Sentenze di merito e legittimità: prime interpretazioni in materia di

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Sentenze di merito e legittimità: prime interpretazioni in materia di
Sentenze di merito e legittimità: prime interpretazioni in materia di Processo Civile Telematico.
Tratte dal sito Processociviletelematico.it
Trib. Milano, verbale 17 novembre 2015 (est. Consolandi)
Comunicazioni di cancelleria – Avviso di mancata consegna – Indirizzo CECPAC – Non idoneo – Causa
imputabile al destinatario – Perfezionamento mediante deposito in cancelleria
Oggi 17 novembre 2015 sino alle ore 10.00 innanzi al dott. Enrico Consolandi nessuno compare ed il
giudice rilevato che il verbale della precedente udienza è stato comunicato mediante pec al difensore di
parte attrice, come da RAC;
rilevato che quanto al difensore di parte convenuta il verbale non risulta comunicato, essendo stata
acquisita una ricevuta di mancata consegna del seguente tenore:
“Il giorno 17/09/2015 alle ore 08:58:55 (+0200) il messaggio
"COMUNICAZIONE ***/***/CC" proveniente da
"[email protected]"
e destinato all'utente "***@postacertificata.gov.it"
non e' stato consegnato nelle ventiquattro ore successive al suo invio.
Si ritiene che la spedizione debba considerarsi non andata a buon fine.Identificativo del messaggio:
opec***@gestorepec.giustiziacert.it”
Rilevato che il detto indirizzo del difensore corrisponde a una casella PEC “del cittadino” le c.d. CECPAC,
fornite gratuitamente dal governo italiano, in realtà inidonee al processo telematico perchè non attingibili
che da alcune amministrazioni, fra le quali non rientrava il Ministero della Giustizia e non utilizzabili per
tutti i mittenti (come risulta dal sito www.postacertificata.gov.it ovre si legge che “La PostaCertificat@
garantisce un canale di comunicazione chiuso ed esclusivo tra Pubblica Amministrazione e Cittadino: non
sono, infatti, previste comunicazioni al di fuori di tale canale, ad esempio tra Cittadino e Cittadino. “
Rilevato comunque che le caselle in oggetto sono ad oggi inidonee allo scopo come risulta dallo stesso sito
www.postacertificata.gov.it ove è annunciata la sospensione del servizio e più specificamente si dice che
“3) dal 18 luglio 2015 le caselle non saranno più abilitate alla ricezione di messaggi e l'accesso alle stesse
sarà consentito, sino al 17 settembre 2015, solo ai fini della consultazione e del salvataggio dei messaggi
ricevuti; dal 18 settembre sarà definitivamente inibito l'accesso alla propria casella;”
Ritenuto pertanto che nel caso di specie nessuna comunicazione sia dovuta al difensore del convenuto, per
il quale vale il mero deposito in Cancelleria, ai sensi dell'art. 16 dl 179/2012 poiché la mancata consegna è
dovuta alla colpa del difensore di aver scelto e mantenuto una casella inidonea e ora anche non più
funzionante;
PTM
dispone la Cancellazione della causa dal ruolo e ne dichiara la estinzione.
*°*°*
Firma digitale e documento informatico – Sentenza telematica
Cass., sez. 3, sent. n. 22871 del 10 novembre 2015 (Pres. Salmè, rel. Barreca)
Sentenza – Deposito per via telematica – Inesistenza – Esclusione – Firma digitale – Validità
Omissis
1. - Col primo motivo si deduce inesistenza giuridica della sentenza ai sensi dell'art. 132,
comma secondo, n. 5 cod. proc. civ.. Secondo il ricorrente, poiché la sentenza contiene soltanto la
firma digitale e non la sottoscrizione del giudice, non sarebbe possibile l'identificazione del suo
autore; la normativa che ha introdotto nell'ordinamento la firma digitale non sarebbe applicabile
alle sentenze, in quanto presupporrebbe uno scambio telematico di atti (che, per le sentenze, non
è previsto); per di più, trattandosi di sentenza emessa ai sensi dell'art. 281 sexies cod. proc. civ.,
non vi sarebbero nemmeno la certificazione ed il deposito in cancelleria.
Il ricorrente conclude osservando che, nell'attuale sistema normativo, la sentenza recante la
firma digitale sarebbe mancante di sottoscrizione ai sensi dell'art. 132 n. 5 cod. proc. civ., e perciò
sarebbe inesistente.
1.1.- Il motivo è infondato.
L'art. 132, comma secondo, n. 5 cod. proc. civ. prescrive che la sentenza debba contenere «la
sottoscrizione del giudice» e l'art. 161, comma secondo, cod. proc. civ. stabilisce che la regola di
cui al primo comma (per la quale la nullità delle sentenze appellabili e ricorribili per cassazione può
essere fatta valere soltanto nei limiti di queste impugnazioni) invece "non si applica quando la
sentenza manca della sottoscrizione del giudice".
Notevole è l'elaborazione giurisprudenziale concernente due distinti profili interpretativi di
quest'ultima disposizione.
L'uno attiene ai rimedi per ovviare al vizio della sentenza mancante di sottoscrizione; l'altro,
alla natura di questo vizio.
Quanto a quest'ultimo (che qui rileva), la giurisprudenza di legittimità è nel senso che la
sottoscrizione della sentenza da parte del giudice costituisce un requisito essenziale della giuridica
esistenza del provvedimento, la cui mancanza ne determina la nullità assoluta e insanabile
(equiparabile all'inesistenza giuridica), rilevabile anche d'ufficio e anche in esito al giudizio di
cassazione (così, tra le altre, Cass. n. 15424/00, n. 11739/04, n. 21193/05, n. 21049/06, n.
12167/09, ord. n. 22705/10).
1.2.- Il principio è stato ridimensionato dalla recente sentenza a Sezioni Unite n. 11021/14,
che, superando il contrario orientamento giurisprudenziale prevalente, ha ritenuto affetta da nullità
sanabile ai sensi dell'art. 161, primo comma, cod. proc. civ., la sentenza emessa dal giudice in
composizione collegiale priva di una delle due sottoscrizioni (del presidente del collegio ovvero del
relatore). In particolare, ha escluso l'equiparabilità della situazione a quella di mancanza assoluta
di sottoscrizione, poiché, nel caso di sottoscrizione parziale (o insufficiente, secondo la
qualificazione data dalle Sezioni Unite), non è in dubbio la provenienza della sentenza dal collegio
che vi appare come organo giurisdizionale decidente.
Il rigore del principio generale risulta altresì attenuato dall'interpretazione che, da tempo,
questa Corte ha dato all'art. 132, comma secondo, n. 5 cod. proc. civ. in caso di firma illeggibile. Si
trova ripetuta l'affermazione per la quale non costituisce motivo di nullità della sentenza
l'illeggibilità della firma del giudice, a meno che essa non consista in un segno informe privo di
qualsiasi identità, al punto da risolversi in una vera e propria mancanza di sottoscrizione (così già
Cass. n. 2040/78, n. 6292/83), cui si aggiunge che l'illeggibilità del tratto grafico non è equiparabile
al difetto di sottoscrizione, se il nome ed il cognome del giudice siano ricavabili da altre parti del
documento (così Cass. n. 5635/90; cfr., nello stesso senso, anche Cass. n. 7634/94, n. 943/95).
Entrambe le affermazioni vengono a specificarsi nel seguente principio di diritto: «la sottoscrizione
della sentenza da parte del giudice, costituente requisito della sua esistenza giuridica a norma
dell'art. 161, secondo comma, cod. proc. civ., deve essere costituita da un segno grafico che abbia
caratteristiche di specificità sufficienti e possa quindi svolgere funzioni identitarie e di riferibilità
soggettiva, pur nella sua eventuale illeggibilità (la quale non inficia la idoneità della
sottoscrizione se sussistono adeguati elementi per il collegamento del segno grafico con
un'indicazione nominativa contenuta nell'atto)» (Cass. n. 7928/00, n. 7713/02, n. 11471/03, n.
28281/11).
Si desume da quest'ultimo indirizzo, ma anche dal revirement segnato dalle Sezioni Unite nel
2014, che la sottoscrizione della sentenza è elemento essenziale perché la sentenza sia
riconoscibile come tale e ne sia resa palese la provenienza dal giudice che l'ha deliberata.
Quest'ultimo è lo scopo per il quale l'art. 132, comma secondo, n. 5 cod. proc. civ. prescrive il
requisito della sottoscrizione. La mancanza di sottoscrizione invalida la sentenza perché
impedisce, non tanto (e non solo) la completa formazione di un documento, quanto il
perfezionamento di un atto processuale (costituito dal provvedimento del giudice qualificabile come
"sentenza" ai sensi degli artt. 131 e seg. cod. proc. civ.): il vizio sussiste quando è impossibile la
riconducibilità del provvedimento che è espressione dell'attività giurisdizionale al giudice che ne è
l'autore. Per contro, non è affetta da nullità la sentenza recante un segno grafico che consenta la
riconducibilità al giudice sia dell'atto del processo che, quindi, della decisione.
Non è certo questa la sede per intrattenersi sulla distinzione tra sentenza come giudizio e
sentenza come provvedimento destinato a documentare o a rappresentare il giudizio.
E' sufficiente osservare, quanto al profilo formale del provvedimento, che già il codice di rito
consente che il giudice non sia l'autore materiale dell'attività di scritturazione, per come si desume
dalla norma (oramai desueta) dell'art. 119 disp. att. cod. proc. civ., e comunque che la
scritturazione sia attività da compiersi, pur sempre per iscritto, ma anche con mezzi meccanici.
Invece, l'attività di sottoscrizione è attività che il codice ascrive personalmente al giudice.
