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GIURISPRUDENZA . FALLIMENTO
Imprenditore occulto
TRIBUNALE NAPOLI, Sez. VII, 8 gennaio 2007 (data di decisione)
Pres. Frallicciardi - Rel. Candia - M.S., M.S. ed M.F.
LA RIFORMA
Fallimento - Dichiarazione - Soggetti - Holding personale - Assoggettabilità - Condizioni
(Artt. 6, 7, 10 legge fallimentare; art. 2497 codice civile)
Nell’ipotesi di holding di tipo personale, cioè di persona fisica che sia a capo di più società di capitali in
veste di titolare di quote o partecipazioni azionarie e svolga professionalmente, attraverso una stabile
organizzazione, l’indirizzo, il controllo e il coordinamento delle società medesime (non limitandosi al
mero esercizio dei poteri inerenti alla qualità di socio), è configurabile un’autonoma impresa, come tale
assoggettabile a fallimento, qualora la suddetta attività, sia essa di sola gestione del gruppo (holding
pura), ovvero anche di natura ausiliaria o finanziaria (holding operativa), si esplichi in atti, anche negoziali, posti in essere in nome proprio e, dunque, fonte di responsabilità diretta del loro autore, presentando un’obiettiva attitudine a perseguire utili risultati economici, per il gruppo o le sue componenti,
causalmente ricollegabili all’attività medesima.
Il Tribunale (omissis).
Il diffuso contraddittorio svoltosi tra le parti e la complessità della vicenda suggerisce di articolare la riflessione che segue secondo uno sviluppo separato delle varie
questioni insorte, considerando noti i contenuti delle
difese svolte dalle parti.
Ciò, non senza aver prima chiarito che la normativa di
riferimento (almeno ai fini della pronuncia in oggetto,
come meglio si chiarirà in seguito) è costituita dalla legge fallimentare nella versione anteriore al decreto legislativo 5/06, vigente a partire dal 16 luglio 2006 e non
applicabile, a mente del chiaro disposto dell’art. 150 del
menzionato decreto, ai ricorsi di fallimento già pendenti
(come quello di cui si discute) a tale data.
In virtù del suddetto principio giova, dunque, precisare
che i presupposti, sia sostanziali che processuali, per la
dichiarazione di fallimento restano disciplinati dalla
normativa anteriormente vigente.
Ne consegue che ogni valutazione viene svolta in applicazione della disciplina anteriore alla citata riforma del
diritto fallimentare, tenuto, altresı̀, conto del compimento delle attività istruttorie in epoca precedente alla
data del 16 luglio 2006.
(omissis)
La società di fatto tra i fratelli M. - la Holding La rappresentazione svolta dal P.M. chiama il Collegio
a verificare - come già anticipato - la sussistenza della
società di fatto tra i fratelli M. avente i caratteri della
holding societaria.
Come è noto, la configurazione della holding ha ricevuto
nell’elaborazione giurisprudenziale pieno riconoscimento
a partire dalla pronuncia del giudice di legittimità del
1990 (Cass. 1439/90), che ha indicato i requisiti necessari idonei ad individuare il fenomeno di cui si discute.
La giurisprudenza della Suprema Corte ed anche quella
di merito, nonostante talune resistenze (dirette, in real-
tà, ad ampliare l’ambito di individuazione della fattispecie) si è (comunque) successivamente allineata a tale
orientamento (cfr. Cass. 12113/02; Cass. 3724/03, Trib.
Messina 15 febbraio 1996, in Il Fall., 1996, 792; App.
Catania 18 gennaio 1997, ivi, 1997, 625; Trib. Padova
2 novembre 2001, ivi, 2002, 1218; Trib. Genova 26 settembre 2005, ivi, 2006, 4).
Il Collegio non intende porre in discussione tale ordine
di idee.
Richiamando, allora, i contenuti di dette pronunce giova osservare, citando la lezione del giudice di legittimità
del 1990 (Cass. 1439/90), che può riscontrarsi la sussistenza di una holding societaria o individuale a capo di
un gruppo di società, che possono qualificarsi imprenditore commerciale se «con apposita organizzazione e continuità professionale, esercitano un’attività di direzione,
coordinamento e programmazione delle società commerciali controllate, idonea ad incrementare sul piano
economico i profitti (in tal caso l’impresa è comune a
più imprenditori, ossia le società che l’esercitano direttamente e la holding pura operativa che la esercita indirettamente); o anche, in alternativa, se esercitano una
funzione soltanto ausiliaria, di finanziamento o di tesoreria o di procacciamento di affari o di servizio resi alle
società commerciali controllate, purché tale attività sia
svolta in nome proprio ed economicamente remunerata» (cosı̀ la massima di Cass. 1439/90, in Giur. it., vol.
CXLII, 1990, part. I, sez. I, 713), che riporta passaggi
motivazionali della sentenza).
Nel medesimo senso la Suprema Corte si è espressa nel
2003, ribadendo che «è configurabile una holding di tipo personale, costituente impresa commerciale suscettibile di fallimento, per essere fonte di responsabilità diretta
dell’imprenditore, quando si sia in presenza di una persona fisica che agisca in nome proprio, (ma, come precisato, il discorso non muta quando la funzione imprendito-
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riale è svolta da più soggetti, dandosi luogo ad una società di fatto e dunque, nel concorso dei predetti requisiti,
ad un holding societaria, come chiarito da Cass. 1439/90)
per il perseguimento di un risultato economico ottenuto
attraverso l’attività svolta, professionalmente, con l’organizzazione e il coordinamento dei fattori produttivi, relativi al proprio gruppo di imprese» (cfr. Cass. 3724/03).
In tale direzione, dunque, la valutazione in commento
esige di riscontrare positivamente la sussistenza di tali
elementi:
1) la spendita del nome: l’agire in nome proprio;
2) l’organizzazione imprenditoriale autonoma rispetto alle singole società;
3) l’economicità aggiuntiva o produzione di un plus valore dovuto all’attività di direzione e controllo.
Sul piano metodologico si procede avendo cura prima
di indicare gli elementi di prova raccolti per poi verificare la loro attitudine a configurare la fattispecie esposta.
Il quadro probatorio: a) le fonti di prova documentali;
b) le altre fonti di prova.
a) Le fonti di prova documentali
Giova muovere dalle circostanze di fatto documentate e
da considerarsi pacifiche.
La dichiarazione di fallimento del 1988 della società
di fatto tra i fratelli M.
In data 9 giugno 1988 il Tribunale di Napoli ebbe a dichiarare il fallimento «della società di fatto tra M.S.,
M.S. e M.F., esercente impresa edile, nonché dei medesimi M.S. fu L. n. a M. di N. il ........., M.S. fu L. n. a
M. di N. il ........., M.F. n. a M. di N. il .........».
Tale fallimento, per espressa indicazione del P.M. (o
meglio del c.t.u. dr. Iorio), venne chiuso per estinzione
dei crediti in data 20 marzo del 1990.
Ebbene, la circostanza in oggetto consente di formulare
una prima osservazione.
La sussistenza di una società di fatto intercorrente tra i
fratelli Marano non costituisce una novità nella vicenda
giudiziaria che coinvolge i resistenti.
La predetta sentenza, invero, evidenzia che un positivo
riscontro di tale impresa collettiva è già stato eseguito, a
prescindere ovviamente dalle cause che hanno determinato la chiusura della relativa procedura.
Si tratta, allora, più specificamente, di verificare se tale
società abbia o meno continuato ad operare (o meglio
se non abbia mai smesso di operare) dopo la chiusura
del relativo fallimento, come ritiene il P.M., e se l’esercizio collettivo dell’impresa abbia o meno le caratteristiche di una holding societaria, come pure sostenuto nel
ricorso di fallimento.
Le partecipazioni societarie dei fratelli M.
I fratelli Marano rivestono o hanno rivestito (cfr. visura
Frate.Ma S.r.l.) la qualità di soci nelle seguenti società,
tutte dichiarate fallite:
1) Edilizia Melito S.r.l.;
2) Par.Ma S.r.l.
3) Edilizia Napoli Nord S.r.l.
4) Frate.Ma S.r.l.
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M.S. e M.F. risultano essere soci anche della società
Co.Mar S.r.l.
M.S. risulta ricoprire pure la carica di Direttore Tecnico
nella Costruzioni Edili AS S.n.c. di M.A., pure dichiarata fallita, giusta nomina del 3 ottobre 1987 a tempo
indeterminato.
I fratelli M. sono indicati dal P.M. come soci anche della società Im.Mar S.r.l. e gli stessi resistenti hanno dichiarato tale qualità (cfr. atto di citazione del 29 luglio
2005 e reclamo, ex art. 26 l.f., del 21 settembre 2005).
Le fideiussioni rilasciate dai fratelli M.
Le evidenze raccolte indicano che M.S., M.S. e M.F.
hanno rilasciato, con atti dai medesimi contestualmente
ed insieme posti in essere, le seguenti fideiussioni in favore di due delle suddette società:
1) fideiussione del 3 gennaio 1994 di £ 10 mld. stipulata con il Banco di Napoli a favore della Edilizia Melito
S.r.l.;
2) fideiussione del 29 aprile 1993 di £ 10 mld. stipulata
con il Banco di Napoli a favore della Edilizia Napoli
Nord S.r.l.
La movimentazione bancaria dei conti correnti dei fratelli M. - Le esposizioni dirette verso il ceto bancario Il giro di assegni
Il P.M. ha prodotto agli atti (cfr. allegati 12, 13 e 14, richiamati nella relazione del c.t.u. dr. Luigi Gargiulo) gli
estratti di tre conti correnti intestati ai fratelli M., tutti
contestualmente accesi (in data 18 aprile 1993) e contemporaneamente chiusi il 31 dicembre 1994 con giro
a sofferenza, sui quali è stata evidenziata dal c.t.u. il versamento di ingenti somme di denaro, pari a circa 192
miliardi di lire, come da dettaglio che segue.
(omissis)
Più in generale dalla relazione ispettiva condotta dalla
BNL emerge che in data 4 marzo 1994 l’analista dell’istituto bancario, nel riassumere le esposizioni delle società Edilizia Melito, Costruzioni Edili M.L., Costruzioni
Edili AS Edilizia Napoli Nord, Frate.ma Co.mar, nonché quelle, tra l’altro, dei fratelli M., evidenziava, al 20
aprile 1994, tale situazione:
Debitore
Esposizione fido
Rischio corriere
M.S.
Lire 2.197 mld
13.522
M.S.
Lire 3.089
17.762
M.F.
Lire 3.058
7.015
In tale relazione l’analista ha segnato che «i rapporti sopraindicati tutti riconducibili direttamente o indirettamente ai F.lli M.S., S. e F.» si sono distinti «per le gravi
e reiterare irregolarità che li caratterizzano sin da loro
avvio», costitute soprattutto dal «...quotidiano e vorticoso giro di assegni a traenza diretta intergruppo finalizzato unicamente ad allargare la base creditizia del gruppo stesso», configurando «...chiaramente un unico centro gestionale per le tre società» (Edilizia Melito S.r.l.,
Costruzioni Edili M.L. e Costruzioni Edili AS).
Del giro di assegni intergruppo si discorre anche nella
nota del 27 maggio 94 del servizio controllo tecnico
operativo della BNL, alla quale è allegato il prospetto
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riassuntivo dell’incrocio dei titoli dal 18 gennaio 1993
all’11 febbraio 1994 (cfr. allegati 9 e 10).
Peraltro, tale «vorticoso giro di assegni», la cui evidenza
non lascia margini di dubbi, è stato riconosciuto dagli
stessi fratelli M., in termini ancora più significativi di
quanto sopra illustrato.
I resistenti, infatti, nell’atto di citazione notificato in data 29 luglio 2005 alla Banca Popolare di Napoli, alla
Banca Popolare di Ancona ed al Fallimento della società Edilizia Napoli Nord, come pure nel reclamo del 21
settembre 2005, dopo aver premesso di aver «dato fondo a tutte le risorse personali e ... fatto ricorso al credito
presso il sistema bancario» al fine di provvedere al fabbisogno di liquidità della società, hanno evidenziato di
essere stati «indotti dai direttore della BNL - Filiale di
Frattamaggiore - dal Banco di Napoli - Agenzia di Melito - dalla Banca Popolare di Ancona - Agenzia di Melito - e dalla Banca Popolare dell’Emilia Romagna - sede
di Napoli - a porre in essere una movimentazione fittizia
sui conti correnti accessi presso le stesse banche, spostando formalmente ingenti capitali da una banca all’altra con scopo di incrementare il giro di affari delle agenzie, pervenuto all’astronomica cifra di circa 650 mld.».
Unitamente al rapporto con la BNL, risulta pure documentata l’esposizione diretta, complessivamente maturata dai fratelli M. nei riguardi del ceto bancario.
Tanto emerge dalla tabella allegata alla missiva del 6
aprile 1999 (su cui si ritornerà in seguito), a firma dell’avv. A.C., che scrive nell’interesse del «Gruppo M.»,
riportando la relativa complessiva debitoria al 31 dicembre 1998.
(omissis)
b) Le altre fonti di prova: le dichiarazioni dei terzi ed i
relativi riscontri - Altri documenti
Utili ai fini della presente decisione sono le dichiarazioni rese dai terzi al P.M. ed alla Polizia Giudiziaria da
questi delegata.
Le dichiarazioni raccolte concernono due vicende, che
separatamente ed in sintesi si riportano, rinviando alla
lettura dei contenuti degli atti.
La prima. Si tratta della vicenda relativa alla destinazione delle somme derivanti dalla vendita a favore del Comune di Napoli, per circa 27 mld. di lire, del complesso
immobiliare di proprietà della società Edilizia Napoli
Nord, avvenuta nel mese di marzo del 1998.
Dalle dichiarazione rese (al P.M. in data 19 aprile
2002) da V.P. (che si dichiara cugino di terzo grado di
M.S.) si apprende che lo stesso, su richiesta di S.M., divenne intestatario fiduciario del conto corrente n.
39737 acceso presso la BNL l’11 maggio 1998, non potendo il predetto S.M. depositare la somma suoi propri
conti.
V.P. ha dichiarato che tutte le operazioni sul conto
vennero «da me effettuate su indicazione di S.M. Ricordo che in data 25 maggio 1998 su indicazione di S.M.
feci richiesta di 120 assegni circolari del valore di
20.000.000 di lire ciascuno, che consegnai contestual-
mente a S.M., presente ai fatti ... In quell’occasione sottoscrissi per girata tutti gli assegni emessi. Operazioni di
tale genere sono state effettuate e ripetute più volte su
questo conto, non so dire quante. In ogni caso ciò è
sempre avvenuto su indicazione ed alla presenza di
S.M., il quale era il soggetto sostanzialmente interessato
alle operazioni».
Tale resoconto è confermato dall’avv. L.M. (funzionario
responsabile dell’Ufficio Contenzioso della BNL di Napoli) il quale nelle dichiarazioni rese alla P.G. in data
13 maggio 2002 ha riferito di aver conosciuto «V.P.
che accompagnato, se ricordo bene, da M.S. o M.F. nel
maggio del 1998, chiese l’accensione di un conto corrente presso la nostra banca. Poco prima era stato perfezionato un contratto di compravendita tra il Comune
di Napoli e l’Edilizia Napoli Nord, società appartenente
al Gruppo M., indebitato per svariati miliardi con la
BNL ed altre banche. Il contratto di compravendita era
relativo ad una vendita di immobili ... di proprietà della
Edilizia Napoli Nord per un controvalore di circa ventisette miliardi. Il Comune di Napoli effettuò il pagamento presso il Banco di Napoli che, detratto quanto di sua
competenza, all’incirca diciassette miliardi, scaturenti da
mutuo insoluto e credito chirografario, emise una Fede
di Credito per circa nove miliardi all’ordine della Banca
Nazionale del Lavoro. Parte di quest’ultima somma ammontante a circa due miliardi e seicentomilioni in forza
di accordi con il Gruppo M. andavano retrocessi agli
stessi che disposero di bonificare l’importo sul conto
corrente intestato a V.P. Voglio precisare che tali accordi erano riconducibili alla sistemazione concordata con
il ceto bancario dell’ingente debitoria riferibile alle società del Gruppo M. nonché alle persone fisiche del
gruppo stesso ...».
Di quanto precede vi è riscontro nella documentazione
acquisita, dalla quale risultano bonifici disposti in data
19 maggio 1998 dalla Edilizia Napoli Nord a favore di
V.P. per complessivi £ 4.989.922.907 e successivi prelievi, bonifici o emissione di AC eseguiti dal 20 maggio
1998 al 9 giugno 1999 (cfr. prospetto riepilogativo della
G.d.F - allegato produzione P.M. n. 5/1 ).
Il P.M. ha pure depositato agli atti copie di 78 dei 120
assegni circolari emessi dalla BNL a favore di V.P., con
parziale indicazione dei giratari.
V.P. ha pure riferito, nel corso della citata dichiarazione, di altra vicenda distinta da quella esaminata relativa
all’apertura, su iniziativa di S.M., di un libretto di risparmio a suo favore sul quale venne, in data 24 giugno
1998, depositata la somma di £ 250.000.000 precisando
che S.M. gli riferı̀ che «avendo venduto due appartamenti aveva la necessità di depositare il corrispettivo
della vendita in banca ma che non aveva la possibilità
di farlo a proprio nome». Tale libretto venne poi consegnato ad A.M.M. (coniuge di S.M.).
La seconda In tale ambito si raggruppano le dichiarazione dei promissari acquirenti degli immobili della società
Costruzioni Edili AS di M.A. e C. S.n.c. dagli stessi resi
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alla Polizia Giudiziaria nel contesto delle indagini delegate.
La documentazione è stata fornita sia dal P.M. che dalla
curatela.
È sufficiente sul punto rimandare alla lettura di tali dichiarazioni per la compiuta conoscenza dei relativi contenuti.
Per quanto interessa, conta rilevare che dall’esame di tali resoconti risultano episodi in cui è riferita (cfr. dichiarazioni rese da C.G., F.G., G.D., M.A., O.G.) la presenza dei fratelli M. al momento della stipula dei compromessi (per lo più nel 1989) e dei rogiti definitivi (molti
dei quali nel 2003).
In altri casi i dichiaranti hanno precisato che il prezzo
del relativo affare fu pattuito con S.M. o con S.M. (cfr.
rispettivamente dich. di C.G., C.R. e M.L.).
In talune ipotesi è stato rappresentato che parte del versamento del prezzo è stato consegnato a S.M. (cfr. dich.
di C.G. ed il riscontro delle copie dei tre titoli allegati
alla sua dichiarazione oltre ai titoli allegati alla dich. di
G.D., nonché dich. di O.G.) o a S.M. (cfr. dich. di
R.C. in relazione alla quale figurano allegati tre assegni a
favore di F. e S.M. a firma del coniuge del dichiarante).
In altro caso è stato riferito che la trattativa per il pagamento del prezzo (residuo) è stata condotta con F.M.,
coadiuvato dall’intervento di S.M. che sollecitava il pagamento (cfr. dich. di M.S.).
In numerose ipotesi, poi, risulta che i titoli consegnati in
pagamento dei compromessi o vendite sono stati emessi
in favore di altre società riconducibili ai fratelli M.
(omissis)
La valutazione del quadro probatorio
Occorre muovere - come già anticipato - dal riscontro
del fatto storico costituito dall’accertamento nel 1988 di
una società di fatto intercorrente tra i fratelli M. ed
avente ad oggetto l’attività di costruzioni edili (cfr. sentenza di fallimento allegata).
