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LPIDOC # 82
le Alpi del Sole
sommario
IN PRIMO PIANO
3 La Regione Piemonte
3
ha varato un progetto di legge sull’elisky. Ecco quello che i commi non dicono
di Alberto Gianola
11
6 Can che morde
è male educato
ESCURSIONISMO
31 Il Giro della Castellata
7 Un nuovo portale internet
turismo verde
8
Nelle Alpi c’è una Perla
chiamata Limone Piemonte
di Simone Bobbio
Scialpinismo
0
1
Quei campioni in pelli e tutina
di Irene Borgna
Sentieri e Rifugi
11 I Sentieri dei Saraceni pronti
all’assalto degli escursionisti
44
54
di Massimo A. Allamanola
a cura di Tiziana Gallian
TRAVERSATE IN QUOTA
44
Va’ dove ti portano le gambe!
di Grazia Franzoni e Marco Berta
Ricorrenze / 1
54 Il capitano Cossato
e la sua cima
di Lorenzo Bagnoli
Ricorrenze / 2
60 Bartolomeo Peyrot, il primo
italiano sul Monviso
di Marco Fraschia
L’uomo che non passò alla storia
70
di Dario Viale
Ricordi d’autore
14 I vent’anni del Sentiero
Cavallero
LO SCAFFALE
di Bruno Comina
di Maurizio Giaminardi
In copertina:
il Monte Salza
dal Vallone
di Rui
(foto di Enrica
Raviola).
13 Addio a Francesco Musso
presidente TAM Piemonte.
Alla sua memoria dedicato
un sentiero in Valle Maudagna
18 Perché la Valle Grana ci crede ancora!
60
Prime salite
Monte Mongioie, Monte Moro, Monte Ponset, Contrafforti
di Lausa Bruna, Punta Maladecia, Testa Gias dei Laghi, Rocca la Meja, Rocca dei Duc
31
21
LA REPLICA
per scoprire lo spazio
Marittime Mercantour
18
CRONACA ALPINISTICA
SPELEOLOGIA
19 Piaggia Bella ha un nuovo
ingresso
di Alberto Gabutti
74
La prima volta
di Mauro Manfredi
78
Il mito dello Scarason raccontato
da un maestro dell’alpinismo,
Ottanta escursioni dalla Riviera
di Levante alle Alpi Liguri,
I mammiferi delle Alpi,
Le stanze segrete delle montagne, Ripido!
LE ALPI DEL SOLE
83 Notizie dalle sezioni
Bra, Cuneo, Fossano, Garessio
Mondovì, Ormea, Peveragno Savona
ALPIDOC è la pubblicazione trimestrale dell’associazione Le Alpi del Sole
che comprende le sezioni del Club Alpino Italiano di
Alba – Barge – Bra – Cavour – Cervasca – Ceva – Cuneo – Fossano – Garessio – Mondovì
Ormea – Peveragno – Saluzzo – Racconigi – Savigliano – Savona.
LPIDOC
Comitato editoriale: Giorgio Aimo, Carlo Biei, Marco Bologna, Paola Bonavia, Angelo
Brizio, Piergiorgio Fiorito, Grazia Franzoni, Alberto Gianola, Raffaella Antona, Ilario
Marro, Pier Paolo Mattis, Bruno Mezzomo, Ruggero Michelis, Carla Nalotto, Carla Rolando,
Roberto Torra.
Direttore responsabile: Nanni Villani.
Coordinamento della Redazione: Enrica Raviola.
Progetto grafico e impaginazione: Costarossa Edizioni.
Corrispondenti sezionali: Piero Marocco (Alba), Umberto Bernardotto (Barge), Chiara
Audisio (Bra), Giancarlo Menotti (Cavour), Claudio Costamagna (Cervasca), Marco Plassio
(Ceva), Franco Dardanello (Cuneo), Osvaldo Imberti (Fossano), Achille Andreis (Garessio),
Giorgio Aimo (Mondovì), Ezio Michelis (Ormea), Elio Viada (Peveragno), Carla Rolando
(Racconigi), Franco Galliano (Saluzzo), Piero Bertoglio (Savigliano), Bobo Santi (Savona).
Hanno collaborato a questo numero: Achille Andreis, Massimo Andreis Allamandola,
Chiara Audisio, Lorenzo Bagnoli, Marco Berta, Simone Bobbio, Irene Borgna, Agostino
Bormida, Michele Colombotto, Bruno Comina, Franco Dardanello, padre Oreste Fabbrone,
Grazia Franzoni, Marco Fraschia, Alberto Gabutti, Tiziana Gallian, Maurizio Giaminardi, Alberto
Gianola, Gianfranco Ghibaudo, Mauro Manfredi, Dario Viale.
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DIREZIONE, REDAZIONE, PUBBLICITÀ E AMMINISTRAZIONE: Costarossa Edizioni, via Sottana
2, 12010 Vignolo (Cn), tel. 0171/46128, e-mail [email protected].
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è una testata
edita
con il sostegno di
Medaglia d'oro al Valore Civile
in primo piano
La Regione Piemonte ha varato un
progetto di legge in materia di eliski. Ecco quello che i commi non dicono…
Foto Archivio Guide Alpine Risemountain (www.risemountain.it)
Con il pretesto di regolamentare l’utilizzo ludico dell’elicottero in montagna, si apre la strada a una liberalizzazione che,
sottovalutando i rischi dello sci fuori pista, può di creare guai seri ai soggetti che dovrebbero trarre benificio dalle convenzioni Testo di Alberto Gianola
I
l Consiglio regionale piemontese sta
esaminando un progetto di legge che si
vorrebbe volto a regolamentare l’utilizzo ludico
dell’elicottero in montagna, specie per il trasporto
di sciatori, allo scopo di proteggere l’ambiente.
A ben vedere, le norme proposte sono foriere di
una liberalizzazione che, se approvata, creerà più
problemi di quanti vorrebbe risolverne.
Il progetto in questione prevede il divieto
assoluto di sorvolo solo sui territori di parchi
nazionali. Altrove, anche nelle aree protette e
nei parchi regionali, convenzioni tra soggetti che
offrono il servizio di eliski e comuni o enti gestori
di zone tutelate possono permettere il trasporto
di sciatori, con modalità prefissate in ordine al
numero di voli, alle rotte e agli orari.
In sostanza viene attribuito ai comuni il potere
di regolare in concreto, entro una vaga cornice
di principi generali, l’attività dell’eliski sui propri
territori.
Scopo espressamente perseguito è quello
di incrementare i vantaggi economici delle
aree alpine, salvaguardando al tempo stesso
l’ambiente: si pensa in questo modo di
promuovere ulteriormente il turismo alpino con
benefiche ricadute locali.
alpidoc 82 •
3
Verso l’affollata vetta del Tibert
(foto di Franco Dardanello).
In realtà le cose sono ben diverse. L’elicottero
ha un notevole impatto ambientale. Produce
rumore, inquina per via dell’elevata emissione
di gas di scarico, disturba gli animali quando
le condizioni ambientali rendono difficile il
reintegro delle energie consumate per una fuga
improvvisa fino a mettere a repentaglio la vita
dell’animale stesso. L’elicottero allontana gli
altri frequentatori della montagna. Effetto delle
nuove norme sarà quello di sostituire a molti
scialpinisti ed escursionisti con racchette un
numero esiguo di elisciatori, con un sicuro calo
dell’indotto economico. È sintomatico che negli
altri paesi dell’arco alpino l’eliski sia vietato o
fortemente limitato. Nelle Dolomiti lo si è prima
ammesso e poi posto da parte perché ci è resi
conto che portava più svantaggi che vantaggi. Già i dati illustrati dovrebbero indurre a
vietare l’eliski o quantomeno a limitarlo a un
numero contenutissimo di zone ben definite,
rigorosamente al di fuori delle aree protette,
individuate sulla base di una attenta valutazione
dell’impatto ambientale e della sicurezza
in sinergia con istituzioni particolarmente
competenti in materia.
Oltre agli aspetti ambientali ed economici, il
progetto di legge sull’eliski presenta notevoli
criticità sotto il profilo giuridico. Esso attribuisce
ai comuni il potere di decidere in ordine agli
4 • alpidoc 82
itinerari di volo, ai modi per garantire la sicurezza
delle persone coinvolte nelle operazioni con
elicottero in volo e al suolo. Un potere che
presuppone competenze specialistiche di cui
non sempre gli amministratori comunali possono
disporre direttamente e che va di pari passo
con la responsabilità. Anche in presenza di un
accompagnatore professionale e titolato del
gruppo, il comune potrebbe essere chiamato a
rispondere laddove la sua scelta non fosse stata
sufficientemente prudente.
A differenza dello sci di discesa, lo sci fuori pista
si svolge in zone non gestite e dunque può essere
affrontato in relativa sicurezza solo da chi sia in
possesso, oltreché di buone capacità tecniche
in ordine alla conduzione degli sci, anche di
conoscenze dell’ambiente alpino invernale
tali da ridurre al minimo il rischio di incidenti,
in particolare dovuti alla caduta di slavine.
L’organizzazione e la gestione di una gita fuori
pista comporta una valutazione specialistica
ex ante del percorso sulla base dello stato del
manto nevoso e delle previsioni meteo, una
valutazione specialistica in loco al momento della
partenza, una valutazione specialistica continua
del percorso seguito durante la salita e la discesa.
A volte anche pochi metri di differenza possono
rappresentare il confine tra la vita e la morte.
L’elicottero evita la salita. Studi approfonditi
indicano che la pressione esercitata sul manto
nevoso da uno sciatore in discesa è il doppio
di quella esercitata in salita. Senza mettere in
Effetto delle nuove norme
sarà quello di sostituire a molti
scialpinisti ed escursionisti con
racchette un numero esiguo di
elisciatori, con un sicuro calo
dell’indotto economico.
discussione l’esperienza, le capacità tecniche,
la prudenza e il senso di responsabilità dello
sciatore, la discesa pone indubbi rischi,
difficilmente stimabili in anticipo, per il solo fatto
di agire in un ambiente che per definizione è
“pericoloso”.
In un contesto così problematico, la presenza di
un accompagnatore professionale potrebbe non
sollevare l’amministrazione comunale o l’ente
gestore da responsabilità, poiché sono costoro
ad aver deciso l’itinerario e ad aver stabilito le
modalità onde garantire la sicurezza, ovvero
ad aver dato via libera alla singola iniziativa. Il
ruolo di organizzatore, supervisore e controllore
dell’ente può comportare una sua responsabilità
nell’ipotesi di incidente, a meno che l’istituzione
non riesca a provare il caso fortuito.
Un altra criticità concerne l’atterraggio in quota.
Esso avverrà in zone limitate dove sicuramente
saranno presenti scialpinisti, posto che gli itinerari
appetibili agli occhi di questi ultimi per condizioni
meteo e di neve saranno gli stessi ai quali faranno
riferimento gli elisciatori. L’elicottero per atterrare
necessita di spazio: la cosa pone un problema di
precedenza.
La proposta di legge non si pronuncia sul
punto, ribaltando implicitamente il problema sui
comuni (o enti gestori), laddove questi si vedono
attribuito il potere di stabilire gli itinerari di volo.
L’ente organizzatore non ha il potere di riservare
aree in quota all’atterraggio degli elicotteri
per scopi ludici, escludendo da tali zone altre
categorie di fruitori. In altri termini. l’ente
pubblico non può interdire l’accesso a una cima
agli scialpinisti per un certo periodo allo scopo di
permettere l’atterraggio di un elicottero privato
che trasporti sciatori a pagamento.
Il risultato delle nuove regole sarà dunque
una convivenza problematica di scialpinisti
ed elisciatori in un ambiente non facile, una
convivenza potenzialmente foriera di incidenti
con riferimento ai quali ancora una volta
potrebbero essere chiamati a rispondere coloro
che hanno scelto l’itinerario.
In un tal contesto, i possibili costi che i comuni
o gli enti gestori si troverebbero ad affrontare
nell’ipotesi di incidente di cui venissero ritenuti
responsabili sarebbero di gran lunga superiori
ai proventi ricavati dalle convenzioni – proventi
che, in certi casi, debbono essere impegnati per
interventi ambientali, strutturali e paesaggistici
nel territorio di propria competenza. Eventuali
contratti di assicurazione, laddove fossero
utilizzabili, avrebbero comunque costi elevati per
via dei rischi coperti, e comunque coprirebbero
solo la responsabilità civile.
In sintesi, il risultato del progetto di legge sarà
quello di caricare i comuni e gli enti gestori
di aree tutelate di una pesante responsabilità
foriera di costi non indifferenti.
È indicativo che altrove la disciplina dell’eliski sia
informata a scelte diverse, tese a coinvolgere enti
diversi, portatori di competenze specialistiche
differenti ma complementari. È il caso della
Valle d’Aosta, dove la legislazione in materia
prevede che gli itinerari di volo vengano stabiliti
dai comuni in accordo con la stazione forestale
competente per territorio e con l’Unione
Valdostana guide. ◢
alpidoc 82 •
5
stampa Tip. Europa - 2012
grafica:
Can che morde è male educato
Fondo europeo di sviluppo regionale
Fonds européen de développement régional
Programma Alcotra 2007-2013
Insieme oltre i confini
Programme Alcotra 2007-2013
Ensemble par-delà les frontières
www.diegoviada.com
Gli aggressori a quattro zampe
stessi e comunque non provenienti dal Centro della Regione che li
prepara prima di consegnarli agli allevatori
illustrazioni: Alfredo Dellavalle
piazza Regina Elena, 30
12010 Valdieri CN
tel. 0171 97397 - fax 0171 97542
[email protected]
www.parcoalpimarittime.it
gli animali e noi
I
eun cane
se...
da difesa del gregge
mi si avvicina minaccioso?
a nostra
prendendo
ui quali
la realtà
quando il lupo
vero da circa
he l’hanno
stanza. Alcuni
rattandosi
o minacciato
ad allontanarsi
Da alcuni anni anche nelle nostre vallate ha fatto
la sua comparsa il cane da difesa del gregge,
o cane da guardianìa, di solito la razza da pastore
maremmano-abruzzese, quella più usata da sempre
nell’Italia centrale, a difesa dagli attacchi di lupi e cani
randagi.
Questo cane cresce a contatto con le pecore: il gregge
diventa la sua famiglia, da difendere contro qualsiasi
minaccia. Un buon cane tende però a distinguere
fra una minaccia legata al lupo o ad altri cani,
da una minaccia dovuta alle persone e, infatti, si cerca
piccolo cani
vademecum
per visitatori
di selezionare
poco aggressivi
nei responsabili
confronti
della nostra specie, pur mantenendo la loro efficacia
nei confronti di potenziali predatori.
gli animali e noi
ebbe
mpre il lupo,
nacciato
iovani animali
on si lasciano
ogna anche
un lupo vuol
diretto. Infatti molte delle attività all’aria aperta che siamo abitua
a considerare “leggere” e “innocue” non sono sempre così
“ecosostenibili”: spesso escursionisti, alpinisti, scialpinisti e fotogra
inseguono la loro passione nei pochi ambienti appartati risparmia
dalla massa dei turisti, dove senza volerlo interferiscono con la faun
e con gli ecosistemi delicati delle praterie
dei canaloni,
laalpine,
replica
dei torrenti, delle pareti, delle vette e dei ghiacciai. Il rischio è quin
quello di rompere l’equilibrio degli ultimi lembi di natura alpin
ancora incontaminata.
Normalmente chi si dedica a queste attività è sensibile al fascin
e al rispetto della natura: di sicuro quindi non farà piacere a nessun
potenziali fonti di disturbo per l’ambiente
sonoscoprire
per diloessere
più
o di pericolo
per glianimali
animali. lasciati a se
6•
piccolo vademecum per visitatori resp
l Parco naturale delle Alpi Marittime ha appena dato
alle stampe un pieghevole dal titolo Gli animali e
Non dobbiamo
dimenticarci
che, perconsapevoli.
quanto le nostre intenzion
noi. Piccolo
vademecum
per visitatori
siano amichevoli, gli animali ci vedono come predatori,
Si tratta
di una guida
ai comportamenti
corretti scappano
che
e per sfuggire
a quella
che credono una minaccia,
talvol
ogni escursionista,
sciatore,la arrampicatore,
fotografo
mettendo a repentaglio
loro vita. Per fortuna
possiamo continua
a scalare,
sciare
e fotografare
montagnae senza
creare troppi
dovrebbe
tenere
in montagna
in in
generale,
nell’area
problemi:
basta
mettere
in
pratica
qualche
accorgimento
protetta in particolare, per evitare di danneggiare e cerca
di evitare alcuni luoghi particolarmente fragili o i periodi dell’ann
l’ambiente e la fauna che lo popola.
in cui gli animali sono più vulnerabili.
Tra i vari
fare e cosa
non fare
se si per
trova
undei
piccolo
Noncosa
c’è bisogno
di andare
lontano
fare
danni, si può
capriolo,
si incontra
un rimanendo
lupo, si “inciampa”
combinare
guai anche
sul sentiero o in
nei una
pressi del rifugi
innocente
e spontaneo
come
nutrire
un singolo
viperaune gesto
così via,
è contemplato
anche
quello
che
animale
può
essere
deleterio
per
lui
e potenzialmente
DEDICATO A SCIATORI
E ARRAMPIC
riguarda gli incontri ravvicinati con i cani da guardiania. pericolos
anche per noi.
fagiani
di
monte
in
Argomento
e molto
sentito
da chi
frequenta
la può avere
voglio
farespinoso
un’escursione
Anche
l’esuberanza
dei nostri
amici
a quattro
zampe
Il fagiano di monte o gallo force
montagna,
come
le reazioni
sollevate
dai ha preso
nel Parco
con ildimostrano
miofauna
cane?
effetti negativi
sulla
alpina:
per questo
il Parco
adattato
all’ambiente
alpin
Sedentario,
anch
Sono i nostri
amici
zampe,pubblicato
conlimitare
cui dividiamosullo
contributi
chea quattro
abbiamo
scorso
la sofferta
decisione
di
l’accesso
ai numero
canisasusopravvivere
tutti i sentie
di neve invernale: vi scava delle g
la casa e il nostro tempo libero: è un vero dispiacere
in
quota.
Infatti
un
cane
sfuggito
al
controllo
del
padrone
può
della
rivista.
termicamente, dove passa buon
dover partire
per una gita senza di loro. Ma per quanto
comportare
per
i selvatici
livelli di stress nella
inSfugge
periodi
così
siaparticolarmen
ai predatori che a
una
indolealle
tranquilla,
ogni
cane è unalti
predatore
Inabbia
merito
aggressioni
denunciate
zona
continuamente
cibo.
e il suodelicati,
istinto latente
è sempre pronto
a
o addirittura
il pericolo
di essere feriti
o uccisi.
Tuttavia,
con
l’aumento
degli sp
svegliarsi
in
presenza
di
un
odore
promettente
del Rifugio
Mongioie dalla
sezione
CAI di Albenga,del Parco:
è allora
dedicato
lo scialpinismo, le ciaspole o il fre
o di un Questo
animale chepieghevole
fugge. Ecco che
il nostroa tutti i frequentatori
abbiamo
chiesto
un parere
alper
Centro
è un piccolo
vademecum
amici Gestione
della
natura,
è soggetta
ae
forti stress: l’ar
compagno
timido
e giocherellone
può trasformarsi
oseguito
di uno
spavent
sotto i nostri
occhi in unGrandi
efficace
cacciatore.
che vogliono
immergersi
nell’ambiente
alpino
in sciatore
punta
di scarpon
Conservazione
Carnivori,
che ha
il causa
Ciò comporta per i galli un dispen
L’accoppiata uomo-cane, se questi è tenuto
per
non
disturbare.
che in undello
momento dell’anno pa
al guinzaglio,Lupo
non è inPiemonte
realtà percepita
come
Progetto
occupandosi,
tra l’altro,
ne diminuisce la capacità di sop
una grande minaccia dagli animali, che possono farsi
studio
dei asistemi
di prevenzione
Per ridurre il da
rischio di danneggi
osservare anche
distanza relativamente
ravvicinata. degli attacchi
è sufficiente fare un po’ di a
Il pericoloal
diventa
però sempre
più concreto
canide
bestiame
domestico.
seguiamo una sola traccia e
con l’aumentare del numero dei cani, anche tenuti
Ecco
la risposta:
«I non
cani
cui si parla nell’articolo
di discesa. Rinunciare ogni ta
al guinzaglio:
se un cane solo
vienedi
considerato
è un grosso sacrificio: ma è prop
un disturbo eccessivo, molti cani possono invece
non
quelli preparati e distribuiti
dal
che il fagiano
scava il suo riparo
metterefanno
in allarmeparte
la faunadi
selvatica.
Centro Regionale per la Selezione e l’Allevamento dei
Cani da Protezione; generalmente si tratta di animali
non correttamente gestiti dal proprietario in quanto
inseriti con il bestiame senza una corretta fase di
“addestramento”.
Vista le dimensioni delle razze utilizzate (pastore
maremmano abruzzese o pastore dei Pirenei) e i luoghi
in cui questi cani lavorano, è necessario che gli animali
siano seguiti da persone adeguatamente formate e
consapevoli della loro potenziale aggressività. Per
questo motivo è stato istituito il Centro, che ha il
compito di selezionare i cani sulla base di caratteristiche
e se...
cosa fare?
cosa fare?
l’avifauna delle fal
Può capitare durante le nostre escursioni di incontrare
unalpidoc
gregge custodito
82da cani da difesa. È importante
in questo caso tenere presente una cosa: tutti i cani
sono dei potenziali predatori e in quanto tali reagiscono
rincorrendo la preda nel momento in cui questa
si dà alla fuga. Quando ci viene incontro, fermiamoci
Nel Parco è in vigore un regolamento che consente
l’accesso ai cani solo su determinati itinerari. La prima
regola è informarsi sul sito internet del Parco o presso
gli uffici turistici se il percorso che ci si appresta a seguire
è consentito anche ai nostri amici a quattro zampe.
Sebbene spesso sia faticoso, è importante tenere il cane
Le pareti rocciose sono l’habitat
di uccelli,che vi trovano il luogo
e per proteggere i piccoli da volp
umani molesti. Scalatori e fotogr
avere un forte impatto negativo
reale, il falco pellegrino, il gipeto
comportamentali e attitudinali. I cani selezionati
devono da una parte essere adatti alla vigilanza
degli animali al pascolo (se inseriti da cuccioli
nel gregge sviluppano un forte attaccamento
per gli ovini, che considerano la loro famiglia)
e dall’altra presentare un’indole tranquilla,
senza manifestare aggressività nei confronti
dell’uomo.
Come si legge nella Relazione sull’attività svolta
nell’ambito del Centro stesso negli anni 20102011, “un attaccamento esclusivo del cane al
bestiame, senza contatti con gli esseri umani,
può formare cani diffidenti e spaventati nei
confronti delle persone. Tali animali possono
risultare poco gestibili nel quotidiano, ma
soprattutto possono facilmente costituire un
pericolo per le persone estranee al bestiame. È
necessario pertanto che il cane da guardiania
venga adeguatamente “socializzato” nei
confronti non solo del gregge ma principalmente
delle persone”.
Ovviamente i cartelli di attenzione non servono
per scaricare la responsabilità, che rimane del
proprietario del cane.
L’articolo 2052 del Codice Civile recita infatti:
“Il proprietario di un animale o chi se ne serve
per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile
dei danni cagionati dall’animale [C.P. 672], sia
che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse
smarrito o fuggito, salvo che provi il caso
fortuito”.
Nel caso dei cani affidati dal Centro Regionale
per la Selezione e l’Allevamento dei Cani da
Protezione, la responsabilità dei cani rispetto a
terzi è dell’allevatore affidatario.
Per quanto riguarda il dubbio su fatto che,
come si legge sui cartelli di attenzione, si tratti
di cani adeguatamente condizionati, in effetti la
dicitura si riferisce ai cani preparati dal Centro
Regionale, anche se i cartelli sono stati distribuiti
indistintamente a tutti coloro che possedevano
un cane da guardiania». ◢
avviso ai naviganti
Un nuovo portale internet per scoprire lo spazio Marittime
Mercantour
I
l Parco naturale delle Alpi Marittime e il Parc national du
Mercantour si presentano insieme in un nuovo sito internet
– www.marittimemercantour.eu – realizzato nell’ambito del Piano
Integrato transfrontaliero Marittime Mercantour “La diversità naturale
e culturale al centro dello sviluppo sostenibile e integrato”, programma
europeo Alcotra 2007-2013. Attraverso centinaia di pagine, fotografie, video, è
possibile scoprire virtualmente le Alpi Marittime e il Mercantour, la loro straordinaria
biodiversità, ottenere informazioni turistiche, conoscere le tappe lungo le quali si è
consolidata e accresciuta la collaborazione transfrontaliera tra le due aree protette
e i progetti in corso. Si tratta di un portale di servizio con moltissime informazioni
utili, ma anche con tanti contenuti da leggere. “Punti di vista” è la sezione in cui sono
raccolti scritti di autori che fra realtà e fantasia conducono in un personalissimo viaggio
attraverso le Alpi del Sud. I testi presentano, attraverso l’interpretazione delle Marittime
e del Mercantour, piccole preziose tessere di uno straordinario giardino terrestre che
merita di essere conosciuto, vissuto, rispettato. Sono un omaggio a uno spazio che non
conosce frontiere, a un mondo minerale che da millenni è rifugio per uomini, piante,
animali. Marittimemercantour.eu sarà in continuo aggiornamento e presto sarà
integrato con nuove rubriche e sezioni dedicate all’escursionismo e alla cartografia
tematica per offrire ai “naviganti” uno strumento sempre più ricco e interessante.
alpidoc 82 •
7
turismo verde
Nelle Alpi c’è una Perla chiamata
Limone Piemonte
Dal 2012 fa parte di un’associazione di ventotto stazioni turistiche
montane che promuovono vacanze all’insegna della mobilità dolce
Testo di Simone Bobbio
«M
i consegna gentilmente le chiavi
della macchina?»
La domanda non è formulata da un
carabiniere a un posto di blocco, bensì dalla
gentile impiegata dell’ufficio turistico di
Werfenweng, splendida stazione sciistica nelle
Alpi salisburghesi, Austria. Il turista italiano
preferirebbe consegnare la madre piuttosto
che privarsi dell’amata automobile, ma viene
immediatamente rassicurato.
«In cambio le daremo il pass per viaggiare
gratuitamente con tutta la famiglia sui mezzi
di trasporto della località. Si tratta di veicoli
elettrici, carrozze trainate da cavalli e taxi
alimentati con biogas prodotto in loco.»
Werfenweng è una delle ventotto stazioni
turistiche montane che hanno avviato varie
iniziative per lo sviluppo della mobilità dolce,
aderendo all’associazione internazionale
Alpine Pearls.
Le “Perle”, distribuite tra i sei stati alpini
(Italia, Francia, Svizzera, Austria, Germania e
Slovenia), annoverano grandi e piccole località
e invitano i propri ospiti a mandare in vacanza
anche l’automobile. Da gennaio 2012 Limone
Piemonte è entrata a far parte della rete.
La filosofia delle Perle
La proposta turistica è in controtendenza rispetto
al modello dominante. Fu la motorizzazione
di massa, la diffusione capillare dell’utilitaria,
a trasformare splendidi angoli delle Alpi in
moderne stazioni sciistiche dove godere dei
paesaggi innevati e dei campi trasformati in
8 • alpidoc 82
piste da sci, a un paio d’ore d’auto dalla città.
In origine, le più belle località di montagna
non erano che boschi, alpeggi e villaggi spesso
raggiungibili soltanto a piedi, nella bella stagione.
L’automobile che aprì la montagna al turismo di
massa ne modificò inesorabilmente il paesaggio:
mulattiere trasformate in strade carrozzabili,
pascoli divenuti parcheggi e file di mezzi a
quattro ruote in coda lungo i tornanti.
Oggi l’obiettivo delle Alpine Pearls, sintetizzato in
un decalogo a cui tutti i comuni membri devono
attenersi, è quello di promuovere un turismo
più rispettoso dell’ambiente, delle comunità
locali e degli stessi turisti che le frequentano.
Il successo riscosso dall’iniziativa, fin dal 2006,
anno di nascita dell’associazione, dimostra che
i visitatori apprezzano la formula di una vacanza
rilassante, in cui il disagio di non poter utilizzare la
propria auto privata è ampiamente compensato
da navette efficienti, che risparmiano la fatica
di mettersi alla guida su strade trafficate, dopo
un’intensa giornata sulla neve.
Limone: un anno da Perla
A un anno dall’ingresso del Comune di Limone
Piemonte tra le Alpine Pearls si può trarre un
primo bilancio dei vantaggi che l’adesione
ha comportato, a livello turistico e a livello di
iniziative avviate sul territorio.
Franco Revelli, il sindaco, ha fortemente
insistito per inserire Limone all’interno di
questa rete internazionale: «In un Comune
posto al confine tra tre regioni e due
stati, è importante saper stringere accordi
utilizzo delle seconde case e all’aumento del
cosiddetto turismo di prossimità: dobbiamo
essere pronti ad accogliere i nostri visitatori
nella maniera più ecologica e pulita possibile».
transfrontalieri in grado di sviluppare
alleanze tra più interlocutori. È ciò che stiamo
tentando di fare con la ferrovia per insistere
sul trasporto pulito su rotaia rispetto a quello
su gomma. In questo anno siamo riusciti a
mettere d’accordo le città di Torino, Cuneo,
Nizza e Mentone, insieme ai paesi della Valle
Vermenagna e della Valle Roya, sul valore
strategico della linea Cuneo-Nizza. Il fatto
di far parte di un’associazione di località di
montagna che promuove la mobilità dolce ci dà
una maggior autorevolezza sul piano politico.
A livello locale, l’adesione alle Alpine Pearls è
stata uno strumento di dibattito e discussione
con gli operatori turistici per spingere anche
loro a una maggiore attenzione verso nuove
forme di turismo sostenibile che da noi tardano
a prendere piede. Infine, abbiamo concluso
la costruzione del nuovo Parcheggio del Sole
che consente di pedonalizzare una porzione
più ampia del paese e abbiamo introdotto
una quarantina di biciclette elettriche che
sono state una vera attrazione estiva. La crisi
sta producendo un aumento delle presenze
turistiche nel nostro paese, grazie al maggiore
Le montagne all’avanguardia
Le Alpi sono un territorio che incide poco sulle
emissioni di anidride carbonica e sul riscaldamento
globale, tuttavia ne subiscono più direttamente
gli effetti con lo scioglimento dei ghiacci, la
migrazione della flora verso quote più elevate
e la diminuzione delle precipitazioni nevose.
Ma proprio da questo territorio nascono, dal
basso, i progetti più innovativi e interessanti
volti alla protezione dell’ambiente: lo sviluppo
di case passive, le produzioni alternative di
energia elettrica, la limitazione del traffico su
gomma e gli incentivi per fini turistici della
mobilità dolce. Ridurre le automobili in quei
luoghi dove il loro impatto è più evidente, dove
il loro rombo dà più fastidio e dove i costi di
manutenzione della rete stradale, a carico della
collettività non certo degli automobilisti, sono
più elevati rappresenta dunque il futuro in
montagna, sia per chi vi abita e lavora, sia per
i turisti, che possono così imparare qualcosa
da riportare con sé in città, finita la vacanza.
