soluzioniPAGINE E PAROLE_B_parte2

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MOD. 3 – IL TESTO TEATRALE
U.D.1 – Lo spettacolo teatrale
pag. 369 “Una descrizione del teatro greco” di D. Fo
1. In pieno inverno. Il freddo, le intemperie e la scomodità
2. La platea con le gradinate su cui sedersi, ricoperte di legno e cipressi sulla sommità per far
argine al vento; palcoscenico scorrevole, su carrelli dentro binari a solco; scena semovente, con
sottopalco da cui potevano salire intere strutture sceniche e con gru e tra battelli
3. Noi vediamo solo la struttura portante, di marmo e pietra, senza le parti in legno
4. Un pavimento semovente
5. La comparsa della divinità da un marchingegno sospeso in aria.
U.D.2 – Le caratteristiche del testo drammatico
pag. 384 da “La lezione” di E. Ionesco
1. Entra in scena la governante del professore, correndo verso la porta d’ingresso, da cui fa entrare
la giovane allieva
2. ATTO PRIMO, SCENA I –La governante, L’allieva – Breve dialogo
3. In apertura: studio del professore - osservazioni sulla mobilia e sulla disposizione delle finestre,
si sottolinea la vista che si intravede da esse
4. No
5. Linguaggio formale.
pag. 385 da “Il berretto a sonagli” di L. Pirandello
1. Tre donne in salotto; una, la signora, piange, le altre, due serve, discutono
2. ATTO PRIMO, SCENA I – La Signora Beatrice, La Saracena, Fana – Breve dialogo
3. In apertura: salotto di casa Fiorìca – scarne osservazioni sullo stile dell’arredo e sulla
disposizione delle porte
Prima della scena: indicazioni sul comportamento di due dei tre personaggi
4. All’interno delle battute: descrizione dei gesti e dell’aspetto
COMPORTAMENTO
Fana
“indicando la signora che piange”
La Saracena
“alzandosi”
Signora Beatrice “seguitando a piangere” - “scattando”
RECITAZIONE
“donnone atticciato, terribile…”
“…tutta furie e abbattimenti subitanei…”
5. Vicino al parlato, con consistente uso di esclamazioni e punteggiatura, che accompagnano i gesti
dei personaggi.
pag. 386 da “Il giuoco delle parti” di L. Pirandello
1. Il padrone di casa fa entrare un medico, che estrae dalla borsa una tovaglia chirurgica
2. ATTO TERZO, SCENA I – Filippo, il Dottor Spiga – Breve dialogo
3. In apertura: indicazioni sul tipo di scena
All’inizio della scena: descrizione delle luci e dei rumori fuori scena
4. All’interno delle battute: osservazioni sui movimenti e azioni dei personaggi e sul loro
abbigliamento
1
5. Vicino al parlato, con consistente uso di esclamazioni e punteggiatura, che accompagnano i gesti
dei personaggi.
U.D.3 – I generi teatrali: tragedia, commedia e il teatro del ‘900
pag. 402 “La drammatica inchiesta di Edipo” di Sofocle
CARATTERISTICHE DEL GENERE
1. Essa racconta una storia che inizia da una situazione positiva e arriva, attraverso una serie di
peripezie, a una di infelicità, per suscitare negli spettatori compassione e paura
2. Per aver avviato la struttura della rappresentazione tragica
3. Hanno reso più complessa la drammatizzazione, facilitando l’approfondimento della psicologia
dei personaggi
ANALISI DEL TESTO
1. La drammatica vicenda di Edipo, re di Tebe, che scopre di aver ucciso – inconsapevole – il
proprio padre Laio e di averne sposato la vedova , cioè la propria madre, e di aver avuto da lei
quattro figli. La tragedia ricostruisce la concatenazione di eventi attraverso i quali si è arrivati al
fatto. Alla tragica scoperta Giocasta, la madre, inorridita, si uccide, e Edipo si acceca,
allontanandosi da Tebe
2. Nella reggia di Tebe, in un solo giorno, per permettere la ricostruzione dei fatti e degli antefatti
3. Lo scoppio di una terribile pestilenza a Tebe
4. Edipo (protagonista e re di Tebe), Tiresia (l’indovino chiamato a chiarire la causa dell’ira di
Apollo), Giocasta (madre e moglie di Edipo)
5. Elevato: è figlio del re Laio e figlio adottivo del re di Corinto
6. Edipo è un uomo ricco di acume, col quale ha saputo sciogliere l’enigma della Sfinge e di cui è
orgoglioso. Nel suo colloquio con Tiresia sia vanta delle sue qualità (“io, Edipo…indovinando
con la mia intelligenza”), accusandolo di accusare ingiustamente l’uomo che ha salvato la città
dalla Sfinge. Ma la sua grande e tenace sete di conoscenza rende, paradossalmente, proprio lui
“cieco” di fronte alla verità (lui che ha accusato l’indovino con queste parole: “sei cieco nelle
orecchie, nella mente, negli occhi”), perché insiste nel voler sapere ciò che il veggente conosce.
Dalle parole di Tiresia lo spettatore comprende il terribile segreto e ciò rende più ricco di pathos
il dialogo, tutto giocato sulla ripetizione di espressioni dell’area semantica del “vedere” (per es.
“senza vedere”, “se tu potessi vedere”, “nessun altro che vede la luce”, “ci vede solo quando c’è
guadagno”). Alla fine, quando scopre ciò che è avvenuto, quando finalmente “vede”,
diventando consapevole dell’angosciante verità, egli si cava gli occhi
7. Egli è “l’empio che contamina questa terra”, è “scellerato…impuro”, ma lo spettatore non può
fare a meno di compiangere la sua sorte, poiché è il destino che lo ha ingannato. Egli infatti,
saputo dall’oracolo di Pito, che avrebbe ucciso suo padre e sposato sua madre, era fuggito da
Corinto, non sapendo che la sorte gli avrebbe fatto incontrare e uccidere Laio. Edipo sembra
quindi, soprattutto al lettore moderno, non colpevole, sventurata vittima di una sorte infelice
voluta dagli dei
8. Alla fine del colloquio con Tiresia e alla fine di quello con Giocasta. I due brani servono a far
comprendere lo svolgersi della comprensione progressiva della verità nella mente di Edipo
9. Affermazione della tesi: “…nessun essere mortale possiede arte profetica”. Dimostrazione: da
“A Laio venne una volta un oracolo…”. Conclusione: da “…di cui dunque non devi curarti…”
10. a) Giocasta rivela a Edipo il luogo in cui Laio fu ucciso, mettendolo sulla strada della scoperta;
b) Dice Giocasta: “ciò che un dio vuole, lo mostrerà facilmente lui stesso”, ed è ciò che sta,
appunto, accadendo, al di là della volontà umana, anche di un uomo della massima intelligenza,
come Edipo, che nulla può contro la volontà degli dei
2
RIFLETTI
1. A pag. 396, Tiresia dice: “…la maledizione della madre e del padre, col suo terribile piede…”
2. La catarsi di Edipo, la purificazione della sua infamia, consiste nel suo accecamento, in una
sorta di contrappasso, nel non vedere più fisicamente, come non aveva saputo vedere gli indizi
del suo delitto
3. Il complesso di Edipo si manifesta, secondo la teoria di Freud, nell’insieme di desideri
ambivalenti che il bambino svilupperebbe nel desiderio di possesso esclusivo per il genitore del
sesso opposto e di sostituzione di quello del proprio sesso, considerato rivale. Freud si richiamò
esplicitamente, nella definizione, al racconto di Sofocle.
pagg. 405-407 “Il lamento di Teseo” di L. A. Seneca
CARATTERISTICHE DEL GENERE
1. Il più famoso tragediografo latino (e anche l’unico giunto a noi)
2. La lettura, più che la rappresentazione scenica.
3. Insegnare all’uomo quanto possono essere dannose le passioni non controllate dalla ragione
ANALISI DEL TESTO
1. L’innamoramento di Fedra per il figliastro, Ippolito
2. La scena ha per protagonista il padre di Ippolito, Teseo, che piange la morte del figlio. Egli si
sente in colpa per aver chiesto a Nettuno di vendicare l’affronto ricevuto dalla moglie, causando
l’orrenda morte di Ippolito
3. Il coro invita Teseo a ricomporre le membra straziate del figlio: quasi un gesto espiatorio, una
nuova creazione
4. Anche Teseo, come la maggior parte degli eroi tragici, sembra subire un destino crudele, più che
essere colpevole
5. Il coro non interviene in un vero e proprio dialogo, ma commenta l’azione scenica
6. Il rogo è un rito funebre degno di un re, la colpevole Fedra, invece, verrà sepolta sotto il peso
della terra, che simboleggia quello della sua colpa
7. Il bisogno di condannare la violenza, di suscitare orrore nel pubblico per insegnare a rifiutare i
sentimenti violenti
RIFLETTI
1. Atmosfera macabra e compiacimento descrittivo di particolari anatomici sanguinolenti nel testo
di Seneca; atmosfera pacificatrice, di riconciliazione, quella di Euripide.