I richiami giurisprudenziali di cui sopra dimostrano che lo scopo dell'art. 132, comma secondo,
n. 5 cod. proc. civ. è stato ritenuto raggiunto anche in caso di sottoscrizione, in sé, non
riconoscibile, né leggibile, e nemmeno completa, purché composta di segni che consentano di
collegarla con chi risulti autore della sentenza da altri elementi contenuti nello stesso
provvedimento. Nel sistema del codice, la sottoscrizione è intesa come segno grafico
materialmente proveniente dal giudice.
La sottoscrizione deve essere apposta di pugno dal soggetto che si appropria, per il tramite di
essa, della paternità del provvedimento e perciò è legata alla sua persona, quindi necessariamente
autografa.
1.3.- Occorre allora delibare, per un verso, se la firma digitale consente di individuare con
certezza l'autore del provvedimento e, per altro verso, se, pur non essendo autografa, sia idonea a
perfezionare l'atto processuale, cioè a determinare l'esistenza della sentenza come provvedimento
del giudice.
La sentenza impugnata è stata allegata al verbale dell'udienza del 23 gennaio 2013, ai sensi
dell'art. 281 sexies cod. proc. civ.; è stata redatta dal giudice in formato elettronico, è stata
sottoscritta con firma digitale ed è stata depositata telematicamente nel fascicolo informatico. Sulla
copia cartacea della sentenza (ottenuta mediante il software in dotazione agli uffici giudiziari
denominato "Consolle del Magistrato") non figura alcuna firma autografa del giudice (ma sul
margine destro di ciascuna delle quattro pagine di cui è composta vi sono una coccarda e la
dicitura "Firmato Da: ...omissis..." seguita dal cognome e dal nome del giudice in caratteri
stampatello e dall'ulteriore dicitura: "Emesso da: POSTECOM CA2 Serial#:7b365").
La copia autentica (cartacea) prodotta unitamente al ricorso ai fini della sua procedibilità, ai
sensi dell'art. 369, comma secondo, n. 2 cod. proc. civ., reca un'ultima pagina, contenente in alto il
numero della sentenza (n. 1073/13), il sigillo della Repubblica Italiana e quindi l'attestazione di
conformità all'originale con data e sottoscrizione autografa del cancelliere.
1.3.1.- La sentenza è stata redatta con gli strumenti di cui all'art. 16 del Provvedimento 18
luglio 2011 contenente le "Specifiche tecniche previste dall'articolo 34, comma l del decreto del
Ministro della giustizia in data 21 febbraio 2011 n. 44, recante regolamento concernente le regole
tecniche per l'adozione, nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie
dell'informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal decreto legislativo 7
marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, ai sensi dell'articolo 4, commi 1 e 2 del decreto
legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito nella legge 22 febbraio 2010, n. 24", pubblicato sulla
G.U. n. 175 del 29 luglio 2011 (attualmente, sostituito dal Provvedimento 16 aprile 2014).
L'art. 4 del decreto legge n. 193 del 2009, convertito nella legge n. 24 del 2010, intitolato
"misure urgenti per la digitalizzazione della giustizia" ha esteso al processo civile i principi previsti
dal decreto legislativo 7 marzo 2005 n. 82 e successive modificazioni (codice dell'amministrazione
digitale: C.A.D.). Perciò, quest'ultimo costituisce, attualmente, l'apparato legislativo di riferimento
qualora gli atti processuali di cui agli artt. 121 e seg. cod. proc. civ., ed in specie i provvedimenti
del giudice, siano contenuti in documenti informatici. Quest'ultima eventualità è consentita,
appunto, dal testo del menzionato art. 4 laddove presuppone "l'adozione nel processo civile [...]
delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, in attuazione del principi previsti dal
decreto legislativo 7 marzo 2005 n. 82, e successive modificazioni". Quindi i principi generali del
C.A.D. sono applicabili anche in ambito processuale e le relative disposizioni costituiscono le
norme con valore di legge ordinaria che, per il tramite dell'art. 4 del d.l. n. 193 del 29 dicembre
2009, convertito nella legge n. 24 del 22 febbraio 2010, disciplinano gli atti del processo civile
redatti in forma di documento informatico (cfr. art. 1 lett. p e art. 20 C.A.D.) e sottoscritti con firma
digitale (cfr. art. 1 lett. s e art. 21 C.A.D.).
Le disposizioni del Regolamento di cui al D.M. n. 44 del 2011, emanato in attuazione dei
principi previsti dal C.A.D., ed in particolare gli artt. 11 ("formato dell'atto del processo in forma di
documento informatico") e 15 ("deposito dell'atto del processo da parte del soggetti abilitati
interni"), coordinati con le norme tecniche del Provvedimento 18 luglio 2011 (oggi del
Provvedimento 16 aprile 2014), rendono possibile che il magistrato («soggetto abilitato interno»
secondo la definizione contenuta nell'art. 2, comma primo, lett. m, n.1, dello stesso Regolamento)
rediga la sentenza in formato elettronico e la sottoscriva con firma digitale. In particolare, ai sensi
del primo comma dell'appena citato art. 15, nella formulazione risultante dalla sostituzione operata
dall'art. 2, comma l, lett. a), del D.M. 15 ottobre 2012 n. 209, «l'atto del processo, redatto in
formato elettronico da un soggetto abilitato interno e sottoscritto con firma digitale, è depositato
telematicamente nel fascicolo informatico».
1.3.2.- La firma digitale è definita dall'art. 1 lett. s) C.A.D. come «un particolare tipo di firma
elettronica avanzata basata su un certificato qualificato e su un sistema di chiavi crittografiche, una
pubblica e una privata, correlate tra loro, che consente al titolare tramite la chiave privata e al
destinatario tramite la chiave pubblica, rispettivamente, di rendere manifesta e di verificare la
provenienza e l'integrità di un documento informatico o di un insieme di documenti informatici».
Per tali sue caratteristiche, la firma digitale, per un verso, manca di autografia, per altro verso, non
è nemmeno riproducibile su un supporto analogico.
Essa non è costituita, a differenza della firma convenzionale, da un segno grafico vergato sul
documento di pugno dell'autore, ma da una serie di informazioni digitali unite al documento, ed è
apposta dal giudice mediante l'inserimento della sua personale "smart-card" e digitazione del "pin"
(codice alfanumerico personale).
L'apposizione della firma digitale ad opera del giudice è desumibile grazie alla coccarda ed
alla stringa grafica che compaiono su ciascuna delle pagine del file di copia della sentenza (il cui
originale è archiviato all'interno del sistema). La coccarda e la stringa sono automaticamente
inserite nella copia del documento informatico dal software in dotazione all'ufficio giudiziario al fine
di dare la rappresentazione dell'apposizione della firma digitale.
Dalle specifiche tecniche di cui sopra si desume, inoltre, che l'atto del processo redatto in
formato elettronico dal magistrato in tanto può essere depositato telematicamente nel fascicolo
informatico in quanto sia stato previamente «sottoscritto con firma digitale». In caso di mancanza
di firma digitale, il sistema informatico impedisce il deposito telematico del documento e comunque
non potrebbe generare la copia recante i segni grafici attestanti la presenza di una firma digitale
(coccarda e stringa).
A quanto fin qui detto si aggiunga che la conformità della copia (analogica) all'originale
(informatico), da cui è tratta, è attestata dal cancelliere, ai sensi dell'art. 23, comma primo, C.A.D.,
in tutte le sue componenti (compresa quindi la firma) e l'attestazione del cancelliere completa la
rappresentazione "esterna" dell'apposizione della firma digitale, garantendo che il documento
informatico ne sia munito in originale. Pertanto, a meno che non si contesti siffatta attestazione,
non rileva che gli operatori "soggetti abilitati esterni privati" (art. 2, comma primo, lett. m, n. 3, dello
stesso Regolamento) non avessero (come sostenuto nella memoria del ricorrente) la possibilità di
accedere all'originale digitale per poterne riscontrare direttamente l'integrità e la corrispondenza
alla copia (possibilità, peraltro, garantita, a far data dall'agosto 2014 dall'art. 52 del decreto legge
n. 90 del 2014, convertito con la legge n. 114 del 2014, che ha modificato l'art. 16 bis del decreto
legge n. 179 del 2012, convertito con la legge n. 221 del 2012).
La firma digitale, in sé considerata, garantisce, tra l'altro, l'identificabilità del suo autore,
quando il documento sia formato nel rispetto delle regole tecniche in materia di firma elettronica
avanzata (cfr. art. 21, comma secondo, C.A.D., che rinvia all'art. 20, comma terzo, C.A.D.).
Ed invero col D.P.C.M. 30 marzo 2009 pubblicato sulla G.U. 6 giugno 2009 n. 129 (oggi
sostituito dal D.P.C.M. 22 febbraio 2013 pubblicato sulla G.U. 21 maggio 2013 n. 117) sono state
dettate le «Regole tecniche in materia di generazione, apposizione e verifica delle firme digitali e
validazione temporale dei documenti informatici», ai sensi del già citato art. 20, comma terzo,
C.A.D. In base a tali regole, come in vigore già alla data della sentenza impugnata, la procedura di
rilascio del dispositivo di firma ("smart card") presuppone l'identificazione certa del titolare (che
materialmente lo prende in consegna) ed il dispositivo stesso è fatto in modo che la chiave privata
(che non è altro che un file) non possa essere estratta e che il suo sblocco (attraverso il "pin")
avvenga all'interno del dispositivo, proprio per garantire che il file della chiave privata non sia
utilizzabile se non col dispositivo stesso (sicché l'unico rischio è l'utilizzazione di questo da parte di
soggetto diverso dal titolare: eventualità, nemmeno ipotizzata nel caso di specie).
Ne segue che la firma digitale, quando si trova in calce alla sentenza, soddisfa lo scopo per il
quale ne è prescritta la sottoscrizione, vale a dire quello della riconducibilità del provvedimento al
giudice che risulta averlo emesso e che è l'unico titolare della firma digitale (intesa come
combinazione di chiavi crittografiche, pubblica e privata).
