Carta dei Diritti fondamentali dell`Unione Europea
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Carta dei Diritti fondamentali dell`Unione Europea
Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea è stata “proclamata” dai presidenti del Consiglio dell’Unione europea, del Parlamento europeo e della Commissione europea per la prima volta all’esito del Consiglio europeo di Nizza del dicembre 2000. Essa è stata concepita come documento che contiene una lista di diritti fondamentali della persona cui l’ordinamento giuridico creato dai trattati istitutivi della UE (e, fino al Trattato di Lisbona, dell’ordinamento giuridico fondato sui trattati CECA, CE, Euratom) accorda protezione.I diritti cui si riferiscono le norme della Carta possono essere “accorpati” in tre gruppi generali: 1) diritti e libertà fondamentali della persona umana, inclusi quelli di natura “procedurale” (inerenti, in breve, al diritto a un ricorso effettivo, ai diritti concernenti il generale diritto alla difesa nonché i criteri del giusto processo) così come elaborati soprattutto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo tramite applicazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, le cui norme rientrano tra i principi generali del diritto cui la Corte di giustizia dell’Unione europea fa rifermento nell’interpretazione e applicazione del diritto dell’Unione stessa; 2) diritti concernenti il riconoscimento della cittadinanza dell’Unione, come ricavabili dalle disposizioni del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea istitutivi di tale cittadinanza come conferita a tutti coloro in possesso di quella di uno degli Stati membri dell’Unione; 3) diritti di natura sociale ed economica. Questa categoria di diritti è ricompresa nel Titolo relativo al principio di eguaglianza ed in quello denominato “Solidarietà”. In tale categoria sono inclusi il principio di eguaglianza tra uomini e donne, i diritti dei minori e degli anziani e l’obbligo di integrazione delle persone con disabilità. Il principio di eguaglianza è espresso sia in termini generali (quale criterio di eguaglianza di tutti dinanzi alla legge, che la Corte di giustizia aveva già sviluppato nell’ambito della sua attività giurisprudenziale) sia in termini di divieto di discriminazioni, come già sancito dall’art. 13 del Trattato CE, corrispondente all’attuale art. 19 del Trattato sul funzionamento dell’Unione. L’art. 21 della Carta sancisce tale divieto in quanto riferito innanzitutto (v. 1° comma) ai fattori di rischio già sanciti nel menzionato articolo 19 TFUE, più altri fattori non indicati in tale ultima norma (razza, etnia, religione, convinzioni e opinioni politiche, appartenenza a minoranze nazionali, patrimonio, nascita, handicap, età e orientamento sessuale). Al suo secondo comma, l’art. 21 si riferisce anche al divieto di discriminazioni in base alla nazionalità, come specificamente previsto all’art. 18 TFUE, corrispondente ad identica disposizione contenuta nei trattati istitutivi delle comunità europee (già articolo 7 poi 6 CEE, divenuto articolo 12 TCE con il le riforme del Trattato di Amsterdam) concernente il divieto per le autorità nazionali di qualsiasi Stato membro delle comunità europee di dare luogo, direttamente o meno, a qualsiasi discriminazione nei confronti di persone aventi nazionalità di uno degli Stati comunitari. La differenza tra la citata norma dell’art. 19 TFUE e quella dell’art. 21 della Carta consiste nel fatto che solo la prima conferisce alle istituzioni dell’Unione competenza legislativa nei settori indicati, riguardanti la lotta alle discriminazioni, oltre che la specificazione dei diversi ambiti di applicazione del divieto di discriminazioni (ad es. rapporti di lavoro, accesso ai servizi eccetera). Tuttavia, anche l’art. 21 della Carta deve intendersi limitato ai casi in cui il divieto di discriminazioni rilevi con riguardo all’attività, tanto legislativa quanto esecutiva, delle istituzioni dell’Unione nonché all’attività degli Stati membri e delle autorità pubbliche di questi ultimi nell’attuazione di obblighi comunitari derivanti tanto da fonti di carattere generale quanto da atti legislativi o esecutivi dell’Unione. Tali limitazioni si ricavano dalle disposizioni cosiddette “orizzontali” della Carta, in particolare v. art. 51. Si ricorda comunque che i diritti di natura sociale ed economica si applicano nel rispetto del criterio del non regresso. Così, i fattori di rischio tassativamente elencati nella disposizione dell’articolo 21 della Carta tendono a coprire qualsiasi motivo generale di discriminazione, ma non si esclude che in linea teorica nella prassi degli ordinamenti giuridici nazionali ed in altri ambiti internazionali (ad es. OIL) se ne possano individuare altri che diano a propria volta luogo al corrispondente obbligo di rispetto del divieto di discriminazioni stesso. Il divieto di discriminazioni, come sancito nella Carta dei diritti dell’U.E., trova matrice in altre fonti di diritto internazionale, tra cui l’art. 26 patto dell’ONU sui diritti civili e politici sul principio di uguaglianza formale e sostanziale, e articoli 3 (principio di parità tra uomo e donna), 6 (diritto di accesso al lavoro), 7 (principi di fair treatment e equal opportunities nei rapporti di lavoro, economici e sociali) e 9 (diritto alla sicurezza sociale per tutti) contenuti nel patto dell’ONU sui diritti economici, sociali e culturali. Rileva altresì la Dichiarazione dell’OIL sui diritti e i principi generali nel lavoro del 1998, che al proprio interno individua il divieto di discriminazioni quale principio inderogabile all’interno degli Stati membri dell’OIL che non abbiano ratificato tutte le rilevanti convenzioni concluse in seno a tale organizzazione. Nel settore del divieto di discriminazioni, rilevano in particolare la Convenzione OIL n. 100 del 1951 sulla parità di retribuzione tra lavoratori uomini e donne per lavori di valore equivalente e n. 111 del 1958 sulle discriminazioni nei settori del lavoro e dell’occupazione. A queste direttive chiaramente si ispira la materia, già coperta dal Trattato CE, prima (v. art. 141, TCE, già art. 119 CEE), e da quello sul funzionamento dell’Unione, attualmente, concernente il divieto di discriminazioni tra uomini e donne (cfr. art. 157 TFUE) e la disciplina specifica, introdotta a seguito dell’entrata in vigore del citato art. 13 del Trattato CE, contenuta nella direttiva CE n. 78 del 2000, riguardante il divieto di discriminazioni sul lavoro. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ha acquisito natura giuridica vincolante solo a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona che ha provveduto ad attribuire alle disposizioni della Carta medesimo valore giuridico delle disposizioni dei trattati istitutivi dell'UE tramite specifica previsione in tal senso nel nuovo art. 6 del Trattato sull’Unione europea. Rispetto a tale efficacia vincolante, rimane salvo il menzionato limite applicativo delle disposizioni della Carta, riguardante solo gli ambiti in cui rilevi l’applicazione del diritto dell’Unione, tanto da parte delle istituzioni quanto da parte degli Stati membri dell’Unione stessa. La Carta è stata "ri-proclamata" - dopo la prima proclamazione nel dicembre 2000 - dai presidenti del Consiglio dell'UE, del Parlamento europeo e della Commissione europea nel dicembre 2007, in occasione dell'approvazione, da parte delle istituzioni dell'Unione, del Trattato di Lisbona. Anno: 2007 Data di emissione: 2007-12-14 Destinatari: Istituzioni dell'UE e Stati membri dell'UE. Organismi di riferimento: Consiglio dell’U.E. Livello territoriale: Comunitario/Sovranazionale