Info: www.alpine-pearls.com/it/home.html.
◢
alpidoc 82 •
9
scialpinismo
Quei campioni in pelli e tutina
Il Valle Stura Sci Club, con gli atleti del Team Bottero, scala le classifiche del circuito Piemonte Ski Alp
Testo di Irene Borgna
S
ono animali inconfondibili e fanno
ormai parte della fauna locale. Il loro
habitat d’elezione è la neve fresca, anche
se nelle ore notturne e in caso di maltempo
non disdegnano quella battuta. Mentre la
domenica sali con lo zaino imballato di panini
e vestiti pesanti, ti sorpassano sbuffando
con addosso una tutina aderente che mette
freddo a vederla. Normalmente devi ancora
raggiungere la vetta che quelli già scendono,
e mentre sei lì che ti togli le pelli, fai pranzo e
scatti qualche foto, eccoli che risalgono, e c’è
da giurare che saranno di ritorno alla macchina
prima di te. Chi sono? Da dove vengono? Chi
li manda? Ma soprattutto, perché lo fanno?
Sono i garisti dello scialpinismo e nel panorama
locale hanno una nuova rappresentanza, il Team
Bottero Ski Alp del Valle Stura Sci Club, forte
di un direttore tecnico motivatissimo, Giorgio
Giraudo, e di undici atleti: Fabrizio Armando
(Beinette), Fabio Cavallo (Peveragno), Carlalberto
“Cala” Cimenti (Pragelato), Cristina Clerico
(Cuneo), Maurizio Enrici (Boves), Mauro Giraudo
(Valdieri), Erica Magnaldi (Cuneo), Fabrizio
Sopra: Pettavino, Moletto, Clerico, Giraudo,
Cavallo e Armando dopo la gara di Garessio
(foto Archivio Team Bottero Ski Alp).
10 • alpidoc 82
Mandrile (Cuneo), Marco Moletto (Limone) ed
Erik Pettavino (Limone). Hanno esordito alla
grande l’8 dicembre al San Sicario Vertical:
Cristina Clerico si è imposta in campo femminile,
mentre fra gli uomini hanno dato ottima prova
di sé Fabio Cavallo (6°), Fabrizio Armando (7°),
Maurizio Enrici (9°) e Cala Cimenti (13°).
Alla seconda gara stagionale, disputata il
giorno di Santo Stefano a Doues, in Val
d’Aosta, Fabio Cavallo si è confermato amico
del 6° posto, con una prestazione di assoluto
rispetto che lo ha visto a soli due minuti dal
podio. Ottime anche le prove di Maurizio Enrici
(10°) e Fabrizio Armando (11°).
Il Team Bottero ha poi chiuso in bellezza il 2012
con la conquista della Val Tanaro: a Garessio, il
29 dicembre, la nuova squadra ha fatto man
bassa, imponendosi nella classifica maschile,
nella classifica giovani e anche nella classifica
a tecnica libera femminile. In campo maschile,
prestazione di assoluto rilievo di Marco Moletto,
che ha superato i 500 metri di dislivello nello
strepitoso tempo di 18 primi e 40 secondi. Al
secondo posto il tenace atleta locale Alberto
Fazio, che ha regolato in volata l’ottimo e
costante Fabio Cavallo; al quinto posto si è
piazzato Fabrizio Armando, al dodicesimo
Mauro Giraudo, attardato da un guaio tecnico.
Lascia ben sperare poi l’affermazione di Erik
Pettavino, mascotte sedicenne della squadra,
che si è imposto nella categoria giovani, facendo
anche segnalare il decimo tempo assoluto.
Il Team ha infine voluto dire la sua anche in
campo femminile: miglior tempo assoluto e
prima nella categoria tecnica libera è risultata
Erica Magnaldi, di estrazione fondista e volto
nuovo dei vertical di Ski Alp. ◢
sentieri e rifugi
I Sentieri dei Saraceni pronti
all’assalto degli esursionisti
Sistemata in alta Valle Tanaro la nuova segnaletica verticale
Testo di Massimo Andreis Allamandola
L
a proposta di intervento denominata “I
Sentieri dei Saraceni” ha avuto un lungo
iter tecnico e burocratico iniziato nel lontano
2009, ed è passata attraverso la riforma degli
enti montani preposti alla sua realizzazione, ma
alla fine, grazie anche al supporto delle sezioni
CAI di Ormea e di Garessio, possiamo con
soddisfazione affermare che il progetto è stato
portato a termine e pure l’alta Valle Tanaro ora è
dotata della nuova segnaletica verticale CAI sui
principali sentieri che attraversano le Alpi Liguri .
Il lavoro ha previsto la posa di oltre trecento
nuove frecce di direzione e di circa un centinaio
di nuove paline; dove è stato possibile, abbiamo
riutilizzato quelle già presenti in loco.
Interessati dall’intervento sono stati i sentieri
del settore del Colle di Casotto, Mindino e
Alpe di Seno, quelli della Balconata di Ormea,
quelli del Monte Armetta, Cantarana e Ormea,
quelli della Valle Pennavaire, e quelli del settore
del Colle San Bernardo e Monte Galero tra il
Piemonte e la Liguria.
Il lavoro principale di infrastrutturazione è stato
completato tra i mesi di settembre e ottobre
2012, ma durante l’estate alcuni professionisti
locali in stretta collaborazione con le sezioni CAI
di Garessio e Ormea hanno passato molte ore ad
elaborare le schede degli oltre 150 luoghi di posa
sparsi tra i boschi e le montagne dei rispettivi
territori comunali. Fondamentale è stato l’utilizzo
Il nuovo cartello “a norma” piazzato
poco prima della cima del Monte Armetta;
sullo sfondo il Pizzo di Ormea
(foto di Massimo A. Allamandola).
alpidoc 82 •
11
sperimentale del software Catasto Luoghi di
Posa, che il CAI Piemonte insieme alla Regione
Piemonte sta testando per permettere alle sezioni
CAI interessate di gestire il catasto stesso e per
facilitare la creazione dei pannelli contenenti
le varie tabelle da inviare alle ditte costruttrici
per la stampa. Da parte nostra dobbiamo dire
che questo sofware ci è stato di grande aiuto
per completare in tempo utile l’intero lavoro
rispettando le strette scadenze temporali –
ottobre 2012 – che la Comunità Montana ci
Segnaletica a Pian del Fo, lungo la Balconata
di Ormea verso Viozene (foto di Massimo A.
Allamandola); sotto: i volontari del Gruppo
Sentieri della sezione CAI di Ormea al lavoro
a Nasagò (foto di Ezio Michelis).
12 • alpidoc 82
aveva imposto; a giugno, infatti, ci era stato
presentato un progetto molto poco dettagliato
e soprattutto privo di dettagli esecutivi circa i
luoghi di posa della nuova segnaletica verticale.
Avevamo dunque pochissimo tempo davanti a
noi per “salvare” questa proposta di intervento,
completarla e permettere l’accesso da parte della
Comunità Montana ai Fondi per lo Sviluppo
Rurale-Misura 313 destinati all’infrastrutturazione
della rete sentieristica locale.
Siamo riusciti nell’impresa forse soprattutto
grazie alla passione che ci accomuna per questi
territori delle Alpi Liguri, tra Italia e Francia, a
cavallo tra Piemonte e Liguria, una porzione
dell’arco alpino che un tempo, nei libri di
geografia, era considerata soltanto un’appendice
marginale delle Alpi Marittime, ma che la nuova
Suddivisione Orografica Internazionale Unificata
del Sistema Alpino (SOIUSA), ha riconosciuto
come settore autonomo.
Il progetto ha coinvolto anche molti sentieri di reti
escursionistiche locali, regionali e internazionali
come per esempio la Via Alpina (nello specifico
gli itinerari R151, R152 e R153 e R154 ), l’Alta Via
dei Monti Liguri (tra il Monte Galero e il Colle di
Nava) e la Balconata di Ormea. Laddove possibile,
abbiamo integrato nella segnaletica verticale,
all’interno delle frecce, i loghi di questi itinerari
per facilitare la loro fruizione ai tanti turisti,
soprattutto tedeschi, svizzeri e francesi, che
percorrono ogni anno l’Alta Via e la Via Alpina,
da Garessio al Principato di Monaco e viceversa.
Le principali vette e i principali sentieri delle
Alpi Liguri sono ora più facilmente accessibili
per chi vuole iniziare un trekking partendo dal
fondovalle, dall’abitato di Garessio, dove si ha la
possibilità di scegliere l’itinerario preferito tra la
destra o la sinistra orografica del fiume Tanaro.
Sul versante destro l’escursionista troverà l’Alta
Via dei Monti Liguri che, dal Colle San Bernardo
o dalla Fontana delle Meraviglie, lo porterà
attraverso le creste del Monte Galero, in Valle
Pennavaire. Da lì potrà continuare sull’Alta Via
dei Monti Liguri verso il Monte Saccarello per poi
decidere se sconfinare in Valle Roya o passare nel
Parco del Marguareis.
Sul versante sinistro del Tanaro troverà il Colle di
Casotto e il Monte Mindino, lo storico punto di
partenza della GTA nel 1970, oggi fatta iniziare
da Viozene per comodità e per la mancanza di
posti tappa e di rifugi gestiti in questa parte di
valle (è tuttavia in progetto il recupero di questa
porzione dimenticata di Grande Traversata).
Dal Mindino, attraverso il Colle di Casotto,
l’escursionista potrà risalire e scendere nel
Vallone dell’Alpe di Perabruna, con tappa al
Rifugio Savona (non gestito, di proprietà del CAI
Savona); di lì proseguire verso Ormea attraverso
il Passo della Scaletta, per arrivare a Eca, inizio
ufficiale della Balconata di Ormea.
Da Eca, sulla Balconata, si potrà continuare
attraverso i meravigliosi borghi di Villaro, Chionea,
Aimoni, Quarzina e raggiungere Viozene, per
proseguire, con tappa al Rifugio Mongioie, alla
scoperta delle “meraviglie calcaree” del Parco
del Margaureis.
Questi due itinerari “paralleli” vogliono
simbolicamente rappresentare la “complessità
geomofologica” delle Alpi Liguri, connesse e allo
stesso tempo divise da quel sistema geologico e
geografico che è l’alta Valle Tanaro: un insieme di
valli e montagne che rappresentano un ponte di
collegamento tra il Colle di Tenda e la Bocchetta
di Altare (Colle di Cadibona) .
Speriamo che il completamento del progetto
possa contribuire a far conoscere anche alle
nuove generazioni locali questo particolare
territorio alpino, e insegnare loro a rispettarlo e
a valorizzarlo.
Un ringraziamento particolare a Ezio Michelis,
del CAI di Ormea, senza il quale questo progetto
sarebbe “rimasto sulla carta”, a chi lo ha portato
avanti quando ancora si chiamava “I Sentieri dei
Saraceni”, e a Silvano Damiano del CAI di Pinasca
che ci ha offerto un importante contributo
tecnico per l’utilizzo del software Catasto Luoghi
di Posa del CAI Piemonte.
Il nostro lavoro, attraverso la nuova Commissione
Senteristica Alta Valle Tanaro, costituita
dalle sezioni CAI di Ormea, Garessio e Ceva,
continuerà soprattutto verso settori delle Alpi
Liguri ancora marginali ma non per questo
meno importanti, come tutto il massiccio del
Monte Antoroto, il Colle dei Termini e il Pizzo di
Ormea, l’area e i sentieri della Capanna Sociale
Manolino del CAI di Ceva e il vallone della Conca
Revelli nel Comune di Ormea, dove si trova il
Bivacco Cavarero della sezione CAI di Mondovì:
un vallone di conformazione glaciale molto
particolare, che merita senz’altro una visita e che
è raggiungibile sia da Mondovì, sia da Garessio
o da Ormea. ◢
lutto
Addio a Francesco Musso, presidente TAM Piemonte.
Alla sua memoria dedicato un sentiero in Valle Maudagna
F
rancesco Musso, presidente della Commissione Tutela Ambiente
Montano del CAI Regione Piemonte e Valle d’Aosta, nonché di
Legambiente Cuneo, lo scorso settembre, a soli sessantacinque anni,
ci ha improvvisamente lasciati. Domenica 7 ottobre, autorità CAI,
operatori TAM e amici si sono dati appuntamento a Miroglio, in
Valle Maudagna, per inaugurare il sentiero Rocca Davì a lui dedicato.
L’iniziativa è stata di Lodovico Marchisio, vicepresidente della
Commissione TAM, che per ricordare Musso ha pensato di intitolargli un percorso
proprio nei luoghi in cui egli aveva organizzato il suo ultimo convegno. In meno di un
mese i volontari della sottosezione GEB (Gruppo Escursionisti Bancari) della sezione
CAI di Torino, di cui Marchisio fa parte, si sono attivati per rendere agibile il sentiero
che da Miroglio, transitando nei pressi delle Grotte del Caudano, ricollega ora Frabosa
Sottana. Percorso, questo, che è intenzione del CAI, in collaborazione con le Alpi del
Sole e Legambiente, attrezzare completamente e accatastare.
alpidoc 82 •
13
I vent’anni del Sentiero Cavallero
L’anniversario dell’inaugurazione del percorso celebrato ad Acceglio
per iniziativa del Gruppo Alpinistico Benese del CAI Fossano
Testo di Bruno Comina
R
itrovarsi vent’anni dopo per un sentiero? O
per Roberto?
Per te, ragazzo speciale e indimenticabile, che
fai ancora commuovere non solo i tuoi amici di
allora ma anche i giovani di oggi che si guardano
stupiti e si chiedono perché tanto pathos nelle
parole, nei visi, nell’aria che si respira quando
si parla di te.
Alcuni stralci di articoli tratti da Nuovi Sentieri
(pubblicazione del CAI di Fossano) nei numeri
usciti dal settembre 1991 al settembre 1992.
È stata proprio una festa. Per due giorni la tua
casa si è riempita di amici e conoscenti e il giorno
della tua partenza c’erano tutti, proprio tutti, a
dirti “ciao, arrivederci, ci mancherai”. Non avevo
mai visto tanta sincerità e spontaneità in un
saluto, tante irrefrenabili lacrime senza padrone
che, come un torrente in piena, bagnavano i fiori
che ti avevamo portato.
Qualcuno, che non ti conosceva bene, si è
anche un po’ stupito, però era lì anche lui
perché nessuno poteva mancare. E poi i
giovani, a cantare e suonare per te come tu
tante volte avevi fatto per loro e che, anche a
festa finita, nessuno riusciva a portar via, a far
tornare a casa.
Non vogliamo qui parlare di Roberto perché per
il tracciato
I
l Sentiero Cavallero è un sentiero escursionistico ad anello che
si sviluppa in alta Valle Maira. È dedicato a Roberto Cavallero,
alpinista morto il 30 giugno 1991, a soli diciotto anni, in un incidente
presso il Colle della Forcellina, sul tracciato del sentiero medesimo.
Dopo la scomparsa di Roberto, fu indetta una sottoscrizione a favore
della famiglia, la quale decise di destinare i fondi a un’iniziativa
legata alla montagna. Il Gruppo Alpinistico Benese del CAI di
Fossano si occupò della realizzazione del tracciato, basandosi
su un’idea di Nino Perino. Durante l’inverno 1991-1992 si perfezionò l’organizzazione
logistica (integrazione dei fondi, ricerca dei materiali, eccetera) e nel 1992 si provvide a
completare la tracciatura e la segnalazione del percorso, che fu inaugurato il 27 settembre
1992. Il percorso si sviluppa in cinque tappe, quasi interamente nel comune di Acceglio;
ogni tappa ha termine in corrispondenza di una struttura atta alla sosta, rifugio, bivacco o
posto tappa GTA. Si parte dal Campo Base di Chiappera, frazione di Acceglio, e attraverso
il Colle Maurin si raggiunge il Bivacco Barenghi (primo giorno); per questa prima parte
dell’itinerario si consiglia l’utilizzo di imbracatura, perché è necessario attraversare il Passo
di Terre Nere, molto esposto e attrezzato con catene. Dal Barenghi si raggiunge il Bivacco
Bonelli, attraverso il Passo della Forcellina dove morì Roberto (secondo giorno). Dal Bonelli si
raggiunge il Bivacco Enrico e Mario (terzo giorno), lungo un sentiero che passa alla base del
Monte Oronaye. Dal Bivacco Enrico e Mario si raggiunge il posto tappa GTA di Chialvetta
(quarto giorno); il percorso prevede il superamento del Monte Scaletta, dove sono tuttora
presenti trincee e tunnel (utile munirsi di una torcia) realizzati dai soldati
14 • alpidoc 82
chi ha avuto la fortuna di conoscerlo sarebbero
ben poca cosa queste quattro righe, mentre per
chi non l’ha conosciuto non basterebbero certo
per chiarire né chi era né quanto ha lasciato in
tutti noi.
Il Gruppo Alpinistico Benese “Dario Oreglia”
coltiva una speranza: riuscire a realizzare un
sentiero da dedicare alla memoria di Roberto
che troppo presto ci ha lasciati. I costi, sia
materiali che di impegno, sono certamente
alti e superiori alle nostre attuali forze, ma con
l’aiuto di molti, soci e amici che sicuramente
ci daranno una mano, siamo certi che questa
speranza non sarà un sogno ma un modo di
tradurre un sogno in realtà. Per Roberto, per
la sua famiglia, per tutta Bene.
Impegnativo giro escursionistico di cinque giorni
in alta Valle Maira seguendo antiche tracce
abbandonate e vecchie mulattiere militari fra
scenari di incomparabile bellezza paesaggistica.
Lo scorso 30 settembre, ad Acceglio, si
è celebrato il ventesimo anniversario
dell’inaugurazione del Sentiero
Cavallero.
In programma, dopo la messa
celebrata da padre Oreste, l’esibizione
della Banda Musicale Città di Bene
Vagienna, del Coro Alpini Sezione
ANA di Bene Vagienna, del Coro Paolo
Aguzzi del Gruppo Seniores del CAI
Fossano Coj del Fià Curt, seguita dal
pranzo.
La manifestazione è stata organizzata
con la collaborazione di Bene Banca
Credito Cooperativo di Bene Vagienna,
Comune di Bene Vagienna, Club
Alpino Italiano Sezione di Fossano,
Comunità Montana Valli Maira e
Grana, Comune e Pro Loco di Acceglio,
Salumificio Benese, Etichettando Arti
Grafiche Benesi.
italiani in previsione del
conflitto con la Francia
nel ventennio fascista.
Si conclude il percorso
raggiungendo le
sorgenti del Maira
e di qui il Campo
Base di Chiappera
(quinto giorno).
Il sentiero è indicato con
segnavia di vernice rossi e blu
e con la sigla “SRC”; nei tratti su
pietraia, “ometti” di pietre e
paline in legno aiutano ad
individuare il tracciato. È
necessario ricordare che alcune parti
del “Cavallero” sono in comune con
altri sentieri. Ogni anno, durante l’estate, il
Gruppo Alpinistico Benese organizza un’escursione
giornaliera lungo una parte del sentiero; quando
si raggiunge la meta viene celebrata la messa in
ricordo di Roberto.
alpidoc 82 •
15
Alcuni momenti della messa celebrata in ricordo di Roberto Cavallero: il discorso del presidente del CAI
Piemonte, il fossanese Michele Colonna; le esibizioni del Coro Paolo Aguzzi del Gruppo Seniores del
CAI Fossano Coj del Fià Curt e del Coro Alpini Sezione ANA di Bene Vagienna (foto di Giancarlo Rejneri).
Il sentiero, decisamente in quota per le nostre
zone, viaggia su un’altezza intorno ai 2500 metri
per quattro giorni. Solo partendo da Chiappera
e toccando Chialvetta si scende sotto i 2000
metri. In tutto circa 50 chilometri di sentiero
tracciato in modo discreto ma preciso nei punti
importanti, perché non vogliamo precludere a
nessuno quel po’ di ricerca personale o quelle
volute varianti che fanno dell’andar per monti
una delle caratteristiche più piacevoli.
Quando Nino ci disse che il sentiero era bello
e che meritava una sistemazione si sbagliava:
dire bello è molto riduttivo, è ben più che solo
bello! Unisce passi, creste, canaloni, valloni in
un continuo alternarsi di situazioni e paesaggi,
di inaspettate scoperte e sicure conferme che
abbiamo provato percorrendolo e che il depliant,
per quanto necessario, anticipa e perciò in
parte diminuisce. Avevi proprio ragione, questo
16 • alpidoc 82
sentiero bisognava farlo e noi, grazie a due
nostri amici, Dario e Roberto, ora siamo riusciti
a realizzarlo. È questo un grazie a denti stretti e
con il rimpianto nel cuore perché nessun sentiero
potrà rassegnarci all’idea che quanto abbiamo
fatto proprio loro non possano percorrerlo. Dario,
al quale dobbiamo la nascita del gruppo, Roberto
per cui cui risentiamo un tonfo nel cuore ogni
volta che prendiamo in mano il depliant ormai
stampato sul quale il suo nome, nostro malgrado,
compare. Io no so quanto avanti andremo, quanto
riusciremo ancora a fare con le nostre forze ora
che ci siamo messi in cammino. Quanto abbiamo
fatto in questi due anni è senz’altro molto, forse
troppo, ma questa partenza così forte, così
toccante per tutti, sicuramente lascerà un segno,
uno slancio che non si fermerà tanto facilmente.
E così, dopo vent’anni, possiamo ben affermare
che quello slancio continua. Un po’ di storia
era indispensabile per capire con quali radici è
cresciuta la nostra pianta. In questi venti anni il
gruppo ha organizzato moltissime gite portando
in montagna un numero di persone allora
impensabile. E il sentiero è ancora lì, sempre in
ordine, ben segnato, curato. I 35.000 depliant
finora stampati testimoniano l’interesse della
gente, le tracce nate in questi anni su molti
tratti di pietraia evidenziano continui passaggi,
i pendii di alcuni ripidi colli ripuliti dal pietrisco
che li ricopriva a causa dei molti talloni che
cercavano di frenare la discesa sono la miglior
prova che il sentiero continua a essere percorso
ogni anno.
E infine la festa ad Acceglio per ricordare sì il
sentiero, ma soprattutto chi ci ha lasciato.
Quindi di nuovo, come vent’anni fa, prima
in chiesa, la messa, la banda, i cori, i discorsi
tutt’altro che formali ma solo e totalmente di
cuore. Si è nuovamente respirata quell’aria che
ci ha commossi come allora, come se fosse ieri
che tutto è successo, che tutto è stato fatto.
Gian, Claudio, Angelo, Michele, Nino, Riccardo
non sono stati altro che corde che, senza alcun
accordo preventivo, hanno vibrato all’unisono
nel ricordo con quello strano sapore del dolore
che tutti in qualche modo abbiamo dentro e che
tutti ci accomuna.
E poi via, a mangiare qualcosa tutti insieme
Il Rifugio Livio Bianco
aperto on demand
A
nche quest’anno il rifugio,
raggiungibile da Sant’Anna
di Valdieri in circa tre ore di cammino,
condizioni neve e meteo permettendo,
sarà aperto su prenotazione tutti
i weekend a partire da sabato 2 marzo
fino all’apertura ufficiale a metà
giugno.
Per prenotazioni e info:
[email protected]; gestore:
Livio Bertaina, 335.5461677,
0171.698600; notizie aggiornate su
meteo e innevamento sul sito
www.rifugioliviobianco.it.
(circa duecento persone) in allegria vera, sentita,
profonda sotto il tendone che la Pro Loco di
Acceglio ci ha messo a disposizione aiutandoci
nell’organizzazione logistica della giornata. È
filato tutto liscio, tutto “calcolato e perfetto”
come meglio nessuno avrebbe potuto non
conoscendo in anticipo il numero dei partecipanti
(un po’ di fortuna ci vuole anche o no!). La chiesa
piena zeppa, ma nessuno in piedi, il tendone
pieno zeppo, ma tutti seduti con il proprio vassoio
e il vino che veniva spillato in continuazione da
tre damigiane che non siamo nemmeno riusciti
a finire.
Un grazie di cuore ai partecipanti, a tutti coloro
che ci hanno dato un aiuto, a chi ha offerto
musica come a chi ha offerto contributi, ma
soprattutto un grazie a chi ha lavorato perché
tutto andasse per il meglio. E tutto è andato per
il meglio!
Anche il meteo, dopo le piogge continue del
sabato e le previsioni per nulla incoraggianti.
Svegliarsi domenica mattina ad Acceglio con il
cielo sgombro di nubi ci è sembrato quasi un
miracolo. E poco importa che nel pomeriggio
la pioggia abbia ricominciato a cadere. Era ormai null’altro che un tardivo sfogo del tempo
che in nessun modo avrebbe potuto rovinare
la giornata, men che meno un sereno rientro
a casa. ◢
Novità alla Casa Alpina di Sant’Anna di Valdieri
L
a Casa Alpina “Giraudo” di Sant’Anna
di Valdieri riprende le attività. Il
Parco Alpi Marittime, che gestiva la
struttura per conto della Provincia di
Cuneo, attraverso un bando pubblico
l’ha affidata per quattro anni a Michela
Formento. Aperta dal mese di maggio
a quello di ottobre, la Casa Alpina
è particolarmente adatta a ospitare
gruppi: dispone infatti di 90 posti letto
oltre che di ampi spazi per attività comuni
e all’aperto. I soggiorni possono essere
in autogestione, B&B, mezza pensione e
pensione completa. Info: 333.2666450.
alpidoc 82 •
17
Perché la Valle Grana ci crede ancora!
Un gruppo di volontari e di operai forestali della Regione ha ritracciato
il sentiero che collega Narbona con il Santuario di San Magno
Testo di Maurizio Giaminardi
I
n un periodo di grande incertezza per il
futuro delle piccole comunità di montagna,
Castelmagno crede ancora nella propria
sopravvivenza e nella possibilità di uno
sviluppo che dia spazio a nuovi insediamenti.
A volte questa speranza è alimentata anche da
traguardi che possono apparire piccoli, ma che
racchiudono in sé grandi significati.
Ne è un esempio la ricostruzione del sentiero
che collega la borgata di Narbona con il
Santuario di San Magno attraverso il Colle delle
Crosette. Grazie all’impegno e alla professionalità
degli operai forestali della Regione Piemonte,
a cui va tutto il nostro sincero ringraziamento,
e a un nutrito gruppo di volontari della valle,
oggi è di nuovo possibile percorrere un itinerario
particolarmente suggestivo dal punto di
vista naturalistico, che si snoda tra gole ripide
seguendo per un tratto il Rio Narbona, per poi
18 • alpidoc 82
inerpicarsi deciso verso il colle sopra citato.
Qui è particolarmente pregevole l’intervento
delle squadre forestali che hanno letteralmente
ricostruito i cinquanta e più tornanti che
consentono la risalita.
Questo è solo un tassello di una serie di iniziative
che, unitamente al recupero architettonico
della Borgata Valliera e alla recente riapertura
nella stessa località di un rifugio escursionistico,
dimostrano come sia giusto crederci ancora e
come siano tanti coloro che la pensano come noi.
Grazie a questo intervento oggi è possibile
percorrere a piedi tutta la sinistra orografica
della Valle Grana – disponendo di un punto di
appoggio sia a Valliera sia a Chiappi-San Magno – e proseguire la traversata in direzione della Valle
Maira. Per la descrizione dell’itinerario si rimanda
alla pagina internet www.castelmagno-oc.com/
pres_cast/sentieri/champ_arb.htm. ◢
speleologia
Piaggia Bella ha un nuovo ingresso
La sedicesima entrata è stata battezzata Suppongo ed è il risultato
di uno scavo condotto da svariati gruppi nell’arco di tre anni
Testo di Alberto Gabutti, GSP
S
i è concluso nel mese di agosto un
lungo scavo durato tre estati che ha
permesso di aggiungere un nuovo ingresso
alla Grotta di Piaggia Bella, nel massiccio del
Marguareis. La sedicesima entrata si chiama
Suppongo e termina in Popongo. A parte i
giochi di parole, si tratta di circa cento metri
in pianta, quasi tutti interamente scavati, che
permettono di raggiungere le zone a monte
del sifone dei Piedi Umidi, entrando nelle
Gallerie Popongo scoperte nel 2008.
Sono queste regioni molto complesse, esplorate
intensamente negli anni Ottanta con la giunzione
con la Gola del Visconte (‘83) e con il Gache
(’86) e poi quasi abbandonate fino al 2008
perché raggiungibili solo dopo dieci-dodici ore di
faticosa progressione. Ora sono a un’ora scarsa
dall’ingresso Suppongo, che si trova a cinque
minuti dalla Capanna Saracco Volante.
Ma lo scavo di Suppongo, oltre a riaprire
una finestra esplorativa che potrebbe portare
ad altri risultati importanti, è stato un vero
momento di “libera speleologia”. Vi ha
partecipato quasi una cinquantina di speleologi
di diversi gruppi. Non solo speleo piemontesi,
liguri e francesi, che sul Marguareis sono di
casa, ma chiunque sia transitato in Capanna
in queste tre estati ha dato il suo contributo.
La giunzione è il risultato della “speleologia del
Marguareis” – non di uno o più gruppi – e si
spera lo stesso avvenga per le esplorazioni del
“dopo Suppongo”. ◢
E da Suppongo siamo arrivati a Popongo!
(foto Archivio GSP).
alpidoc 82 •
19
© costarossa - foto Nanni Villani
Meglio un giorno da sambucana…
La pecora sambucana è sinonimo di carne particolarmente magra, tenera e
gustosa… non a caso l’agnello sambucano, commercializzato dalla cooperativa Lou
Barmaset, è diventato un Presidio Slow Food; di Latte, che viene trasformato
in toumo, un saporito formaggio tipico locale; di Lana, molto resistente e di ottima
qualità, che il consorzio l’escaroun, in collaborazione col LaniFicio FrateLLi
Piacenza di Pollone, lavora per confezionare maglioni, guanti, sciarpe, berretti, plaid,
acquistabili anche nel punto vendita allestito presso l’ecomuseo della Pastorizia a
Pontebernardo.
consorzio l’escaroun
per la valorizzazione della pecora sambucana
comunità Montana Valle Stura
via Divisione cuneense 5, 12010 Demonte (cn),
tel. 0171/955555, fax 0171 955055, www.vallestura.cn.it
cronaca alpinistica
Prime salite
a cura di Gianfranco Ghibaudo, [email protected]
◢ liguri ◣
• Monte Mongioie
Rocca dei Campanili (2390 m)
»Parete sud
» 1. Trial
» M. Valente e C. Rizzo
» agosto 2010
Sviluppo: 180 m.
Difficoltà: TD (6b max, 6a obbl.).
Attacco: a dx della via Nonno sprint (nome alla base).
Salita: vedi Alpidoc n. 77.
» 2. Due bottoni nel pozzo
» A. Pozzi & C. L1 e L2, richiodata, finita e pulita
da M. Valente e C. Rizzo nell’agosto 2011
» 3. Afa
» M. Valente e C. Rizzo
» agosto e novembre 2011
Sviluppo: 170 m.
Difficoltà: TD (6b+ max, 6a+ obbl.).