La morte di Ippolito viene giustificata da Euripide attraverso la volontà divina (“gli uomini è
naturale che errino, se gli dei lo danno” dice Artemide); Seneca rappresenta invece un padre
disperato e senza giustificazione.
Seneca ritrae Teseo da solo, che ricompone il cadavere con il commento del Coro; Euripide
mette in scena Ippolito morente, che perdona il padre, e la dea Artemide, che giustifica l’ira di
Teseo e consola entrambi.
pag. 413 “Giulietta e Romeo: un amore senza tempo” di W. Shakespeare
CARATTERISTICHE DEL GENERE
1. In Inghilterra, tra Stratford on Avon e Londra
2. Nella seconda metà del Cinquecento e agli inizi del Seicento
3
3. Dopo le rappresentazioni sacre medievali, nel Cinquecento la tragedia trova nuovo grande
successo in tutta Europa
ANALISI DEL TESTO
1. A Verona
2. Sono tutte coppie antitetiche: alto-basso e dentro-fuori. L’opposizione spaziale richiama quella
delle due famiglie nemiche
3. Perché sono figli di due famiglie da tempo in lotta tra loro
4. Giulietta vive con passione il suo sentimento per Romeo (“…il mio cuore, come il mare, non ha
limiti e il mio amore è profondo quanto il mare…”), diffida tuttavia dei giuramenti d’amore
(“…non giurare per la luna, per l’incostante luna che ogni mese muta…non vorrei che il tuo
amore fosse come il moto della luna…”) e organizza subito un matrimonio segreto per
legittimarlo (“…Se questo tuo amore è onesto e mi vuoi come sposa, domani mandami a dire
[...] dove e in che giorno compiremo il rito…”): vive un amore concreto e appassionato.
Romeo è veramente innamorato di lei (“…Lo splendore del suo volto farebbe pallide le stelle
[...] Se poi i suoi occhi fossero nel cielo [...] Oh, se fossi un guanto su quella mano…”), sfida
ogni ostacolo per stare con lei, ma il suo amore è centrato sul corteggiamento, appare più
retorico, fatto di frasi stereotipate (per es. “Con le ali leggere d’amore volai su questi muri…”
oppure “Il pericolo è più nei tuoi occhi che non in venti delle loro spade…”)
5. Per celebrare l’amore adolescenziale, che si ribella alle convenzioni e alle costrizioni sociali, e
per condannare l’odio e la violenza, che provocano solo dolore
6. “Chi sei tu che difeso dall’ombra della notte entri nel mio chiuso pensiero?”
7. All’inizio della scena si indica soltanto il luogo e l’ingresso di Romeo. Nel corso delle battute le
didascalie indicano i movimenti (per es. “appare dal balcone” oppure “torna al balcone”).
Spesso le battute commentano o anticipano i gesti (per es. “Guarda come posa la guancia sulla
mano!” o “Ora andrò via…”)
8. Lirica in quanto dà voce a sentimenti d’amore
9. Per es. “Con le ali leggere d’amore volai su questi muri…”, “Il manto della notte mi
nasconde…”, “Questo germoglio d’amore…”, “…mi manca la tua luce…”, “…nella notte la
voce degli amanti ha chiaro suono d’argento…”: l’amore è descritto con figure letterarie, come
le “ali”, la “luce” e i “fiori”
10. Per es. “…Tu in questa notte appari a me, dall’alto, di forte luce come un alato messaggero…”,
“…non vorrei che il tuo amore fosse come il moto della luna…”, “…troppo simile al lampo…”,
“…il mio cuore, come il mare…”, “…Amore va verso amore come i ragazzi fuggono i libri…”:
sono similitudini spesso tratte dalla natura
RIFLETTI
1. Giulietta cerca di dimostrare che nome e contenuto non hanno legame: ella vuole convincersi
che essersi innamorata di un “nome” nemico non è un fatto grave
2. “…Se giuri, tu puoi ingannarmi. Dicono che Giove rida dei falsi giuramenti degli amanti…”,
“Non giurare; o giura per te, gentile, che sei il dio che il mio cuore ama, e sarai creduto”
3. Svolgimento libero.
pag. 418 “La drammatica confessione di un amore empio” di V. Alfieri
CARATTERISTICHE DEL GENERE
1. Nella seconda metà del Settecento
2. Racconta dei fatti strettamente legati tra loro, presenta un numero ridotto di personaggi e rispetta
le unità di tempo, luogo e azione. Per presentare una storia dalla grande forza drammatica
ANALISI DEL TESTO
4
1. Mirra, la protagonista, è innamorata del padre
2. La passione, che la travolge al di là della sua volontà
3. La fanciulla, più infelice che colpevole, è un’eroina passionale, disperata e coraggiosa nel darsi
la morte
4. Il padre si dimostra premuroso nei suoi confronti, sinceramente disposto a concederle l’uomo di
cui ella è così perdutamente innamorata (“…Qual ch’ei sia colui ch’ami, io ‘l vo’ far tuo…”),
ma, quando scopre di essere egli stesso l’oggetto del suo incestuoso amore, si ritrae
scandalizzato e sconvolto, tanto da non accostarsi nemmeno dopo che ella si è ferita a morte con
la sua spada (“…Io…di spavento…e d’orror pieno, e d’ira…e di pietade, immobil resto”,
“…Alla morente iniqua donna appressarmi io non ardisco…eppure, abbandonar la svenata mia
figlia non posso…”)
5. Mirra è più infelice che colpevole, perché la forza dell’amore non si può vincere
6. Sì, per rispettare le unità aristoteliche
7. No, viene dato rilievo al percorso psicologico dell’inchiesta
8. Nel primo caso, per es. “Padre infelice!...E ad ingoiarmi il suolo / non si spalanca?...Alla
morente iniqua / donna appressarmi io non ardisco…” ; nel secondo, per es. “Come? da
chi?...Vederla vo’… Ti arretra… / Inorridisci…Vieni…Ella…trafitta, / di propria man, s’è col
mio brando … E lasci”. Gli espedienti servono a drammatizzare la recitazione
RIFLETTI
1. Ricca di pathos
2. Edipo è animato dalla sua volontà di sapere, guidato dalla consapevolezza delle sue doti
intellettive. Mirra conosce fin dall’inizio la sua colpa e il suo destino: sono gli altri che cercano
di conoscere la causa della sua infelicità.
pag. 424 “La morte di Mila” di G. D’Annunzio
CARATTERISTICHE DEL GENERE
1. Il genere conosce una nuova stagione produttiva, dopo il declino nel corso dell’Ottocento
2. Non è quasi più praticato
ANALISI DEL TESTO
1. Il tentativo di violenza subito dalla protagonista, accusata di magia
2. La scena si svolge sull’aia della casa di Aligi. Sono presenti, oltre alla protagonista, Aligi, il suo
amato, la famiglia di lui e molti abitanti del paese
3. Mila mente con coraggio per salvare Aligi, si dimostra generosa e felice di andare al rogo,
essendo riuscita a salvare il suo amato
4. No, perché gli è stato somministrato un narcotico
5. Tutti le sono nemici, la disprezzano, anche in quanto straniera, accusandola senza prove di
essere una maga. Le parenti inizialmente non le credono, la vogliono al rogo come complice di
Aligi. In seguito alle sue insistenti spiegazioni, assolvono Aligi e vogliono che essa sola sia
bruciata, accanendosi ad accusarla di ogni colpa
6. Solo Ornella, la promessa sposa di Aligi, che le è sempre stata amica, la perdona.
7. Per es. quando la gente afferma di essersi accorta subito delle sue magie: “E tutte noi contro
gridammo, e fu vano gridare”, o quando si scagliano sulla presunta colpevole, quasi sollevati,
perché è una straniera l’omicida: “Di nostra gente non viene il parricida. A Dio gloria!”
