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La pregiudizialità amministrativa. L’Adunanza Plenaria sembra mettere la parola fine al
secolare dibattito della pregiudizialità amministrativa.
Suele Zoppetti
15/04/2011
Sommario:
1. Introduzione - 2. La tesi amministrativa: la pregiudizialità - 3. La tesi dell’autonoma dell’azione di risarcimento - 4. La tesi
intermedia e l’art. 1227 c.c. - 5. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza n. 30254/2008). - 6. Pregiudizialità e codice
del processo amministrativo. - 7. L’Adunanza plenaria.
1. Introduzione
I rapporti tra azione di annullamento del provvedimento illegittimo e azione di risarcimento del danno sono ancora
oggi al centro di un intenso dibattito che ha visto coinvolte dottrina e giurisprudenza e sulle quali da ultimo si è
pronunciata l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato. Per lungo tempo, infatti, ci si è interrogati relativamente alla
necessità di impugnare tempestivamente l’atto amministrativo ritenuto lesivo ai fini dell’ammissibilità della domanda
di risarcimento del danno[1].
Tale questione assumeva notevole rilevanza dati i termini per la proposizione delle due azioni: decadenziale breve di
60 giorni per quella classica di annullamento; prescrizionale quinquennale per l’azione risarcitoria (come si vedrà
l’intervento del nuovo codice del processo amministrativo ha mutato i termini della questione).
Nei paragrafi che seguono si passeranno brevemente in rassegna le principali posizioni assunte, nel tempo, in
dottrina e giurisprudenza. Verrà successivamente analizzata la nuova disciplina del codice del processo
amministrativo in tema di azione di risarcimento e, infine, si focalizzerà l’attenzione sulla recentissima sentenza
dell’Adunanza Plenaria.
2. La tesi amministrativa: la pregiudizialità
Secondo la tesi tradizionale amministrativa, la domanda risarcitoria presupponeva sempre la previa caducazione del
provvedimento ritenuto lesivo. Conseguentemente, l’azione di annullamento del provvedimento ritenuto illegittimo
doveva necessariamente essere esperita entro il termine decadenziale breve dal momento che la mancata
impugnazione del provvedimento entro il termine di legge avrebbe comportato l’inoppugnabilità dello stesso e,
quindi, la preclusione della tutela risarcitoria. Infatti, non potendo far valere l’illegittimità dell’atto non impugnato
sarebbe venuto meno uno degli elementi costitutivi dell’illecito civile, l’antigiuridicità.
L’azione di risarcimento, secondo questa tesi, avrebbe potuto essere proposta unitamente all’azione di annullamento
o in via autonoma a condizione però che il provvedimento illegittimo fosse stato tempestivamente impugnato entro i
termini di legge.
Le ragioni fondamentali a sostengono dell’istituto della pregiudiziale facevano leva essenzialmente sulla regola
generale di certezza dei rapporti giuridici al quale era connessa (ed è ancora oggi) la previsione di un termine
decadenziale breve e l’assenza di un potere di disapplicazione in capo al giudice amministrativo[2].
Quanto a quest’ultimo aspetto, si riteneva che la necessaria pregiudizialità si fondasse sull’assenza di un potere di
[1]
R.GAROFOLI, Tutela risarcitoria e ricorso per annullamento: pregiudizialità interna o autonomia?, in CARINGELLA –GAROFOLI, Trattato di giustizia
amministrativa, Milano, 2006, I, 423 e ss; LOTTI, La querelle infinita : pregiudiziale si pregiudiziale no, Urb. App. 2007, n. 963; CAPONIGRO, La pregiudiziale
amministrativa, in www.giustiziamministrativa.com; CORRADINO, Sulla pregiudiale amministrativa, in www.giustizia-amministrativa.it.
[2]
In tal senso, Cass. civ. n. 4358/2003 secondo la quale se il provvedimento illegittimo non viene impugnato con successo nei termini decadenziali allora il
giudice ordinario non può rilevare la presenza di un danno ingiusto inteso come danno non iure perché la lesione portata dal provvedimento e non
contestata nei termini di legge fa venir meno l’antigiuridicità del comportamento dell’amministrazione.
