la pizzica nascosta

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la pizzica nascosta
LA PIZZICA NASCOSTA
L’ORGANETTO NELLA MUSICA E NEI CANTI
TRADIZIONALI DI VILLA CASTELLI
a cura di
Mario Salvi e Giandomenico Caramia
Registrazioni e interviste: Giandomenico Caramia e Mario Salvi.
Stesura del libretto: Mario Salvi.
Trascrizione dei testi dei canti in dialetto: Silvia Gallone.
Trascrizione dei testi dei canti in italiano: Mario Salvi.
Foto: Giandomenico Caramia, Mario Salvi, Francesco Carparelli (Cisternino).
Ottimizzazione audio: Studio Mediterraneo di M. Stano (Santeramo in Colle BA).
Si ringraziano: mastro Peppe Sisto per aver favorito la conoscenza di molti cantori e suonatori,
la famiglia Ligorio per le foto di Cosimo de Catiniedd’, Geltrude Giovane in Caramia per aver
ospitato molte sessioni di registrazione.
Edizioni Kurumuny
Sede legale:
Via Palermo, 13 – 73021 Calimera (Le)
Sede operativa:
Via S. Pantaleo, 12 – 73020 Martignano (Le)
Tel. e Fax 0832 801577
www.kurumuny.it • [email protected]
ISBN 978-88-95161-15-0
Stampato presso Martano editrice Z.I. - Lecce
© Edizioni Kurumuny – 2010
Indice
Introduzione di Sergio Torsello
p.
9
Vituccio canta, Martino suona di Luigi Chiriatti
p.
12
Il motivo della ricerca di Mario Salvi
p.
17
Ritrovare la parola e il suono di Giandomenico Caramia
p.
19
I canti
p.
37
Album Fotografico
p.
61
Frammenti di storie di vita e memorie musicali a Villa Castelli
I luoghi della ricerca: Villa Castelli
Cenni storici su Villa Castelli
La tradizione dell’organetto a Villa Castelli
Il repertorio di musiche e canti con l’organetto
Le modalità dei canti e l’uso dei testi
I brani del CD
I cantori e i suonatori: cenni biografici
Introduzione
Sergio Torsello*
La recente fortuna delle tradizioni musicali di Puglia ha avuto il merito
di richiamare l’attenzione su un patrimonio ormai agonizzante, destinato
alla lenta ma progressiva dissoluzione. C’è da dire che molto è stato fatto
in questo campo, soprattutto negli ultimi dieci anni, ma molto ancora
resta da fare sul piano della documentazione, della ricerca e della valorizzazione di un bene immateriale, di per sé “volatile” come direbbe
Eugenio Maria Cirese, da “fissare su memorie durevoli” per evitarne la
scomparsa. Lo dimostra questa raccolta di documenti sonori provenienti
da Villa Castelli, piccolo centro in provincia di Brindisi, dove ancora
sopravvive la pratica strumentale dell’organetto a “otto bassi”. Non sono
molte, infatti, le aree dell’ex Terra D’Otranto (le odierne province di
Lecce, Brindisi e Taranto), dove è così fortemente attestata la tradizione
dell’organetto, uno strumento di origine colta o urbano artigiana – come
dice Francesco Giannattasio (L’organetto, Bulzoni, 1979) – che sin dalla
sua diffusione nell’Italia post-unitaria ha progressivamente sostituito altri
aerofoni come le zampogne o le launeddas (in Sardegna). Che ciò sia
avvenuto a Villa Castelli si spiega forse con la particolare vocazione conservativa di un’area, la Bassa Murgia, a economia essenzialmente agropa7
storale, lontana dalle principali linee di comunicazione e perciò più a
lungo preservata dagli effetti nefasti della cultura di massa prima e di una
“modernità senza modernizzazione” poi. Tra i molti motivi di interesse
racchiusi in questa preziosa raccolta, frutto di lunghi e pazienti anni di
ricerca da parte di Mario Salvi, uno dei maggiori organettisti italiani, e del
suo allievo Giandomenico Caramia, una mi sembra particolarmente
degna di nota: il rilevamento di un tarantella definita “malinconica”,
aggettivo di chiara derivazione colta ma di per sé rivelatore della diretta
discendenza dai modelli della terapeutica musicale. La sindrome melanconica è infatti uno dei principali leit motiv del paradigma medicoscientifico affisso al fenomeno del tarantismo, attestato già dal Sertum papale
de venenis, nel 1362, il documento più antico nel quale si menziona la