1.3.3.- Detto ciò, va precisato che il ricorrente non ha mai posto in dubbio che la sentenza qui
impugnata sia stata effettivamente munita di firma digitale dal magistrato del Tribunale di Napoli
che l'ha redatta in formato elettronico.
Quindi, non sono pertinenti i rilievi della parte resistente circa la necessità della presentazione
della querela di falso per contestare l'attestazione di conformità all'originale effettuata, nel caso di
specie, dal cancelliere, sulla copia cartacea della sentenza prodotta unitamente al ricorso.
Piuttosto, il ricorrente, oltre ad aver contestato che la firma digitale consentisse, di per sé,
l'identificabilità del giudice autore della sentenza, ha contestato che la normativa sulla firma digitale
fosse applicabile alla sentenza, in quanto l'art. 132, comma secondo, n. 5 cod. proc. civ. non è
stato né abrogato né modificato ed esso presupporrebbe la «sottoscrizione» da intendersi come
segno grafico apposto di pugno dal giudice in calce alla sentenza.
Superate con le argomentazioni di cui sopra le censure concernenti l'idoneità della firma
digitale a consentire l'identificabilità del suo autore, quanto a quest'ultima censura (con la quale
sostanzialmente si contesta che, ai sensi della normativa vigente, la «sottoscrizione» della
sentenza debba essere autografa), si osserva quanto segue.
E' innegabile che siano ontologicamente diverse la natura della sottoscrizione, intesa come
atto consistente nell'apposizione, di pugno dall'autore del documento, del proprio nome e
cognome, e quella della firma digitale, composta invece da una duplice sequenza crittografica
di byte volta a costituire il segno personale di chi la appone.
Il Collegio ritiene che l'equiparazione dell'una all'altra, ai fini della validità della sentenza, sia
possibile non per via interpretativa, ma soltanto per via legislativa. Ritiene peraltro che questa
equiparazione sia stata attuata dalle norme di legge concernenti il processo civile telematico sopra
richiamate. Infatti -contrariamente a quanto si assume col ricorso- queste norme sono applicabili
alla sentenza, malgrado il legislatore non sia intervenuto ad adeguare direttamente l'art. 132,
comma secondo, n. 5 cod. proc. civ., così come peraltro non è intervenuto a prevedere,
modificando le relative disposizioni del codice di rito, che il requisito della forma scritta dei
provvedimenti del giudice di cui agli artt. 131 e seg. cod. proc. civ. sia soddisfatto qualora si tratti di
documento informatico, il cui contenuto originale è redigibile ed attingibile soltanto per il tramite
della fruizione di programmi software.
Con i già menzionati artt. 11 e 15 del D.M. n. 44 del 2011 si sono previsti rispettivamente il
formato dell'atto del processo in forma di documento informatico ed il suo deposito, quando redatto
in formato elettronico dal giudice (quale soggetto abilitato interno).
Le norme secondarie sono attuazione di quanto disposto dal già menzionato art. 4 del d.l. n.
193 del 2009 convertito nella legge n. 24 del 2010. Questo, a sua volta, richiama, estendendoli al
processo civile, i principi previsti dal "Codice dell'amministrazione digitale" portato dal D. Lgs. 7
marzo 2005, n. 82, entrato in vigore il primo gennaio 2006, successivamente modificato dal D.Lgs.
4 aprile 2006, n.159, dal D.Lgs. 30 dicembre 2010, n. 235 nonchè dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179
convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221. Quest'ultima legge contiene una
sezione VI intitolata «giustizia digitale», su cui il legislatore è ulteriormente intervenuto con la legge
24 dicembre 2012 n. 228, in modo da regolare le comunicazioni e le notificazioni ed il deposito
degli atti processuali per via telematica.
Le linee guida dell'intero corpo normativo così sinteticamente richiamato risultano ispirate ad
una piena equiparazione tra documento informatico e documento cartaceo (definito anche come
"analogico"), nonché tra sottoscrizione autografa e -per quanto qui rileva- firma digitale.
L'estensione di queste linee guida anche agli atti processuali si evince da quanto già esposto al
precedente punto 1.3.1.
Il processo normativo di equiparazione si è completato con gli interventi del legislatore
successivi alla data di pubblicazione della sentenza qui impugnata (quindi, non applicabili), ma
comunque utili a comprendere la portata della normativa sulla quale sono venuti ad incidere.
Così col già citato art. 52 del decreto legge n. 90 del 24 giugno 2014, convertito con la legge
n. 114 dell'11 agosto 2014, si è modificato l'art. 16 bis del decreto legge n. 179 del 2012, convertito
con la legge n. 221 del 2012 (a sua volta introdotto dall'art. 1, comma 19 n. 2 della legge 24
dicembre 2012 n. 228), introducendo il comma 9 bis. Questa disposizione di legge – pur essendo
destinata ad equiparare all'originale le copie informatiche ed analogiche (anche) dei provvedimenti
del giudice presenti nei fascicoli informatici estratte da soggetti diversi dal cancelliere e muniti di
attestato di conformità da questi soggetti, tra cui il difensore – conferma le conclusioni raggiunte
circa l'estensione dei principi del C.A.D. anche agli atti del processo, specificamente ai
provvedimenti del giudice. Essa, infatti, presuppone che il fascicolo informatico contenga la
sentenza redatta in forma di documento informatico e "sottoscritta" con firma digitale.
Ulteriore, definitiva, conferma della previsione per legge della redazione della sentenza come
documento informatico si rinviene nell'art. 16 bis, coma 9 octies, del d.l. n. 179 del 2012 convertito
nella legge n. 221 del 2012, introdotto dal decreto legge 27 giugno 2015 n. 83 convertito nella
legge 6 agosto 2015 n. 132, a norma del quale «Gli atti di parte e i provvedimenti del giudice
depositati con modalità telematiche sono redatti in maniera sintetica».
Tra le norme di legge fin qui richiamate va comunque posta in particolare risalto quella dell'art.
21, comma secondo, C.A.D., come sostituito dall'art. 14, comma l, lett. b) del decreto legislativo 30
dicembre 2010 n. 235, che consente di equiparare la firma elettronica avanzata, qualificata o
digitale, formata nel rispetto delle regole tecniche, alla firma apposta di pugno dal soggetto autore
del documento, per di più munita della presunzione di autenticità di cui all'ultimo inciso.
Alla stregua dell'impianto normativo risultante dalle norme già in vigore alla data di
emanazione della sentenza impugnata -23 gennaio 2013- va perciò affermato che la sentenza
redatta in formato elettronico dal giudice e da questi sottoscritta con firma digitale ai sensi
dell'art. 15 del D.M. 21 febbraio 2011 n. 44, non è affetta da nullità per mancanza di
sottoscrizione, sia perché sono garantite l'identificabilità dell'autore, l'integrità del
documento e l'immodificabilità del provvedimento (se non dal suo autore), sia perché la
firma digitale è equiparata, quanto agli effetti, alla sottoscrizione autografa in forza dei
principi contenuti nel decreto legislativo 7 marzo 2005 n. 82 e succ. mod., applicabili anche
al processo civile, per quanto disposto dall'art. 4 del d.l. 29 dicembre 2009 n. 193, convertito
nella legge 22 febbraio 2010 n. 24.
1.4.- Quanto detto consente di superare anche l'ultima delle censure poste col primo motivo di
ricorso, concernente la mancanza dell'attestazione di deposito della sentenza in cancelleria.
Tenuto conto del fatto che la sentenza impugnata risulta allegata al verbale di udienza, va
ribadito il principio, già affermato in riferimento alle norme del codice di rito, per il quale «la
sentenza pronunciata al sensi dell'art. 281 sexies cod. proc. civ., integralmente letta in udienza e
sottoscritta dal giudice con la sottoscrizione del verbale che la contiene, deve ritenersi pubblicata e
non può essere dichiarata nulla nel caso in cui il cancelliere non abbia dato atto del deposito in
cancelleria e non vi abbia apposto la data e la firma immediatamente dopo l'udienza. Invero, la
previsione normativa dell'immediato deposito in cancelleria del provvedimento è finalizzata a
consentire, da un lato, al cancelliere il suo inserimento nell'elenco cronologico delle sentenze, con
l'attribuzione del relativo numero identificativo, e, dall'altro, alle parti di chiederne il rilascio di copia
(eventualmente, in forma esecutiva)» (così Cass. n. 11176/15).
Il principio non subisce deroghe dalle previsioni che regolano il processo civile telematico.
Intanto, va detto che, a seguito dell'adozione delle regole tecniche sopra richiamate, l'attività di
deposito telematico nel fascicolo informatico delle sentenze redatte in formato elettronico (anche
quando non pronunciate ai sensi dell'art. 281 sexies cod. proc. civ.) è soltanto avviata dal giudice.
E' infatti sempre indispensabile l'intervento del cancelliere.
A seguito della modifica dell'art. 15 del Regolamento di cui al D.M. n. 44 del 2011, effettuata
con l'art. 2, comma l, lett. a) e b), del D.M. n. 209 del 2012, il magistrato che ha redatto la sentenza
in formato elettronico, dopo avervi apposto la propria firma digitale, non effettua personalmente il
deposito, ma la norma va intesa nel senso che egli trasmette telematicamente in cancelleria il
documento -corrispondente, in sostanza, alla "minuta" di cui è detto nel(l'oramai desueto) art. 119
disp. att. cod. proc. civ.- perché il cancelliere («accettando» il documento) possa provvedere al
deposito (dapprima, eventualmente, in minuta) e quindi alla pubblicazione (evento, quest'ultimo,
che rende definitivo il testo della sentenza, e ne impedisce la modificazione anche da parte del
giudice che ne è stato autore).