Tral, Due bottoni nel pozzo, Afa
Sviluppo: 160 m.
Difficoltà: TD+ (7b? max, 6b+ obbl.).
Attacco: a dx della precedente (nome alla base).
Salita: vedi foto.
L1) 6c.
L2) 7b (da confermare?).
L3) 6b+.
L4) 6a.
L5) 6b.
Discesa:
C1) sulla via fino a una catena solo di calata (45 m).
C2) sulla via fino ad arrivare alla S2 sul bordo dello
strapiombo (45 m).
C3) fino a terra (55 m).
Note: via molto esigente nei primi due tiri anche se
addolcita dalla ottima richiodatura sportiva. Roccia
super su L2, L3 e L5. Ancora da liberare L2. Sono
necessarie due corde da 55 metri e dodici rinvii.
alpidoc 82 •
21
22 • alpidoc 82
Gli arrampicatori del cielo
Attacco: a dx della precedente (nome alla base).
Salita: vedi foto.
L1) 6a+/6b.
L2: 6b+.
L3) 6b+/6c.
L4) 6a.
L5) 6b.
Discesa:
C1) sulla via fino a S3 (50 m).
C2) in verticale fino a una sosta indipendente sul
bordo dello strapiombo (50 m).
C3) fino a terra (50 m).
Note: via bellissima e omogenea, un po’ più difficile
di Trial, interamente chiodata a fix inox da 10 mm.
• Monte Moro
Rocce del Gatto
» Cresta ovest
» Gli arrampicatori del cielo
» Via aperta in due riprese da Igor Napoli
dapprima con Laura Ottonelli, poi terminata
con Enrico Rosato il 4 marzo 2007
Sviluppo: 300 m.
Difficoltà: D (5+ max).
Accesso stradale: esistono due possibilità: A)
Mondovì, Frabosa Sottana, Pratonevoso, Baita delle
Stelle (1700 m. ca.), se la sbarra non è abbassata,
e di qui scendere per rododendri e pietraie quasi
fino alla base dei torrioni più bassi; B) lasciare
l’auto una decina di chilometri prima della Baita
(a 1000 m ca.), in uno spiazzo della strada per
Artesina-Pratonevoso, a monte dei due tornanti
che precedono la caratteristica chiesetta dove
cui la strada si sdoppia. Si imbocca una comoda
mulattiera sulla sx che porta ad alcune prese
d’acqua. Ultimamente sono stati fatti dei tagli nel
bosco, con relative stradine di servizio.
Avvicinamento: prendendo le ultime diramazioni
a sx di queste nuove tracce, ci si avvicina in modo
abbastanza pulito alla via. L’attacco si trova a 1470
metri circa, nei pressi di un gruppetto di faggi
addossati alla parete, poco sopra un altro risaltino
di poca importanza.
Salita: vedi foto.
L1) si attacca un muretto grigiastro con fessure, in
direzione di una prima clessidra, a circa 3 metri da
terra, seminascosta dietro un arbusto (4, 4+). Poi il
primo spit (piuttosto in alto, a 12 metri, segnalato
da un pezzo di nylon) e successivamente un blocco
incastrato con cordone (5+). Nut piccolissimo, quindi
friend n. 4 in bella fessura verso sx. Uscita a sx (5+),
ancora in fessura, con altra pietra incastrata da
fettucciare. Sosta comoda su 2 spit (30 m).
L2) si sale un bel muro che diventa giallastro (3 spit,
4+), poi si attraversa a sx, leggero strapiombo e sosta
su fettucce (20 m).
L3) trasferimento facile di 60 metri su cresta rocciosa
(2), sosta su fettucce.
L4) si sale la cresta (uno spit alto molto a dx su
una lama e un chiodo a V (sosta su fettuccia, 3+,
4, 20 m).
L5) cresta (4, 5, 2 spit, sosta su fettucce, 20 m).
L6) placca abbattuta (4, 3+), poi placca verticale (4,
4+, 2 spit, sosta con fettucce, 30 m).
L7) si scende qualche metro sulla dx. Bel risalto
verticale (tratto chiave, 3 spit, 4+, 5). Chiodo, spit in
fessura lievemente strapiombante (5, 5+). Sosta su
comodo terrazzino (uno spit solo perché molto facile,
integrare con uno o due friend o nut, 30 m).
L8) si sale in cresta (4+ in partenza), poi senza
percorso obbligato (sosta su fettuccia, 3, 2, 60-70 m).
L9) si scende una decina di metri sulla dx del filo
di cresta. Si continua su bella placca dapprima
appoggiata (5+, 5, 4+, 3 spit). Poi si sale un muretto
giallo (5, 1 spit, sosta su 2 spit con anello, 20 m).
Attenzione: la doppia per scendere non conviene
farla qui, meglio proseguire su L10.
L10) cresta (3+ in partenza), poi si cammina sino
alla calata (20 m).
Discesa: si usa la calata a sx, su placca molto bella,
dov’è attrezzato un bel monotiro di 25 metri.
Note: via molto panoramica ma di scarso ingaggio,
adatta a chi arrampica bene sul quinto grado e vuole
cimentarsi su una via “di montagna” utilizzando
spit e protezioni veloci. L’ambiente circostante,
ameno e bucolico, la scarsa esposizione, congiunta
alla possibilità di abbandonare la cresta pressoché
in qualsiasi momento, facilita le cose e trasforma
il viaggio in un’avventura antistress. Nel volume
Mondolè e dintorni Igor Napoli diceva che per
una ripetizione erano necessari il martello e qualche
chiodo. Adesso i chiodi che mancavano sono stati
piantati, quindi il materiale occorrente per una
ripetizione si riduce a 2-3 nut piccoli, un mazzetto
di friend dall’1 al 4, fettucce; una corda da 50 metri
è sufficiente. Roccia nel complesso buona. Sulla via
sono presenti 23 spit e 4 chiodi.
alpidoc 82 •
23
◢ marittime ◣
• Monte Ponset
Anticima sud-ovest (2604 m)
» Parete sud-ovest
» On a fait le job!
» F. Praz e B. Bernard
» 21 giugno 2011
Matte One
Sviluppo: 200 m.
Difficoltà: TD (6a max, 5+ obbl.).
Avvicinamento: da Madone de Fenêtre si segue il
sentiero del Vallon du Ponset, lo si abbandona alla
quota di 2150 metri circa e si sale ai piedi dell’Anticima Sud-ovest del Ponset (parete caratteristica
a forma di triangolo). Risalendo dei facili gradini
rocciosi si arriva all’attacco della via.
Salita:
L1) si sale nel punto più basso, si supera uno strapiombo bianco sulla sx, si traversa un po’ a dx e si
raggiunge il filo dello sperone poco marcato. Sosta
su un ripiano (6a, 5+, 1 chiodo, 45 m).
L2) si sale e dopo 20 metri si raggiungono delle
24 • alpidoc 82
rocce rosse a sx della sosta. Si supera una placca
direttamente, all’altezza di un chiodo, si traversa a
dx e si raggiunge un piccolo diedro, lo si supera e si
raggiunge una bella placca, poi si sosta sul filo di
cresta (5+, 50 m).
L2 bis) da una cengia facile si scende 5 metri a sx e
si sosta su un pino (1 chiodo).
L3) si traversa leggermente a sx e si sale diretti una
placca fino a raggiungere il filo di un pilastro. Si evita
uno strapiombo a sx e si sale a sx fino a raggiungere
una zona con alberi (5+, 40 m).
L4) si raggiunge la cresta sud-ovest fino a una breccia
e si sosta su un pino (4, 40 m).
Si continua diritto in cresta e si contorna un gendarme
passando a sx. In cresta fino alla cima.
Discesa: da una breccia dietro la cima, si scende sul
versante ovest per un evidente canale.
Note: via di stampo classico, non attrezzata (solo tre
chiodi in posto); portare friend e fettucce.
• Contrafforti di Lausa Bruna
» Parete est-sud/est
» Matte One
» Barbara Buffa, Matteo e Paolo Cavallo
» 25 agosto 2012
Sviluppo: 120 m.
Difficoltà: D- (5b max).
Salita: vedi foto.
Attacco: direttamente dal sentiero in comune con la
via Calma baby (spit visibili).
L1) si sale un muro, poi una placca e breve traverso
a sx fino alla sosta (4c, 25 m).
L2) si sale direttamente sopra la sosta fino in cima al
primo pilastro, poi in diagonale a sx sulla faccia dx
del canale fino alla sosta (5b, 4a, 35 m).
L3) dalla sosta si attraversa il canale verso sx, poi si
supera un diedrino uscendo subito a sx su una bella
placca. Direttamente per belle placche fino in cima,
dove finisce anche la via Fortunadrago (4c, 5b, 58 m).
Discesa: con due doppie utilizzando la prima sosta
di Calma baby (attenzione: la prima è da 60 metri
esatti) o con tre doppie utilizzando la seconda sosta
di Calma baby e la seconda di Fortunadrago e
ancora la prima di Calma baby.
Note: via aperta, come le altre, dal basso, con difficoltà
contenute ma continue, su muri e belle placche su
roccia molto buona. Indispensabili corde da 60 metri.
» Parete sud
» Perturbazione addominale
» Igor Napoli e Diego Fiorito nel 2011
terminata il 23 giugno 2012 da Igor Napoli
e Mauro Costamagna
Sviluppo: 300 m ca.
Difficoltà: TD- (5c max).
Avvicinamento: come per la via Normale, che si
userà in discesa. In un’ora di cammino si raggiunge
il grande masso (nella foto indicato con la M), dove
si possono lasciare alcune cose. Quindi ancora una
quindicina di minuti nel canale alla sx del masso,
superando un primo risalto, poi una quinta rocciosa
dietro la quale attacca la via (spit visibile sulla placca).
Salita: vedi foto.
L1) si sale verso dx su roccia non eccezionale (3a,
4a, 55 m).
L2) ci si trasferisce in cresta, verso la placconata scura
caratterizzata da una larga fessura. Sosta su uno spit,
su comodo terrazzino (3a, 4a, 20 m).
L3) si sale inizialmente a dx uno spigoletto, si
continua su placca, spaccata a sx, spigolo e placca
finale (5b, 5c e un passo di 6a, 55 m).
L4) si affronta il grande gendarme non direttamente,
ma con un giro verso dx. Sosta su aereo terrazzino in
parete verticale (5b, 5c, 50-55 m).
L5) si sale con partenza verticale. Si arriva in punta
al gendarme con arrampicata divertente su roccia
arancione ben appigliata. Sosta e ancoraggio per una
calata di 30 metri su uno spit e cordone, sul filo di
cresta. Ci si cala nel canale di dx, senza affrontare lo
scuro e rotto secondo gendarme che segue. Si risale
il canale appena raggiunto per una decina di metri,
fino a trovare sulla dx, su una placca chiara, il primo
spit dell’ultimo tiro (5b, 5c, 5a, 53 m).
L6) si sale su roccia a tratti un po’ meno bella degli
ultimi tre tiri. Segue il bordo dx del canale, per placche
articolate e un traverso a sx. Ultima sosta su due spit
(4a, 5a, 55 m). Si segue un canale di 30 metri fino a
uscire in vetta.
Note: via attrezzata con spit da 10 mm, utili corde da 60
metri, necessario un assortimento di nut (o friend) medio
piccoli, tre-quattro fettucce. I primi due tiri non sono
esaltanti a causa della qualità della roccia, che necessita
attenzione. Interessanti le lunghezze 3, 4 e 5. È l’unica
via di roccia che raggiunge la vetta della Maladecia.
Perturbazione addominale
• Punta Maladecia
Gendarme sud (2750 m)
alpidoc 82 •
25
• Testa Gias dei Laghi (2739 m)
» Parete sud-ovest
» 62 anni e non sentirci
» L. Orsi
» estate 2012
62 anni e non sentirci
Difficoltà: TD+ (6b+ max, 6a+ obbl.).
Sviluppo: 250 m.
Accesso stradale: dopo Vinadio si imbocca la
provinciale che sale a Sant’Anna di Vinadio e si
prosegue per 4 chilometri oltre il bivio per il Colle
della Lombarda fino a svoltare a sx sulla sterrata
(poco prima di un lungo rettilineo in salita) che sale
alla Comba Mourrè (strada dissestata, conviene
lasciare l’auto all’imbocco della sterrata).
Avvicinamento: si continua per un sentiero che sale inoltrandosi nel vallone; quando questo piega decisamente
a dx si prosegue nella pietraia (ometti) fino all’evidente
parete (30-45 minuti dalla strada provinciale).
Salita: vedi foto.
L1) 6a.
26 • alpidoc 82
L2) 5c.
L3) 6b+.
L4) 5c.
L5) 6a+.
L6) 6a.
Discesa: si scende facilmente a piedi sulla dx della
parete dal colletto.
Note: via attrezzata completamente a fix da 10 mm.
Utili dodici rinvii, corda da 50 metri, set di friend (non
indispensabile). Roccia da buona a molto buona,
attenzione a uno spuntone all'inizio di L5.
◢ COZIE MERIDIONALI ◣
• Rocca la Meja (2831 m)
» Parete sud
» Eppure il vento soffia ancora
» S. Aragno, M. Bernini e M. Piras
» luglio 2012
Eppure il vento soffia ancora
Sviluppo: 300 m ca.
Difficoltà: TD+ (6c/6c+, 6b obbl.).
Avvicinamento: da Demonte in Valle Stura oppure
da Castelmagno in Valle Grana si sale fino al Colle
di Valcavera da dove si scende all’altopiano della
Gardetta e si prosegue per la sterrata fino al Colle
Margherina; evidente da qui la parete.
Dal parcheggio al Colle Margherina si segue il sentiero per la cengia della Normale.
La via attacca sullo zoccolo a sx della via Correnti
Gravitazionali (scritta alla base e fix a qualche
metro da terra).
Salita: vedi foto.
L1) si segue il bel muro grigio, prima utilizzando il
diedro di dx poi diritti (4 spit, 5c, 30 m).
L2) si sale una bellissima placca su roccia lavorata
fin sotto il tetto (4 spit, 5c, 30 m, il tiro è abbinabile
al seguente).
L3) si aggira a sx il tetto, ci si sposta a dx alla sosta
(1 spit, 5b, 15 m).
Si supera il pratone (è presente una sosta a metà su
uno sperone grigio) e si prosegue fin sotto lo spigolo della parte alta, posto una ventina di metri a
dx della via 31anni e non sentirli.
Nome alla base.
L4) si segue lo spigolo fino al quarto fix per poi
spostarsi sulla parete di dx (consigliabile allungare
il quarto e quinto rinviaggio), si passa la cengia e in
obliquo alla sosta (7 spit, 6a+, 35 m).
L5) si sale con passi difficili a uscire dalla sosta, poi
dal terzo fix si va verso sx e si continua per muri
rossi e gradoni fino alla sosta (6 spit, 6c/6c+, 35 m).
L6) si sale un bellissimo ma corto diedro (4 spit,
6a+, 25 m).
L7) partenza in fessura poi placca-muro; dal secondo
spit ci si sposta a sx, runout fino allo spit successivo,
ribaltamento non facile e placca (4 spit, 6a+, 25 m).
L8) dalla sosta ci si sposta a sx, spit con cordino,
corto traverso, pochi metri su marciume poi muretto
impegnativo; sosta facoltativa. Se si allungano i primi
due spit la corda non tira (8 spit, 6b, 50 m).
L9) difficili passaggi per andare al primo spit e
superarlo verso destra, poi più facile fino a entrare in
un fessurone; spit all’uscita (3 spit, 6c/6c+, 6a, 30 m).
L10) si sale un bellissimo muretto giallo, primo spit
alto, dopo il secondo è possibile mettere un friend
medio; sosta in cima al pilastro (2 spit, 5c/6a, 25 m).
Discesa: con sei doppie; tutte le doppie a parte la
terza e l’ultima è consigliato farle con una corda
sola. Dall’ultima sosta si fa una calata da 30 metri
tralasciando la sosta di partenza del tiro. Seconda
doppia sul bordo della parete, una sola corda (30 m).
Terza doppia da 50 metri per arrivare alla partenza
del quinto tiro. Altre due doppie da 30 metri. Ultima
doppia dalla base del diedro fino a terra (60 m).
Note: la via parte dallo zoccolo sotto la cengia della
Normale per seguire poi fedelmente il pilastro a dx
di quello di 31 anni e non sentirli, e si sviluppa tra
placche, muri verticali, fessure e diedri.
Itinerario a tratti piuttosto ingaggiato, il grado obbligatorio è meglio avercelo tutto.
Parzialmente attrezzata con fix inox, soste con 2 fix,
cordino e maillon solo nella parte alta.
Utili mezze corde da 60 metri, indispensabile una
serie di friend e undici rinvii.
alpidoc 82 •
27
Seghe con la luna
Dawa Tensing
• Rocca dei Duc
» Parete nord-est
» 1. Seghe con la luna
» Alberto Fantone, Gianluca Bocca e Mario Brovia
» agosto 2012
Difficoltà: TD+ (7a max, 6a+ obbl.).
Sviluppo: 145 m.
Accesso: si parcheggia al ponte per il bivio di Oncino,
si sale la strada in direzione del paese per 100 metri e
si prende una traccia che porta alla base della parete
sotto i grandi tetti (2 minuti).
Attacco in comune con la via Il racconto di Pilar.
Salita: vedi foto.
L1) lunghezza in comune con la via Il racconto di
Pilar (25 m, 5c, 3 spit).
L2) 30 m, 6a+, 6 spit.
L3) 25 m, 7a, 7 spit.
L4) 25 m, 6b, 5 spit.
L5) 40 m, 6c, 9 spit.
Discesa: a piedi sulla sx guardando la parete, su
traccia nel bosco con bolli rossi (10 minuti).
Note: la via supera il grande tetto di sx con un tiro
atletico; probabilmente l’ultima via possibile nella
parete.
Completamente attrezzata con trenta spit inox
da 10 mm + soste con due spit, catena e maillon.
Portare corda singola e dieci rinvii. Utili, ma non
indispensabili, friend da 0,5 a 3 tipo Camalot. Roccia
(gneiss a grana grossa) molto buona.
Possibile concatenare, nella parte alta, la via con
una delle tre già esistenti.
» 2. Dawa Tensing
» Massimo Crespo e Alberto Fantone
» agosto-settembre 2012
Difficoltà: ED (7a+ max, 6c obbl.).
Sviluppo: 135 m.
Accesso: si parcheggia al ponte per il bivio di Oncino,
si sale per 200 metri la strada in direzione del paese,
si prende una traccia con bolli rossi subito dopo la
barriera parasassi e si sale nel bosco di castagni fino
alla baracca dei Canina.
L’attacco si trova 15 metri a valle, in comune con la
via Michelin-De Poli (15 minuti).
Salita: vedi foto.
L1) in comune con la Michelin-De Poli (30 m, 6a+,
7 spit).
28 • alpidoc 82
» 3. Simona e domani
» Massimo e Roberto Canina
» negli anni Ottanta per i primi due tiri
richiodata e terminata dal basso
da Massimo Crespo e Alberto Fantone
nell’agosto 2012
Difficoltà: TD+ (7a max, 6b obbl.).
Sviluppo: 120 m.
Accesso: come per la via Dawa Tensing fino alla
baracca dei Canina; l’attacco è 5 metri a dx (15 minuti).
Salita: vedi foto.
L1) 40 m, 6c, 10 spit.
L2) 25 m, 7a, 6 spit.
L3) 30 m, 7a, 7 spit.
Discesa: come per la via Dawa Tensing.
Note: via quasi completamente in fessura, il primo
tiro è uno dei più belli della Valle Po nel suo grado.
Come per la precedente, ideale è salire prima una
via nella parte bassa, arrivando così all’attacco in
due minuti.
La via è completamente attrezzata con ventinove
spit inox da 10 mm + soste con due spit, catena e
maillon. Portare corda singola e undici rinvii. ◢
Simona e domani
L2) due spit della Michelin-De Poli poi dritto per
bombè e strapiombi. Un passo obbligatorio difficile
(45 m, 7a+, 9 spit).
L3) ristabilimento a sx su una rampa obliqua (20 m,
6a, 1 spit).
L4) dinamici in forte strapiombo con uscita obbligatoria
(15 m, 6c+, 2 spit).
L5) fessura strapiombante a incastro di dita (i
nastri sono d’obbligo), uscita nel bosco (25 m, 7a+,
2 spit).
Discesa: a piedi sulla sx fino a raggiungere la
Madonna del Bel Faggio; di qui, prima su sterrata in
discesa poi sulla strada asfaltata di Oncino, si torna
al ponte (20 minuti).
Note: via impegnativa e molto varia, la più difficile
dei Duc, supera con una linea diretta gli strapiombi
in centro parete. Ideale è salire prima una via nella parte bassa
(ad esempio Seghe con la luna), arrivando così
all’attacco in due minuti.
La via è attrezzata con ventuno spit inox da 10 mm
+ soste con due spit, catena e maillon.
Portare nove rinvii e friend da 0,3 a 2 tipo
Camalot.
alpidoc 82 •
29
VIALE CALZATURE
© costarossa
© costarossa
il negozio di riferimento per la calzatura sportiva
VIALE CALZATURE, via Cacciatori delle Alpi, CUNEO, tel. 0171/681570
Orario: dal martedì al sabato 9,00/12,30-15,00/19,30 chiuso il lunedì
Giro
castellata
Il
della
Escursioni nel cuore dell’alta Valle Varaita
Testo a cura di Tiziana Gallian
Il fascino di una storia millenaria
Il Giro della Castellata
L’invito a partire arriva dall’alta Valle
Varaita, situata tra i rilievi del Piemonte
meridionale, percorrendo un circuito che
unisce alla bellezza del paesaggio e alla
maestosità delle montagne il fascino di
una storia millenaria.
Questa parte del versante alpino fu
scelta come luogo di transumanza da
pastori itineranti che salivano dalle coste della Liguria
e che trovarono proprio in questa zona il sito ideale per i primi insediamenti:
estesi pascoli, una eccezionale pietra da costruzione, abbondanza di acqua,
riserve di legna da ardere e riparo dalle valanghe. Le incisioni rupestri della
grande tavola-altare del Cumbal de l’Ase a Pontechianale testimoniano della
presenza ancestrale dell’uomo. Popolazioni di ceppo indoeuropeo, i celti, arrivarono in seguito in questi territori e si fusero con quelle preesistenti. La
toponomastica conserva la presenza di questo antico passato: la radice var- e
il suffisso -asc rinviano a un periodo preromano.
I portali degli edifici religiosi di San Giacomo a borgata Chiesa, di San Antonio a Chianale, di Santa Margherita a Casteldelfino con le loro têtes coupées,
decori ancestrali ed evocativi, insieme con le decorazioni scolpite di mensole,
architravi e capitelli su abitazioni private, contraddistinguono la pietra della
valle con un repertorio suggestivo.
Evento di rilievo locale, riportato dalla tradizione orale e diventato oramai
quasi una leggenda, è l’incursione dei saraceni attorno all’anno Mille; con
improvvise scorribande essi saccheggiarono i monasteri dell’alta valle mettendo a dura prova l’esistenza delle comunità, le quali insorsero con grande
animosità e riuscirono a cacciare gli invasori, come si racconta oggi durante
le feste della Baia di Sampeyre o della Beò di Bellino (i costumi dei figuranti
che interpretano le sarazines sono un tripudio di nastri multicolori).
Toponimi come Monte Gabel (jabel in arabo = montagna), Monte Maurel
(con possibile riferimento ai Mori, oltre che al colore marrone scuro della
roccia) e Viòl de la Sarasina, a Bellino, suggeriscono il perdurare del ricordo
di lontane scorrerie, pur in luoghi così impervi.
La Repubblica degli Escartons
Mentre il territorio dell’attuale Valle Varaita fino alla località Confine, a
monte dell’abitato di Sampeyre, nel 1091 passava nelle mani di Bonifacio
del Vasto e successivamente in quelle del nipote Manfredo II, primo marchese di Saluzzo, l’alta valle visse una grande avventura storica: in un’epoca
di angherie feudali, essa seppe contrattare e ottenere una notevole indipendenza amministrativa rispetto al potere centrale, vivendo un intenso periodo
di fervore e benessere. La cosiddetta Repubblica degli Escartons inglobava la
32 • alpidoc 82
alpidoc 82•
27
Castellata, ovvero i comuni di Bellino, Casteldelfino e
Pontechianale, e le alte valli della Dora, del Chisone,
Briançon, e il Queyras. Una sorta di confederazione
di cantoni a cavallo delle Alpi che si autogovernavano
in modo democratico, definendosi franco-borghesi. La
Carta delle Libertà, oggi nota come Grande Charte
Briançonnaise, fu stipulata a Beauvoir-en-Royans il 29
maggio del 1343 tra il delfino Umberto II de la Tourdu-Pin e diciotto rappresentanti di oltre cinquanta comunità alpine: scritta su pelle di pecora, era una sorta
di costituzione che decretava l’affrancamento dalle
servitù feudali, il diritto alla libertà individuale, alla
proprietà e all’autogestione del territorio. Nel 1349
Umberto II, rimasto senza eredi, cedette il Delfinato
al re di Francia, Filippo VI di Valois, a condizione che
il territorio conservasse il suo nome e il suo blasone.
Il termine Escarton deriva dal verbo escartonner (ripartire), ovvero suddividere tra tutti obblighi e responsabilità e allo stesso tempo organizzare soccorso
reciproco in caso di necessità, o, ancora, proteggersi
dai potenti vicini. La gestione delle terre comunali
era interamente libera, affidata ai sindaci locali che
erano eletti sulla base della loro reputazione di “uomo
onesto”. Non c’erano restrizioni alla libertà di circolazione. L’istruzione era organizzata minuziosamente:
in ogni villaggio erano nominati maestri e l’alfabetizzazione, tra il sesso maschile, era pressoché completa.
L’intenso periodo di democrazia e di indipendenza si concluse ufficialmente nel 1713 con il Trattato di Utrecht,
quando questo territorio iniziò a essere considerato d’importanza strategica sullo scacchiere europeo. I Savoia acquisirono i territori della Castellata. La popolazione
Foto Archivio Comunità Montana Valli del
Monviso (salvo dove diversamente indicato).
In apertura: Grange Pralambert Superiori
con, sullo sfondo, il Pelvo d’Elva (foto di Enrica
Raviola). A pagina 32: quadrupede in pietra
inserito all’esterno della Parrocchiale
di San Giacomo a Chiesa (foto di Enrica Raviola).
A pagina 33: vista su Chianale dal Sentiero
Lanzetti (foto di Enrica Raviola).
In questa pagina, dall’alto: Chianale (foto
di Enrica Raviola), Fontanile, Celle, Chiazale.
Nella pagina a fianco: scorcio dal Lago
Bagnour (foto di Enrica Raviola).
28 • alpidoc 81
Il Bosco dell’Alevé
Su queste montagne i fianchi sono nettamente
contrapposti: l’adrech, esposto a sud, è più
aperto mentre l’ubac, rivolto a nord, più ombroso e fitto di boschi.
Camminando in quota, percorrendo gli altopiani, ci si rende conto di come il bacino idrografico sia stato modellato dagli antichi ghiacciai
che, dalla vetta imponente del Monviso – sovrastante le altre cime –, si estendevano nella parte
superiore della valle.
I massicci che punteggiano l’orizzonte non
hanno mai costituito una barriera invalicabile:
da sempre le genti li hanno percorsi e considerati punto di incontro per merci e traffici,
scambio di prodotti e istanze culturali, nonché
come luogo ideale di emigrazione. L’Ubaye, la
Provenza, il Queyras e il Delfinato sono solo lì,
dietro l’angolo.
Fitte pinete di larici ricoprono i versanti della
valle, lasciando più in basso il verde rigoglioso
delle latifoglie, ma è soprattutto la cembreta
del Bosco dell’Alevé (da elvu, termine con il
quale è chiamato in lingua occitana il pino
cembro), da sempre soggetta a tutela ambientale, a costituire un sito di forte richiamo naturalistico. Già nel 1387, l’articolo 35 degli
Il Giro della Castellata
continuò comunque a mantenere scambi culturali e sociali, a contrarre matrimoni, a esercitare
il contrabbando, a spostarsi tra le montagne
alla ricerca di occupazione nel periodo invernale, incurante delle nuove demarcazioni stabilite sulla carta dalle potenze europee.
Pesante fu il contributo di sangue versato dai
montanari durante i due conflitti mondiali.
Basta visitare i villaggi e leggere i nomi dei caduti sulle lapidi. Un’intera generazione è rimasta
dispersa in Russia. L’emigrazione, la mancanza
di alternative a una economia agricola non più
al passo con i tempi sono state le ragioni preminenti di un lento e inesorabile spopolamento.
alpidoc 81 • 29
L’anno del Corno
In questa pagina, da sinistra: una sala
del Museo del Tempo e delle Meridiane a
Celle di Bellino; alcuni personaggi della Beò;
pizzo al tombolo; rosace intagliata nel legno
sull’architrave di una casa di Chianale (foto
di Enrica Raviola); pietra angolare con tête
coupée inserita capovolta all’esterno della
Parrocchiale di San Giacomo a Chiesa di
Bellino (foto di Enrica Raviola). A pagina 38:
sant’Antonio affrescato sull’omonima cappella
a Chianale (foto di Enrica Raviola); il gigantesco
san Cristoforo ( XVI secolo) sulla facciata della
Parrocchiale di Santa Margherita a Casteldefino.
36 • alpidoc 82
Statuti di Casteldelfino proibisce di «coupper,
extraire, arrecher ou rompre» qualsiasi specie arborea presente nell’Alevé. Si tratta di un bosco
plurimillenario – a cui allude il poeta Virgilio
nell’Eneide quando definisce il Monviso “Vesulus pinifer”– che si estende per ben 820 ettari.
Per le sue particolari caratteristiche, dal 2000 il
Bosco dell’Alevé è stato inserito nell’elenco dei
siti di interesse ambientale della Comunità Europea. Per farne conoscere meglio tutte le peculiarità, a Casteldelfino, nei locali dell’ex Ala
comunale, è stato aperto un apposito Centro
visita: in un unico grande diorama in scala naturale è stato ricostruito l’ambiente del bosco,
si passeggia tra gli alberi, si ascoltano i suoni, si
percepisce l’aroma della pineta.
Alle scolaresche che visitano il Bosco dell’Alevé
si racconta che la sua vastità equivale a quella
di 2030 campi da calcio! Inoltre si sottolinea
come sia l’habitat di circa 40 specie di mammiferi, di almeno 1000 specie di insetti, di 163
specie di licheni e di innumerevoli arbusti e
piante, per non parlare degli uccelli, presenti
in ben oltre 70 specie. Simbolo di questo spettacolare bosco è la nocciolaia, che accoglie i visitatori con il suo inconfondibile verso; grande
divoratrice di pinoli, ne fa scorta per l’inverno
seminandoli in tanti ghiotti mucchietti.
a monte, infatti, sono presenti un gran numero
di elementi arcaici, che spesso sono scomparsi
persino in vaste zone dell’Occitania d’Oltralpe,
i quali permettono di considerare queste varietà dialettali, unitamente a quelle delle alte
valli vicine, fra le più belle, interessanti e vive
di tutta l’area occitana.