terapia coreuticomusicale per la cura del morso venefico del ragno. Ma
non vanno sottovalutati altri fondamentali aspetti che emergono dalla
ricerca: le notevoli capacità performative di veri e propri “alberi di canto”
come Vito Nigro, le peculiarità linguistiche di una città “cerniera” tra
Salento e resto della Puglia, importanti tracce (“sonata a scherma”, Brano
14) di pratiche coreutiche affini alla scherma salentina che qui restano
ancora un universo oscuro e di difficile penetrazione, il vasto repertorio
di musiche da ballo di derivazione colta (scottish, valzer e polke), esemplificative delle complesse dinamiche di circolazione e delle reciproche
influenze tra culture egemoni e culture popolari. Questo nuovo lavoro su
Villa Castelli aggiunge dunque un importante tassello alla conoscenza dei
repertori musicali di tradizione orale dell’area, i cui materiali etnomusico8
logici erano fermi al lavoro di Mario D’Elia (Canti popolari di Villa
Castelli, 1978), contributo importante che rivela però un interesse prevalentemente linguistico. In un senso più generale infine questo lavoro
acquista una significativa valenza storica e culturale. Perché ribadisce una
volta di più l’importanza di “salvare”, ove ancora possibile, le memorie
musicali della Puglia contadina. Prima che anche gli ultimi testimoni
lascino definitivamente la scena.
*Istituto Diego Carpitella
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Martino suona, Vituccio canta.
Frammenti di storie di vita e memorie musicali
a Villa Castelli e dintorni
Luigi Chiriatti
Martino vive in campagna insieme alla sua compagna di sempre, i suoi
cani e i suoi gatti.
Una campagna bella e aspra quella tra Martina Franca e Villa Castelli,
con muretti a secco ancora integri e tratturi a ragnatela che conducono
verso pascoli e seminativi di cui conosce ogni piega, ogni segreto, ogni
sentiero e anfratto. Entrando nella sua masseria ti colpisce la cappella
votiva dei santi Medici. Santi onnipresenti e onnipotenti che elargiscono
grazie e favori a seconda della loro volontà e del loro umore. A Martino
di grazie ne hanno concesso due e lui se li difende con i denti. Guai a
parlare male dei Dioscuri.
Lo incontriamo, insieme a Sergio Torsello e Giandomenico Caramia, una
sera d’inverno. Accoccolato all’angolo del camino acceso, parte integrante
del muro, con sua moglie Lucia su una sedia a rotelle. I ricordi di una vita
sparsi sui cornicioni che una volta servivano a seccare il formaggio o appesi ai muri. Amici, parenti; ogni foto una storia bella o brutta a noi non è
dato saperlo.
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Martino ha i colori e il profumo della terra di cui è parte integrante e
inseparabile. Le sue mani e il suo corpo ora quasi ottantenne sono segnati profondamente e in maniera indelebile. Mani e corpo che hanno assoggettato la sua terra aspra e dura alle necessità sue e di sua moglie. Ma
che hanno dovuto pagare un prezzo: sono quasi deformate e le ossa cercano di uscire dalla pelle in tutte le direzioni.
Martino le tiene insieme, gli servono ancora. Sulla mensola accostata al
camino ci sono in bella mostra quattro luccicanti strumenti musicali: gli
organetti di Martino.
Ha imparato a suonare da piccolo. Il suo papà era un suonatore di
organetto e dopo ogni suonata riponeva lo strumento in una cassa che
chiudeva a chiave. Lui, bambino, una volta riuscì a forzare la serratura e
prendere l’organetto. In adorazione dei tasti luccicanti quasi in trance,
non si era accorto che il padre era rincasato e lui non sapeva come riporre lo strumento senza farsi scoprire. Piano piano si aggirava per la vigna
in cerca del momento buono per riparare al danno. Ma l’organetto lo
tradì. Ad ogni spostamento il mantice emetteva dei suoni scomposti che
attirarono l’attenzione del padre. Martino fu punito per questa bravata.