Quando la sentenza non è "contestuale" ex art. 281 sexies cod. proc. civ., ma depositata ai
sensi dell'art. 281 quinquiescod. proc. civ. e dell'art. 15, comma primo, del D.M. n. 44 del 2011, è
riservata al cancelliere l'attività di pubblicazione ai sensi dell'art. 133, comma primo e secondo,
cod. proc. civ., che comporta anche l'inserimento della sentenza nel registro relativo, con
l'attribuzione del numero identificativo (art. 13 del d.m. 27 marzo 2000, n. 264 "Regolamento
recante norme per la tenuta dei registri presso gli uffici giudiziari" e legge 2 dicembre 1991, n. 399
"Delegificazione delle norme concernenti i registri che devono essere tenuti presso gli uffici
giudiziari e l'amministrazione penitenziaria"). A seguito dell'adozione dei registri informatizzati,
l'attività risulta regolata dal D.M. 27 aprile 2009 «Nuove regole procedurali relative alla tenuta del
registri informatizzati dell'amministrazione della giustizia», pubblicato nella G.U. 11 maggio 2009,
n. 107. Con l'unico adempimento della "pubblicazione" riservato al cancelliere, il sistema provvede
all'attribuzione alla sentenza del numero identificativo e della data di pubblicazione ai sensi e per
gli effetti degli artt. 133, comma secondo, e 327, comma primo, cod. proc. civ. (e consente inoltre
l'estrazione di copia, cartacea o informatica, da attestarsi conforme da parte dei soggetti abilitaticompresi i difensori a far data dall'agosto 2014).
Quando invece la sentenza è inserita nel verbale di udienza od a questo allegata ai sensi
dell'art. 281 sexies cod. proc. civ., l'attività del cancelliere è pur sempre necessaria per
l'attribuzione alla sentenza del numero identificativo e per consentirne l'estrazione di copia, ma non
anche ai fini della sua pubblicazione. Ed invero, come detto, la sentenza pronunciata ai sensi
dell'art. 281 sexies cod. proc. civ. è da intendersi pubblicata con la sua lettura in udienza da parte
del magistrato che ne è l'autore (cfr. Cass. n. 11176/15, anche per ulteriori riferimenti).
1.4.1.- Nel caso di specie trattasi, appunto, di sentenza inserita nel verbale di udienza;
pubblicata con la sua lettura in udienza da parte del magistrato che l'ha redatta; munita del numero
identificativo.
Non è fondata la censura del ricorrente secondo cui la sentenza non risulterebbe "depositata"
in cancelleria.
Il cancelliere ha certificato la conformità della copia cartacea all'originale (informatico) e
l'attribuzione del numero 1073/13, con un'attestazione recante la sua firma autografa ed allegata in
originale al ricorso per cassazione.
Quanto attestato presuppone compiuta dal cancelliere l'attività di deposito prevista dall'ultimo
inciso dell'art. 281 sexies cod. proc. civ. (a seguito dell'"accettazione" – secondo le regole tecniche
del processo civile telematico – di un documento informatico costituito dal verbale di udienza
contenente la sentenza).
In conclusione il primo motivo di ricorso va rigettato.
Omissis
*°*°*
La scansione degli atti
Trib. Vercelli, ord. 4 agosto 2014
Costituzione in giudizio per via telematica - Ammissibile - Scansione di immagine Ammissibile
IL TRIBUNALE ORDINARIO DI VERCELLI Sezione Civile
sciogliendo la riserva che precede, assunta all’esito dell’udienza in Camera di Consiglio in
data 31.07.2014 nel procedimento ex art. 669 terdecies c.p.c. iscritto al n. nn/14 RG/R;
avente ad oggetto: Reclamo ex art 669 terdecies avverso Ordinanza di accoglimento di ricorso per
denuncia
di
danno
temuto;
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
Occorre preliminarmente trattare della ritualità del deposito e della forma del ricorso
introduttivo, questione sottoposta alle parti all’udienza del 31.07.2014.
Il reclamo appare depositato in via telematica, come emerge dalla firma digitale sui lati del
documento. L’apposizione in calce all’atto di un timbro di cancelleria con indicazione del numero di
ruolo, non esclude il deposito in forma telematica. Infatti il timbro riportato è diverso da quello con
cui la cancelleria normalmente attesta l’avvenuto deposto, con indicazione dell’espressione
“depositato”.
Ciò posto, in base all’art. 16 bis D.L. 179/12, possono depositarsi in via telematica gli atti delle
parti costituite, in altri termini possono depositarsi in via telematica solo gli atti endoprocessuali,
essendo esclusi quelli introduttivi. La stessa norma tuttavia non prevede alcuna sanzione in caso
di deposito di un atto introduttivo in via telematica.
Il reclamo ha natura di atto di introduttivo del relativo giudizio. Il deposito del reclamo ha la
funzione di instaurare il giudizio, di consentire alla parte reclamante di costituirsi nel predetto
giudizio, di chiedere la fissazione della prima udienza e di notificare il reclamo e il decreto di
fissazione dell’udienza alle controparti.
Nel caso in cui si ritenga di qualificare il deposito in via telematica di un atto introduttivo come
una ipotesi di nullità, e non di mera irregolarità, non può prescindersi dall’applicazione della
normativa prevista dal codice di procedura civile, in particolare dall’art. 156 u.c. cpc, che preclude
la possibilità di dichiarare la nullità di un atto nel caso in cui questo abbia raggiunto il suo scopo.
Nel caso concreto, anche ipotizzando che il deposito del reclamo in via telematica sia nullo, lo
stesso ha comunque raggiunto la sua funzione tipica. Infatti, a seguito del deposito in via
telematica del reclamo, è stata fissata la prima udienza, sono stati notificati il reclamo e il
provvedimento di fissazione dell’udienza alle controparti ed è stato instaurato il giudizio, nel
rispetto del principio del contradditorio.
D’altronde il deposito di un atto attraverso uno strumento non consentito o non previsto, era
già stato affrontato dalla giurisprudenza di legittimità con riguardo al deposito in un atto effettuato a
mezzo di raccomandata cartacea. La corte di Cassazione con sentenza n. 5160 del 2009 aveva
ritenuto che tale deposito integrasse una irregolarità, al più una nullità, sanabile per l’evidente
raggiungimento dello scopo.
Per quanto concerne la forma del reclamo, deve osservarsi che l’art. 16 bis del D.L. 179/12
impone il rispetto della normativa anche regolamentare relativa alla sottoscrizione, trasmissione e
ricezione degli atti. L’art. 11 D.M. 44/11 stabilisce che “l’atto del processo in forma di documento
informatico è privo di elementi attivi ed è redatto nei formati previsti dalle specifiche tecniche di cui
all’art. 34 (..)”. L’art. 34 dello stesso DM attribuisce al Direttore Generale SIA del Ministero della
Giustizia di stabilire tali specifiche tecniche. Con provvedimento del 16.4.2014 il DGSIA ha stabilito
i parametri che deve rispettare il documento informatico, in particolare ha disposto che esso deve
essere in formato PDF, deve essere privo di elementi attivi e deve essere ottenuto attraverso una
trasformazione di un documento testuale. Non è pertanto ammessa la scansione di immagini (cd
PDF immagine).
Dall’analisi del reclamo emerge chiaramente che lo stesso è in formato PDF immagine (cioè
stampato e scansionato), attesa la presenza di rigature nere sui bordi del documento e la
sottoscrizione a mano del difensore al fondo dell’atto.
Sul punto occorre osservare che l’art. 156 1 comma cpc stabilisce che la nullità dell’atto per
difetto di requisiti di forma deve essere prevista da una legge. L’art. 16 bis D.L. 179/12, che ha
certamente natura di fonte primaria, non commina alcuna sanzione di nullità in caso di difetto di
forme con riguardo ai documenti inviati in via telematica. Né è possibile far discendere la nullità
dalle specifiche tecniche disposte dal DGSIA, non aventi certo natura di fonte primaria. Di
conseguenza deve ritenersi che l’invio dell’atto in formato PDF immagine costituisca una mera
irregolarità.
[…]
Così deciso nella Camera di Consiglio del Tribunale di Vercelli, in data 31.7.2014.
*°*°*
Trib. Livorno, decr. 25 luglio 2014 (est. Pastorelli)
Atto del processo - Scansione di immagine – Nullità
Il Giudice dott. Franco Pastorelli, letto il ricorso per la concessione di decreto ingiuntivo
depositato da R. C. V. (C.F. **),
OSSERVA:
L’avv. A.M., quale difensore di R. C. V, ha depositato, in data 21.7.2014, telematicamente,
ricorso per decreto ingiuntivo chiedendo ingiungersi alla F. s.r.l. il pagamento della somma di €
6.480,05.
Il cancelliere ha iscritto il ricorso al RG dell’anno 2014 con il n. NN ed il fascicolo è stato
assegnato, con assegnazione automatica, allo scrivente, avendo l’intestato ufficio, con recente
variazione tabellare, previsto la assegnazione automatica di tutti i fascicoli.
Il ricorso introduttivo è un file formato .pdf; lo stesso non è però un atto nativo digitale, ottenuto
mediante la trasformazione di un documento testuale, senza restrizioni per le operazioni di
selezione e copia di parti, ma è un file ottenuto mediante la scansione di immagini (avendo,
evidentemente, il legale redatto l’atto, stampato lo stesso, fatto sottoscrivere, con sottoscrizione
autografa, la procura a margine dalla ricorrente, autenticato la stessa, sempre con sottoscrizione
autografa, sottoscritto con firma autografa il medesimo, e poi scannerizzato l’atto e sottoscritto il
file digitale così ottenuto con firma digitale).
Tale modalità di redazione dell’atto digitale non rispetta la normativa vigente;
Stabilisce infatti l’art 16 comma 4° della legge 179/2012 che:
“A decorrere dal 30 giugno 2014, per il procedimento davanti al tribunale di cui al libro IV, titolo
I, capo I del codice di procedura civile, escluso il giudizio di opposizione, il deposito dei
provvedimenti, degli atti di parte e dei documenti ha luogo esclusivamente con modalità
telematiche, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la
trasmissione e la ricezione dei documenti informatici.”