Tale accertamento è stato confermato sia dal Tribunale
in sede di opposizione (pronuncia del 12 giugno/30 luglio 1990), che dalla Corte d’appello con sentenza del
25 luglio 1991 (prodotta dalla difesa di F.M.), la quale
ha ribadito la sussistenza della società di fatto, pur revocando il fallimento per la sopravvenuta estinzione dei
crediti e negando, per tale via, l’irriducibilità dello stato
di insolvenza.
Sta di fatto che accanto a tale società i fratelli M. già
avevano costituito (in data 5 gennaio 1987, cfr. visura
prodotta dalla difesa di F.M.) la società Edilizia Napoli
Nord S.r.l. e, prima ancora della sentenza che revocava
il fallimento della società di fatto, costituirono la società
Edilizia Melito (di cui non si conosce la data di costituzione, risultando, tuttavia, formalmente iscritta il 17 luglio 1990).
La circostanza, confermata dalla difesa di M.S. secondo
cui «tutte le società (ad eccezione della Frate.ma ....,
della Par.ma ... e della Co.mar ...) risultavano già costituite prima del fallimento della s.d.f. dei M.», non è
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senza rilievo e non assume valenza positiva per le tesi
dei resistenti.
Anzi. Dimostra, a ben vedere e con la forza del dato
obiettivo, la risalente coesistenza della partecipazione
sociale dei M. alle costituite società di capitale ed il loro
parallelo agire in società di fatto, come si avrà cura di
chiarire, in termini, almeno sotto il primo elementare
profilo in esame, consentanei alla configurazione offerta
dal P.M.
Tale prima osservazione conduce, dunque, l’indagine
sulla verifica in ordine alla permanenza o meno di tale
società avente i caratteri, innanzi delineati, della holding.
Ebbene, ritiene il Collegio che gli elementi di prova
raccolti danno ragionevole e convincente dimostrazione
di tale profilo.
Ai fratelli M., come precisato, facevano capo tutte le
sopraelencate società, delle quali detenevano le partecipazioni sociali.
È sintomatico, al riguardo, osservare come anche in relazione alla società Costruzioni Edili AS di M.A. S.n.c.,
non partecipata dai M., gli interventi diretti nelle operazioni di vendita del patrimonio immobiliare, nella ricezione delle somme di denaro a proprio favore o a favore delle società del c.d. gruppo (cfr. i numerosi titoli
emessi a beneficio diretto, soprattutto della Edilizia Napoli Nord), nonché l’esercizio del potere dispositivo
(non importa se in termini quantitativamente non rilevanti) sui beni di quest’ultima (cf. dich. di B. e C.) accreditano il convincimento che l’area di incidenza svolta dai Marano si sia estesa anche su tale società.
L’esame degli elementi sopra illustrati evidenzia che i
resistenti hanno, insieme, prestato garanzie personali a
favore di due società partecipate (Edilizia Napoli Nord
ed Edilizia Melito) per l’imponente complessivo importo di 20 mld. di lire.
Nella medesima epoca gli stessi resistenti, separatamente, ma contestualmente, hanno aperto e chiuso nei medesimi giorni tre conti correnti a loro intestati, movimentandoli per circa 192 mld. di lire ed ancora maggiore è l’ammontare (650 mld. di lire) della movimentazione (giro di assegni) da loro riconosciuta in relazione ai
rapporti con il complessivo ceto bancario.
Va ancora chiarita, nel dettaglio, tale incredibile movimentazione posta in essere dai M. sui propri conti nel
corso di poco più di un anno e mezzo (dal 18 aprile
1993 al 31 dicembre 1994, epoche di rispettiva accensione e chiusura dei tre rapporti, come sopra illustrato).
Al riguardo, resta acquisita, per ora, l’analisi, per la verità plausibile, dell’ispettore della BNL (dr. Benerecetti),
secondo cui tale movimentazione aveva lo scopo di allargare la base creditizia delle società del c.d. gruppo.
Ciò che soprattutto conta è, tuttavia, l’osservazione secondo cui la stessa è da ritenersi riconducibile alla peculiare, sovraordinata, attività (di chiara natura imprenditoriale) svolta dai fratelli M. in palese sinergia tra di loro, esprimendo tale movimentazione il flusso finanziario
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incrociato che si è sviluppato tra le varie società, interamente ed unitariamente gestito e governato dai resistenti, titolari dei rispettivi conti correnti, nel solco di una
complessiva e concordata strategia finanziaria diretta ad
assicurare sostegno alle varie società a loro riferibili.
Del resto, è documentato ed è ammesso dai medesimi
resistenti il richiamato vorticoso giro di assegni e la circostanza conferma la gestione unitaria ed accentrata
delle casse delle società, nel quadro di un sistematico ed
incontrollato travaso di risorse finanziarie tra le medesime, in termini che appaiono del tutto incoerenti rispetto alle nemmeno dimostrate esigenze dei singoli enti,
ma, che, verosimilmente, risultano funzionali alle istanze dell’effettivo, unitario e sovradiretto centro di potere,
riconducibile ai fratelli M. che hanno posto in essere la
descritta movimentazione.
(omissis)
Fortemente rilevante sul versante probatorio è, poi, il
contenuto dell’accordo concluso nel 1999 con il ceto
bancario.
È difficilmente contestabile, invero, che le particolari
modalità dell’illustrata sistemazione stragiudiziale dell’esposizione debitoria (in realtà dell’insolvenza, come ex
postea dimostrato dal fallimento delle varie società) del
c.d. «Gruppo M.», disvelino, sotto il piano formale e
sostanziale, la sussistenza di una gestione unitaria, da
parte dei fratelli Marano, del gruppo di società facente
capo ai medesimi.
Di tanto il ceto bancario non ha mai dubitato, come
chiaramente si evince dalla documentazione prodotta.
E si ha fondato motivo di ritenere che esso, anche (e
non solo) in ragione della connessione economica sussistente tra le società ed i fratelli M., per effetto delle posizione di garanzia da questi assunta e per le citate modalità operative con cui i flussi finanziari venivano gestiti, abbia riconosciuto costoro quali effettivi interlocutori
del gruppo, a prescindere dalla titolarità formale degli
organi gestori delle società, individuando in loro il vero
centro organizzativo, propulsore e decisionale del cd.
gruppo: coloro, cioè, che, in definitiva, dettavano le regole e le scelte.
Il descritto fenomeno assume una valenza non solo economica (come sostenuto dai resistenti), ma, nel caso di
specie, anche giuridica, risultando davvero riduttiva la
lettura della vicenda in questione nel segno di una mera
connessione di rischi tra le posizioni delle società e dei
fratelli M., in qualità di meri fideiussori o cointeressati
alle sorti della società nella veste di soci e finanziatori.
Tali riflessioni maturano attraverso la valutazione dell’accordo di cui si discute, progressivamente sviluppatosi
nel corso di una lunga trattativa, iniziata nel 1994 (cfr.
lettera del 5 settembre 1994), definita con la proposta
del 6 aprile 1999 ed accettata dalle banche (cfr. nota
del 10 giugno 1999).
Spicca nell’analisi in oggetto la previsione della retrocessione della somma di £ 350.000.000, nonché del
10% del ricavato delle vendite immobiliari dei beni del-
le varie società ivi considerate al gruppo M. indistintamente ed unitariamente inteso.
La clausola in questione manifesta, a chiare lettere, il
senso con il quale i fratelli M. hanno inteso la loro partecipazione alle varie società e soprattutto rende palese
il modo con cui hanno, di fatto e giuridicamente, regolato i rapporti ivi contemplati, considerando e trattando
i patrimoni delle singole società ed i loro personali come un unicum indistinto.
La connessione dei rischi, che descrive il fenomeno del
«Gruppo» nella tecnica bancaria, come diffusamente accaduto nell’ipotesi in commento in cui gli istituti di credito si sono riferiti alle varie vicende che hanno interessato le società discorrendo sempre di «Gruppo M.», assume, nel caso che occupa, una valenza pure giuridica.
La predetta retrocessione di una non secondaria parte
del ricavato della liquidazione dei valori immobiliari
delle società (e, si badi, non dei beni personali dei M.,
che, invece, sono stati eccettuati), che «il Gruppo richiede» (cosı̀ a pagina 4 della proposta del 6 aprile
1999) ed ottiene, attua, infatti, la sostanza di una imputazione giuridica e di una confusione patrimoniale che,
meglio di qualsiasi altro elemento, testimonia la ricorrenza di un unico, sovraordinato, centro di affari e di effettivo riferimento giuridico, strategicamente diretto e
coordinato dai fratelli M.
È debole sul punto la difesa dei resistenti nella parte in
cui ha segnalato che la partecipazione dei medesimi è
stata imposta dalle banche e, comunque, necessitata
dall’esposizione personale degli stessi, posto che tale profilo, indubbiamente esistente, giustifica(va) la partecipazione dei fratelli M. all’accordo, ma, evidentemente,
non anche lo specifico contenuto del patto di retrocessione all’intero ed indistinto gruppo.
La ricorrenza di una logica unitaria e soprattutto l’individuazione dei soggetti titolari dell’effettivo potere decisionale in ordine alle vicende interessanti il gruppo (anche con riferimento a società formalmente non partecipate dai M., come la Costruzioni Edili AS) è manifestata, a lettere (se possibile) ancora più chiare, dalla citata
missiva del 6 dicembre 1995 inviata dalla Costruzioni
Edilizia AS a R.P.
Ed infatti, davvero non si comprende la ragione per la
quale lo svincolo di un bene non riconducibile a società
partecipate dai fratelli Marano dovesse essere subordinato all’assenso delle altre società del gruppo e delle banche creditrici, se non considerando l’immanenza di una
gestione accentrata.
In termini decisivi, se ancora non fosse chiaro, la missiva
indica chi può fornire maggiori chiarimenti, segnalando,
al riguardo, di «... rivolgersi agli uffici dei Sigg. M.».
Ogni ulteriore commento sul punto appare ultroneo.
Si apprende con tale ultimo riferimento che i fratelli M.
avevano pure organizzato un ufficio, che rendevano noto ai terzi, cosı̀ come dagli elementi sopra illustrati emerge che si avvalevano anche dell’opera fiduciaria di altri
soggetti, tra cui, senza allargare il tema, V.P., coinvolto
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LA RIFORMA
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411
GIURISPRUDENZA . FALLIMENTO
LA RIFORMA
da S.M. nell’operazione innanzi illustrata, ma anche nell’intestazione della società (Liverpool) sui cui contenuti
si rimanda alle dichiarazioni dal medesimo rese.
Insomma, a giudizio del Collegio, risultano dalle osservazioni svolte plurimi, gravi e concordanti elementi per
ritenere che la società di fatto, esistente tra i fratelli M.
sin dal 1988, non sia mai venuta meno, mutando semplicemente il modo con cui ha successivamente operato, in termini riconducibili ad una holding societaria secondo la nozione sopra offerta, in alcun modo conciliabile con la partecipazione sociale ed in qualche caso
con la carica amministrativa dai medesimi ricoperta in
talune società, tenuto conto della concentrazione e dell’esercizio di un potere decisorio, diffuso lungo l’intero
perimetro del gruppo e volto alla cura di interessi anche
personali, del tutto eccentrici rispetto alle esigenze delle
singole società.
In definitiva, la continuativa prestazione di servizi finanziari e gestori a favore proprio e delle singole società ha
mantenuto la sussistenza un distinto e sovraordinato organismo di imputazione di rapporti giuridici (appunto la
società di fatto che si ritiene non essere mai cessata con
il fallimento della medesima, mutando solo la prospettiva operativa), con modalità non riducibili alle partecipazioni dei fratelli M. alle varie società del gruppo.
Ricorrono, invero, tutti i requisiti che la Suprema Corte
esige per l’individuazione della fattispecie.
La spendita del nome
I fratelli M. hanno agito in nome proprio.
Lo hanno fatto intestandosi i tre conti correnti sopra indicati, operando sui medesimi, con le modalità descritte
ed obbligandosi personalmente, come risulta dalla plurima documentazione prodotta, in parte sopra citata.
Hanno speso il loro nome intervenendo, con la forza
del gruppo decidente, nell’accordo del 1999 con il ceto
bancario, rinegoziando, unitamente alle società partecipate, la predetta convenzione, che avrebbe consentito
di riacquistare liquidità e di pagare le obbligazioni in
precedenza contratte, sempre in nome proprio, verso le
banche.
Una chiara spedita del nome (per la quale non è richiesto necessariamente il compimento - nella specie pure
esistente - di atti negoziali, come chiarito da Cass.
12113/02) risulta, in assenza di prove contrarie, dalla indicazione contenuta nella menzionata missiva del 6 dicembre 1995, in cui i fratelli M., si pongono a disposizione per rendere chiarimenti sull’operazione ivi considerata - lo si ripete - relativa ad un affare concernente
un bene di società non partecipata dai medesimi.
Pure nei contatti con i promissari acquirenti, nell’intervento nei relativi atti, nel ricevimento delle somme di
denaro e dei titoli inerenti le corrispondenti transazioni
commerciali, i fratelli M. hanno, evidentemente, agito
nomine proprio.
Una ulteriore dimostrazione della spedita del nome è
poi costituito dal citato reclamo proposto avverso il
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IL FALLIMENTO N. 4/2007
n
provvedimento del giudice delegato al fallimento della
società Edilizia Napoli Nord.
Va, invero, osservato, al riguardo, che l’iniziativa giudiziaria intrapresa dai fratelli M. esorbita dagli interessi
sottesi alla loro posizione di fideiussori della società.
Tale condizione ha senza dubbio giustificato l’azione
promossa contro le banche con il menzionato atto di citazione del 29 luglio 2005 in quanto diretta ad accertare
la dedotta inesistenza dei crediti da questa vantati ed
ammessi al passivo, costituenti l’obbligazione principale
della società, garantita dai fratelli M., il cui permanere
comporta un obiettiva ricaduta suoi patrimoni personali
dei garanti.
Lo stesso non può, invece, dirsi in relazione al citato reclamo ex art. 26 l. fall.
Ed invero, l’iniziativa intrapresa nell’ambito della procedura fallimentare della Edilizia Napoli Nord, diretta a
sospendere la liquidazione dei beni della società fallita,
solo in parte può spiegarsi con la finalità sopra indicata,
per la quale, in realtà, valeva e vale l’autonoma azione
autonomamente esercitata nei confronti delle banche,
disvelando, piuttosto, in consonanza con gli altri elementi, complessivamente valutati, l’esercizio di un potere volto alla conservazione del patrimonio della società,
che ha soverchiato le determinazioni e le facoltà degli
organi gestori della società medesima (nella specie del
liquidatore P.G. nominato sin dal 1997).
Nella concorrenza del citato compendio probatorio, tale
circostanza manifesta, dunque, un ulteriore episodio in
cui i fratelli M. si sono posti come gli effettivi domini e
gestori degli interessi della società facente parte del
gruppo, esercitando in nome proprio un’iniziativa rispetto alla quale il tribunale non ha potuto negare il relativo difetto di legittimazione ad agire, ma in relazione alla
quale, ora e nella presente sede, si coglie, senza soluzione di continuità con il pregresso operato dei fratelli,
una ulteriore testimonianza dell’effettivo ed unitario
centro di interessi, mascherato dietro la forma societaria,
ma vigile e, soprattutto, operativo nelle fasi salienti la
vita della società.
L’organizzazione autonoma
I fratelli M., come detto, avevano la disponibilità di un
ufficio.
Organizzavano anche l’attività dei propri fiduciari (cfr.
vicenda riferita da V.).
Hanno gestito nel tempo e, dunque, professionalmente
e con continuità in maniera accentrata la cassa e gli
aspetti finanziari delle società del gruppo, liberando risorse da una società all’altra, nel segno di una confusione patrimoniale, che consentiva alle società di attingere
da un unico flusso finanziario (cfr. giro di assegni e movimentazione sui tre conti - accordo con le banche) la
disponibilità necessaria, in termini unitari considerando
l’insolvenza del gruppo ed in termini unitari tentando
di porvi rimedio con il più volte citato accordo intercorso con le banche.
Risulta, allora, chiara la sussistenza dello svolgimento
GIURISPRUDENZA . FALLIMENTO
dell’attività di impresa autonoma svolta dai fratelli M.,
con organizzazione di mezzi e di capitali propri e di terzi
(anche le dotazioni delle varie società), al fine della
produzione di servizi finanziari, di coordinamento e di
gestione a favore del gruppo, composto dalle società e
dai fratelli M., che hanno operato secondo una logica
unitaria ed unitariamente sono stati percepiti dai terzi,
non solo bancari.
L’economicità aggiuntiva derivante al gruppo di società ed ai fratelli M.
L’opera dei fratelli M. ha senz’altro prodotto plusvalore
in termini economici, consentendo alle società di operare meglio e più a lungo sul mercato per il tramite del
sostegno finanziario dai fratelli M. assicurato, come dai
medesimi riconosciuto (cfr. atto di citazione e reclamo
citati).
È significativo, al riguardo, segnalare come gli accertamenti svolti dagli ispettori del BNL (cfr., in particolare,
relazione del dr. Benerecetti del 4 marzo 1994) sono
univoci nel segnalare che il menzionato giro di assegni
intergruppo abbia, nei fatti, allargato la base creditizia
del gruppo stesso.
È pure rilevante osservare come l’utilità aggiuntiva assicurata dai fratelli M. la si coglie non solo per induzione,
ma apertis verbis, dalla documentazione prodotta.
Il riferimento specifico è ai contenuti della relazione redatta in occasione dell’istruttoria di un affidamento concesso alla società Edilizia Melito nella quale risulta chiaramente il ruolo svolto dai fratelli M., non limitato alla
partecipazione e decisivo ai fini del ricorso al credito
della società.
In tale rapporto del 1993 (allegato alla fideiussione che
i fratelli M. insieme e con un unico atto hanno rilasciato a favore della BNL nell’interesse della Edilizia Melito) si legge che:
«la società fa capo ai sigg. M. (F., S., S.) che operano
nello specifico settore sia in proprio che per conto terzi.
Amministratore unico della società è il citato sig. F.M.
I fratelli M. nominativi dalle spiccate capacità imprenditoriali curano personalmente l’aspetto tecnico delle
varie iniziative.
Il gruppo M. ha poi ampie possibilità di fronteggiare in
tempi brevi qualsiasi esigenza delle singole aziende in
virtù della disponibilità dei soci i cui impegni, come si
rileva dai dati di bilancio, non si limitano al capitale di
rischio e alle eventuali sinergie che possono attuarsi tra
le diverse aziende».
Risulta evidente in tale valutazione come l’istituto bancario, professionalmente addestrato a compiere verifiche
economiche aderenti all’effettiva realtà organizzativa dei
soggetti imprenditoriali con i quali opera, abbia fondato
la propria valutazione estendendo la sua indagine ai fratelli M., ponendo in rilievo l’attività sinergica svolta dei
medesimi nel contesto delle diverse aziende ad essi riconducibili.
È questo il dato emblematico, per la verità risultante
dall’intero ambito probatorio sottoposto all’esame del
Collegio, che consente di ritenere che senza l’opera dei
fratelli M., di coordinamento, anche tecnico, e certamente finanziario e di garanzia, insomma imprenditoriale in senso lato, qualificato da contributi personali, le
società ad essi riconducibili non avrebbero goduto dell’operatività finanziaria ed economica che hanno sviluppato.