8. Indicazioni sui gesti e sull’abbigliamento
9. Ottonario: per es. “Madre d’Aligi, sorelle”; novenario: per es. “Mi confesso. Datemi ascolto”;
endecasillabo: per es. “È confesso! È confesso! La femmina”; posposizione del verbo ausiliare:
5
per es. “Commesso non ha parricidio”; espressioni religiose: per es. “Avete udito, popolo giusto,
questa serva di Dio?”
10. Per es. la forte presenza di segni di punteggiatura (esclamativi, in particolare nelle frasi del
coro); ma anche il presentarsi dei personaggi che si fanno avanti (La Catalana, per es.); oppure
le ripetizioni enfatiche (per es. “per quelli che feci infirmare, / per quelli che feci morire, / per
quelli che tolsi di senno”
RIFLETTI
1. Per es. “è vero, è vero. Sì, questo fece…”; “Io lo dissi, lo dissi nel punto. Al sacrilegio gridai. –
[...] Anch’io lo dissi, gridai [...] gridai: Ha biastemato, ha biastemato!”; “L’infamia è tolta da
noi. - La macchia non è sopra di noi. – Di nostra gente non venne il parricida…”
2. La somiglianza può esistere nell’intenzione catartica e nello scopo educativo. Molte differenze,
tuttavia, si notano rispetto alla tragedia antica (i protagonisti sono di ceto sociale umile; non vi è
riferimento a fatti eccezionali, anzi essi sono tipici del mondo pastorale e contadino, la cui
analisi è centro dell’interesse di D’Annunzio).
pag. 433 “A chi giova la guerra?” di Aristofane
CARATTERISTICHE DEL GENERE
1. “canto del villaggio” o “canto della festa di Dioniso”
2. La cosiddetta “commedia antica”
3. Era caratterizzata da satira politica e sociale, mentre Menandro metteva in scena vicende private
ANALISI DEL TESTO
1. Egli cita alcuni tragediografi, poeti e musicisti (Eschilo, Mosco, Cheride…); l’Assemblea
ateniese e il comportamento dei suoi partecipanti; la guerra contro i Persiani; uomini politici del
momento (Eutimene, Cleonimo, Clistere)
2. Per diffondere valori ideali nel pubblico, spesso popolare
3. Un contadino, Diceopoli
4. Viene presentato come il tipico contadino, che sotto un’apparente semplicità si dimostra più
saggio dei cittadini e dei politici. Il suo linguaggio è diretto e colorito (senza escludere le
scurrilità)
5. Gli uomini politici, falsi, corrotti, attenti al proprio interesse, speculatori
6. Molti dei giudizi del protagonista o molte delle sue osservazioni (per es. “Io arrivo sempre
primo e siedo in assemblea: poi, visto che sono solo, gemo, sbadiglio, m’agito, scoreggio…”
oppure “Povere dramme!”, “E noi gli svergognati e i rotti in culo”); il contrasto tra la gravità
delle conseguenze della guerra con i Persiani e le lamentele degli ambasciatori riguardo ai loro
disagi; gli imbrogli dei governanti
7. Perché il contenuto è proprio la gestione della città, e della guerra, condotta ingannando i
cittadini e lo scopo è la denuncia degli inganni e delle falsità
8. Perché si tratta di un commento personale, da un lato della scena
9. Il monologo iniziale serve a chiarire il punto di vista del protagonista rispetto alla scena che
segue
10. Realistico, adeguato ai personaggi; semplice, per una facile comprensione da parte del pubblico
RIFLETTI
1. A far riflettere sulle incoerenze dei governanti e sulle loro falsità
2. Perché il tema è il valore della pace, universale ed eterno.
6
pag. 440 “Tutto per una pentola…” di T. M. Plauto
CARATTERISTICHE DEL GENERE
1. Grandissimo
2. Il pubblico romano gradiva molto gli spettacoli ridanciani
3. La cosiddetta commedia “palliata” e la commedia “togata”
4. La commedia “palliata” era una commedia scherzosa, mentre la commedia “togata” derivava
dalle tradizionali rappresentazioni popolari (fescennini e atellana) italiche
ANALISI DEL TESTO
1. Il pubblico
2. Presentare il protagonista e l’antefatto
3. Euclione è avaro fino all’ossessione, egocentrico, attento solo al suo tesoro, finge di essere
povero
4. Perché egli tiene nascosto gelosamente ilo suo tesoro
5. La vecchia serva è brontolona e sfacciata
6. Agli spettatori, che si sentono direttamente coinvolti, e i meno abbienti soprattutto si divertono
quando si rivolge ai ricchi dicendo: “so che qua ci sono parecchi ladri, che si nascondono sotto
una toga imbiancata a gesso, e se ne stanno seduti, come fossero dei galantuomini…”
7. Liconide crede che Euclione si disperi per la gravidanza della figlia: “Sono completamente
perduto; s’è scoperto tutto!”; poi si autodenuncia, ma Euclione crede che si tratti del furto: “Il
misfatto, che t’angustia il cuore, sono stato io a compierlo…”. Tutto il dialogo che segue è
improntato alla reciproca incomprensione e all’ambiguità (per es. “toccare ciò che non era tuo”,
“soddisfare impunemente i loro capricci”, “tenerla nel migliore dei modi”, “restituisci [...] ciò
che mi hai rubato”)
8. Perché caratterizzano il personaggio, e ne enfatizzano i gesti
9. Perché, dopo l’equivoco, avviene il chiarimento, a cui ci si aspetta segua il lieto fine
RIFLETTI
1. Al lettore moderno sono utili, mentre ai fini della rappresentazione non servono
2. Svolgimento libero.
pag. 443 “Un canovaccio” di F. Scala
CARATTERISTICHE DEL GENERE
1. Nelle piazze o nei mercati
2. Altissimo
3. Il fatto di essersi irrigidita in vuote ripetizioni di schemi e scene, costrinse ad adottare
espressioni volgari per tener viva l’attenzione, ma col tempo essa scomparve
ANALISI DEL TESTO
1. Un amore contrastato
2. Amorosa, con intrecci vari
3. Cenni ad alcune “robe di scena” e ai fondali necessari (per es. con una finestra)
4. Poiché le vicende sono largamente prevedibili, tutto si giocava sulla bravura degli attori
RIFLETTI
1. Per es.:
CAPITANO Flavio, voglio confidarti un segreto: devi sapere che…
7
pagg. 450-451 “L’insopportabile avarizia di Arpagone” di Molière
CARATTERISTICHE DEL GENERE
1. La borghesia emergente e l’aristocrazia arrogante e prepotente
2. Nella sua prima produzione si ispira alla commedia dell’arte italiana, ma in seguito costruisce un
modello personale di teatro, che mette in luce i vizi e le debolezze degli uomini e dei ceti sociali,
sull’esempio della commedia greca e di quella di Plauto
3. No, essi vengono rielaborati e rinnovati
ANALISI DEL TESTO
1. Elisa ama Valerio e Valerio ama Elisa, dopo essersi incontrati fortunosamente in mare
Elisa è solidale con Cleante e Cleante lo è con Elisa, perché entrambi sono tormentati da un
padre avaro, che impedisce la loro felicità
Elisa odia Arpagone e Arpagone vessa Elisa, che teme la collera del padre perché ama Valerio
Cleante odia Arpagone e Arpagone vessa Cleante, impedendogli di sposare Marianna, che è di
famiglia modesta
Valerio adula Arpagone per ingraziarselo e Arpagone sospetta Valerio, incolpevole, del furto
della cassetta dell’oro
Valerio stima Cleante, suggerendo alla sorella di chiedere il suo aiuto
Cleante ama Marianna, anche se appartiene a una famiglia non abbiente, per la sua grazia e
gentilezza d’animo
Freccia aiuta Cleante, prendendo in giro Arpagone e rubandogli i suoi scudi d’oro
2. È figlio di Anselmo, e fratello di Marianna, ma non lo saprà che alla fine, poiché pensa di aver
perduto la famiglia in mare. Si finge povero per farsi assumere da Arpagone e poter stare vicino
alla sua amata, conosciuta in un’avventurosa vicenda in mare, da cui l’ha tratta in salvo
3. Entrambi non sopportano le vessazioni del padre e la sua avarizia
4. Egli è temuto da Elisa, che afferma “l’avvenire mi inquieta…la collera di un padre, i rimproveri
di una famiglia”, mentre è detestato da Cleante, che pur rispettandolo in quanto padre disprezza
la sua avarizia: “cosa c’è di più crudele di questa economia fatta a nostre spese, di questa
grettezza assurda nella quale ci si fa languire”. Nelle sue azioni col servo ritenuto responsabile
del furto, Arpagone si mostra avido e arrogante, sospettoso e diffidente fino all’esagerazione,
ma in realtà è incapace di vedere la verità
5. No, anche se Elisa è meno attenta all’aspetto economico, i due figli concordano con l’opinione
corrente su Arpagone. Essi comprendono che egli è disposto anche a sacrificare la felicità dei
suoi cari pur di ricavare un guadagno, unico interesse della sua vita
6. Certamente nell’avarizia (l’occasione del furto della cassetta di monete d’oro è identica a quella
del furto della pentolaccia) e nell’esagerata parsimonia, così come nella diffidenza verso tutti
(anche la scena con Freccia ricalca quella platina con Stafila)
7. Altri suoi comportamenti sono adattati al secolo in cui Molière vive: l’attività di usuraio, la
vanità tipicamente borghese, la sensibilità all’adulazione sono caratteri non presenti in Euclione
8. Per es. “Fuori di qua, subito e senza replicare! Via, sgomberare di casa mia…” (in Plauto:
“Esci, ti dico, esci, su! [...] Devi uscir fuori di qua…”); oppure “…Ho una gran paura che abbia
sospettato qualcosa del mio denaro…” (in Plauto: “…ho una tremenda paura che mi tenda un
tranello…”)
9. Con l’accenno all’uscita nella battuta del personaggio (per es. nell’Atto Primo, Scena Prima:
“VALERIO: …Eccolo. Io mi ritiro…”; alla fine della Scena Seconda: “CLEANTE: Sento la sua
voce, allontaniamoci un po’…”)
10.