La lingua occitana
Le danze
In Valle Varaita, come nella maggior parte
delle vallate cuneesi, si parla correntemente
l’occitano, una nobile lingua presente nei
testi letterari a partire dall’XI secolo e utilizzata persino da Dante Alighieri nella Divina
Commedia (nel canto XXVI del Purgatorio il
poeta fa infatti esprimere in lingua d’Oc il trobador Arnaut Daniel). Nel territorio di quella
che fu l’antica Castellata – e in particolare a
Blins, La Vila e Pont, come vengono di norma
chiamati i comuni dell’alta valle – l’occitano ha
però conservato un elevato grado di purezza,
appena contaminato da qualche francesismo e
da rari piemontesismi. Nelle località situate più
Il patrimonio delle danze tradizionali in Valle
Varaita è quanto mai ricco, anche perché il
ballo è il leit motiv di ogni ricorrenza degna di
questo nome, dalla Baia di Sampeyre o dalla
Beò di Blins, alle innumerevoli feste patronali
estive e invernali. Muoversi al ritmo di una giga
o di una corenta ha sempre creato intensi momenti di aggregazione, senza distinzioni di età;
per questo motivo, a differenza che altrove, la
pratica del ballo in valle non è mai cessata, ma si
è tramandata nel tempo.
Le melodie più antiche di questo repertorio risalgono per lo più al XIX secolo, e sono originarie di Bellino e Chianale.
Il costume tradizionale
Il Giro della Castellata
In alta valle – soprattutto durante l’estate, in
occasione delle feste patronali – si possono
ammirare uomini, donne e bambini in costume tradizionale. Chi volesse documentarsi
al riguardo può visitare, a Chianale, il Museo
del Costume e dell’Artigianato tessile allestito
nella Missione Cappuccina.
Particolarmente interessante è l’abito femminile, la gonela, in panno di lana di colore nero
– anche quello nuziale –, con tre grandi pieghe
sul dorso e diritto, senza alcun restringimento
in vita. È adornato da un grembiule e uno
scialle, di cotone o lana, di seta per le spose, ma
comunque dai colori piuttosto vivaci. Preziosa
è anche la cuffia (la béra), la cui tesa è costituita
da un largo pizzo al tombolo, realizzato a volte
con centinaia di fuselli.
alpidoc 82 • 37
Il patrimonio architettonico
In questa terra di frontiera ricca di suggestioni,
l’eredità della storia è considerevole anche dal
punto di vista architettonico e artistico.
Bellino e le sue nove borgate presentano splendidi edifici, case austere, scorci singolari, un
intatto patrimonio gnomonico, frutto del
savoir-faire di abili artisti locali. Sui quadranti
delle meridiane motti filosofici, massime di vita
sottolineano la fragilità dell’uomo, l’inesorabile
scorrere del tempo e lo invitano a cogliere l’attimo presente e a viverlo nella sua pienezza. In
borgata Celle, nei locali dell’ex scuola elementare, il Museo del Tempo e delle Meridiane offre
una chiave di lettura delle meridiane dipinte
sulle case e sugli edifici religiosi del comune.
La Parrocchiale di San Giacomo a borgata
Chiesa presenta su una parete esterna una singolare raffigurazione di testa raggiata, forse emblema di Belenos, il dio Sole dei Celti.
Testimonianze tangibili dell’epoca aurea della
Castellata, a Casteldelfino, antica capitale di
questo territorio, sono i ruderi del castello
delfinale, l’elegante Casa Ronchail e il rilievo
marmoreo soprastante la fontana nel centro
paese con la Madonna affiancata dalle armi
di Francia. La Parrocchiale di Santa Margherita conserva un pregevole ciclo di affreschi di
inizio Cinquecento e un fonte battesimale con
rappresentato il giglio, simbolo reale.
Chianale, un tempo stazione di pedaggio per
il Colle dell’Agnello, oggi è stato inserito nel
circuito dei “Borghi più belli d’Italia”. La Cappella di Sant’Antonio e il tempio protestante si
affacciano sullo Chemin Royal, l’antico cammino che portava verso la Francia. Nella cappella dedicata a santa Maria Maddalena, nella
frazione Maddalena, meritano un’occhiata i
singolari santi a sei dita (di probabile esecuzione ottocentesca).
Percorrere oggi questi luoghi significa immergersi in un mondo che per più di quattro secoli
ha saputo armonizzare la montagna con la vita
dell’uomo, uno scrigno di storia, cultura e tral
dizioni ancora oggi ben vive.
38 • alpidoc 82
protestanti potevano professare il loro credo in seguito all’editto di nan
Mappa dell'itinerario
le tappe
Il Giro della Castellata si articola in quattro
tappe. di media difficoltà escursionistica, che
offrono l’opportunità di visitare e scoprire le bellezze storico-artistiche di Bellino, Casteldelfino,
Pontechianale e Chianale e allo stesso tempo
di godere degli splendidi panorami dell’alta
Valle Varaita, avendo come punti di appoggio
tre rifugi in quota. Parte della seconda tappa
ricalca l’itinerario classico del Giro del Monviso.
Per informazioni: Comunità Montana Valli del
Monviso - Ufficio turistico di Frassino, piazza
Marconi 5, tel. 0175.970640,
www.vallidelmonviso.gov.it, www.vallevaraita.cn.it, Vedi mappa ingrandita
[email protected];
Agenzia Segnavia Porta di Valle, Brossasco, Tappe dell'itinerario
via Provinciale, tel. 0175.689629,
www.segnavia.piemonte.it,
Chianale / Rifugio Vallanta
[email protected].

Tempo di percorrenza: 5h
Dislivello: 1.257 m

1. Chianale - Rifugio Vallanta
Usciti dall’abitato di Chianale (1.797m) si tiene la strada asfaltata del colle dell’Agn
vecchia dogana e una curva con un ponte e poi si svolta a destra sul sentiero che s
strada. Si arriva ad un tornante verso sinistra a fianco di alcune baite, dove parte i
sale ancora regolari fino ad un altro piccolo altipiano e poi all’erta finale che porta s
da cui il Monviso appare in tutto il suo splendore. Da qui si può compiere una picco
raggiungere senza grandi difficoltà la cima della Losetta (3.054m). Ritornati al colle
Il Rifugio Vallanta.
Pontechianale, passando per un bel piano alla
base di Punta Caprera. Si tralascia il bivio per il
Vallone delle Forciolline e si imbocca il sentiero
che, attraversato il torrente con una passerella,
conduce al Passo di San Chiaffredo, in direzione
del Rifugio Quintino Sella. Questo tratto si snoda
sul percorso classico del Giro del Monviso, e presenta una piacevole salita all’interno del bosco.
Usciti dal bosco si percorre una pietraia e con
una ripida salita si arriva nei pressi del Bivacco
Bertoglio. In breve si raggiunge il Passo di San
Chiaffredo (2743 m), dove si svolta a destra
seguendo le indicazioni per il Rifugio Bagnour. Si
sale regolari nella pietraia fino a giungere a un
passaggio chiamato La Calatà, che permette di
svalicare nel Vallone dei Duc. Con una discesa a
tratti ripida si giunge a un laghetto sulle cui rive
scheda tecnica
2. Rifugio Vallanta - Rifugio Bagnour
Tempo di percorrenza: 6,30 ore.
Dislivello: 1029 m.
Dal rifugio si scende verso borgata Castello di

di Soustra e la Losetta. Lo si imbocca per salire dolcemente fino ad un grande pian
◢
Tempo di percorrenza: 5 ore.
Dislivello: 1257 m.
Usciti dall’abitato di Chianale si tiene la strada
asfaltata del Colle dell’Agnello, si passano la
vecchia dogana e una curva con un ponte e poi
si svolta a destra sul sentiero che sbuca nuovamente sulla strada. Si arriva a un tornante verso
sinistra a fianco di alcune baite, dove parte il
sentiero per il Vallone di Soustra e la Losetta.
Lo si imbocca per salire dolcemente fino a un
grande piano con gli alpeggi. Si sale ancora
regolari fino a un altro piccolo altipiano e poi
all’erta finale che porta sul Passo della Losetta,
da cui il Monviso appare in tutto il suo splendore.
Da qui si può compiere una piccola deviazione
per raggiungere senza grandi difficoltà la Cima
della Losetta (3054 m).
Ritornati al colle, con una gradevole discesa nel
Vallone di Vallanta si arriva a un bivio in cui si
svolta a sinistra per il Rifugio Vallanta (2445 m),
che si raggiunge in breve.
alpidoc 82 • 39
scheda tecnica
◢
Qui sopra: veleggiando con il surf sulle acque
del bacino artificiale di Pontechianale.
Nella pagina a fianco: il Rifugio Bagnour
(foto di Enrica Raviola).
solitamente si incontrano alcuni asini e cavalli.
La discesa, ora più dolce, conduce al Bosco
dell’Alevé, il più grande bosco di pini cembri
d’Europa. Usciti dal bosco si arriva al Lago Bagnour, sulle cui sponde sorge l’omonimo rifugio
(2017 m), punto d’arrivo della tappa.
Il Giro della Castellata

3. Rifugio Bagnour - Rifugio Melezé
Tempo di percorrenza: 5 ore.
Dislivello: 409 m.
Dal Rifugio Bagnour si scende verso il Lago
Secco, passando nel cuore del Bosco dell’Alevé. Superato il laghetto si giunge alle Grange
Pralambert superiori e inferiori e, seguendo
le indicazioni per Bertines e Casteldelfino, si
continua a scendere. Si attraversa Bertines
per giungere quindi in breve a Casteldelfino.
Il sentiero che porta nel Vallone di Bellino ha
inizio nella parte bassa del paese, vicino alla
Cappella di Sant’Eusebio e al parco giochi. Per
raggiungerlo si imbocca una piccola strada
asfaltata a valle del distributore di benzina. Il
sentiero passa sotto i resti dell’antico castello
e inizia a salire, sbucando sulla strada asfaltata
all’altezza di Posterle. Qui si segue la strada fino
40 • alpidoc 82
a trovare i cartelli che ci indicano il sentiero a
sinistra per Ribiera e borgata Chiesa. Da qui
si prosegue su una stradina fino a Fontanile,
dove si prende un sentiero che sale nel bosco
e che conduce a Pleyne e successivamente a
Prafauchier e a Celle. Usciti da Celle, si imbocca
una sterrata che passa davanti a un garage e si
giunge a Chiazale. La si attraversa, passando
accanto all’agriturismo Lou Saret, e si sale sulla
strada principale che in breve conduce al Rifugio
Melezè (1812 m).

4. Rifugio Melezè - Chianale
Tempo di percorrenza: 6 ore.
Dislivello: 895 m.
Dal rifugio si scende lungo la mulattiera sulla
sinistra che costeggia la grande pietraia e raggiunge l’abitato del Culet. Si prosegue lungo la
strada sterrata che conduce alla provinciale e
si oltrepassa il bel ponte in pietra sul Varaita,
percorrendo il versante esposto a nord di fronte
a Chiazale. Attraversata la passerella che conduce nella borgata, si segue l’antico chemin
royal sotto la Cappella dell’Angelo Custode e
si arriva a Celle e poi a Prafauchier. Da questa
frazione, seguendo la carrozzabile della valle
per alcuni tornanti, si arriva all’attacco della
strada militare per la Battagliola. In località
Bals una piacevole sterrata sale dolcemente
sino alla Punta del Cavallo e al Colle della Bat-
alpidoc 81 • 35
scheda tecnica
◢
Il Giro della Castellata

La Castellata in due giorni:
Casteldelfino - Pontechianale - Melezé - Casteldelfino
Dalla circonvallazione del capoluogo (1296 m), prima del bivio per Bellino, sulla sinistra si
segue la mulattiera che, attraversato il Varaita, lo risale sulla destra orografica (a sinistra
salendo). Si passa sulla sponda opposta, raggiungendo l’abitato di Castello (1603 m) e
il lago artificiale. Da Castello, passando sulla diga, si raggiunge il largo sentiero che con
alcuni saliscendi percorre tutta la sponda del lago per raggiungere l’abitato di Maddalena
(1614 m). Prima del campeggio, in corrispondenza di un rio (Cumbal della Villa) si lascia la
pista verso destra per seguire una traccia di sentiero sulla sinistra guadagnando quota
con tornanti e traversoni. La radura di Costa Romagna a 2200 metri conduce al Colletto
della Battagliola (2284 m). Vicina è la Punta della Battagliola (2401 m). Un sentiero
ben tracciato conduce serpeggiando in cresta verso la parete del Monte Pietralunga
(2730 m). Si oltrepassa il massiccio roccioso inerpicandosi nel Pas del Chat che porta ai
pascoli del Vallone del Bondormir e al colle omonimo (2657 m). Da qui si prosegue tenendosi
in quota verso i paravalanghe e le baite delle Combe Superiori (2082 m).
Una pista forestale scende agevolmente fino al Rifugio Melezé (1812 m). Dal rifugio si segue il sentiero sulla sinistra che costeggia la grande pietraia di Preifiol. Si oltrepassa il bel
ponte in pietra sul Varaita e si prosegue sul lato esposto a nord costeggiando l’abitato di
Chiazale. Superato il ponte che conduce nella borgata, si percorre la vecchia mulattiera che
passa sotto la Cappella dell’Angelo Custode e conduce all’abitato di Celle e Prafauchier.
Da questa frazione ci
Il Vallone di Bellino visto dal sentiero che sale al Bagnour
si sposta sul versante
(foto di Enrica Raviola).
esposto a nord attraversando nuovamente
il Varaita e seguendo
una bella pista forestale che scende fino
a borgata Chiesa.
Il sentiero costeggia
il fiume e scende fino
al borgo di Casteldelfino (1296 m) accanto
ai ruderi del castello
delfinale.
tagliola (2282 m); quest’ultima deve il nome
a una cruenta battaglia combattuta nel 1744
tra i Savoia e le truppe franco-spagnole nella
quale persero la vita circa tremila persone.
Dalla cima si possono ammirare la maestosità del Monviso, il Vallone di Vallanta, il
Bosco dell’Alevé, il lago di Pontechianale e,
dalla parte opposta, il Pelvo d’Elva e le Alpi
Marittime. Dal colle una ripida discesa in
mezzo ai larici porta velocemente sulle rive
42 • alpidoc 82
del lago di Pontechianale. Si passa tra i due
campeggi, si attraversa il torrente e si svolta a
sinistra arrivando in una piazzetta dove sorge
il municipio.
A lato del palazzo del Comune si prende una
salita che porta sulla strada principale. Si svolta
a sinistra e qualche metro più avanti si scende
seguendo le indicazioni del Sentiero Crotto,
che conduce fino a Chianale con una piacevole
passeggiata a lato del Varaita.
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Va’ dove ti portano le gambe!
Questo lo spirito con cui una coppia di irriducibili
selvatici affronta la sua traversata alpina, giunta al
secondo capitolo: dalla Valle Stura alla Valle Po
Testo e foto di Grazia Franzoni e Marco Berta
C
amminare per valli, creste, cime, senza una meta precisa, forti
dell’autosufficienza contenuta in uno zaino forse un po’ troppo pesante, seguendo il motto “Va’ dove ti portano il cuore e le gambe”:
questo lo spirito della nostra prima tratta della “traversata selvatica”, realizzata nel 2009 (vedi Alpidoc n. 75), che ci aveva lasciato un fortissimo
desiderio di continuare.
L’estate del 2011 ci offre l’occasione di proseguire, in stile ancora più selvatico,
se possibile: infatti in agosto si apre una lunga finestra di tempo stabile con notti
limpidissime che ci permettono di dormire con serenità à la belle étoile. La partenza è scontata: San Bernolfo, in Valle Stura, dove avevamo terminato la prima
traversata. L’obiettivo, come al solito senza troppe certezze, è il Monviso, per
44 • alpidoc 82
In agosto si apre una lunga
finestra di tempo stabile
con notti limpidissime
che ci permettono
di dormire con serenità
à la belle étoile.
In apertura: Grazia e Marco,
due cuori e un sacco bivacco… Qui
sopra: sulla vetta del Monviso con
Paolo. A fianco: per chi affronta
selvaticamente una traversata,
l’interrogativo circa la meta
della giornata è d’obbligo.
alpidoc 82 •
45
Va’ dove ti portano le gambe!
celebrare anche noi, nel nostro piccolo, il 150° anniversario della prima salita.
Decidiamo di alleggerire gli zaini del materiale tecnico, visto che il percorso
previsto non offre molte possibilità di arrampicata di basso livello. Giusto uno
spezzone di cordino, un casco e pochissima ferraglia e fettucciame. Abbiamo
già sperimentato che in traversata è troppo complicato e impegnativo realizzare
salite di media difficoltà. Pochi anche i supporti elettronici (approfondiamo il
discorso a parte…).
Dal punto di vista alimentare, decidiamo di essere completamente autonomi e
di affidarci solo a quanto possiamo trovare lungo il percorso per integrare quel
che abbiamo messo nello zaino alla partenza: il primo contatto con l’asfalto, e
quindi possibilità di comperare qualcosa, sarà al Colle della Maddalena.
Ecco qualche appunto tratto dagli otto giorni di traversata.
Dal punto di vista alimentare, decidiamo di essere
completamente autonomi e di affidarci solo
a quanto possiamo trovare lungo il percorso
per integrare quel che abbiamo messo nello zaino
alla partenza.
Nella pagina a fianco: Grazia, sulla vetta del Tenibres,
consulta la cartina con un paio di escursionisti interessati alla traversata.
Qui sotto: Marco arrichisce il frugale couscous con scaglie di parmigiano.
46 • alpidoc 82
Un altro over 3000?
A Cuneo saliamo sul pullman per la Valle Stura.
Nonostante sul sito della ditta di autobus fosse
previsto l’arrivo a Bagni, a Borgo l’autista cambia e scopriamo che i tagli imposti al servizio di
trasporto provinciale hanno limitato la corsa a
Vinadio! Peccato che nemmeno tutti gli autisti
lo sappiano... Comunque, grazie alla solidarietà
montanara, con tre diversi passaggi arriviamo
rapidamente a San Bernolfo.
Prima cima, e primo moto di disappunto, il
Corborant: non avevamo, infatti, ancora visto
l’“incatenamento” della cresta finale, che sinceramente riteniamo poco utile ai fini della sicurezza e di brutto impatto.
Scendiamo al Lac du Cimon, sopra il più ampio
Lac de Rabuons, sulle cui sponde troviamo un
bel fazzoletto d’erba adatto al bivacco. Alle sei
del pomeriggio siamo sul Becco Alto di Ischiator, che il nostro GPS quota qualche metro
sopra i 3000 metri: chissà chi ha ragione...
Saliamo sulla vetta della Rocca Rossa. Di nuovo
over 3000? Troppo pochi i metri di differenza,
però viene la tentazione di rivedere tutte le quote
di questa sequenza di cime che oscillano intorno
ai tremila. Secondo moto di disappunto: è impiastrata di vernice! Ma questo “problema” lo
conoscevamo già!
Sul Tenibres troviamo un gruppo di amici… in
effetti questa zona è parecchio più frequentata
rispetto alle neglette Alpi Liguri. Risaliamo il
pendio di sfasciumi che porta alla Brèche de
Borgonio, quindi scendiamo nel vallone, fino al
rifugio di Vens.
Viva la sobrietà
Ci divertiamo a salire sulle rocce arzigogolate
della Cime de la Tortisse, poi percorriamo il
lunghissimo crinale che dal Colle del Ferro, at-
Va’ dove ti portano le gambe!
Fermata soppressa
alpidoc 82 • 47
Sulle tracce di Aste e Biancardi
L’orizzonte è meglio di un display
Grazia, poco sotto la vetta del Sautron, saluta l’amico Paolo.
Siamo partiti con poco, pochissimo materiale elettronico: la macchina foto, un photo logger
(poi vi spieghiamo cosa è), un orologio-barometro-altimetro, un vecchio e tradizionale cellulare
come cordone ombelicale con la civiltà.
Siamo sinceri, una volta eravamo amanti della tecnologia, quando ritenevamo che potesse
servire a qualcosa; ora siamo molto meno geek, come si dice in gergo, poco inclini a spese
per gadget tecnologici molto poco duraturi (nel senso che diventano obsoleti nel giro di pochi
mesi), costosi, fragili, avidi di batterie (e questo è un guaio in una traversata zaino in spalla).
Francamente, se vai alla ricerca del selvatico che alberga dentro di te, ci sembra poco coerente
camminare con gli occhi puntati su un display piuttosto che sul paesaggio che hai intorno. Quindi al
bando gps cartografici o telefonini con applicazioni che addirittura “riconoscono” le cime dei monti!
Siamo fermi ai pc, che usiamo per lavoro/divertimento/comunicazione non disdegnando
la “rete sociale”, ma non possediamo tablet o smartphone e non ne sentiamo, per ora, la
mancanza.
Alla fine qualche fotocopia di cartina, il caro vecchio altimetro tanto per sapere quanto manca
alla cima o per azzeccare un colle dalla quota conosciuta.
Il piccolo aggeggio di cui parlavamo prima è un realtà un gipiessino mignon, grosso come un
accendino, nato per “loggare” le foto, dando loro le coordinate geografiche, ma noi lo abbiamo
usato solo per tarare l’altimetro in mancanza di punti noti e per scoprire che alcune montagne
conosciute sono forse più alte di quanto indicato sulle vecchie e poco aggiornate cartine a
disposizione per il Cuneese.
48 • alpidoc 82
Spegnete quella luna!
Risaliamo l’Enclausetta e poi il mitico (scialpinisticamente parlando) Ventasuso: ci sembra
incredibile che una delle più gettonate mete di
scialpinismo facile sia priva di sentiero estivo!
Per prati arriviamo presto ad attraversare la statale lungo il lago del Colle della Maddalena.
Una tappa al bar è obbligatoria per bere un cappuccino e sfogliare un quotidiano.
Al valico facciamo un po’ di spesa: formaggio,
grissini, lattina di birra, dolci. A sorpresa, incrociamo gli amici savonesi Bobo, Daniela e bimbi
che ci offrono del pane fresco.
Abbandoniamo con piacere il nastro d’asfalto
e il relativo traffico di automezzi per inoltrarci
nel Vallone dell’Oronaye e poi in quello del
Sautron. Qui ci fanno compagnia le greggi di
pecore dei pastori francesi, ben controllate dai
grossi cani bianchi, non del tutto amichevoli…
Entriamo nel regno del calcare dello Chambeyron, l’acqua comunque è disponibile in abbondanza. Dormiamo sulla sponda del piccolo
laghetto sotto il Colle del Sautron, in compagnia di una luna incredibilmente, e quasi fastidiosamente, luminosa!
Crisi di astinenza
Costeggiamo le pareti imponenti della Cima
del Vallonetto dedicando un pensiero agli amici
liguri e valdostani che in questi ultimi anni
hanno speso tempo ed energie per aprire qui
nuove vie. Valgono la pena!
Salendo il pendio finale del Sautron dal Colle
della Portiola scorgiamo il nostro speciale comitato di accoglienza in Valle Maira: è Paolo,
nostro fratello di montagna, che dalla vetta si
sbraccia per darci il benvenuto nella sua valle.
Scendendo nello splendido vallone carsico dominato dalla mole dello Chambeyron, abbiamo
una visione: quattro funamboli che percorrono
il pietroso sentiero su bici monoruota! Non
dubitiamo che si tratti di un gruppo di pazzi
francesi!
Noi seguiamo il Sentiero Dino Icardi passando
quindi per il Colle dell’Infernetto e il relativo
vallone fino alle Grange Colle. Qui incontriamo
un altro Paolo e il suo clan di amici che stanno
terminando di attrezzare una nuova falesia: ne
approfittiamo per elemosinare un po’ di verdura fresca: ormai siamo in vera e propria crisi
di astinenza! Il letto di questa sera è una terrazza
erbosa di una grangia situata poco più in alto,
con tanto di ringhiera in legno.
Va’ dove ti portano le gambe!
traverso il Passo di Morgon, le cime dei monti
Aiga e Pebrun, arriva fino al Colle del Puriac.
Un bellissimo saliscendi in cresta che chiude con
ripidi pendii la conca di Ferriere.
Da qui saliamo la Rocca dei Tre Vescovi, l’Enchastraye, qualche cima senza nome e infine
il Pè de Jun, scoprendo una versione per noi
inedita di queste montagne: senza neve, infatti,
appaiono come un parco geologico, vista la sorprendente varietà della roccia: dagli scisti luccicanti alle bellissime pieghe metamorfiche alle
placche di conglomerato roseo! Ci guidano gli
esagoni verdi che, molto discreti segnano, i confini del Parco del Mercantour, unica concessione
alla vernice dei vicini francesi. Anche questa, insieme all’ormai nota sobria segnaletica standard
oltreconfine, ci sembra una buona soluzione
per le aree più remote, di basso impatto rispetto
alle targhe che arrugginiscono e ai paletti che
cadono. Tutto questo “entusiasmo geologico”
attutisce un po’ – ma non elimina – stanchezza,
fame, sete… Zero acqua nei dintorni del percorso, oggi.
In cerca di un posto per bivaccare, non certo tra
queste cataste di massi, notiamo un residuo di
neve sopravvissuta nella valletta a nord del Pè
de Jun. Saltando da un pietrone all’altro la raggiungiamo e organizziamo una rapida precena
per resistere ancora un po’. Fusione di neve, cottura di couscous e poi ancora in marcia, quasi al
buio, fino a trovare, a orecchio, la tanto attesa
sorgente. Siamo nei pressi di Gias Puriac, sotto
la cima dell’Enclausetta. Un muro in pietra fa da
testata del nostro letto d’erba.
alpidoc 82 • 49
Va’ dove ti portano le gambe!
Con la testa tra le nuvole…
Nella prima mattinata, con le nuvole che si
addensano nel cielo, saliamo fino al Colle e
al Monte Bellino. Scendendo sul versante di
Bellino riusciamo a ottenere frutta e addirittura della torta di verdura da un cordialissimo
gruppo di escursionisti che si appassiona al nostro progetto. Decidiamo di evitare la discesa
traversando a mezza costa sul versante sinistro
della valle. Una serie di grange pressoché equidistanti marca la curva di livello intorno ai 2400
metri. Piccoli capolavori di architettura alpina,
con le spesse lose che sovente ormai fanno crollare le vecchie travi in legno di larice. Proprio
queste grange ci fanno da riparo quando inizia
a piovere, peraltro in modo intermittente. Non
c’è più un vero e proprio sentiero, ma tracce che
tagliano i ripidissimi pendii erbosi. Nella nebbia a un certo punto ci appare una madonnina
bianca: siamo così mal ridotti? Per fortuna no,
una di queste grange è stata ristrutturata e in
questo momento ospita l’allegro pranzo di un
gruppo di amici che, per arricchire il nostro
pasto, ci offre un pezzo di pane fresco.
50 • alpidoc 82
Dopo aver costeggiato le arcigne pendici del
Pelvo di Ciabrera entriamo nell’ampio Vallone
di Rui, dove troviamo la prima grangia abitata e
utilizzata per la lavorazione del latte. Insistiamo
un po’ e riusciamo ad assaggiare il mitico tomino fresco: puro gusto di panna!
Arriviamo al Passo di Fiutrusa ma, considerate
l’ora e la stanchezza, rinunciamo alla cima. La
discesa verso Pontechianale è tutta una sorpresa,
tanto più che la nebbia contribuisce a rendere
ancora più gotico un paesaggio di per sé severo,
con le strette forre ai cui versanti franosi si abbarbicano larici pionieri, i giochi della luce al
tramonto tra i banchi di nuvole, i muggiti lontani delle mucche… Scendiamo godendoci un
po’ di bosco dopo tanti giorni di prateria, ma
dobbiamo però prendere atto che questo tipo
di foresta non è affatto ospitale per il bivacco:
pendii ripidi, erba alta e per di più oggi bagnata. Optiamo per un tetto sulla testa: quando
ci appare un nucleo di case arroccate a picco sul
rio, ci sembra un castello pronto ad accoglierci!
Scegliamo una stanza con una porzione di tetto
che sembra abbastanza stabile e passiamo così la
nostra prima notte al coperto.
Quando arriviamo a Pontechianale ci aspetta un
vero e proprio choc da folla: il bar sulla piazza
pedonale è pieno all’inverosimile, tanto da farci
rinunciare all’agognato cappuccino; in panetteria c’è una coda chilometrica, noi siamo insofferenti e temiamo che le ceste quando arriverà il
nostro turno saranno vuote, per cui anche qui
desistiamo. Chiamiamo Paolo, che ci sta raggiungendo dalla Valle Maira, e gli ordiniamo
pane e focaccia in quantità, sperando che lui sia
più fortunato. Comperiamo frutta fresca e altri
generi di conforto per l’ultima tappa. Al bar del
campeggio conquistiamo finalmente il banco
caffè, poi camminiamo sul sentiero lungolago
fino a Castello. Qui con Paolo organizziamo il
materiale e risaliamo il Vallone di Vallanta fino a
imboccare il ripido sentiero che porta al Bivacco
Berardo. Il nostro amico decide di passare più
confortevolmente la notte nel bivacco, mentre
noi abbiamo come meta il riparo sotto roccia
noto come Balma Pons, che avevamo già individuato in una precedente camminata in zona.
Qualcuno ha realizzato un basamento in pietre
piatte e un muretto di riparo. In effetti c’è posto
per due persone, ma anche in tre ci si potrebbe
dormire. Dopo aver cenato tutti insieme, proviamo inutilmente a convincere Paolo a rimanere con noi, prefigurando per lui inquietanti
visite notturne…
Leggeri va bene, però…
Incredibilmente quando Paolo ci raggiunge
prima dell’alba per colazione, ci racconta di
strane luci nella notte che poi si sono allonta-
Va’ dove ti portano le gambe!
Via dalla pazza folla
Nella nebbia a un certo punto
ci appare una madonnina bianca:
siamo così mal ridotti?
Sotto: Grazia, avvolta dalle nebbie,
sopra la “grangia dell’apparizione”.
Nella pagina a fianco: Marco,
in versione Lawrence d’Arabia,
a un bivio cruciale del Sentiero Cavallero.
alpidoc 82 • 51
GTA da riscoprire
Va’ dove ti portano le gambe!
nate… Eccolo, il fantasma di Mathews! A fine
giornata, una coppia di ragazzi che aveva dormito al Bivacco delle Forciolline ci racconta di
un alpinista solitario, sceso tardissimo dal Viso,
che nonostante la stanchezza aveva voluto proseguire verso il Berardo e il fondovalle… Mistero risolto! La salita alla Normale del Viso è
poco affollata; il ghiacciaio è talmente gradinato che si riesce a procedere senza piccozza
e dopo il Bivacco Andreotti saliamo slegati,
godendoci il tepore del sole e la bellezza delle
rocce circostanti.
In vetta rimaniamo quasi un’ora in amena
compagnia internazionale, dai super accesso-
riati (kit ferrata!) tedeschi ai due skyrunner
che un paio di volte la settimana salgono da
Pian del Re in circa due ore e mezza o tre, in
braghette da corsa e gilet. Bravi, ma se per caso
qualcosa va storto? Cari amici corridori, vi auguriamo che non succeda mai, altrimenti, dovremmo aiutarvi noi con gli zaini grossi, pieni
di materiale “per ogni evenienza”!