Dunque, può concludersi nel senso che l’utilizzo del
contributo strategico, economico e finanziario assicurato
in nome proprio dai fratelli M. sia stato stabilmente organizzato allo scopo di fornire un complesso di servizi
necessari, strumentali all’esercizio delle varie attività imprenditoriali, finalizzata al perseguimento di un risultato
ulteriore rispetto a quello raggiunto e raggiungibile dalle
singole società e ad esso esterno in quanto indistintamente riferibile all’unitario centro di interessi costituito
dai fratelli M. (cfr. su tali principi Cass. 12113/02; Cass.
3274/03).
Va, pertanto, riconosciuta la sussistenza della società di
fatto intercorrente tra i fratelli M., avente la delineata
operatività di holding.
IV. L’insolvenza della s.d.f.
La società sopra considerata deve ritenersi insolvente.
Come sopra illustrato, l’esposizione personale dei fratelli
M. nei riguardi del ceto bancario è assai rilevante.
Si richiamano i numeri che precedono.
(omissis)
Si tratta di posizioni derivanti da rischio diretto (ovvero
da affidamenti, che sono poi passati a sofferenza), che
nessun elemento raccolto distoglie dalla loro più che ragionevole riferibilità all’attività imprenditoriale svolta
dai fratelli M. nell’interesse proprio e delle varie società
ad essi riconducibili e, dunque, per effetto delle specifiche modalità con le quali i resistenti hanno operato, alla società di fatto sopra individuata.
La sussistenza di tali, rilevanti, esposizioni debitorie è
documentata e non è contrastata da obiettivi elementi
contrari.
Essa integra, senza dubbio, la ricorrenza dello stato di
decozione dei fratelli M. e della società di fatto nel cui
interesse ed ambito tali debiti sono stati contratti, essendo tale debitoria, risalente (dal 1994), consolidatasi ed
incrementatasi nel tempo, bloccata nei possibili tentativi di risanamento dal fallimento delle società a loro riconducibili ed alla fine, in ragione del negativo epilogo
dell’accordo del 1999 con il ceto bancario, senza plausibili prospettive di recupero.
È questo, del resto, il senso che si ricava dalle doglianze
espresse dai fratelli M. con il più volte menzionato atto
di citazione e reclamo del 2005, nella parte in cui gli
stessi paventano l’aggressione ai loro patrimoni personali, richiamando la loro posizione di garanzia in virtù della fideiussione prestata alla società Edilizia Napoli Nord,
omettendo, tuttavia, di contare l’ulteriore esposizione
derivante dalle obbligazioni direttamente assunte con le
banche per effetto delle esposizioni sui citati conti cor-
IL FALLIMENTO N. 4/2007
LA RIFORMA
n
413
GIURISPRUDENZA . FALLIMENTO
LA RIFORMA
renti, che, per quanto ora interessa, più direttamente
marca il segno dello stato di dissesto dei fratelli M.
V. La dichiarazione di fallimento: l’art. 10 l. fall. ed il
nuovo art. 2497 c.c. - La disciplina applicabile alla
procedura
Alla stregua delle considerazioni svolte va dichiarato il
n
fallimento della società di fatto intercorrente tra i fratelli M. e dei medesimi M.S., M.S. e M.F.
Non si oppone alla presente pronuncia la previsione
dell’art. 10 l. fall.
(omissis).
TRIBUNALE ROMA, Sez. fall., 28 novembre 2006
Pres. Severini, Rel. F. Di Marzio - Curatela Fallimentare L.T. S.r.l. c. G.M.
Fallimento - Dichiarazione - Soggetti - Soci illimitatamente responsabili - Socio unico di società a responsabilità limitata - Ricorso presentato prima del 16 luglio 2006 - Disciplina applicabile - Norma eccezionale - Applicazione analogica - Esclusione
(Artt. 1, 147 legge fallimentare; 2221, 2470 codice civile)
La norma di cui all’art. 147, comma primo l. fall., nella formulazione precedente la riforma, che consente
la dichiarazione in estensione del fallimento del socio illimitatamente responsabile, ha natura eccezionale (rispetto alla regola generale degli artt. 2221 c.c. e 1 l. fall.) non suscettibile di interpretazione
analogica. Deve quindi essere respinta l’istanza per la dichiarazione di fallimento del socio unico di società a responsabilità limitata che non abbia adempiuto agli oneri pubblicitari di cui all’art. 2470, comma quarto c.c.
Il Tribunale (omissis).
Il fallimento del G. è stato chiesto dalla curatela del fallimento della società dallo stesso amministrata sul presupposto della sopravvenuta illimitata responsabilità di quest’ultimo per le obbligazioni sociali conseguente all’acquisto dell’intero capitale sociale e della inosservanza degli
oneri pubblicitari disposti dall’art. 2470, comma 4 c.c.
Alla controversia in esame è applicabile l’art. 147, comma 1 l. fall. nella formulazione precedente alla sopravvenuta riforma, a norma del quale il fallimento della società con soci a responsabilità illimitata produce anche
il fallimento di tali soci.
Infatti, la domanda di fallimento è stata depositata in
data 28 aprile 2006, dunque prima della entrata in vigore della riforma, e l’art. 150 D.Lgs. n. 5/2006 dispone
che «i ricorsi per dichiarazione di fallimento e le domande di concordato fallimentare depositate prima della entrata in vigore del presente decreto nonché le procedure
di fallimento e di concordato fallimentare pendenti alla
stessa data sono definite secondo la legge anteriore».
Tanto precisato sulla disciplina applicabile, nel merito
occorre osservare quanto segue.
Nel vigore dell’art. 147 l. fall. precedentemente alla intervenuta riforma, era discusso che dalla semplice illimitata responsabilità discendesse anche la conseguenza del
fallimento in estensione in ogni caso.
Infatti, nell’ordinamento sono rinvenibili fattispecie di
società con soci illimitatamente responsabili (società di
persone e società in accomandita per azioni) e società
con soci a responsabilità limitata che, in determinati casi, rispondono illimitatamente delle obbligazioni sociali
(soci di società di capitali).
414
IL FALLIMENTO N. 4/2007
Attesa la pacifica applicabilità della norma fallimentare
al primo ordine di casi, si discuteva della sua applicabilità al secondo ordine. Parte della dottrina e della giurisprudenza riteneva infatti che ciò non fosse conseguenza
autorizzata dalla legge.
Questo tribunale, a seguito della entrata in vigore della
riforma del diritto societario, ha aderito alla tesi della dichiarabilità del fallimento nel caso di socio di società di
capitali divenuto illimitatamente responsabile.
Peraltro, il testo attuale dell’art. 147, comma 1 l. fall.
sembra aver risolto definitivamente la questione nel
senso opposto. Ha infatti affermato esplicitamente la fallibilità in estensione soltanto in caso di dichiarazione di
fallimento di una società appartenente ad uno dei tipi
regolati nei capi III (società in nome collettivo), IV (società in accomandita semplice) e VI (società in accomandita per azioni) del titolo V del libro quinto del codice civile: dunque, per il caso del socio (anche non
persona fisica) illimitatamente responsabile di società di
persone, o di socio di società in accomandita per azioni.
Non sono ricomprese nell’elencazione i tipi regolati nei
capi V (società per azioni) e VII (società a responsabilità limitata), oltre alla società semplice (regolata nel capo II).
Dunque, tranne per il caso della società semplice, la
quale non svolge attività commerciale (per il cui esercizio occorre costituire una società secondo i modelli regolati nei capi seguenti: art. 2249, comma 1 c.c.), e pertanto non rientra nel novero dei soggetti fallibili ai sensi
degli artt. 2221 c.c. e 1, comma 1 l. fall. (a meno che
non eserciti nei fatti attività commerciale, nel qual caso
assume natura di società in nome collettivo irregolare,
n
GIURISPRUDENZA . FALLIMENTO
fall., costitutiva della fallibilità in estensione, ha natura
eccezionale (rispetto alla regola generale degli artt. 2221
c.c. e 1, comma 1 l. fall.). Come tale, è insuscettibile di
interpretazione analogica (art. 14 preleggi).
Alla luce del dato normativo sopravvenuto, deve coerentemente prescegliersi l’indirizzo interpretativo che esso ha seguito, quale lettura più conforme alle attuali intenzioni del legislatore.
La diversa soluzione, oltre a non essere conforme alla
legge attualmente in vigore (dato, quest’ultimo, formalmente irrilevante), determinerebbe tuttavia una inaccettabile disparità di trattamento tra debitori nei confronti dei quali è stato chiesto il fallimento dopo l’approvazione della riforma, ma per taluni prima della sua
entrata in vigore, per altri successivamente. E ciò benché la riforma sia stata approvata in data 9 gennaio
2006, pubblicata in data 16 gennaio 2006, ed entrata
in vigore in data 16 luglio 2006: dunque approvata ed
entrata in vigore in un ristretto spazio temporale.
Per queste ragioni, la domanda va respinta.
(omissis).
LA RIFORMA
come tale fallibile con estensione del fallimento ai soci:
ricorrerebbe l’ipotesi del tipo disciplinato nel capo III),
le società commerciali nelle quali il socio illimitatamente responsabile (tale in origine o divenuto tale nel corso
dell’attuazione del rapporto sociale) è dichiarato fallito
in estensione sono espressamente solo alcune tra tutte:
quelle appartenenti ai tipi dichiarati nell’art. 147, comma 1 l. fall.
Il silenzio della legge sulla fallibilità in estensione di socio di società per azioni o a responsabilità limitata deve
essere interpretato come esclusione legale della fallibilità
di tali soggetti.
Infatti, dalla responsabilità illimitata del membro di una
organizzazione collettiva non si determina automaticamente la fallibilità. Essa è prevista solo per gli imprenditori commerciali (artt. 2221 c.c. e 1, comma 1 l. fall.).
Eccezionalmente, è prevista, in estensione, per soggetti
non forniti della prescritta qualità di imprenditore commerciale: ma solo per i soci appartenenti a determinate
tipologie societarie (art. 147, comma 1 l. fall.).
In altri termini, la regola posta dall’art. 147, comma 1 l.
TRIBUNALE VICENZA, Sez. I, 23 novembre 2006 (data di decisione)
Pres. Bozza - Rel. Zancan - Eurofood Supplayer’s S.a.s. ed altri
Fallimento - Dichiarazione - Soggetti - Holding personale - Assoggettabilità - Condizioni
(Art. 147 legge fallimentare)
È configurabile una holding di tipo personale, costituente impresa commerciale suscettibile di fallimento, per essere fonte di responsabilità diretta dell’imprenditore, quando si sia in presenza di una persona
fisica che agisca in nome proprio, per il perseguimento di un risultato economico, ottenuto attraverso
l’attività svolta, professionalmente, con l’organizzazione e il coordinamento dei fattori produttivi, relativi al proprio gruppo di imprese.
Il Tribunale (omissis).
Ciò premesso, osserva il Collegio che gli atti delle indagini preliminari depositati dal P.M. ricorrente dimostrano l’esistenza di un accordo criminoso tra i soggetti convenuti aventi le caratteristiche descritte dal P.M. nel
suo ricorso e sopra riassunte.
Ai fini dell’accoglimento del ricorso è peraltro necessario dimostrare l’esistenza di una società di fatto, la sua
fallibilità e il suo stato d’insolvenza.
Va in primo luogo escluso che la società Eurofood Supplayer’s S.a.s. di P.P. possa essere considerata socio della
fallenda S.D.F.
La società di fatto presuppone la sussistenza di un fondo
comune, dell’alea comune riguardo ai guadagni e alle
perdite, dell’affectio societatis nei rapporti interni e della
ripartizione degli utili.
Al contrario dalla stessa prospettazione del P.M. e dall’esame degli atti risulta che la società Eurofood S.a.s.,
come gli altri soggetti collettivi coinvolti nell’attività illecita, non concorse in alcun modo alla ripartizione degli utili dell’attività criminosa, ma anzi venne utilizzata
come strumento di tale attività allo scopo di distrarre i
beni societari, di impoverire la società fino al suo totale
dissesto e di arricchire semmai gli artefici del progetto
criminoso.
Va del pari escluso che le persone fisiche convenute
possano essere dichiarate fallite in qualità di soci di fatto
della fallita Eurofood S.a.s.
In primo luogo il P.M. non ha chiesto, ex art. 147 l.
fall., l’estensione del fallimento di Eurofood S.a.s. ai presunti soci di fatto né lo ha fatto il curatore.
In secondo luogo non risulta che tutti i convenuti abbiano svolto attività gestoria nella società fallita (al più
Di C.S. e P.C. si sarebbero ingeriti nell’attività d’impresa di Eurofood).
Infine il ricorso del P.M. prospetta un coinvolgimento
IL FALLIMENTO N. 4/2007
415
GIURISPRUDENZA . FALLIMENTO
LA RIFORMA
dei fallendi in un progetto imprenditoriale di più ampia
portata rispetto all’attività commerciale di Eurofood che
è una delle tante società utilizzate come strumento dai
soggetti convenuti.
Si tratta allora di verificare se gli accordi illeciti tra P.P.,
Di C.A.S., B.A., P.C. e S.M. e le attività dagli stessi
svolte possano integrare un rapporto societario.
1) Ricostruzione della vicenda storica
Nel ricorso del P.M. alle pagine 5, 6 e 7 che si intendono richiamate è descritto come, a partire dal 2003, soggetti contigui alla malavita organizzata, mediante la gestione occulta o comunque senza ricoprire cariche sociali, avevano acquisito le quote di società esercenti attività commerciale, avevano scelto gli amministratori delle
società partecipate i quali, svolgendo un ruolo di meri
prestanomi, si limitavano a seguire le direttive impartite
dagli associati; avevano acquistato, tramite le società
partecipate, beni di rilevante valore; non avevano pagato le forniture, ma avevano rivenduto la merce in Italia
e all’estero con ripartizione dei proventi della vendita.
Dagli accertamenti svolti dalla PG, dalle dichiarazioni
rese da P.C. nell’interrogatorio del 23 agosto 2006, da
S.M. nell’interrogatorio del 7 luglio 2006, dai funzionari
di banca sentiti dalla DIA di Padova, dallo stesso P.P.
(atti depositati il 15 settembre 2006) è emerso che l’ideatore e principale gestore dell’attività era Di C.S. il
quale:
– nel 2003 aveva rilevato, tramite terzi, le quote della
società Cedibe S.r.l. già insolvente;
– unitamente ad altri effettivi gestori della società, era
stato trovato presso la sede di Cedibe, in possesso di documentazione extracontabile evidenziante operazioni
commerciali del tipo di quelle descritte dal P.M. nel
suo ricorso (informativa PG 12 aprile 2005);
– con analoghe modalità Di C. era stato amministratore di fatto di Cedive S.a.s, aveva trattato con i fornitori,
si era occupato delle consegne, aveva in particolare tentato di esportare in Gran Bretagna merce acquistata in
Italia e non pagata, aveva asportato l’intero magazzino
della società (informativa PG 12 aprile 2005);
– aveva successivamente contattato il P. proponendogli
di accettare il ruolo di amministratore di società (Eurofood e Omnia S.r.l.) esercenti attività commerciale;
– aveva organizzato e gestito dall’esterno l’attività delle
società sopra citate, utilizzando ad esempio carte di credito rilasciate alla Eurofood la quale aveva tra l’altro
avuto un recapito presso la sede della Great Di Caprio
Holding Company S.r.l. in Cassino (FR) pure dichiarata fallita;
– unitamente al P., aveva concordato con i funzionari
del Banco di Sicilia e della Banca Popolare di Puglia e
Basilicata gli affidamenti da concedere alla società fallita
e aveva mantenuto i rapporti con gli istituti di credito;
– si era qualificato ai funzionari di banca come responsabile commerciale e finanziario dell’azienda Eurofood;
– aveva svolto le trattative per l’acquisto in leasing del
416
IL FALLIMENTO N. 4/2007
n
capannone di Grisignano di Zocco dove era stata immagazzinata la merce acquistata da Eurofood.
Complice del Di C., S.M. sarebbe stato il collaboratore
all’estero del Di C. Lo stesso S. ha ammesso nell’interrogatorio del 7 luglio 2006:
– di essersi interessato per collocare all’estero la merce
acquistata dalle società riconducibili al Di C.;
– di aver versato i proventi dell’attività delittuosa in
conti esteri, di aver fornito la liquidità nella fase iniziale
dell’attività delle varie imprese per simulare una solidità
economica delle stesse;
– di aver gestito i c/c esteri intestati a società del gruppo e anche alla Eurofood S.a.s.
Risulta infine che una società estera riconducibile al S.,
la Anglo Italian Catering Ltd di Aberdeen, avrebbe
emesso assegni in favore di Eurofood per euro
211.908,57, incassati dal P.
La partecipazione di P.C. all’attività delittuosa emergente
dagli atti di indagine è consistita nelle seguenti attività:
– collaborazione con P. e Di C. nel trasferimento della
merce acquistata dalla fallita Eurofood presso il capannone sito a Castel d’Ario (Mantova) locato dalla società Hosar srl riconducibile al P.;
– disponibilità a far transitare sul c/c intestato alla società Import Drink di P.C. S.a.s. proventi derivanti da
vendite eseguite dalla Eurofood per euro 919.622,47;
– accettazione di finanziamenti alla Import Drink di
P.C. e alla Hosar S.r.l. (di cui il P. è socio) provenienti
da banche estere sui conti delle quali operava il S. (interrogatorio S. del 10 luglio 2006 e 7 luglio 2006);
– coordinamento con il latitante S. emergente dalla
conversazione telefonica del 24 marzo 2006 riportata
nell’ordinanza GIP a pag. 23 ss. per l’attuazione di una
operazione di vendita all’estero di beni acquistati dall’organizzazione;
– utilizzo di carte di credito rilasciate alla Eurofood pur
non ricoprendo il P. alcun ruolo amministrativo nella
società fallita;
– collaborazione nell’organizzare la fuga all’estero del P.
Il ruolo di B.A., commercialista, sarebbe invece stato
quello di ricercare le società da utilizzare per gli scopi illeciti e acquisirne le quote; di ricostruire la contabilità
di tali aziende (quantomeno Eurofood e Omnia secondo le indicazioni del Di C.) e di fungere da tramite tra
P. e Di C. La professionista avrebbe inoltre fornito domiciliazione presso il suo studio ad altre società coinvolte nell’attività quali Ristorazione Alla Perla e Import
Drink di P.C.
2) Qualificazione dell’attività in termini di attività imprenditoriale
Recita l’art. 2082 c.c.: «È imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine
della produzione o dello scambio di beni o di servizi».
Il carattere imprenditoriale dell’attività illecita svolta
dalla prospettata S.D.F. non è ravvisabile nelle attività
commerciali svolte dalle società concretamente gestite
GIURISPRUDENZA . FALLIMENTO
dai fallendi pur senza ricoprire ruoli formali al loro interno.
Le società-strumento hanno infatti una propria e diversa soggettività giuridica rispetto alle persone fisiche che
tramite di esse hanno operato.
Piuttosto l’attività imprenditoriale riconducibile alle
persone fisiche convenute è quella consistita nella acquisizione di quote di società di persone o di capitali;
nella gestione coordinata di tali partecipazioni, spesso
intestate a prestanomi; nel finanziamento di tali società;
nell’esercizio del controllo e della gestione delle società
direttamente o indirettamente partecipate.
Per l’esercizio di tale attività risulta apprestata dai convenuti una articolata organizzazione di uomini e mezzi
sia in Italia che all’estero operante in più luoghi del territorio nazionale e in diversi settori dell’economia.