Quando il padre morì lui era giovanissimo e l’unica eredità che gli
lasciò fu l’organetto che si portava appresso mentre pascolava il gregge
e incominciava a imparare i rudimenti delle melodie di Villa Castelli. Le
lunghe ore e la frequenza con altri suonatori gli permisero di appropriarsi di un vasto repertorio di musiche per organetto che nella sua mente e
nelle sue mani giovani hanno deliziato, guarito, divertito i componenti
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della sua comunità che lo ha consacrato come uno dei più esperti e bravi
suonatori d’organetto.
Durante la serata ci raccontano storie di quotidianità e storie che riguardano il vissuto specifico di Martino. Davanti al nostro interesse per i fucili appesi dietro l’imposta della porta ci racconta di quando i carabinieri
di Francavilla lo convocarono in caserma per un normale controllo del
possesso di armi. Martino era molto dubbioso ma portò il suo calibro 20
che a lui serviva come difesa personale. Finì che il fucile gli fu sequestrato. Ci vollero ben due anni, due processi e una spesa che superava di
gran lunga la cifra servita per pagare il fucile per risolver la situazione.
Fra un racconto e l’altro ci delizia con una suonata di organetto. La sua
abilità, anche con le dita distrutte dall’artrosi, si fa notare e sentire.
Comincia suonando polke e mazurche, passando poi gradualmente al
repertorio specifico di Villa Castelli.
Ci racconta di quando veniva chiamato a suonare per le tarantate e di
come quelle cercassero i suoni e le melodie e che in genere dopo qualche tempo tutte danzavano sulle note della “malinconica”. Una pizzicapizzica sintesi fra l’elaborazione delle melodie di Villa Castelli e san Vito
dei Normanni. Gli strumenti usati per la terapia erano essenzialmente
organetto, chitarra e tamburello che in questi luoghi non assume un
ruolo di predominanza né rituale né ritmico. Qui è l’organetto che conduce la danza.
Un argomento su cui Martino non ama soffermarsi è la “scherma”.
Anche qui le caratteristiche che la connotano sono similari a quelle di
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Torrepaduli, cioè un rituale di affiliazione mafiosa o una guapperia un
po’ romantica ma ugualmente pericolosa. Martino ci racconta che qui la
scherma è ancora praticata per risolvere questioni e problematiche legate a un mondo di malavita e a un mondo di pastorizia ancora molto diffuso. Ci mostra con orgoglio un coltello a “cinque punti”, serie di scatti
che servivano ad aprire il coltello a seconda delle circostanze in cui era
usato. Per la scherma era il quinto “punto”.
Martino e Lucia vivono nella loro casa di campagna: un trullo circondato da tutte le loro cose e con l’edicola votiva dei Dioscuri. Senza rimpianti. E quando questi fanno capolino Martino suona e Lucia canta. Le
loro canzoni sono la sintesi di canoni estetici e di saperi musicali antichi
eppure ancora capaci di raccontare la vita di una intera comunità.
Quando Martino suona non siamo più nella loro cucina ma in uno spazio simbolico in cui le speranze e le aspettative di tutti si esprimono attraverso la musica e la danza-racconto.
Vituccio canta. È la voce della memoria di Villa Castelli. Lo abbiamo
incontrato alle cinque di una sera d’autunno. Ritornava al paese con le
sue capre, dopo una giornata trascorsa con loro sui pascoli. Il vello bianco delle capre spiccava nella penombra della sera in quel momento particolare in cui non è ancora notte e nemmeno vespro, un’ora in cui tutto
può succedere. Gli animali possono trasformarsi in esseri strani e gli
uomini possono essere ghermiti da entità pericolose che si aggirano nel
tempo di mezzo. È in questo frangente temporale che Vituccio alza la sua
voce per esorcizzare il tempo. Canta Vituccio. Una strana voce con tim13
brature sottili, “femminili”, quasi in sintonia con l’ora in cui il femmineo
e il maschile travalicano i confini e s’intrecciano in un inno alla vita che
è anche un esorcismo contro la morte.