Stabilisce l’art 4 comma 1° del D.L. 193/2009, convertito nella legge 24/2010, che:
“Con uno o più decreti del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro per la pubblica
amministrazione e l’innovazione, sentito il Centro nazionale per l’informatica nella pubblica
amministrazione e il Garante per la protezione dei dati personali, adottati, ai sensi dell’articolo 17
comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore
della legge di conversione del presente decreto, sono individuate le regole tecniche per l’adozione
nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione,
in attuazione dei principi previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive
modificazioni”.
Stabilisce l’art 11 comma 1° del DM 44/2011 che:
"L'atto del processo in forma di documento informatico è privo di elementi attivi ed è redatto
nei formati previsti dalle specifiche tecniche di cui all'articolo 34; le informazioni strutturate sono in
formato XML, secondo le specifiche tecniche stabilite ai sensi dell’articolo 34, pubblicate sul
portale dei servizi telematici.
Stabilisce infatti l'art. 12 comma 1 del Provvedimento 16 aprile 2014 del Responsabile per i
Sistemi Informativi Automatizzati del Ministero della giustizia, pubblicato nella gazzetta ufficiale
della Repubblica Italiana n. 99 del 30.4.2014 (contenente le Specifiche tecniche previste
dall'articolo 34, comma 1 del decreto del Ministro della giustizia in data 21 febbraio 2011 n. 44,
recante regolamento concernente le regole tecniche per l’adozione, nel processo civile e nel
processo penale, delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, in attuazione dei
principi previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, ai sensi
dell'articolo 4, commi 1 e 2 del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito nella legge 22
febbraio 2010, n. 24) che:
"L’atto del processo in forma di documento informatico, da depositare telematicamente
all’ufficio giudiziario, rispetta i seguenti requisiti:
a) è in formato PDF;
b) è privo di elementi attivi;
c) è ottenuto da una trasformazione di un documento testuale, senza re- strizioni per le
operazioni di selezione e copia di parti; non è pertanto ammessa la scansione di immagini;
d) è sottoscritto con firma digitale o firma elettronica qualificata esterna secondo la struttura
riportata ai commi seguenti;
e) è corredato da un file in formato XML, che contiene le informazioni strutturate nonché tutte
le informazioni della nota di iscrizione a ruolo, e che rispetta gli XSD riportati nell’Allegato 5; esso è
denominato DatiAtto.xml ed è sottoscritto con firma digitale o firma elettronica qualificata.”
Alla luce del quadro normativo sopra richiamato, non sussiste nessun dubbio che il ricorso
redatto dall’avv. M. e depositato telematicamente non rispetti la normativa vigente.
Lo stesso infatti non è stato redatto rispettando le regole di dettaglio emanate nel
provvedimento sopra richiamato del 16.4.2014, emanato in attuazione dell’art. 34 del DM 44/2011,
il rispetto delle quali è imposto dalle norme primarie di cui all’art. 4 del menzionato decreto legge e
dall’art 16 della l. 179/2012.
Ciò detto, occorre domandarsi quali siano le conseguenze giuridiche del mancato rispetto
delle suddette regole tecniche (per un primo precedente specifico cfr. Trib. Roma 13.7.2014,
estensore dott. Renato Castaldo).
Stabilisce l’art 121 c.p.c.: “Gli atti del processo, per i quali la legge non richiede forme
determinate, possono essere compiuti nella forma più idonea al raggiungimento del loro scopo”.
Tale norma ha dunque codificato, come principio cardine del sistema processuale, il principio
di obbligatorietà delle forme legali: là dove il legislatore ha previsto il rispetto di una determinata
forma, il rispetto della forma imposta influisce sulla capacità dell’atto di produrre gli effetti giuridici:
solo, infatti, rispettando la forma prevista dall’ordinamento giuridico l’atto è valido ed efficace,
ovvero in grado di produrre i suoi effetti.
Pertanto il principio di libertà delle forme, pure previsto dalla norma sopra trascritta, ha portata
residuale, così che, in concreto, trova applicazione solo in casi o per modalità marginali.
Tuttavia l’accertamento del mancato rispetto di una forma legale, quale quella imposta nel
caso di specie (file .pdf ottenuto non mediante scansione di immagini ma mediante la
trasformazione di un documento testuale) non è di per sé sufficiente a far concludere che l’atto sia
nullo.
Stabilisce infatti l’art 156 c.p.c. che: “Non può essere pronunciata la nullità per inosservanza di
forme di alcun atto del processo, se la nullità non è comminata dalla legge.
Può tuttavia essere pronunciata quando l'atto manca dei requisiti formali indispensabili per il
raggiungimento dello scopo.
La nullità non può mai essere pronunciata, se l'atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato”.
Nel caso di specie, non essendo il requisito formale in esame espressamente previsto a pena
di nullità, occorre domandarsi se l’atto così redatto e depositato abbia i requisiti formali a
indispensabili per raggiungere lo scopo suo proprio.
A tale interrogativo, a parere dello scrivente, occorre dare risposta negativa.
Il rispetto delle regole tecniche (quali ad esempio quella sui formati ammessi dei files degli
allegati) ha lo scopo di rendere tali atti immediatamente intelligibili a tutti gli attori del processo
(senza imporre la necessità di ricercare programmi di conversione di formati diversi), così come la
norma che impone che l’atto del processo sia un .pdf ottenuto mediante la trasformazione di un
documento testuale, ha lo scopo di rendere l’atto navigabile ad ogni attore del processo e dunque
quello di consentire l’utilizzo degli elementi dell’atto, senza la necessità di ricorrere a programmi di
riconoscimento ottico dei caratteri, detti OCR (optical character recognition).
Ma se così è, la redazione dell’atto processuale in formato .pdf ottenuto mediante scansioni
per immagini non è idoneo a raggiungere lo scopo dell’atto e dunque deve essere dichiarato nullo
ai sensi dell’art 156 comma 2° c.p.c.
Nel caso di specie deve dunque essere dichiarata la nullità dell’atto introduttivo del giudizio.
Emessa tale pronuncia, occorre infine domandarsi se il procedimento debba chiudersi con
detta statuizione, oppure il giudice debba applicare l’art 162 c.p.c. secondo il quale: “il giudice che
pronuncia la nullità deve disporre, quando sia possibile, la rinnovazione degli atti ai quali la nullità
si estende.
Se la nullità degli atti del processo è imputabile al cancelliere, all’ufficiale giudiziario o al
difensore, il giudice, col provvedimento col quale la pronuncia, pone le spese della rinnovazione a
carico del responsabile e, su istanza di parte, con la sentenza che decide la causa può
condannare quest’ultimo al risarcimento dei danni causati dalla nullità, a norma dell’art 60 n. 2”.
Ritiene lo scrivente che nel caso di specie non possa trovare applicazione detta norma.
Infatti l’applicazione della stessa non ha senso in un procedimento, quale quello monitorio, nel
quale l’attività che il difensore dovrebbe compiere per rinnovare l’atto nullo è del tutto identica a
quella che lo stesso dovrebbe compiere riproponendo autonomo ricorso ex art. 633 e ss. c.p.c.
Infatti, poiché la nullità si estende, ex art. 159 c.p.c., agli atti successivi dipendenti, non appare
dubbio che anche il deposito dei documenti allegati al ricorso monitorio nullo sia nullo, con
conseguente necessità di rinnovare anche detta attività.
Pertanto, in ragione di ciò, la rinnovazione dell’atto nullo deve ritenersi giuridicamente
impossibile non avendovi il ricorrente alcun interesse, con la conseguenza che non può trovare
applicazione l’art 162 c.p.c.
In conclusione pertanto il giudice deve limitarsi a dichiarare la nullità del ricorso monitorio.
*°*°*
Trib. Milano, ord. 8 ottobre 2015 (est. Chiarentin)
Memoria ex art. 426 c.p.c. – Deposito per via telematica – Mancato inserimento nel fascicolo
informatico – Prova della tempestività del deposito – Produzione della ricevuta di avvenuta
consegna – Insufficiente – Deposito delle ricevute “Esito controlli automatici” ed “Esito controlli di
cancelleria” – Necessità – Rimessione in termini – Esclusione
Il Giudice, sciogliendo la riserva assunta all’udienza del 7 ottobre 2015, osserva quanto segue.
L'attrice in opposizione, nel corso dell’udienza di discussione ex art. 420 c.p.c. svoltasi in data
7 ottobre 2015, ha chiesto di poter depositare in formato cartaceo memoria ex art. 426 c.p.c. con
allegati, rilevando di avere provveduto a depositare la predetta memoria per via telematica in data
3 luglio 2015 – dunque nel rispetto del termine perentorio del 7 luglio 2015 fissato da questo
Giudice con propria ordinanza del 13 maggio 2015 – memoria che, per causa ignota all’attrice, non
risultava rinvenibile nel fascicolo telematico.
A dimostrazione della tempestività del deposito telematico produceva la ricevuta di avvenuta
consegna proveniente dal gestore di posta elettronica certificata del Ministero della Giustizia.
Parte opposta ha eccepito la tardività del deposito cartaceo della memoria e dei relativi
documenti allegati.
Ciò premesso, si osserva che l’attrice opponente, a dimostrazione della tempestività del
deposito telematico, ha prodotto la ricevuta di avvenuta consegna dal gestore di posta elettronica
certificata del Ministero della Giustizia, giusta il disposto del comma 7 dell’art. 16 bis del D.L.
179/2012 che espressamente prevede che “il deposito di cui ai commi da 1 a 4 (cioè il deposito per
via telematica degli atti e dei documenti) si ha per avvenuto nel momento in cui viene generata la
ricevuta di avvenuta consegna dal gestore di posta elettronica certificata del Ministero della
Giustizia”.
Tuttavia, l’attrice ha omesso di depositare le ulteriori due ricevute previste dal comma 7
dell’art. 13 del D.M. 44/2011, ovvero quelle che il gestore dei servizi telematici restituisce al
mittente e nelle quali viene dato atto dell'esito dei controlli effettuati dal dominio giustizia, nonché
dagli operatori della cancelleria o della segreteria.