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disapplicazione in capo al giudice amministrativo, abilitato a conoscere il provvedimento amministrativo solo in via
principale. In tal senso si era chiaramente espresso anche il Consiglio di Stato, sez VI, che, con sentenza del 18
giugno 2002, n. 3338 aveva precisato che “l'assenza di un potere di disapplicazione in capo al G.A., che può solo conoscere in via
principale atti amministrativi di natura non regolamentare e non anche disapplicarli, non costituisce argomento di carattere puramente
processuale, ma assume una valenza sostanziale, in quanto è strettamente collegato con il principio della certezza della situazioni
giuridiche di diritto pubblico, al cui presidio è posto il breve termine decadenziale di impugnazione dei provvedimenti amministrativi”[3].
Sotto altro aspetto, secondo i sostenitori di questa tesi, un ostacolo insuperabile ai fini dell'ammissibilità di un'azione
risarcitoria autonoma rispetto all'azione di annullamento dell'atto, fonte del danno era rappresentato dalla previsione
di un termine decadenziale previsto per l'impugnazione degli atti amministrativi. Se si fosse ammessa l’autonomia
delle due azioni, il rischio di elusione di detto termine sarebbe stato inaccettabilmente elevato.
Del resto, non si sarebbero ravvisate ragioni per cui il breve termine decadenziale per l'impugnazione degli atti
amministrativi avrebbe dovuto operare solo quando si fosse chiesto l'annullamento dell'atto, mentre non sarebbe
stato applicabile quando la stessa posizione soggettiva di interesse legittimo fosse stata tutelata in via risarcitoria in un
giudizio in cui la legittimità del provvedimento fonte di danno costituiva pur sempre oggetto di cognizione da parte
del giudice amministrativo.
Rispetto alle esigenze di certezza delle situazioni giuridiche di diritto pubblico, garantite dal breve termine di
impugnazione, risultava difficilmente compatibile una fattispecie in cui il privato dopo essere rimasto silente (nel
senso di non avere impugnato l'atto) dopo l'emanazione di un provvedimento amministrativo a lui sfavorevole agisse
in via giurisdizionale nell'imminenza della scadenza del termine prescrizionale di cinque anni, chiedendo il
risarcimento del danno.
In merito, osservava il Consiglio di Stato, “A chi obietta che si tratta della stessa situazione prevista dall'art. 2043 c.c. nei
rapporti interprivatistici, si può rispondere che, pur essendo unica la norma primaria di protezione per il risarcimento del danno sofferto da
un soggetto per effetto dell'attività altrui, la natura generale della disposizione di cui all'art. 2043 c.c. impone di ricercare all'esterno della
norma stessa la rilevanza giuridica della relazione tra soggetto e bene e di individuare sempre all'esterno gli interessi giuridicamente
rilevanti e quindi risarcibili, se lesi”[4].
I sostenitori di questa tesi non mancavano poi di porre in luce le irragionevoli conseguenze che sarebbero derivate
dall’applicazione della tesi dell'autonomia tra azione di annullamento e azione risarcitoria. Infatti, in presenza di un
atto amministrativo, non impugnato e ritenuto solo incidentalmente illegittimo dal giudice amministrativo chiamato a
decidere sull’azione di risarcimento del danno proposta in via autonoma, l'amministrazione avrebbe avuto davanti a
sé due alternative.
In primo luogo, avrebbe potuto rimuovere l'atto, ritenuto illegittimo dal giudice con evidente “aggiramento” dei
termini decadenziali, posti dal legislatore, (oltre che l'ulteriore inconveniente del mancato rispetto del contraddittorio
con controinteressati che, non rivestendo la qualifica di parti necessarie nel giudizio risarcitorio, potevano aver
beneficiato del provvedimento amministrativo, che in quel giudizio è stato ritenuto illegittimo).
Diversamente, l’amministrazione avrebbe potuto, stante l'inoppugnabilità del provvedimento non contestato nei
termini, mantenere fermo l'assetto degli interessi regolato dall'atto, pur in presenza di una condanna al risarcimento
dei danni che da quell'atto erano derivati. In tale seconda ipotesi non si poteva non notare un'evidente
contraddittorietà tra l'accertato obbligo di risarcimento e la permanente efficacia di un atto fonte di pretese
risarcitorie anche ulteriori (che, peraltro, in ipotesi di atti di diniego, potevano continuare a prodursi anche in futuro).
Nella sentenza citata, si osservava, infine, che “anche dal dato testuale dell'art. 35 del D. Lgs. n. 80/98, nel teso novellato dalla
legge n. 205/2000, possono essere tratti elementi a favore della tesi della permanenza della pregiudizialità.
