6 L`EDUCATORE PROFESSIONALE E L`ANEP I DIRITTI DI UNA

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6 L`EDUCATORE PROFESSIONALE E L`ANEP I DIRITTI DI UNA
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L’EDUCATORE PROFESSIONALE E L’ANEP
I DIRITTI DI UNA PROFESSIONE, I DOVERI DELLE ISTITUZIONI
Martina Vitillo
1. Premessa
Questo lavoro ha le sue origini nell’àmbito delle riflessioni condotte nell’àmbito dell’Assemblea nazionale dei delegati1 ANEP del
2007.
In quella sede si rifletté su come la nostra figura professionale,
per quanto impiegata nell’àmbito dei servizi sanitari, sociali, sociosanitari e dell’area penitenziaria del nostro Paese ormai da decine di
anni, presenti ancora alcuni elementi di criticità sotto l’aspetto del
riconoscimento giuridico e del percorso formativo.
Si tratta di criticità che hanno radici molto antiche, che non si è
riusciti ad affrontare pienamente nonostante il lavoro incessante
che la nostra Associazione sta portando avanti dal 1992 e le altre associazioni prima della nostra.2
Molti di questi elementi sono determinati da provvedimenti
normativi che non hanno trovato applicazione, altri al piano delle
autonomie locali, altri alle materie di legislazione concorrente, altri
alla progettazione e gestione dei percorsi formativi. Elementi che,
per essere affrontati, richiedono necessariamente l’intervento di un
terzo o di più soggetti, senza i quali tali aspetti non possono vedere
una soluzione anche a fronte di qualsivoglia iniziativa che la comunità professionale degli operatori possa portare avanti.
Ma v’è un aspetto fondante che riteniamo appartenga alla professione: la definizione del suo core competence, ovvero il patrimo1 L’Assemblea nazionale dei delegati è il più alto organo decisionale dell’Associazione e determina gli indirizzi generali della sua attività.
2 ANEGID dal 1957, ANEOS dalla fine degli anni Settanta, ANEP dal 1992.
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nio di conoscenze, abilità e comportamenti che determinano il suo
agire professionale e che ne costituiscono la specificità professionale.
2. L’educatore professionale: nascita e sviluppo della figura
“Eravamo una professione giovane”
La figura dell’educatore professionale è ormai presente nei servizi del nostro Paese e nei Paesi europei sin dagli anni Cinquanta; nascita e sviluppo sono legati alle prime iniziative rivolte alla cura e al
sostegno di bambini e giovani in situazione di disagio e il suo impiego avveniva, prevalentemente, in strutture residenziali. Non vi è
la definizione di figura professionale ma emergono, in modo chiaro,
un bisogno che necessita di essere affrontato, modalità di lavoro
specifiche che prendono corpo e un àmbito di competenza: attorno
a ciò inizia a strutturarsi la professione.
In seguito grande impulso è dato dal movimento culturale che
inizia a svilupparsi attorno alla metà degli anni Sessanta; la professione trova ampio riconoscimento nell’àmbito di tali processi e inizia la riflessione da parte degli stessi operatori sulla propria identità
professionale, sulla definizione del ruolo specifico dell’educatore, sul
percorso di formazione di base e permanente.
I servizi stessi mutano profondamente nella loro articolazione,
nell’organizzazione, nel mandato istituzionale nell’àmbito del quale
sono chiamati a operare, in particolare gli educatori escono dalle
istituzioni residenziali e dai compiti riabilitativi e diventano promotori di nuove modalità di intervento.
Alla fine degli anni Settanta questi processi sono ampiamente in
corsa e, con la legislazione del ’78, sono attribuiti agli enti locali la
gestione, direzione e offerta di servizi fruibili dalla cittadinanza, sono individuate figure specifiche nel welfare pubblico sociale e sanitario e si moltiplicano le scuole di formazione.
È interessante notare come, di fronte a modificazioni così ampie
che coinvolgono la società tutta, non si modificano gli scopi della
figura dell’educatore, bensì questa si adatta ai nuovi bisogni che
emergono, con cui l’educatore mantiene un contatto molto forte e
molto “pragmatico”: un approccio che parte dal basso, dal contatto
diretto con il territorio e le persone, con la terminologia che usiamo
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oggi diremmo che i bisogni prioritari di salute3 hanno guidato l’agire professionale dell’educatore.
Gli anni Ottanta, con l’istituzione del Servizio sanitario nazionale, vedono il tentativo di sviluppare un modello “sanitario” caratterizzato da un forte radicamento con gli aspetti sociali: nascono i distretti socio-sanitari di base, sorgono i presidi e i servizi multizonali
(ospedali e servizi extra-ospedalieri), si avvia la chiusura delle istituzioni totali, si sperimentano i primi progetti territoriali, si promuovono nuovi metodi di intervento e cura, si opera affinché le persone che presentano disagi psicofisici abbiano adeguati sostegni per
restare nel loro contesto di vita il più a lungo possibile. È in questo
quadro che si delinea sempre più la professione dell’educatore, che
centra i suoi interventi sul recupero delle potenzialità delle persone
all’interno del nuovo concetto di “tutela della salute” che va via via
sviluppandosi.
Tutto ciò indirizza le Regioni a impiegare in larga misura la figura dell’educatore professionale, che inizia a essere individuata in
modo formale nell’àmbito della legislazione che regolamenta tali
interventi e a essere inquadrata nei contratti collettivi di lavoro.4
In questi anni, inoltre, prende avvio e si sviluppa fortemente il
sistema della cooperazione sociale, che inizia a gestire servizi in appalto con le amministrazioni pubbliche e a impiegare in larga misura la figura dell’educatore.
Gli anni Novanta danno ulteriore impulso a questi processi, si
avvia la riforma delle autonomie locali, è ridefinito il concetto di
“servizi sociali”5 e sono attribuite allo Stato delle funzioni di indiriz3 La stessa Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha ampliato nel tempo il concetto di “salute”, prendendone sempre più in considerazione la considerazione anche l’aspetto sociale: si vedano al proposito le definizioni che si sono
succedute nel tempo (1948-1978-1986).
4 Parallelamente si assiste a una moltiplicazione di denominazioni per indicare la figura dell’educatore: educatore, educatore agli handicappati, educatore
di gruppo appartamento, educatore/animatore, educatore di comunità, educatore professionale, educatore di distretto, educatore-animatore, operatore pedagogico, educatore extra-scolastico, operatore socio-educativo, ecc., relativamente ai contratti di lavoro www.cnel.it.
5 Il Dlgs 31 marzo 1998, n. 112, “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni e agli enti locali, in attuazione del capo I della
legge 15 marzo 1997, n. 59”, in G.U. 21 aprile 98, n. 92, definisce il concetto di
“servizi sociali” come “tutte le attività relative alla predisposizione ed erogazione
di servizi […] destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di diffi-
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zo, di programmazione dei criteri generali per l’attuazione a livello
locale della rete d’integrazione sociale, di definizione degli standard
dei servizi sociali da ritenersi essenziali, nonché di determinazione
dei profili professionali degli operatori sociali, mentre è lasciata in
capo alle Regioni la titolarità delle funzioni nell’àmbito dei servizi
sociali.