Può verificarsi, infatti, che il file trasmesso in via telematica non venga accettato dalla
cancelleria perché non firmato, o perché, ad esempio, affetto da errore verificatosi nella
compilazione del file DatiAtto in formato XML che deve corredare l’atto da depositare e che deve
contenere “le informazioni strutturate nonché tutte le informazioni della nota di iscrizione a ruolo”
(art. 12 delle Specifiche tecniche emanate dal Ministero della Giustizia con decreto 16.4.2014), ivi
compresi dunque numero di ruolo generale e parti.
Nella fattispecie in esame, non avendo la difesa dell’attrice prodotto queste due ricevute, non
è dato conoscere se si sia trattato di un errore del sistema oppure di un errore attribuibile all’attrice
nella compilazione dell’atto per avere, ad esempio, depositato la memoria per via telematica con
un numero di R.G. diverso da quello corretto.
Il deposito di un atto processuale in un fascicolo non pertinente è affetto da nullità perché
mancante dei requisiti indispensabili al raggiungimento dello scopo (art. 156 cpv. c.p.c.). Il deposito
in cancelleria ha, infatti, la funzione di comunicare la memoria alla controparte (art. 170 co. 4
c.p.c.), oltre che al giudice. Questa funzione viene del tutto a mancare se l’atto non può essere
reso accessibile nel pertinente fascicolo telematico perché indirizzato altrove. Le stesse
considerazione valgono nel caso di atto non firmato.
Funzione del citato art. 16-bis co. 7 introdotto dalla legge 17.12.2012 n. 221 è quella di
esonerare il depositante dal rischio di tardività del deposito in ragione di ritardi di lavorazione a lui
non imputabili – ci si riferisce proprio ai controlli automatici effettuati dal dominio giustizia e,
soprattutto, a quelli manuali degli operatori di cancelleria che possono avvenire a distanza di giorni
– ma non dal rischio di nullità del deposito per carenza dei requisiti indispensabili.
Ciò premesso, ed interpretando la richiesta di produzione documentale svolta all’udienza del 7
ottobre 2015 dalla difesa dell’opponente come una istanza di rimessione in termini ex art. 153
c.p.c., ritiene il Tribunale che la parte possa accedere a una rimessione in termini qualora dimostri
di essere incorsa in decadenze per causa a lei non imputabile.
Nella fattispecie in esame, non avendo parte opponente prodotto le ulteriori due ricevute
previste dal comma 7 dell’art. 13 del D.M. 44/2011, non ha assolto all’onere di dimostrare che il
deposito in via telematica non si sia perfezionato per causa a lei non imputabile.
A ciò si aggiunga che parte opponente è venuta a conoscenza della circostanza relativa
all’assenza della propria memoria nel fascicolo telematico quantomeno a far data dal 18 settembre
2015, data in cui parte opposta ha depositato in via telematica la propria memoria integrativa nella
quale dava atto che “gli attori non hanno depositato telematicamente la memoria ex art. 426 c.p.c.,
né tantomeno alcun nuovo documento”.
Sarebbe stato, dunque, onere dell’attrice opponente, in omaggio al generale dovere di
diligenza e di lealtà processuale, attivarsi immediatamente per chiedere la rimessione in termini,
anziché attendere la data dell’udienza del 7 ottobre 2015, condotta quest’ultima che si ritiene non
solo lesiva del principio del contraddittorio, ma anche caratterizzata da un marcato fine dilatorio.
Dalle argomentazioni che precedono, segue il rigetto della richiesta di produzione avanzata
dalla difesa dell’opponente.
*°*°*
I termini
Trib. Milano, sez. lav., sent. 31 ottobre 2014, n. 2824 (est. Colosimo)
Costituzione in giudizio per via telematica - Termini processuali - Scarto temporale tra
deposito telematico e registrazione nello storico del fascicolo - Irrilevanza - Ricevuta di avvenuta
consegna - Rilevanza
Computo dei termini (art. 155, c. 4 e 5, c.p.c.) - Computo dei termini a ritroso - Deposito per
via telematica - Applicabilità
MOTIVI DELLA DECISIONE
Sull’eccezione di tardività sollevata dal ricorrente con riferimento alla costituzione in giudizio
della convenuta, si osserva quanto segue.
All’udienza del 24 luglio 2014, parte attrice ha insistito sulla tardività della costituzione di
controparte, avvenuta in via telematica, in quanto dalla stampa del report della
piattaforma Polisweb risulta che il deposito della memoria è intervenuto il 16/9/2014
(rectius 16/6/2014, ndr) alle ore 9:06 (cfr. stampata prodotta in udienza).
Parte convenuta ha insistito sulla regolarità e tempestività della propria costituzione
producendo copia della “ricevuta breve di avvenuta consegna” emessa dal sistema, dalla quale
emerge che l’atto di costituzione è stato consegnato nella casella di destinazione “il giorno
15/06/2014 alle ore 18:29:55 (+0200)” (cfr. e-mail prodotta in udienza).
Lo scarto temporale tra “deposito telematico” e registrazione dello stesso nello “storico” del
fascicolo d’ufficio telematico trova la sua ragion d’essere nel tempo di lavorazione del deposito
medesimo da parte della Cancelleria.
L’udienza di cui all’art. 420 c.p.c. era stata fissata per il giorno 25 giugno 2014.
Ritenuta l’ammissibilità della costituzione in via telematica del convenuto per le ragioni
evidenziate nell’ordinanza del Tribunale di Milano, Sezione IV Civile, 7 ottobre 2014 (le cui
motivazioni sono integralmente condivise e debbono ritenersi qui richiamate, ai sensi e per gli
effetti di cui all’art. 118 disp. att. c.p.c.), deve escludersi – a pena di vanificare la funzione stessa
del Processo Civile Telematico e di contraddire la ratio posta a fondamento della riforma in esame
– che i tempi e le modalità della costituzione telematica debbano essere vincolati dai tempi e le
modalità della costituzione mediante deposito cartaceo degli atti e, più nello specifico, dalle fasce
orarie che caratterizzano questi ultimi.
Con la costituzione telematica il difensore sottoscrive la memoria con firma digitale ed effettua
il deposito utilizzando le regole tecniche e le specifiche previste dalla normativa regolamentare del
Processo Civile Telematico.
L’atto di deposito e costituzione in via telematica è il corrispettivo dell’atto di deposito e
costituzione cartacea: nel momento esatto in cui la memoria di costituzione viene consegnata alla
cartella di destinazione, questa è disposizione della Cancelleria che provvede a certificarne il
deposito, in uno con i documenti alla stessa allegati, e li mette a disposizione del Giudice e delle
altre Parti processuali.
L’eventuale scarto temporale tra il deposito in via telematica, la lavorazione della “busta” da
parte della Cancelleria e la messa a disposizione di memorie e documenti è del tutto ininfluente ai
fini della valutazione circa la tempestività della costituzione, poiché a tal fine non può che risultare
rilevante il solo momento in cui è materialmente intervenuto il deposito, ossia la consegna della
busta contenente costituzione e documenti.
Quanto sin qui osservato è sufficiente per concludere per l’infondatezza dell’eccezione
sollevata da parte ricorrente; in ordine alla costituzione in esame, tuttavia, altri rilievi risultano
necessari.
Parte convenuta si è costituita il 15/6/2014, ossia nella giornata di domenica.
L’art. 51 D.L. 90/2014 ha stabilito: “all’articolo 16-bis del decreto-legge 18 ottobre 2012, n.
179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, al comma 7 sono
apportate le seguenti modificazioni: a) le parole: “di cui ai commi da 1 a 4” sono sostituite dalle
seguenti: “con modalità telematiche”; b) sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: «Il deposito è
tempestivamente eseguito quando la ricevuta di avvenuta consegna è generata entro la fine del
giorno di scadenza e si applicano le disposizioni di cui all’articolo 155, quarto e quinto comma, del
codice di procedura civile. Quando il messaggio di posta elettronica certificata eccede la
dimensione massima stabilita nelle specifiche tecniche del responsabile per i sistemi informativi
automatizzati del ministero della giustizia, il deposito degli atti o dei documenti può essere eseguito
mediante gli invii di più messaggi di posta elettronica certificata. Il deposito è tempestivo quando è
eseguito entro la fine del giorno di scadenza»”.
Quindi, l’art. 16bis, co. 7, D.L. 179/2012, convertito in Legge 221/2012, oggi dispone: “il
deposito con modalità telematiche si ha per avvenuto al momento in cui viene generata la ricevuta
di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del ministero della
giustizia. Il deposito è tempestivamente eseguito quando la ricevuta di avvenuta consegna è
generata entro la fine del giorno di scadenza e si applicano le disposizioni di cui all’ articolo 155 ,
quarto e quinto comma, del codice di procedura civile. Quando il messaggio di posta elettronica
certificata eccede la dimensione massima stabilita nelle specifiche tecniche del responsabile per i
sistemi informativi automatizzati del ministero della giustizia, il deposito degli atti o dei documenti
può essere eseguito mediante gli invii di più messaggi di posta elettronica certificata. Il deposito è
tempestivo quando è eseguito entro la fine del giorno di scadenza”.
Dunque, al deposito degli atti con modalità telematiche si applicano le disposizioni di cui all’art.
155, co. 4 e 5, c.p.c.
