasonisi e Kolimbia, trekking urbani a Rodi e Lindos, città ricche di monumenti storici, la visita alla suggestiva Valle delle Farfalle (Petaloudes), la salita al punto culminante dell’isola, il Monte Attaviros (1215 m), escursioni in barca lungo la costa sotto le scogliere de I cannoni di Navarone e la visita della bellissima isola di Simi, di fronte alla costa turca. Rodi, con le altre isole del Dodecaneso, fu – nel bene e nel male – possedimento italiano dal 1912 al 1943. Un peveragnese, Mario Lago, ne fu governatore equilibrato e umano dal 1923 al 1936. Una targa, recentemente apposta dalla Compagnia del Birun alla base del campanile della chiesetta di San Giorgio sulla collina di Peveragno, ricorda che il campanile in foggia “rodiota” fu appunto voluto negli anni Trenta dal governatore Lago che proprio lì si era sposato: tenue legame tra la nostra terra e la lontana (ormai non più così tanto) isola dell’Egeo. Sotto gli auspici dello stesso Lago fu realizzato, sulla costa nord-occidentale dell’isola, alla fine degli anni Venti, l’insediamento agricolo di Peveragno Rodia, oggi Kalamonas, nei pressi del nuovo aereoporto. Il villaggio ospitò alcune centinaia di agricoltori. Come nella Peveragno cuneese, una chiesa era dedicata a san Giorgio, un’altra a santa Maria; vi era una Borgata da Val, una Fontana della Verna e così via. Il programma dettagliato della settimana nel Dodecaneso sarà presentato con una proiezione l’11 gennaio alle ore 21 nella sala consigliare del Comune di Borgo San Dalmazzo; nella stessa serata inizieranno le iscrizioni. Franco Dardanello Fotografie del Monte Bianco Nell’ambito della collaborazione con la rassegna Scrittori in città, organizzata dal Comune di Cuneo nel mese di novembre, la sede nostra sezionale ha ospitato una serata dedicata al fotografo valdostano Enrico Peyrot, autore della mostra Voyage autour du Mont Blanc allestita in Palazzo Samone dal 13 novembre al 30 dicembre. 86 • alpidoc 82 In alto: veduta di Simi, con Rodi una delle più belle perle del Dodecaneso; qui sopra: la baia di Aghios Pavlos dall’acropoli di Lindos; a sinistra: il “minareto” di San Giorgio, sulla collina di Peveragno (foto di Franco Dardanello). alpidoc 82 • 87 fossanO L’altra faccia della montagna È un sabato come tanti altri; ci si ferma in trattoria a Morozzo, siamo in due a consumare il pranzo di lavoro: Agostino e il sottoscritto. Finito di mangiare si fanno quattro chiacchiere con i padroni del locale, sanno che la mia passione è girovagare per le montagne, loro conoscono i pascoli di quelle monregalesi, io invece parlo di posti completamente diversi. Affascinati dai miei racconti, combiniamo una bella gita. Suggerisco una delle più belle cime delle nostre valli: il Monte Mongioia, un tremila in Valle Varaita. Giovedì 29 settembre 2010, armati di entusiasmo, partiamo in sei da Sant’Anna di Bellino per la conquista del Mongioia. Il percorso è lungo e faticoso, in fondo al vallone due compagni rinunciano; il sentiero si fa ripido, la fatica aumenta. Agostino è il più desideroso di proseguire, ha però l’handicap dell’accendino che ha scaricato per tagliare un laccio per teIl Bivacco Boerio sorvegliato dal Monte Mongioia (foto di Enrica Raviola). 88 • alpidoc 82 nere su i pantaloni. La sua voglia di fumare è grandissima, allora cominciano le domande: è ancora molto distante? dov’è il lago? Lo tranquillizzo perché mi viene in mente che al bivacco troveremo da accendere, così potrà fumare! Dopo ore di cammino, salita l’ultima rampa, appare il grande pianoro sottostante i monti Salza e Mongioia. Su un’altura rocciosa, ecco il Bivacco Boerio che domina il pianoro; dietro luccica il Lago Mongioia in cui si specchia la montagna omonima. La bellezza del posto ci fa dimenticare la stanchezza; finito di assaporare la gioia di essere arrivati fin qui, si stappa la bottiglia e si brinda alla vita e a san Michele (è il 29 