Il testo dell'art. 7, comma 3°, della L. Tar, prevede che "Il tribunale amministrativo regionale, nell'ambito della sua giurisdizione,
[3]
[4]
Con. St. sez. VI, 18 giugno 2002, n. 3338
Con. St., sez, IV, 29.07.2003, n. 4358
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conosce anche di tutte le questioni relative all'eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli
altri diritti patrimoniali consequenziali”. Il comma 5° dell'art. 35 del D. Lgs. n. 80/98 stabilisce che "Sono abrogati l'articolo 13 della
legge 19 febbraio 1992, n. 142, e ogni altra disposizione che prevede la devoluzione al giudice ordinario delle controversie sul risarcimento
del danno conseguente all'annullamento di atti amministrativi". In entrambe le disposizioni il legislatore, pur non affrontando
direttamente la questione, ha qualificato le questioni risarcitorie collegate ad un provvedimento illegittimo, come questioni "consequenziali"
rispetto all'annullamento di quest'ultimo, riconoscendo implicitamente che il risarcimento presuppone non un semplice accertamento
incidentale dell'atto, ma il suo annullamento”.
Le considerazioni esposte sono state esposte in numerose occasioni sia dalla giurisprudenza amministrativa sia da
quella civile. Da ultimo la tesi della pregiudizialità era stata confermata dall’Adunanza Plenaria 22 ottobre 2007, n. 12
secondo cui la consequenzialità della tutela risarcitoria rispetto a quella di annullamento comportava che il
provvedimento amministrativo lesivo di un interesse sostanziale potesse essere aggredito in vai impugnatoria per la
sua demolizione e conseguenzialmente in via risarcitoria per i suoi effetti lesivi nel rispetto in ogni caso del vincolo
della c.d. pregiudiziale amministrativa, implicante il previo annullamento dell’atto amministrativo al fine
dell’ammissibilità della domanda risarcitoria del danno[5].
3. La tesi dell’autonoma dell’azione di risarcimento.
In netta contrapposizione all’orientamento tradizionale esposto, parte di dottrina e giurisprudenza sostenevano
l’assoluta autonomia dell’azione di annullamento rispetto a quella risarcitoria[6], sottoponendo a critica le
argomentazione esposte dalla tesi tradizionale.
Con riferimento al rischio di elusione del termine decadenziale, si osservava che il termine in questione era previsto
per garantire termini rapidi l’intangibilità del provvedimento amministrativo, intangibilità che non sarebbe stata
messa in discussione in sede di azione risarcitoria dove la verifica di legittimità del provvedimento fosse avvenuta in
via meramente incidentale.
Quanto, invece, al secondo degli argomenti esposti, si riteneva che la mancanza del potere di disapplicazione sarebbe
stata determinata dal fatto che l’ordinamento prevedeva un sistema di tutela più penetrante, per l’appunto
l’annullamento dell’atto amministrativo e, quindi, nei casi in cui l’annullamento non fosse stato previsto, non vi
sarebbe stata alcuna disposizione che vietasse al giudice amministrativo di conoscere incidentalmente tale atto.
A fondamento della teoria della c.d. autonomia, si evidenziava come la pretesa risarcitoria avrebbe dovuto essere
qualificata nei termini di diritto soggettivo e, in quanto tale, fatta valere tanto nei confronti dei privati quanto nei
confronti della pubblica amministrazione.
Non stupisce quindi che i dubbi sulla pregiudizialità si fossero palesati in maniera rilevante all’indomani della storica
sentenza della Corte di Cassazione 500/1999 con la quale le Sezioni Unite avevano sdoganato la richiesta di
risarcimento del danno per lesione dell’interesse legittimo. Quanto al rapporto tra le due azioni, La Corte precisava
che “E l'autonomia (…) risulta ancor più netta ove si consideri il diverso ambito dei giudizi, ed in particolare l'applicazione,da parte del
giudice ordinario, ai fini di cui all'art. 2043 c.c., di un criterio di mutazione della responsabilità non correlato alla mera illegittimità del
provvedimento, bensì ad una più complessa valutazione,estesa all'accertamento della colpa, dell'azione amministrativa denunciata come
fonte di danno ingiusto”.