Il carattere organizzato dell’attività è confermato dal fatto che la associazione poteva usufruire di finanziamenti
cospicui nella fase iniziale dell’attività e aveva la disponibilità di una pluralità di magazzini sul territorio nazionale utili al deposito, stoccaggio e smercio dei beni acquistati che vennero utilizzati da più società fra quelle
coinvolte nella vicenda.
La professionalità dell’attività va individuata nel fatto
che essa veniva svolta stabilmente, in modo continuativo, nell’arco di numerosi anni, con il sostegno di apparati organizzativi appositamente creati.
La finalità di scambio o produzione di beni e servizi va
inquadrata nell’attività finanziaria di gestione di partecipazioni, amministrazione di società e finanziamento e risulta svolta dai consociati nella forma di una sorta di società capogruppo delle società partecipate.
Dunque l’attività svolta può configurarsi come attività
d’impresa ai sensi dell’art. 2082 c.c.
3) Configurabilità di una società di fatto
Il contratto di società, secondo il disposto dell’art. 2247
c.c. è quello in cui due o più persone conferiscono beni
o servizi per l’esercizio in comune di una attività economica allo scopo di dividerne gli utili.
Che la cooperazione tra i soggetti dei quali è stato chiesto il fallimento possa essere qualificata come una società di fatto emerge dalla comprovata esistenza, ammessa
dagli stessi associati, della cosiddetta affectio societatis ovvero un accordo comune diretto a porre in essere operazioni di acquisto di ingenti quantità di merci, prevalentemente attinenti all’attività di ristorazione, che venivano celermente rivendute in Italia e all’estero, anche sottocosto, senza il pagamento delle forniture, ma con incasso dei proventi delle vendite poi distribuiti fra gli associati.
Le modalità di esercizio in comune dell’attività economica e la divisione dei compiti gestionali tra i ritenuti
soci di fatto sono già state illustrate.
La finalità di lucro, anche se in concreto contrastante
con il profitto dei singoli enti gestiti e a tutto beneficio
degli associati, è stata realizzata perché la gestione delle
partecipazioni e l’attività di direzione e coordinamento
di società ha comportato dei proventi parte dei quali sono stati investiti in ulteriori operazioni gestite dagli associati e altra parte sono stati distribuiti tra gli stessi associati.
Le dichiarazioni degli associati secondo cui tutti i compartecipi beneficiavano dei proventi dell’attività configura la divisione degli utili che lo schema societario richiede.
Il guadagno derivante dalla vendita delle merci acquistate e non pagate rappresenta infatti una forma di introito economico, ai danni delle società utilizzate per la
truffa e dei loro creditori, che veniva diviso tra i convenuti ed era diretto a remunerare l’attività dei soci gestori. La divisione dei guadagni, sia pure in misura diversa
tra gli associati, è stata ammessa negli interrogatori resi
da P. e S.; essa risulta inoltre confermata dal tenore delle comunicazioni telefoniche tra Di C. e B. del 14 marzo 2006 riportata nell’ordinanza di custodia cautelare a
pag. 18 e 19 e del 28 marzo 2006 menzionata a pag. 29
della predetta ordinanza di custodia cautelare.
L’azione degli associati si è palesata anche nei rapporti
esterni ed è stata tale da ingenerare nei terzi (sia fornitori che funzionari di banca) l’affidamento circa il ruolo
di socio non solo dei formali amministratori o soci di alcune società coinvolte (P. e P.), ma anche di soggetti
(Di C.) che formalmente non rivestivano alcuna carica
e tuttavia si qualificavano, nei rapporti con i terzi, come
referenti delle società-schermo.
L’accordo fra gli associati, nei rapporti interni, appare
incompatibile con accordi diversi da quelli fra soci e, in
particolare con rapporti di carattere professionale.
In particolare esula dal preteso rapporto di lavoro subordinato il ruolo effettivamente esercitato dal P. il quale,
pur affermando di aver svolto solo mansioni esecutive,
risulta invece aver avuto un ruolo gestorio significativo
(egli infatti ha operato sui c/c intestati alla società Eurofood S.a.s.; ha accettato - in qualità di titolare o socio
di Import Drink di P.C. e di Hosar S.r.l. - finanziamenti
per cospicui importi provenienti da banche estere sui
conti delle quali operava il S. (interrogatorio Siciliano
10 luglio 2006 e 7 luglio 2006); ha locato (tramite la
Hosar S.r.l.) immobili utilizzati per lo stoccaggio della
merce acquistata; ha fatto transitare sul c/c intestato alla
società Import Drink di P.C. proventi derivanti da vendite eseguite dalla Eurofood per euro 919.622,47; ha
concordato con S. le modalità di consegna di alcune
forniture - cfr. conversazione telefonica riportata alle
pagg. da 23 a 30 dell’ordinanza di custodia cautelare
GIP.
Analogamente B.A. non sembra aver svolto il ruolo di
mera consulente contabile dal momento che, al di là
della ricostruzione della contabilità di alcune delle società coinvolte secondo le direttive date dal Di C., suo
sarebbe stato il compito di individuare società ormai decotte da utilizzare come schermo e strumento per la realizzazione dell’attività d’impresa, di fornire domiciliazione presso il suo studio professionale ad alcune delle so-
IL FALLIMENTO N. 4/2007
LA RIFORMA
n
417
GIURISPRUDENZA . FALLIMENTO
LA RIFORMA
cietà coinvolte nella truffa (Ristorazione La Perla S.r.l.,
Omnia S.r.l., Import Drink di P.C.), di individuare il P.
(amico e socio di familiari della B.) come il soggetto disponibile a fungere da rappresentante legale di alcune
delle società utilizzate nella truffa (Eurofood e Omnia
S.r.l.).
In conclusione ritiene il Collegio che sia stata provata
l’esistenza di una società di fatto tra i soggetti convenuti
i quali, direttamente o indirettamente erano i titolari
delle quote delle società impegnate nella realizzazione
del disegno criminoso illustrato nonché gli unici beneficiari delle operazioni poste in essere dalle singole società
partecipate.
4) Qualifica dell’attività imprenditoriale come holding
e fallibilità della stessa
Nel caso in esame hanno agito imprenditorialmente
persone fisiche e giuridiche.
Se le società hanno svolto le operazioni commerciali,
tutte le decisioni rilevanti e l’attività di direzione e di
coordinamento sono state prese dagli associati di cui il
P.M. ha chiesto il fallimento. Questi ultimi erano gli effettivi imprenditori operanti, mentre le società utilizzate
per il raggiungimento dello scopo illecito erano un vuoto simulacro di cui gli associati si servivano come strumenti operativi dell’attività d’impresa.
La realtà economica delle cose vede quindi i fallendi
come gli effettivi imprenditori ex art. 2082 c.c. Essa
inoltre vede sovvertite le regole del diritto societario:
vengono infatti elusi i limiti propri della autonomia patrimoniale delle società i cui patrimoni risultano confusi
con quelli personali dei veri soci o con quelli di altre società del gruppo; del pari vengono violate le norme sulla formazione assembleare della volontà sociale perché i
formali soci eseguono le decisioni prese dai fallendi;
non viene rispettata la effettiva soggettività delle società
di capitali che non operano tramite i formali amministratori, ma tramite gli associati che spesso non rivestono alcun ruolo formale nelle società amministrate; nella
gestione delle imprese poi i fallendi esorbitano dai limiti
consentiti dall’ordinamento mirando ad ottenere non
un beneficio economico per le singole società di fatto
amministrate, ma un profitto proprio.
La giurisprudenza che ha analizzato fattispecie simili a
quella descritta le ha ricondotte alla figura della holding
personale, eventualmente costituita in società di fatto
(in particolare le sentenze della Cass. n. 1439/90 e n.
3724/2003).
A prescindere dalla qualificazione giuridica della descritta s.d.f. come holding, nella realtà economica la s.d.f. in
esame corrisponde a quella descritta al primo comma
dell’art. 2497 c.c.
La società di fatto esercitata dai fallendi ha infatti svolto
attività di direzione e coordinamento di società, ma ha
agito nell’interesse imprenditoriale proprio, in violazione
dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime.
Da ciò deriva, in base alla norma in esame, la diretta re-
418
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n
sponsabilità della s.d.f. nei confronti dei creditori sociali
per la lesione cagionata all’integrità del patrimonio delle
società.
Se dunque si ritiene che esista una società di fatto svolgente attività d’impresa la quale abbia assunto, in virtù
dell’art. 2497 c.c. obbligazioni risarcitorie quantomeno
nei confronti dei creditori delle società fallite per i danni subiti, laddove sia dimostrata l’insolvenza, tale società
è senz’altro fallibile.
Qualora poi sia possibile configurare tale società come
una holding che possieda, anche in via di fatto, le quote
delle società commerciali utilizzate come strumento, la
fallibilità è confermata dall’evoluzione giurisprudenziale
che, a partire dal 1990, ha ammesso la fallibilità della
società finanziaria capogruppo di società partecipate insolventi.
La configurabilità di una sorta di società di fatto capogruppo costituita dai fallendi pare sussistere, secondo i
principi elaborati dalla giurisprudenza, in quanto ricorrono i presupposti dell’organizzazione di mezzi dell’holder
e dell’autonoma economicità.
Rispetto all’organizzazione di mezzi e persone, tutti gli
associati si sono occupati direttamente e personalmente,
con ripartizione di compiti, di distinti aspetti amministrativi o commerciali delle società-strumento, chi intrattenendo rapporti con i fornitori, chi assumendo e licenziando il personale, chi ricercando i locali in cui
svolgere l’attività, chi coordinando l’attività del gruppo
anche mediante la ricerca e acquisto delle società attraverso le quali operare.
Quanto al requisito dell’economicità, l’utilità aggiuntiva
derivante al gruppo di società e agli associati deriva dal
fatto che, senza la descritta opera di coordinamento, anche finanziario, senza gli interventi personali presso le
banche finanziatrici, senza l’ausilio di professionisti qualificati (B.) e di referenti all’estero (S.), le singole società non avrebbero avuto tutta la disponibilità finanziaria
che invece hanno avuto né avrebbero potuto raggiungere i volumi d’affari realizzati.
Tale utile aggiuntivo d’impresa ovvero un utile economico non altrimenti ipotizzabile in assenza della attività
di gestione della capogruppo nel caso di specie va identificato con il beneficio esclusivo realizzato dai soci dell’holding.
La giurisprudenza anteriore alla riforma del diritto societario richiedeva un ulteriore elemento per la configurabilità dell’holding e della sua responsabilità per le obbligazioni assunte per conto delle società partecipate e cioè
la spendita del nome proprio da parte dell’holder o degli
associati.
Dagli atti della procedura solo Di C. S. (e P.P., ma quest’ultimo in veste di amministratore) ha in proprio chiesto finanziamenti a funzionari di banca in favore di società partecipate.
Si ritiene tuttavia che il requisito della spendita del nome non abbia più oggi la rilevanza in passato richiesta.
Infatti nel previgente sistema la responsabilità della ca-
n
GIURISPRUDENZA . FALLIMENTO
danneggiato le società partecipate impoverendone il patrimonio e i creditori delle stesse.
5) Stato d’insolvenza
Se la ritenuta holding tra i convenuti e questi ultimi personalmente rispondono delle obbligazioni delle società
di fatto partecipate, l’insolvenza di tali società, già accertata da più di un tribunale italiano, comprova l’esistenza
di obbligazioni da adempiere.
Tali obbligazioni sono senz’altro quelle di Eurofood
S.a.s., (superiori al milione di euro) e di Cedibe S.r.l.
(con passivo accertato di euro 1.053.616) ma sono anche quelle delle società fallite per le quali è stata acquisita (o lo sarà) la prova della diretta gestione e finanziamento dei convenuti e dell’attività di direzione e coordinamento dagli stessi esercitata.
La s.d.f. dovrà inoltre rispondere anche delle obbligazioni di società non fallite che tuttavia non risultino in
grado di soddisfare i propri creditori(ad esempio Cedive
S.a.s.).
Posto che nessuno dei convenuti ha dimostrato la capacità della s.d.f. di soddisfare le obbligazioni assunte; considerato che la ritenuta società capogruppo è ormai
inattiva e i soci sono sottoposti a misure cautelari; tenuto conto che le quote delle partecipate sono soggette a
provvedimenti di sequestro o sono prive di qualsiasi valore a causa del fallimento delle società partecipate, appare evidente l’irreversibilità attuale dello stato d’insolvenza.
(omissis).
LA RIFORMA
pogruppo sussisteva laddove la holding avesse assunto,
anche in via di fatto, la veste di socia unica delle società controllate (art. 2362 e, per l’ipotesi di insolvenza
art. 2497 c.c.). In considerazione della obiettiva difficoltà di dimostrare la partecipazione totalitaria, la giurisprudenza aveva richiesto la spendita del nome del socio facendo derivare da ciò l’assunzione in capo al socio holder della responsabilità per le obbligazioni assunte in nome proprio anche se per conto della società partecipata.
Diversamente l’attuale art. 2497 prescinde dalla posizione di unico quotista, ma è piuttosto espressione del
principio secondo cui la conservazione del beneficio
della responsabilità limitata non può prescindere dal rispetto di certe regole ovvero solo il rispetto delle norme
codicistiche e dei principi che regolano il diritto societario consente al socio di evitare la commistione delle
proprie obbligazioni con quelle della società partecipata.
Pertanto laddove le deliberazioni della controllante cagionano pregiudizio alle singole controllate non vi è ragione per tutelare l’autonomia patrimoniale della società
capogruppo rispetto alle controllate.
Nel caso di specie, si è verificato proprio questo: l’attività imprenditoriale è stata svolta dietro lo schermo di società di capitali che sono state private della loro autonomia decisionale e patrimoniale in quanto le direttive
non transitavano dalle assemblee, né dagli amministratori, ma finivano direttamente a chi le doveva eseguire
e inoltre la direzione vincolante della capogruppo ha
Dal socio tiranno al dominus abusivo
di Francesco Fimmanò
I provvedimenti in esame offrono all’Autore un’interessante occasione di riflessione sul tema dell’imprenditore occulto e, alla luce del novellato testo dell’art. 147
l. fall., del fallimento in estensione con particolare riferimento all’abuso di dominio sull’impresa eterodiretta.
1. L’evoluzione dell’assetto normativo
Le sentenze in epigrafe offrono lo spunto per analizzare la rivoluzione prodotta dalle riforme del diritto societario e del diritto fallimentare sul tema di diritto
commerciale più dibattuto degli ultimi cinquant’anni
ossia quello che convenzionalmente e complessivamente
possiamo definire dell’imprenditore occulto ovvero dell’ampia e diversificata casistica in cui l’imprenditore, individuale o collettivo, che spende il proprio nome nell’esercizio dell’attività economica, è in realtà eterodiretto
da altro imprenditore, individuale o collettivo.
I provvedimenti, pur articolati, risentono in modo
sensibile dei consolidati orientamenti giurisprudenziali
del passato. E pur se in alcuni punti manifestano ten-
denze evolutive (in particolare la sentenza del Tribunale
di Vicenza), non arrivano a recepire i risultati della intervenuta rivoluzione e cioè che le variegate fattispecie
di imprenditore occulto e soprattutto le connesse tecniche di reazione all’abuso della personalità giuridica, ed in
particolare quella dell’estensione del fallimento (come
intesa finora), sono definitivamente superate dal nuovo
impianto normativo che pone al centro del sistema la
responsabilità derivante dall’attività di abusivo dominio sull’impresa.
Quando l’impresa o le imprese dominate sono società
di capitali eterodirette contro l’interesse sociale, e cioè
utilizzate come veicolo di una condotta economica e
strategica unitaria nell’interesse extrasociale, la questione
non è più l’imputazione sostanziale degli atti (1), né l’a-
Nota:
(1) W. Bigiavi, L’imprenditore occulto, Padova, 1954; Id., Difesa dell’«Imprenditore occulto», Padova, 1962.
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419
GIURISPRUDENZA . FALLIMENTO
LA RIFORMA
buso della personalità giuridica (2), né lo squarcio della
segregazione (3), né la simulazione di società (4), né la
trasformazione tacita in società in nome collettivo irregolare (5), né il ripristino della regola della responsabilità illimitata di cui all’art. 2740 c.c. (6), ma appunto l’abuso dell’attività di dominio.
La normativa di cui agli artt. 2497 ss. c.c., unitamente a quella di cui agli artt. 147 ss. l. fall., esclude la possibilità dello squarcio della segregazione mediante la
«estensione» della responsabilità, che rimane una tecnica possibile solo per le società di persone e per la società
in accomandita per azioni, per tipi cioè che contemplano una connaturata responsabilità illimitata dei soci o
di alcuni di essi (gli accomandatari) (7).
Il nuovo comma 1 dell’art. 147, l. fall., infatti, circoscrive espressamente la regola dell’estensione ai soci,
pur se non persone fisiche, illimitatamente responsabili,
di società appartenenti «ad uno dei tipi regolati nei capi
III, IV e VI del Titolo V del Libro V del codice civile».
Per queste ultime in assenza di dati formali per l’imputazione della responsabilità, la scelta normativa non è l’esistenza nell’ordinamento di criteri di imputazione sostanziale diversi dalla spendita del nome oppure l’assimilazione, altrettanto sostanziale ed improbabile, tra socio illimitatamente responsabile e imprenditore individuale,
ma una vera e propria eccezione normativa che altri ordinamenti hanno peraltro abbandonato (8). Eccezione
che il legislatore fallimentare, alla luce dell’art. 2361
c.c., inevitabilmente (e per alcuni versi pleonasticamente) ha esteso anche alle persone giuridiche che rivestano la qualità di soci illimitatamente responsabili della
fallita.
Tuttavia questa restrizione dell’alveo di applicazione
produce un risultato sistematico ben più rilevante: la
tecnica dell’estensione, mentre nelle società contemplate nel nuovo comma 1 dell’art. 147, l. fall., non produce alcun superamento del diaframma della personalità,
nelle altre società di capitali lo avrebbe prodotto. Tant’è
che l’approdo finale della teoria dell’imprenditore occulto
era la ripercussione del fallimento sul socio tiranno. In
estrema sintesi tale teoria partendo, come noto, dalla disciplina, di cui all’art. 147 l. fall., del fallimento del socio occulto di società palese, passando, attraverso l’applicazione analogica della norma citata, al fallimento
del socio occulto di società occulta e della società stessa,
arrivava ad affermare sempre in via analogica, il fallimento dell’imprenditore individuale occulto che dirigeva il suo prestanome. Tale impostazione, attraverso poi
la trasposizione nell’ambito delle società di capitali, arrivava a teorizzare il fallimento del socio tiranno, cioè del
socio che si serve della società come cosa propria al fine
di perseguire fini ed interessi del tutto personali (9). La
Note:
(2) Sul tema dell’abuso della personalità giuridica cfr. tra gli altri A. Nigro, Le società per azioni nelle procedure concorsuali, in Trattato delle società
per azioni, diretto da G.E. Colombo - G.B. Portale, vol. 9, tomo 2, Tori-
420
IL FALLIMENTO N. 4/2007
n
no, 1993, 433; B. Inzitari, La vulnerabile persona giuridica, in Contr. e impr.,
1985, 679 ss.; M. Fabiani, Società insolvente e responsabilità del socio unico,
Milano, 1999; V. Franceschelli - M. Lehmann, Superamento della personalità giuridica e società collegate: sviluppi di diritto continentale, in Responsabilità
limitata e gruppi di società, Milano, 1987, 71 s.; C. Esposito, La categoria
dell’abuso nella personalità giuridica dopo la riforma del diritto delle società di capitali, in Riv. dir. priv., 2006, 5 s.