Con il decreto legislativo n. 229/1999 e i successivi decreti applicativi,6 si arriva a una definizione più strutturata di quanto non fosse in passato7 dell’àmbito dell’integrazione sociosanitaria e viene a
stabilirsi un nuovo rapporto tra soggetti pubblici e il privato attraverso l’introduzione e lo sviluppo di modalità di gestione dei servizi
e col meccanismo dell’accreditamento.
Negli stessi anni si apre il cammino che porterà alla riforma
dell’assistenza; il dibattito, in atto da molto tempo, procedette parallelamente ai processi di riforma della sanità e di decentramento
delle funzioni dallo Stato agli enti locali.
L’approvazione della legge n. 328/2000 completa il quadro
normativo del welfare italiano proponendo un modello in cui il sistema integrato di interventi e servizi sociali è progettato e realizzato a livello locale promuovendo la partecipazione attiva di tutte le
persone, potenziando i servizi, favorendo la diversificazione e la
personalizzazione degli interventi, valorizzando esperienze e risorse
esistenti.
La centratura non è più solo sulle situazioni di bisogno conclamato, ma al sociale nel suo complesso così come definito dal Dlgs n.
112/1998. Costruire una rete territoriale compatta e coordinata tra i
servizi, il forte contatto con la comunità locale e la progettazione
condivisa con tutte le realtà de territorio (attraverso lo strumento
dei Piani di Zona), elaborare progetti individualizzati e personalizzati, promuovere politiche per l’inclusione sociale è il nuovo modelcoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto
quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario […]”.
6 Dlgs 19 giugno 1999, n. 229, “Norme per la razionalizzazione del Servizio
Sanitario Nazionale, a norma dell’art. 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419”,
G.U. 16 luglio 1999 n. 165 S.O. n. 132.
Dpcm 14 febbraio 2001, “Atto di indirizzo e coordinamento in materia di
prestazioni socio-sanitarie” in G.U. 6 giugno 2001, n. 129.
7 precedentemente questo aspetto era normato dal DPCM 8 agosto 1985,
“Atto di indirizzo e coordinamento in materia di attività a rilievo sanitario connesse con quelle socio-assistenziali, ai sensi dell’art. 5 della legge 23 dicembre
1978, n. 833” in G.U. 14 agosto 1985, n. 191.
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lo che è proposto: una direzione in cui l’educatore professionale si è
mosso sin dagli albori.8 La capacità d’individuare le problematiche
presenti in un territorio, la lettura dei bisogni operata in modo condiviso e la gestione di progetti con realtà e professionalità anche
molto diverse,9 la partecipazione dell’utente alla determinazione del
suo progetto sono aspetti ben noti alla figura dell’educatore che, nel
tempo, ha visto implementare queste competenze a partire dal lavoro a diretto contatto con l’utenza.
Tale aspetto emerse anche da una ricerca nazionale condotta da
ANEP in collaborazione con CNCA e Animazione sociale sul tema “Educatore: evoluzione della professione e nuovi modi di prendersi cura”.
La ricerca, che prese avvio a partire dalle sollecitazione proposte da
Giorgio Sordelli,10 si strutturò intorno alla riflessione sull’evoluzione della professione. Ci si chiese se il lavoro dell’educatore, incardinandosi all’interno del processi di politica sociale e sanitaria sopra
descritti, avesse ampliato il proprio raggio d’azione, indirizzandosi
non più in modo esclusivo su un lavoro di tipo riparativo centrato
sul singolo e caratterizzato dalla relazione duale, ma anche al lavoro
rivolto ai gruppi, alla promozione dei loro contesti di vita, alla progettazione sociale e organizzativa, alla gestione di realtà della cooperazione sociale. La ricerca, analizzando le dimensioni entro cui
l’educatore era chiamato a operare e la loro evoluzione nel tempo,
verificò che si stava assistendo a un ampliamento degli ambiti
d’intervento della figura. Gli esiti della ricerca11 furono presentati in
un convegno nazionale.
Questi processi hanno visto spendere la professionalità dell’educatore in molteplici servizi e ambiti d’intervento, tanto che stilarne un elenco sarebbe alquanto complesso e non definitivo. La presenza nei servizi è oggi stimata in 25.000 unità che coprono i servizi
pubblici, privati del terzo settore e, sia pur in modo ancora limitato,
nella libera professione in àmbito sanitario, sociale, socio-sanitario
8 A. Costa, “Le nuove competenze dell’educatore professionale. Come cambia una professione”, Animazione sociale, aprile 2001.
9 P. Scarpa, A. Reati, “Gli educatori professionali e l’integrazione interprofessionale”, in L’integrazione delle professionalità nei servizi alle persone, a
cura di Canevini e Vecchiato, Centro studi e formazione sociale Fondazione Zancan, Padova 2002.
10 G. Sordelli, Animazione sociale, n. 8-9, agosto-settembre 2001.
11 Ricerca Anep, CNCA-Animazione Sociale, http://www.sordelli.net/index.
php?option=com_content&task=view&id=64&Itemid=88
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e penitenziario. A questi si aggiungono coloro che sono impegnati in
attività di supervisione, formazione e dirigenza di servizi.
In questo arco di tempo, che va dagli anni Sessanta a oggi, normative hanno previsto l’impiego dell’educatore professionale nei
servizi e altre normative relative alla gestione di organizzazioni e
servizi, vedono l’indicazione di funzioni educative la cui competenza
è chiaramente riferita all’educatore professionale.
Oggi molti di questi servizi sono gestiti in integrazione con prestazioni tipicamente sanitarie, altri dal settore sociale, altri in modo
integrato (area socio-sanitaria) tanto che parlare della figura
dell’educatore professionale attraverso la definizione del settore di
appartenenza del professionista (sociale o sanitario) è diventata
sempre più cosa ardua, poiché questa può essere determinata da più
fattori: il contratto lavorativo, l’ente gestore, la prestazione effettivamente resa.
3. In base a cosa l’educatore potrà dirsi operatore sociale piuttosto
che operatore sanitario?
Lo specchio di questa situazione è rappresentata anche dagli inquadramenti contrattuali che vedono inserito l’educatore o la funzione educativa in più di 17 contratti collettivi nazionali di lavoro12.
Non è questa la sede per approfondire tale tema, peraltro ampio,
complesso e spinoso, preme tuttavia evidenziare che permangono
elementi di criticità nell’applicazione dei titoli che danno accesso
alla professione e quindi all’assunzione.
La denominazione di quest’operatore, attualmente diversificata
a causa della presenza di due corsi formativi, non contribuisce al
pieno riconoscimento del ruolo dell’educatore professionale: spesso
nei medesimi servizi, vengono inseriti operatori che, pur essendo
chiamati a svolgere medesime funzioni, sono inquadrati in categorie
o livelli contrattuali diversificati.
Gli educatori, in possesso della laurea in Scienze dell’educazione,
non vedono riconosciuti i loro titoli come abilitanti all’esercizio della professione in àmbito sanitario; peraltro anche coloro che, pur
essendo in possesso di un titolo abilitante in àmbito sanitario, a volte non lo vedono riconosciuto nel settore sociale, laddove alcune
12
Per ricerche sui contratti collettivi di lavoro, cfr. www.cnel.it
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Regioni hanno emanato leggi e regolamenti attuativi che non prevedono l’utilizzo di questo titolo di studio in tale àmbito.
Per i professionisti che lavorano nel terzo settore questi aspetti
assumono, alle volte, tratti paradossali; ciò è ancora più assurdo
quando il privato opera attraverso convenzione o in accreditamento
con il servizio pubblico.