A sera la moglie di Vituccio prima di partire verso Lecce ci fa dono di
due bianche coddhure appositamente preparate per la nostra visita. Un
formaggio che ti inebbria e profuma di sentieri, di racconti e di storie di
una comunità che ancora canta e suona, lotta e soffre. Un’umanità che
conserva il gusto dell’antico guardando al futuro.
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Il motivo della ricerca
Mario Salvi
Nel corso di un viaggio in Puglia alla fine degli anni ’80 ho scoperto
quella parte di Murgia compresa tra la Valle d’Itria e le gravine che scendono verso la costa jonica tarantina. Qualcosa è scattato in me durante
quel viaggio, tanto da spingermi a passare ogni estate nelle campagne tra
Ostuni e Cisternino, per poi venirci ad abitare stabilmente sette anni fa. A
questa scelta ha contribuito molto la consapevolezza, in quanto suonatore di organetto, di sentirmi come a casa in una terra dove l’organetto è
ancora suonato e apprezzato.
Ciò mi ha permesso di scoprire un repertorio per me del tutto nuovo
di musiche e canti accompagnati con l’organetto, diffusi fino a non molti
anni fa in tutta la parte sud-orientale della Murgia. Oggi la pratica di questo repertorio sembra sostanzialmente circoscritta ai territori dei comuni
di Villa Castelli e di Cisternino, in provincia di Brindisi.
A Villa Castelli, dove ho insegnato organetto presso la scuola di musica
C.A.M, ho conosciuto Giandomenico Caramia, mio allievo dal 2000 al 2005,
oggi tra i migliori della nuova generazione di organettisti “post-tradizionali”,
che mi ha convinto a concentrare l’attenzione sul suo paese, dove ancora
risiede un discreto numero di suonatori e cantori di matrice tradizionale.
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E così abbiamo iniziato con Giandomenico una ricerca che si è focalizzata sulle musiche e sui canti accompagnati con l’organetto nel territorio
di Villa Castelli, di cui il presente CD riporta esempi significativi ma non
esaustivi, essendoci ripromessi di dedicare ai risultati del nostro lavoro
uno spazio ben più corposo in una successiva pubblicazione.
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Ritrovare la parola e il suono
Giandomenico Caramia
Recuperare consapevolmente testimonianze della tradizione musicale
del mio paese è stato per me come rileggere con attenzione un libro a
malapena sfogliato durante l’infanzia e l’adolescenza.
Con Mario abbiamo lavorato per quasi cinque anni a questa ricerca,
dedicandovi tutto il tempo disponibile. Le nostre scoperte, nel corso della
registrazione dei brani e delle interviste, sono state in particolare due:
– da un lato lo specifico modo esecutivo della cosiddetta “malinconica”, una pizzica in tonalità minore che a Villa Castelli era funzionale alla
cura degli effetti del “morso” di tarantole, scorpioni e serpenti, ovvero
della “malinconia”;
– dall’altro la grande carica di umanità, l’esperienza, la saggezza e l’arguzia dei cantori e dei suonatori che hanno collaborato alla ricerca.
A questo proposito voglio ricordare i due organettisti più anziani, venuti
a mancare prima di poter vedere pubblicati i brani da loro eseguiti: Cosimo
Ligorio (Cosm’ de Catiniedd’) e Cosimo Barletta (Micchiudd’ de Ros’Alò).
Una citazione speciale per Martino Carbotti (Martin’ ‘a Rutella), che
oggi a 79 anni è sempre un ottimo suonatore di organetto, e per sua
moglie Lucia Parisi (‘Ciodd’ de Curnacchie) dalla voce ancora vigorosa.
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Un ringraziamento particolare infine ai cantori Vito Nigro (Vitucc’ de
Carcagne) e Pasquale Barletta (Pascale de Scrace), che insieme all’organettista Francesco Barletta (Cicc’ de Ros’Alò) hanno più volte partecipato
in questi ultimi anni a manifestazioni dedicate alla musica tradizionale, in
particolare nell’ambito de “La Notte della Taranta”.