(3) Ci riferiamo ad elaborazioni ispirate alle tecniche utilizzate in altri ordinamenti, ed in particolare a quella del piercing the corporate veil (cfr. M.
Tonello, L’abuso della responsabilità limitata nelle società di capitali, Padova
1999, 2; J. Garrido, Preferenza e proporzionalità nella tutela del credito, Milano 1998, 358) e della Durchgriffshaftung (al riguardo per tutti l’autorevole
ricostruzione di G.B. Portale, Capitale sociale e società per azioni sottocapitalizzata, in Riv. soc., 1991, 3 s.).
(4) Nel senso che la società rappresenterebbe solo una simulazione per
occultare nei confronti dei terzi la diversa volontà dei soci riconducibile
alle cause di nullità di cui all’art. 2332 c.c. (Cass. 30 giugno 1955, n.
2016, in Dir. fall., 1955, II, 609, V. Salandra, Le società fittizie, in Riv. dir.
comm., 1932, I, 290; A. Cicu, Simulazione di società commerciali, ivi, 1936,
II, 141).
(5) F. Ferrara jr., Società etichetta e società operante, in Riv. dir. civ., 1956,
II, 668.
(6) Il riferimento è alla nota teoria dell’imprenditore indiretto, in base alla quale la persona giuridica sarebbe solo uno strumento del linguaggio
che riassume quella speciale disciplina che, in deroga al diritto comune,
l’ordinamento avrebbe previsto per limitare la responsabilità delle persone
fisiche in presenza di determinati presupposti, a condizione che siano rispettate le regole del diritto societario e la cui violazione comporta abuso
della personalità giuridica e ripristino della regola della responsabilità illimitata (F. Galgano, I gruppi di società, in Trattato, diretto da F. Galgano,
Torino, 2001, 231 s.; T. Ascarelli, Problemi giuridici, I, Milano, 1959,
233).
(7) La scelta del legislatore di circoscrivere l’estensione a quei soli soci responsabili illimitatamente per mero connotato tipologico della società
può generare qualche dubbio sulla fallibilità in estensione dell’accomandante che si è ingerito nella gestione, che pure risponde illimitatamente
per tutte le obbligazioni sociali a norma dell’art. 2320 c.c. In passato abbiamo sostenuto la tesi della fallibilità con la precisazione che l’estensione
non poteva riguardare l’accomandante occulto se non si dimostrava anche l’ingerenza nella gestione (al riguardo mi permetto di rinviare a F.
Fimmanò, Affectio societatis, affectio familiaris ed accomandante occulto, in
Riv. not., 1996, II, 1246 s.). Tuttavia il sistema delineato dal legislatore
potrebbe portare all’assimilazione della responsabilità dell’accomandante
ingerito col socio unico di società di capitali che non goda della limitazione, tenuto conto che la responsabilità non è istituzionale né tipologica
ma una conseguenza di una violazione. Tuttavia ci pare che la qualificazione di socio illimitatamente responsabile di una società in accomandita
- che l’accomandante comunque acquista con l’ingerenza - lo faccia rientrare a pieno titolo nell’alveo di applicazione (in questo senso era orientata la giurisprudenza prima della riforma Cass. 6 giugno 2000, n. 7554, in
questa Rivista, 2001, 555; Cass. 28 aprile 2004, n. 8093, ivi, 2005, 905; e
la dottrina prevalente: R. Vigo, Il fallimento delle società, in Le procedure
concorsuali. Il fallimento, Trattato diretto da G. Ragusa Maggiore - C. Costa, Torino 1997, 760).
(8) È stato evidenziato che il principio antico dell’automatico assoggettamento dei soci illimitatamente responsabili al fallimento in ripercussione
della procedura aperta a carico della società (già contenuto nell’art. 847
del codice di commercio del 1882) è una scelta normativa che non presenta connotati di necessarietà (A. Nigro, Articolo 147, in Il nuovo diritto
fallimentare, (diretto da) A. Jorio (coordinato da) M. Fabiani, vol. II, Torino, 2007, 2169). Tant’è che molte legislazioni lo hanno da tempo superato (da ultime la legge di riforma spagnola del 9 luglio 2003 e quella francese del 26 luglio 2005).
(9) W. Bigiavi, L’imprenditore occulto, cit.; Id., Difesa dell’Imprenditore occulto, cit.; Id., Responsabilità del socio tiranno, in Foro it., 1960, I, 1180; Id.,
Società controllata e società adoperata «come cosa propria», in Giur. it., 1959,
I, 1, 623; Id., Fallimento dei soci sovrani, pluralità di imprenditori occulti, confusione di patrimoni, ivi, 1954, I, 2, 691; Id., L’imprenditore occulto nelle società di capitali e il suo fallimento «in estensione», ivi, 1959, I, 2, 149; Id., «Im(segue)
GIURISPRUDENZA . FALLIMENTO
ricostruzione per cui il socio illimitatamente responsabile fallisce anche se non se ne spende il nome - funzionale ad affermare che nell’ordinamento oltre alla spendita del nome esiste un criterio di imputazione sostanziale degli atti di impresa in capo al soggetto nel cui interesse vengono posti in essere - non serviva al risultato
teorico di giustificare la norma di cui all’art. 147 l. fall.,
ma di estenderla a fattispecie non espressamente contemplate.
La restrizione dell’alveo di applicazione traccia una
linea di demarcazione netta nel senso che la norma costituisce una eccezione per i soci illimitatamente responsabili di alcuni tipi di società (10). Tant’è che fuori da
questi casi non c’è la responsabilità patrimoniale «automatica» in estensione, ma deve esserci altro: l’autonomo accertamento dell’abuso del dominio sull’impresa. In
questa indagine il momento centrale non è dato da indici formali come la qualità di socio unico (diretto o indiretto), oppure l’esistenza di un contratto di dominazione,
ma dalla configurazione di una attività di direzione dell’impresa, individuale o collettiva, abusiva cioè contro
l’interesse dell’impresa eterodiretta e in violazione dei
principi di corretta gestione imprenditoriale. I titolari di
pretese creditorie, in senso lato, di società insolventi,
potranno agire contro il dominus, e laddove sia a sua
volta qualificabile come imprenditore insolvente e ne
esistano i requisiti, chiederne l’autonomo fallimento.
Lo spartiacque crea due versanti: quello del fallimento dell’imprenditore individuale e delle società di persone ed in accomandita per azioni, dove si rafforza e si
amplia la regola dell’estensione; e quello della società di
capitali dove viene definitivamente esclusa (11).
In questo senso vanno anche i commi 4 e 5 del nuovo art. 147 l. fall., che contemplano il fallimento in
estensione del socio occulto, scoperto dopo la dichiarazione di fallimento della società, ma soprattutto il fallimento in estensione della società occulta (12) insolvente (13) e dei soci illimitatamente responsabili (14)
quando si scopra successivamente il carattere societario
dell’impresa individuale originariamente dichiarata insolvente.
Viceversa, la ripercussione del fallimento di una società di capitali sull’imprenditore occulto, sulla holding
di fatto od occulta, sul socio tiranno, sull’azionista sovrano, sull’amministratore di fatto, non può più passare,
neppure sul piano meramente teorico, attraverso il tentativo di trovare nell’art. 147 l. fall., un principio generale di imputazione diverso dalla spendita del nome (15),
ma passa attraverso il microsistema normativo di cui
agli artt. 2497 ss. c.c.: in ogni caso non si tratterà di
squarcio del velo della personalità ma di responsabilità da
abusivo dominio, che potendo talora configurare un esercizio professionale dell’attività d’impresa può generare,
in caso di insolvenza, l’assoggettamento a procedure
concorsuali del dominus. Si tratta evidentemente di procedura del tutto autonoma cui può dare impulso il curatore od il commissario cui l’art. 2497, comma 4 c.c., at-
tribuisce la legittimazione all’azione nel caso di fallimento, liquidazione coatta e amministrazione straordinaria
di società soggetta ad altrui direzione e coordinamento.
Anche la responsabilità illimitata per le obbligazioni
sorte nel periodo in cui il socio era azionista o quotista
unico, che non ha adempiuto ai dettami di cui agli artt.
2325, comma 2, e 2462, comma 2 c.c., non produce
più infatti alcuna estensione visto che l’art. 147 l. fall.,
novellato esclude dall’ambito applicativo società per
azioni ed a responsabilità limitata (16).
LA RIFORMA
n
Note:
(segue nota 9)
prese di finanziamento» come surrogati del socio tiranno-imprenditore occulto,
ivi, 1967, IV, 49. Contra: per primo T. Ascarelli, Società di persone tra società; imprenditore occulto; amministratore indiretto; azionista sovrano, in Foro
it., 1956, I, 405; Id., Ancora sul socio sovrano e sulla partecipazione di una società di capitali ad una società di persone, ivi, 1957, I, 14433.
(10) In tal senso ormai consolidato in giurisprudenza, cfr. tra le altre Cass.
4 giugno 1992, n. 6852, in questa Rivista, 1992, 928; Cass. 24 luglio
1997, n. 6925, in Dir. fall., 1998, II, 906.
(11) In senso diametralmente opposto andava il primo progetto di riforma della Commissione c.d. Trevisanato che all’art. 5, primo comma, lett.
c) (testo di maggioranza) prevedeva: «[...] l’estensione della procedura a
chi, ancorché socio limitatamente responsabile, ha fraudolentemente disposto della società insolvente come di cosa propria ovvero, nell’interesse
proprio o di terzi, dolosamente attuato una gestione idonea a determinare
l’insolvenza». Analogo il tenore dell’art. 37 del progetto della seconda
commissione Trevisanato, che prevedeva l’estensione della procedura di
liquidazione concorsuale anche ai «soci che, pur se limitatamente responsabili, hanno disposto, anche indirettamente, dei beni sociali come di cosa propria attuando fraudolentemente, nell’interesse proprio o di terzi, una
gestione che ha determinato l’insolvenza».
(12) Il nuovo comma 5 dell’art. 147 l. fall., sulla medesima linea dell’art.
24 D.lgs. n. 270/1999, sancisce che se dopo la dichiarazione di fallimento
di un imprenditore individuale risulti che l’impresa è riferibile a una società di cui il fallito è socio illimitatamente responsabile il tribunale su istanza del curatore, di un creditore, di un socio fallito, dichiara il fallimento
degli altri soci illimitatamente responsabili.
(13) Evidentemente il tribunale oltre che accertare il carattere societario
dell’impresa dovrà accertarne anche l’insolvenza, non essendo sufficiente
l’accertamento già compiuto nei confronti dell’imprenditore-socio, dichiarato fallito, la cui insolvenza potrebbe ricollegarsi ad obbligazioni personali.
(14) È inevitabile la dichiarazione di fallimento anche della società, pure
se il combinato disposto dei commi 4 e 5, dell’art. 147 l. fall., fa riferimento letterale ai soli soci illimitatamente responsabili. Né è condivisibile ragionare in termini di dichiarazione implicita di fallimento della società
(Cass. 6 dicembre 1996, n. 10889, in questa Rivista, 1997, 715). Si è giustamente affermato che l’utilizzazione del meccanismo processuale dell’art.
147, comma 4, l. fall., anche nel caso di società successivamente scoperta
deve essere vista solo come semplificazione del procedimento, evitando
che si debba procedere a revocare il fallimento dell’apparente imprenditore individuale ed a dichiarare contestualmente il fallimento della società e
quindi di nuovo del suddetto imprenditore, questa volta in qualità di socio (A. Nigro, Articolo 147, cit., 2182, n. 57).
(15) La eccezione di cui al 147, comma 1, l. fall., si applica ora espressamente alle S.a.p.a. come peraltro riteneva già la dottrina prevalente (cfr.
A. Nigro, Il fallimento del socio illimitatamente responsabile, Milano, 1974,
10 s.) anche se non mancavano posizioni in senso contrario (Cfr. per tutti R. Costi, L’azionista accomandatario, Padova, 1969, 218 s.).
(16) Da ultimo sul rapporto tra art. 2462, comma 2 c.c., ed art. 147 l.
fall. (prima della riforma) cfr. Trib. Roma 9 giugno 2004, in Dir. fall.,
2005, 1037, con nota di A. Gangemi, Il fallimento in estensione del socio
unico di società a responsabilità limitata.
IL FALLIMENTO N. 4/2007
421
GIURISPRUDENZA . FALLIMENTO
LA RIFORMA
L’esclusione dall’alveo della fallibilità dell’unico azionista produce a cascata una serie di conseguenze sulle
applicazioni, analogiche od estensive, che si fondavano
su questo presupposto.
L’eventuale autonomo fallimento del socio unico
non è ricollegabile allo status di socio, ma al fatto che
lo stesso abbia esercitato un dominio abusivo, utilizzando questa condizione ma in linea di principio anche
prescindendo da questa (17) e sia qualificabile imprenditore commerciale insolvente. Peraltro mentre la legittimazione del curatore ad escutere il socio unico in
quanto tale è discussa e discutibile, non rientrando tra
le azioni esperibili dalla società (18), quella ad escuterlo
come eventuale dominus abusivo è, come visto, espressamente contemplata dalla legge.
Il nuovo quadro normativo supera quindi del tutto
anche le elaborazioni della c.d. supersocietà, ossia una società di fatto tra persone fisiche e società di capitali (19), e della holding tiranna, riadattata da una certa
giurisprudenza (20), che applicando analogicamente ovvero estensivamente (21), la regola della responsabilità
illimitata del socio unico, ne affermava l’imputazione
delle passività di ciascuna società del gruppo (22), pervenendo alla fine alla fallibilità di tale socio unico (23).
2. La fattispecie dell’abuso del dominio
sull’impresa eterodiretta
La fattispecie in esame non pone dunque problemi
di partecipazione totalitaria o di intestazione fittizia, né
di mandato o di rappresentanza, né di imputazione degli
atti o di imputazione della conoscenza, ma di imputazione dell’attività di dominio, della ricorrenza di un abuso
della direzione e del coordinamento ed eventualmente
di organizzazione professionale della stessa attività.
L’attività di dominio è di per sé lecita e configura
Note:
(17) L’impostazione che la eventuale responsabilità del socio unico in
quanto tale non possa essere fatta valere dal curatore del fallimento sociale (Cass 27 maggio 1997, n. 4701, in Dir. fall., 1998, II, 43; Trib. Roma
3 maggio 1996, in Giur. it., 1996, I, 708; Trib. Milano 12 gennaio 1984,
in Banca, borsa, tit. cred., 1985, II, 296; in dottrina dopo la riforma nello
stesso senso V. Caridi, Articolo 147, in La riforma della legge fallimentare, a
cura di Nigro - Sandulli, tomo II, Torino, 2006, 901; contra: F. Guerrera,
Il fallimento delle società, in www.fallimentonline.it, che dopo aver lamentato
il mancato intervento del legislatore delegato rileva che la concentrazione
della legittimazione in capo al curatore sia una soluzione più razionale ed
efficiente per la massa dei creditori). Cfr. sul tema A. Nigro, Società unipersonali e procedure concorsuali, in Scritti in onore di Vincenzo Buonocore,
Milano, 2005, II, 1395.
(18) In questo senso già la giurisprudenza della Cassazione (Cass. 27 maggio 1997, n. 4701, cit.; Cass. 28 aprile 1994, n. 4111, in questa Rivista,
1994, 1239), anche se ampio e variegato l’orientamento contrario in dottrina ed in giurisprudenza (sul quale cfr. M. Fabiani, Società insolvente e responsabilità del socio unico, cit.).
(19) Al riguardo T. Ascarelli, Imprenditore occulto e partecipazione di una società di capitali ad una società di persone, in Foro it., 1959, I, 1519; G. Romano Pavoni, Imprenditore occulto e società di fatto tra persone fisiche e società di
capitali, in Riv. dir. comm., 1952, II, 53. L’impraticabilità della ricostruzione
non è più collegata, per effetto della riforma del diritto societario, alla nullità della partecipazione di società di capitali a società di persone (Trib.
422
IL FALLIMENTO N. 4/2007
n
Campobasso 18 settembre 2003, in Riv. giur. mol. sannio, 2004, 25, con
nota di F. Angiolini, Il CasoˆNuova Europa 2000¤: la holding di fatto).
(20) Cfr. Trib. Messina 15 febbraio 1996, in Giust. civ., IV, 1996, 1799;
in Giur. it., 1996, I, 2, 533, con nota di E. Gliozzi e in questa Rivista,
1996, 792, con nota di M. Maienza; Trib. Bologna 23 ottobre 1998, in
Dir. fall., 1999, II, 11254; in Società, 2002, 333, con nota di M. Petruzziello, Una singolare crisi di identità: la holding di fatto si trasforma in socio unico;
App. Catania 18 gennaio 1997, cit.; Trib. Messina 24 dicembre 1993;
Trib. Sulmona 8 novembre 2005, in questa Rivista, 2005, 952. In tale
senso anche Trib. Messina 8 marzo 1994, in Banca, borsa e tit. cred.,
1995, II, 251, con nota di M. Miola, Osservazioni a Trib. Messina 24 dicembre 1993 e 8 marzo 1994 in tela di unicità della procedura fallimentare nei
confronti di società di capitali utilizzate come schermo di società di fatto.
(21) La Cassazione, invece, con un’applicazione estensiva della norma
contenuta all’art. 2362 c.c., e quindi diretta, dopo aver sostenuto che la
prova dell’intestazione fittizia o fraudolenta delle azioni di minoranza può
essere data attraverso la dimostrazione di un comportamento tirannico
del socio di maggioranza, ha affermato che la dimostrazione della natura
fittizia o fraudolenta, consentisse di dichiarane la nullità, con la conseguente concentrazione della disponibilità di tutte le azioni nelle mani del
socio unico-tiranno (Cass. 25 gennaio 2000, n. 804, in Società, 2000,
846). Nello stesso senso l’articolato (ma ormai superato) Trib. Napoli 10
marzo 2004, in Dir. fall., 2004, 594, che dopo aver rilevato che la Suprema Corte in svariate pronunce (6413/83, 7152/83, 73/87, 4586/87, 6687/
87, 4532/98) afferma che l’accertamento, anche in via incidentale ed indiziaria, della fittizietà della pluralità dei soci, ben può essere effettuato dal
tribunale al fine di ricavarne effetti pratici nella decisione della lite, qualora si dovesse affermare che un socio ha nella sostanza il dominio integrale
della società (perché socio di fatto unico) ed abbia approfittato dell’apparente pluralità dei soci, si applicano le regole proprie dell’art. 2362 c.c.,
con la conseguenza della sua illimitata responsabilità.
(22) Cfr. R. Weigmann, Oltre l’unico azionista, in Giur. comm., 1986, II,
537 ss.; G. La Villa, Società strumentali e profili di responsabilità, Milano,
1981, 82 ss.; G.L. Pellizzi, Unico azionista e controllo totalitario indiretto, in
Giur. comm., 1981, II, 615; S. Scotti Camuzzi, Unico azionista, gruppi, «lettres de patronage», Milano, 1979, 155 s.; Id., L’unico azionista, in Trattato
delle società per azioni, diretto da G. E. Colombo - G.B. Portale, vol. II, tomo 2, Torino, 1991, 896; R. Rordorf, Socio unico e società di capitali, in Società, 1994, 596. Contra e salvo prova del carattere simulato dell’intestazione delle residue partecipazioni (cfr. G.F. Campobasso, La responsabilità
del socio nella società a responsabilità limitata unipersonale, in Giur. comm.,
1994, I, 229; G. Oppo, L’impresa come fattispecie, in Riv. dir. civ., 1982, I,
123; G. Scognamiglio, La responsabilità della società capogruppo: problemi ed
orientamenti, ivi, 1988, 369). Nello stesso senso in giurisprudenza Cass. 9
dicembre 1976, n. 4577, in Giur. comm., 1977, II, 628; Cass. 9 dicembre
1982, n. 6712, in Giur. it., 1983, I, 1, 201; Cass. 29 novembre 1983, n.