Recentemente, la Suprema Corte di Cassazione ha affermato: “la proroga del termine, che
scada in giorno festivo o di sabato, al primo giorno seguente non festivo, prevista dall’art. 155
commi 4 e 5 c.p.c., si applica non solo con riguardo ai termini “a decorrenza successiva”, ma
anche a quelli che si computano “a ritroso”, con la particolarità che, rispetto al termine a scadenza
successiva, la proroga in questione opera, in tal caso, in modo speculare (ovvero a ritroso, nel
senso che l’atto deve essere compiuto in anticipo, nel primo giorno antecedente non festivo,
rispetto alla scadenza naturale), in ragione della relativa modalità di calcolo. (Nella fattispecie, la
Suprema corte ha rilevato la tardività di una memoria difensiva che, ai sensi dell’art. 378 c.p.c.,
doveva essere depositata in cancelleria almeno cinque giorni prima dell’udienza)” (Cass. Civ., Sez.
III, 30 giugno 2014, n. 14767).
La Corte, in particolare, ha osservato: “orbene, nel condividersi e ribadirsi siffatta ratio, va al
riguardo sottolineato come debba invero più correttamente affermarsi che le norme di cui all’art.
155 c.p.c., commi 4 e 5 trovano in effetti applicazione anche relativamente al termine come nella
specie a ritroso, con la particolarità che rispetto al termine a scadenza successiva la proroga in
questione necessariamente opera in tal caso in modo speculare, in ragione della relativa modalità
di calcolo. A tale stregua, nei termini a ritroso lo slittamento contemplato all’art. 155 c.p.c., commi 4
e 5 va invero inteso come necessariamente riferito al giorno cronologicamente precedente non
festivo rispetto al giorno festivo o al sabato in cui cada il 5 giorno, costituente il dies ad quem,
escluso dal computo -come detto- il dies a quo costituito dal giorno dell’udienza. Orbene, con
riferimento all’udienza pubblica del 28/2 il termine a ritroso ex art. 378 c.p.c. è nel caso scaduto il
precedente venerdì 21/2. Escluso il dies a quo (28/2), il 5 giorno (dies ad quem) cadeva di
domenica (23/2), con proroga pertanto ex art. 155 c.p.c., comma 4, al sabato 22/2, nonché ex art.
155 c.p.c., comma 5, (ai sensi della L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 3, applicantesi a tutti i
procedimenti, anche se instaurati anteriormente al 1/3/2006) al suindicato venerdì 21/2. La
memoria ex art. 378 c.p.c. dal ricorrente nella specie depositata in Cancelleria il 24/2 è pertanto
tardiva, in quanto inammissibilmente depositata oltre il termine come sopra calcolato, con
abbreviazione pertanto dell’intervallo normativamente stabilito e costituente il lasso di tempo
minimo garantito -oltre che al giudice- alla controparte per esaminare tale atto, con conseguente
violazione del relativo diritto di difesa ex art. 24 Cost. (cfr. Cass., 4/1/2011, n. 182)” (parte motiva).
Nel caso di specie, escluso il dies a quo (25/6/2014), il decimo giorno (dies ad quem) cadeva
di domenica (15/6/2014), con proroga pertanto ex art. 155 c.p.c., co. 4, a sabato 14/6/2014,
nonché ex art. 155 c.p.c., co. 5, a venerdì 13/6/2014.
La parte convenuta, dunque, si è costituita in giudizio il 15/6/2014, ma avrebbe dovuto
provvedervi il 13/6/2014.
La tardiva costituzione del convenuto ne determina, a prescindere dalla relativa eccezione
della controparte, e nonostante l’erroneità dei profili di contestazione della tardività da quest’ultima
rilevati, la decadenza dalle eventuali domande riconvenzionali, dalle eccezioni in senso proprio di
merito e processuali, e dalle deduzioni probatorie.
Per le ragioni sopra evidenziate, la costituzione di AC S.A.S. deve ritenersi tardiva, con ogni
conseguenza in punto di decadenze e preclusioni.
La costituzione tardiva non inficia, in ogni caso, la contestazione dei fatti affermati dalla parte
ricorrente e le difese in ordine alle questioni sulle quali il giudice deve provvedere d’ufficio, né
impedisce la valutazione del contenuto complessivo delle deduzioni e argomentazioni opposte.
Omissis
*°*°*
Errori e rimessione in termini
Trib. Milano, decr. 14 ottobre 2015 (est. Gori)
Ricorso per riassunzione (art. 303 c.p.c.) – Deposito per via telematica – Rifiuto (Documento
XML non valido) – Caso fortuito – Istanza di rimessione in termini – Ammissibile
Il Giudice dott. Pierpaolo Gori,
visti gli atti della causa n. r.g. nn/aaaa,
letta l’istanza del 16.7.2015 volta ad ottenere l’autorizzazione al deposito cartaceo del ricorso
in riassunzione ex art.303 cod. proc. civ., in deroga all’art.16 bis del d.l. n.179/2012, istanza
avanzata a tre mesi esatti dalla dichiarazione di interruzione del processo avvenuta all’udienza del
16.4.2015;
osservato che, a seguito del decreto del Tribunale di integrazione documentale entro 10
giorni comunicato dalla Cancelleria il 21.7.2015, in data 27.7.2015 il ricorrente ha depositato
integrazione documentale in merito alla causa non imputabile ai fini e per gli effetti dell’art.153 cod.
proc. civ., integrazione trasmessa a questo giudice dalla Cancelleria in data odierna;
osservato che con la documentazione integrativa è stata prodotta copia non solo della
ricevuta di accettazione-deposito telematico del ricorso in riassunzione (il 15 luglio h.17,47), ma
anche della consegna-deposito telematico dello stesso (il 15 luglio h.18,36);
ritenuto in primo luogo che trova applicazione analogica l’insegnamento costantemente
affermato dalla giurisprudenza a seguito della sentenza della Corte Costituzionale 26 novembre
2002 n.477, secondo cui la tempestività dell’adempimento va verificata avendo riguardo per il
momento in cui il notificante è privato del controllo sulla conclusione del processo notificatorio;
osservato in secondo luogo che il d.l. n.179/2012, come novellato dal d.l. n.90/2014 precisa
come il momento in cui si perfeziona il deposito degli atti telematici è quello riportato nella ricevuta
di avvenuta consegna-deposito;
ritenuto pertanto che il deposito telematico dell’atto è stato effettuato dal ricorrente
tempestivamente il 15.7.2015;
osservato inoltre che, ai fini della valutazione della causa non imputabile di cui al combinato
disposto degli artt.153 1° e 2° comma cod. proc. civ., il successivo rifiuto degli atti è pervenuto al
ricorrente il 20.7.2015 con la causale “Documento XML non valido”;
osservato in primo luogo che il ricorrente ha immediatamente depositato istanza di
rimessione in termini, prima della scadenza del termine perentorio di riassunzione, e ben prima di
ricevere prova dell’esito negativo del deposito telematico del ricorso, e ritenuto che con ciò ha
dimostrato diligenza anche nell’incertezza del raggiungimento dell’effetto da parte dell’atto;
osservato in secondo luogo che l’origine del vizio è indubbiamente dovuta ad una
imperfezione nell’inserimento dei dati contenuti nell’atto da parte del ricorrente, ma ritenuto che,
non essendovi elementi da cui desumere l’applicabilità dell’art.164 cod. proc. civ., la fattispecie
possa essere ricondotta al caso fortuito, ossia ad un evento assolutamente non prevedibile, tale
essendo un’imperfezione di compilazione che, se contenuta in un atto cartaceo non lo priverebbe
certo del raggiungimento degli effetti, con ogni probabilità passando inosservata all’uomo e colta
solo dalla macchina,
letti gli artt. 16 bis d.l. n.179/2012, 153 1° e 2° comma, 294 3° e 4° comma cod. proc. civ.,
p.t.m.
accoglie l’istanza di remissione in termini
Omissis
Il numero di ruolo
Trib. Torino, ord. 11 giugno 2015 (est. Astuni)
Atto in corso di causa – Memoria ex. Art. 183, c. 6, n. 2 – Errata indicazione del numero di
ruolo nel file DatiAtto.xml – Rifiuto da parte della cancelleria – Nuovo deposito dopo la scadenza
del termine – Tardivo – Rimessione in termini – Esclusione
Il giudice, sciogliendo la riserva che precede, osserva quanto segue.
1. L'attrice in opposizione ha chiesto di essere rimessa in termini, per aver depositato la
memoria n. 2 per via telematica con un numero di R.G. (**366/aa) diverso da quello corretto
(**336/aa) e corrispondente a un fascicolo di convalida di sfratto (VIII sezione civile). Il deposito è
stato fatto per via telematica in data 30.1.2015 (venerdì), rifiutato dalla cancelleria della VIII
sezione in data 2.2.2015 (lunedì) e nuovamente eseguito, questa volta con corretto indirizzamento
lo stesso giorno, ma intempestivamente, visto che il termine per il deposito delle memorie n. 2
scadeva in data 30.1.2015.
2. Pare certo che l’errore si sia verificato nella compilazione del file DatiAtto in formato XML
che deve corredare l’atto da depositare e contenere “le informazioni strutturate nonché tutte le
informazioni della nota di iscrizione a ruolo” (art. 12 delle Specifiche tecniche emanate dal
Ministero della Giustizia con decreto 16.4.2014), ivi compresi dunque numero di ruolo generale e
parti.
3. Il deposito di un atto processuale in un fascicolo non pertinente è affetto da nullità perché
mancante dei requisiti indispensabili al raggiungimento dello scopo (art. 156 cpv. c.p.c.). Il deposito
in cancelleria ha infatti la funzione di comunicare la memoria alla controparte (art. 170 co. 4 c.p.c.),
oltre che al giudice. Questa funzione viene del tutto a mancare se l’atto non può essere reso
accessibile nel pertinente fascicolo telematico perché indirizzato altrove.
4. Alla nullità del tentato deposito nel fascicolo n. **366/aa e alla intempestività del successivo
deposito nel corretto fascicolo segue la tardività della memoria n. 2 dell’attrice. Non offre argomenti
in senso contrario, nel senso cioè della tempestività, l’art. 16-bis co. 7 introdotto dalla legge
17.12.2012 n. 221 (poi modificato da art. 51 co. 2 del d.l. 24.6.2014 n. 90) secondo cui “il deposito
con modalità telematiche si ha per avvenuto al momento in cui viene generata la ricevuta di
avvenuta consegna [RdAC] da parte del gestore di posta elettronica certificata del ministero della
giustizia. Il deposito è tempestivamente eseguito quando la ricevuta di avvenuta consegna è
generata entro la fine del giorno di scadenza”, ossia in data 30.1.2015.