Didascalie che
forniscono indicazioni
Didascalie che
forniscono indicazioni
Didascalie che
forniscono
Didascalie che
forniscono
8
sulla scenografia
sulla gestualità
dei personaggi
“La scena è a Parigi, in casa
di Arpagone”
“alza la mano per dargli
un ceffone”,
“indicando i pantaloni di
Freccia”,
“tastando i calzoni di
Freccia”,
“Gli fruga le tasche”,
“indicando una tasca del
farsetto”
indicazioni
sulla voce dei
personaggi
“Forte”
indicazioni
sulle modalità del
dialogo
“Fra sè”
RIFLETTI
1. e 2. Svolgimento libero.
pag. 459 “La furbizia di Mirandolina” di C. Goldoni
CARATTERISTICHE DEL GENERE
1. Egli la trasformò in una vera e propria forma letteraria, liberandola dalle improvvisazioni e
tratteggiando personaggi complessi e non più stereotipati
2. Per l’esigenza di realismo, che era già emersa con Molière
3. Per abituare gli attori al passaggio dall’improvvisazione al testo scritto da memorizzare
ANALISI DEL TESTO
1. A Firenze, nella locanda della protagonista, con l’intento di porre a confronto due diverse
categorie sociali dell’epoca, delle quali Goldoni coglie con vena ironica gli aspetti più
qualificanti
2.
…grazia e civetteria femminili
Per es.: “Che dice della debolezza di quei due cavalieri?
Vengono alla locanda per alloggiare, e pretendono poi di voler
far all’amore colla locandiera…”;
“…Vede? Io non sono una ragazza. Ho qualche annetto; non son
bella, ma ho avute delle buone occasioni…”;
“…sono piuttosto allegra, dico delle barzellette per divertirli, ed
essi subito credono…”;
“Questa è la prima volta, che ho l’onore d’aver per la mano un
uomo che pensa veramente da uomo”;
“...sono almeno sicura che con lei posso trattare con libertà,
senza sospetto che voglia fare cattivo uso delle mie
attenzioni…”;
“…ella mi piace assalissimo”;
…astuzia
Per es.: “…Questi uomini effeminati non li posso vedere. Sì come
aborrisco anche le donne che corrono dietro agli uomini”;
“…in verità compatisco quegli uomini che hanno paura del
nostro sesso”;
“Guardi che debolezza! Innamorarsi subito di una donna!”;
“(da sé) - Il satiro si anderà a poco a poco addomesticando”;
“(Da sé, parte) - Mi caschi il naso, se avanti domani non
l’innamoro”
Tutta la scena XVII, con il finto pianto e lo svenimento
“…Molte sono le nostre armi, colle quali si vincono gli uomini.
9
…amore per la libertà
…realismo tipicamente borghese
Ma quando sono ostinati il colpo di riserva sicurissimo è uno
svenimento…”
Per es.: “…quando vedo che mi lusingano, rido come una
pazza”;
“…non ho mai voluto maritarmi, perché stimo infinitamente la
mia libertà”
Per es.: “…Cerchiamo di fare il nostro interesse; se diamo loro
delle buone parole, lo facciamo per tenerli a bottega…”;
“L’impresa è fatta. Il di lui cuore è in fuoco, in fiamma, in
cenere. Restami solo, per compiere la mia vittoria, che si renda
pubblico il mio trionfo, a scorno degli uomini presuntuosi, e ad
onore del nostro sesso”
3. Mirandolina, con la scusa di volergli portare personalmente la biancheria da letto per
dimostrargli uno speciale trattamento di favore, si reca nella camera del Cavaliere di Ripafratta,
dove mette in atto le sue strategie, in un abile crescendo progressivo: adulazione, finta
compiacenza, manifestazione di disinteresse per gli uomini (e contemporanea sottolineatura dei
tanti spasimanti per stuzzicare l’orgoglio maschile), contatto fisico, esplicita manifestazione di
apprezzamento
4. Perché è descritta “a tutto tondo”, non è un personaggio stereotipato
5. Egli inizia il dialogo con fare scortese (per es. “…bastavamo qualche cosa di meglio di quel che
mi avete dato…Se vorrò qualche cosa, lo dirò al cameriere”), poi rimane colpito dalla apparente
sincerità della donna (“(da sé) - È curiosa, costei”) e la trattiene, dimostrando dell’interesse
(“No, mi fate piacere, mi divertite”) e dell’apprezzamento (“…avete buona maniera”). Seppure
con diffidenza (non desidera darle la mano), ascolta le manifestazioni di disinteresse per gli
uomini da parte di Mirandolina, manifestando di essere incuriosito (“Che diavolo ha costei di
stravagante, ch’io non capisco!”). Rimasto solo, esprime chiaramente che la donna gli piace:
“…Costei sarebbe una di quelle che potrebbero farmi cascare più delle altre…Ha un non so che
di straordinario…”. La capitolazione avviene di fronte alle false lacrime e al finto svenimento,
non senza resistenza: “Che avete? Piangete?[...] Del fumo negli occhi? Eh! Basta…quanto
importa il conto? [...] Eh, se non vado via! [...] Queste sono due doppie. Godetele per amor
mio…e compatitemi…[...] Mirandolina! Ahimè! Mirandolina! È svenuta. Che fosse innamorata
di me? Ma così presto? E perché no? Non sono io innamorato di lei? Cara
Mirandolina…Cara? Io cara a una donna? Ma è svenuta per me. Oh come tu sei bella…”
6. Riguardano soprattutto la gestualità e l’abbigliamento dei personaggi
7. Sono molto numerosi e rivestono una particolare importanza: chiariscono il pensiero del
personaggio o ne esprimono i commenti, vivacizzando la scena
8. Per es. “…dieci paoli al braccio”, “…quando si lavano perdono assai”, “…vi è del duro”
RIFLETTI
1. Debolezza, effeminatezza, uso di lusinghe, impiego del corteggiamento, facile innamoramento
2. Malizia, facile cedevolezza agli uomini, uso di adescamenti.
pagg. 463-464 “La resurrezione di Lazzaro” di D. Fo
CARATTERISTICHE DEL GENERE
1. Nella prima metà del secolo la commedia ha sviluppato l’osservazione della società, mentre
quella del secondo Novecento affronta temi più legati all’interiorità e alla psicologia
dell’individuo
10
2. Si ispirano alla recitazione dei giullari, con un linguaggio di fantasia a metà tra il popolare e il
letterario, e affrontano temi di satira pungente
3. Il premio Nobel per la letteratura nel 1997
ANALISI DEL TESTO
1. L’ingresso nel cimitero: dall’inizio fino al monologo a commento (“…Un bel furbo, quello!...”).
Attesa di Gesù dentro il cimitero: da “…Chi sta venendo avanti?! No, non cominciamo a
spingere…” a “Zitto, blasfemo! – Buoni!”.