Nota metodologica
Nella trascrizione dei testi dei canti tradizionali e dei termini dialettali
(soprannomi dei suonatori e dei cantori) si è scelto di non ricorrere ai caratteri fonetici, spesso di difficile comprensione per i non addetti ai lavori.
Pertanto la “e” finale non pronunciata, molto frequente nelle parole del dialetto di Villa Castelli, è stata resa con un accento di elisione (‘) piuttosto che
con il segno fonetico
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I luoghi della ricerca: Villa Castelli
Situato al confine tra le province di Brindisi e Taranto, in posizione pressoché equidistante dagli abitati di Francavilla Fontana, Ceglie Messapica e
Grottaglie, Villa Castelli è posto a un’altitudine di 251 m. attorno alla gravina (vallone) che guarda verso il golfo di Taranto. Il comune conta circa
8.800 abitanti, in gran parte concentrati nel centro principale e in minor
misura nelle contrade rurali. Molti villacastellani di nascita abitano in località rurali che, pur essendo vicine al loro paese, appartengono territorialmente ad altri comuni come Martina Franca e Grottaglie.
L’economia di Villa Castelli è essenzialmente legata all’agricoltura e
all’artigianato. È particolarmente diffusa la coltivazione dell’olivo e la produzione di olio extravergine di qualità, il che ha portato ad includere il
territorio comunale nella zona d’origine della Denominazione d’Origine
Protetta “Collina di Brindisi”.
Tra le caratteristiche ambientali e paesaggistiche di Villa Castelli risalta
la “gravina” (tipico vallone scavato da acque superficiali nella roccia della
Murgia) che costeggia a sud-est il centro storico. La gravina è stata recentemente sottoposta a lavori di miglioramento e di restauro delle vie di
accesso all’antico frantoio ipogeo del paese.
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Cenni storici su Villa Castelli
Luogo di un antico insediamento messapico, poi, dall’epoca della dominazione normanna, sede di un fortilizio più volte distrutto e ricostruito,
l’attuale centro abitato trae origine da un vasto possedimento terriero o
“masseria”, chiamato “LI CASTELLI” per la presenza di un edificio fortificato (castellum), appartenuto tra il XVI e il XVIII secolo ai principi
Imperiali di Francavilla Fontana che vi crearono un importante allevamento di cavalli di razza.
Nel 1793, dopo la morte dell’ultimo discendente degli Imperiali, la masseria “LI CASTELLI”, detta anche “MONTE CASTELLI”, fu acquistata dal
duca di Monteiasi, Gioacchino Ungaro, che negli anni successivi concesse in enfiteusi le terre a coloni venuti da Ceglie Messapica, Grottaglie e
altri paesi del circondario.
A partire dai primi anni dell’Ottocento il nuovo centro abitato si sviluppò attorno all’antico castello trasformato in palazzo ducale (l’attuale
Municipio), diventando prima frazione di Francavilla Fontana col nome
di VILLA CASTELLI e ottenendo poi nel 1926 l’autonomia come comune
della provincia di Brindisi.
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La tradizione dell’organetto a Villa Castelli
In base alle informazioni fornite dai suonatori e dai cantori che hanno collaborato alla ricerca, l’organetto è arrivato a Villa Castelli agli inizi del ‘900,
diffondendosi rapidamente, assieme alla fisarmonica, fino agli anni ’50.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale la fisarmonica a piano ha preso il sopravvento, soprattutto tra i suonatori residenti nel centro urbano, mentre l’organetto ha continuato a essere presente nelle campagne attorno al paese.
Lo strumento più utilizzato è il modello a otto bassi, in grado di suonare per scale diatoniche in due tonalità maggiori e una minore (ad es. SOL
maggiore/DO maggiore/LA minore). L’uso di questo tipo di organetto è
strettamente legato alle caratteristiche melodiche e armoniche dei brani del
repertorio tradizionale, in particolare le pizziche e le serenate, che vengono eseguite sia in tono maggiore che in minore. La presenza, nei bassi
degli strumenti più vecchi, della terza maggiore all’accordo che musicalmente dovrebbe essere minore (LA, nell’esempio già citato) comporta un
effetto armonico poco ortodosso per uno strumento ad accordatura fissa
come l’organetto, reso comunque funzionale a livello di esecuzione.