Funzione di questa norma è, all’evidenza, quella di esonerare il depositante dal rischio di
tardività del deposito in ragione di ritardi di lavorazione a lui non imputabili – ci si riferisce ai
controlli automatici effettuati dal dominio giustizia e, soprattutto, a quelli manuali degli operatori di
cancelleria che possono avvenire a distanza di giorni – ma non dal rischio di nullità del deposito
per carenza dei requisiti indispensabili.
Se, dunque, la RdAC è generata entro il giorno di scadenza del deposito, il termine
decadenziale è rispettato e non rileva che la cancelleria accetti il deposito fuori termine. Ma se il
deposito è nullo (vedi sopra) non vale a far salvo il rispetto del termine la circostanza che la RdAC
sia stata generata entro la fine del giorno di scadenza.
5. Questione diversa è se, ammessa la nullità del primo deposito (rifiutato) e l’intempestività
del secondo, quest’ultimo possa essere fatto salvo per il tramite di una remissione in termini ex art.
153 c.p.c.. Ritiene lo scrivente che la parte possa accedere a una remissione in termini al
verificarsi di almeno una tra queste due condizioni: a) non imputabilità della causa di rifiuto del
deposito; b) grave ritardo del cancelliere nell’accettazione/rifiuto dell’atto.
La prima non esige spiegazioni; se non è imputabile la causa di rifiuto (ad es. dipende da
anomalie di funzionamento del sistema), è evidente il diritto alla remissione in termini. Questa
condizione non ricorre nel caso di specie, poiché dichiaratamente l’errore s’è verificato nella sfera
del depositante. La condizione sub “b” concede il beneficio della remissione, quando sia mancato il
termine per rifare (validamente) il deposito a causa di un grave ritardo dell’ufficio nell’effettuare i
controlli manuali e rifiutare l’atto. Ciò sul plausibile assunto che l’errore materiale, non rilevato in
sede di compilazione, possa sfuggire anche a un successivo controllo e che il depositante si renda
conto dell’errore soltanto con la comunicazione del rifiuto del cancelliere.
Anche questa condizione non opera nel caso di specie, poiché l’atto è stato depositato il
giorno stesso della scadenza del termine (venerdì 30.1) e la cancelleria ha rifiutato l’atto nel giorno
lavorativo immediatamente successivo (lunedì 2.2).
6. L’attrice contesta al convenuto di aver lui pure sbagliato l’indicazione del numero di ruolo,
questa volta sul frontespizio della memoria n. 2 (anch’esso reca l’indicazione n. **366/aa). La
memoria risulta tuttavia tempestivamente depositata, accettata dalla cancelleria e il file DatiAtto,
ispezionato tramite consolle, reca la corretta indicazione del numero di ruolo. L’errore materiale
risulta quindi innocuo.
Trib. Catania, ord. 28 gennaio 2015 (est. Fichera)
Atti in corso di causa – Memoria ex art. 426 c.p.c. – Deposito per via telematica – Errata
indicazione del registro/numero di ruolo – Rimessione in termini
Il G.I., dott. A. Fichera, esaminati gli atti della causa n. nn/aaaa; sciogliendo la riserva che
precede;
ritenuto che il resistente ha domandato la remissione in termini al fine di depositate la memoria
ex art. 426 cpc e produrre alcuni documenti;
ritenuto che il ricorrente si è opposto alla richiesta;
ritenuto che il resistente ha depositato la memoria ed i documenti in questione avvalendosi del
deposito telematico e che per errore i documenti sono stati inviati/depositati alla sezione lavoro del
tribunale;
ritenuto che il ricorrente ha, tuttavia, ricevuto un messaggio di accettazione deposito della
memoria integrativa con la dizione “descrizione esito: numero di ruolo non valido: il mittente non ha
accesso al fascicolo. Accettazione avvenuta con successo”;
ritenuto che la comunicazione inviata dalla cancelleria è senz’altro idonea a generare un
legittimo affidamento sull’avvenuto deposito degli atti;
ritenuto che la cancelleria a fronte dell’errata accettazione dell’atto avrebbe dovuto
trasmetterlo alla sezione competente (evitando che la parte incorresse in preclusioni) ovvero
informare compiutamente la parte dell’errata ricezione (come peraltro suggerito dal cd.
“vademecum PCT-II edizione”, all’art. 13);
ritenuto che nessuna di tali condotte risulta posta in essere e che sussistono, dunque, almeno
a giudizio di questo decidente, i presupposti per la remissione in termini;
ritenuto che posta tale conclusione va riassegnato il termine per il deposito di memorie
integrative ad entrambe le parti;
p.q.m.
Rinvia all’udienza del *** ex art. 420 cpc, assegnando alle parti termine fino al *** per
l’eventuale integrazione degli atti mediante deposito di memorie e documenti.
*°*°*
Trib. Milano, verb. 19 maggio 2015 (est. Consolandi)
Atto di parte – Deposito per via telematica – Sottoscrizione del mero domiciliatario –
Insufficiente
Iscrizione del difensore nelle tabelle anagrafiche – Iscrizione del difensore nel registro e nel
fascicolo informatico – Onere del difensore – Mancata iscrizione – Scusabilità – Non sussiste
Omissis
I difensori di parte convenuta eccepiscono quanto alle memorie tutte di parte attrice che sono
firmate dall'avv. L, la quale è mera domiciliataria e non difensore titolare.
Parte attrice: rileva che iscritta nel fascicolo è la sola avv. L e che anche l'avv. GV non può
inviare in quanto munita di pec, ma non di firma digitale.
Il giudice rileva:
• il domiciliatario non è legittimato a redigere atti difensivi per il cliente, avendo la mera
funzione di recapito fisico, oltretutto obsoleta in tempi di processo telematico e di comunicazione
telematiche che devono raggiungere il difensore; residua una utilità per quei casi in cui la notifica o
comunicazione telematica non riesca a funzionare;
• la eccezione sulla carenza di firma del difensore titolare, avvocato LF di Lecce, è dunque
fondata;
• occorre rilevare peraltro che la cancelleria non ha iscritto il titolare della difesa, del foro di
Lecce, nel registro informatico, per cui costui non avrebbe potuto depositare atti a sua firma i quali,
all'atto del controllo, sarebbero stati probabilmente rigettati automaticamente dal sistema che
avrebbe rilevato la presenza di una firma di difensore non legittimato nel fascicolo;
• occorre ancora rilevare che questa inadempienza trova motivazioni fatto che l'avvocato di
fuori distretto non è normalmente inserito in certe tabelle anagrafiche dei registri di cancelleria non
previste per legge, ma che comunque per prassi costituiscono un adempimento necessario
addossato dagli uffici ai difensori;
• la questione sarebbe dunque se questi adempimenti omessi dalla cancelleria, iscrizione del
titolare nelle tabelle anagrafiche e quindi l'iscrizione nel registro nel fascicolo dell'avv. LF, siano
scusabili e si possono generare una rimessione in termini;
• sotto questo profilo non appare incolpevole l'atteggiamento del difensore che non controlli
la correttezza delle iscrizioni da parte della cancelleria nel registro informatico, attesa la facile
consultabilità di questo e l'onere professionale di collaborazione, ma la questione è in realtà
irrilevante perché non è stata richiesta la dimensione in termini;
Omissis
*°*°*
Trib. Milano, decr. 15 gennaio 2015 n. 534 (Pres. Bruno est. D'Acquino) - Trib. Milano,
decr. 7 febbraio 2015 (est. Lupo)
Atto in corso di causa - Deposito per via telematica - Copia di cortesia - Mancato deposito Condanna ex art. 96, comma 3 c.p.c.
Omissis
L'opposizione va, pertanto, rigettata.
2 - Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Va osservato come parte opponente abbia depositato la memoria conclusiva autorizzata solo
in forma telematica, senza la predisposizione delle copie "cortesia" di cui al Protocollo d'Intesa tra
il Tribunale di Milano e l'Ordine degli Avvocati di Milano del 26.06. 014, rendendo più gravoso per il
Collegio esaminarne le difese. Tale circostanza comporta l'applicazione dell'art. 96, comma 3,
c.p.c, come da dispositivo,
P.Q.M
Il Tribunale, definitivamente pronunciando sull'opposizione allo stato passivo promossa da ***
nei confronti di ***
Omissis
Condanna *** al pagamento in favore di FALLIMENTO *** ex art. 96, comma 3, c.p.c.
dell'importo ulteriore di euro 5.000,00.
***
Il giudice delegato del *** dott.ssa Irene Lupo, visto il decreto del tribunale n.534/2015 che ha
rigettato l'opposizione proposta da *** nei confronti del *** e ha condannato parte opponente al
pagamento delle spese legali per euro 12.000,00 oltre accessori nonché al pagamento a favore del
fallimento di €5.000,00 ai sensi dell'art, 96 III com. c.p,c. ;
rilevato che detta pronuncia ex art. 96 IlI com.cpc appare fondata su un principio opinabile
ritenendo obbligo dell'avvocato quello che potrebbe configurarsi come atto di cortesia; che dunque
è opportuno prevenire la proposizione di un ricorso per cassazione dall'esito incerto
APPROVA
L’avvenuta sottoposizione da parte del curatore in data 5-2-15 al comitato dei creditori della
rinuncia da parte del fallimento ad avvalersi del capo della sentenza che ha condannato
l'opponente al pagamento di euro 5.000,00 subordinatamente al pagamento integrale delle spese
liquidate in decreto entro 10 giorni dalla comunicazione pec da parte del curatore dei
provvedimenti autorizzativi.