Arrivo di Gesù col suo seguito: da “…- Arriva! Arriva! È qui!...” a “…- Silenzio! In ginocchio,
ha fatto segno di mettersi in ginocchio, bisogna pregare”.
Il miracolo: da “…Dov’è la tomba?” a “…Va, va su, è in piedi!...”.
Commenti della gente: da “- Miracolo! Oh! Miracolamento! Oh Gesù, dolce creatura…” alla
fine
2. Perché è tratto da brani teatrali popolari medievali rielaborati nella forma del “mistero”
medievale recitato da un giullare
3. Perché doveva interpretare da solo tutti i ruoli
4. È un’intera folla di persone: si riconoscono almeno trenta persone
5. Piccolo, tanto da sembrare “un ragazzino”, “con la barbetta”. La figura del Cristo viene in parte
ridimensionata a una dimensione umana (“Non lo lasciano andare in giro solo, perché è un po’
matto!”), ma con qualità straordinarie (“un santo che fa miracoli”), che commuovono il
protagonista, che era venuto incredulo (“…Oh Gesù, dolce creatura che sei, che io non
credevo!)
6. La comicità consiste innanzitutto nel fondo dialettale – di molti dialetti – che risulta
assolutamente sdrammatizzante di qualsiasi contenuto (si veda per es. il successo che ottengono
le compagnie teatrali dialettali in ogni regione) grazie all’utilizzo di una parlata popolare, con
battute, motti di spirito, volgarità (nel caso di Fo non gratuite). In particolare, però, è
fondamentale la sua caratteristica fortemente onomatopeica, che consente una recitazione molto
espressiva e iperbolica, in grado di comunicare emozioni e suggestioni, in questo caso irriverenti
e satirico-grottesche
7. Perché il testo è fortemente centrato sulla recitazione dell’attore, che improvvisa liberamente
gesti ed espressioni mimiche
RIFLETTI
1. La pietra tombale diventa nel testo di Fo “il tombone”, con evidente effetto comico; ma la scena
più esasperata è quella dell’apertura del sepolcro: nel Vangelo Lazzaro è morto da quattro
giorni, la sorella dice “manda cattivo odore”. Fo costruisce una serie di commenti iperbolici
sull’odore emanato dal cadavere (“…Cos’è ‘sto tanfo? [...] È pieno di vermi, di tafani…”)
2. L’intenzione di Mistero buffo è quella di risvegliare le coscienze alla ricerca della giustizia,
fustigando il potere e, facendo rivivere la cultura delle classi subalterne, di ridare dignità ai ceti
popolari. Nel suo rifacimento di rappresentazione sacra la descrizione parodistica non ha
l’intento di dissacrare la religione, bensì quello di smascherare l’avidità e la corruzione dei
potenti che utilizzano la religione per mantenere i propri privilegi.
Ha scritto Dario Fo: “In tutta la mia vita non ho mai scritto niente per divertire e basta. Ho
sempre cercato di mettere dentro i miei testi quella crepa capace di mandare in crisi le
certezze, di mettere in forse le opinioni, di suscitare indignazione, di aprire un po' le teste.” (da
Il mondo secondo Fo). “Conoscere è saper leggere, interpretare, verificare di persona e non
fidarsi di quello che ti dicono. La conoscenza ti fa dubitare. Soprattutto del potere. Di ogni
potere.” (da la Repubblica, 13 giugno 2004).
11
pag. 474 “Nora abbandona Torvald” di H. Ibsen
CARATTERISTICHE DEL GENERE
1. Nasce nel corso del XVIII secolo come genere intermedio tra la tragedia e la commedia
2. Rappresenta sia momenti tragici che comici, per soddisfare i gusti di un pubblico borghese
ormai insensibile ai conflitti tra eroi e alle maschere comiche. Mette in scena vicende ambientate
in contesti realistici, presenta protagonisti di piccola e media borghesia, che nascondono, dietro
il perbenismo e la rispettabilità, inquietudini, fatiche e difficoltà
3. Principali esponenti del genere sono Anton Checov, Henrik Ibsen e August Strindberg
ANALISI DEL TESTO
1. Perché non comprende i motivi che l’avevano indotta a fare una frode per salvargli la vita,
preoccupato esclusivamente delle conseguenze per sé stesso: la scoperta della meschinità del
marito fa sì che Nora improvvisamente realizzi che egli non è l’uomo che lei credeva, che non
l’ha mai compresa, trattandola come una bambola
2. Torvald la considera incapace di capire: per es. “Come sei ridicola e ingrata, Nora!”, “Tu parli
come una bambina”; non è disposto altro che a essere gentile, non concepisce una relazione
diversa da quella con una moglie-bambola: per es. “…con gioia lavorerei giorno e notte per te,
sopporterei dolori e preoccupazioni. Ma nessuno sacrifica il suo onore per qualcuno che ama!”
e “Avrei dovuto metterti sempre al corrente di seccature che in ogni caso non avresti potuto
condividere con me?”
3. Tutto ciò che attiene alle convenzioni: “Pensa: che cosa dirà la gente?”, “...ti sottrai ai tuoi
doveri più sacri [...] In primo luogo sei moglie e madre”; la morale religiosa (“Non hai in queste
cose una guida infallibile? Non hai la religione?”. Nora argomenta che il suo dovere primo, a
cui non è mai stata educata, è verso se stessa (“Devo cercare di educare me stessa”) e
controbatte di voler trovare le “sue” norme di comportamento: “Voglio vedere se ciò che diceva
il pastore Hansen era giusto, o meglio, se era giusto per me”
4. Nora è indifferente alle opinioni della gente; Torvald, invece, vi si attiene, e dell’opinione della
moglie dice “È rivoltante”
5. Nora ritiene di essere stata considerata come un piacevole divertimento, una bambola, un
oggetto con cui avere un’amabile convivenza (del padre e del marito dice: “Voi non mi avete
mai amata. Vi faceva soltanto piacere di essere innamorati di me”): il matrimonio è, invece, per
lei, condivisione di ogni cosa, soprattutto dei valori spirituali e morali
6. Nora è stata sempre trattata come un oggetto di svago, un giocattolo (“…la nostra casa non era
altro che una stanza da gioco. Qui sono stata la tua moglie bambola…”), che, in quanto tale,
non ha facoltà di decidere, di scegliere, ma può solo essere soggetto/oggetto di piacevoli
attenzioni. Non è mai stata considerata una persona (“Credo d’essere prima di tutto una
creatura umana al pari di te…”)
7. Nelle intenzioni esplicitate da Ibsen non c’è un impegno esplicitamente a favore delle donne,
poiché egli è impegnato in una battaglia culturale più complessiva contro il conformismo
borghese che soffoca l’autenticità degli individui; tuttavia il personaggio di Nora ha ispirato
generazioni di donne nel loro percorso di autocoscienza
8. Ha un ritmo lento, costituito da poche azioni e molte riflessioni
RIFLETTI
1. Nora si riferisce al suo matrimonio, tuttavia è consapevole dei condizionamenti della società nei
confronti delle donne. Ciononostante ritiene ancora possibile il “miracolo” di un’unione diversa