In àmbito penitenziario, infine, si rilevano contraddizioni riguardanti incarichi professionali conferiti a educatori professionali
che operano in progetti all’interno degli istituti penitenziari ma non
possono accedere ai concorsi del Ministero della Giustizia, i cui bandi di concorso non prevedono i titoli in loro possesso.
Come evidenziato da Casadei,13 è “un tema questo d’importanza
cruciale per le politiche sociali la cui assenza (della definizione
dell’art. 12 della legge n. 328/2000) è anche alla base delle disparità
in termini di efficienza ed efficacia ravvisabili nei sistemi di welfare
regionale”.
4. Il riconoscimento giuridico della professione
La nascita e crescita della nostra figura professionale si sono accompagnate, ben presto alla promozione d’istanze circa la necessità
di un riconoscimento giuridico che, ancora oggi, non si ha.
A questo proposito è interessante notare come già nel 1982 l’allora Ministero dell’Interno istituì una “Commissione nazionale di
studio per la definizione dei profili professionali e dei requisiti di
formazione degli operatori sociali”14. Il documento è sorprendentemente attuale per molti dei contenuti e delle riflessioni di cui è portatore. Il percorso concettuale intrapreso dalla commissione e
l’analisi delle fonti effettuata che portò a individuare la denominazione di “educatore professionale”. La stessa delineazione del profilo, delle funzioni, attività e compiti, pur marcatamente rivolta al sociale, poiché il Servizio sanitario pubblico era stato istituto solo nel
13
14 Ministero dell’Interno, Direzione generale dei servizi civili, Gli operatori
sociali: urgenza di una normativa. Rapporto della Commissione nazionale di
studio per la definizione dei profili professionali e dei requisiti di formazione
degli operatori sociali, Poligrafico dello Stato, Roma 1984.
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dicembre 1978,15 è quanto mai rispondente ancora oggi ai contenuti
della nostra figura.
Il documento collocava la formazione dell’educatore professionale nel quadro d’istruzione universitaria in base al dpr n. 162/1982.
Come sarà messo in evidenza, il solo àmbito sanitario ha provveduto nel tempo a riconoscere la figura dell’educatore professionale; infatti, il nostro ordinamento prevedeva sin dal 197916 la possibilità, per il Ministro della Sanità, d’identificare “profili atipici o di
dubbia ascrizione” che non erano annoverati nella medesima legge.
Sulla base di questa possibilità si ha l’individuazione della figura
dell’“educatore professionale” attraverso il d.m. 10 febbraio 1984, n.
1219,17 con il quale ne viene delineato il profilo e stabilito il percorso
formativo (nel 1991 il decreto fu dichiarato illegittimo dal Consiglio
di Stato;18 nonostante ciò, è rimasto, nei fatti, un riferimento sino
all’entrata in vigore del d.m. n. 520/1998).
Questo riconoscimento nazionale in àmbito sanitario non vide
un percorso analogo nel settore sociale, a causa dell’allora competenza regionale sul tema dei servizi sociali e le professioni che in essi operano.
È importante rilevare come le Regioni, che già da diversi anni utilizzavano tale figura professionale all’interno del sistema dei propri servizi, si posero il problema d’identificarla, d’individuare il suo
percorso formativo e di attivare i relativi corsi di formazione; non
solo, particolare attenzione fu data anche al tema della qualificazione in servizio del personale che esercitava funzioni educative in assenza di una formazione specifica.
Si produssero, quindi, in quegli anni numerosi interventi regionali di definizione della figura professionale, del suo profilo e per-
15 Attraverso la legge 23 dicembre 1978, n. 833, “Istituzione del Servizio sanitario nazionale”, G.U. 28 dicembre 1978, n. 360.
16 Dpr 20 dicembre 1979, n. 761.
17 D.m. 10 febbraio 1984, n. 1219 “Identificazione dei profili professionali attinenti a figure atipiche o di dubbia ascrizione […]”“l’educatore professionale
cura il recupero e il reinserimento di soggetti portatori di menomazioni psicofisiche. Il requisito specifico […] di ammissione al concorso è il possesso di attestato di corso di abilitazione di durata almeno biennale svolto in presidi del Servizio sanitario nazionale o presso strutture universitarie, a cui si accede con diploma di istruzione secondaria di secondo grado” (in G.U. 15 febbraio 1984).
18 La sentenza del Consiglio di Stato dichiarò illegittimo il decreto poiché
emanato senza la contrattazione sindacale.
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corso formativo, tutti finalizzati all’individuazione di una figura unitaria.19
La necessità di pervenire al riconoscimento giuridico della figura
dell’educatore portò nel periodo 1993-1996 a intraprendere il percorso di riconoscimento attraverso una legge ad hoc che ne identificasse la figura, il profilo, le modalità per l’accesso al suo esercizio e
il suo percorso formativo univoci, validi su tutto il territorio nazionale e non determinati in relazione al campo di operatività.
Quest’azione vide depositare alla Camera dei seputati diverse
proposte dei legge indirizzate al riconoscimento di una professione
unica e di un percorso formativo unitario, alcune delle quali hanno
avuto il sostegno dell’ANEP. Purtroppo nessuna di queste ha mai visto l’avvio dell’iter parlamentare20 nonostante le azioni di sostegno
che l’Associazione degli educatori mise in atto, azioni che, in una
fase successiva, si accompagnarono alla richiesta di applicazione
19 Ricostruire tale panorama è alquanto complesso e richiederebbe una trattazione a sé stante; in questo contesto si possono citare, a titolo puramente esemplificativo, alcune esperienze. Ad es., in Regione Lombardia la figura
dell’educatore professionale nasce come educatore specializzato con delibera del
Consiglio regionale del 27 giugno 1977; il Piemonte, invece, con deliberazione
del Consiglio regionale del 20 febbraio 1987, n. 392-2437 individuò la figura ne
delineò il profilo e il percorso formativo. La Regione Veneto, con la legge regionale n. 8/1986, individuò la figura dell’"educatore-animatore" e, con un dgr nel
dicembre 1989, ne puntualizzò il profilo professionale. La Regione EmiliaRomagna ne descrisse il profilo nell’àmbito della direttiva regionale per la formazione professionale e l’orientamento del triennio 1997/-99. La Provincia autonoma di Trento ne delinea il profilo con la legge provinciale 12 luglio 1991, n.
14, la Regione Friuli-Venezia Giulia nel piano socio-assistenziale approvato con
l.r. 19 maggio 1988, n. 33, la Regione Sardegna con il piano socio assistenziale
per il triennio 1990-92.
20 XI legislatura – ddl 2715 d’iniziativa del dep. Battaglia, “Norme per l’esercizio della professione di educatore professione e istituzione del relativo albo”
presentata il 26 maggio 1993 (legge sostenuta da ANEP) – ddl 2879 d’iniziativa
dep. Galbiati, “Ordinamento della professione di educatore professionale e istituzione del relativo albo”.
XII legislatura – ddl 0114 d’iniziativa del dep. Giannotti, “Norme per
l’esercizio della professione di educatore professione e istituzione del relativo
albo” presentata il 15 aprile 1994 (legge sostenuta da ANEP) – ddl 2589 d’iniziativa dep. Servodio, “Ordinamento della professione di educatore professionale e
istituzione del relativo albo professionale” – presentata il 6 luglio 1995.