7152, in Giust. civ., 1984, I, 313; Cass. 9 maggio 1985, n. 2879 e Cass.
24 febbraio 1986, n. 1088, ivi, 1986, II, 537; Cass. 17 gennaio 1987, n.
73, in Società, 1987, 364; Cass. 27 agosto 1987, n. 7064, ivi, 1987, 1149;
Trib. Udine 26 gennaio 1967, in Giur. it., 1967, I, 2, 225; Trib. Genova
12 dicembre 1970, ivi, 1971, I, 2, 586; Trib. Milano 11 dicembre 1984,
in Foro pad., 1985, I, 75; Trib. Genova 12 febbraio 1986, in Giur. comm.,
1987, II, 148; Trib. Tortona 11 marzo 1993, in Dir. fall., 1995, II, 746;
Trib. Spoleto 28 gennaio 1994, in Società, 1994, 946. In senso contrario
App. Bologna 27 settembre 2001, in Dir. fall., 2002, II, 96; Trib. Ravenna 28 marzo 1987, ivi, 1988, II, 138; Trib. Bologna 13 novembre 1990,
in Società, 1991, 816; Trib. Ferrara 7 marzo 1994, in questa Rivista, 1994,
1190; Trib. Milano 19 ottobre 1995, in Dir. fall., 1997, II, 737.
(23) In verità anche prima delle riforme era assai opinabile il fallimento
dell’unico azionista, in senso contrario tra gli altri A. Jorio, Le crisi d’impresa. Il fallimento, Milano, 2000, 168; a favore L. Bianchi D’Espinosa, L’estensione del fallimento di una società per azioni all’unico azionista, in Banca, borsa,
tit. cred., 1951, II, 113 ss.; U. Azzolina, Sull’estensibilità del fallimento all’unico
azionista o quotista della società, in Foro pad., 1958, I, 643; e in giurisprudenza tra le tante cfr. App. Bologna 27 settembre 2001, cit.; Trib. Pisa 21 aprile 1999, cit.; Trib. Bologna 24 novembre 1998, in Foro it., 1999, I, 2739;
Trib. Bologna 23 ottobre 1998, in Dir. fall., 1999, II, 1254; Trib. Milano
6 ottobre 1997, ivi, 1998, II, 1142; Trib. Milano 22 aprile 1997, in Società,
1997, 1312; Trib. Monza 24 maggio 1996, in Dir. fall., 2000, II, 127; Trib.
S. Maria Capua Vetere 18 marzo 1996, ivi, 1997, II, 1059.
GIURISPRUDENZA . FALLIMENTO
una situazione soggettiva attiva di cui può, e talora deve, farsi uso (24); diviene fonte di responsabilità solo se
abusiva ovvero se il dominus la esercita nell’interesse proprio od altrui, e comunque non nell’interesse del dominato, e se è contraria ai criteri di corretta gestione imprenditoriale e societaria. La clausola generale di correttezza funziona da regola di comportamento e indirizza
proprio l’esercizio della direzione unitaria.
A differenza della teoria dell’imprenditore occulto (25), che mirava a ricostruire la responsabilità del
soggetto nel cui interesse veniva svolta l’attività senza
spenderne il nome, nel sistema concepito dal legislatore
non occorre neppure accertare che l’interesse perseguito
dalla condotta unitaria sia quello del dominus, ma è sufficiente che sia un interesse extrasociale rispetto a quello
delle società eterodirette.
Mentre nella disciplina di cui agli artt. 2373 e 2391
c.c., l’interesse altrui è un interesse extrasociale individuale od occasionale del socio o dell’amministratore, di
fatto o di diritto, nel sistema di cui all’art. 2497 c.c., è
proprio l’interesse che costituisce la ragione determinante del controllo ed è un interesse alla direzione dell’impresa dominata.
Il dominio può essere attuato mediante tutti gli strumenti possibili. Il controllo assembleare e l’influenza dominante (in via partecipativa o contrattuale) possono
rappresentare indici meramente presuntivi, ma il controllo e la direzione possono concretizzarsi anche di fatto
con le modalità più disparate.
Gli artt. 2497sexies e septies c.c. contemplano ad
esempio mere presunzioni relative (26). Si tratta dei casi in cui esistono contratti istitutivi del c.d. controllo
esterno o per dipendenza economica (ad es. somministrazione in esclusiva, agenzia, licenza, ristrutturazione
crediti) (27) e contratti costitutivi del diritto di esercitare un penetrante controllo gestionale sulla società (28),
di tipo verticale (29) od orizzontale (30).
Lo stesso sistema delle presunzioni evidenzia implicitamente che la eterodirezione non ha modalità tipiche
di attuazione e quindi neppure di accertamento quando
si verifica di fatto, soprattutto attraverso direttive impartite fuori da schemi negoziali.
Spesso nella pratica, come nelle vicende oggetto dei
provvedimenti in epigrafe, la direzione si esplica attraverso la prestazione di fideiussioni e avalli (31), l’erogazione di imponenti finanziamenti e più in generale, attraverso la gestione dei rapporti con gli istituti di credito, anche mediante operazioni comuni a più società del
gruppo, che (lungi dal configurare la fictio del discutibile
espediente della c.d. impresa fiancheggiatrice o a latere (32), titolare di una sorta di autonoma impresa di finanziamento) può rappresentare la modalità frequente
con la quale si attua il dominio. Il finanziatore può essere
un socio di maggioranza (33) oppure anche un estraneo
alla società che per effetto di una totale dipendenza
economica dell’impresa finanziata acquista la veste di
vero e proprio dominus.
Anche nel caso dell’impresa illecita, esaminata dal
Tribunale di Vicenza, la capogruppo invece di svolgere
Note:
(24) Sul dovere di esercizio della direzione unitaria in particolare L. Rovelli, La responsabilità della capogruppo, in questa Rivista, 2000, 1098 ss.; B.
Libonati, Responsabilità del e nel gruppo, in Aa.Vv., I gruppi di società, Atti
del convegno internazionale di Studi, cit., II, 1489; P.G. Marchetti, Controllo e poteri della controllante, in Aa.Vv., I gruppi di società, Atti del convegno internazionale di Studi, cit., II, 1556 s.
LA RIFORMA
n
(25) O di quella dell’imprenditore indiretto.
(26) Sulla natura e gli effetti delle presunzioni in esame cfr. A. Niutta,
Sulla presunzione di esercizio dell’attività di direzione e coordinamento di cui agli
artt. 2497-sexies e 2497-septies c.c.: brevi considerazioni di sistema, in Giur.
comm., 2004, I, 983 s.
(27) Si pensi al caso dell’impresa economicamente dipendente che produce in esclusiva o distribuisce in esclusiva prodotti della dominante e
che se impone condizioni e prezzi contrari all’interesse della dominata ed
alla corretta gestione imprenditoriale, esercita un dominio abusivo. Più in
generale si tratta dei contratti in cui le prestazioni previste siano essenziali
per una delle imprese che li ha stipulati.
(28) Nell’ambito del terzo comma dell’art. 2359, con riferimento all’influenza notevole, rientrano anche i contratti contemplati dall’art. 26,
comma 2, lett. A), D.Lgs. n. 127/1991 (la relazione di accompagnamento
precisava che nonostante l’ordinamento non ammette contratti di dominazione «si è ritenuto di poter prevedere l’ipotesi in considerazione dell’eventualità che il diritto applicabile ai rapporti con un’impresa figlia estera
consenta la stipulazione di tale contratto»).
(29) Non è questa la sede per poter affrontare il delicato tema dei contratti di dominazione (Beherrschungsvertrage) ed in particolare della loro illegittimità nel nostro ordinamento (al riguardo cfr. R. Santagata, Autonomia privata e formazione dei gruppi nelle società di capitali, in Il Nuovo diritto
delle società, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, 3, Torino, 2007, 799
s.).
(30) Secondo un certo orientamento l’art. 2497septies c.c., ha come referente il gruppo paritetico (R. Santagata, op. loc. ult. cit.) in linea con l’interpretazione proposta dalla Relazione illustrativa del D.Lgs. n. 34/2004 e
n. 310/2004 (contra: A. Valzer, Il potere di direzione e coordinamento di società tra fatto e contratto, in Il nuovo diritto delle società, cit., 874, secondo
cui i contratti alla fonte dell’attività di direzione e coordinamento, proprio
in virtù del contenuto precettivo dell’art. 2497septies c.c., non possono
che essere contratti che riguardano gruppi gerarchici). Secondo altra interpretazione, i contratti di dominio ivi contemplati potranno implicare
l’obbligo della società sottoposta, e per essa dei suoi amministratori, di attenersi alle strategie imprenditoriali impartite da chi esercita la direzione,
ma non fino al punto di escludere ogni autonomia di valutazione e di decisione (R. Rordorf, I gruppi nella recente riforma del diritto societario, in Società, 2004, 541).
(31) Sul rapporto tra concessione di reiterate fideiussioni e qualità di socio di fatto nelle società di persone mi permetto di rinviare a F. Fimmanò, Il fallimento del fideiussore, in Banca, borsa, tit. cred., 1995, II, 619.
(32) Cass. 10 agosto 1990, n. 8154, in Giur. it., 1991, I, 1, 591; Cass. 23
settembre 1958, n. 3035, in Dir. fall., 1958, II, 585; Cass. 6 aprile 1966, n.
907, in Foro it., 1966, I, 1037, con nota di P. Vitale, Socio «finanziatore abituale» della società, pretesa «attività intermediaria nella circolazione dei creiditi» e
«impresa fiancheggiatrice»; in Riv. dir. comm., 1966, II, 468; App. Firenze 3
novembre 1956, in Giur. tosc., 1957, 126; App. Torino 28 settembre
1995, in Giur. it., 1996, I, 2, 578; Trib. Roma 22 luglio 1959, in Dir. fall.,
1959, II, 678; Trib. Roma 14 luglio 1981, in Foro it., 1981, I, 2552; Trib.
Roma 2 agosto 1983, in Giur. merito, 1985, 358; Trib. Cosenza 27 maggio
1991, in Giur. comm., 1993, II, 452; Trib. Torino 15 gennaio 1994, in
Giur. it., 1994, I, 2, 1114. In termini molto critici sull’espediente giurisprudenziale, P. Spada, Della permeabilità differenziata della personalità giuridica nell’ultima giurisprudenza commerciale, in Giur. comm., 1992, I, 429 s.
(33) Come noto, l’art. 2497quinquies c.c. rende applicabile la disciplina di
cui all’art. 2467 c.c. a qualsiasi finanziamento operato in favore di una società dall’ente capogruppo o da altra società del medesimo gruppo.
IL FALLIMENTO N. 4/2007
423
GIURISPRUDENZA . FALLIMENTO
LA RIFORMA
attività economica in via diretta, dirige e coordina, scatole vuote strumentali a vere e proprie truffe. In questo
contesto si pensi caso limite dell’impresa mafiosa che
domina imprese di terzi imponendo una condotta economica attraverso pratiche di tipo intimidatorio (come
avviene in alcuni specifici settori in determinate aree
del Paese dove il mercato di certi servizi o prodotti è
controllato).
Nel caso poi delle società di gestione di pubblici servizi locali addirittura il controllo totale ed incondizionato rappresenta la condizione richiesta dalla legge per
l’affidamento diretto dei servizi stessi (34). La Corte di
Giustizia europea ha escluso la configurabilità delle c.d.
società in house providing nel caso in cui gli amministratori della società eterodiretta esercitino autonomamente
i poteri di gestione (35).
Nell’ambito, ancora, della disposizioni «per la ristrutturazione e per la disciplina dei gruppi bancari», contenute nel D.Lgs. n. 356/1990, l’art. 25 sanciva testualmente che la capogruppo, nell’esercizio dell’attività di
direzione e coordinamento, emana le direttive; riconoscendo una vera e propria espressione di supremazia gerarchica meritevole per il legislatore di tutela nell’ordinamento (36).
La disciplina dell’amministrazione straordinaria, poi,
contiene una serie di norme, che analizzeremo più
avanti, che confermano nell’assetto complessivo la fisiologia della eterodirezione come uso legittimo di una situazione soggettiva attiva e la patologia in termini di abuso che assume rilevanza ai fini della gestione dell’insolvenza di gruppo. E ciò è particolarmente rilevante in
quanto l’assetto risultante dalle riforme presenta, nella
tematica in oggetto, una continuità logica ed ideologica
rispetto alla c.d. «Prodi bis» (37). È stato correttamente
rilevato che si può abusare solo di una situazione soggettiva attiva «di cui si può fare legittimamente uso; ossia
di una situazione di cui si è titolari (per effetto del controllo, nelle sue varie accezione) e che si estrinseca in
diritti o poteri o facoltà. Se non c’è questa posizione attiva non c’è abuso, c’è fatto illecito» (38).
Insomma, si tratta di un vero e proprio potere giuridico ed è conseguentemente riduttivo affermare che la
norma di cui all’art. 2497 c.c. esprime un valore dell’ordinamento - desumibile anche dal principio del neminem laedere - secondo cui la influenza patologica della
gestione altrui espone l’autore al risarcimento dei danni (39).
La responsabilità del dominus sorge per effetto della
violazione di un dovere specifico derivante da un preesistente rapporto obbligatorio verso soggetti determinati e
non dal generico dovere del neminem laedere verso qualsiasi soggetto dell’ordinamento (40).
La violazione del principio di correttezza nella gestione configura gli estremi dell’inadempimento di natura
contrattuale, come peraltro conferma la disciplina del
recesso di cui all’art. 2497quater, punto b) c.c., «quando
a favore del socio sia stata pronunciata, con decisione
424
IL FALLIMENTO N. 4/2007
n
esecutiva, condanna di chi esercita attività di direzione
e coordinamento» (41).
L’esercizio abusivo di un diritto si colloca fuori dalla
sfera individuata da quel diritto, ma non per questo la
conseguente responsabilità può essere semplicisticamente ricostruita in termini di responsabilità ex art. 2043,
da fatto illecito. È condivisibile l’impostazione di chi
Note:
(34) L’art. 14 D.L. n. 269/2003, convertito con modificazioni nella legge
n. 326/2003 consente l’affidamento diretto del servizio pubblico ad una
società di capitali a partecipazione interamente pubblica, a condizione
che l’ente o gli enti titolari del capitale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la
parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici
che la controllano.
(35) I giudici hanno statuito che «le norme comunitarie in materia di appalti pubblici o di concessioni di pubblici servizi non si applicano se, allo
stesso tempo, il controllo esercitato sulla società concessionaria dall’autorità pubblica concedente è analogo a quello che essa esercita sui propri servizi e se detta società realizza la maggior parte della sua attività con l’autorità concedente. È escluso che l’autorità pubblica concedente eserciti un
controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi nel caso in cui nell’ente concessionario - una società per azioni nata dalla trasformazione di
un’azienda speciale - il consiglio di amministrazione possieda amplissimi
poteri di gestione che può esercitare autonomamente» (CGCE, sez. I, 13
ottobre 2005, n. c-458/2003, in Giur. comm., 2006, II, 777, con nota di
I. Demuro, La compatibilità del diritto societario con il c.d. modello in house
providing per la gestione dei servizi pubblici locali).
(36) In questo caso si tratta della tutela dell’interesse, di rilievo pubblicistico, alla stabilità del sistema bancario. Chiaramente la fattispecie non
pone problemi fallimentari vista l’esclusione espressa dell’ente pubblico
dall’alveo dei soggetti fallibili.
(37) Riformata con il D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270, proprio con l’idea di
agganciarla successivamente alla rielaborazione del sistema delle procedure
concorsuali.
(38) L. Rovelli, Clausole generali e diritto societario: applicazione in tema di
gruppi, leveraged buy out, motivazione delle delibere, in Trattato del Contratto, a cura di V. Roppo, VI, Milano, 2006, 755.
(39) C. Esposito, op. cit., 34.
(40) Come noto, la Relazione illustrativa della riforma (par. 13) si esprime nel senso della natura extracontrattuale della responsabilità ex art.
2497 c.c., anche se ciò non ha alcun carattere vincolante per l’interprete
(in tal senso F. Galgano, Il nuovo diritto societario, in Trattato di diritto commerciale, XXIX, Padova, 2003, 186; Id., Direzione e coordinamento di società, in Commentario al Codice civile, a cura di Scialoja - Branca, Bologna
2005, 92 s.; M. Maggiolo, L’azione di danno contro la società o ente capogruppo, in Giur. comm., 2006, I, 191). G. Scognamiglio, Danno sociale e
azione individuale nella disciplina della responsabilità da direzione e coordinamento, in Il nuovo diritto delle società, a cura di P. Abbadessa - G.B. Portale,
3, Milano, 2007, n. 10, richiama, per la responsabilità da influenza determinante e pregiudizievole, lo schema della induzione all’inadempimento.
(41) Si è evidenziato che il recesso può assolvere diverse funzioni tra le
quali vi è anche quella di reazione di fronte ad un inadempimento contrattuale. E mentre le altre ipotesi di recesso previste nella medesima norma (cosı̀ come quelle elencate all’art. 2437 c.c.) rappresentano una tutela
di fronte a modificazioni delle condizioni contrattuali imposte dalla maggioranza, il diritto di recesso ex art. 2497quater, punto b), c.c., trova fondamento per la funzione di impugnazione del contratto, «ossia di reazione
di fronte all’inadempimento contrattuale del dominus ed è, per tale ragione, accompagnato dall’ulteriore sanzione del risarcimento del danno cagionato dall’inadempimento stesso. Per la stessa ragione, inoltre, il recesso
potrà essere esercitato solo per l’intera partecipazione del socio» (S. Giovannini, op. cit., 37). Sul tema cfr. da ultimo R. Pennisi, La disciplina delle
società soggette a direzione unitaria ed il recesso nei gruppi, in Il nuovo diritto
delle società, a cura di P. Abbadessa - G.B. Portale, cit., 889 s.
GIURISPRUDENZA . FALLIMENTO
pur escludendo che nella fattispecie si configuri una responsabilità ex contractu in senso proprio, individua nell’abuso della direzione e del coordinamento una violazione di «obbligazioni specifiche (art. 1173) e che nella
definizione di Gaio (II delle Institutiones), discende da
variae causarum figurae, che i bizantini avrebbero volentieri definito quasi contrattuale, che nel sistema dell’art.
1218 (dettato sotto il titolo obbligazioni in generale) è
da qualificare comunque come contrattuale» (42) con aggiungiamo noi - la conseguente applicazione del regime probatorio, meno oneroso, proprio di questo tipo di
responsabilità. Peraltro secondo la Suprema Corte «il
discrimine tra responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale va ricercato (non già nella fonte,
ma), nella natura della situazione giuridica violata: se si
tratta di obbligazioni, anche se non derivanti da contratto, la violazione dà luogo a responsabilità contrattuale» (43).