2. Svolgimento libero.
12
pagg. 483-484 “L’uomo dal fiore in bocca” di L. Pirandello
CARATTERISTICHE DEL GENERE
1. Perché presenta degli spaccati di vita quotidiana della borghesia
2. Egli utilizza le vicende per denunciare il conflitto esistente tra l’individuo e il mondo esterno
ANALISI DEL TESTO
1. Un uomo che sa di dover morire perché affetto da un tumore alla bocca
2. Un cliente occasionale incontrato in un bar
3. Perché sta cercando in ogni modo di restare attaccato alla vita
4. Egli descrive innanzi tutto l’arredamento “alla buona”, che dimostra la tirchieria del medico,
che ha voluto risparmiare; poi tratteggia il comportamento dei pazienti “intenti a guardarsi il
dito che fa segni vani sul bracciolo”, preoccupati della “sentenza” che a breve gli verrà data; si
chiede infine se le seggiole sarebbero contente di conoscere la persona che vi sta seduta: esse
sono indifferenti, così è lui, indifferente a ciò che fa, a chi incontra
5. L’Uomo dal fiore in bocca sa di avere poco tempo di vita, perciò per lui lo scorrere del tempo è
un inesorabile avvicinarsi della morte (“…E mi faccia un piacere, domattina, quando arriverà
[...] il primo cespuglietto d’erba su la proda. Ne conti i fili per me. Quanti fili saranno, tanti
giorni ancora io vivrò…”); l’avventore, da uomo tranquillo e senza problemi, si affanna dietro
mille stupide incombenze e considera il tempo sempre manchevole (“…Bastava, santo Dio, che
non avessi tutti quegli impicci di pacchi, pacchetti, pacchettini…”)
6. Essi sono profondamente diversi, la comunicazione tra loro è impossibile, ognuno di loro è
preso dal proprio piccolo/grande problema, che gli serve da chiave di lettura della realtà
7. L’autore ritiene che nessuno possa davvero condividere le angosce dell’altro: la solitudine è di
tutti, ognuno “col suo male segreto”
8. Creano un grande senso di attesa per ciò che il personaggio sta per dire e rappresentano
metaforicamente il silenzio che precede la morte imminente
9. Per es. “un’angoscia nella gola” e “il gusto della vita” per definire il gusto della vita “…che
non si la scia assaporare”; oppure la metafora delle albicocche da mangiare aperte in due “come
due labbra socchiuse”, emblema delle occasioni che ancora si possono cogliere
10. Il testo è largamente impegnato dai lunghi monologhi del protagonista, che espone il suo
drammatico punto di vista, mentre il suo interlocutore vive di quiete banalità e si esprime con
frasi stereotipate e luoghi comuni (per es. “…lei non sa che cosa diventano le donne in
villeggiatura!”
RIFLETTI
1. Lo squallore dell’ambientazione rappresenta lo stato d’animo del protagonista, la scarsa e fredda
luce del lampione rischiara debolmente la verità e la vita umana
2. Svolgimento libero.
pagg. 492-493 “Sei misteriosi personaggi” di L. Pirandello
CARATTERISTICHE DEL GENERE
1. È un teatro “che riflette sul teatro”, cioè una rappresentazione che mette in scena la
rappresentazione teatrale stessa, mescolando palcoscenico e platea e coinvolgendo il pubblico
nella rappresentazione, per riflettere sui meccanismi e sugli scopi del teatro stesso
2. La separazione tra palcoscenico e platea, tra attori e pubblico, tra finzione e realtà
3. Perché viene attivamente coinvolto
13
ANALISI DEL TESTO
1. Come si dice nella didascalia iniziale, “…alzato il sipario, e il palcoscenico com’è di giorno,
senza quinte né scena, quasi al bujo e vuoto…). Tutto deve dare allo spettatore l’impressione
che lo spettacolo non sia pronto, che sia una prova
2. Sono delle persone vere, con difetti, capricci, debolezze
3. Sono sei personaggi creati dalla fantasia di un autore il quale li ha poi abbandonati senza farli
vivere in un dramma compiuto, sicchè sono alla ricerca di un altro autore che realizzi la loro
vicenda sulla scena
4. Quella di illustrare la visione della vita di Pirandello
5. “Chi voglia tentare una traduzione scenica di questa commedia bisogna che s’adoperi con ogni
mezzo a ottenere tutto l’effetto che questi Sei Personaggi non si confondano con gli Attori”: la
disposizione sul palcoscenico, una diversa colorazione luminosa, l’uso di maschere con
un’espressione fissata e immutabile, abiti di foggia statuaria
6. Perché i primi rappresentano la realtà di un momento, di uno spettacolo, gli altri sono la vera
Realtà, immutabile ed eterna
7. No, tutto lo spettacolo gioca sull’ambigua inscindibile confusione tra realtà vera e realtà fittizia,
tra arte e vita (“il dramma siamo noi”): la conclusione del dramma, quando due Personaggi
muoiono “realmente”, ne è la surreale, angosciante rivelazione
8. Gli Attori si mostrano sdegnati, perché credono che le richieste dei Personaggi sviliscano il loro
mestiere (“…Le sembra mestiere da pazzi, il nostro? [...] sappia che è nostro vanto aver dato
vita – qua, su queste tavole – a opere immortali!”), ridono delle loro richieste. I Personaggi si
mostrano risoluti, come di chi sa di avere ragione (“…il dramma è in noi; siamo noi…”), che il
loro è un dramma reale, e che perciò possa essere rappresentato: “…Non è loro ufficio dar vita
sulla scena a personaggi fantasticati?”
9. Quando il Padre afferma: “Eh, far parer vero quello che non è; senza bisogno, signore: per
giuoco…”
10. Data la complessità dell’opera, Pirandello desidera essere sicuro che le sue intenzioni siano
correttamente rappresentate
RIFLETTI
1. Per Pirandello non esiste una realtà oggettiva, gli esseri viventi “reali” non sono uno, non hanno
un’identità permanente, sono centomila, ma, in fondo, proprio per questo, non sono nessuno. I
personaggi creati dall’arte, invece, fissati sulla pagina, hanno una loro forma eterna e
immutabile (“chi ha la ventura di nascere personaggio vivo, può ridersi anche della morte. Non
muore più”): sono forse meno concreti, ma sono “...esseri vivi, più vivi di quelli che respirano e
vestono panni! Meno reali, forse; ma più veri!”
2. Svolgimento libero.
pagg. 499-500 “Una misera scena di guerra” di B. Brecht
CARATTERISTICHE DEL GENERE
1. Esso intende stimolare l’attività razionale dello spettatore sugli eventi politici, sociali e umani
del quotidiano, inducendo un’attività critica e di apprendimento
2. Soprattutto perché non cerca di suscitare emozioni nello spettatore, mediante una recitazione
fortemente innaturale (tecnica dello straniamento), utilizzo di effetti speciali e scenografia
molto povera
ANALISI DEL TESTO
1. La prima parte del brano, che funge da presentazione: “Negli anni 1625 e 1626 Madre Courage
attraversa la Polonia…”
14
2. Viene cantata da Eilif, durante il colloquio col comandante (“L’archibugio spara, squarciano le
picche…”
3. Sia i sommari esplicativi che le canzoni hanno funzione didascalica, servono a far riflettere il
pubblico
4. Con motivazioni spregiudicate: vanta le eccelse qualità del cappone che vuole vendere a caro
prezzo (“…era un animale così intelligente, mi hanno detto, che mangiava soltanto a suon di
musica”), sottolinea la carenza di cibo sofferta dai contadini per cui non gli si può sequestrare
nulla (“…Ne ho visti di quelli che per la fame arrivano a scavar radici”) e ricorda al cuoco la
necessità di sfamare il comandante (“…un comandante, che mangia come un lupo, e guai a te se
non trova nulla per pranzo…”). Sono argomentazioni da venditore, per lo più millanterie o
esagerazioni
5. Perché “in guerra i buoni affari non li fa la gente qualunque”, dalle guerre si arricchiscono solo
i potenti
6. Perché la guerra stravolge anche le virtù: in questo caso la virtù del coraggio si trasforma in
violenza
7. Perché egli trasforma la violenza usata da Eilif contro i contadini in un atto eroico: è lo
stravolgimento dei valori più nobili
8. Il Cappellano paragona il gesto di Eilif, che ha sequestrato venti buoi uccidendo i contadini al
miracolo della moltiplicazione dei pani, compiuto da Gesù per sfamare la folla giunta ad
ascoltarlo. E il Comandante dice a Eilif: “…Non sta scritto nella Bibbia: «Quel che avrai fatto
al minimo dei tuoi fratelli, l’avrai fatto per me»?...”: per giustificare l’uccisione dei contadini
adduce come argomento l’aver sfamato i soldati. Entrambi “piegano” le parole della Bibbia ai
loro fini, agli scopi della guerra
RIFLETTI
1. La massa subisce i giochi del potere, può esserne vittima e contemporaneamente, come Madre
Courage, complice, perché la guerra la costringe a stravolgere i valori più alti per sopravvivere. I
poveri, gli sfruttati, subisco, in tal modo, doppia violenza dai potenti. Compito del teatro epico è
quello di far riflettere il pubblico, procurargli nozioni per far nascere la consapevolezza o
coscienza critica, soprattutto dell’ingiustizia che domina il mondo e della necessità che si
sviluppi una “civiltà umana”