Essendo pertanto previste, all’interno del nostro ordinamento tanto la tutela di annullamento quanto quella
risarcitoria, i sostenitori della tesi dell’autonomia ritenevano che non fosse necessario per il privato agire per chiedere
entrambe le forme di tutela previste. Infatti, riconosciuto che la lesione dell’interesse protetto dall’ordinamento
obbliga anche la pubblica amministrazione al risarcimento del danno, veniva meno il necessario nesso di dipendenza
della risarcibilità dal previo annullamento del provvedimento amministrativo con la conseguenza che non si povena
[5]
N. SPEZZATI, L’adunanza plenaria n. 12 del 22007: un ritorno al passato, in Diritto processuale amministravo 2008, 553-607; GALLO, L’adunanza plenaria
conferma la pregiudizialità amministrativa, in Urbanistica e appalti, 2008, 3, pagg. 339-350.
[6]
A tale tesi hanno aderito, fra le tante, Cass. Civ., S.U. 7 gennaio 2008, n. 35; Cass. Civ, sez. I, 17 ottobre 2007, n. 21850; Cons. St. sez. V, 31 maggio
2007, n. 2822.
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più una vera e propria questione di pregiudizialità.
5. La tesi intermedia e l’art. 1227 c.c.
Per completezza della trattazione, occorre far riferimento ad una terza impostazione che aveva affrontato la
questione da un nuovo e diverso punto di vista, spostando nettamente i termini ella questione.
In particolare, secondo i sostenitori di questa tesi, che si sono dimostrati particolarmente lungimiranti (vd. par.8), la
pregiudizialità avrebbe rappresentato un falso problema nel senso che la mancata impugnazione del provvedimento
lesivo avrebbe dovuto essere valutata quale comportamento negligente della parte, rilevante ai sensi dell’art. 1227,
comma 2, c.c. Tale condotta omissiva, pertanto, avrebbe avuto l’effetto di escludere o limitare il risarcimento del
danno ai sensi dell’art. 1227, comma 2, c.c. in quanto la tempestiva adozione delle azioni processuali previste
dall’ordinamento, fra le quali appunto l’azione di annullamento del provvedimento amministrativo, rappresentava un
vero e proprio onere del creditore il cui inadempimento poteva condurre a limitare e persino escludere il risarcimento
del danno[7].
6. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza n. 30254/2008)
A riprova della complessità del dibattito sulla questione, si illustra brevemente, altresì, l’intervento delle le Sezioni
Unite della Corte di Cassazione del 23 dicembre 2008, n. 30254, che consolidava l’orientamento favorevole alla
configurabilità di una azione autonoma di risarcimento del danno dinanzi al giudice amministrativo e precisava che
"Proposta al giudice amministrativo domanda risarcitoria autonoma, intesa alla condanna al risarcimento del danno prodotto
dall'esercizio illegittimo della funzione amministrativa, è viziata da violazione di norme sulla giurisdizione ed è soggetta a cassazione per
motivi attinenti alla giurisdizione la decisione del giudice amministrativo che nega la tutela risarcitoria degli interessi legittimi sul
presupposto che l'illegittimità dell'atto debba essere stata precedentemente richiesta e dichiarata in sede di annullamento"[8].
La Corte, esclusa l’accoglibilità della tesi tutta civilistica fondata sulla totale autonomia della tutela risarcitoria rispetto
a quella impugnatoria, in quanto disattendeva la svolta voluta dal legislatore di assicurare l’interesse legittimo una
tutela piena concentrata dinnanzi ad un unico giudice per il principio di effettività, prospettava una nuova
ricostruzione della questione, tale da tenere in considerazione l’evoluzione normativa che aveva coinvolto il tema
della c.d. pregiudiziale amministrativa.
Secondo la Corte, il legislatore non avrebbe inteso relegare la tutela risarcitoria al solo profilo di completamento di
quella demolitoria. L’evoluzione normativa dell’ordinamento, diversamente, avrebbe dimostrato come fosse ormai
riconosciuta autonoma dignità all’azione di risarcimento. Del resto, la teoria della pregiudizialità, ricorda la Corte,
affondava la sua origine in presupposti che l'attuale stadio di evoluzione della tutela giurisdizionale degli interessi
mostra non essere più riferibili all'intero spettro di questa.