Iniziamo l’interminabile e un po’ noiosa discesa verso Pian del Re. Ci ripetiamo, ma non
ci piace l’attrezzatura del Canale delle Sagnette,
che oltretutto in discesa ci sembra piuttosto
pericoloso da percorrere tenendo in mano una
catena, considerata l’alta frequentazione. Per-
Lo scatto selvatico
Premesso che veniamo da esperienze “pesanti” di viaggi fotografici (ai tempi della foto analogica
siamo riusciti a girare un mese in bici con due corpi reflex e cinque obiettivi), siamo ormai
inguaribilmente attratti e gratificati dalle prestazioni fotografiche delle leggere, economiche,
performanti “compatte”, alla faccia di chi preferisce di nuovo “farsi carico” di chili di corpi, lenti e
accessori vari.
Compagna durante la traversata è stata una vecchiotta ma validissima macchina foto di notissima
marca giapponese, dotata di due batterie e una scheda di memoria da due giga.
Solo otto megapixel (orrore dirà qualcuno), scatti in jpg (il quale ora sviene), ma un ideale
obiettivo zoom con una focale equivalente al vecchio 24-85 mm, adattissimo ai paesaggi montani,
a qualche primo piano e a qualche macro di fiori o rocce. Indubbiamente poco efficace per
riprendere lo sguardo di un camoscio curioso o il planare di un’aquila, ma insomma, bisogna
accontentarsi se si vuole viaggiare leggeri!
52 • alpidoc 82
ché non attrezzare solo dei punti di assicurazione, in modo che ogni gruppo si regoli in
base alle proprie capacità: cordata/corda fissa/
disarrampicata/corsa al volo? Forse un po’
meno persone salirebbero il Monviso? O forse
con più consapevolezza e preparazione? La risposta resta aperta…
Termina così la seconda tranche della nostra
traversata, allietata dalla piacevolezza degli ambienti, ma un po’ amareggiata dalle situazioni
lavorative: cercare il segnale del cellulare per
tenere i contatti con una gentile collega che
monitora internet per sapere dove si andrà a
insegnare il prossimo anno scolastico, sforzarsi
di tenere lontane le altrimenti quotidiane discussioni su cosa fare del futuro lavorativo,
in un’età in cui farebbe piacere avere qualche
certezza in più, in cui addirittura un tempo si
pensava a “tirare i remi in barca”!
Ormai lo abbiamo capito, nulla è stabile, dobbiamo essere flessibili e adattarci. Quello che
per noi resta un punto fermo, la nostra ancora
per il futuro, è proprio la montagna, con tutto
quello che fisicamente e simbolicamente le sta
intorno: relazioni, amicizie genuine, attività,
emozioni… Anche lei subisce i contraccolpi
degli stravolgimenti planetari, ma siamo abbastanza sicuri che non saremo noi a vederne la
fine.
Nel frattempo, ora che tutti enfatizzano la necessità di uno stile di vita all’insegna della sobrietà e del rigore, possiamo con buona ragione
unirci al coro invitando a sperimentare anche la
montagna in versione minimalista…
Per quanto ci riguarda, l’avventura selvatica continua: la prossima tappa sarà alla scoperta del
(quasi) misterioso mondo oltre il Monviso! l
Nella pagina a fianco: Grazia
in discesa dal Monviso.
In questa pagina, dall’alto: sobrietà è
esigere lavandini in pietra naturale,
scegliere verdure rigorosamente bio,
prenotare solo comfort suites…
alpidoc 82 • 53
Il capitano Cossato e la sua cima
Al cartografo militare Luigi Giovanni Fecia di Cossato sono
attribuite diciotto prime ascensioni nelle Alpi Cozie e Marittime,
tra le quali quella del Clapier. Tale fu il suo prestigio che Vicitor
de Cessole volle rendergli onore intitolandogli una vetta
Testo di Lorenzo Bagnoli
N
on è insolito, scorrendo la storia delle esplorazioni delle Alpi soprattutto degli ultimi
due secoli, imbattersi in figure di topografi o cartografi militari appartenenti agli organi
cartografici ufficiali degli Stati alpini, in Italia anche preunitari. Sovente, infatti, sono
stati costoro, in un’azione di ricognizione approfondita e sistematica del territorio, a raggiungere le zone più interne della catena alpina per completare la loro conoscenza del territorio, oppure
le vette più elevate per avere della regione circostante una visuale il più cartografica possibile. In un’epoca
in cui i viaggiatori per lo più non considerano ancora le Alpi come una destinazione ma solo come una
via di transito fra l’Italia e il resto dell’Europa, i cartografi militari diventano – a loro insaputa – i primi
veri alpinisti, sebbene pratichino la montagna non per diletto ma per obbligo professionale.
Anche la storia delle nostre Alpi Marittime ricorda i nomi di alcuni militari cartografi, fra i quali il capitano Cossato, sovente annoverato tra i primi esploratori delle Marittime, di cui tuttavia si sa ben poco,
nonostante una cima porti il suo nome. Il “battesimo” della Cima Cossato avvenne nel 1918 e “padrino”
fu addirittura Victor Spitalieri de Cessole, per l’autorevolezza del quale la proposta di attribuzione del
In un’epoca in cui i viaggiatori per lo
più non considerano ancora le Alpi
come una destinazione ma solo come
una via di transito fra l’Italia e il
resto dell’Europa, i cartografi militari
diventano – a loro insaputa – i primi
veri alpinisti, sebbene pratichino la
montagna non per diletto ma per
obbligo professionale.
A lato: un ritratto di Luigi Giovanni Fecia di Cossato
(fonte: Enciclopedia militare, vol. 3, p. 676).
Nella pagina a fianco: la Cima Cossato e i suoi
“vicini” in una fotografia dell’ottobre 1932
(fonte: Rivista Mensile, 1933, p. 551).
54 • alpidoc 82
toponimo venne immediatamente approvata dal
Club Alpino Italiano.
Tuttavia, il “successo alpinistico” riscosso dalla vetta
fu alquanto effimero. Sovente non segnata sulle
carte, oppure addirittura localizzata erroneamente
poiché confusa con altre sommità circostanti, gli
alpinisti che la raggiungono sono sempre meno
numerosi. Rimangono una bella descrizione con
fotografie sulla Rivista Mensile del CAI del 1933,
la descrizione sulle diverse edizioni della Guida dei
Monti d’Italia, qualche accenno su internet, ma –
come ha testimoniato lo stesso gestore del Refuge
de la Valmasque (ex Rifugio Guglielmo Kleudgen)
nell’agosto 2012 – ben pochi amanti delle Marittime si dirigono verso di essa.
L’itinerario per raggiungerla, non banale sebbene
non richieda doti alpinistiche, risulta peraltro
difficile da seguire a causa delle informazioni imprecise o contraddittorie che si possono trovare,
oltre che nelle carte, anche nelle diverse guide.
La panoramicità è comunque degna di un cartografo, e alcuni passaggi possono addirittura risultare vertiginosi.
Cossato, dopo un primo momento di gloria, sembra aver subito la stessa sorte della “sua” vetta,
tanto che sovente gli autori che lo citano fanno
intendere che di lui non si sia tramandato nemmeno il nome di battesimo. Studi o ricerche su
Cossato, infatti, non ne sono più stati fatti per
quasi un secolo finché, in occasione del Convegno del Comitato Scientifico Ligure-Piemontese
“Le Rocce della Scoperta. Momenti e problemi di
storia della scienza nelle Alpi Occidentali”, svoltosi al Monte dei Cappuccini di Torino il 25 e
26 ottobre 2008, si è tornati a parlare di lui. In
tale occasione fu infatti dimostrato che dietro a
tale breve appellativo si cela Luigi Giovanni Fecia
di Cossato (Biella, 8 gennaio 1800 - Cossato, 23
gennaio 1882), chiamato più comunemente Luigi
– da non confondersi però col figlio omonimo –,
antenato del celebre Carlo, il sommergibilista eroe
della seconda guerra mondiale.
Di Luigi si sapeva già che era stato aiutante in
campo di Carlo Alberto durante il difficile periodo
della battaglia di Novara – quando il re abdicò a
favore del figlio Vittorio Emanuele –, che era stato
eletto deputato al Parlamento subalpino nel 1853
e che finì la sua brillante carriera militare come
luogotenente generale e comandante generale del
Corpo Reale di Stato Maggiore, ma la coincidenza
della sua identità con quella del Cossato delle Marittime fu invece proposta per la prima volta solo
in quella occasione. Rinviando agli atti del Conve-
alpidoc 82 •
55
L’atto di battesimo della Cima Cossato
Quando salii questa cima il 9 luglio 1912 con la guida Ippolito Bernart ed il portatore Romano Laurenti
(forse preceduto da qualche altro alpinista di cui ignoro il nome) essa mi è parsa degna di perdere la sua
anonimia prendendo posto fra le cime nominate: e in modo del tutto naturale ho pensato all’esploratore
del M. Clapier e del M. Tenibres, il capitano Cossato, ingegnere dello Stato Maggiore Sardo, che fece per
vari anni numerose stazioni su vette importanti delle Alpi Marittime per preparare i lavori della carta Sarda.
È così ch’egli accampò, secondo Vaccarone, successivamente nel 1832 sul M. Clapier, nel 1846 sul M.
Ténibres, la Cima della Guercia, la C. di Pal, il M. Girauda, il Tournairet, la Rocca dell’Abisso.
È probabile che la brigata topografica ch’egli dirigeva traversasse per prima il valico ghiacciato oggi noto
sotto il nome di Passo di M. Clapier. V’è modo di riconoscere con certezza che il capitano Cossato fu
il primo salitore del Clapier e del Tenibres, ammettendo che questa certezza non possa applicarsi alle altre
cime sopra nominate. Ad ogni modo il capitano Cossato deve figurare in primissima linea fra quelli che
ebbero nelle Alpi Marittime la primizia dei bei panorami, che gli alpinisti non vennero ad ammirare che assai
più tardi. Questo titolo varrebbe da solo per porgere al Cossato l’onore di tale battesimo.
Victor Spitalieri de Cessole,
Rivista Mensile, 1918, p. 123
Nella pagina a fianco: la Cima Cossato dalla cresta della Charnassère
(foto di Lorenzo Bagnoli).
gno in questione per conoscere le ragioni per cui
si è giunti a tale conclusione, in questa sede ci si
limiterà a riassumere brevemente la sua attività
alpinistica e la sua produzione cartografica.
Il capitano Cossato e la sua cima
Il centenario della prima salita
alla Cima Cossato è passato
inosservato.
Per quel che concerne la prima, è possibile,
grazie a quanto tramandatoci da Luigi Vaccarone, attribuirgli diciotto prime ascensioni, la
maggior parte delle quali nelle Alpi Cozie e cinque nelle Alpi Marittime. Queste ultime sono
le ascensioni al Monte Clapier (3046 m), alla
Rocca dell’Abisso (2755 m), al Monte Girauda
(2606 m), alla Cima della Guercia (2692 m)
e al Monte Tenibres (3032 m), la prima avvenuta nel 1832 e le altre nel 1836, sicché si deve
pensare ad almeno due spedizioni topografiche
nelle Marittime. Circa il Clapier, anche la Guida
dei Monti d’Italia attribuisce la prima ascensione
56 • alpidoc 82
a Cossato nel 1832, aggiungendo un particolare
di cui finora non si sono trovati altri riscontri:
la costruzione da parte sua e del suo gruppo di
lavoro di un ricovero appena sotto la vetta.
Per quanto riguarda invece la produzione cartografica di Cossato, presso l’Archivio dell’Istituto Geografico Militare di Firenze sono
conservate 50 carte o schizzi firmati da lui.
A parte un foglio della “Carta del Canavese”
del 1821-1822 e la carta “Il Moncenisio da
La Ferriere all’Ospizio” del 1829 che costituiscono casi isolati, particolarmente interessanti
sono 31 minute di campagna (su 142 totali)
della carta “Riviere di Levante e di Ponente, e
parte delle Provincie di Alessandria e Pavia” del
1827-1829, che però rappresentano solo zone
esterne alle Alpi Marittime. Dei 113 fogli della
“Carta topografica degli Stati di Terraferma di
S.M. il Re di Sardegna” del 1816-1830 (che
servì da originale per il disegno della corrispondente carta topografica della quale fu decisa la
pubblicazione nel 1851), 17 sono firmati da
Cossato, ma anche in questo caso nessuno è
relativo alle Marittime.
Pertanto, se in un primo momento (dal 1821 al
1829), come testimoniano le carte che si sono
conservate fino a oggi, Cossato si era dedicato
a un’intensa attività di topografo rilevatore in
zone di più facile accesso, quali la pianura Padana o l’Appennino Ligure, negli anni successivi (dal 1831 al 1836), secondo altre fonti oggi
non più reperibili ma note agli studiosi fino a
circa un secolo fa, si spostò verso le Alpi Occidentali per lavori in zone che richiedevano doti
alpinistiche ben superiori. Tuttavia, di questo
secondo periodo non si sono trovate carte da lui
firmate, probabilmente perché, diventato capitano nel 1826 (come risulta dal suo foglio matricolare conservato presso l’Archivio di Stato
di Torino), ricopriva un ruolo più di comando
e di coordinamento dei lavori che non di compilazione di singole carte.
Il centenario della prima salita alla Cima Cossato, avvenuta nell’estate del 1912, è passato
inosservato e non ci sono notizie di rievocazioni o celebrazioni, né in Italia né in Francia.
Rimane l’auspicio che, in previsione del centenario del battesimo della vetta, che cadrà nel
2018, si potrà commemorare adeguatamente
un importante cartografo italiano cui tanto
devono gli amanti delle Alpi Marittime, e che
tale occasione porterà altresì a una migliore conoscenza della cima che ne porta il nome l
La descrizione ufficiale
CIMA COSSATO 2887 m (2876 m IGN)
Importante elevazione rocciosa sullo
spartiacque, a S del Colle dell’Agnel, dominante
il Ghiacciaio del Clapier e le combe dei laghi
de l’Agnel e Gelé. Così denominata in onore
del capitano Cossato, ingegnere e topografo
dello Stato Maggiore Sardo, che stabilì
numerose stazioni trigonometriche sulle vette
delle Alpi Marittime per l’allestimento della
Carta Sarda. Durante i lavori compì numerose
prime ascensioni, tra cui quella del M. Clapier,
del Tenibres e, probabilmente di parecchie altre
cime della catena, tanto che lo si può annoverare
tra i primi esploratori delle Alpi Marittime.
Guida dei Monti d’Italia, Alpi Marittime,
vol. 1, p. 163.
alpidoc 82 • 57
Lasciata l’automobile a Casterino, si raggiunge
in un paio d’ore, dapprima su strada e poi su
una comoda e ben tracciata mulattiera, il Refuge de Valmasque (2233 m) sul Lago Verde.
Oltrepassato lo scolmatore immediatamente a
est del rifugio, si imbocca il sentiero in direzione
del Lago Gelé (2588 m). Eccettuati certi passaggi leggermente esposti, il sentiero procede
facilmente lungo il versante della montagna ed
è ben segnalato da frequenti ometti di pietra.
In circa un’ora si giunge al lago, dove finisce
il sentiero tracciato e da dove si distingue
chiaramente verso nord il Colletto Ovest della
Charnassère (2727 m), raggiungibile in poco più
di un quarto d’ora su un pendio erboso.
Da questo punto si segue la facile cresta di
gneiss, dapprima in direzione est-ovest mantenendosi sempre sul versante sud, e successivamente, dal nodo orografico presso la Forcella
◢
scheda tecnica
 Cima Cossato
(2887 m)
Cossato (2858 m), in direzione sud-nord.
Tempo totale di percorrenza da Casterino: 4
ore circa.
Per l’itinerario di discesa, si può scendere dal
canalone che collega direttamente la Forcella
Cossato al Lago Gelé e da qui, ripreso il primo
tratto del sentiero dell’andata, continuare verso il Lago Nero, per raggiungere nuovamente
il Lago Verde e infine Casterino.
◢
Il capitano Cossato e la sua cima
Sopra: particolare della cartina relativa al Nodo di Vernasca con la localizzazione della
Cima Cossato (fonte: Guida dei Monti d’Italia, Alpi Marittime, vol. 1, tra le pp. 152 e 153).
Sotto: simpatici incontri lungo la via di salita (foto di Lorenzo Bagnoli).
58 • alpidoc 82
© costarossa
Rifugio
Ervedo ZANoTTi
(2200 m)
Comune: Pietraporzio (CN)
Località: alto Vallone del Piz
Custodia chiavi: c/o negozio “Pietraporzio
idee e prodotti”, via Nazionale sn,
Pietraporzio, tel. 0171/96519,
sig.a Paola AMErIO, tel. 338/1898768
Apertura: incustodito con ritiro chiavi
Accesso: da Pietraporzio al Pian
della regina, 2 km strada sterrata
poi sentiero T, ore 2,30
Rifugio federico fEDERiCi
Ettore MARCHESiNi al PAgARì
(2650 m)
Comune: Entracque (CN)
Località: Ghiacciaio del Pagarì
Tel.: 0171/978398
E-mail: [email protected]
Sito: www.rifugiopagari.com
Gestore: Andrea PITTAVINO (Aladar),
tel. 380/7108075
Apertura: 1/7-15/9
Accesso: da san Giacomo di Entracque,
su sentiero E, ore 4,45
Rifugio
Alfredo TALARiCo
(1750 m)
Comune: Pietraporzio (CN)
Località: Vallone di Pontebernardo
Custodia chiavi: c/o negozio
“Pietraporzio idee e prodotti”,
via Nazionale sn, Pietraporzio,
tel. 0171/96519,
sig.a Paola AMErIO, tel. 338/1898768
Apertura: incustodito con ritiro chiavi
Accesso: da Pontebernardo,
su sentiero T, ore 1,15
Rifugio
gENoVA - Bartolomeo figARi
(2015 m )
Comune: Entracque (CN)
Località: Lago Brocan
Tel.: 0171/978138
E-mail: [email protected]
Sito: www.rifugiogenova.it
Gestore: Dario GIOrsETTI,
tel. 340/4614189
Apertura: 15/6-15/9
Accesso: dal Lago della rovina, su sentiero
E, ore 1,30
La segreteria è aperta nei giorni di martedì, mercoledì, giovedì, venerdì dalle ore 17,00 alle 19,00; il giovedì anche dalle ore 21,00 alle 22,30.
Galleria Mazzini 7/3, 16121 Genova, tel. 0039 10 592122, fax 0039 10 8601815, www.cailiguregenova.it, [email protected]
SEZIONE LIGURE GENOVA
Rifugio
Lorenzo BoZANo
(2463 m)
Comune: Valdieri (CN)
Località: Alto Vallone dell’Argentera
Tel.: 0171/97351
E-mail: [email protected]
Sito: www.rifugiobozano.com
Gestore: Marco QUAGLIA,
tel. 328/3567556
Apertura: 15/6-15/9
Accesso: da Terme di Valdieri al Gias delle
Mosche, su strada e poi sentiero E, ore 2,30
Rifugio
Emilio QuESTA
(2388 m)
Comune: Valdieri (CN)
Località: Lago delle Portette
Tel.: 0171/97338
E-mail: [email protected]
Sito: www.rifugioquesta.it
Gestore: guida alpina
Flavio POGGIO, tel. 347/7959051
Apertura: 15/6-15/9
Accesso: da Terme di Valdieri,
su sentiero E, ore 3,30
Bartolomeo Peyrot,
il primo italiano sul Monviso
Centocinquant’anni fa il bobbiese Bartolomeo Peyrot
fu il primo italiano a raggiungere, in veste di portatore
al soldo dell’inglese Francis Fox Tuckett, la vetta del Re di Pietra.
Il CAI Uget Val Pellice, per ricordare l’impresa e il personaggio,
nel 2012 ha allestito una mostra e girato un film.
Questo articolo ne è il dovuto completamento
Testo e ricerca iconografica a cura di Marco Fraschia
60 • alpidoc 82
F
inalmente un buon diavolo, piccolo, ma di
buona volontà, accettò di accompagnarci per
una mercede di 2 franchi e 45 centesimi al
giorno, oltre il vitto. Egli si chiama Bartolomeo
Peyrotte1, e si obbligò di rimanere con noi per
quanto tempo avessimo voluto 2.
Così l’inglese Francis Fox Tuckett presenta il portatore che aveva assoldato a Bobbio Pellice affinché
lo accompagnasse sul Monviso assieme con le sue
due guide Michel Croz di Chamonix e Peter Perren
di Zermatt. I tre erano partiti il 2 luglio da Torino
dove si erano fermati di ritorno dal gruppo del Gran
Paradiso e dalle Valli di Lanzo. Raggiunta Pinerolo,
l’omnibus li aveva portati a Torre Pellice «in due ore
e un quarto». Da qui, dopo aver visitato i dintorni e
pernottato all’Hôtel de l’Ours – «eccellente, pulitissimo e condotto molto bene da gente cordialissima»
– alle 4,30 del 3 luglio si erano messi in viaggio alla
volta di Bobbio Pellice, che avevano raggiunto dopo
due ore di calesse.
Non ci è dato sapere come fece Tuckett a trovare
Peyrot, né che cosa stesse facendo quel mattino il
giovane bobbiese. Possiamo immaginare che non
ebbe problemi a comunicare in francese con la
gente del posto, dal momento che questa era la lingua usata dalla comunità valdese per il catechismo
e la predicazione al culto domenicale. Possiamo
anche pensare che Tuckett si sia rivolto direttamente al pastore (di anime) valdese, che all’epoca
era Barthélemy Davit, abituato a vedere comparire
ogni tanto viaggiatori inglesi in visita alle comunità
valdesi della valle. Quanto a Peyrot, come tutti i
montanari dell’epoca, sarà stato intento a uno dei
tanti lavori di campagna: accudire le bestie, tagliare
erba, allargare il fieno, zappare l’orto o il campo di
patate. Oppure, se è vero, come risulta da fonti orali
non verificate, che facesse il calzolaio, sarà stato alle
prese con scarpe o zoccoli da realizzare o aggiustare.
Fatto sta che tra l’arrivo in calesse a Bobbio Pellice,
alle 6,30, di Francis Fox Tuckett con le sue due
guide e la partenza a piedi alle 8 dal paese assieme a
Peyrot passò un’ora e mezza soltanto, e tanto bastò
a Bartolomeo Peyrot per cambiare la propria vita ed
entrare, suo malgrado, nella storia dell’alpinismo.
Tra tutti, il più carico era, ovviamente, il buon Peyrot:
Una deliziosa passeggiata di tre ore di passo moderato, a cagione delle gambe straordinariamente corte
del nostro nuovo compagno di viaggio, ci mise ai
piedi del colle della Croce. Trovammo ivi un’osteria
decente la quale trae il suo sostentamento dal passaggio abbastanza vivo tra La Torre e la valle del
Queyraz [sic], dacché la strada è molto praticata.
Vista l’ora e la prospettiva di non avere per il resto
della giornata altre possibilità di rifocillarsi, i quattro
si fermano a mangiare pranzo alla Ciabota del Prà
(1732 m).
Quando ci levammo era già un’ora dopo mezzogiorno. Peyrotte, durante tutto il pasto, si palesò
un divoratore prodigioso. Io penso che in questo
incontro egli volle altrettanto indennizzarsi della
passate privazioni, quanto provvedersi contro le
incertezze dell’indomani.
1 Il cognome Peyrot è scritto Peyrotte alla francese, ma in Val Pellice e Val Germanasca è sempre stato Peyrot,
così come compare sui documenti anagrafici dell’epoca. Analogamente Tuckett scrive Perrn il nome della sua guida
svizzera tenendo conto della pronuncia tedesca del nome, che andrebbe scritto correttamente Perren.
2 Salvo diversa indicazione, tutte le citazioni del racconto della salita al Re di Pietra sono tratte da Francis Fox
Tuckett, Una notte sulla cima del Monviso (4 luglio 1862) in Gazzetta di Torino, 18 e 19 marzo 1863 (Appendice). Lo
stesso racconto, leggermente modificato e un po’ più breve, compare anche in inglese col titolo A night on the summit
of Monte Viso in The Alpine Journal, vol. I, 1863-1864, pp. 23-33 (marzo 1863), mentre il seguito del resoconto si
trova in Francis Fox Tuckett, Explorations in the Alps of Dauphinè during the month of July, 1862. Read at the meeting
of the Alpine Club, June, 9 th. 1863 in The Alpine Journal, vol. I, 1863-1864, pp. 145-183 (dicembre 1863).
Una traduzione italiana di A night on the summit of Monte Viso si trova anche in Marco Albino Ferrari (a cura di),
Racconti di pareti e scalatori, Torino, Einaudi, 2011, pp. 5-14.
alpidoc 82 • 61
Qualche notizia biografica
Bartolomeo Peyrot. primo italiano sul Monviso
Bartolomeo Peyrot,
ormai anziano, nella foto
d’epoca conservata
presso la sede del CAI UGET
Val Pellice.
Di Bartolomeo Peyrot (Barthélemy nei documenti d’archivio,
Peyrotte nella relazione di Tuckett, Sella e altri contemporanei)
conosciamo ben poco. Da ricerche d’archivio e articoli
di giornale sappiamo che nasce a Bobbio Pellice il 2
novembre 1836 da David Peyrot (1801-1879) e Jeanne
Allio (1804-?) e il 13 dello stesso mese viene battezzato
valdese, con Paul Artus e Catherine Bertin, sua moglie,
come padrino e madrina. Molto probabilmente
partecipa alle guerre d’indipendenza ottenendo anche
delle medaglie. Dopo la salita con Tuckett nel 1862,
nell’agosto del 1863 accompagna sul Monviso ancora
un gruppo, ma senza raggiungere la cima.
Il 24 settembre 1871 si sposa nel tempio di Bobbio
Pellice con Constance Bonjour; celebra il matrimonio il
pastore Matthieu Gay. Dopo pochi mesi, il 12 dicembre
1871 nasce il primogenito David, cui segue quattro anni
dopo (10 maggio 1875) la figlia Jeanne. David emigra a
Marsiglia dove tuttora ci sono eredi Peyrot. Il 17 novembre 1920,
all’età di ottantaquattro anni, Bartolomeo Peyrot muore in
borgata Giaime di Luserna San Giovanni presso la casa della
figlia Jeanne, sposata Bertin. Dal registro dei funerali della
chiesa valdese di San Giovanni sappiamo che era vedovo
e operaio (ouvrier) di professione.
In tre ore il gruppo raggiunge la sommità del
Colle Seilliere (2851 m): «…là ad un tratto, ci
si presentò la magnifica veduta del Monviso».
Dopo una sosta di un’ora, alle 17 si riparte in
direzione del Colle di Vallanta, che viene raggiunto alle 18,30: «Il tempo era bello, il sole
tramontando faceva splendere co’ suoi raggi dorati le rocce del Viso che oramai ci torreggiava
daccanto maestosamente».
La discesa nel Vallone di Vallanta avviene senza
difficoltà, a parte qualche problema a trovare un
posto per la notte:
Trovammo i più alti chalets abitati, ma sia per
inospitalità degli abitanti, sia perché sospettassero della nostra apparenza, essi non vollero
darci ricovero, e nemmeno venderci una goccia
di latte. Ma quando, circa alle 8, arrivammo
al prossimo gruppo di case, indicato vicino alla
lettera A della carta che accompagna il giornale
del signor Mathews 3 a un’ora circa sotto il colle,
trovammo negli abitanti una squisita cordialità.
Il pastore ci accolse, insieme con sua moglie,
assai di buon cuore. E quella povera gente non
finiva più di dirci i bene arrivati e di chiederci
scusa del loro stato che non permetteva di usarci
tutta l’accoglienza che avrebbero voluto. Le
oneste offerte furono accettate con grato animo,
e qualche istante dopo, davanti al fuoco, bolliva allegramente una bella pentola di latte, con
dentro del cioccolatte che noi vi aggiungemmo.
Ci ristorammo con un po’ di cena, e stanchi già
abbastanza per non essere difficili intorno al
continua a pagina 66
3 Peaks, Passes and Glaciers, seconda serie, vol. II, Londra, Longmans, Green and Co.,1862, pag. 132.
62 • alpidoc 82
alpidoc 81 • 71
E dopo l’exploit, il ricordo dei posteri
Al momento di congedarsi da Peyrot, Tuckett gli rilascia una lettera di accompagnamento da presentare
come credenziale ai futuri clienti:
Je certifie que Bartolomeo Peyrotte m’a accompagné de Bobbio à cet endroit par Pra, le col de
Seylières, le col de Vallanta, Ponte Castello, Chianale et le Col de l’Agnello, et je suis très content de lui.
Des chalets entre le col de Vallanta et Ponte Castello nous sommes montés avec les guides
Michel Croz de Chamonix et Pierre Perrin de Zermatt à la dernière cime du Monviso, sur
laquelle nous avons passé la nuit du 4 en jouissant de la plus belle vue sur la plaine d’Italie, les
montagnes de la France, les Alpes Maritimes etc. Je trouve qu’il faut remarquer que B. Peyrotte
est le premier piémontais qui à mis le pied sur cette montagne.
Queyras, 6 juillet 1862
Francis Fox Tuckett de Bristol en Angleterre
L’anno seguente, e precisamente il 5 agosto 1863, a Sampeyre, Peyrot fa leggere la sua credenziale a un gruppo
di alpinisti di ritorno da un tentativo di salita al Viso. Egli sta accompagnando sulla montagna, passando dalla
Val Varaita, «un’altra carovana di viaggiatori […] della quale faceva parte una non meno elegante e gentile
che coraggiosa signora torinese». Si tratta di Alessandra Boarelli che darà nome al pianoro nel Vallone delle
Forciolline, dove la comitiva passa la notte senza riuscire, il giorno dopo, a raggiungere la cima 1. Forte di questo
fallimento, Quintino Sella, nel raccontare la propria ascensione, effettuata il 12 agosto 1863, non si risparmia
di denigrare il buon Peyrot, al quale, secondo lo statista, nel tentativo di poco precedente alla sua salita,
venne talmente meno ogni specie di animo, che dopo molte difficoltà e tentennamenti finì di
rifiutarsi affatto a condurre la comitiva sulla vetta del Monviso. Io non mi meraviglio troppo
del poco entusiasmo del primo italiano che fu sul Monviso, perché dalle frasi della relazione
del Tuckett che lo riguardano, arguisco come già allora molto rimpiangesse di essersi posto in
cosiffatta impresa, tanto che il Tuckett l’ebbe a motteggiare non poco. Ma tornando alla comitiva,
essa non poteva non perder animo per l’avvilimento del Peyrotte, e quindi rinunciò all’impresa 2.
Miglior trattamento riservano a Peyrot gli alpinisti inglesi. Oltre alla credenziale rilasciata da Tuckett, John
Ball, primo presidente dell’Alpine Club dal 1857 al 1860, cita Peyrot nella sua guida delle Alpi Occidentali
relativamente a Bobbio Pellice: «Bartolomè Peyrotte, of this village, accompanied Mr. Tuckett in the ascent
of Monte Viso, as a porter. He was found active and useful, and his terms moderate» 3. La stessa citazione
compare anche nella traduzione italiana della guida, e il cognome del portatore viene scritto, finalmente,
in modo corretto: «Un certo Bartolomeo Peyrot di questo villaggio, accompagnò il signor Tuckett, come
portatore, nella sua ascensione sul Monviso. Egli era attivo e intelligente, e discreto riguardo ai prezzi»4.