XIII legislatura – ddl 1504 d’iniziativa del dep. Battaglia, “Norme per l’esercizio della professione di educatore professione e istituzione del relativo albo”
presentata il 13 maggio 1996 (legge sostenuta da ANEP) – ddl 771 d’iniziativa
dep. Servodio, “Ordinamento della professione di educatore professionale e istituzione del relativo albo professionale” – presentata il 13 maggio 1996.
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dell’art. 6 comma 3 del Dlgs n. 502/199221 per l’emanazione, da parte del Ministero della Salute, del decreto ministeriale di riordino
della professione in àmbito sanitario.22
Peraltro è da segnalare che l’autorità Antitrust iniziò ben presto
a evidenziare la netta contrarietà verso leggi che stabilissero nuovi
ordini professionali ritenendo che questi dovessero essere eccezioni
e non la normale procedura con cui definire le professioni e disciplinarne l’esercizio. Quest’aspetto influenzò notevolmente le scelte
della nostra Associazione che ritenne, in assenza della possibilità di
giungere all’emanazione di una legge ah hoc, di perseguire anche il
canale del riconoscimento della professione attraverso decreto ministeriale.
La riforma attuata dal D.Lgs n. 502/1992 aveva, infatti, stabilito
che il ministro della Sanità riordinasse le figure professionali esistenti e i relativi profili, tra cui l’educatore professionale. Il primo
tentativo vide l’emanazione del profilo di “Tecnico dell’educazione e
della riabilitazione psichiatrica e psicosociale”23; la nostra Associazione non riconobbe nel profilo delineato gli elementi costitutivi e
fondanti la figura professionale e perciò mise in atto azioni di sensibilizzazione affinché fosse normata in modo specifico la figura
dell’educatore professionale. Le azioni dell’ANEP ebbero effetto al
Congresso mondiale AIEJI del 1997, nell’àmbito del quale il Ministro
della Salute si impegnò a emanare il decreto di riconoscimento
dell’educatore professionale.
Fu, quindi, emanato il d.m. 8 ottobre 1998 n. 52024 – “Regolamento recante norme per l’individuazione della figura e del relativo
21 Dlgs. 30 dicembre 1992, n. 502, “Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’art. 1 della L. 23/10/92 n. 21” (successivamente integrato con
il dlgs n. 517/1993).
2222 “Assemblea nazionale degli educatori” Roma , 9 febbraio 1996 – ANEP e
CGIL, CISL e UIL; Congresso mondiale AIEJI, Brescia 1997.
“Manifestazione-assemblea nazionale degli educatori”, sala del Cenacolo, 14
aprile 1998; “A un anno dal cenacolo”, incontro nazionale Roma Sala del Cenacolo 6 aprile 1999; Convegno nazionale ANEP – “L’educatore professionale: i diritti di una professione, i doveri delle istituzioni”, 22 e 23 novembre 2002.
23 Decreto ministeriale 17 gennaio 1997, n. 57, “Regolamento concernente la
individuazione della figura e relativo profilo professionale del tecnico dell’educazione e della riabilitazione psichiatrica e psicosociale” in G.U. 14 marzo 1997,
n. 61.
24 Decreto del Ministero della Sanità 8 ottobre 1998, n. 520, “Regolamento
recante norme per l’individuazione della figura e del relativo profilo professio-
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profilo professionale dell’educatore professionale [...]”, a séguito del
quale fu poi soppresso il profilo del tecnico dell’educazione e della
riabilitazione psichiatrica e psicosociale e riformulato in “tecnico
della riabilitazione psichiatrica”25.
Il percorso di riconoscimento delle professioni sanitarie, a questo punto, procede speditamente e, nel 1999 intervenne la legge n.
42/199926 a completarne il riordino stabilendo che le professioni
sanitarie si fondano su: i contenuti del decreto ministeriale istitutivo del profilo professionale, gli ordinamenti didattici dei rispettivi
corsi di diploma universitario e di formazione post-base, il codice
deontologico”27; il provvedimento prevede, inoltre, l’emanazione di
successivi decreti finalizzati a equiparare i titoli pregressi con il titolo stabilito dal d.m. n. 520/1998. Con il d.m. 27 luglio 200028 vennero quindi riconosciuti equipollenti tutti i titoli di formazione specifica di durata triennale attivati in base ai percorsi formativi pregressi, con eccezione dei titoli di durata biennale (previsti, invece,
dalla normativa pregressa) ponendo i possessori di quei titoli in una
situazione d’ingiusta discriminazione.
Il quadro relativo al riconoscimento dei titoli pregressi avrebbe
dovuto concludersi con l’emanazione di un secondo decreto per il
riconoscimento di equivalenza degli ulteriori titoli pregressi non
rientranti nel primo decreto. Emerge, però, che il panorama delle
formazioni pregresse delle professioni sanitarie è molto complesso;
ciò comporta una difficoltà nel stabilire le modalità con cui valutare
i titoli (compreso anche della valutazione dell’attività lavorativa).
Occorre attendere il dicembre 2004, perché, con l’accordo della Conferenza Stato-Regioni, siano determinate le modalità di tale riconoscimento. L’accordo non ha trovato, tuttavia, mai applicazione e, a
dieci anni di distanza dalla pubblicazione della legge n. 42/1999, è
nale dell’educatore professionale, ai sensi dell’art. 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502”, G.U. 24 aprile 1999, n. 98.
25 Decreto ministeriale 29 marzo 2001, n. 182 “Regolamento concernente la
individuazione della figura del tecnico della riabilitazione psichiatrica”, G.U. 19
maggio 2001, n. 115.
26 Legge 26 febbraio 1999, n. 42, “Disposizioni in materia di professioni sanitarie” in G.U. 2 marzo 1999, n. 50.
27 ANEP elaborò nel 2002 il Codice deontologico della professione: cfr. www.
anep.it.
28 D.m. 27 luglio 2000, “Equipollenza di diplomi e di attestati al diploma universitario di educatore professionale, ai fini dell’esercizio professionale e dell’accesso alla formazione post-base, G.U. 22 agosto 2000, n. 195.
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importante segnalare come questo fatto ponga grosse problematiche, alla professione,29 ai cittadini, a chi deve gestire i servizi.
Il 1999 vede anche l’emanazione del Dlgs n. 229 che, all’art. 3 octies, prevede che con decreto del ministro della Sanità, di concerto
con il ministro per la Solidarietà sociale, siano individuati, sulla base di parametri e criteri generali definiti dalla Conferenza StatoRegioni, i profili professionali dell’area sociosanitaria a elevata integrazione sanitaria. Questa definizione riguarderebbe indubbiamente anche la figura dell’educatore professionale; tuttavia si è ancora
in attesa dell’emanazione del decreto.
Il percorso di definizione delle professioni sanitarie vede un altro
provvedimento importante, la legge n. 251/200030 che definisce le
aree delle professioni sanitarie, prevede l’emanazione dei decreti
ministeriali necessari ad attivare la formazione universitaria e per
l’accesso all’area contrattuale della dirigenza, previa acquisizione
della laurea specialistica di area professionale. Con successivo decreto31 le professioni sono suddivise nelle quattro aree individuate:
l’educatore professionale è inserito in quella della riabilitazione32.