Secondo la Corte, numerosi erano gli indici normativi testimoni della trasformazione del giudizio sulla domanda di
annullamento, da giudizio sul provvedimento in giudizio sul rapporto. Nella sentenza venivano citati in particolar
modo, l'impugnazione, con motivi aggiunti, dei provvedimenti adottati in pendenza del ricorso tra le stesse parti,
connessi all'oggetto del ricorso (Legge TAR, art. 21, comma 1, modificato dalla L. n. 205 del 2000, art. 1); il potere
del giudice di negare l'annullamento dell'atto impugnato per vizi di violazione di norme sul procedimento, quando
giudicasse palese, per la natura vincolata del provvedimento, che il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso
da quello in concreto adottato (L. n. 241 del 1990, art. 21 octies, comma 1, introdotto dalla L. 11 febbraio 2005, n.
15, art. 21 bis); il potere del giudice amministrativo di conoscere della fondatezza dell'istanza nei casi di silenzio (L. n.
241 del 1990, art. 2, comma 5, come modificato dalla L. 14 maggio 2005, n. 80, in sede di conversione del D.L. 14
marzo 2005, n. 35. 13.6.
La Corte concludeva quindi affermando che la parte, titolare d'una situazione di interesse legittimo che riteneva lesa
da un esercizio illegittimo della funzione amministrativa, avrebbe avuto diritto di scegliere tra fare ricorso alla tutela
[7]
C. VARRONE, Giurisdizione amministrativa e tutela risarcitoria, in CERULLI IRELLI, Verso il nuovo processo amministrativo, Milano, 200, pag.79; G VIRGA, Il
rasoio di Ockham e la teoria della pregiudiziale amministrativa, in www.lexitalia.it, 10 , 2008.
[8]
S FANTINI, La pregiudiziale amministrativa come “motivo inerente alla giurisdizione”, in Urb. App., 2009, pag. 541 e ss.
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risarcitoria anziché a quella demolitoria e che tra i presupposti di tale forma di tutela giurisdizionale davanti al giudice
amministrativo non fosse annoverabile il previo annullamento in sede in sede giurisdizionale o amministrativa del
provvedimento ritenuto lesivo.
7. Pregiudizialità e codice del processo amministrativo
Quanto sin qui detto è stato indispensabile per illustrare le svariate sfumature del dibattito sulla pregiudizialità
amministrativa, prima che l’entrata in vigore del nuovo codice del processo amministrativo rianimasse la questione.
Nell’ambito di questa lunga querelle, infatti, si è inserito il nuovo codice del processo amministrativo, approvato con
d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 entrato in vigore il 16/09/2010, il quale all’ art. 30 comma 3 ha previsto che “La
domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi è proposta entro il termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno
in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo. Nel determinare il
risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei
danni che si sarebbero potuti evitare usando l'ordinaria diligenza, anche attraverso l'esperimento degli strumenti di tutela previsti”[9].
Non accogliendo nessuna delle tesi sostenute da dottrina e giurisprudenza ma limitandosi a recepirne in parte i
suggerimenti, la norma citata è chiaramente il risultato di una scelta di compromesso.
Il primo compromesso sposato dal legislatore è evidente nella scelta del termine di decadenza di 120 giorni previsto
per l’azione di risarcimento con la quale non è stata accolta né la tesi civilistica della prescrizione quinquennale nè la
tesi amministrativa della decadenza breve di 60 giorni.
Peraltro, la previsione di un termine decadenziale di 120 giorni per proposizione dell’azione risarcitoria in via
autonoma e la possibilità per il giudice di rigettare nel merito la domanda qualora non sia stato impugnato l’atto
amministrativo illegittimo nel termine di 60 giorni facendo applicazione del principio di cui all’art 1227 del c.c che
esclude il risarcimento per danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza laddove, in quest’ultima
nozione rappresenta indubbiamente un’ulteriore formula compromissoria. Il richiamo utilizzato dal legislatore all’art.
1227 c.c., con la quale sembra quindi aver deciso di estendere ai rapporti privato pubblica amministrazione una
disposizione codicistica il 1227 c.c. finora ritenuta inapplicabile in detto contesto[10], ne è una chiara dimostrazione.
Peraltro, al comma cinque dell’ art.30 la soluzione compromissoria (annullamento- risarcimento) è ancora più
evidente. Viene infatti sancito che “nel caso in cui sia stata proposta azione di annullamento la domanda risarcitoria può essere
formulata nel corso del giudizio o, comunque, sino a centoventi giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza”, posticipando
di fatto il termine decadenziale per proporre l’azione risarcitoria, nel caso in cui sia stata previamente esperita l’azione
d’annullamento.