Bisogna aspettare il 1928 perché, per iniziativa dell’UGET Val Pellice, venga posta sul municipio di Bobbio
Pellice una lapide che ricorda “il primo italiano scalatore del Monviso”, come titola il settimanale La
voce del Pellice del 4 maggio nel fare il resoconto della manifestazione:
1 Citazioni e notizie tratte da Vittorio Grimaldi, Una settimana al Monviso in Rivista Mensile del Club Alpino Italiano,
nn. 1-2, gennaio-febbraio 1963, pp. 23-35.
2 Quintino Sella, Una salita al Monviso. Lettera di Quintino Sella a B. Gastaldi segretario della scuola per gli ingegneri, Torino, Tipografia dell’Opinione, 1863, pp. 7-8.
3 John Ball, A guide to the Western Alps, New Edition, London, Longmans, Green and Co., 1877, p. 35.
4 Id, Guida delle Alpi Cozie (distretto del Viso – distretto valdese), con note e aggiunte del Cav. V. Buffa e Dott. E.
Rostan, Pinerolo, Chiantore e Mascarellli, 1879, p. 44.
64 • alpidoc 82
Malgrado la violenta bufera che imperversò su tutta la valle […] una numerosa schiera di alpinisti,
rappresentanze e valligiani, volle presenziare alla modesta cerimonia. […] Dopo brevi parole del sig.
Alessandro Pasquet, il prof. Ubaldo Valbusa, presidente del CAI di Ivrea, tenne il discorso ufficiale,
e con la sua calda e dotta parola seppe rievocare in brevi tratti la figura dell’umile Bobbiese,
accomunandola a quella di Quintino Sella. […] In prima fila, ed in costume valdese, spiccava la
signora Giovanna Peyrot in Bertin, figlia di Bartolomeo Peyrot, con sul petto appuntate le medaglie
guadagnate dal padre suo nelle guerre per l’indipendenza» 5.
La cerimonia termina con «amichevole thè» presso l’Hôtel Flora e la «vendita di un elegante ricordo di
Bartolomeo Peyrot».
Dopo la triste parentesi della guerra bisogna aspettare gli anni Sessanta del Novecento per avere altre
iniziative legate alla figura di Bartolomeo Peyrot. Il 30 dicembre 1965 il Consiglio comunale di Bobbio Pellice,
presieduto dal sindaco Giovanni Baridon, riconosce ufficialmente l’intitolazione di una via Peyrot «dedicata
all’alpinista bobbiese che con una spedizione inglese raggiunse in prima scalata la vetta del Monviso» 6.
Pochi anni più tardi, il giornale locale Il Pellice del 23 febbraio 1968 annuncia per domenica 25 febbraio
una «gara sciistica riservata alla terza categoria. Sono in palio il Trofeo Peyrot, coppe offerte da vari enti,
medaglie e premi in natura» 7. L’organizzazione è dello Sci Club Bobbio Pellice con la collaborazione di Pro
Loco e amministrazione comunale. Siccome nel trafiletto si sottolinea che «sarà indispensabile la presenza
di un po’ di neve» è probabile che questa non sia caduta, visto che sui numeri successivi non c’è nessun
resoconto della manifestazione. Infatti, il 22 dicembre dello stesso anno, organizzata dallo Sci Club Bobbio
Pellice, si svolge «sulle nevi del Garneud […] una gara di fondo individuale intitolata al Trofeo Bartolomeo
Peyrot». Vi partecipano trentanove concorrenti, suddivisi in quattro categorie: seniores, juniores, allievi e
veterani. Il trofeo triennale Bartolomeo Peyrot viene assegnato allo Sci Club Angrogna 8. Dopo una pausa
nel 1969, dovuta forse all’assenza di neve, la manifestazione riprende nel 1970 e prosegue ogni anno fino
al 1974 – con una partecipazione media di settanta-ottanta concorrenti e una punta di centrotrenta nel
1974 – per concludersi definitivamente nel 1977 con centocinquantasei partecipanti, quando il Trofeo
Peyrot viene «definitivamente assegnato allo Sci Club Prali per merito di Martinat Livio, Pascal Gino e Genre
Mauro» dopo essere passato per due anni consecutivi nelle mani dello Sci Club Nordico di Torino (1973
e 1974). Dovranno passare altri quarant’anni circa perché ci siano altre manifestazioni a ricordo di
Bartolomeo Peyrot. Nel 2012, infatti, il CAI UGET Val Pellice in occasione dei centocinquant’anni dalla
salita ha realizzato una mostra e un film sul primo italiano sul Monviso.
La mostra – che consiste in sette pannelli illustrativi sull’itinerario, il resoconto della salita, i suoi
protagonisti e la figura di Bartolomeo Peyrot nella storia – dopo essere stata esposta presso i locali
della Dogana Reale di Bobbio Pellice dal 12 maggio al 31 luglio, è salita nei rifugi del CAI UGET Val
Pellice: in agosto al Rifugio Granero, nel mese di settembre al Rifugio Barbara e in quello di ottobre al
Rifugio Jervis. Il film invece, girato dall’8 al 18 di agosto, dopo la fase di montaggio, è stato presentato
ufficialmente il 29 e 30 novembre presso il teatro del Forte di Torre Pellice, nell’ambito della rassegna
MontagnArt, alla presenza degli eredi di Bartolomeo Peyrot, residenti a Marsiglia, in Francia.
5 Bartolomeo Peyrot primo italiano scalatore del Monviso ricordato in una lapide a Bobbio Pellice, in La voce del
Pellice, 4 maggio 1928.
6 Dal verbale del Consiglio pare di capire che la via esistesse già, ma che vi fosse «la necessità di regolarizzare con
un provvedimento» la sua denominazione.
7 Notizie da Bobbio Pellice, in Il Pellice, 23 febbraio 1968.
8 Disputato a Bobbio Pellice il Trofeo Bartolomeo Peyrot, in Il Pellice, 27 dicembre 1968.
alpidoc 82 • 65
Bartolomeo Peyrot, primo italiano sul Monviso
letto, ci sdraiammo sopra il fieno. Non eravamo
ancora coricati che già viaggiavamo nel regno
dei sogni 4.
Qui Tuckett ha modo di provare il suo sacco a
pelo, forse uno dei primi modelli della storia
dell’alpinismo, e si sofferma a descrivere minuziosamente quello che nella versione italiana
viene definito «sacco ossia letto di campagna»
(sleeping bag nel testo inglese).
Il nuovo sacco di campagna è coperto di makintosh
nella parte inferiore; nella parte superiore, alla distanza di circa 15 pollici dai piedi, comincia ad
essere semplicemente come un sacco, fatto di quella
istessa stoffa con cui si fabbricano generalmente le
coperte di lana rossa, chiamata in commercio col
nome di pelle di cigno. Si apre come il davanti di
una camicia, per lasciar adito ad entrare comodamente il corpo e dai lati vi sono due fori per far
passare le braccia: così si facilita molto ogni movimento della persona. Dove finisce il makintosh,
superiormente, comincia una specie di copertina,
o di grembiale della stessa stoffa di lana del sacco.
Questo grembiale può essere rovesciato all’ingiù
sopra i piedi, se si sente freddo, o tirato su sino al
collo, ed assicurato alle spalle con due bottoni, se
si ha desiderio di aver più caldo alla parte superiore del corpo. Un cappuccio anch’esso di lana,
ma privo affatto di makintosh, per lasciar libera
la circolazione dell’aria e quindi la traspirazione
fa compiuto l’apparecchio.
Il tutto per quattro chili di peso. Sulle spalle di
Peyrot, ovviamente.
Alle 8,15 del 4 luglio, «dopo una buona colazione di pane e latte», la comitiva riparte salendo
«lungo le falde del monte che si stende verso
mezzodì dal piccolo Monviso tra la valle di Vallanta e quella delle Forciolline».
Alle 9,45 è fuori dal bosco di pini cembri e alle 10,30
fa una sosta di mezz’ora presso i laghi delle Forciolline. Alle 11,45 Tuckett e compagni sono alla base
della parete sud dove indossano le uose (ghette):
Salimmo con passo regolare e senza fretta per
un’altra ora e 3/4 più spesso in mezzo alle rocce,
oppure per couloirs e talvolta sopra pendii di
ghiaccio dove fu d’uopo tagliarci i marciapiedi
coll’ascia. All’1,45 ci trovammo sulla vetta
della cresta che discende dalla sommità S.S.E.
nella direzione del colle delle Sagnette.
Si fermano per il pranzo e poi «un’altra ora e
mezzo di salita sempre ardua ci condusse alla
sommità, così che la salita dal chalet di Vallanta,
durò sette ore ed un quarto, dalle quali però si
deve dedurne 1 e 1/2 spese in fermate».
L’abbondanza di neve consiglia prudentemente
ai quattro di accontentarsi della cima orientale,
dove il resto della giornata viene speso in misurazioni scientifiche (principalmente pressione
atmosferica e temperatura di ebollizione dell’acqua comparate tra loro e rilevate a distanza di
un’ora tra le 17 e le 19) e preparativi per il bi-
4 Ciò che colpisce del resoconto del primo giorno di cammino sono la distanza, il dislivello e i tempi. Da
Bobbio Pellice agli chalets dove il gruppo passa la notte, che presumibilmente corrispondono alle Grange del Rio,
1988 metri sul livello del mare, all’imbocco del Vallone delle Forciolline, ci saranno almeno 35-40 chilometri,
di sicuro 2500 metri di dislivello, solo in salita (Bobbio Pellice 734 metri – Col Sellier 2851 metri = 2117 metri;
Bérgerie du Vallon 2428 metri – Passo di Vallanta 2811 metri = 383 metri; 2117 + 383 = 2500 metri esatti!).
Oggigiorno una gita in montagna di un certo impegno si aggira tra i 1000 e i 1800 metri di dislivello in salita;
molto raramente si superano i 2000 metri di dislivello in un solo giorno. Pertanto i 2500 metri di dislivello su
una distanza approssimativa di 35-40 chilometri restano un’impresa tout court anche ai giorni nostri, e lo erano
anche all’epoca di Peyrot, soprattutto in relazione all’attrezzatura a disposizione. Chi conosce e frequenta la zona,
sa bene che andare da Bobbio Pellice al Prà non è propriamente «una deliziosa passeggiata di tre ore di passo
moderato», così come per andare dalla Ciabota del Prà al Colle Sellier in tre ore non bisogna certo fermarsi a
guardare il panorama o a contemplare i fiori. Insomma: Bobbio Pellice-Grange del Rio in dodici ore con due
ore di sosta al Prà e un’ora al Sellier è un exploit degno delle moderne corse in montagna.
66 • alpidoc 82
L’apparenza del tempo non era punto rassicurante; di quando in quando il vento muggiva
in mezzo ai dirupi ed alle balze. Un vapore
grigio che s’alzava dalle sottoposte vallate, avviluppava l’altura. In verità, io cominciava a
dubitare della saggezza del nostro procedere.
Ma oramai non v’era più mezzo di far diversamente; l’oscurità crescente ci circondava. Bisognava prepararsi per la notte. Prima d’ogni
cosa pensai a far bollire una bottiglia di vino,
mediante il mio apparato, per ristorarci e metterci in grado di affrontare quello che di peggio
poteva accadere. Poscia Peyrotte si avviluppò
nel sacco che portava seco. Croz si coprì la testa
con una maglia di lana. Perrn pose un buon
berretto di pelle di foca con lunghe ali che scendevano sopra le orecchie, che io gli prestai. Si
unirono tutti ben serrati, stesero sopra di loro
una coperta che avevano preso ad imprestito nel
chalet, e vi soprapposero ad efficace riparo la
coperta mia di makintosh. Io, alla mia volta,
mettendomi dentro il mio sacco, coi piedi contro la roccia, in modo che mi fosse difficile di
scivolare, cercai di prendere riposo.
Alle due e mezza di notte Tuckett si sveglia:
Apersi gli occhi, e con molta sorpresa osservai
che tutto a noi d’intorno era bianco. Era caduto
più di un pollice di neve, e seguitava a cadere
a larghi fiocchi in mezzo alla nebbia. La prospettiva non era davvero molto rallegrante, ed
il mio spirito era così vicino al prostramento
che il pensiero di dover rimanere in quello stato
per qualche ora ancora, mi si presentava molto
molesto. Faceva molto freddo, ma mi sentii in
grado di sfidare un tempo anche più crudo. Mi
confortava la maniera con cui sopportava sì difficili prove il mio sacco.
I suoi compagni, senza sacco a pelo, stanno decisamente peggio di lui:
Bartolomeo Peyrot. primo italiano sul Monviso
vacco che viene allestito una dozzina di metri
(«40 piedi») sotto la vetta. Ciò non impedisce di
cogliere la bellezza e la magia del momento: «Il
tramonto fu meraviglioso. L’ombra del Monviso
si stese vasta e pomposa sopra il velo di nebbia
leggera che copriva la pianura del Piemonte». Alle
sette di sera però ci sono già due gradi sotto zero:
Io ho paura che diversamente volgessero le cose
per i miei compagni. Sebbene fossero passabilmente riparati, ed avessero, stando uniti tra di
loro, il calore naturale, non erano tuttavia naturalmente sorretti dal mio vivo entusiasmo. Infatti dal sacco, specialmente del povero Peyrotte,
uscivano dei gemiti dolorosi. Io mi proposi di
incoraggiarlo, cercai in particolare modo di
rialzargli il morale facendogli riflettere avanti
tutto come egli fosse il primo, tra i sudditi del re
d’Italia che avesse asceso il Monviso, e, per sopra
mercato, vi si fosse fermato una notte. Una notte
di cui gli sarebbe durata la memoria per tutta la
vita, e che lo avrebbe reso famoso fra i presenti
Didascalie
In apertura, a pagina 60: l’immagine scelta per la locandina del film dedicato
al primo salitore italiano del Monviso (foto di Marco Fraschia). A pagina 63, dall’alto
in senso orario: Francis Fox Tuckett nel 1868, da A Pioneer in the High Alps. Alpine
Diaries and Letters of F. F. Tuckett 1856-1874, London, Edward Arnold, 1920; due disegni
di Elisabeth Tuckett tratti da Pictures in Tyrol and Elsewhere from a Family Sketchbook,
London, Longmans, Green, and Co., 1867, in alto il famoso sacco a pelo di Tuckett;
Henri Peyrot, L’auberge au Pra (1907), Archivio Fotografico Valdese, Fondo Henri Peyrot;
la lapide posta sul municipio di Bobbio Pellice a ricordo di Bartolomeo Peyrot (Foto Bepi
Pividori); un particolare della lettera autografa – indirizzata a Bartolomeo Gastaldi e
datata Torino, 15 agosto 1863 – in cui Quintino Sella cita Peyrot, in Salita del Monviso.
Anno 1863, p. 5, Centro Documentazione Museo Nazionale della Montagna-CAI-Torino.
alpidoc 82 • 67
Il film
Da mercoledì 8 a sabato 18 agosto 2012 si sono
svolte in alta Val Pellice, nella zona del Monviso, le riprese del film . Inizialmente concepito
per uno spettacolo teatrale, il soggetto è stato
leggermente modificato per meglio adattarlo
alle esigenze cinematografiche. Il film è stato
preferito allo spettacolo teatrale dal direttivo
Cai Uget Val Pellice per supplire alle difficoltà e all’imbarazzo di calcare la scena di un
teatro. Il Cai Uget Val Pellice oltre ad assumersi l’onere dei costi – circa 8000 euro in tutto
– ha fornito anche un nutrito numero di attori.
Questi gli artefici e protagonisti del film: soggetto: Marco Fraschia; sceneggiatura: Marco
Fraschia, Leopoldo Medugno, Emanuele Pasquet; regia: Leopoldo Medugno ed EmanueIn queste pagine, due immagini scattate durante la
le Pasquet (Patroclo Film); costumi: Federica
lavorazione del film (foto di Marco Fraschia)
Pasquet; scenografia: Francesca Giai; fonico:
Arianna De Luca; montaggio: Vincenzo Di Natale; consulenze linguistiche: francese, Micaela Fenoglio; patouà, Tatiana Barolin; piemontese, Franco Pasquet; personaggi e interpreti: Bartolomeo
Peyrot/Giorgio Benigno; Francis Fox Tuckett/Alessandro Plavan; Michel Crox/Bepi Pividori; Peter
Perren/Paolo Colleoni; mamma Peyrot/Dilva Castagno; figlio Peyrot/Stefano Benech; Constance
Bonjour (cameriera e moglie di Peyrot)/Valentina Cesan; Pierin/Ermanno Aglì; coppia di pastori/
Claudio ed Elisabetta Paschetto; pastore valdese/Valdo Bellion; oste/Roberto Pontet; cocchiere/Eric
Charbonnier; giocatori di morra: Giovanni Charbonnier, Pierino Garnier; Riccardo Davit; Roberto
Charbonnier; Paolo Michelin Salomon; Paolo Geymonat. Durata: 36 minuti.
ed i venturi di Bobbio. E tutta questa gloria in
cambio di poche ore di freddo e di neve.
E venendo a cose più umili, ma più utili, gli
feci toccare con mano che il disagio presente
l’avrebbe giovato ne’ suoi interessi, giacché, dopo
una simile escursione, i viaggiatori l’avrebbero
chiesto di preferenza a qualunque altro per
guida esperimentata. Ma la mia eloquenza
andò quasi perduta. Mi parve che dalle sue risposte apparisse ben chiaro che egli avrebbe di
buon grado rinunciato alle più brillanti prospettive avvenire per isfuggire il presente che lo
travagliava forse troppo.
Alle 5,15 i quattro si alzano e, dopo un boccone
di colazione, «avendo perso ogni speranza di
68 • alpidoc 82
adoperare il teodolite, che era stato trasportato
con tanta fatica», alle 6 iniziano la discesa, resa
delicata dalla neve caduta nella notte.
Alle 10,15 raggiungono l’alpeggio dove hanno
passato la prima notte: «Al chalet, una liberale
libazione di latte fresco, fu accettata con molto
piacere; e subito dopo ci ponemmo entro il
fieno per 3 o 4 ore, onde riguadagnare quanto
avevamo perduto di sonno e di riposo la notte
scorsa».
Alle 14,30 riprendono la discesa verso Castello,
in Val Varaita, che raggiungono alle 15,30
dopo aver incontrato «tre o quattro preposti di
finanza, armati di carabina, i quali con modi
non garbati ci fermarono e sottoposero tutto
il nostro povero bagaglio ad una visita rigoro-
sissima». Alle 16,50 i quattro sono a Chianale,
dove passano la notte in un «albergo di non
molto incoraggiante apparenza».
Qui termina la relazione comparsa sul quotidiano torinese dell’epoca, non senza l’annotazione finale: «così ebbe termine una
interessantissima escursione di cui mi rammenterò ognora come delle più piacevoli da me intraprese fra le montagne».
Dal seguito del racconto, pubblicato su The
Alpine Journal, e dai diari di Tuckett stesso 5
sappiamo che il 6 luglio, dopo la sveglia alle 4
e partenza alle 5, il gruppo raggiunge il Colle
dell’Agnello alle 7,15 per scendere in Francia.
Alle 14,30, a Chateau Queyras, Tuckett, Croz
e Perren si separano da Peyrot – che presumibilmente rientra a Bobbio passando, forse,
dal Colle della Croce – per proseguire verso il
Delfinato, dove effettueranno altre importanti
l
salite nel massiccio degli Ecrins.
5 Francis Fox Tuckett, Explorations in the Alps of Dauphiné during the month of July, 1862. Read at the meeting of the Alpine Club, June, 9 th. 1863, in The Alpine Journal, vol. I, 1863-1864, pp. 145-183, dicembre
1863; A pioneer in the high Alps. Alpine diaries and letters of F. F. Tuckett 1856-1874, London, Edward Arnold,
1920, nello specifico pp. 124-127 e 143-145).
alpidoc 82 • 69
L’uomo che non passò alla storia
Testo di Dario Viale
F
u poco prima del Col Seilliere che se lo trovarono davanti per la prima volta da che erano partiti
da Bobbio. Bartolomeo lo vedeva da sempre dalla sua valle natia, ma stavolta era ben diverso.
Avrebbe dovuto salire quel monte di smisurata mole sino alla sommità. Non gli pareva possibile, assolutamente. Osservato da questo versante a settentrione poi, dove le rocce e i ghiacci
uniti alla verticalità conferiscono al Monviso un aspetto orrido e repulsivo, la volontà di scalarlo pareva
follia, null’altro che follia.
Eppure l’anno prima era stato vinto, lo sapeva bene. Anche se molti ancora dubitavano di quell’incredibile
evento. Il signor Tuckett, l’inglese che lo aveva ingaggiato come portatore con una buona paga, aveva avuto
l’accortezza di farsi accompagnare dal formidabile montanaro savoiardo che aveva guidato l’ascensione
vittoriosa, e che era stato il primo uomo ad aver messo piede sulla vetta, Michel Croz.
Del resto, costui gli sembrava davvero affidabile; dall’imperturbabilità che mostrava, si capiva che era dotato di
grande forza d’animo, e certamente la forza fisica non era da meno. Infine, non era quello che si parava alla loro
vista il versante di salita programmato. Questo si trovava a meridione, una volta scavalcato il Passo di Vallanta,
e offriva una parete più fratturata e meno ostica. Così gli aveva detto Michel, e non aveva motivo di dubitarne.
Erano pure accompagnati da un altro valligiano, che a sua volta portava spesso i signori sulle nevi perenni
e sulle rocce delle sue alte montagne, Peter Perren, nativo di Zermatt in Svizzera.
Chamonix, Zermatt erano nomi sconosciuti a Bartolomeo prima di quel giorno, ma sentiva che quei
due uomini erano della sua stessa fatta. Come lui vivevano sui monti, zappavano, falciavano, mietevano,
tagliavano legna. Magari, dalle loro parti, in estate, c’erano più touristes da accompagnare, perché là le
montagne erano più alte, ma in fondo avvertiva che non c’erano grandi differenze tra la sua Valle Pellice
e la valle di Chamonix o quella di Zermatt. Prova ne era il fatto che si capissero così bene, malgrado parlassero lingue diverse.
Abituato a portare pesi, Bartolomeo non avvertiva troppo il carico che gravava sulle sue spalle, forse anche
per l’eccitazione di ciò che lo attendeva l’indomani.
«Ho scritto questo breve racconto romanzando alcuni dati
storici raccolti da Ezio Nicoli nel volume Monviso Re di Pietra
e quelli contenuti nella relazione di Tuckett sulla seconda
ascensione del Monviso compiuta nell’estate 1862. L’ho fatto
nel tentativo di rendere giustizia al primo cittadino del nuovo
Regno d’Italia che ne aveva raggiunto la vetta.
Oltre vent’anni fa, leggendo il libro di Nicoli, mi ero sorpreso
nello scoprire che il primo salitore italiano non era stato
Quintino Sella con la sua spedizione di notabili, come avevo
sempre letto e creduto, ma un anonimo valligiano di Bobbio
Pellice. Nella monografia non vi sono che rare e ben poco
70 • alpidoc 82
Dopo aver guadagnato il colle scesero nel vallone di
Castello dove trovarono cordiale ospitalità presso
un alpeggio di margari.
Il giorno seguente, nonostante il bel tempo invitasse
ad approfittarne, indugiarono alquanto. Infatti il
signore inglese a capo della spedizione aveva una
bizzarra idea in testa: voleva pernottare sulla vetta!
Questa era la cosa che più angustiava Bartolomeo,
molto più delle eventuali difficoltà della salita.
Sapeva bene che in montagna più si sale in alto più
la temperatura si abbassa. E se poi li avesse sorpresi
il maltempo? Sarebbero ancora riusciti a scendere?
A volte, in alta quota, anche nel cuore dell’estate
nevica copiosamente.
Era piuttosto perplesso: intuiva che quell’uomo
aveva pensieri diversi dai suoi. La sua maggiore istruzione, la diversa educazione formavano una barriera
difficile da penetrare. Ma la difficoltà non era solo
sua, aveva notato che anche l’inglese con tutta la sua
sapienza aveva difficoltà a comprendere il mondo
dei valligiani e si fermava alla superficie, spesso accontentandosi delle proprie supposizioni.
❡
La prima parte non fu che una camminata su terreno malagevole, il tratto impegnativo arrivava in
alto, sopra la zona dei laghi detti delle Forciolline,
dove aveva bivaccato la comitiva di Croz l’anno
avanti, prima della conquista. Bartolomeo fece par-
tecipe Michel dei propri dubbi: avrebbe preferito
non passar la notte in vetta, gli disse.
«Ah, moi aussì!», gli confermò questi con un tranquillo sorriso. La calma superiore di Croz ancora
una volta lo contagiò positivamente. La parete appariva difficile, ma non impossibile. «Con questo
diavolo d’uomo che conosce la strada, poi!» si fece
coraggio.
In effetti, Bartolomeo se la cavò egregiamente. Era
agile e forte, e i passaggi rocciosi non lo impensierirono più di tanto. La cosa che più lo impressionò fu
lo sfacelo delle rocce: i massi cadevano al minimo
tocco, c’erano pietre instabili ovunque, occorreva
prestare grande attenzione, e più di una volta i
membri della comitiva rischiarono di esser investiti. «Non sembrava una rovina del genere, vista
da sotto», venne da pensare all’uomo di Bobbio.
Ora, dopo aver vagato per cenge, canaloni e pareti,
erano ormai giunti sulla cresta. Finalmente rivide
la sua valle, dal versante opposto: i più alti monti
apparivano assai ridimensionati, giù in basso non
li aveva mai visti così. Ancora un tratto di arrampicata e quasi senza accorgersene si ritrovò sul vertice
della montagna con tutti gli altri. Signore e valligiani parvero, per un istante soltanto, della stessa
classe sociale. Tutti emozionati dalla conquista, pur
dissimulando abilmente.
Bartolomeo realizzò in quel momento, con un sentimento che non avrebbe mai saputo descrivere, di
essere lui il primo salitore partito da quei luoghi che
ora erano ai suoi piedi. Il primo appartenente a quelle
lusinghiere note su questo personaggio. Non mi è parso bello:
è come se se nel 1954, l’anno dopo che lo sherpa Tenzing con
il neozelandese Hillary aveva scalato l’Everest, una spedizione
di maggiorenti nepalesi avesse ripetuto l’exploit (e magari
fondato il CAN...) e per esaltare la propria vittoria avesse
denigrato e occultato l’impresa compiuta dal connazionale con
i britannici. Quando ho saputo che nel 2012, in occasione del
centocinquantenario della seconda salita assoluta del Monviso,
il Comune di Bobbio e il CAI UGET Valle Pellice avevano istituito
una serie di manifestazioni per commemorare il concittadino
Peyrot, ho pensato di dare il mio contributo.»
alpidoc 82 •
71
L’uomo che non passò alla storia
terre dove il Viso si erge come una divinità a dominare valli e pianure e da sempre fa da sfondo alle
miserie e alle nobiltà degli uomini. Un numero
incalcolabile di esseri umani nel corso dei millenni
era vissuto avendolo come punto di riferimento
immutabile e irraggiungibile per tutta la vita, e lui,
Bartolomeo Peyrot di Bobbio Pellice, era il primo
di loro a penetrarne il mistero sino al culmine. Il
primo di quelle valli e pianure che avevano contribuito in maniera decisiva a unire il nuovo Regno
d’Italia di cui da poco tempo facevano parte. Sentì
di aver fatto qualcosa che da sempre era ritenuto
impossibile dalle sue genti, compresi uomini ben
più temprati e audaci di lui.
Così alto e isolato, può darsi che il Monviso un
tempo fosse stato addirittura creduto la dimora
degli dei, come l’Olimpo dei Greci, pensò. Sapeva pure che, sempre a causa della sua posizione
e dunque della sua visibilità da lunghe distanze,
fu creduto a lungo il monte più alto del mondo
conosciuto.
Fin lassù, continuò a riflettere, era stato guidato
da qualcuno più intraprendente di lui, d’accordo,
ma era salito con le sue sole forze, gravato da un
pesante sacco, senza bisogno di legarsi alla corda
di Croz. «Del resto, questi inglesi che si onorano
di conquistare le cime per le loro imprese, in realtà si affidano a delle guide dalla forza e dal coraggio straordinari». Provava un giusto orgoglio,
Bartolomeo: sapeva che nessuno avrebbe potuto
contestargli quella sua “prima” sul Viso. Chissà
quanti tra la sua gente non gli avrebbero creduto,
si immaginò con un sorriso compiaciuto.
Dopo la cena, con l’avanzare del crepuscolo,
ormai passata l’euforia della conquista, Bartolomeo tornò a preoccuparsi. La notte sarebbe
stata gelida a quella quota, e le nubi che a fine
di giornata avevano coperto il cielo lo inquietavano. Sarebbe stato così sensato scendere almeno all’anfiteatro dei laghi! Ma nulla, Tuckett
doveva fare i suoi esperimenti, non c’erano
santi… Certo, l’inglese era attrezzato in modo
ben diverso per passare la notte, con un caldo
sacco che avrebbe resistito anche all’acqua.
Lui invece non trovò di meglio che infilarsi in
quello delle provviste svuotato del contenuto e
72 • alpidoc 82
attendere l’alba sperando di riuscire a dormire.
La stanchezza e la tensione accumulate gli regalarono alcune ore di sonno piuttosto pesante,
considerata la situazione. Poi, all’improvviso,
nel cuore della notte si svegliò. Tremava dal
freddo. Con sgomento si accorse di essere coperto da un velo di neve, e i fiocchi continuavano a scendere con intensità. Anche i neri baffi
gli si erano imbiancati per il vapore ghiacciato
all’istante. «Non riusciremo a scendere da questa
montagna» pensò con un moto di disperazione.
Sentì che tutti erano svegli e commentavano
preoccupati l’evento imprevisto, ma non quanto
si sarebbe aspettato. Ora poi che l’umidità aveva
penetrato i suoi abiti inadatti a quel cimento,
il freddo stava diventando gelo e il morale ne
risentiva assai.
Espresse timidamente al capospedizione i propri
dubbi. Se la neve si fosse accumulata non sarebbero riusciti a cavarsela: era impossibile scendere
con la roccia coperta dalla coltre bianca! L’inglese
per tutta risposta lo prese addirittura in giro:
forse il fatto di essere all’asciutto e al caldo gli
consentiva una visione diversa della situazione.
Peyrot non riuscì più a chiudere occhio neppure per un istante. Un tremito di freddo gli
continuò ad attraversare il corpo sino al primo
chiarore dell’alba.
Quando si alzò, si rese conto che non avrebbe
potuto resistere ancora a lungo a quella situazione senza riportare qualche congelamento.
Ora, l’azione non avrebbe potuto che fargli bene.
Anche se sembrava che il tempo stesse migliorando, le poche dita di neve accumulata e la
scarsa visibilità costituivano comunque un bel
problema per la discesa. Ma ancora una volta
le due guide si dimostrarono all’altezza della
situazione. Oltre che di coraggio, erano dotate
di un eccezionale intuito, sembravano guidate
da una voce interiore che sussurrava loro di andare ora a destra, ora a sinistra, ora giù dritto.