2. La guerra inghiotte la vita di tutti, per primi i soldati, ma le loro imprese “non ci hanno
scaldati”: la guerra è un male assoluto, che travolge tutti
3. Svolgimento libero.
pagg. 506-507 “Due dialoghi surreali” di E. Ionesco
CARATTERISTICHE DEL GENERE
1. Perché intende rappresentare l’assurdità della vita dell’uomo, che – secondo Ionesco - compie
“azioni insensate, ridicole e inutili”
2. Esso presenta storie senza senso, senza inizio o fine, che possono avere molteplici
interpretazioni; mette in scena personaggi angosciati, sgomenti, soli e rassegnati; fa parlare i
personaggi con un linguaggio sconclusionato e privo di nessi logici (e perciò spesso ridicolo)
3. Arthur Adamov, Jean Genet, Samuel Beckett e Eugene Ionesco
ANALISI DEL TESTO
1. No, sono due coppie di coniugi di cui si conoscono solo i cognomi: si nota fin dalle prime
battute l’assenza totale di personalità
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2. Essi rappresentano i pregiudizi e il conformismo presuntuoso del mondo borghese, fatti di triti
luoghi comuni e di scontate banalità, di compitezza e cortesie formali, ma anche di sostanziale
estraneità
3. La ripetitività ossessiva di parole ed espressioni (come “Veramente curioso!” o “Ma io non me
ne ricordo, caro signore!”; la illogicità del titolo rispetto ai contenuti, della successione scenica,
di singoli elementi (come la pendola); l’assenza di trama e di intreccio; l’inconsistenza (o
demenzialità) dei dialoghi, che sono vuote e insulse conversazioni (come dice Ionesco “il
parlare per non dire nulla”), a volte invenzioni foniche e verbali: tutti i paradossi della
cosiddetta normalità
4. I signori Martin ripetono esattamente le stesse battute che i signori Smith si erano scambiati
all’inizio: mutano i personaggi, ma non il vuoto di sempre
5. La pendola batte le ore in modo casuale, con un numero di colpi assolutamente inverosimile
6. Da un lato le didascalie servono a chiarire i contenuti: sono fondamentali, soprattutto per il
lettore; dall’altro introducono elementi inverosimili, come la pendola con i suoi rintocchi
illogici, che aumentano l’assurdità della situazione
7. Per es. “Mi pare di averla incontrata”, “Io sono nativa di Manchester”, “È veramente curioso!”,
“Ho preso il treno alle otto e mezzo del mattino”…
8. Affermazioni illogiche e senza senso: per es. “Faccia di feccia – Dammi la treccia”, “Preferisco
uccidere un coniglio che cantare in un ripostiglio”;
Citazioni deformate: per es. “Cactus, cocco, coccola, coccarda, cocorita! – Coccodrillo, non ci
coccolare!”, “Sbuccia la babbuccia! – Accuccia la gruccia! – Dà la gruccia alla babbuccia
della cuccia del luccio”;
Giochi di parole: per es. “I cacai nelle cacaiete non dànno cachi, dànno cacao!”, “I pali hanno
peli, i peli non hanno pali”;
Ripetizioni: per es. “Che cacata, che cacata, che cacata, che cacata, che cacata [...] - Che
cascata di cacate, che cascata di cacate, che cascata di cacate…”;
Pura emissione di suoni: per es. “A, e, i, o, u, a, e, i, o, u…”, “Mm, ll, cc, vv, mm, rr, rr, zz, zz!”
RIFLETTI
1. Le false “buone” maniere che mascherano una sostanziale estraneità nei rapporti umani (il primo
dialogo, per una parte, potrebbe essere simile alle conversazioni che si fanno, per es., in treno,
tra estranei); l’assenza di vita interiore nelle persone; il non avere nulla da dirsi oppure
l’incapacità di parlarsi davvero, anche tra persone che si amano; l’assenza di commozione…
2. Svolgimento libero.
pagg. 515-516 “Una lunga e inutile attesa” di S. Beckett
CARATTERISTICHE DEL GENERE
1. Essa perde di importanza, si riduce a frasi fatte e a luoghi comuni, non comunica niente
2. Per mostrare l’incomunicabilità cui è giunta la società contemporanea
3. Far riscoprire agli uomini i veri valori dell’esistenza, dare una nuova profondità ai sentimenti,
per sfuggire “al quotidiano, alle abitudini, alla pigrizia mentale”
ANALISI DEL TESTO
1. Estragone e Vladimiro. Sono due vagabondi di cui nel corso della commedia non si viene a
sapere quasi nulla. Dai dialoghi si viene a conoscere solo i dettagli necessari per il dialogo
stesso, ma essi sono incoerenti e scollegati
2. Essi rappresentano un’umanità immobile, fallita e frustrata, tenuta in vita solo da un’esile
speranza (aspettare Godot)
16
3. È desolatamente vuoto, con pochi elementi (l’albero, la torbiera), per rappresentare il deserto in
cui vive l’umanità e quello della sua anima
4. Vladimiro, quando dice, senza nessun legame logico con le frasi precedenti, “Uno dei ladroni si
salvò. È una percentuale onesta”, dissertando poi sulla narrazione evangelica dei due ladroni sul
Golgota e sulla salvazione. Non c’è nessun nesso logico con il resto del dialogo, il personaggio
sembra seguire un suo filo di pensiero, che poi si spezza senza motivo. Tutti i dialoghi hanno
caratteristiche di incoerenza e di immotivati passaggi da un argomento all’altro: rappresentano
l’evidenza che parlare non ha fini comunicativi
5. “ESTRAGONE: E se lo lasciassimo perdere? VLADIMIRO: Ci punirebbe”, “VLADIMIRO:
C’impiccheremo domani. A meno che Godot non venga. ESTRAGONE: E se viene?
VLADIMIRO: Saremo salvati”. Godot sembra rappresentare una labile speranza, uno scopo per
l’esistenza dei due disperati. È stato osservato che in Inglese God vuol dire Dio, mentre “dot” si
traduce con “punto”. Quindi qualcuno ha ipotizzato che Beckett abbia in questo modo lasciato
un’interpretazione sull'identità di Godot. Il suffisso “ot” a sua volta vuol dire “piccolo” in
francese, dando un’ulteriore caratteristica al Dio in questione
6. No, perché non esiste trama; la stessa conclusione della scena, in cui essi dicono “Andiamo”, li
vede immobili, come se le coordinate spaziotemporali non esistessero più, forse per dare un
valore universale agli eventi e alle parole rappresentate
7. Perché non sono comunicazione vera: tranne alcune battute, che in qualche modo fanno
procedere la scena, sono domande e risposte inutili (per es. “Che hai? – Niente – Io me ne vado
– Anch’io…”)
8. Incoerenza tra le battute dei personaggi: per es. “Credevo fossi partito per sempre – Anch’io”
Fraintendimento: per es. “VLADIMIRO: I pantaloni. ESTRAGONE: Come? VLADIMIRO: I
pantaloni. ESTRAGONE: Vuoi i miei pantaloni? VLADIMIRO: Tirati su i pantaloni”
Brusco cambiamento di argomento: per es. “…Allora non vuoi aiutarmi? – Certe volte mi
sembra proprio che ci siamo. Allora mi sento tutto strano. Come dire? Sollevato, ma la tempo
stesso…spaventato”
Contrasto tra parole e comportamento: per es. “Andiamo. (Non si muovono)”
Ripetizione: per es. “VLADIMIRO: Hai male? ESTRAGONE: Male! E viene a chiedermi se ho
male! VLADIMIRO: Sei sempre solo tu a soffrire [...] ESTRAGONE: Hai avuto male?
VLADIMIRO: Se ho avuto male! Mi viene a chiedere se ho avuto male!”
Espressioni senza senso: per es. “…D’altra parte, a che serve scoraggiarsi adesso, dico io.
Bisognava pensarci secoli fa, verso il 1900”
RIFLETTI
1. Che la tragicità di Becket consiste nella rappresentazione pessimistica dell’umanità intera, in
una vita senza senso e senza scopo decontestualizzata da qualsiasi riferimento
2. Per es.: apparentemente sembra tutto fermo, ma a guardare bene tutto è in movimento. Non c’è
l'ambiente circostante, se non una strada desolata con un salice piangente spoglio, che nel
secondo atto mostrerà alcune foglie. Il tempo sembra immobile. Eppure scorre.
U.D.4 – Il testo narrativo e il testo drammatico a confronto
pagg. 537-538 “La patente” di L. Pirandello
1. Perché la novella presenta una potenziale struttura teatrale, originata dalla riduzione degli
elementi narrativi (come le descrizioni) e dall’ampliamento della parte dialogata
2. a) l’ingresso dell’usciere: “MARRANCA: Comandi, signor cavaliere! D’ANDREA: Ecco,
Marranca: andate al vicolo del Forno, qua vicino; a casa del Chiàrchiaro. MARRANCA: (con
un balzo indietro, facendo le corna) Per amor di Dio, non lo nomini, signor cavaliere!”