Se si trattasse di mera responsabilità da fatto illecito
incomberebbe sui danneggiati l’onere di dimostrare, oltre al danno, la colpa del dominus e il nesso di causalità
tra colpa e danno. Tenendo inoltre conto che il pregiudizio consegue ad operazioni della società eterodiretta,
realizzate su indicazione del dominus, occorrerebbe provare che le direttive sono state effettivamente impartite
e che la relativa esecuzione ha generato il danno. In
ipotesi di responsabilità contrattuale l’attore è esonerato
dal provare che l’inadempimento è imputabile alla controparte (art. 1218 c.c.), restando a carico di chi ha eterodiretto l’onere di provare di averlo fatto senza violare
i principi di corretta gestione.
Inoltre, l’obbligo di motivare analiticamente le decisioni delle società soggette ad attività di direzione e
coordinamento - quando da questa influenzate, con
puntuale indicazione delle ragioni e degli interessi la cui
valutazione ha inciso sulla decisione - previsto dall’art.
2497ter c.c., agevola ulteriormente l’onus probandi del
creditore danneggiato. Si verifica nella fattispecie una
sorta di inversione dell’onere della prova analoga a
quella «che viene prevista in caso di esclusione o limitazione del diritto d’opzione ai sensi dell’art. 2441, sesto
comma c.c.: qualora la holding intenda imporre alle controllate decisioni attinenti la gestione idonee ad incidere
sul loro interesse sociale (eventualmente pregiudicandolo), è compito della società (e in particolare degli amministratori nella relazione prevista dall’art. 2428 c.c.)
dimostrare le ragioni che hanno suggerito il compimento dell’atto pregiudizievole» (44). Per provare la violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale, basterà dimostrare la incongruità o la carenza della motivazione.
Ma c’è di più nel sistema di cui agli artt. 2497 ss.
c.c., accanto alla responsabilità contrattuale del dominus
che esercita l’attività di direzione e coordinamento nell’interesse proprio od altrui e violando gli obblighi di
corretto perseguimento degli interessi di gruppo quale risultante dall’equo contemperamento degli interessi delle
società eterogestite (45), convive con la responsabilità
risarcitoria di «chi abbia comunque preso parte al fatto lesivo e, nei limiti del vantaggio conseguito, chi abbia consapevolmente tratto beneficio» (art. 2497, comma 2 c.c.). Modello binario che come si vedrà più avanti trova speculare conferma nella disciplina dell’Amministrazione
straordinaria delle grandi imprese insolventi.
E nello stesso quadro di riferimento si colloca la disposizione di cui all’art. 2476, comma 7 c.c., la quale
sancisce, difatti, che «... sono altresı̀ solidalmente responsabili con gli amministratori, ai sensi dei precedenti commi, i
soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci, o i terzi
...» (46).
LA RIFORMA
n
3. La figura del dominus
L’agente che esercita l’attività di abusivo dominio
sui veicoli societari può essere un imprenditore occulto,
persona fisica o società occulta, una holding di fatto oppure di diritto.
Il sistema normativo di cui agli artt. 2497 ss. c.c.
non esclude la persona fisica anche perché l’agente o gli
agenti che attuano la condotta sono alla fine comunque
persone fisiche (imprenditori individuali, soci di holding
di fatto od occulte, amministratori di fatto o di diritto)
tant’è che il secondo comma dell’art. 2497 c.c., seppure
a titolo ed in una logica diversa, sancisce che comunque «risponde in solido chi abbia comunque preso parte al
fatto lesivo e, nei limiti del vantaggio conseguito, chi abbia
consapevolmente tratto beneficio». La norma anche se
non può semplicisticamente essere letta nella espressa
applicazione alla persona fisica holder, anche perché parla di solidarietà (47), conferma che le persone giuridiche evidentemente non possono che agire attraverso le
Note:
(42) L. Rovelli, op. loc. ult. cit. Nel senso della natura contrattuale della
responsabilità anche A. Irace, in La riforma delle società, a cura di M. Sandulli - V. Santoro, vol. 3, Torino, 2003, 312. Qualifica invece di tipo
contrattuale quella verso i soci e di stampo aquiliano quella verso i creditori R. Rordorf, op. cit., 545.
(43) Cass. 6 marzo 1999, n. 1925, in Foro it., 2000, I, 2299, in tema di
responsabilità dell’amministratore di fatto.
(44) Cosı̀ S. Giovannini, op. cit., 33, nota 54 che ricorda che lo stesso F.
Galgano (I gruppi nella riforma delle società di capitali, cit., 1033) nel commentare l’art. 2497ter c.c., riconosce che la tecnica della motivazione utilizzata nei gruppi è simile a quella già adottata per ciò che attiene alla
esclusione o limitazione del diritto d’opzione.
(45) Al riguardo cfr. M. Rescigno, Eterogestione e responsabilità nella riforma
delle società di capitali tra aperture e incertezze: una prima riflessione, Intervento al Convegno di Alba del 23 novembre 2002, in Società, 2003, 335.
(46) Qualificata come una ipotesi di danno da induzione o cooperazione
all’inadempimento o all’illecito da altri commesso materialmente e quindi
della riproposizione, in tema di società, di una specifica fattispecie di lesione del diritto di credito (C. Esposito, op. cit., 20). In realtà a nostro avviso la norma rientra nello stesso sistema di cui agli artt. 2497 ss. c.c.
(47) La responsabilità solidale in quanto tale esige infatti una pluralità di
soggetti obbligati oltre alla società e quindi anche il soggetto che ha compartecipato o tratto profitto dall’atto.
IL FALLIMENTO N. 4/2007
425
GIURISPRUDENZA . FALLIMENTO
LA RIFORMA
persone fisiche che diventano solidalmente responsabili (48).
Tutto ciò non perché nell’espressione ente di cui agli
artt. 2497 ss. c.c. debba necessariamente ricomprendersi
anche l’entità persona fisica (49), come pure è stato affermato (50), ma perché il principio della responsabilità
da dominio abusivo contenuto nel microsistema di cui
agli artt. 2497 ss., riguarda innanzitutto la persona fisica.
In buona sostanza mentre la responsabilità di una
persona giuridica o di un soggetto di diritto, può essere
anche (e spesso è) oggettiva (e non indiretta come taluno
la qualifica), quella della persona fisica non può essere
mai tale.
Quindi il sistema di cui agli artt. 2497 ss. c.c., oltre a
sancire un principio dell’ordinamento di responsabilità
da abusivo dominio ha fatto in modo che la relativa
condotta fosse ascrivibile, non solo come in passato all’agente persona fisica della controllante, ma anche all’ente giuridico. Consente in buona sostanza non l’imputazione degli atti, ma l’imputazione dell’attività di abusivo dominio, se del caso organizzata professionalmente,
con tutte le conseguenze della fattispecie.
Questa ricostruzione trova conferma in un ulteriore
dato positivo contenuto nel D.Lgs. n. 270/1999, in tema di amministrazione straordinaria della grande impresa in stato di insolvenza.
L’art. 80, comma 1, al fine di individuare l’area di
applicazione dell’estensione della procedura individua: le
imprese che controllano direttamente o indirettamente
la società sottoposta alla procedura madre; le società direttamente o indirettamente controllate dall’impresa
sottoposta alla procedura madre o dall’impresa che la
controlla; le imprese che, per la composizione degli organi amministrativi o sulla base di altri concordanti elementi, risultano soggette ad una direzione comune a
quella dell’impresa sottoposta alla procedura madre.
Inoltre al secondo comma precisa che agli effetti del
comma 1, «il rapporto di controllo sussiste, anche con
riferimento a soggetti diversi dalle società, nei casi previsti
dall’articolo 2359, primo e secondo comma, del codice
civile» (51). Evidentemente tra i soggetti diversi dalle
società ci sono innanzitutto le persone fisiche.
Ed a conferma della distinzione tra responsabilità risarcitoria dell’agente e responsabilità patrimoniale del dominus attuata mediante la citata estensione, lo stesso
D.Lgs. n. 270/1999, sancisce all’art. 90 (Responsabilità
nei casi di direzione unitaria) che «Nei casi di direzione
unitaria delle imprese del gruppo, gli amministratori delle società che hanno abusato di tale direzione rispondono in solido
con gli amministratori della società dichiarata insolvente dei
danni da questi cagionati alla società stessa in conseguenza
delle direttive impartite» (52). E, come anticipato, il modello è riprodotto anche nel sistema di cui agli artt.
2497 ss. c.c., dove la responsabilità contrattuale del dominus (persona fisica o meno) che esercita l’attività di
direzione violando i criteri di corretta gestione imprenditoriale, affianca la responsabilità risarcitoria di «chi abbia
426
IL FALLIMENTO N. 4/2007
n
comunque preso parte al fatto lesivo e, nei limiti del vantaggio
conseguito, chi abbia consapevolmente tratto beneficio».
Note:
(48) Trib. Genova 26 ottobre 1979, in Giur. comm., 1981, II, 993, affermava l’assogettabilità a fallimento, in qualità di imprenditore, dell’amministratore unico di una società di capitali fallita il quale, avvalendosi dell’organizzazione aziendale della società, abbia svolto attività imprenditoriale in proprio.
(49) Come noto nella prima versione dell’art. 2497 c.c., elaborata dalla
Commissione di riforma del diritto societario (in Riv. soc., 2002, 1346),
era contemplata la responsabilità per «chi» esercitasse a «qualunque titolo»
l’attività di direzione e coordinamento di società e, quindi, anche per la
persona fisica. Nella versione definitiva, invece, la locuzione «chi» è scomparsa e si fa riferimento solo a «società o ente» in cui non può ricomprendersi la persona fisica (A. Patti, Sub art. 2497 c.c., in La riforma del diritto
societario, a cura di G. Lo Cascio, Milano, 2003, 243; A. Badini Confalonieri - R. Ventura, Sub. art. 2497 c.c., in Il nuovo diritto societario. Commentario diretto da Cottino, Bonfante, Cagnasso, Montalenti, Bologna-Roma, 2004, 2166 s.; A. Bassi, La disciplina dei gruppi, in La riforma del diritto
societario, a cura di V. Buonocore, Torino 2004, 200; Giovannini, La holding persona fisica nella nuova disciplina dei gruppi societari, nota a Cass. 9
agosto 2002, n. 12113, in Giur. comm., 2004, II, 30, il quale evidenzia che
una modifica ancor più significativa si è avuta nell’art. 2497-bis, secondo
comma c.c., ove nella formulazione provvisoria si prevedeva l’iscrizione
nell’apposita sezione del registro delle imprese «dei soggetti, persone fisiche,
enti o società, che esercitano attività di direzione e coordinamento», mentre nell’attuale definitiva versione il richiamo alle persone fisiche è stato
eliminato). Al riguardo cfr. anche C. Angelici, Il governo dei gruppi, in La
riforma delle società commerciali. Lezioni di diritto commerciale, Padova, 2003,
135; A. Jorio, I gruppi, la riforma delle società, a cura di S. Ambrosini, Milano, 2003, 195, e sulla originaria formulazione L. Enriques, Gruppi di società
e gruppi di interesse, in Il nuovo diritto societario fra società aperte e società private, a cura di Benazzo, Patriarca, Presti, Milano, 2003, 247.
(50) Dopo aver evidenziato che la gestazione dei lavori preparatori non
assume di per sé carattere ermeneutico vincolante dato che la «volontà del
legislatore» non assume valore precettivo a differenza della «volontà della
legge», si è affermato che stando alla interpretazione letterale della norma,
il concetto di «ente» assumerebbe, secondo la terminologia comune, il significato di «... qualsiasi essere reale o possibile ...». Significato che non verrebbe sovvertito dal tecnicismo legislativo visto che il nostro legislatore
non utilizza mai, neanche nel primo libro del codice civile, il termine ente
sicché ad esso non può essere attribuito valore tecnico diverso da quello
corrente. Le persone fisiche sono «... enti naturali, corporali, dotati di intelletto...mentre le persone giuridiche sono enti creati dall’ordinamento giuridico
...» a dimostrazione di come la tradizione civilistica attuerebbe una parificazione del concetto «ente» in termini di applicabilità identificativa, tanto
alle persone fisiche che a quelle giuridiche (C. Esposito, op. cit., 29 s.).
Nello stesso senso R. Sacchi, Sulla responsabilità da direzione e coordinamento nella riforma delle società di capitali, in Giur. comm., 2003, I, 661 (posizione che l’autore definisce legata ad evitare l’abbassamento della tutela
delle minoranze e dei creditori).
(51) Cfr in tema F. D’Alessandro, Imprese individuali, gruppi e amministrazione straordinaria, in Giust. civ., 1981, I. 3022; G. Scognamiglio, Società di
persone e imprese individuali di gruppo nell’amministrazione straordinaria, in
Riv. dir. civ., 1984, I, 622 e 811.
(52) Una certa dottrina ha ritenuto inapplicabile l’art. 2497 c.c. affermando che tuttavia la questione sia ininfluente potendosi giungere alla applicazione di responsabilità da direzione e coordinamento in capo alla persona
fisica in ragione dell’art. 2043 c.c. (L. Guglielmucci, La responsabilità per direzione e coordinamento di società, in Dir. fall., 2005, I, 41, il quale precisa altresı̀ che diverse disposizioni del corpo normativo dedicato alla direzione e
coordinamento non sarebbero applicabili alla persona fisica). In realtà una
impostazione del genere renderebbe la regola inutile anche per le persone
giuridiche, laddove il suo nucleo fosse evincibile sempre e comunque dall’art. 2043 c.c. Peraltro il riferimento alla norma di cui all’art. 2043 c.c.
non è possibile in quanto il sistema della responsabilità da direzione e coordinamento va ricostruita in termini di responsabilità contrattuale.
GIURISPRUDENZA . FALLIMENTO
D’altra parte non avrebbe alcun senso affermare che
se il dominus è una società di fatto tra più persone fisiche risponde dell’abusivo dominio e se è una singola
persona fisica invece no. Tale sperequazione contrasterebbe col «criterio ermeneutico di coerenza e congruenza dell’ordina-mento giuridico» (53) e soprattutto con il
principio costituzionale di uguaglianza, visto che non è
possibile trovare aliunde casi in cui il soggetto danneggiato riceve o meno tutela a secondo che il danneggiante sia persona giuridica o fisica. Insomma nel sistema
della responsabilità da direzione e coordinamento deve
intendersi che il più comprende il meno (54).
Evidentemente laddove il dominus è una singola persona fisica occorrerà dimostrare per passare dalla responsabilità risarcitoria a quella «patrimoniale» la sua qualità
di imprenditore individuale che esercita professionalmente l’attività organizzata di direzione e coordinamento, viceversa l’accertamento di una società di fatto tra
più persone fisiche rende più agevole farne discendere il
carattere imprenditoriale, visto che è sicuramente più
arduo eccepirne il carattere di società occasionale (55).
Peraltro ai fini della configurazione della società di fatto
holding può rilevare in modo determinante l’esistenza di
patti parasociali che, ex art. 2341, comma 1, lett. c)
c.c., possono avere «per oggetto o per effetto l’esercizio
anche congiunto di un’influenza dominante» e che
rientrano pertanto nella fattispecie del controllo contrattuale di fatto, di cui all’art. 2359, comma 1, n. 3,
c.c. (56).
In ogni caso, la direzione strategica od il governo
delle società dominate, quando per professionalità, organizzazione ed economicità configura attività imprenditoriale, costituisce, in assenza di spendita del nome, esercizio diretto dell’impresa e non mediato o indiretto (57).
E non v’è differenza se il dominus è persona fisica in
quanto «sia nell’imprenditorialità sociale, che nell’imprenditorialità individuale, ciò che caratterizza l’imprenditore è il genere di attività svolta e le modalità operative inerenti. (...) La differenza attiene essenzialmente alla
prova delle varie componenti dell’impresa, non all’essenza della figura dell’impresa» (58).
Non è dunque condivisibile l’opinione di chi sostiene che la responsabilità prevista dall’art. 2497 c.c. non
opera quando la holding sia una persona fisica né tanto
meno la presunzione di cui all’art. 2497sexies c.c., e che
l’azione esperibile nei confronti di una persona fisica
holding sarà un’azione di diritto comune, basata sull’art.
2043 c.c. (59). Come detto la responsabilità da abuso
ha sempre una natura contrattuale e nel sistema la posizione soggettiva attiva è riconosciuta al titolare, sia esso
persona fisica o giuridica.
4. La dominazione come attività di impresa senza
spedita del nome
La Suprema Corte, prima delle riforme, ha affermato
la configurabilità di una autonoma impresa, come tale
anche assoggettabile a fallimento, nel caso della holding
di tipo personale, affermando che la stessa ricorrerebbe
quando una persona fisica, che sia a capo di più società
di capitali in veste di titolare di quote o partecipazioni azionarie, svolga professionalmente con stabile organizzazione, l’indirizzo, il controllo ed il coordinamento delle società medesime (non limitandosi al mero esercizio dei
poteri inerenti alla qualità di socio).
Secondo la Cassazione per configurarsi in modo
autonomo tale attività d’impresa, sia essa di sola gestione del gruppo (cosiddetta holding pura), ovvero pure di
natura ausiliaria o finanziaria (cosiddetta holding operativa), dovrebbe esplicarsi in atti, anche negoziali, posti in
essere in nome proprio, quindi fonte di responsabilità diretta del loro autore, presentando altresı̀ obiettiva attitudine a perseguire utili risultati economici, per il gruppo
LA RIFORMA
n
Note:
(53) C. Esposito, op. cit., 34.
(54) Una parte della dottrina senza esprimersi in modo netto sulla possibilità di imputare alla persona fisica la responsabilità da abusivo dominio
di cui al primo comma dell’art. 2497 c.c., ha ritenuto che comunque la
responsabilità gravi oltre che sulla società capogruppo e i suoi amministratori, anche «sull’azionista al vertice del gruppo che sia attivo nella gestione del medesimo pur senza ricoprire cariche sociali e al limite anche il
non azionista che tuttavia, in virtù ad esempio di rapporti familiari, sia in
grado di influenzare in modo decisivo la gestione del gruppo» (L. Enriques, Gruppi di società e gruppi d’interesse, cit., 250 s. e nello stesso senso
G. Guizzi, Partecipazioni qualificate e gruppi di società, in Aa.Vv., Diritto delle
società di capitali, Milano, 2003, 255).
(55) L’ammissibilità della c.d. holding individuale (che abbiamo definito
holder) è stata oggetto di ampio dibattito in dottrina, orientata prevalentemente ad escluderla (cfr. in particolare F. Vella, Le società holding, Milano, 1993, 147 e 165 ss.; T. Ascarelli, Saggi di diritto commerciale, Milano,
1955, 323; G. Fanelli, Le partecipazioni sociali reciproche, Milano, 1957, 9;
E. Zanelli, La nozione di oggetto sociale, Milano, 1962, 287; F. Galgano, I
gruppi di società, cit., 53; ma in senso diverso F. Galgano, Direzione e Coordinamento di società, in Commentario al Codice civile, a cura di ScialojaBranca, Bologna-Roma, 2005, 59). Viceversa orientata in positivo la giurisprudenza cfr. Cass. 7 luglio 1992, n. 8271, in Mass. Giust. civ.,1992, 7;
Cass. 26 febbraio 1990 n. 1439 cit.; Trib. Padova 2 novembre 2001, in
Dir. e prat. soc., 2002, 8, 62; App. Catania 18 gennaio 1997, in Giur. it.,
1997, I, 2, 345; Trib. Siena 27 maggio 1991, in Foro pad., 1996, I, 160;
App. Roma 4 febbraio 1981, in Banca, borsa, tit. cred., 1981, II, 166).