Inutile dire che la mancanza di una norma chiara e precisa ha riaperto il dibattito alimentato dalla prospettazione di
nuove tematiche.
Così, mentre secondo alcuni autori il nuovo codice avrebbe decretato la morte della pregiudiziale amministrativa, altri
hanno precisato che “la disciplina dell’azione risarcitoria posta dall’art. 30 del Codice risulti in linea con la legge delega che poneva
come criterio il rispetto degli orientamenti delle giurisdizioni superiori visto che la Corte di Cassazione, proprio con sentenza delle S.U. del
2008, si era attestata su una posizione certamente avanzata rispetto a quella accolta dal Codice e che, più in generale, si dubita che essa
sia conforme al principio costituzionale dell’effettività della tutela enfatizzato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 204 del 2004 e
posto come principio generale del processo amministrativo dall’art. 1 del Codice. Ma oggi l’art. 30 rappresenta la soluzione di diritto
positivo con la quale si deve fare i conti. In conclusione, sembra confermata nell’impostazione del Codice la preminenza dell’azione di
annullamento che non è scalfita, nell’operatività concreta, né dall’azione di nullità, né dall’azione risarcitoria pura”.
[9]
A. TRENTINI, Pregiudiziale amministrativa. Contrasto tra Corte di Cassazione e Consiglio di Stato. Soluzione intermedia adottata dal legislatore delegato, in
www.filodiritto.com
[10]
M. CLARICH, Azione di annullamento, www.giustizia-amministrativa.it
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8. L’Adunanze Plenaria
Successivamente all’adozione del codice del processo amministrativo, quindi, dottrina e giurisprudenza sono tornate
nuovamente a interrogarsi sulla questione ormai nota della pregiudiziale amministrativa.
Non stupisce quindi che la sezione VI del Consiglio di Stato abbia deciso di sottoporre al vaglio dell’Adunanza
Plenaria la questione relativa ai rapporti tra domanda di annullamento e domanda di risarcimento.
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, si è pronunciata con decisione del 21 febbraio-23 marzo 2011, n. 3,
chiarendo in modo definitivo il rapporto tra azione di annullamento del provvedimento amministrativo e azione di
risarcimento del danno secondo l’iter argomentativo che segue[11].
Il codice del processo amministrativo, in coerenza con il criterio di delega fissato dall’art. 44, comma 2, lettera b, n. 4,
della legge 18 giugno 2009, n. 69, ha superato la tradizionale limitazione della tutela dell’interesse legittimo al solo
modello impugnatorio, ammettendo l’esperibilità di azioni tese al conseguimento di pronunce dichiarative, costitutive
e di condanna idonee a soddisfare la pretesa della parte vittoriosa. Il giudizio amministrativo è quindi stato
trasformato, salvi i casi di attività discrezionali riservate alla pubblica amministrazione, da giudizio amministrativo
sull’atto a giudizio sul rapporto regolato dal medesimo atto, volto a scrutinare la fondatezza della pretesa sostanziale
azionata.
Con il codice del processo amministrativo le tesi della pregiudizialità e quella della totale autonomia dei due rimedi
non sono state accolte e, diversamente, si è approdati ad una soluzione intermedia che, pur non considerando
l’omessa impugnazione dell’atto quale vincolo all’esercizio dell’azione risarcitoria, valuta comunque detta condotta
quale fatto rilevante nel quadro del comportamento complessivo delle parti.
L’adunanza Plenaria afferma infatti che l'art. 30, comma 3, del codice del processo amministrativo, nel prevedere che
nel determinare il risarcimento, "il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle
parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche
attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti", pur non evocando in modo esplicito il disposto dell’art.
1227, comma 2, del codice civile, afferma che l'omessa attivazione degli strumenti di tutela previsti costituisce, nel
quadro del comportamento complessivo delle parti, dato valutabile, alla stregua del canone di buona fede e del
principio di solidarietà, ai fini dell’esclusione o della mitigazione del danno evitabile con l’ordinaria diligenza. Di qui
la rilevanza sostanziale, sul versante prettamente causale, dell’omessa o tardiva impugnazione come fatto che
preclude la risarcibilità di danni che sarebbero stati presumibilmente evitati in caso di rituale utilizzazione dello
strumento di tutela specifica predisposto dall’ordinamento a protezione delle posizioni di interesse legittimo onde
evitare la consolidazione di effetti dannosi.