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b) il colloquio del giudice con Chiàrchiaro: “D’ANDREA: Sedete e vediamo d’intenderci. Vi ho
fatto chiamare per dimostrarvi che la via che avete preso non è propriamente quella che possa
condurvi a buon porto…”
3. La presenza di nuovi personaggi, come l’usciere Marranca e i colleghi del giudice, che servono
a descrivere l’atteggiamento superstizioso del paese; lo spazio scenico, che non può essere
troppo complesso in teatro; la presentazione del giudice D’Andrea per mezzo di azioni e parole,
che sostituiscono la descrizione; i gesti e le espressioni del protagonista, che nella novella non
hanno lo stesso rilievo; la conclusione della commedia con la morte del cardellino, che
costruisce un finale in crescendo
4. Tutti gli avvenimenti si svolgono nella stanza del giudice, presentata nella didascalia iniziale
5. Nel testo teatrale l’aspetto fisico del giudice è assolutamente secondario: si dà rilievo ai suoi
gesti e alle sue parole; le riflessioni del giudice sono assai ridotte e ciò impoverisce un poco la
presentazione del suo mondo interiore, rivelato in parte dal suo affetto per il cardellino
6. La personalità del protagonista emerge, sia nella novella che nel dramma, dal colloquio col
giudice, perciò la scena ha caratteristiche analoghe. Il suo abbigliamento risponde al ruolo di
iettatore che egli si è costruito tenacemente. Il nome Chiàrchiaro in dialetto siciliano vuol dire
“frana, pietraia”: esiste una montagna così chiamata per il suo aspetto tenebroso (e in tal modo il
protagonista costruisce la sua apparenza)
7. Una delle tematiche care a Pirandello è appunto la relazione fra gli individui inquinata dai
pregiudizi e dai preconcetti, dai giudizi superficiali: l’uomo per sopravvivere è costretto a
crearsi delle apparenze, sia su se stesso sia sugli altri, in parte per deresponsabilizzarsi, che per
esorcizzare i misteri della vita e della morte. Una delle tragedie dell'uomo è proprio quella di
doversi aggrappare, per sopravvivere, proprio alle maschere costruite dagli altri fino al punto da
immedesimarsi completamente in esse
8. Nella novella espressioni come: “Era veramente iniquo quel processo là: iniquo perché
includeva una spietata ingiustizia contro alla quale un pover uomo tentava disperatamente di
ribellarsi”, “povero disgraziato” e “abbracciò il Chiàrchiaro a lungo, forte forte, a lungo”.
Nella commedia, anche se ricalca la novella, la compartecipazione è meno evidente, perché non
ci sono che i fatti a rivelarla. Ma la pietà di D’Andrea è la pietà stessa di Pirandello per i suoi
personaggi
9. Per Pirandello l’umorismo nasce dal “sentimento del contrario” (“erma bifronte che ride per
una faccia del pianto della faccia opposta”): la capacità di vedere altre facce della realtà, di
coglierne criticamente le contraddizioni, integrando rappresentazione della realtà quale appare e
riflessione su quanto si cela dietro le apparenze. In questo caso il protagonista è vittima della
maldicenza e della cattiveria altrui e, con un atto grottesco di ribellione, fa in modo che vinca
una finta giustizia su una reale ingiustizia: Chiàrchiaro, innocente, dovrà indossare
volontariamente la maschera dello iettatore, rinchiudendosi così in un ruolo non suo, accettando
un’identità che non gli appartiene
10. Essendo il testo teatrale completamente costruito mediante parole e azioni, la figura di
Chiàrchiaro, il suo aspetto, i suoi gesti (e i gesti di chi gli sta intorno) emergono con particolare
evidenza.
pag. 540 “La lupa” di G. Verga
1.
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5.
6.
In Sicilia, all’interno di un frantoio
Davanti all’abitazione della protagonista
Per esigenze teatrali
Il rifiuto ostinato di Mara al matrimonio con Nanni
La dote di Mara
Le emozioni, che ispirano l’intonazione della voce e i gesti degli attori
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7. In quello teatrale, in cui le didascalie spiegano i turbamenti dei personaggi
8. Lo stesso, per lo stesso motivo
9. Non tutti, solo quello relativo al rifiuto di Mara
10. Sì, per es. l’affermazione violenta “Dovessi trascinarti all’altare per i capelli”, che nella novella
era “…ma la madre l’afferrò pe’ capelli, davanti al focolare, e le disse co’ denti stretti -Se non
lo pigli, t’ammazzo!”
11. Per dare enfasi alla recitazione, per lasciare spazio ai mutamenti espressivi dei volti.
pag. 542 “Cavalleria rusticana” di G. Verga
1. La sfida, l’addio di Turiddu alla madre
2. I dettagli del rituale della sfida, gli amici intorno al protagonista, l’attesa della madre fino a notte
fonda
3. L’addio di Turiddu a Lola, la raccomandazione alla madre di occuparsi di Santa
4. Gli amici
5. Lola
6. Perché Turiddu racconta alla madre una pietosa bugia per rassicurarla
7. In quello narrativo, perché la brevità lo rende molto incisivo
8. Il gesto della sfida (stringere tra i denti l’orecchio), senza alcuna osservazione di emozioni; gli
amici che lasciano la cena “zitti zitti” per accompagnare Turiddu, la madre che aspetta alzata
come “ogni sera”, la frase di addio, secca e tragica
9. Sì: un’unica didascalia indica l’affacciarsi della madre
10. Che non vi siano spostamenti di luogo: la scena si compie tutta davanti a casa della madre di
Turiddu, e comprende anche l’addio a Lola.
pag. 545 “La giara” di L. Pirandello
1.
TESTO TEATRALE
VOCE DI DON LOLÒ Voglio sapere chi è stato,
per la Madonna!
DON LOLÒ (avventandosi prima contro Tararà,
poi contro Fillicò, agguantandoli per il petto della
camicia e scrollandoli) Sei stato tu? Chi è stato?
O tu o tu, uno dei due dev’essere stato, perdio, e
me la pagherete!
DON LOLÒ Eh, già tutti innocenti! S’è rotta da
sé!
- La farò pagare a tutti quanti!
DON LOLÒ La giara nuova! quattr’onze di giara!
È stata invidia o infamità?
TESTO NARRATIVO
Voleva sapere chi gliel’avesse rotta!
Si scagliò prima contro quei tre; ne afferrò uno
per la gola e lo impiccò al muro, gridando: Sangue della Madonna, me la pagherete!
Possibile che si fosse rotta da sé?
- Sangue della Madonna, me la pagherete!
- La giara nuova! Quattr’onze di giara!
Qualcuno per forza doveva averla rotta, per
infamità o per invidia!
TARARÀ …Forse era incrinata.
Che fosse arrivata rotta dalla fabbrica? Ma che!
DON LOLÒ Ma che incrinata! Sonava come una Sonava come una campana!
campana!
FILLICÒ …si può sanare…
La giara si poteva sanare. Non si era poi rotta
‘MPARI PÈ …se n’è staccato un pezzo…
malamente. Un pezzo solo.
TARARÀ …un pezzo solo…
FILLICÒ Le ritorna come nuova [...] se chiama Un bravo conciabrocche l’avrebbe rimessa su,
un buon conciabrocche [...]
nuova. C’era giusto Zi’ Dima Licasi, che aveva
TARARÀ Chiami zì Dima, zì Dima Licasi! [...]
scoperto un mastice miracoloso [...] che neanche
LA ‘GNA TANA Bravo mastro, fino: ha un il martello ci poteva
mastice miracoloso, che non ci può neanche il
martello
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5.
6.
7.
La descrizione del personaggio: il suo gesticolare; la descrizione del paesaggio
La presenza di nuovi personaggi, comprese delle donne
All’aperto, sul crinale di una collina; all’aperto, lungo un sentiero
Il protagonista è collerico (“sempre infuriato”), violento, litigioso
Con le stesse caratteristiche, sia nelle parole che nella presentazione dei gesti nelle didascalie
Per necessità teatrali (occorre indicare tutti i personaggi, anche per conoscere il numero degli
attori necessario)
8. In sostanza nello stesso modo, anche se nella novella si aggiunge che è geloso del suo segreto
9. Numerose e dettagliate
10. No, almeno non sostanzialmente.
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