Tra i primi a suonare l’organetto a Villa Castelli, intorno agli anni ’20 del
secolo scorso, si ricordano Pietro D’Urso (Pietr’ de ‘Nzomm’) e Paolo de
Roccamechele. Nella memoria della comunità sono più presenti gli orga21
nettisti della generazione successiva (quella nata negli anni a cavallo della
Prima Guerra Mondiale): Nicola Prettico, Oronzo Barletta (‘Ronz’ Maure),
Nicola de Pontaponta, Leonardo Carlucci (‘Nard’ de Nunanunna), Cosimo
Ligorio (Cosm’ de Catiniedd’), Antonio Nisi (‘Ntonie de Biase), Oronzo
D’Angelo (‘Ronz’ de Rubin’), Francesco Nisi (Cicc’ de Pelocce), Adamo
D’Urso (‘Tamucc’ de ‘Nzomm’), Cosimo Barletta (Micchiudd’ de Ros’Alò),
come pure molti cantori, tra cui Francesco Nigro (Cicc’ de Carcagne), Vito
Vitale (Vitucc’ de Tilone), Giuseppe Sarcinella (Peppe de Tarì), Maria
Barletta (Mari’ de Graziusante).
Martino Carbotti (Martin’ ‘a Rutella) (79 anni) è oggi il più anziano
organettista nel circondario di Villa Castelli. Tra quelli di poco più giovani, citiamo Cicc’ de Dunatiedd’ e poi ancora, Tommaso Ligorio (Tomas’
de Taccanzus’) e Giuseppe Belladonna (Peppe de Caresciole). Tra i cantori ancora attivi ricordiamo Antonio Ciracì (‘Ntonie de Fabiurocch’),
Giuseppe Siliberto (‘Seppe de Farina), e ovviamente quelli sui quali si è
incentrata finora la ricerca: Vito Nigro (Vitucc’ de Carcagne), Pasquale
Barletta (Pascale de Scrace), Lucia Parisi (‘Ciodd’ de Curnacchie).
In molti casi la tradizione dell’organetto e del canto è legata ad un intero gruppo familiare, come quello dei Barletta soprannominati “de
Ros’Alò”, suonatori da tre generazioni: il capostipite Pietro Barletta (e la
moglie Rosa Alò, cantatrice, da cui deriva il soprannome), i figli Cosimo
(Micchiudd’), Martino, Carmine, Dante (l’unico ancora vivente), i nipoti
Francesco e Mario (fisarmonicista).
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Il repertorio di musiche e canti con l’organetto
A Villa Castelli, come in tutta l’area della Murgia brindisina e tarantina,
il repertorio tradizionale per organetto comprende musiche per la danza
e per l’accompagnamento ai canti, funzionali sia a determinati momenti
della vita sociale (ballo sull’aia o in casa, serenate, stornelli, canti di osteria, e perfino duelli) sia a consuetudini “profane” nell’ambito di festività
religiose (come i pellegrinaggi al santuario dei Santi Cosma e Damiano a
Oria e alla chiesa della Madonna della Fontana a Francavilla, o il canto
“alle uova” nella settimana di Pasqua) sia, infine, alla terapia musicale del
tarantismo.
La pizzica pizzica
Questa tipologia di canto per la danza, con l’accompagnamento dell’organetto, presenta una certa uniformità nell’area collinare che, oltre a Villa
Castelli, comprende Grottaglie, Ceglie Messapica, Martina Franca,
Cisternino e Ostuni.
In quest’area la pizzica pizzica è quasi sempre eseguita nella tonalità
maggiore principale dell’organetto a otto bassi (ad es. SOL in uno stru23
mento in SOL/DO) sui due accordi di tonica e dominante (Sol maggiore
– Re maggiore), benché sia segnalato dai suonatori un tipo di pizzica
detto “alla cegliese”, eseguito sulla particolare scala modale col quarto
tono aumentato – modo lidio – che si ottiene (sempre con riferimento a
un’organetto in tonalità SOL/DO) progredendo dal FA nella gamma di
DO maggiore.