settembre…). Le dediche si sprecano e alla fine si rinuncia alla vetta, e perché siamo veramente sfiniti, e perché è ancora troppo lontana e ormai si è fatto davvero tardi. Prima di scendere Agostino prende con sé qualche fiammifero ed esprime il proposito di tornare un’altra volta per salire in cima. A Prato Rui troviamo anche Angelo e Andreina con i panini e finalmente possiamo rifocillarci. Ancora una foto e giù verso il fondovalle… Giovani e meno giovani soci garessini durante il Giro dell’Acqua (foto di Ruggero Michelis). ma i fiammiferi sono finiti e ad Agostino viene di nuovo voglia di fumare. Si scende velocemente per poter trovare qualcuno che abbia da accendere! Alle Grange Cruset troviamo dei muratori… e si fuma! A Sant’Anna ci si saluta felici per la bella giornata trascorsa insieme, lasciandoci con la promessa di ritrovarci l’anno prossimo. Agostino e gli altri sono rimasti entusiasti dell’avventura e ne parleranno con tutti. Due anni dopo, esattamente il 29 settembre 2012, lo stesso giorno di quella bellissima gita, Agostino Cravero conclude la sua esistenza terrena. Il mio primo pensiero è quello di portare la sua foto sulla vetta del Mongioia. Con la quella nello zaino e tanti ricordi nella mente, la domenica dopo la sua dipartita salgo sulla cima del Mongioia. Sono solo e infilo nel libro di vetta il suo ritratto con la dedica: “Desideravi venire fin quassù; Dio ti ha voluto molto più in alto!”. Consumato un frugale panino accanto a lui, dopo averlo salutato affettuosamente scendo al Bivacco Boerio. Qui, sfogliando il quaderno delle dediche, trovo quella che ricorda il no- stro passaggio di due anni prima. Lascio al bivacco un accendino datomi dalla sorella di Agostino, come risarcimento per i fiammiferi presi in quell’occasione. Prima di Sant’Anna incontro alcuni escursionisti della sezione CAI di Bra; racconto loro questa storia e mi fanno i complimenti per il mio gesto di vera amicizia. Questa è l’altra faccia della montagna! Michele Colombotto GARESSIO Quante ne abbiamo fatte! Nonostante il cattivo tempo che ci ha costretti a cambiare diverse date, anche per il 2012 il bilancio delle nostre attività sociali e intersezionali è risultato positivo. Numerose e interessanti le escursioni in mountain bike organizzate dagli accompagnatori di cicloescursionismo della nostra sezione e di quella di Ormea. alpidoc 82 • 89 Tra le molte attività giovanili, da segnalare in particolare quella del 16 giugno, il Giro dell’Acqua a piedi e in mountain bike intorno alle antiche sorgenti della famosa Acqua San Bernardo. Il direttore dello stabilimento di Garessio ci ha guidati presso il Colle San Bernardo a visitare le originarie sorgenti di quest’acqua leggera illustrandone le qualità naturali. Un particolare grazie a Davide e Gianni Minazzo per la loro ospitalità in regione Badi. Interessante e varia l’escursione intersezionale in Costa Azzurra del 15 aprile: oltre 150 soci CAI dell’alta Val Tanaro a percorrere tutto il panoramico Cap d’Antibes prima di salire sulla collina del Faro d’Antibes ad ammirare verso nord-est la catena delle Alpi Marittime e Liguri. Sui “sentieri di casa”, il 6 maggio, si è svolta l’undicesima edizione della gita intersezionale dell’alta Val Tanaro, tranquilla passeggiata da Viozene verso le rinomate risorgenze delle Vene, osservate dal ricostruito “ponte tibetano”. Quindi al ritorno, superato il dolce pianoro di Pian Rosso, tutti a Viozene per concludere la giornata con il buon pranzo gentilmente organizzato dalla sezione di Ormea. Durante l’Assembela dei Delegati, che si è tenuta a Sanremo il 21 ottobre, il nostro socio Massimo Andreis Allamandola è stato eletto nella Componente OTTO per il settore Tutela Ambiente Montano (TAM). Infine il 15 dicembre Silvano Odasso, guida alpina e attivo gestore, con la mamma Quinta e famiglia, del Rifugio Mongioie, ha presentato e commentato presso la Casa dell’Amicizia