Bartolomeo fu di nuovo colpito dalle loro doti,
in particolare Croz gli parve più che mai una
figura eccezionale, quasi eroica…
Dopo che il corpo ebbe ritrovato un po’ di calore,
anche il suo morale si risollevò e l’uomo di Bobbio
❡
Ripensò alla scalata del Viso molte volte nel corso
della sua vita, ma mai con tanta intensità come
quando quando seppe della tragica fine toccata a
Michel Croz, colui che primo tra gli uomini ne
aveva raggiunto la vetta. Quel campione, dopo
aver guidato sul Cervino la prima vittoriosa cordata, era stato scaraventato giù dalla vertiginosa
parete nord da un cliente maldestro che gli era
rovinato addosso in un delicato passaggio, trascinando con sé anche altri alpinisti.
Dopo aver ricevuto la tragica notizia, Bartolomeo sentì il bisogno di commemorare il
compagno a suo modo, e così la domenica seguente salì sulle alte giogaie montuose del suo
villaggio per averne una visione completa. Il
Monte Viso era lì come sempre, immutato e
indifferente nell’azzurro del cielo, mentre piccole nubi a mezz’altezza già gli facevan la corte,
nonostante l’ora mattutina.
Restò seduto a lungo contemplando quel grande
ammasso di roccia e neve. Rivisse molti momenti
di quella sua avventura, e ripensò anche all’amarezza che aveva provato quando il dottor Botta
di Torre Pellice gli aveva fatto vedere l’articolo di
giornale in cui si annunciavava che per la prima
volta gli italiani avevano scalato il Monviso: un
famoso uomo politico di Biella alla testa e altri
notabili al seguito, che sull’onda dell’entusiamo
per la loro impresa avevano pure fondato una
grande associazione di alpinisti, come già avevan
fatto gli inglesi anni prima. E a Bartolomeo, salito l’anno prima, neppure un accenno. Completamente rimosso dalla memoria.
D’altra parte era profondamente conscio della
propria condizione sociale, sapeva bene che
quando occorre, per meglio mettere in luce le
imprese dei signori, può esser utile adombrare
quelle degli umili. Avevan fatto una nobile e
grande cosa, pensò Bartolomeo, ma perché nascondere la verità?
«Non ti preoccupare,» lo aveva consolato il
dottore, che era un uomo mite e giusto «non si
può occultare la verità: alla lunga salta sempre
fuori. Magari ci vogliono cinquanta, cent’anni
o addirittura centocinquanta, ma alla fine
trionfa. Sempre!»
Massì! Con una punta di compiacimento venato di ironia, gli tornò in mente che alla fiera
di Pinerolo, il mese prima, un distinto signore
che non conosceva gli aveva chiesto se fosse
lui Peyrot. Alla sua risposta affermativa si era
complimentato calorosamente e ad alta voce lo
aveva indicato agli astanti: «Signori, giù il cappello! Questi è Bartolomeo Peyrot di Bobbio
Pellice, il primo cittadino del Regno d’Italia
l
ad aver scalato il Monviso!».
alpidoc 82 •
L’uomo che non passò alla storia
quasi si sorprese nel discendere – meno carico, è
vero – senza difficoltà quelle infide rocce.
Ma fu lo stesso con grande sollievo che infine
mise piede sulle pietraie dell’anfiteatro delle
Forciolline. «Ne è valsa la pena, ma non tornerò
mai più su questa montagna, mai più!», questo
pensò in quel momento il forte valligiano.
Invece, esattamente un anno dopo, Bartolomeo Peyrot si trovò ancora una volta nello
stesso identico luogo. Non aveva cambiato idea
dentro di sé, ma i complimenti, quel brandello
di popolarità e soprattutto le pressioni di altri
signori che volevano salire a loro volta il Viso
lo avevano alla fine convinto ad accettare l’incarico di guida per una nuova spedizione.
Ma in cuor suo titubava. Non aveva paura di
ritornare sulla montagna, tutt’altro. Semplicemente non se la sentiva di avere la responsabilità della vita di altre persone. Se fosse
successo qualcosa a uno dei suoi clienti non
se lo sarebbe mai perdonato, mai. Il rimorso
non lo avrebbe lasciato. Aveva molte qualità
Bartolomeo, tra cui anche una buona dose di
coraggio, ma era troppo sensibile per riuscire a
sopportare un simile peso.
La montagna, non in buone condizioni, lo
aiutò a far desistere la comitiva, e fu con cuore
davvero sollevato che si allontanò dalla montagna fatale. Ora era certo che il mestiere di
guida non faceva per lui, non si sarebbe più
fatto convincere dal possibile buon guadagno
e dall’orgoglio vano.
73
La prima volta
L’iniziazione di un adolescente all’alpinismo:
a marchiarlo a fuoco un’emozione travolgente,
quella di sentirsi all’improvviso “grande”
grazie a uno spezzone di corda che lo legherà
al padre e alla montagna per tutta la vita
Testo di Mauro Manfredi
P
ossono presentarsi, a volte, nell’arco di una vita, momenti ai
quali si deve riconoscere una valenza iniziatica. Li imprime
nella memoria la loro qualità aurorale di esperienze all’origine
di determinati percorsi esistenziali. Iniziatico, infatti, in senso
letterale significa “che dà inizio, introduce”. A simili momenti è impossibile
sottrarsi, si può soltanto essere loro grati di aver rivelato un orizzonte nuovo,
74 • alpidoc 82
una dimensione – pragmatica, etica, filosofica –
mai prima immaginata e subito divenuta in qualche modo familiare. Così almeno è successo a me
per quanto riguarda quella misteriosa passione
dell’alpinismo che da settant’anni mi spinge a
vagare per i monti in tutte le stagioni come inseguendo un richiamo di sirene sempre rinnovato.
Era l’estate del 1941. La guerra aveva appena
iniziato ad affondare i suoi artigli nella vita
quotidiana, ma non al punto da impedirci una
vacanza in montagna. Mi ero così ritrovato,
assieme ai genitori e alla sorellina, in quel di
Courmayeur, alla testata della Valle d’Aosta.
Quella località, oggi tanto famosa e modaiola,
conservava ancora una misura di ruvida essenzialità montanara, annidata com’era in una
conca di boschi e praterie davanti al sipario di
strepitosa imponenza costituito dalla bastionata che per affilati salti di profilo si estende dal
Monte Bianco fino alle Grandes Jorasses.
Nel mio snobismo adolescenziale mi sentivo molto
orgoglioso di trovarmi ai piedi della più alta montagna d’Europa. Sapere poi che il mio papà era
salito in anni lontani su alcune di quelle cime, era
ragione sufficiente per aggiungere a questo orgoglio una ulteriore legittimità, quasi di merito personale. Nulla di neppur vagamente paragonabile
mi era capitato fino ad allora di vedere.
Percorrendo nei primi giorni i facili sentieri
della zona, ero stato afferrato da un sottile incanto. La mia fantasia, libera come non mai di
veleggiare, era alimentata da un’inconscia sensazione di attesa, unita a un vago imperativo di tenermi pronto. Sicché, quando mio padre aveva
manifestato l’intenzione di condurmi al Colle
del Gigante, proprio lassù nel punto centrale
di raccordo di quei colossi di ghiaccio, non ero
stato colto di sorpresa. La sua proposta giungeva
anzi a buon punto a chiudere e concretizzare il
cerchio delle mie recenti fantasie. Il programma,
perfettamente calibrato sulle mie forze, prevedeva un pernottamento intermedio in modo da
spezzare in due tronconi il dislivello complessivo
di oltre duemila metri.
Così, un bel giorno di primo pomeriggio, raggiunta in macchina la frazione di La Palud, mi
ero avviato con papà e alcuni conoscenti per il
sentiero che con larghi risvolti conduceva al rifugio-albergo del “Pavillon du Mont Fréty” a 2174
metri di altitudine. Non esisteva ancora, se non
allo stadio di intenzione, l’attuale blasonata funivia. Per parte sua il percorso a piedi, privo com’era
di suggestioni prospettiche per l’incombere della
soprastante muraglia, era risultato piuttosto banale e alquanto faticoso. Passo dopo passo, attraverso una serie di balze prative che sembravano
non finire mai, avevo seguito senza lamentarmi
la pattuglia degli adulti, aggrappato unicamente
alla speranza di veder prima o poi comparire la
sagoma del rifugio-albergo. Soltanto a quel punto
avevo ridato al mio passo la marzialità richiesta
dall’occasione e varcato la soglia con la contenuta
esultanza di chi coglie un premio meritato.
Così almeno è successo a me per
quanto riguarda quella misteriosa
passione dell’alpinismo che da
settant’anni mi spinge a vagare
per i monti in tutte le stagioni come
inseguendo un richiamo di sirene
sempre rinnovato.
In fin dei conti era la prima volta che mi trovavo
a tarda sera in alta montagna e mi preparavo a
trascorrervi sia pure confortevolmente la notte.
L’edificio che ci ospitava, unica presenza nel
cuore di una immensità resa più indecifrabile
dall’attenuarsi della luce, aveva una sua nobiltà.
Il senso di isolamento, di lontananza da tutto e
da tutti, sembrava condizionare la piccola comunità dei presenti inducendoli a una moderazione di gesti e parole ben lontana dagli standard
della villeggiatura. Ne ero rimasto stupito e
affascinato, come di un segreto codice di comportamento. Della cena e del pernottamento ho
invece un ricordo confuso. Sicuramente il mio
sonno sarà filato via placido come in pianura,
per nulla turbato dalle emozioni della giornata,
e soltanto il trambusto delle prime ore mattualpidoc 82 •
75
L’autore
Mauro Manfredi, nato a Cuneo nel 1931,
medico dentista, alpinista, già presidente
della sezione CAI di Cuneo e coordinatore
dell’associazione Le Alpi del Sole, oltre alla
passione per la montagna coltiva quella per
la scrittura. Autore di Chi fuor li maggior
tui. Storie di ordinaria famiglia (Eumeswil
2008), per le edizioni Primalpe ha dato alle
stampe i volumi Balilla imperfetto (2009) e
Il cerchio bianco (2011).
tine, unitamente alle autorevoli esortazioni di
papà, mi avrà costretto a scendere dal letto.
Fatta colazione, la comitiva si era rimessa in
cammino, allegra e disinvolta nell’aria frizzante
che già aveva accarezzato le vette più alte. Il pendio si era ulteriormente impennato diventando
prevalentemente roccioso e riducendo il sentiero
a una semplice traccia sempre più stretta dove
era bandita ogni svagatezza del passo. In certi
La prima volta
Scoprivo il piacere di una fisicità
libera di esprimersi in modi e
spazi mai prima sperimentati,
una fisicità primordiale, istintiva,
assolutamente naturale.
punti diventava addirittura necessario appoggiare le mani, controllare l’equilibrio, compiere
insomma movimenti di elementare arrampicata. Si trattava per me di una situazione nuova
e stimolante. Scoprivo il piacere di una fisicità
libera di esprimersi in modi e spazi mai prima
sperimentati, una fisicità primordiale, istintiva, assolutamente naturale. All’occasione,
qualunque cucciolo d’uomo impara da solo il
gioco dell’arrampicare, come obbedendo a un
retaggio stampato nel DNA della specie. Non
lo sapevo quel giorno, ma accordavo anch’io
quasi automaticamente i miei movimenti a una
bussola interiore, la stessa che in anni successivi
76 • alpidoc 82
mi avrebbe guidato sulle rocce delle mie montagne. Assorbito da questo impegno, modesto
sul piano tecnico ma non su quello psicologico,
avevo completamente dimenticato la fatica, il
computo del tempo, la presenza stessa di un
ambiente via via più severo. Era questa la prima
vera sorpresa di una giornata che aveva ancora
altre perle in serbo per me.
In capo a tre ore di gradevole ginnastica ero
giunto quasi senza accorgermene in vista di
quel Rifugio Torino che mio padre aveva tanto
decantato. Si trattava del vecchio edificio storico
appollaiato sul versante valdostano a ridosso del
Colle del Gigante; modesto per dimensioni, ma
nobilitato da una ardita collocazione a sbalzo sul
Ghiacciaio del Toula proprio di fronte a quella
Cresta di Peutérey – definita “il più bel profilo
di montagna del mondo” – che dall’Aiguille
Noire si snoda con vertiginose impennate fino
alla vetta del Monte Bianco. Nella trasparenza
di cristallo dell’alta montagna, quella cresta
ritagliava una propria sorprendente nitidezza
calligrafica. A sua volta, il “vecchio Torino” era
la rappresentazione perfetta, ideale, del rifugio
alpino inteso come nido caldo e protettivo, focolare nel cuore di una natura incorrotta, umile
segno di presenza umana. Avevo varcato la sua
soglia con un misto di curiosità e compunzione,
come si fa per i luoghi ai quali la storia o l’arte
o la fede hanno conferito un’aura in qualche
misura sacrale. Nessun altro rifugio poteva già
allora vantare una centralità logistica e storica
altrettanto significativa nella secolare avventura
dell’alpinismo. La condizione d’animo con cui
avevo compiuto la mia rituale visita risultava
pertanto ampiamente giustificata.
A quel punto poche decine di metri ci separavano dalla meta. Una semplice traccia lungo lo
sperone meridionale della Punta Helbronner
aveva consentito di raggiungere in pochi minuti
l’ampia insellatura del Colle del Gigante. Sul
versante opposto, quello francese, si era spalancata al mio sguardo una distesa glaciale sterminata cui la denominazione di “Mer de Glace”
si attagliava alla perfezione. In quell’immensità
rigorosamente minerale, appena ravvivata da
stino; e non soltanto per il breve momento della
corda, ma in un certo senso per sempre, per un
lungo futuro da vivere assieme. La sconvolgente
bellezza e unicità di quel momento non avrebbe
mai più cessato di condizionarmi; sarebbe anzi
cresciuta nel tempo, trasformandosi per gradi
dallo stadio iniziale di emozione a quello di matura presa di coscienza.
In una mezz’ora di facile cammino avevamo raggiunto la cima del Petit Flambeau a 3440 metri
di altitudine. Qui si era conclusa la mia prima
salita di un certo impegno, la “conquista”, per di
più all’estero, del mio primo tremila.
Una fotografia riassume il mio sbalordimento e
la mia fierezza. Mi coglie in abbigliamento assai
poco ortodosso (pantaloni corti!), ma impettito
come un soldatino e con gli occhi strizzati per
il riverbero violento della luce. Quel giorno, davanti all’arco incandescente del paesaggio alpino
forse più prestigioso d’Europa, si compiva la mia
iniziazione.
l
Era nato un alpinista.
La prima volta
sovrapposti piani prospettici punteggiati di cuspidi rocciose e calotte innevate, s’imponeva tra
tutte la vicina mole aguzza del Dente del Gigante, autentico torrione posto dalla natura a
presidio e monito. Papà era stato lassù e tanto
bastava; ma le sorprese non erano finite.
Come per incanto era saltata fuori una corda
ed ero stato legato ai fianchi con l’allora classico nodo delle guide; lo stesso cui negli anni
seguenti avrei sempre fatto ricorso per la mia
sicurezza in montagna, fedele a una semplicissima prassi oggi soppiantata da altre assai più sofisticate come l’imbragatura e il nodo cosiddetto
“mezzo barcaiolo” di marinaresca derivazione.
Era la prima e la più esaltante di tutte le “prime
volte” che avrebbero segnato i miei percorsi sulle
terre alte. Trovarmi su un ghiacciaio in cordata
con mio padre era un accadimento che mi catapultava in una dimensione emozionale senza
precedenti. Mi sentivo di colpo associato alla sua
grandezza, parificato alla sua altezza, partecipe
di una uguale responsabilità in un comune de-
Carletti,
form
Il segreto del suo sapore inconfondibile
è la stagionatura:
in cantina, nel fieno di montagna…
Assaggiare per credere!
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del
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alpidoc 82 • 77
© costarossa
da oltre trent’anni è sinonimo di formaggi
unici, realizzati artigianalmente
secondo le regole di una tradizione
che si tramanda da generazioni.
lo scaffale
Il mito dello Scarason raccontato da un maestro
dell’alpinismo
Fulvio Scotto firma l’epopea di una delle più emblematiche, ma
sconosciute, cime delle Alpi Liguri, simbolo di difficoltà e avventura
I
l maestro Fulvio Scotto (lui che di mestiere fa il professore,
non si senta sminuito, anzi: non è da tutti essere considerati
“maestri”, dunque figure di riferimento…) si mette davanti
alla lavagna e traccia una serie di linee che ci raccontano una
storia straordinaria.
La lavagna è quella pala di roccia dell’alta Valle Pesio che si
chiama Scarason. La storia è l’intreccio di avventure di alpinisti
noti e meno noti che su quella lastra strapiombante hanno
lasciato un segno. Scarason è il titolo secco del libro che
l’accademico Fulvio Scotto ha dato alle stampe per le Edizioni
Versante Sud. E la montagna resa celebre da una prima salita
assoluta che Alessandro Gogna restituì a tinte forti nel suo
Un alpinismo di ricerca, dell’opera dell’attivissimo alpinista
savonese è al contempo protagonista e palcoscenico. Lo
Scarason è protagonista in quanto tutte le imprese descritte
ruotano rigorosamente attorno ad esso, ma alla fine le figure di
quanti lo hanno salito prendono decisamente il sopravvento e
➦ Fulvio Scotto
l’immagine di questa emblematica cima delle Alpi Liguri sfuma
Scarason: Il mito alpinistico
via via fino a diventare quasi indefinita (e d’altronde non è
delle Alpi Liguri
forse così tutte le volte in cui il mito prende il sopravvento sulla
Presentazione di Annibale
realtà delle cose?). Lo Scarason si trasforma nel fondale di una
Salsa,
recita che vede avvicendarsi sul palcoscenico un numero molto
prefazione di Alessandro
selezionato di protagonisti: personaggi famosi come Gianni
Gogna
Comino,
Marco Bernardi, Patrick Berhault, e arrampicatori che
Versante Sud, Milano 2012,
–
sembra
in qualche modo sottintendere Scotto – nel gotha
344+XVI pp, 19 euro
dell’alpinismo meritano di entrare proprio perché nobilitati dal
confronto con questa montagna.
Ci si potrebbe chiedere com’è possibile incentrare un intero volume di quasi trecentocinquanta
pagine (che in una stesura iniziale erano molte di più) su una cima sconosciuta al di fuori di
una ristretta cerchia di arrampicatori, e che negli anni ha visto un numero limitatissimo di
salite. Lo si può fare grazie a un certosino lavoro di ricerca come quello che Scotto ha messo
in piedi in questa occasione, basato sulla raccolta di scritti e quando possibile sul contatto
diretto con chiunque a vario titolo abbia legato il proprio nome allo Scarason.
Gioca a fare il detective, Scotto, scovando indizi e notizie che riportano alla luce tentativi di
salita di cui si era persa memoria, a partire dal periodo antecedente alla famosa prima salita di
Gogna e Armando. Dell’assaggio di Tardito e Folli qualcosa si sapeva; sorprendente è invece
scoprire che Sergio Savio prima tenta la solitaria della via di Gogna, poi cerca di forzare, sempre
in solitaria, le fessure centrali, lungo le quali saliranno lo stesso Scotto, Calvi e Parodi per aprire
78 • alpidoc 82
la loro Diretta. Di ogni singolo personaggio che si presenta sulla scena, anche “solo” per un
tentativo di ripetizione, Scotto ci restituisce un ritratto che è a tutti gli effetti una biografia
alpinistica. Di ogni singola salita non c’è la semplice cronaca, ma anche il tentativo spesso
riuscito di restituire il contesto – lo spirito dell’epoca, si potrebbe dire – in cui una certa
impresa si inserisce. Scarason non è un libro sullo Scarason. È molto di più: è un grande
racconto di alpinismo, che indaga sulle sue motivazioni, sul ruolo del caso, sulle spinte e le
contraddizioni che animano gli alpinisti.
Nanni Villani
Ottanta escursioni dalla Riviera di Levante alle Alpi Liguri
Q
uali sono i sentieri più belli della Liguria? Le escursioni da non perdere, i luoghi più
affascinanti? È una domanda difficile e la risposta non può che essere soggettiva: dopo
un lungo lavoro di ricerca e selezione, Andrea Parodi ha creato una sorta di “compilation” di
percorsi scelti tra più interessanti e spettacolari, spaziando da Levante a Ponente, dal mare
ai monti. Sono nate così, all’interno della collana “I sentieri più belli”, quattro guide che
contengono in tutto ottanta escursioni, descritte passo per passo e illustrate con cartine
semplici e chiare e belle fotografie a colori. La gamma dei percorsi va dalle tranquille
passeggiate alla scoperta di antichi borghi, punti panoramici o curiosità naturali, fino
alle lunghe traversate e alle salite sulle cime dei monti. Sono stati privilegiati i percorsi
ad anello, molto apprezzati perché consentono di ritornare al punto di partenza lungo un
percorso diverso da quello dell’andata. Inoltre, per ogni itinerario, sono state evidenziate
mete intermedie e indicati tempi parziali di percorrenza, per agevolare chi volesse
percorrere solo una parte del cammino. I quattro volumetti, dedicati ad altrettante aree
geografiche, nel maggio 2011 erano stati proposti nelle edicole della Liguria in abbinamento
con il quotidiano Il Secolo XIX. Ora sono in vendita anche nelle librerie e possono essere
acquistati rivolgendosi direttamente all’editore ([email protected]). Piano dell’opera:
1) Riviera di Levante (20 escursioni tra Montemarcello, Cinque Terre, Val di Vara,
Tigullio e Portofino).
2) Appennino Ligure (20
escursioni tra Aveto, Antola,
I SENTIERI PIÙ BELLI
3
I SENTIERI PIÙ BELLI
4
Monti di Genova e Beigua).
3) Riviera delle Palme (20
escursioni tra Savonese,
Finalese, gruppo del
Carmo, retroterra di
Albenga e Alassio).
4) Alpi della Liguria
della Liguria
(20 escursioni nei gruppi
del Galero, Armetta,
delle Palme
Saccarello, Toraggio e
Pietravecchia).
Alpi
Riviera
Ogni volume, di 52 pagine
ciascuno, ha un prezzo di
copertina di 4,50 euro.
20 escursioni nei gruppi del
Galero, Armetta, Saccarello,
Toraggio e Pietravecchia
20 escursioni tra Savonese,
Finalese, gruppo del Carmo,
retroterra di Albenga e Alassio
andrea
parodi
editore
andrea
parodi
editore
ALPI DELLA LIGURIA
alpidoc 82 •
1
79
Laura Canalis, I mammiferi delle Alpi. Come riconoscerli,
dove e quando osservarli, Blu edizioni, Torino 2012, 272
pp, 17,00 euro.
M
olto elusivi per le loro abitudini spesso crepuscolari
o notturne e per la diffidenza che nutrono nei
confronti dell’uomo, i mammiferi non sono animali facilmente
avvicinabili, benché la loro espressività e vivacità, oltre che la
varietà e complessità dei modelli comportamentali, li rendano
tra le prede fotografiche più ambite e tra gli animali più
interessanti da studiare.
Delle 118 specie di mammiferi note allo stato attuale in Italia,
quasi una novantina trovano il loro habitat sulla catena alpina.
Questo libro nasce con l’intento di aiutare anche i non esperti
a riconoscere le singole specie, fornendo elementi utili a
individuarne la presenza attraverso l’identificazione dei segni
lasciati sul territorio (come per esempio le orme), specificando
zone di diffusione, habitat e caratteristiche di ogni specie e
illustrandone abitudini e comportamenti. A ognuna è dedicata un’esauriente scheda – corredata
di splendide fotografie che sottolineano gli elementi morfologici utili all’identificazione –
completa di nome scientifico, nome volgare in quattro lingue, cartina dell’areale di distribuzione
sull’arco alpino e dati relativi a misure, abitudini alimentari, periodi di letargo, biologia.
Segnavia è un luogo dove dare appuntamento
ai compagni di gita, avere informazioni sulle
condizioni, decidere la gita del giorno, incontrare
altri “colleghi di sport” e fare colazione insieme.
Un luogo dove fermarsi al ritorno per concludere
la gita con una merenda sinoira,
un panino o unʼinsalata e un bicchiere
Informazioni
Escursioni
guidate
Sala per
eventi,
mostre, corsi
e seminari
Libreria specializzata
in montagna, viaggio, cartografia,
editoria locale e libri per ragazzi
Vendita
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SEGNAVIA
80 • alpidoc 82
Noleggio
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trasporto
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e persone
Porta di Valle - Brossasco
www.segnavia.piemonte.it
Renzo Dirienzi, Le stanze segrete delle montagne, Primalpe,
Cuneo 2012, 140 pp, 11 euro.
R
enzo Dirienzi, già autore della guida scialpinistica Le nevi del
Marguareis, ha dato alle stampe il suo primo romanzo.
Un tentativo di sci ripido in un settore periferico delle Alpi
Occidentali, un canalone sconosciuto, un incontro inaspettato e
uno strano evento avvolto nel mistero si incrociano in quelle che
Luigi, il protagonista, indica come le stanze segrete delle montagne,
un luogo fisico e metafisico tra inclinati lenzuoli nevosi e corridoi
intonsi ai margini delle rocce.
L’atmosfera svagata degli anni Settanta e una tormentata vicenda
sentimentale accompagnano gli sciatori ai confini della realtà, quando
le luci oblique della sera sembrano evocare l’incontro con l’ignoto.
Enzo Cardonatti, Ripido! 175 linee di discesa da Genova alla
Valle d’Aosta, Edizioni Ripido, Bruino 2012, 352 pp, 32 euro.
I
l volume, dedicato allo sci ripido ed estremo, è l’ideale
prosecuzione di quello omonimo firmato con lo scomparso
Federico Negri ed edito nel 2005 dalle Edizioni l’Arciere.
Come precisa l’autore, «gli itinerari dell’edizione 2012 sono inediti
e sono stati scesi dal 2005 a oggi, eccetto una piccola parte della
zona degli Ecrins che sono itinerari classici ma mai editi in italiano».
Il libro è costituito da una parte introduttiva e da 131 capitoli,
corredati di oltre 500 immagini a colori, in cui vengono presentati
152 itinerari principali di sci ripido e una ventina di itinerari alternativi
che si svolgono negli angoli più selvaggi delle vallate cuneesi, torinesi,
e valdostane, molto spesso all’interno dei Parchi o nelle loro vicinanze.
Accanto alla descrizione degli itinerari, l’autore ha dato voce ai protagonisti inserendo appositi
capitoli dove si possono leggere i racconti, le esperienze e le emozioni di alcuni praticanti di questa
disciplina, dal semplice appassionato al cosiddetto “pro”. Inoltre, particolare attenzione è stata
dedicata al Monviso, a cui è dedicata una completa monografia sulle discese avvenute lungo le
sue pareti dal 2005 a oggi, anche in questo caso dando la parola ad alcuni dei protagonisti.
L’itinerario numero uno presenta la discesa del canale sud-est del Monte Reixa, situato sulle
alture sopra Genova: un omaggio a una città di mare che tanto ha saputo dare all’alpinismo
in generale e allo sci estremo nello specifico, avendo dato i natali al più grande interprete
italiano di questa disciplina, Stefano De Benedetti.
Cardonatti, nato a Torino nel 1960, conduce serate con videoproiezioni e analisi storica
sullo sci estremo sia presso le sedi CAI sia in collaborazione con le scuole di alpinismo e sci
alpinismo; alpinista e sciatore del ripido da ormai trent’anni, nel 2012 ha fondato le Edizioni
Ripido!, casa editrice indipendente che ha come obiettivo la produzione di guide e video di sci
ripido ed estremo. Sul sito www.edizioniripido.com è possibile trovare i recapiti delle librerie
e dei negozi presso cui è stato distribuito il volume, per altro acquistabile anche direttamente
inviando una email a [email protected].
alpidoc 82 •
81
onate
Bassa del Druos: grad
ilizzazione versanti
sco: passerella
o superiore del Vala
Pian
Vallone Alberghi: stab
naletica
Vallone Alberghi: seg
ova: tratto attrezzato
Sentiero
consolidamento
Fremamorta: opere
Sentiero rifugio Gen
Fremamorta, Alberghi, Sabbione, Finestra, Genova, Ciriegia, Questa
e Bassa del Druos, Meris… : non sono che alcuni degli interventi
programmati e realizzati dal Parco naturale Alpi Marittime a favore della rete
sentieristica che si sviluppa all’interno dell’area protetta.
I finanziamenti di Interreg III, del Piano di Sviluppo Rurale, del Piano Integrato
Transfrontaliero “Marittime Mercantour” hanno permesso di procedere con
lavori di ripristino, manutenzione, segnaletica.
Inoltre, nel solo periodo 2000-2012, gli operai del Parco sono stati impiegati
sui sentieri per un totale di 22.680 ore.
Un dato che da solo dà una misura dell’impegno del Parco naturale
Alpi Marittime a favore dell’escursionismo.
il Parco cammina con te
Fondo europeo di sviluppo regionale
Fonds européen de développement régional
Programma Alcotra 2007-2013
Insieme oltre i confini
Programme Alcotra 2007-2013
Ensemble par-delà les frontières
le alpi del sole
Notizie dalle sezioni
BRA
Montagna Insieme
Dopo un anno intenso di gite in giro per i
nostri monti e anche un po’ più lontano, il programma escursionistico di Montagna Insieme
edizione 2012 ha chiuso i battenti.
Le gite primaverili ci hanno condotto nel vicino,
ma sempre interessante, entroterra ligure e ai
laghi nel Nord Piemonte per arrivare fino al crinale dell’Appennino Tosco-emiliano alla visita
delle Foreste Casentinesi.
L’estate è stata dedicata alla riscoperta delle
vette più alte delle Alpi Occidentali e di qualche sparuto ghiacciaio della vicina Valle d’Aosta, mentre l’autunno ci ha portato a esplorare
angoli nascosti e intriganti come il Vallone degli Invicibili in Val Pellice e percorsi insoliti nel
Vallone di Bellino. Domenica 11 novembre,
nel Vallone di Prazzo, in Valle Maira, eccoci
finalmente con le gambe sotto il tavolo e i
calici levati, degna conclusione di un anno di
camminate!
Ma già non vediamo l’ora di cominciare la
nuova stagione di Montagna Insieme, che riprenderà il 10 marzo con una gita in Liguria.
Viaggi virtuali in sede
Per continuare a camminare – o meglio a viaggiare – per lo meno in modo virtuale anche
nel periodo invernale, sono state organizzate
alcune proiezioni di foto in sede. Il ciclo si è
aperto il 1° ottobre con una carellata di imma-
Tre scatti dall’album di Montagna Insieme
2012: ai Forti di Genova, nelle Foreste
Casentinesi e sul sentiero per il Colle Maurin
(foto Archivio Sezione Bra).
alpidoc 82 •
83
Un viaggio attraverso 150 anni di storia con le vostre foto
Nel 2013 il club alpino italiano compie 150 anni. Per augurargli e augurarci “Buon
compleanno!” la sezione ha in programma una serie di iniziative. Tra queste, la mostra
antologica Un viaggio attraverso 150 anni di storia che vorremmo allestire con fotografie
dei braidesi in montagna dal 1863 a oggi. Diventa protagonista di questa iniziativa e
portaci le tue fotografie, diapositive, negativi, pubblicazioni, giornali su arrampicata,
escursioni, ambiente, personaggi, incontri, riflessioni!