L’ultimo provvedimento che va a chiudere il riconoscimento della professione in àmbito sanitario della professione si ha nel 2006
con l’approvazione della legge n. 43/0633, provvedimento atteso da
molti anni, finalizzato all’istituzione degli ordini e per le professioni
sanitarie. Il percorso definiva una delega al governo andata in scadenza senza che si giungesse all’emanazione del regolamento attua29 Il mancato riconoscimento del diritto all’esercizio della professione in
àmbito sanitario comporta che tali professionisti non vi possono operare poiché
ciò si configurerebbe come esercizio abusivo di professione.
30 Legge 10 agosto 2000, n. 251, “Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica”, G.U. 6 settembre 2000, n. 208.
31 D.m. 29 marzo 2001 ,“Definizione delle figure professionali di cui all’art.
6, comma 3, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, da
includere nelle fattispecie previste dagli articoli 1, 2, 3 e 4, della l. 10 agosto
2000, n. 251 (art. 6, comma 1, l. n. 251/2000)”, G.U. 23 maggio 2001, n. 118.
32 L’area della riabilitazione è composta dalle seguenti professioni: podologo, fisioterapista, logopedista, ortottista-assistente di oftalmologia, terapista
della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva, tecnico della riabilitazione psichiatrica, terapista occupazionale, educatore professionale.
33 Legge 1 febbraio 2006, n. 43, “Disposizioni in materia di professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico sanitarie e della prevenzione e delega al governo per l’istituzione dei relativi ordini professionali”, G.U. 17
febbraio 2006, n. 40.
6. L’educatore professionale e l’ANEP
131
tivo per la loro istituzione nonostante molteplici iniziative che le
professioni, anche in forma unitaria, misero in atto.
A oggi sono depositate in Parlamento sei proposte di legge finalizzate alla istituzione degli ordini per le professioni sanitarie e le
professioni, a dicembre 2008, hanno costituito il Coordinamento
nazionale delle associazioni delle professioni sanitarie (Co.NAPS)34
dandosi, tra gli altri, l’obiettivo di seguire in modo coordinato questo percorso.
Per quanto riguarda l’àmbito sociale, occorre attendere la riforma dell’assistenza35 affinché si possa determinare una qualche forma di riconoscimento giuridico per il profilo.
L’emanazione della legge n. 328/200036 vede sancito questo
principio, poiché il suo art. 12 prevede un meccanismo di riconoscimento delle professioni sociali analogo a quello attivato in àmbito sanitario, prevedendone il riconoscimento attraverso decreto da
emanare entro 180 giorni dalla pubblicazione della legge. Successivamente il ministro, con la medesima procedura di concerto, avrebbe dovuto definire le figure professionali da formare con i corsi di
laurea e quelle da formare in corsi di formazione organizzati dalle
Regioni, nonché i criteri generali riguardanti i requisiti per
l’accesso, la durata e l’ordinamento didattico dei medesimi corsi di
formazione. Un ulteriore decreto avrebbe dovuto, inoltre, stabilire i
criteri per il riconoscimento e l’equiparazione dei profili professionali esistenti e l’individuazione delle modalità di accesso alla dirigenza. La legge ribadisce, infine, le disposizioni relative ai profili
professionali dell’area socio-sanitaria a elevata integrazione sociosanitaria.
Purtroppo, ancor oggi si è in assenza dell’emanazione di tutti i
provvedimenti previsti, nonostante in questi anni sia stato intenso il
lavoro intorno a questa materia e vi siano stati molteplici azioni intraprese dal governo per dare avvio all’iter di definizione. In partiwww.conaps.it.
Già nell’àmbito della XIII legislatura e dei lavori preparatori all’approvazione di quella che poi fu la legge n. 328/2000, il governo avviò un’indagine conoscitiva sui servizi sociali, la quale promosse un’audizione dei rappresentanti
delle Associazioni professionali, nell’àmbito della quale ANEP sottolineò (tra gli
altri) la necessità che si prevedessero le modalità per la definizione delle figure
sociali.
36 Legge 8 novembre 2000, n. 238, “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, G.U. 13 novembre 2000, n. 265.
34
35
132
M. VITILLO
colare venne attivata una Commissione ministeriale37 che in data 9
aprile 2002 consultò ANEP, la quale sottolineò come l’unico profilo
professionale esistente per l’educatore professionale fosse il d.m. n.
520/1998 approvato dal Ministero della Sanità ed, esprimendone
un giudizio di pieno riconoscimento, chiese che il medesimo profilo
fosse riconosciuto anche nell’àmbito dell’area sociale e sociosanitaria sottolineando, come questa specificità della figura sia stata
colta e sancita nell’art.1, dove l’educatore professionale è identificato come un operatore “sociale e sanitario”. Gli esiti dei lavori di tale
commissione non sono mai stati resi noti.
In seguito nel 2003 si avvia una campagna promossa da ANCI e
UPPI, Ordine assistenti sociali, ISFOL; il 23 febbraio 2004 a Roma si
tiene la prima conferenza nazionale delle professioni sociali
nell’àmbito della quale le proposte di ANEP sono state discusse e recepite nel documento finale, dove viene affermato che è necessaria
una “figura unica di educatore professionale per il comparto sanitario, sociale e penitenziario”38. A questo evento segue, nel maggio
dello stesso anno, un primo incontro con il governo in cui ANEP interviene con un proprio documento, cui non ne seguirono altri. Nel
tempo ANEP ha, inoltre, intrapreso innumerevoli iniziative autonome finalizzate a vedere la regolamentazione dell’art. 12 della legge n.
328/2000.
La modifica del Titolo V della Costituzione aggiunse un ulteriore
tassello a questo panorama già alquanto complesso poiché la definizione delle professioni è stabilita tra le materie di legislazione concorrente.39 Ciò comportò una situazione di estrema incertezza sulla
modalità per la definizione dei profili sociali; in questo quadro alcune Regioni, in assenza di normativa nazionale, provvidero a de37 XII commissione ministeriale Sanità e servizi sociali, in seno alla quale fu
nominata la commissione era presieduta dalla prof.ssa Cristina Flaminio e
composta dal dr. Di Pietra quale rappresentante dell’Assessorato ai Servizi sociali della Regione Lombardia, la dott.ssa Fallara come rappresentante dell’Assessorato alla Sanità della Regione Calabria, le dott.sse Patasce e Siclari del Ministero del Lavoro e la dott.ssa Cataldo del MIUR.
38 Per una ricognizione sul dibattito, vedi i materiali di documentazione relativi alla Conferenza nazionale “Presente e futuro delle professioni sociali per il
nuovo welfare territoriale. Le proposte delle autonomie locali” (Roma, 23 febbraio 2004), disponibili sul sito www.legautonomie.it.
39 Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 – art. 3 – prevede in capo allo
Stato la definizione dei principi generali e in capo alle Regioni la determinazione dei contenuti nelle varie materie oggetto della concorrenza legislativa.
6. L’educatore professionale e l’ANEP
133
terminare i profili dell’area sociale ma, nell’aprile 2006, interviene
la sentenza del Consiglio di Stato n. 153 a sancire che i profili a valenza nazionale sono di competenza dello Stato.40 Il dibattito, tuttavia, è ancora aperto,41 né l’approvazione del d.lgs n. 30/2006 42 ha
potuto contribuire a dare risposta a tutte le domande.
È da segnalare che nel tempo sono stati innumerevoli gli studi e
le ricerche promosse dal Ministero stesso o dalle Regioni relativamente alle figure sociali;43 anche gli esiti di tutte le ricerche prodotte (l’ultima delle quali pubblicata nel corso del 2009)44 ribadiscono
la necessità di normare l’art. 12 e, relativamente alla figura dell’educatore professionale, la necessaria unitarietà della figura.