(56) Sul tema A. Niutta, Sulla presunzione di esercizio dell’attività di direzione
e coordinamento, cit., 992 s., che a proposito del controllo congiunto ritiene comunque che i soci sindacati possono offrire la prova contraria, costituita dal mancato esercizio del potere di direzione e coordinamento, ovvero la prova che, tramite il patto, è uno solo dei soci ad esercitare il controllo.
(57) Come sostenuto da F. Galgano, L’oggetto della holding è, dunque, l’esercizio mediato e indiretto dell’impresa di gruppo, in Contr. e impr., 1990,
401, cui peraltro sembra ispirarsi la Cassazione.
(58) In tal senso già Cass. 9 agosto 2002 n. 12113, in questa Rivista,
2003, 609 s., con nota di C. Trentini, Qualità della holding ed assoggettabilità a fallimento.
(59) F. Galgano, Il nuovo diritto societario, in Tratt. dir. comm. e dir. pubb.
econ., diretto da F. Galgano, Padova, 2003, V, 169 s. (per il quale quando
in posizione di controllo «rispetto ad una o più società si trovi una persona fisica si pone il problema di accertare se questa sia null’altro che un
azionista che gestisca il proprio portafoglio azionario oppure un soggetto
che svolge, per il tramite del controllo azionario, la vera e propria funzione imprenditoriale di direzione e coordinamento del gruppo. L’azione che
si voglia esperire nei confronti di una persona fisica holding sarà un’azione
di diritto comune, basata sull’art. 2043»).
IL FALLIMENTO N. 4/2007
427
GIURISPRUDENZA . FALLIMENTO
LA RIFORMA
o le sue componenti, causalmente ricollegabili all’attività medesima (60). Quanto alla economicità dell’impresa,
ossia al perseguimento di un autonomo fine di lucro, distinto da quello delle società controllate, è stato collegato allo svolgimento di una vera e propria attività di
coordinamento delle diverse imprese, finalizzata al perseguimento di un risultato economico ulteriore rispetto a
quello raggiunto dalle singole società, ma esterno ad esse,
in quanto afferente al gruppo facente capo al fallito.
L’impresa che svolge attività di direzione e coordinamento delle attività delle società partecipate perseguirebbe un risultato economico diverso da quello della
mera sommatoria dei risultati altrimenti conseguibili
dalle singole società e che è riferibile proprio alla attività di coordinamento e direzione unitaria, in virtù della
quale il risultato economico si svincola dal dato giuridico formale dell’esistenza di più imprese e può correlarsi
al dato economico sostanziale dell’unità dell’impresa (61).
Alla luce dell’evoluzione normativa tre sono i presupposti considerati dai giudici di legittimità (e riprodotti nella sentenza in epigrafe del Tribunale di Napoli)
definitivamente superati, a nostro avviso, dall’assetto
normativo e sistematico.
In primo luogo, il nesso eziologico tra responsabilità
e qualità di socio (diretto o indiretto) che pur assunta
dalla Cassazione come condizione non sufficiente appare comunque, nella impostazione dei giudici di legittimità, come condizione necessaria.
Viceversa il modello scelto dal legislatore della riforma prescinde dalla necessarietà del nesso, lo status di socio unico o di maggioranza, formale o fiduciante, è solo
una degli strumenti funzionali all’esercizio del dominio
che come detto può essere attuato con tutti gli strumenti possibili, di fatto o di diritto.
In secondo luogo, non occorre alcuna esteriorizzazione dell’attività di direzione e coordinamento in quanto
ciò che rileva non è l’imputazione diretta od indiretta
degli atti di impresa al dominus, ma il dato fattuale, o
giuridico, del governo della condotta unitaria.
Infatti, il sistema di cui agli artt. 2497 ss. c.c. non
esige ai fini della configurazione della responsabilità, l’esteriorizzazione di atti anche negoziali e neppure della
stessa attività di direzione e coordinamento, la quale
viene evidentemente e normalmente esercitata nei rapporti meramente interni. Ciò anche perché chi intende
avvalersi di veicoli meramente strumentali, si guarda bene dallo spendere il proprio nome, anziché quello della
società, nell’esecuzione degli atti che lo interessano. La
c.d. direzione strategica non si traduce insomma in attività negoziale, ma piuttosto in una attività propedeutica
a questa, attraverso l’influenza assembleare e più spesso
attraverso informali direttive agli amministratori delle
società dominate, i quali non sono peraltro vincolati (in
via di diritto) ad ottemperarvi.
Né la responsabilità è ascrivibile al dominus perché
esiste nell’ordinamento un criterio sostanziale di imputa-
428
IL FALLIMENTO N. 4/2007
n
zione degli atti diverso dal criterio formale della spendita del nome ma perché questo tipo di responsabilità oggettiva deriva dall’abusivo dominio.
Il sistema radica un principio generale nell’ordinamento applicabile evidentemente anche all’imprenditore occulto che esercita abusivo dominio sull’imprenditore palese e diviene quindi responsabile delle obbligazioni di quest’ultimo non perché gli siano imputabili in relazione ad un presunto criterio dell’interesse alle stesse,
ma perché ha coordinato e diretto l’impresa nell’interesse proprio, od anche altrui e comunque non del dominato,
ed in violazione dei principi di corretta gestione.
E quest’ultimo è il terzo dato rilevante: non occorre
dimostrare il perseguimento di un autonomo fine di lucro, distinto da quello delle società eterodirette, finalizzato al perseguimento di un risultato economico ulteriore,
ma il mero abuso dell’attività di direzione e coordinamento.
Questa ricostruzione supera non solo le evidenti carenze giuridiche ma anche le clamorose inefficienze dell’espediente giurisprudenziale dell’impresa fiancheggiatrice,
in cui gli unici creditori che potevano insinuarsi al passivo del fallimento erano quelli che avevano contrattato
(e spesso imposto di contrattare essendo più forti) con la
holding di fatto o con i singoli soci in proprio, e non
quelli che avevano sempre contrattato con le società di
capitali dominate (62). L’economicità dell’attività economica di dominio, in buona sostanza, coincide con quella
dell’attività di produzione o di scambio delle imprese eterodirette, e quindi non esige alcuna autonomia (63).
Note:
(60) Cass. 9 agosto 2002, n. 12113, cit. che sostanzialmente riecheggia
Cass. 26 febbraio 1990, n. 1439 (nella vicenda nota come caso Caltagirone, Caltagirone G. e Caltagirone F.B. c. Fall. Caltagirone, I.C.C.R.I.) in
Riv. dir. impr., 1991, 316, con nota di A. Jorio; in Riv. dir. comm., 1991,
II, 515, con note di B. Libonati, Partecipazione in società ed esercizio di attività economica in forma d’impresa, ibidem, 552 e di L. Sambucci, L’attività
mediata dell’impresa holding: l’art. 2361 c.c., ibidem, 564; in Giur. comm.,
1991, II, 366, con nota di N. Rondinone, Esercizio della direzione unitaria
ed acquisto della qualità d’imprenditore commerciale; in Giust. civ., 1990, I,
622, con note di V. Santarsiere, Verso un assetto giuridico della holding, ibidem, 2395 e di F. Farina, Società holding, holding personale ed attività d’impresa, ibidem, 2911; in Dir. fall., 1990, II, 1005, con nota di U.I. Stramignoni, Il fallimento della società collaterale; in Giur. it., 1990, I, 1, 713, con
nota di R. Weigmann; in questa Rivista, 1990, 495, con nota di F. Lamanna, La holding quale impresa commerciale (anche individuale) e il dogma
della personalità giuridica; in Società, 1990, 598, con nota di G. Schiano Di
Pepe, L’imprenditore holding. Nello stesso senso Cass. 28 aprile 1994, n.
4111, in questa Rivista, 1994, 1239; Cass. 16 gennaio 1999, n. 405, ivi,
1999, 1216; Cass. 13 marzo 2003, n. 3724, ivi, 2004, 155 e in Giur. it.,
2004, 562, con nota di R. Weigmann; e Cass. 21 marzo 2003, n. 4126; e
tra le altre corti di merito Trib. Genova 26 settembre 2005, in questa Rivista, 2006, 424 e in Società, 2006, 320; Trib. Catania 3 gennaio 1997, in
questa Rivista, 1997, 625.
(61) Cass. 26 febbraio 1990, n. 1439, in questa Rivista, 1990, 495.
(62) Al riguardo le critiche mosse da P. Spada, op. cit., 433; B. Inzitari,
op. cit., 689.
(63) In giurisprudenza si è affermato che sussistono tutti gli elementi della
holding personale allorquando possa ritenersi ricorrere l’economicità ag(segue)
GIURISPRUDENZA . FALLIMENTO
Insomma l’attività di direzione «tirannica» ed unica,
professionalmente organizzata, ma in spregio ai principi
di corretta gestione imprenditoriale, delle società strumentali eterodirette configura evidentemente una attività d’impresa (64) ed una conseguente responsabilità,
seppure sussidiaria, per tutte le obbligazioni delle società
dominate e nei confronti di tutti i relativi creditori. E
l’eterodirezione cosı̀ intesa è cosa completamente diversa dalla partecipazione alla gestione, o dalla ingerenza
nella stessa, che pure è stata individuata in dottrina come parametro della responsabilità (65) e che invece ha
una sua diversa regolamentazione (art. 2497, comma 2
c.c.) e che può soltanto rappresentare in taluni casi un
indice rivelatore dell’attività di abusivo dominio.
5. Dalla responsabilità sussidiaria al fallimento
del dominus-imprenditore
La responsabilità patrimoniale (66) del dominus, individuale o collettivo, che abbia i caratteri della holding
o dell’imprenditore-holder, è sussidiaria nel sistema concepito dal legislatore: «Il socio ed il creditore sociale possono agire contro la società o l’ente che esercita l’attività di direzione e coordinamento, solo se non sono stati soddisfatti
dalla società soggetta alla attività di direzione e coordinamento» (art. 2497, comma 3 c.c.) (67).
Invero, l’onere previsto dalla norma non pare esigere
una vera e propria preventiva escussione del patrimonio, come ad esempio succede per effetto del disposto
di cui all’art. 2268 c.c., essendo sufficiente provare di
aver chiesto senza successo l’adempimento del debito
scaduto (68). Ma in ogni caso l’escussione della società
eterodiretta (69) e la relativa incapienza si realizza in modo pieno con il fallimento della stessa (70), anche nel
senso che tale evento rende automaticamente possibile
l’azione nei confronti del soggetto che esercita la direzione ed il coordinamento (71).
Il curatore od il commissario della società eterodiretta assoggettata a procedura concorsuale ha la legittimazione ad agire nei confronti della holding, non in virtù
di un’actio mandati contraria, basata su un ipotetico rapporto di mandato cui l’imprenditore-mandante non abbia correttamente adempiuto fornendo i mezzi necessari
all’esecuzione del rapporto all’imprenditore mandatario,
espediente in passato utilizzato accanto a quello ancora
Note:
(segue nota 63)
giuntiva o la produzione di un plusvalore economico dovuto esclusivamente all’attività di direzione e coordinamento, salvo poi riconoscere che
tale requisito non sarebbe in sé, necessario, potendosi riscontrare nel lucro
che si genera a favore delle singole società e, poi, mediatamente, nel patrimonio del soggetto holding (Trib. Padova 2 novembre 2001, in questa
Rivista, 2002, 1218).
(64) Autorevole dottrina ha rilevato che «la direzione unitaria abusiva
che incanali acriticamente l’attività dell’intero gruppo in un’unica gestione non «unitaria» ma appunto «unica», non è direzione unitaria di gruppo, ma attività d’impresa (non occulta ma palese, com’è palese il rapporto
di gruppo). Non vi è problema dunque di una sua liceità o meno; gli è
semplicemente che si tratta di un’altra fattispecie per la quale la capogruppo risponde direttamente ed illimitatamente» (B. Libonati, Responsabilità
del e nel gruppo, in Aa.Vv., I gruppi di società, Atti del convegno internazionale di Studi, cit., II, 1517).
(65) Si tratta dell’impostazione ben articolata, ma non condivisibile, di
C. Esposito, op. cit., 18, secondo cui «l’attenzione va spostata, allora, dalla
entità della partecipazione al capitale alla entità della partecipazione alla gestione. È quest’ultima che parametra la responsabilità. Il socio non è più
responsabile in base al grado di partecipazione al capitale sociale, ma per
il grado di partecipazione alla gestione dell’impresa sociale, secondo i nuovi riferimenti normativi pensati dal legislatore e di cui ci si accinge a dare
conto. Difatti - se è vero che il sistema di ‘‘segregazione’’ funziona appieno
ove il socio si limiti a gestire la propria partecipazione salvaguardando il
proprio investimento - altrettanto vero è che la stessa segregazione viene
attentata laddove lo stesso socio, a prescindere dal livello di partecipazione al capitale, intervenire nell’attività di impresa quale amministratore,
socio che acquisisce determinate prerogative gestionali, socio che ‘‘dirige e
coordina’’ l’attività sociale, socio che ingenera col suo contegno l’insolvenza della società. Vista la società come rete di contratti - tra cui spicca
l’impegno dei gestori, nei confronti dei creditori, società e soci, alla protezione dell’integrità patrimoniale della società - ne viene che la responsabilità va misurata e calibrata in ragione del grado di ingerenza (a cui corrisponde un impegno verso i creditori della prestazione) nella gestione sociale. Minimo grado di ingerenza e massimo livello di segregazione si ha
nella ipotesi in cui il socio si estranei da qualsivoglia atto gestionale limitandosi alla attività tipicamente prevista a favore del socio che voglia tutelare il proprio investimento».
LA RIFORMA
n
(66) Non può essere condiviso quindi l’assunto per cui la riforma del diritto societario avrebbe individuato per fattispecie connesse ad attività direttamente o indirettamente gestorie una responsabilità meramente risarcitoria escludendo la responsabilità di tipo patrimoniale (cosı̀ V. Caridi,
Articolo 147, cit., 897).
(67) A proposito della sussidiarietà è stato rilevato che essa è in linea di
principio categoria non normativa, ma dogmatica, posto che nel concetto
di obbligazione o responsabilità sussidiaria vengono riunite fattispecie diverse, e posto che tali fattispecie sono a loro volta assoggettate a regole
molto diverse. Si tratta di regole che di volta in volta prevedono un onere di preventiva escussione od un beneficio di escussione, od un beneficium ordinis, sino a una non meglio precisata subordinazione della responsabilità «o giungere addirittura all’idea secondo la quale la sussidiarietà sarebbe coincidente con l’eventualità di un debito la cui stessa esistenza sia
condizionata dalla infruttuosa escussione del debitore principale» (M.
Maggiolo, L’azione di danno contro la società o ente capogruppo, cit., 191).
(68) In questo senso R. Rordorf, op. cit., 543. Contra: F. Galgano, Direzione e coordinamento di società, cit., secondo cui invece la situazione che ne
deriva è simile a quella regolata per la società in nome collettivo dall’art.
2304 c.c., giacché il soddisfacimento ex comma 3 corrisponde al pagamento di cui al 2304 c.c.
(69) Si tratta di una responsabilità sussidiaria rispetto a quella della società eterodiretta il cui patrimonio sia stato leso. Tale beneficio di preventiva
escussione non sussisterebbe certamente qualora la responsabilità si fondasse sulla generica norma di cui all’art. 2043 c.c. (cosı̀ correttamente S.
Giovannini, op. cit., 32).
(70) Il presupposto sostanziale dell’azione avverso la capogruppo risiede
nell’impossibilità di ottenere la prestazione dalla società eterodiretta, ovvero nella sua accertata insolvenza (G. Scognamiglio, Danno sociale e azione
individuale nella disciplina della responsabilità da direzione e coordinamento, cit.,
939).
(71) L. Guglielmucci, op. cit., 45 dopo aver affermato il carattere sussidiario dell’azione rileva che in presenza di un’insufficienza patrimoniale, che
costituisce il presupposto della responsabilità verso i creditori sociali, il
soddisfacimento di un creditore sociale comporta un aggravamento della
posizione degli altri e che «in caso di esercizio dell’azione nel fallimento
ad opera del curatore (art. 2497, comma 4) nell’interesse della collettività
dei creditori, il soddisfacimento di tutti i creditori è impossibile: a meno
che non sia venuta meno l’insufficienza patrimoniale e quindi lo stesso
presupposto dell’azione dei creditori sociali. Il soddisfacimento del socio di
minoranza, invece, è ipotizzabile anche con il solo sacrificio del socio di
maggioranza».
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GIURISPRUDENZA . FALLIMENTO
LA RIFORMA
più opinabile dell’impresa fiancheggiatrice o a latere, ma
di un riferimento normativo espresso: l’art. 2497, ultimo
comma c.c.
Il fatto che, come visto nel paragrafo precedente, il
sistema normativo di cui agli artt. 2497 ss. c.c. non esige alcuna spendita del nome, al fine della emersione
della responsabilità, e quindi alcun rapporto negoziale
tra i creditori e chi esercita l’attività di direzione e coordinamento, ed alcuna autonoma economicità dell’attività stessa, comporta che la responsabilità per i debiti
ammessi al passivo della società eterodiretta in violazione ai principi di corretta gestione, sarà riconducibile al
dominus-imprenditore abusivo a prescindere da qualsivoglia rapporto abbia avuto lo stesso con i creditori (72).
Tant’è che l’azione del curatore della società eterodiretta costituisce una vera e propria azione della massa, in
quanto diretta al ristoro di un pregiudizio che ha colpito
tutti i creditori della dominata allo stesso modo.
È chiaro che il dominus (soggetto fisico o giuridico
che sia) non sarà automaticamente e necessariamente
insolvente e fallibile, come accade col sistema dell’estensione per il socio illimitatamente responsabile nelle
ipotesi contemplate dall’art. 147 l. fall. Nel nostro caso
il dominus potrebbe essere innanzitutto capiente e quindi soddisfare le pretese creditorie rappresentate dal passivo delle società dominate assoggettate a procedura concorsuale ed in secondo luogo potrebbe non aver esercitato l’attività di direzione abusiva con quelle caratteristi-
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che di stabilità, professionalità ed organizzazione che integrano lo status di imprenditore commerciale.
Laddove tuttavia venga dimostrato che l’abusivo dominio abbia avuto quei caratteri tipici dell’attività d’impresa e laddove il dominus si riveli insolvente potrà essere dichiarato fallito ed i creditori delle società eterodirette concorreranno sul suo patrimonio con i suoi creditori diretti.
Nell’amministrazione straordinaria, precedente storico di questo modello delineato, c’è poi la variante che
il Commissario sulla base della medesima situazione
può, a norma dell’art. 81, comma 2 legge n. 270/99,
chiedere anche l’ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria delle imprese collegate in qualche
modo «quando risulti comunque opportuna la gestione unitaria dell’insolvenza nell’ambito del gruppo, in quanto idonea
ad agevolare, per i collegamenti di natura economica o produttiva esistenti tra le singole imprese, il raggiungimento degli
obiettivi della procedura». Anche in questa procedura si
tratterà di una estensione caratterizzata sempre e comunque da una completa autonomia e separazione delle
masse.
Nota:
(72) La fonte della responsabilità non è dunque nell’essere stato l’autore
dell’atto, ma direttore e coordinatore dell’attività in violazione del principio di correttezza.