Teoria romana e tardo classica - Dipartimento di Arti e Scienze dello
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Teoria romana e tardo classica - Dipartimento di Arti e Scienze dello
Teoria romana e tardo classica Attorno metà del II secolo a.c. la letteratura latina si era ormai consolidata; profondamente influenzata; naturalmente dai Greci; è vi si possono trovare occasionali riflessioni critiche. Plauto, (254184); forni nelle sue commedie; specialmente nel prologo d’ Anfitrione alcune osservazioni critiche, che indicano come si fosse gia affermata una definizione del genere basata sui personaggi. Mercurio che pronuncia il prologo, definisce Anfitrione una tragicommedia, dato che essa non comprende soltanto le figure reali e le divinità, ma anche un servo. Anche i prologhi di Terenzio, (185-159), spesso repliche ai suoi critici, contengono sparse riflessioni sulla commedia. Il prologo per Il tormentatore di se stesso è, per esempio, condanna de le farse chiassose, piene d’azione, sostenendo che la migliore forma di commedia è quella offerta dallo stesso Terenzio, un dramma tranquillo come un stille piacevole e pulito. In tutti due casi si tratta di contaminazioni degli originali greci preesistenti, piuttosto di Menandro. Ma si tratta di un teatro piuttosto convenzionale e monotono, teatro della ripetizione, anche del déjà vu. Sono pochi temi favoriti: le peripezie dei due amanti, il raggiro perpetrato ai danni di un lenone per sottrargli la ragazza, l’inganno ordito da schiavo ed adolescenti per strapare i soldi al padre avaro, il riconoscimento di fanciulle smarrite, ecc.). il grande successo di Plauto e quello minore di Terenzio sono le comicità delle certe situazioni, felicita dello stille, la fantasia metrico - musicale della cantica (parti delle commedie con accompagnamento musicale), insieme alla loro aderenza ai gusti ed bisogni collettivi della società a cui si rivolgevano. Piuttosto era il contrasto padre – figlio (e con loro il contrasto generazionale in genere), che è molto importante per una società che ancora consce il predominio del padre sul figlio, ed anche quello di padrone sul schiavi. Quanto ai giovani amanti divisi da qualche accidente, che lottano per aver la possibilità di esprimere liberamente i propri sentimenti, siamo anche qui di fronte ad un tema generalissimo, ma meno discriminante nell’assetto culturale del gruppo sociale che si reca a teatro. Anche se si tratta del rispecchiamento, si tratta di deformazione e delle immagini rovesciate. Certi momenti della vita sociale richiedono l’inversione, 1 o quanto meno la sospensione dei rapporti sociologici autentici. Potremmo allora dire che il teatro platino è un teatro carnevalesco. La commedia viene ulteriormente definita ed analizzata nel confuso frammento conosciuto come TRACTATUS COISLINIANUS. L’unica versione che esiste risale a X secolo, ma gli studiosi sono concordi nel ritenere che l’opera sia d’origine classica. Alcuni hanno considerato una riduzione o una corruzione di un qualche scritto, andato perduto, che Aristotele avrebbe fornito sulla commedia, altri la hanno giudicato come opera di uno degli allievi d’Aristotele, o di un tardo imitatore. Comunque, il trattato appartiene sicuramente alla tradizione peripatetica, è rappresenta una importante testimonianza sulla teoria tardo greca o primo romana. TRACTATUS classifica la poesia in mimetica e non-mimetica; la poesia mimetica in narrativa e drammatica; e la poesia drammatica in commedia, tragedia, mimo, e dramma satirico. La sua definizione di commedia risente chiaramente dell’influenza d’Aristotele: ”la commedia è una imitazione di un’azione ridicola e imperfetta, di sufficiente lunghezza, i diversi tipi (di abbellimento) separatamente (riscontrabili) nelle singole parti (del dramma); la forma narrativa; che realizza attraverso il piacere e il riso la purgazione dei simili sentimenti.” Vengono poi elencate le fonti del riso: dal linguaggio (omonimie, facezie, ecc.), altre dal contenuto del testo (inganno, sorpresa, degradazione, ecc.) Il TRACTATUS propone la divisione aristotelica d’intreccio, caratteri, pensiero, elocuzione, melodia e spettacolo scenico, e fornisce un elaborato commento su ogni componente. I tipi della commedia comprendono buffoni, eirons (personaggi ironici) e imbroglioni, e il linguaggio è comune e popolare. Le parti quantitative (constitutive) della commedia sono prologo, canto corale, episodio ed esodo. Cicerone (106-43) Nella riflessione critica romana, gli interessi retorici dominano su tutti gli altri: il poeta e lo storico, cosi come oratore, vengono valutati secondo i parametri retorici. Le questioni di stille ed elocuzione diventano dominanti. Cicerone parla abbastanza della commedia, ma non come genere drammatico, bensì come principio generale per l’efficacia oratoria. Anche quando trasse i 2 suoi esempi dall’arte drammatica, l’interesse era rivolto alla fonte dell’umorismo ed ai metodi per suscitare il riso negli ascoltatori per mezzo del linguaggio. Cicerone sembra più sistematico d’Aristotele, e parla anche dei tipi convenienti al ridicolo: il bisbetico, il superstizioso, il sospettoso, il gradasso e il stolto. È uno dei scrittori primo medievali, Donato attribuì a Cicerone una definizione della commedia come genere (senza dubbio derivata dai Greci) che sarà spesso ripetuta dai critici posteriori; come: “imitazione della vita, specchio del costume, immagine della verità.” Qualcuno esagera è paragona i scritti di Cicerone a retorica di Aristotele. Ma l’equivalente romano della Poetica sarebbe Ars poetica d’Orazio (68-5). Certamente quasi l’ultima opera di classicismo, che ha avuto cosi grande influenza sulla riflessione critica successiva. È nello stesso tempo una teoria d’arte, estetica, ma anche un’opera di poesia, con una struttura e dei riferimenti determinati più spesso da ragioni estetiche che non da considerazioni logiche. L’opera è basata sulla divisione in 3 parti: 1) poesis, o questioni generali riguardanti la poesia; 2) poema o generi poetici; 3) poeta, ovvero carattere ed educazione di poeta (e questa è trattata più estesamente). Pero come nei altri lavori di quel periodo non c’è nessuna traccia di conoscenza diretta di Aristotele. L’unica cosa che mostra una strada diversa, è che Orazio segue Aristotele, ponendo al primo posto l’arte drammatica e al secondo l’epica, fra i generi poetici più importanti. Il dramma occupa la maggior parte del suo poema. Decoro e convenienza, temi dominati della critica romana, sono sottolineati dal principio alla fine. In generale, Orazio vorrebbe che i poeti seguissero le linee stabilite in materia di scelta di soggetto, terminologia, forme del verso e caratteri. Il linguaggio e l’azione dei singoli personaggi dovrebbero seguire la tradizione e le opinioni comunemente diffuse riguardo al modo in cui le persone d’età, posizioni sociali e condizioni emotive particolari debbono comportarsi. Quando 3 appaia necessaria, l’originalità deve essere di natura tale che l’artista possa maneggiarla, con successo, e appropriata all’argomento sviluppato. A differenza d’ Aristotele, Orazio in un passo breve, ma singolare, applica questa regola, oltre che al drammaturgo, anche all’attore: se un attore deve fare piangere al pubblico, prima deve provare dolore egli stesso, poi cercare, tra le espressioni fornite dalla natura, quelle appropriate allo stato d’animo e alla posizione del personaggio. Nella parte più citata della sua opera, Orazio formula regole specifiche. Il meraviglioso e l’offensivo dovrebbero essere tenuti fuori della scena, e trattati attraverso il racconto. Il dramma deve comprendere 5 atti. Gli dei dovrebbero apparire solo quando è assolutamente necessario alla risoluzione dell’azione. In scena, normalmente, non dovrebbero esserci più di 3 personaggi che parlano. Il coro dovrebbe conservare un tono altamente morale, è contribuire sempre al disegno principale del dramma. Questa ultima osservazione porta ad un’analisi più ampia della musica a teatro e del dramma satirico, argomenti che hanno rivestito, per i critici posteriori, un interesse meno specifico rispetto alle regole più concise appena enunciate, ma nondimeno importanti nelle loro implicazioni. In entrambi i passi, Orazio difende nuovamente il decoro e la convenienza. Persino nel dramma satirico, che può includere sia elementi comici che seri, egli offre argomentazioni a favore di una specie di purezza del genere, da realizzarsi evitando che questi elementi si mescolino all’ interno dell’opera. I modelli greci devono essere studiati giorno e notte per seguire l’uso uniforme e convenzionale in materia di soggetto, stile e metrica. Orazio afferma di preferire un’opera vivace con una qualche incrinatura (non troppe pero) rispetto alla monotonia del tono medio. Tuttavia, la sua insistenza sulle regole specifiche e sulla tradizione sembra spesso favorire, di fatto, questa ultima alternativa. A conclusione di questa sezione sull’arte drammatica Orazio offre quello che, tra tutti questi brani vitatissimi, e forse il suo pensiero più noto: che il fine del poeta e “dilettare” e “giovare”. Questo 4 doppio accenno, sul piacere e sull’istruzione, fu il grande contribuito dai romani alla questione essenziale del rapporto tra l’arte e la sfera dei valori, e sarebbe diventato – insieme alla insistenza Oraziana sulla convenienza, sul decoro, sulla purezza del genere e sul rispetto per le “regole” greche – fondamentale per la teoria drammatica neoclassica. Nessun altro importante critico romano dia all’arte drammatica la posizione centrale che Orazio le assegna nell’ars poetica. Solitamente l’accento è posto sulla teoria retorica, come in Quintiliano, oppure su stille. Quando il dramma viene menzionato da questi scrittori, generalmente è solo per scopi esemplificativi o illustrativi. Per esempio, Quintiliano (40-118), nel suo Del istituzione oratoria, elogia Menandro tra gli autori comici e Euripide tra i tragici, ma le sue scelte sono determinate da criteri retorici più tosto che poetici. Per tutto il tardo periodo classico, l’atteggiamento verso la critica che aveva caratterizzato scrittori come Orazio, Quintiliano e Cicerone rimasse dominante. La poesia veniva studiata non per ragioni estetiche, ma pratiche, come un ausilio per parlare e scrivere in modo più efficace. Quando si formo il trivio medievale di grammatica, retorica e logica, la poesia venne normalmente considerata parte della prima disciplina, in base alla definizione che Quintiliano aveva dato della grammatica come “arte di parlare correttamente e ornamente dei poeti.” Dunque, è nei grammatici tardo-classici che si trovano i più importanti scrittori teorici sull’arte drammatica di questo periodo, e in principali sono il De fabula di Evanzio e il De comedia di Elio Donato, scritti entrambi durante il IV secolo, ed ampiamente divulgati e citati durante il medioevo e il primo rinascimento. I 2 saggi includono molti e svariati materiali, chiaramente tratti da numerose fonti classiche, non sempre esaurienti di per se stessi ne del tutto coerenti. Approssimativamente, la prima meta d’ entrambi i saggi tratta lo sviluppo storico della commedia e della tragedia (Evanzio discute anche il dramma satirico). Poi vengono discusse le caratteristiche dei generi. 5 La distinzione d’Evanzio tra tragedia e commedia e di stampo morale, accentra il suo interesse sulla struttura, il che è tipicamente romano e del tutto estraneo ad Aristotele: che la commedia rappresenta una sorte di uomini modesti, con piccoli contrasti e liete le conclusioni, ma nella tragedia si mostrano le avversità, i personaggi sono importanti, grandi i terrori e funeste le conclusioni; commedia ha inizi difficili e finale tranquillo, mentre in tragedia gli avvenimenti si svolgano in modo opposto. Cosi si mostra nella tragedia la vita che si deve evitare, mentre nella commedia ciò che si deve sperimentare. Infine, ogni commedia e su temi inventati, la tragedia tratta spesso d’eventi storici. Essenzialmente, questa visione dei generi domino la riflessione critica medioevale e quella del primo rinascimento. Sia Evanzio, che Donato, individuano 4 parti strutturali nella commedia: 1) 2) 3) 4) il prologo, eseguito prima che l’intreccio cominci; la protasi, che introduce l’azione; l’epitasi o complicazione; la catastrofe o risoluzione. Donato aggiunge osservazioni sulla messinscena del dramma classico, sui valori simbolici dei costui, sulla pronuncia dei versi e sull’accompagnamento musicale. Evanzio segue la consuetudine romana di riservare a Terenzio particolari elogi. Le virtù attribuite a questo autore sono quasi un catalogo di quelle più apprezzate dai critici latini: convenienza (adattare il personaggio “alle abitudini morali, all’età, alla posizione sociale e alla tipologia”); verosimiglianza (che arriva fino a sfidare la tipologia tradizionale: per esempio, con la rappresentazione di prostitute non cattive; purezza di genere (moderare l’elemento emotivo che potrebbe dare all’opera un tono troppo serio); decoro (evitare argomenti che potrebbero offendere); chiarezza (il rifiuto della materia oscura, che richiederebbe le glosse di studiosi) e unita (ogni cosa composta “della stessa materia” a costituite “un corpo unico”). Anche negli scritti dei chiosatori del tardo periodo classico, si riscontra un interesse per gli effetti emotivi del dramma, che 6 sembra ritornare alla suggestione platonica delle passioni e alla catarsi aristotelica, di commuovere gli ascoltatori fino alle lacrime, quello della commedia spingerli al riso. Un certo Melampo disse, quindi essi affermano, la tragedia dissolve la vita e la commedia la consolida. 7