A quasi dieci anni dall’approvazione della legge n. 328/2000 la
situazione nell’àmbito sociale è ormai insostenibile. Vi è una proliferazione di figure professionali formate a livello regionale con scarse o nulle prospettive di inserimento lavorativo nei sistemi di welfare regionale anche perché alcune di queste assolvono a funzioni
svolte dall’educatore professionale. Diverse Regioni hanno, inoltre,
avviato processi di riordino delle professioni sociali su scala regionale (Campania, Umbria, Calabria, Puglia, ad es.) che rischiano di
risentire della mancanza di un quadro generale in cui implementarsi.
La figura dell’educatore professionale si trova quindi a un pericoloso bivio; esistono cioè tre percorsi di definizione del profilo:
quello sanitario, quello sociale, quello socio-sanitario che, se non
saranno armonizzati tra loro, rischiano di frammentare la figura
professionale in tre parti;45 a queste complessità si aggiunge l’àmbi40 La sentenza fu emanata a seguito di ricorso contro la legge regionale del
Piemonte n. 1/2004 che, all’art. 32, individuava le professioni sociali.
41 Conferenza delle Regioni e delle Province autonome “Strategie per la valorizzazione delle risorse professionali nelle arti, mestieri e professioni. Indicazioni per le politiche regionali”, 2007
42 D.lgs 2 febbraio 2006, n. 30, “Ricognizione dei principi fondamentali in
materia di professioni, ai sensi dell’articolo 1 della legge 5 giugno 2003, n. 131”,
G.U. 8 febbraio 2006, n. 32
43 Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, ISFOL, “Studio delle competenze professionali del sociale”, 2004
44 Ministero della Solidarietà sociale, “Il lavoro nel settore dei servizi sociali
e le professioni sociali”, 2007, Rapporti CNR-IRPPS, Fondazione IRSO, FORMEZ,
febbraio 2009
45 F. Crisafulli, “L’educatore professionale: una figura tra certezze e incertezze”, Autonomie locali e servizi sociali, n. 1, 2002.
134
M. VITILLO
to penitenziario, che ha seguito nel tempo un proprio criterio per la
formazione e acquisizione del personale educatore.
5. L’educatore professionale: il percorso formativo
La figura dell’educatore professionale si è caratterizzata per aver
avuto sin dal suo esordio percorsi formativi di riferimento, nati in
àmbito sociale e successivamente in integrazione con il sistema sanitario.
Rimanendo nel panorama italiano, questo percorso ha avuto inizio nel 1953 con l’attivazione dei primi corsi di formazione per educatori rivolti al personale che operava all’interno delle strutture.
Negli anni Sessanta tali esperienze si ampliano e iniziano a essere
attivati percorsi formativi da parte degli enti pubblici; corsi con denominazioni diverse (educatore di comunità, educatore specializzato, animatore di comunità ecc…) in relazione alle particolarità locali
o degli enti che li realizzavano. In questo periodo sono presenti iter
formativi di diversa durata, ma sempre comprendenti un congruo
aspetto dedicato al tirocinio professionale, anche se, per l’accesso
alla professione, non esisteva alcuna normativa che vincolasse al
possesso della formazione specifica.
Con la fine degli anni Settanta i percorsi formativi diventano più
corposi (biennali o triennali) e negli anni Ottanta, l’emanazione del
d.m. 10 febbraio 1984, determina l’obbligatorietà della formazione
specifica per esercitare la professione nel settore sanitario.
L’approvazione di questo d.m. segna un passaggio importante
nella professione; le Unità sanitarie locali diedero grande impulso
allo sviluppo della formazione: le esperienze formative delle scuole
professionali regionali si ampliarono notevolmente e grande impulso fu dato ai corsi di qualificazione in servizio, i corsi precedentemente esistenti vennero riformulati consentendo una formazione
unitaria in tutto il Paese rilasciando un titolo valido per l’accesso
alla professione in tutti i settori d’impiego.
Per contro, il sistema universitario, nonostante l’approvazione
del d.m. n. 162/198246 e le indicazioni del d.m. 10 febbraio 1984 che
46 D.m. 10 marzo 1982, n. 162, “Riordino della scuole dirette a fini speciali
[...]”. Il decreto prevedeva: la durata triennale dei percorsi formativi i cui corsi
erano divisi in moduli didattici semestrali con sedici materie obbligatorie (otto
base e otto professionalizzanti) e tre opzionali; un tirocinio di almeno 500 ore e
6. L’educatore professionale e l’ANEP
135
consentivano la formazione anche attraverso quel canale, non attivò
scuole dirette a fini speciali per la formazione degli educatori (fatta
eccezione per una scuola a Roma).
In seguito, la legge n. 341/199047 sancì la soppressione delle
scuole dirette a fini speciali, prevedendo la loro riconversione in
corsi di diploma universitario.
Con la sua nascita ANEP individua nel diploma universitario il
modello formativo utile per la formazione dell’educatore48 e tenta di
promuoverlo avviando diversi contatti con le Regioni e le sedi universitarie affinché possa essere attivato. Tale intento non trovò, però, adeguati sostegni nel mondo accademico e l’unico corso universitario continuò a essere presente solo a Roma.
Nel 1991 interviene il processo di revisione del Corso di laurea in
Pedagogia, che viene riformulato in Scienze dell’educazione; molte
Università iniziano, così, ad attivare corsi di laurea con indirizzo
“Educatore extra-scolastico” e, con il passaggio alle lauree triennali,
con una moltitudine di denominazioni che si differenziano di ateneo
in ateneo.49
Il percorso formativo si differenzia sostanzialmente da quello
sperimentato dalle scuole per educatori professionali; particolarmente critico è l’àmbito delle materie professionalizzanti e del tirocinio presenti in forma del tutto residuale. La collocazione della
formazione dell’educatore professionale nell’àmbito di tale percorso
universitario (allora quadriennale) suscitò numerosi interrogativi e
dubbi sia nell’àmbito di ANEP50 che negli enti gestori dei servizi sociali. Ciò ha determinato per molto tempo, sino alla chiusura delle
scuole di formazione regionale, grosse difficoltà per l’accesso alla
professione da parte di questi laureati. Il mondo della formazione
professionale aveva, infatti, svolto in quegli anni un lavoro di preparazione degli educatori connotandosi per la strutturazione di corsi
triennali di natura professionalizzante, a differenza dei Corsi di laurea che avevano una strutturazione prettamente accademica.
una frequenza obbligatoria per due terzi dell’orario; il rilascio del diploma abilitante dopo la trattazione di un tema scelto dallo studente.
47 Legge 19 novembre 1990, n. 341, “Riforma degli ordinamenti didattici universitari”.
48 Documento programmatico ANEP 1992.
49 Cfr. www.offf.miur.it.
50 Convegno nazionale ANEP, “La formazione di base dell’educatore professionale”, Torino, 18 marzo 1995.
136
M. VITILLO
La questione formativa si complica con l’applicazione del d.lgs n.