a Garessio una serie di suggestive immagini relative alle sue importanti spedizioni alpinistiche europee ed extraeuropee. Durante la serata sono state consegnate le “Aquile d’oro 25” ai nostri soci Marco Balbo, Ezio Naso, Cristiano Garelli, Umberta Rimboldi e le “Aquile d’oro 50” al fratelli Alessandro e Giancarlo Sommariva. Achille Andreis 90 • alpidoc 82 In ricordo di Mario Angeloni A noi piaceva ascoltare le parole che il vento portava da lontano, che faceva scorrere lungo le creste, lungo i pendii… A noi piaceva giocare con le foglie, con l’erba con la neve; piaceva guardare l’orizzonte e vedere il mare, le pareti, il ghiaccio… A noi piaceva percorrere gli angoli più selvaggi La sua ultima falesia Mario Angeloni, il ragazzo della Val Tanaro e del Mongioie, è mancato il 12 maggio 2012 dopo una lunga, estenuante lotta per la vita che ha lasciato tutti coloro che lo conoscevano sbigottiti e stravolti, ultimo regalo (o insegnamento) di un uomo che sopra di tutto amava vivere in modo semplice, discreto e con poco. Mario, già gravemente malato, ha avuto la forza di scoprire e chiodare una piccola falesia in località Cerisola, nel comune di Garessio, adatta alla frequentazione nei mesi estivi, e in fase di risistemazione in suo ricordo. Attualmente tale falesia presenta otto tiri dal 5+/6a al 7a ed è raggiungibile da Cerisola in circa 30 minuti di cammino lungo una comoda strada sterrata; la stessa, appena completata, verrà meglio descritta per eventuali usufruitori. Ilaria Ferrero della nostra Valle Tanaro e seguirne le linee più strane, le cenge più improbabili e nascoste, un po’ Patagonia, un po’ Himalaya… Entrare nel suo ventre, nella sua pancia e sentirsi a casa, sentirsi uniti. A noi piaceva arrampicare, viaggiare per arrampicare e arrampicare per viaggiare. A noi piaceva vivere! Ci manchi. Come ci manca tutto quello che fu e che non è più. Ti cercheremo ancora, Mario. Sui prati, sulle creste, nelle grotte che solo noi conoscevamo a quel modo. E forse ci troveremo ancora. Gli amici di Mario MONDOVì Una grande festa con tanti amici per l’inaugurazione del Sentiero Sordella L’8 e il 9 settembre una processione di amici è salita al Rifugio Garelli dal Pian delle Gorre inerpicandosi al cospetto delle magnifiche giogaie del Marguareis: una festa, l’inaugurazione del Sul tratto attrezzato del Sentiero Sordella; sotto: durante la messa si levano i canti (foto di Giorgio Aimo). alpidoc 82 • 91 nuovo sentiero attrezzato (EEA) che affronta il Colle dei Torinesi spuntando sotto la magnifica vetta del Marguareis, e intitolato alla memoria dell’amico Flavio Sordella, che fin dall’infanzia ha amato queste montagne; un percorso ad anello che, dopo la prematura scomparsa di Flavio, la famiglia, particolarmente la moglie Kikki Allasia Sordella con numerosi amici della sezione di Mondovì e altri del gruppo Coj del Fià Curt della sezione di Fossano sono riusciti a tracciare con il contributo tecnico delle guide alpine Sergio Rossi e Matteo Canova. Giorni di salite, di festa, di canti e di belle celebrazioni: la prima a Porta Marguareis, dove una targa contornata da rametti di ginepro e altri fiori di montagna ricorda il volto sorridente di Flavio; lì il sabato pomeriggio con i famigliari si è celebrata la messa su un altare costruito dagli amici, fra due laghetti nati dopo lo scioglimento della prima neve. Una celebrazione intima, accompagnata da semplici canti – “La mano nella tua io metto o Signore” – e dalla frase”Dove corri? Non sai che il cielo è in te”(Christiane Singer), scelta per l’occasione. Domenica mattina una vera fiumana di altri amici e di autorità è giunta al Rifugio Garelli per la festa, che ha avuto il suo clou nella solenne celebrazione della messa animata dal Coro Paolo Aguzzi del gruppo Coj del Fià Curt. Circa trecento persone hanno partecipato in vario modo alla festa e alla messa dando voce al canto che invitava