L’ampliamento della tutela conferma la dimensione sostanziale dell’interesse legittimo. Secondo l’Adunanza Plenaria,
infatti, l’interesse legittimo non rileva come situazione meramente processuale, ossia quale titolo di legittimazione per
la proposizione del ricorso al giudice amministrativo, né si risolve in un mero interesse alla legittimità dell’azione
amministrativa in sé intesa, ma si rivela come posizione sostanziale che è inscindibilmente correlata ad un interesse
materiale del titolare ad un bene della vita, la cui lesione può concretizzare un pregiudizio. L'interesse legittimo va
inteso, pertanto, come posizione di vantaggio riservata ad un soggetto in relazione ad un bene della vita che è
interessato dall’esercizio del potere pubblicistico. Tale posizione di vantaggio assicura al soggetto medesimo
l’attribuzione di poteri idonei ad influire sul corretto esercizio del potere da parte dell’amministrazione.
Pertanto le diposizioni del codice del processo amministrativo si dimostrano coerenti con l’idea che la richiesta di
domanda risarcitoria sia proponibile anche in via autonoma e non quale semplice corollario di quella di
annullamento.
La mancata promozione dell’impugnazione del provvedimento, non pone quindi un problema di ammissibilità della
[11]
Con. St., Ad. Plen. 21 febbraio-23 marzo 2011, n. 3 in Guida al Diritto 9 aprile 2011, n. 15.
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domanda risarcitoria, ma è, nondimeno, idonea ad incidere sulla pretesa vantata, come espressamente si evince dal
dettato di cui all’art 30 del nuovo codice.
Del resto, rammenta l’Adunanza Plenaria, la regola della non risarcibilità dei danni evitabili con l’impugnazione del
provvedimento è ricognitiva di principi già evincibili alla stregua di una interpretazione evolutiva del capoverso
dell’articolo 1227 c.c. Tale regola è applicabile pertanto anche alle azioni risarcitorie proposte prima dell’entrata in
vigore del codice del processo amministrativo, essendo espressione, sul piano teleologico, del più generale principio
di correttezza nei rapporti bilaterali, mirando a prevenire comportamenti opportunistici che intendano trarre
occasione di lucro da situazioni che hanno leso in modo marginale gli interessi dei destinatari tanto da non averli
indotti ad attivarsi in modo adeguato onde prevenire o controllare l’evolversi degli eventi.
La scelta di non avvalersi della forma di tutela specifica previste dall’ordinamento che avrebbero plausibilmente
evitato, in tutto o in parte il danno, integra violazione dell’obbligo di cooperazione, che spezza il nesso causale e, per
l’effetto, impedisce il risarcimento del danno evitabile. Detta omissione rende configurabile un comportamento
complessivo di tipo opportunistico del privato, che per un verso non impugna il provvedimento amministrativo che
ritiene illegittimo e per altro verso propone successivamente domanda di risarcimento di un danno che la tempestiva
azione di annullamento avrebbe scongiurato. Tale condotta viola palesemente il canone della buona fede e il
principio di auto-responsabilità cristallizzato dall’art. 1227, comma 2, c.c., che implica la non risarcibilità del danno
evitabile .
In conclusione, con la decisione predetta, il supremo consesso della giustizia amministrativa ha ritenuto che, pur in
assenza della pregiudiziale amministrativa, la totale inerzia osservata dall’appellante nella coltivazione dei rimedi
giudiziali lungo il periodo di tempo nel quale l’atto ha spiegato i propri effetti costituisce un dato imprescindibile che
può ragionevolmente portare ad escludere il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno[12].
La sentenza dell’Adunanza plenaria affrontando la questione della pregiudiziale, alla luce delle nuove disposizioni
normative, sembra quindi aver definitivamente ricomposto il mosaico sensibilmente articolato della pregiudizialità
amministrativa alla luce delle nuova disposizioni del codice del processo amministrativo.
S. ZOPPETTI, La pregiudizialità amministrativa. L’Adunanza Plenaria sembra mettere la parola fine al secolare dibattito della
pregiudizialità amministrativa, 3 Businessjus 8 (2011)
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Si noti peraltro che, già prima della pronuncia dell’Ad. Plenaria, la giurisprudenza amministrativa si era già pronunciata in sensi analoghi. In particolare,
di notevole rilevanza è la sentenza del T.A.R. Lombardia Milano Sez. II, Sent., 21-03-2011, n. 759.
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