502/1992, questo, infatti, aveva stabilito che i corsi di studio relativi
alle figure professionali che non erano stati riordinati avrebbero dovuto essere soppressi. Ciò ha determinato che, a decorrere dall’anno
scolastico 1997-98, il Ministero della Sanità non ha più provveduto
al finanziamento dei corsi di formazione per educatore professionale ai sensi del d.m. 10 febbraio 1984, né ha potuto attivare i corsi
previsti dal nuovo decreto di riconoscimento (d.m. n. 520/1998);
infatti, non essendo stato emanato l’ordinamento didattico del diploma universitario previsto, non era possibile attivare corsi, se non
a livello sperimentale, scelta che non è stata operata da nessun Ateneo.
Stante questa situazione, la maggior parte delle Regioni italiane
ha chiuso le scuole di formazione; parallelamente l’ordinamento didattico universitario, determinante per la definizione dei contenuti
del percorso formativo per l’attivazione del d.u. previsto dal d.m. n.
520/1998, non fu mai emanato perché, nel frattempo, prese avvio il
processo di riforma degli ordinamenti universitari che vide la soppressione dei diplomi universitari e la loro trasformazione in lauree
di primo livello.
Si creò quindi un vuoto formativo tra il 1998-99, anno in cui si
diplomarono gli ultimi educatori con titolo valido per entrambi i
comparti, ed il 2004, anno in cui si laurearono i primi educatori in
Classe SNT/2. In quegli anni solo classe XVIII-Facoltà di Scienze
dell’educazione proseguì i percorsi formativi, pur permanendo le
criticità già evidenziate.
Finalmente con il d.m. 2 aprile 200151 sono definiti gli ordinamenti didattici dei corsi delle lauree delle professioni sanitarie, collocando l’educatore professionale (in base a quanto individuato dalla legge n. 251/2000 e dal d.m. 19 marzo 2001) nella classe SNT/2
lauree della riabilitazione. Tale evoluzione normativa ha segnato il
passaggio della formazione della figura dell’educatore professionale
a livello universitario, come la nostra Associazione aveva auspicato
sin dalla sua fondazione; per gestire questo passaggio furono promossi da diverse Regioni tavoli di lavoro con la presenza dell’Università e le scuole regionali al fine di non disperdere le esperienze
formative sino ad allora maturate.
51 D.m. 2 aprile 2001, “Determinazione delle classi delle lauree universitarie
delle professioni sanitarie”, G.U. 5 giugno 2001, n. 128 S.O. n. 136.
6. L’educatore professionale e l’ANEP
137
Il d.m. n. 520/1998 stabiliva, inoltre, che il diploma universitario attraverso cui dovesse essere gestita la formazione dell’educatore professionale, fosse ascritto alla facoltà di Medicina e chirurgia e
gestito in collegamento con le facoltà di Psicologia, Sociologia e
Scienze dell’educazione (in linea con il disposto del d.m. n. 520/
1998). Questo evidenziò che in uno stesso ateneo avrebbero potuto
essere presenti una laurea triennale per educatore professionale
presso la Facoltà di Medicina ed un’altra presso la Facoltà di Scienze dell’educazione.
ANEP ritenne che ciò avrebbe acuito gli innumerevoli problemi
già presenti; pertanto fu proposto che la formazione dell’educatore
professionale avvenisse attraverso corsi attivati in modo coordinato
dalla Facoltà di Medicina e chirurgia e dalla Facoltà di Scienze
dell’educazione attraverso la costituzione d’interfacoltà (ciò al fine
di mantenere unita la formazione della nostra figura professionale)
e si attivò avanzando quest’istanza presso il Ministero della Sanità,
l’Università e le Regioni. Ciò fu recepito dal decreto che istituì la
classe di laurea della riabilitazione che indicò la modalità interfacoltà per la gestione di tali corsi.52
Fu inoltre chiesto al Ministero dell’Università che fosse affrontata questa problematica individuando possibili soluzioni finalizzate
alla costituzione di un canale formativo unico; al proposito il Ministero costituì un gruppo di lavoro con il compito di affrontasse questa anomalia53; tale gruppo di lavoro ha visto rappresentata anche
ANEP. Il presidente della Commissione, raccolte le posizioni dei
componenti il gruppo di lavoro, le sintetizzò al ministro, cui spettava il compito decisionale.
Con successivo decreto il MIUR modificò l’ordinamento didattico
della classe di laurea XVIII (Scienze dell’educazione) eliminando
dall’ordinamento didattico i 35 crediti formativi in materie sanitarie. Non risolvendo, quindi, alla radice il problema della doppia
formazione.
Altra differenza sostanziale tra i due percorsi di laurea è costituita dalla definizione dei fabbisogni formativi, infatti, in classe XVIII
non vi è determinazione dei fabbisogni formativi, mentre in classe
SNT2 i fabbisogni sono determinati e programmati seguendo una
D.m. 2 aprile 2001, art. 2, comma 2.
Istituito con decreto del 18 ottobre 2001 ne fu affidata la presidenza al
prof. Pinchera, Vicepresidente del Consiglio universitario nazionale.
52
53
138
M. VITILLO
specifica procedura54 che vede coinvolte anche le associazioni professionali. Questo stretto raccordo tra l’offerta di professioni sanitarie con la domanda di professioni determina un’altissima spendibilità del titolo di studio55 e un diretto collegamento con il mondo del
lavoro.
In àmbito sanitario, quindi, si hanno figure professionali certe,
definite a livello nazionale e di cui si ha evidenza sul piano contrattuale, mentre in àmbito sociale è totalmente assente un presidio
delle filiere professionali.
Un successivo decreto ha individuato le classi delle lauree specialistiche il cui obiettivo è lo sviluppo di competenze trasversali alle
diverse professioni della classe di laurea finalizzate alla preparazione del livello dirigenziale delle professioni. Successivamente, la legge n. 1/2001 stabilì che i diplomi equipollenti fossero validi ai fini
dell’accesso ai corsi di laurea specialistica, ai master e altri corsi di
formazione post-base (sempre nell’àmbito della classe SNT2).
A ulteriore modifica degli assetti che si erano formulati interviene oggi la recente riforma del sistema universitario stabilita dal d.m.
n. 270/2004.56
Attualmente, quindi, chi vuole intraprendere la professione di
educatore può indirizzarsi verso due percorsi universitari, divenuti
le uniche possibilità formative per questo professionista.
La formazione diversificata su due classi di laurea comporta
l’esistenza di due percorsi formativi non equiparabili, con il mantenimento di due profili professionali sostanzialmente uguali ma giuridicamente distinti e con diverse possibilità di accesso alla professione.
6. L’educatore professionale e la sua rappresentanza professionale:
cosa persegue ANEP
Il lettore si chiederà il perché di un excursus così lungo e che
coinvolge molti aspetti quando il tema di questa pubblicazione è
54 Questo percorso è gestito dal Ministero della Salute, Direzione generale
delle professioni sanitarie.
55 Alma Laurea XI Indagine 2008, “Condizione occupazione dei laureati”,
marzo 2009, www.almalaurea.it.
56 D.m. 22 ottobre 2004, n. 270, G.U. 12 novembre 2004, n. 266, D.m. 12
febbraio 2009, Classi di laurea delle professioni sanitarie.
6. L’educatore professionale e l’ANEP
139
molto definito e circoscritto: il core competence dell’educatore professionale. Abbiamo ritenuto fondamentale questa lunga digressione che ci permette di mettere in luce il senso, le ragioni di questo
lavoro, gli sviluppi futuri.