Il materiale verrà selezionato e ristampato a nostre spese e dovrà pervenire alla nostra
sede entro il 28 febbraio.
gini riguardante un trekking sull’Annapurna effettuato da due soci della sezione di Bra e una
socia della sezione di Cuneo. In via del tutto
eccezionale nello stesso mese ci siamo spostati
anche nel deserto del Sahara e in Marocco
con gli amici del Circolo Imago di Savigliano.
In novembre Maurizio ci accompagnato alla
scoperta di Cuba, in attesa – a gennaio – del
giro tra i fiordi e i laghi della Norvegia guidati
da Daniela e Simone.
Cogliamo l’occasione per invitare i soci e non a
contattarci (scrivendo una email a [email protected]
indirizzata a MariaRosa, ottima organizzatrice
delle serate nonché degli “intrattenimenti”
post-proiezione) per renderci partecipi delle vostre esperienze e delle vostre avventure di viaggio. Le proiezioni proseguiranno fino a primavera e il calendario è ancora tutto da riempire!
Chiara Audisio
CUNEO
Prossime uscite
23 febbraio, escursione notturna con le
racchette da neve, meta da stabilire, sottosezione di Borgo San Dalmazzo.
23 febbraio, escursione notturna con le racchette da neve al Monte Pagliano da Busca.
24 febbraio, escursione scialpinistica al
Colle di Vers, sottosezione di Dronero. 84 • alpidoc 82
3 marzo, escursione al mare, meta da stabilire, sottosezione di Borgo San Dalmazzo.
10 marzo, escursione con le racchette da
neve, meta da stabilire, sottosezione di Borgo
San Dalmazzo.
16 marzo, escursioni scialpinistiche a Nevache, Valle della Clarée (Francia), 2 giorni,
sottosezione di Borgo San Dalmazzo.
24 marzo, escursione scialpinistica al
Monte Tibert, sottosezione di Dronero.
29 marzo, escursione notturna con le racchette da neve sulla Strada dei Cannoni, da
Lemma al Colle di Valmala.
Tesseramento 2013
Il tesseramento 2012 ha fatto registrare un
incremento di 14 soci portando il totale degli
iscritti alla sezione a 2773. A metà di dicembre
è ricominciato il tesseramento per l’anno 2013.
Si ricorda che le quote di rinnovo o nuova iscrizione sono rimaste invariate rispetto al 2012: 44 euro per il socio ordinario, 24 euro per i
familiari, 16 euro per i giovani nati dal 1996
(9 euro dal 2° socio giovane in poi apparte-
Info utili
Segreteria sezionale, via Porta Mondovì
5, Cuneo, orario di apertura al pubblico: martedì 10-14,30, giovedì 16,3018,30, venerdì 20,30-22,30, tel. e fax
0171.67998, e-mail: [email protected],
referente Escursionismo: Enrico Lerda,
tel. 347.6411026;
sottosezione di Borgo San Dalmazzo,
via Monsignor Riberi 12, orario: tutti
i venerdì dopo le 21, tel. 329.2169486;
sottosezione di Busca, via Pes di Villamarina 5, orario: tutti i giovedì dopo le
21, tel. 347/1341152, e-mail: cai-busca@
libero.it;
sottosezione di Dronero, via Pasubio
5, orario: tutti i venerdì dopo le 21, tel.
320.0662743.
nente al medesimo nucleo familiare). I soci
sono vivamente pregati di portare al momento
dell’iscrizione il tesserino sanitario per l’aggiornamento dell’archivio dati sezionale; è richiesto anche un recapito telefonico. Ci si può
tesserare nei seguenti orari: lunedì 16-18,30;
martedì: 10-14,30 e 16-18,30; giovedì: 1718,30; venerdì: 16-18,30 e 21-22.
Le proiezioni del sabato sera
La sottosezione di Borgo San Dalmazzo ha organizzato quattro proiezioni, tutte di sabato
alle ore 21 nel Salone Consigliare in piazza
della Liberazione. Questo il calendario: 2
febbraio, Anna Leo & Ivo Barbarito, Scialpinismo oltre il Circolo polare artico; 16 febbraio, Franco Gosso, il Cammino di Santiago;
9 marzo 2013, Irma Martini, Trekking in Nepal;
23 marzo, Massimo Tardivo, Amici del ripido.
Scendendo dal Colle di Vers, con la Marchisa
che fa capolino… (foto di Franco Dardanello).
alpidoc 82 •
85
Primi corsi 2013
Una settimana a Rodi
Nello mese di novembre si sono conclusi il Corso
di Arrampicata e quello di Speleologia.
Nel mese di dicembre, in collaborazione con la
Squadra del Soccorso Alpino di Cuneo, sono
stati organizzati due incontri per imparare l’uso
dell’apparecchio ricerca travolti in valanga. Nei
primi mesi del 2013 la Scuola di Alpinismo e
Scialpinismo Gianni Ellena ha in programma il
biennale Corso di Arrampicata su Cascate di
Ghiaccio riservato ai soci che hanno già frequentato almeno un Corso base di Alpinismo.
A gennaio prende il via anche il 38° Corso di
Scialpinismo (livello base SA1) che si concluderà domenica 7 aprile.
La sottosezione di Borgo San Dalmazzo organizza, con partenza il 12 maggio, una settimana di escursionismo e turismo a Rodi, la
principale isola greca del Dodecaneso.
Sono in programma camminate lungo la costa nelle pittoresche località di Prasonisi e
Kolimbia, trekking urbani a Rodi e Lindos,
città ricche di monumenti storici, la visita alla
suggestiva Valle delle Farfalle (Petaloudes), la
salita al punto culminante dell’isola, il Monte
Attaviros (1215 m), escursioni in barca lungo
la costa sotto le scogliere de I cannoni di Navarone e la visita della bellissima isola di Simi,
di fronte alla costa turca.
Rodi, con le altre isole del Dodecaneso, fu – nel
bene e nel male – possedimento italiano dal
1912 al 1943.
Un peveragnese, Mario Lago, ne fu governatore equilibrato e umano dal 1923 al 1936.
Una targa, recentemente apposta dalla Compagnia del Birun alla base del campanile della
chiesetta di San Giorgio sulla collina di Peveragno, ricorda che il campanile in foggia “rodiota” fu appunto voluto negli anni Trenta dal
governatore Lago che proprio lì si era sposato:
tenue legame tra la nostra terra e la lontana
(ormai non più così tanto) isola dell’Egeo.
Sotto gli auspici dello stesso Lago fu realizzato,
sulla costa nord-occidentale dell’isola, alla fine
degli anni Venti, l’insediamento agricolo di Peveragno Rodia, oggi Kalamonas, nei pressi del
nuovo aereoporto.
Il villaggio ospitò alcune centinaia di agricoltori.
Come nella Peveragno cuneese, una chiesa era
dedicata a san Giorgio, un’altra a santa Maria;
vi era una Borgata da Val, una Fontana della
Verna e così via.
Il programma dettagliato della settimana nel
Dodecaneso sarà presentato con una proiezione l’11 gennaio alle ore 21 nella sala consigliare del Comune di Borgo San Dalmazzo;
nella stessa serata inizieranno le iscrizioni.
Franco Dardanello
Fotografie del Monte Bianco
Nell’ambito della collaborazione con la rassegna
Scrittori in città, organizzata dal Comune di Cuneo nel mese di novembre, la sede nostra sezionale ha ospitato una serata dedicata al fotografo
valdostano Enrico Peyrot, autore della mostra
Voyage autour du Mont Blanc allestita in Palazzo Samone dal 13 novembre al 30 dicembre.
86 • alpidoc 82
In alto: veduta di Simi, con Rodi una delle più
belle perle del Dodecaneso; qui sopra: la baia di
Aghios Pavlos dall’acropoli di Lindos; a sinistra:
il “minareto” di San Giorgio, sulla collina
di Peveragno (foto di Franco Dardanello).
alpidoc 82 •
87
fossanO
L’altra faccia della montagna
È un sabato come tanti altri; ci si ferma in
trattoria a Morozzo, siamo in due a consumare
il pranzo di lavoro: Agostino e il sottoscritto.
Finito di mangiare si fanno quattro chiacchiere
con i padroni del locale, sanno che la mia
passione è girovagare per le montagne, loro
conoscono i pascoli di quelle monregalesi, io
invece parlo di posti completamente diversi.
Affascinati dai miei racconti, combiniamo una
bella gita. Suggerisco una delle più belle cime
delle nostre valli: il Monte Mongioia, un tremila
in Valle Varaita.
Giovedì 29 settembre 2010, armati di entusiasmo, partiamo in sei da Sant’Anna di Bellino per la conquista del Mongioia. Il percorso
è lungo e faticoso, in fondo al vallone due
compagni rinunciano; il sentiero si fa ripido, la
fatica aumenta. Agostino è il più desideroso di
proseguire, ha però l’handicap dell’accendino
che ha scaricato per tagliare un laccio per teIl Bivacco Boerio sorvegliato dal Monte
Mongioia (foto di Enrica Raviola).
88 • alpidoc 82
nere su i pantaloni. La sua voglia di fumare è
grandissima, allora cominciano le domande: è
ancora molto distante? dov’è il lago?
Lo tranquillizzo perché mi viene in mente che
al bivacco troveremo da accendere, così potrà
fumare!
Dopo ore di cammino, salita l’ultima rampa,
appare il grande pianoro sottostante i monti
Salza e Mongioia. Su un’altura rocciosa, ecco
il Bivacco Boerio che domina il pianoro; dietro
luccica il Lago Mongioia in cui si specchia la
montagna omonima.
La bellezza del posto ci fa dimenticare la stanchezza; finito di assaporare la gioia di essere
arrivati fin qui, si stappa la bottiglia e si brinda
alla vita e a san Michele (è il 29 settembre…).
Le dediche si sprecano e alla fine si rinuncia
alla vetta, e perché siamo veramente sfiniti, e
perché è ancora troppo lontana e ormai si è fatto davvero tardi. Prima di scendere Agostino
prende con sé qualche fiammifero ed esprime
il proposito di tornare un’altra volta per salire
in cima.
A Prato Rui troviamo anche Angelo e Andreina
con i panini e finalmente possiamo rifocillarci.
Ancora una foto e giù verso il fondovalle…
Giovani e meno giovani soci garessini
durante il Giro dell’Acqua
(foto di Ruggero Michelis).
ma i fiammiferi sono finiti e ad Agostino viene
di nuovo voglia di fumare. Si scende velocemente per poter trovare qualcuno che abbia
da accendere! Alle Grange Cruset troviamo dei
muratori… e si fuma! A Sant’Anna ci si saluta
felici per la bella giornata trascorsa insieme,
lasciandoci con la promessa di ritrovarci l’anno
prossimo.
Agostino e gli altri sono rimasti entusiasti
dell’avventura e ne parleranno con tutti.
Due anni dopo, esattamente il 29 settembre
2012, lo stesso giorno di quella bellissima gita,
Agostino Cravero conclude la sua esistenza
terrena. Il mio primo pensiero è quello di portare la sua foto sulla vetta del Mongioia.
Con la quella nello zaino e tanti ricordi nella
mente, la domenica dopo la sua dipartita salgo
sulla cima del Mongioia. Sono solo e infilo
nel libro di vetta il suo ritratto con la dedica:
“Desideravi venire fin quassù; Dio ti ha voluto
molto più in alto!”.
Consumato un frugale panino accanto a lui,
dopo averlo salutato affettuosamente scendo
al Bivacco Boerio. Qui, sfogliando il quaderno
delle dediche, trovo quella che ricorda il no-
stro passaggio di due anni prima. Lascio al
bivacco un accendino datomi dalla sorella di
Agostino, come risarcimento per i fiammiferi
presi in quell’occasione. Prima di Sant’Anna
incontro alcuni escursionisti della sezione
CAI di Bra; racconto loro questa storia e mi
fanno i complimenti per il mio gesto di vera
amicizia.
Questa è l’altra faccia della montagna!
Michele Colombotto
GARESSIO
Quante ne abbiamo fatte!
Nonostante il cattivo tempo che ci ha costretti
a cambiare diverse date, anche per il 2012 il bilancio delle nostre attività sociali e intersezionali
è risultato positivo. Numerose e interessanti le
escursioni in mountain bike organizzate dagli
accompagnatori di cicloescursionismo della
nostra sezione e di quella di Ormea.
alpidoc 82 •
89
Tra le molte attività giovanili, da segnalare
in particolare quella del 16 giugno, il Giro
dell’Acqua a piedi e in mountain bike intorno alle antiche sorgenti della famosa Acqua
San Bernardo. Il direttore dello stabilimento
di Garessio ci ha guidati presso il Colle San
Bernardo a visitare le originarie sorgenti di
quest’acqua leggera illustrandone le qualità
naturali. Un particolare grazie a Davide e
Gianni Minazzo per la loro ospitalità in regione Badi.
Interessante e varia l’escursione intersezionale
in Costa Azzurra del 15 aprile: oltre 150 soci
CAI dell’alta Val Tanaro a percorrere tutto il
panoramico Cap d’Antibes prima di salire
sulla collina del Faro d’Antibes ad ammirare
verso nord-est la catena delle Alpi Marittime
e Liguri.
Sui “sentieri di casa”, il 6 maggio, si è svolta
l’undicesima edizione della gita intersezionale
dell’alta Val Tanaro, tranquilla passeggiata
da Viozene verso le rinomate risorgenze
delle Vene, osservate dal ricostruito “ponte
tibetano”. Quindi al ritorno, superato il dolce
pianoro di Pian Rosso, tutti a Viozene per
concludere la giornata con il buon pranzo
gentilmente organizzato dalla sezione di
Ormea.
Durante l’Assembela dei Delegati, che si è
tenuta a Sanremo il 21 ottobre, il nostro socio
Massimo Andreis Allamandola è stato eletto
nella Componente OTTO per il settore Tutela
Ambiente Montano (TAM).
Infine il 15 dicembre Silvano Odasso, guida
alpina e attivo gestore, con la mamma Quinta
e famiglia, del Rifugio Mongioie, ha presentato e commentato presso la Casa dell’Amicizia
a Garessio una serie di suggestive immagini
relative alle sue importanti spedizioni alpinistiche europee ed extraeuropee. Durante
la serata sono state consegnate le “Aquile
d’oro 25” ai nostri soci Marco Balbo, Ezio
Naso, Cristiano Garelli, Umberta Rimboldi e
le “Aquile d’oro 50” al fratelli Alessandro e
Giancarlo Sommariva.
Achille Andreis
90 • alpidoc 82
In ricordo di Mario Angeloni
A noi piaceva ascoltare le parole che il vento
portava da lontano, che faceva scorrere lungo
le creste, lungo i pendii…
A noi piaceva giocare con le foglie, con l’erba
con la neve; piaceva guardare l’orizzonte e
vedere il mare, le pareti, il ghiaccio…
A noi piaceva percorrere gli angoli più selvaggi
La sua ultima falesia
Mario Angeloni, il ragazzo della Val
Tanaro e del Mongioie, è mancato il 12
maggio 2012 dopo una lunga, estenuante lotta per la vita che ha lasciato tutti
coloro che lo conoscevano sbigottiti e
stravolti, ultimo regalo (o insegnamento) di un uomo che sopra di tutto amava
vivere in modo semplice, discreto e con
poco.
Mario, già gravemente malato, ha avuto
la forza di scoprire e chiodare una piccola falesia in località Cerisola, nel comune
di Garessio, adatta alla frequentazione
nei mesi estivi, e in fase di risistemazione
in suo ricordo.
Attualmente tale falesia presenta otto
tiri dal 5+/6a al 7a ed è raggiungibile da
Cerisola in circa 30 minuti di cammino
lungo una comoda strada sterrata; la
stessa, appena completata, verrà meglio
descritta per eventuali usufruitori.
Ilaria Ferrero
della nostra Valle Tanaro e seguirne le linee più
strane, le cenge più improbabili e nascoste, un
po’ Patagonia, un po’ Himalaya… Entrare nel
suo ventre, nella sua pancia e sentirsi a casa,
sentirsi uniti.
A noi piaceva arrampicare, viaggiare per arrampicare e arrampicare per viaggiare.
A noi piaceva vivere!
Ci manchi. Come ci manca tutto quello che fu
e che non è più.
Ti cercheremo ancora, Mario. Sui prati, sulle
creste, nelle grotte che solo noi conoscevamo
a quel modo. E forse ci troveremo ancora.
Gli amici di Mario
MONDOVì
Una grande festa con tanti amici
per l’inaugurazione del Sentiero
Sordella
L’8 e il 9 settembre una processione di amici è
salita al Rifugio Garelli dal Pian delle Gorre inerpicandosi al cospetto delle magnifiche giogaie
del Marguareis: una festa, l’inaugurazione del
Sul tratto attrezzato del Sentiero Sordella;
sotto: durante la messa si levano i canti
(foto di Giorgio Aimo).
alpidoc 82 •
91
nuovo sentiero attrezzato (EEA) che affronta il
Colle dei Torinesi spuntando sotto la magnifica
vetta del Marguareis, e intitolato alla memoria
dell’amico Flavio Sordella, che fin dall’infanzia
ha amato queste montagne; un percorso ad
anello che, dopo la prematura scomparsa di
Flavio, la famiglia, particolarmente la moglie
Kikki Allasia Sordella con numerosi amici della
sezione di Mondovì e altri del gruppo Coj del
Fià Curt della sezione di Fossano sono riusciti
a tracciare con il contributo tecnico delle guide
alpine Sergio Rossi e Matteo Canova. Giorni di
salite, di festa, di canti e di belle celebrazioni:
la prima a Porta Marguareis, dove una targa
contornata da rametti di ginepro e altri fiori di
montagna ricorda il volto sorridente di Flavio;
lì il sabato pomeriggio con i famigliari si è celebrata la messa su un altare costruito dagli amici,
fra due laghetti nati dopo lo scioglimento della
prima neve. Una celebrazione intima, accompagnata da semplici canti – “La mano nella tua
io metto o Signore” – e dalla frase”Dove corri?
Non sai che il cielo è in te”(Christiane Singer),
scelta per l’occasione.
Domenica mattina una vera fiumana di altri
amici e di autorità è giunta al Rifugio Garelli
per la festa, che ha avuto il suo clou nella
solenne celebrazione della messa animata dal
Coro Paolo Aguzzi del gruppo Coj del Fià Curt.
Circa trecento persone hanno partecipato in
vario modo alla festa e alla messa dando voce
al canto che invitava tutti a lodare e benedire
il Signore (Effatà apriti), a spalancare il cuore,
gli occhi, le orecchie per essere capaci come
Flavio di fare cose belle per gli altri.”Laudate
e benedite il Signore e ringraziatelo e servitelo
con grande umiltate”: così diceva il Cantico delle Creature di san Francesco che soffusamente
si è sparso nel silenzio della vallata, tra il cielo
azzurro intenso, mentre le maestose pareti del
Marguareis facevano da solenne cattedrale.
Dopo i numerosi interventi di amici e di coloro che hanno lavorato alla realizzazione del
sentiero, una buona polentata, ancora canti e
brindisi hanno coronato la giornata. Un grande
grazie a tutta la famiglia Sordella per questo
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dono alla montagna e a noi che la amiamo.
Siamo scesi pensando alla bellissima frase del
grande Patrick Berhault che ci invita a tenere
sempre legati in cordata i sogni con la realtà
per non perdere mai di vista i nostri ideali e le
nostre passioni.
Padre Oreste Fabbrone, Fossano
Ormea
Anno nuovo, bollino e Direttivo
nuovi
Con il nuovo anno arriva il momento del rinnovo della quota associativa. Ricordiamo ai soci di
acquistare il bollino del 2013 entro il 31 marzo.
Lo potete fare presso l’edicola di via Roma che
gentilmente si presta a questa operazione.
A fine gennaio ci sarà l’assemblea annuale che
vedrà i soci impegnati nel rinnovo del Consiglio
direttivo. Nell’occasione si premieranno i soci
che hanno raggiunto i 25 e i 50 anni di iscrizione al sodalizio.
Quattro giorni nelle Alpi Apuane
Partecipazione delle grandi occasioni, l’ultimo
weekend dello scorso aprile, per la gita nelle
Apuane: ben trentanove i soci che hanno aderito. È stata l’occasione per trascorrere quattro
giorni insieme e scoprire la bellezza di queste
montagne così diverse dagli Appennini.
Abbiamo visitato anche i laboratori di scultura
e di mosaico nella cittadina di Pietrasanta
accompagnati dallo scultore romeno Benone
Olaru che si è prestato a farci conoscere i suoi
lavori più recenti e alcuni personaggi, purtroppo
troppo pochi, che operano ancora nel settore
del marmo.
Abbiamo anche constatato che oggi nelle Alpi
Apuane non ci sono più solo le cave per estrarre
i blocchi che gli artisti trasformeranno in statue
o i laboratori in piastrelle e vasche; il bellissimo
marmo bianco è utilizzato per ricavarne il carbonato di calcio. Molti degli autocarri che si
incontrano sulle strette strade che percorrono
le profonde valli alle spalle di Carrara e Massa
trasportano detriti di roccia. Questi saranno
poi macinati e utilizzati da numerose industrie,
da quella cartaria ai colorifici, ma entreranno
anche nei cosmetici e nell’acciaio, nei collanti e
nelle plastiche, per arrivare perfino sulle nostre
tavole tramite l’industria alimentare che lo usa
come colorante E170: non è nocivo, sbianca e
soprattutto pesa.
Il problema principale è che oggi le Apuane si
stanno sbriciolando sotto le cariche di dinamite e
che la quantità di materiale prelevato negli ultimi
vent’anni è superiore a quella utilizzata a partire
dagli Etruschi per arrivare fino ai nostri giorni.
Ezio Michelis
Prossime uscite
10 marzo, prima uscita stagionale in Liguria.
14 aprile, in Costa Azzurra con gli amici di
Garessio e Ceva.
21 aprile, con le atre sezioni della regione
nell’Astigiano per il Giro delle 5 Torri.
PEVERAGNO
Nel 2012 perfino un apertitivo in
vetta!
Al termine della stagione 2012 possiamo redigere un bilancio assolutamente soddisfacente
sia per la qualità delle gite proposte che per
l’ampia partecipazione riscontrata.
Nella stagione invernale il Corso base di Scialpinismo realizzato in collaborazione con Global Mountain, di cui fa parte la guida alpina
Il gruppo dei partecipanti alla gita nelle
Alpi Apuane durante la visita ad una cava
sotterranea (foto di Ezio Michelis).
Daniele Macagno, ha visto l’adesione di otto
soci che sono rimasti entusiasti sia dei percorsi
proposti sia della professionalità con cui Daniele ha portato avanti il corso.
La stagione primaverile è iniziata con la solita gita al mare – quest’anno da Toirano a
Ceriale –, organizzata in modo impeccabile
dal Gruppo di Beinette, che è riuscito persino
ad offrire ai più di cinquanta partecipanti un
sontuoso aperitivo in cima al Monte Croce per
festeggiare il primo mezzo secolo del socio
Ugo Bellino.
Interessante per gli spunti paesaggistici e storici è stata la gita del 27 maggio: il giro delle
borgate di Elva. Accompagnati dal socio Ivo
Raina, originario di Elva, i purtroppo pochi
iscritti hanno visitato ciò che è rimasto delle
antiche borgate, un tempo densamente abitate, scoprendo aneddoti e tradizioni di vita
di montagna.
Grande successo ha invece avuto la gita, organizzata dal 16 al 18 giugno nelle Alpi Apuane.
Circa quaranta gli escursionisti entusiasti sia
dei percorsi proposti – salita della Cima Pania
della Croce e del Monte Sagro – sia della visita
a Colonnata e alle famose cave di marmo.
Gita organizzata con la collaborazione dei nostri amici non vedenti di Carrara che ci hanno
accompagnato e dato un indispensabile contributo per la sistemazione logistica. La soluzione
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di un albergo in riva al mare è stata particolarmente apprezzata perché ha dato la possibilità
di sfruttare la spiaggia e di fare un gradevole
bagno dopo le fatiche della giornata.
La ormai classica gita di luglio sulle Dolomiti
quest’anno ha avuto una soddisfacente adesione: venticinque soci che si sono cimentati
in parte sulla ferrata del Sass Rigais (Gruppo
delle Odle) e in parte nella traversata dal Rifugio Firenze al Rifugio Puez. Purtroppo il tempo
non è stato favorevole, tanto che il gruppo
dei “ferratisti” giunti in prossimità della vetta
è stato colpito da un’autentica bufera di neve
che, per fortuna, non ha provocato danni ai
malcapitati.
Meno male che, l’ultimo giorno, un sole splendido ha accompagnato tutti in cima al Sassongher, regalando un indimenticabile panorama
il secondo anno consecutivo, si è svolto nelle
strutture messe a disposizione dal Comune di
Peveragno in centro paese.
Ciliegina sulla torta, se così si può dire, è stata
l’ultima gita dell’anno, il 2 ottobre nelle Langhe: il Sentiero dei Cru dei Barolo, da La Morra
a Barolo.
I circa trenta partecipanti, oltre ad apprezzare
i caratteristici camminamenti immersi tra i vigneti più rinomati, hanno potuto visitare la
cantina Ratti in frazione Annunziata, accompagnati dal titolare che, con passione e competenza, ha illustrato i vari passaggi della vinificazione per concludere con la degustazione
del prezioso barolo.
La gita, dopo la visita al Museo del Cavatappi
a Barolo, si è conclusa con una gustosa “merenda sinoria” a base di prodotti tipici langaroli
in un agriturismo presso La Morra.
SAVONa
Trekking in Corsica sul GR20 SUD
a 360° sulle Dolomiti circostanti. A fine luglio
abbiamo accompagnato i nostri amici della
sezione di Belluno (con cui siamo gemellati) nel
Giro del Marguareis, dormendo nei rifugi Garelli e Don Barbera, salendo in cima al Marguareis e attraversando la Conca delle Carsene.
Percorso facile e allo stesso tempo spettacolare
che ha entusiasmato i partecipanti.
Il tempo inclemente non ci ha permesso di
organizzare a Fontana Cappa, in Bisalta, il
tradizionale incontro della prima domenica di
settembre con i nostri soci. Incontro che, per
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La Corsica ci ha permesso di apprezzare, ancora una volta, le sue magnifiche bellezze naturalistiche in questo trekking che si è svolto
dal 14 al 23 settembre e che ha visto la partecipazione di quattordici persone.
Partiti con un comodo traghetto dal porto di
Savona, in traversata notturna, raggiungiamo
la città di Bastia. Con un breve trasferimento
a piedi raggiungiamo la stazione ferroviaria e
il famoso trinighellu (ora modernissimo) che
dovrebbe condurci a Vizzavona (920 m), dove
pernottiamo in un albergo d’altri tempi. Al mattino eccoci pronti a iniziare la nostra avventura.
Le sei tappe ci porteranno nel gîte U Fucone di
Capannelle (1586 m), Refuge de Prati (1820
m), Refuge d’Usciolu (1750 m), Refuge d’Asinau (1530 m), Foce di Bavella (1218 m) e Refuge d’I Paliri (1055 m) con arrivo nel simpatico
villaggio di Conca (250 m).
La Corsica è sempre la Corsica!
Tre scatti del trekking savonese sul GR 20 Sud
a fissare altrettanti ingredienti che hanno
determinato la riuscita dell’iniziativa: montagne
bellissime, mare fantastico, compagnia ottima!
(foto Archivio Sezione Savona).
Nella pagina a fianco: lo striscione preparato
dai gitanti del Gruppo Beinette e ul Monte
Croce, sopra Ceriale, per fare
– in modo alquanto insolito e vistoso… –
gli auguri di compleanno a un loro
compagno di avventure
(foto Archivio Gruppo Beinette).
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Credo che tutti noi non potremo dimenticare
le bellissime e incontaminate foreste e praterie
incontrate, anche per la loro impressionante
ricchezza d’acqua. Tra i momenti più suggestivi
il raggiungimento del Monte Alcudina (2134
m), purtropppo tra le nuvole e con le sole tre
ore di pioggia prese in tutto il percorso, un
tramonto e un’alba indimenticabili tra le dolomitiche cime del gruppo delle Aiguilles de
Bavella con una allegrissima cena a lume di
candela nel veramente spartano rifugio I Paliri,
dopo aver affrontato la “Variante Alpine” che
permette di attraversare questo gruppo montuoso turisticamente molto visitato. Degno di
nota il rinfrescante bagno in una superba acqua
cristallina nei laghetti incontrati durante l’ultima
tappa, ormai prossimi al completamento del
percorso.
Un plauso particolare ad alcuni nonni molto
“prestazionali”, che con lo zaino pesante
hanno tenuto medie invidiabili, e a coloro che
sono cimentati, per la prima volta, a dormire
nei rifugi (e che rifugi!) o addirittura in tenda.
Il prolungamento di due notti nel Residence
l’Isula a Pinarellu, a due passi dal mare, ci ha
permesso di scoprire la sua spiaggia e di visitare
l’isoletta con la caratteristica torre genovese e
di rilassarci con vari bagni e idromassaggi nelle
Il Forte del Priamar invaso dai visitatori della
Montagna sul Mare (foto di Grazia Franzoni).
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naturali piscine, seguiti da relativa merenda
distesi sulle granitichie sponde del fiume Cavu.
Un ringraziamento particolare a Donatella e
a Nadia che ci hanno supportato per alcuni
spostamenti e trasporto bagagli con due nostre vetture.
Non ci resta che dare appuntamento a tutti
i partecipanti per il prossimo fine agosto,
quando concluderemo l’opera con la parte
nord del GR20 che ci impegnerà per nove
giorni. A presto!
Agostino Bormida
Record di presenze per la terza
edizione della Montagna sul Mare
Il secondo fine settimana di ottobre la savonese fortezza del Priamar è stata festosamente
“invasa” da bambini, ragazzi, adulti, soci CAI,
amici, curiosi per la manifestazione La Montagna sul Mare. Si è trattato di un’edizione
speciale, in quanto ha inaugurato le iniziative
liguri dedicate al 150° anniversario del CAI,
che si concluderanno il prossimo ottobre a
Genova.
Il ricco programma prevedeva un mix di proposte sportive e culturali che poteva suscitare
l’interesse di un pubblico variegato.
Per la sezione lo sforzo organizzativo non è
stato indifferente, con il coinvolgimento di
moltissimi soci. I risultati sono stati positivi,
con presenze in aumento rispetto alla scorsa
edizione e buoni commenti da parte di tutti. I
numeri parlano chiaro: oltre 700 presenze sul
muro di arrampicata, ponte tibetano e masso
boulder; oltre 520 visite ai sotterranei della
fortezza; a queste cifre bisogna aggiungere più
di 160 studenti delle scuole superiori savonesi
che il sabato mattina hanno ruotato su nove
diverse attività.
E anche quest’anno abbiamo raccolto fondi
per i progetti del Soccorso Alpino piemontese
in Nepal (oggi confluiti nel Progetto Vallesi).
Grazia Franzoni