tutti a lodare e benedire il Signore (Effatà apriti), a spalancare il cuore, gli occhi, le orecchie per essere capaci come Flavio di fare cose belle per gli altri.”Laudate e benedite il Signore e ringraziatelo e servitelo con grande umiltate”: così diceva il Cantico delle Creature di san Francesco che soffusamente si è sparso nel silenzio della vallata, tra il cielo azzurro intenso, mentre le maestose pareti del Marguareis facevano da solenne cattedrale. Dopo i numerosi interventi di amici e di coloro che hanno lavorato alla realizzazione del sentiero, una buona polentata, ancora canti e brindisi hanno coronato la giornata. Un grande grazie a tutta la famiglia Sordella per questo 92 • alpidoc 82 dono alla montagna e a noi che la amiamo. Siamo scesi pensando alla bellissima frase del grande Patrick Berhault che ci invita a tenere sempre legati in cordata i sogni con la realtà per non perdere mai di vista i nostri ideali e le nostre passioni. Padre Oreste Fabbrone, Fossano Ormea Anno nuovo, bollino e Direttivo nuovi Con il nuovo anno arriva il momento del rinnovo della quota associativa. Ricordiamo ai soci di acquistare il bollino del 2013 entro il 31 marzo. Lo potete fare presso l’edicola di via Roma che gentilmente si presta a questa operazione. A fine gennaio ci sarà l’assemblea annuale che vedrà i soci impegnati nel rinnovo del Consiglio direttivo. Nell’occasione si premieranno i soci che hanno raggiunto i 25 e i 50 anni di iscrizione al sodalizio. Quattro giorni nelle Alpi Apuane Partecipazione delle grandi occasioni, l’ultimo weekend dello scorso aprile, per la gita nelle Apuane: ben trentanove i soci che hanno aderito. È stata l’occasione per trascorrere quattro giorni insieme e scoprire la bellezza di queste montagne così diverse dagli Appennini. Abbiamo visitato anche i laboratori di scultura e di mosaico nella cittadina di Pietrasanta accompagnati dallo scultore romeno Benone Olaru che si è prestato a farci conoscere i suoi lavori più recenti e alcuni personaggi, purtroppo troppo pochi, che operano ancora nel settore del marmo. Abbiamo anche constatato che oggi nelle Alpi Apuane non ci sono più solo le cave per estrarre i blocchi che gli artisti trasformeranno in statue o i laboratori in piastrelle e vasche; il bellissimo marmo bianco è utilizzato per ricavarne il carbonato di calcio. Molti degli autocarri che si incontrano sulle strette strade che percorrono le profonde valli alle spalle di Carrara e Massa trasportano detriti di roccia. Questi saranno poi macinati e utilizzati da numerose industrie, da quella cartaria ai colorifici, ma entreranno anche nei cosmetici e nell’acciaio, nei collanti e nelle plastiche, per arrivare perfino sulle nostre tavole tramite l’industria alimentare che lo usa come colorante E170: non è nocivo, sbianca e soprattutto pesa. Il problema principale è che oggi le Apuane si stanno sbriciolando sotto le cariche di dinamite e che la quantità di materiale prelevato negli ultimi vent’anni è superiore a quella utilizzata a partire dagli Etruschi per arrivare fino ai nostri giorni. Ezio Michelis Prossime uscite 10 marzo, prima uscita stagionale in Liguria. 14 aprile, in Costa Azzurra con gli amici di Garessio e Ceva. 21 aprile, con le atre sezioni della regione nell’Astigiano per il Giro delle 5 Torri. PEVERAGNO Nel 2012 perfino un apertitivo in vetta! Al termine della stagione 2012 possiamo redigere un bilancio assolutamente soddisfacente sia per la qualità delle gite proposte che per l’ampia partecipazione riscontrata. Nella stagione invernale il Corso base di Scialpinismo realizzato in collaborazione con Global Mountain, di cui fa parte la guida alpina Il gruppo dei partecipanti alla gita nelle Alpi Apuane durante la visita ad una cava sotterranea (foto di Ezio Michelis). Daniele Macagno, ha visto l’adesione di otto soci che sono rimasti entusiasti sia dei percorsi proposti sia della