La struttura ritmica si basa su battute di 4 tempi, spesso oscillanti tra il
4/4 e il 12/8, tra tempo semplice e composto, in cui la figura di due
crome si confonde facilmente con quelle di semimina e croma in terzina
o di croma puntata e semicroma.
Gli esempi di pizzica inseriti nel CD differiscono tra loro in misura più
o meno sensibile da un suonatore all’altro a seconda dell’età, dell’esperienza musicale (qualcuno sa suonare anche la fisarmonica), della continuità nell’uso dell’organetto e, soprattutto, della maggiore o minore “contaminazione” del proprio repertorio tradizionale con brani di altro genere
(vedi ballo liscio e canzoni leggere) caratterizzati da un approccio maggiormente virtuosistico.
Più omogenea l’esecuzione vocale dei diversi cantori, ognuno dei quali
tende comunque ad adattare leggermente la linea melodica del canto alle
caratteristiche della propria voce.
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La tarantella (pizzica tarantata)
Le testimonianze fornite dai cantori e dai suonatori di organetto intervistati, hanno evidenziato l’esistenza del fenomeno del “tarantismo”
anche a Villa Castelli, in particolare nelle contrade rurali, almeno fino ai
primi anni ’60 del secolo scorso.
La cura per guarire dagli effetti del morso di scorpioni, serpenti, ecc.
(dal dialetto: “sfogare la malinconia”) prevedeva l’intervento di musicisti
e cantori che eseguivano uno specifico tipo di pizzica, detta tarantella, in
cui le parti in minore (sonata a “malinconica”) si alternavano a quelle in
maggiore, riprese dalla pizzica pizzica.
La signora Lucia De Marco (97 anni) madre del cantore Vito Nigro,
ricorda che negli anni della prima guerra mondiale quando si dovevano
curare le tarantate, di solito donne il cui marito era al fronte, venivano
chiamati suonatori di Francavilla Fontana. Si trattava di un trio costituito
da violino, chitarra e tamburello, quest’ultimo suonato da una donna.
La cura della “malinconia” si svolgeva nella casa dell’ammalata, di solito nell’ambiente più grande, che spesso fungeva anche da camera da
letto. A terra era posto un vaso di basilico e, al centro della stanza, un
oggetto che ricordava nella forma l’animale che aveva morso o spaventato la tarantata.
La terapia musicale durava spesso più di un giorno e in tal caso i musicisti si trattenevano nella casa finché la tarantata non aveva “sfogato”.
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A partire dagli anni ’40 l’organetto, già utilizzato per il ballo comune,
sostituisce gli strumenti a corde nell’esecuzione della tarantella, mentre è
sempre presente il tamburello, cui poteva aggiungersi la “scattagnola”
(nacchera percossa ritmicamente con due o tre dita).
Gli esempi di tarantella inseriti nel CD sono ormai defunzionalizzati,
ma ancora ben vivi nella memoria degli organettisti di Villa Castelli.
Anche in questo caso le registrazioni effettuate evidenziano differenze,
anche notevoli, nel modo di accompagnare e di cantare dei vari esecutori.
La matinata (serenata)
Si tratta di una modalità di canto che, con lievi differenze, si ritrova in
tutta l’area della Murgia sud-orientale, dai paesi che si affacciano sulla
Valle d’Itria fino a quelli che confinano con la piana salentina. Nel modo
di cantare la matinata a Villa Castelli sono caratteristici sia l’attacco, in
genere sulla nota più alta dell’ambito scalare della strofa (una terza sopra
la tonica) sia il mantenere l’emissione nella parte alta della scala per tutto
il primo verso, discendendo poi nel secondo verso sino al tono finale
un’ottava più in basso.
La melodia è sempre cantata sul tempo di 3/4.
L’accompagnamento musicale segue quasi all’unisono il canto, con un
intermezzo strumentale tra una strofa e l’altra.
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