È stato evidenziato come ANEP abbia sempre perseguito l’idea di
un profilo unico e di una formazione unitaria per l’educatore professionale, ma è altrettanto chiaro che questi obiettivi non sono perseguibili con le sole iniziative messe in campo dalla nostra Associazione: quest’obiettivo ha necessità di avere la condivisione di tutte le
parti coinvolte istituzionali, formative, sindacali.
Il senso di un lavoro sul core competence della professione trova
quindi le sue ragioni nell’esigenza di esplicitare i contenuti fondanti
la professione affinché ciò possa contribuire a mettere in luce le discrasie oggi esistenti e che non riguardano la professionalità dell’educatore e i suoi contenuti, bensì il suo riconoscimento giuridico in
àmbito sociale, socio-sanitario e penitenziario e la gestione del suo
percorso formativo. “Tenere insieme” la professione gestendo questa complessità è arduo e la nostra Associazione ritiene necessario e
improcrastinabile che questo riconoscimento sia completato.
La storia della nostra figura professionale, la sua formazione, il
suo impiego nei servizi, in Italia, in Europa e nel resto del mondo
dimostrano che non esiste alcuna differenza operativa e metodologica fra gli educatori professionali che lavorano in un servizio sanitario, sociale, socio-sanitario o nell’àmbito penitenziario: non si
tratta di figure diverse, è la medesima figura.
Non esistono diversi tipi di educatori: esistono, invece, diverse e
confuse denominazioni per intendere la stessa professionalità, pertanto l’unica aggettivazione nella quale ANEP si riconosce è “professionale”; ogni altra aggettivazione del nostro profilo in funzione di
compiti o ambiti d’intervento la riteniamo, oltre che anacronistica,
un errore epistemologico.
L’educatore professionale è un professionista che deve essere
formato attraverso un percorso specifico e unitario, con corsi a numero programmato, test d’ingresso e un congruo tirocinio professionalizzante.
140
M. VITILLO
7. Le questioni aperte
Il riconoscimento giuridico
A oggi il profilo dell’educatore professionale è stato riconosciuto,
adottato e normato solo dal Ministero della Salute con il d.m. n.
520/1998. In questo profilo l’educatore professionale è definito e
riconosciuto come un “operatore sociale e sanitario”, ovvero è stato
recepito, nel suo profilo sanitario, che l’educatore professionale non
è un operatore che interviene esclusivamente nei servizi sanitari,
ma anche in campo sociale e socio-sanitario. Quest’affermazione è
sostanziale: non esiste “l’educatore professionale sanitario” esiste
l’educatore professionale per ora riconosciuto dal solo Ministero
della Sanità.
Mentre esiste una normativa per l’abilitazione e l’esercizio della
professione in àmbito sanitario (il d.m. n. 520/1998, la legge n. 42/
1999 e successivi decreti), in àmbito sociale e socio-sanitario non
esiste nessuna regolamentazione ed è completamente disattesa sia
la regolamentazione prevista dall’art. 3 octies del Dlgs n. 229/1999,
sia quella prevista dall’art. 12 della legge n. 328/2000.
ANEP ritiene, quindi, si debba pervenire alla definizione giuridica
di un’unica figura di educatore professionale attraversoun’azione di
concerto tra i settori – Solidarietà sociale, Salute, Giustizia, Università e ricerca e Regioni – che riconosca i principi e i contenuti del
profilo ora normati solo nel d.m. n. 520/1998 e obblighi alla realizzazione di un piano di studi interfacoltà con un’abilitazione all’esercizio della professione in tutti gli ambiti.
Il percorso formativo
In Italia vi sono due classi di laurea di primo livello che formano
gli educatori: la classe SNT2 – sanitaria della riabilitazione – e la
classe XVIII (ora L19) – nell’àmbito delle Scienze dell’educazione.
La prima classe di laurea risponde ai requisiti previsti dal decreto n.
520/1998 che definisce questo operatore “sociale e sanitario” e abilita all’esercizio della professione nella sanità; la seconda, raccogliendo l’estrazione pedagogica della professione, laurea educatori
che non hanno alcuna abilitazione professionale riconosciuta, ma
nemmeno un chiaro collegamento con il mondo del lavoro e della
professione; possono svolgere la professione nel sociale e nel penitenziario (ad oggi privi di un riconoscimento del profilo), ma non
6. L’educatore professionale e l’ANEP
141
nella sanità, in quanto non rispondenti al requisito richiesto dal
d.m. stesso.
La questione del percorso formativo non è quindi ancora stata
risolta e riteniamo sia il nodo della questione a tutt’oggi. Questa
doppia formazione non è utile né al professionista né all’utenza né
tanto meno ai servizi. Riteniamo che il sistema formativo debba impegnarsi a risolvere questo problema riunificando il percorso formativo ed eliminando, quindi, una delle principali criticità che si
frappongono a completare il riconoscimento giuridico della figura
professionale.
I titoli pregressi
Permettere a coloro che hanno titoli di formazione specifica non
riconosciuti da norme intervenute successivamente crediamo sia
un’aspettativa legittima di tali professionisti. Riteniamo sia necessario affrontare e risolvere questo aspetto a partire dalle normative
vigenti e disattese.
8. A chi è diretto questo lavoro
L’Associazione nazionale educatori professionali, che ha voluto,
sostenuto e finanziato questo lavoro, lo consegna a:
– alla comunità italiana degli educatori professionali, affinché possa prodursi una riflessione sui contenuti attuali della professione;
– agli studenti dei Corsi di laurea, che rappresentano il futuro della
professione, affinché possano condividere queste riflessioni e
questi obiettivi per costruire il loro futuro professionale;
– al sistema universitario, affinché prosegua e si sviluppi ulteriormente la gestione di corsi triennali in Interfacoltà per formare
professionisti in grado di sostenere la realtà in continua evoluzione e che permetta all’educatore professionale di essere sul
mercato del lavoro italiano ed europeo in maniera chiara e definita e perché, a partire dal core competence, sia possibile avviare
un lavoro di costruzione del core curriculum per la formazione
dell’educatore professionale;
– al sistema di governo centrale, affinché possa dare attuazione
all’art. 12 della legge n. 328/2000 e all’art. 3 octies del d.lgs n.
229/1999;
142
M. VITILLO
– alle Regioni e alla Conferenza Stato-Regioni, affinché facciano
proprie queste istanze e sostengano questo percorso; tale esigenza è ampiamente riscontrabile da questo livello di governo locale
che, direttamente coinvolto nella gestione dei servizi, deve confrontarsi quotidianamente con queste criticità e perché siano definiti al più presto i criteri per il riconoscimento e l’equiparazione
dei diplomi o titoli precedentemente acquisiti dando applicazione
all’Accordo Stato-Regioni del dicembre 2004;
– alla comunità internazionale degli “educatori sociali”5758 affinché
questo lavoro possa contribuire alla costruzione della Piattaforma
comune per il riconoscimento della professione ai sensi della direttiva UE n. 36/2005;59
– al sindacato, perché sostenga questi processi.
57 AIEJI-Ufficio europeo dell’Associazione internazionale di educatori sociali
(AIEJI), “Piattaforma comune per gli educatori e le educatrici sociali in Europa”,
gennaio 2005, www.aieji.org.
58 “La dimensione europea dell’educatore professionale”, a cura di Paola Nicoletta Scarpa e Marco Corrente, Autonomie locali e servizi sociali, n. 1, 2003.
59 Direttiva 2005/36/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 7 settembre 2005 relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, G.U. UE
30 settembre 2005.