professionalità con cui Daniele ha portato avanti il corso. La stagione primaverile è iniziata con la solita gita al mare – quest’anno da Toirano a Ceriale –, organizzata in modo impeccabile dal Gruppo di Beinette, che è riuscito persino ad offrire ai più di cinquanta partecipanti un sontuoso aperitivo in cima al Monte Croce per festeggiare il primo mezzo secolo del socio Ugo Bellino. Interessante per gli spunti paesaggistici e storici è stata la gita del 27 maggio: il giro delle borgate di Elva. Accompagnati dal socio Ivo Raina, originario di Elva, i purtroppo pochi iscritti hanno visitato ciò che è rimasto delle antiche borgate, un tempo densamente abitate, scoprendo aneddoti e tradizioni di vita di montagna. Grande successo ha invece avuto la gita, organizzata dal 16 al 18 giugno nelle Alpi Apuane. Circa quaranta gli escursionisti entusiasti sia dei percorsi proposti – salita della Cima Pania della Croce e del Monte Sagro – sia della visita a Colonnata e alle famose cave di marmo. Gita organizzata con la collaborazione dei nostri amici non vedenti di Carrara che ci hanno accompagnato e dato un indispensabile contributo per la sistemazione logistica. La soluzione alpidoc 82 • 93 di un albergo in riva al mare è stata particolarmente apprezzata perché ha dato la possibilità di sfruttare la spiaggia e di fare un gradevole bagno dopo le fatiche della giornata. La ormai classica gita di luglio sulle Dolomiti quest’anno ha avuto una soddisfacente adesione: venticinque soci che si sono cimentati in parte sulla ferrata del Sass Rigais (Gruppo delle Odle) e in parte nella traversata dal Rifugio Firenze al Rifugio Puez. Purtroppo il tempo non è stato favorevole, tanto che il gruppo dei “ferratisti” giunti in prossimità della vetta è stato colpito da un’autentica bufera di neve che, per fortuna, non ha provocato danni ai malcapitati. Meno male che, l’ultimo giorno, un sole splendido ha accompagnato tutti in cima al Sassongher, regalando un indimenticabile panorama il secondo anno consecutivo, si è svolto nelle strutture messe a disposizione dal Comune di Peveragno in centro paese. Ciliegina sulla torta, se così si può dire, è stata l’ultima gita dell’anno, il 2 ottobre nelle Langhe: il Sentiero dei Cru dei Barolo, da La Morra a Barolo. I circa trenta partecipanti, oltre ad apprezzare i caratteristici camminamenti immersi tra i vigneti più rinomati, hanno potuto visitare la cantina Ratti in frazione Annunziata, accompagnati dal titolare che, con passione e competenza, ha illustrato i vari passaggi della vinificazione per concludere con la degustazione del prezioso barolo. La gita, dopo la visita al Museo del Cavatappi a Barolo, si è conclusa con una gustosa “merenda sinoria” a base di prodotti tipici langaroli in un agriturismo presso La Morra. SAVONa Trekking in Corsica sul GR20 SUD a 360° sulle Dolomiti circostanti. A fine luglio abbiamo accompagnato i nostri amici della sezione di Belluno (con cui siamo gemellati) nel Giro del Marguareis, dormendo nei rifugi Garelli e Don Barbera, salendo in cima al Marguareis e attraversando la Conca delle Carsene. Percorso facile e allo stesso tempo spettacolare che ha entusiasmato i partecipanti. Il tempo inclemente non ci ha permesso di organizzare a Fontana Cappa, in Bisalta, il tradizionale incontro della prima domenica di settembre con i nostri soci. Incontro che, per 94 • alpidoc 82 La Corsica ci ha permesso di apprezzare, ancora una volta, le sue magnifiche bellezze naturalistiche in questo trekking che si è svolto dal 14 al 23 settembre e che ha visto la partecipazione di quattordici persone. Partiti con un comodo traghetto dal porto di Savona, in traversata notturna, raggiungiamo la città di Bastia. Con un breve trasferimento a piedi raggiungiamo la stazione ferroviaria e il famoso trinighellu (ora modernissimo) che dovrebbe condurci a Vizzavona (920 m), dove pernottiamo in un albergo d’altri tempi. Al mattino eccoci pronti a iniziare la nostra avventura. Le sei tappe ci porteranno nel gîte U Fucone di Capannelle (1586 m), Refuge de Prati (1820 m), Refuge d’Usciolu (1750 m), Refuge d’Asinau (1530 m), Foce di Bavella (1218 m) e Refuge d’I Paliri (1055 m) con arrivo nel simpatico villaggio di Conca (250 m). La Corsica è sempre la Corsica! Tre scatti del trekking savonese sul GR 20 Sud a fissare altrettanti ingredienti che hanno determinato la riuscita dell’iniziativa: montagne bellissime, mare fantastico, compagnia ottima! (foto Archivio Sezione Savona). Nella pagina a fianco: lo striscione preparato dai gitanti del Gruppo Beinette e ul Monte Croce, sopra Ceriale, per fare – in modo alquanto insolito e vistoso… – gli auguri di compleanno a un loro compagno di avventure (foto Archivio Gruppo Beinette). alpidoc 82 • 95 Credo che tutti noi non potremo dimenticare le bellissime e incontaminate foreste e praterie incontrate, anche per la loro impressionante ricchezza d’acqua. Tra i momenti più suggestivi il raggiungimento del Monte Alcudina (2134 m), purtropppo tra le nuvole e con le sole tre ore di pioggia prese in tutto il percorso, un tramonto e un’alba indimenticabili tra le dolomitiche cime del gruppo delle Aiguilles de Bavella con una allegrissima cena a lume di candela nel veramente spartano rifugio I Paliri, dopo aver affrontato la “Variante Alpine” che permette di attraversare questo gruppo montuoso turisticamente molto visitato. Degno di nota il rinfrescante bagno in una superba acqua cristallina nei laghetti incontrati durante l’ultima tappa, ormai prossimi al completamento del percorso. Un plauso particolare ad alcuni nonni molto “prestazionali”, che con lo zaino pesante hanno tenuto medie invidiabili, e a coloro che sono cimentati, per la prima volta, a dormire nei rifugi (e che rifugi!) o addirittura in tenda. Il prolungamento di due notti nel Residence l’Isula a Pinarellu, a due passi dal mare, ci ha permesso di scoprire la sua spiaggia e di visitare l’isoletta con la caratteristica torre genovese e di rilassarci con vari bagni e idromassaggi nelle Il Forte del Priamar invaso dai visitatori della Montagna sul Mare (foto di Grazia Franzoni). 96 • alpidoc 82 naturali piscine, seguiti da relativa merenda distesi sulle granitichie sponde del fiume Cavu. Un ringraziamento particolare a Donatella e a Nadia che ci hanno supportato per alcuni spostamenti e trasporto bagagli con due nostre vetture. Non ci resta che dare appuntamento a tutti i partecipanti per il prossimo fine agosto, quando concluderemo l’opera con la parte nord del GR20 che ci impegnerà per nove giorni. A presto! Agostino Bormida Record di presenze per la terza edizione della Montagna sul Mare Il secondo fine settimana di ottobre la savonese fortezza del Priamar è stata festosamente “invasa” da bambini, ragazzi, adulti, soci CAI, amici, curiosi per la manifestazione La Montagna sul Mare. Si è trattato di un’edizione speciale, in quanto ha inaugurato le iniziative liguri dedicate al 150° anniversario del CAI, che si concluderanno il prossimo ottobre a Genova. Il ricco programma prevedeva un mix di proposte sportive e culturali che poteva suscitare l’interesse di un pubblico variegato. Per la sezione lo sforzo organizzativo non è stato indifferente, con il coinvolgimento di moltissimi soci. I risultati sono stati positivi, con presenze in aumento rispetto alla scorsa edizione e buoni commenti da parte di tutti. I numeri parlano chiaro: oltre 700 presenze sul muro di arrampicata, ponte tibetano e masso boulder; oltre 520 visite ai sotterranei della fortezza; a queste cifre bisogna aggiungere più di 160 studenti delle scuole superiori savonesi che il sabato mattina hanno ruotato su nove diverse attività. E anche quest’anno abbiamo raccolto fondi per i progetti del Soccorso Alpino piemontese in Nepal (oggi confluiti nel Progetto Vallesi). Grazia Franzoni