cinecircolo “robert bresson” - Cinema Teatro San Giuseppe Brugherio
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cinecircolo “robert bresson” - Cinema Teatro San Giuseppe Brugherio
CINECIRCOLO “ROBERT BRESSON” Brugherio °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° Mercoledì 21, giovedì 22 e venerdì 23 ottobre 2015 Inizio proiezioni ore 21. Giovedì anche alle ore 15 “In questo film il tema forte non è la vecchiaia, la devastazione dei corpi spogliati alle terme, ma il rapporto tra genitori anziani e figli. Mi interessa raccontare la vecchiaia in funzione del rapporto con il futuro, quando ne hai poco davanti, e rispetto ai figli. Il fatto che i vecchi si avviliscono perché si disperde il patrimonio delle cose che hanno fatto per loro. (…) Il problema non è quello dei ricordi, quanto la sproporzione fra le cose che facciamo e quello che rimane”. Paolo Sorrentino Youth – La giovinezza di Paolo Sorrentino con Michael Caine, Harvey Keitel, Rachel Weisz, Paul Dano, Jane Fonda Italia, Francia, Svizzera, Gran Bretagna 2015, 118’ °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° Sono molti i registi che affermano di volerci insegnare a vivere. Sono molti di meno i temerari che vogliono aiutarci a esorcizzare la paura della morte. Paolo Sorrentino non fa sconti ai sentimenti misti di terrore e rassegnazione che incombono sugli uomini quando la fatidica clessidra non comunica più segnali incoraggianti, ma ha il potere di deviare l'attenzione degli spettatori da un'analisi asettica e oggettiva della relativa condizione (la vecchiaia esiste) alla percezione dei fenomeni complessi e contraddittori che la definiscono in maniera diversa presso i singoli individui. Il suo talento è tale che l'impresa non appare mai persa in partenza, persino nel caso di un tema e un'ambientazione gravati da ciclopici precedenti soprattutto letterari e cinematografici. Dunque due vecchi signori amici riavvicinati dallo scenario rilassante e sconfinato delle Alpi, il direttore d'orchestra in pensione impersonato da Caine e il regista forse giunto alla sua ultima impresa che ha la grinta stemperata di saggezza di Keitel: sottoposti alle dolci e dure pratiche di un hotel termale di lusso, si confrontano su se stessi, sugli ospiti della spa, sui figli, sulle donne, sul mestiere e sulle prospettive più terrorizzanti che imperscrutabili del prossimo futuro. "Youth" è stato presentato come un piccolo film, ma in realtà è grande o quanto meno lo è per come espone alla massima potenza le caratteristiche autoriali di Sorrentino.(…) Per Sorrentino la rappresentazione, almeno in ambito filmico, vibra in perenne oscillazione tra 'alto' e 'basso' e le sensazioni che premono su Fred e Mick spingono il regista a concentrarsi, sia pure senza morbosità, ma con un surplus di stupefazione, proprio sul fisiologico, il materico, il deteriorato. Le aperture poetiche, suggerite dagli scenari pastorali, dall'incombere dello skyline crestato, dalla flessuosità di boschi e prati risultano, così, puntualmente moderate dalle apparizioni grottesche (un Maradona formato mongolfiera, una sinfonia di muggiti, gli incubi sotto forma di concerto metal) e dai tentativi di alcuni personaggi, come la figlia abbandonata su due piedi dal compagno, di riportare i vecchi alle loro responsabilità, a ciò che hanno seminato nei rapporti umani, ai patrimoni, peraltro non venali, che intendono lasciare. Il film, insomma, è riuscito e tiene stretta la sua ispirazione, ma nel bene e nel meno bene continua a seguire il metodo a strappi della clausola sorrentiniana. Il grande e appassionante problema di Sorrentino risiede sempre, secondo noi, nella sua incredibile capacità di vedere sempre 'oltre' la sequenza che sta girando e ci sta mostrando e quindi nella dose di auto-sarcasmo che gli serve per non rischiare di poterla demolire nell'attimo seguente. Forse, senza volere interpretare la parte del cinefilo, la metafora del massaggio (che scandisce, per forza di cose, molti dei passaggi obbligati per i riottosi ex capibranco) si adatta allo spirito di "Youth". L'occhio di Sorrentino massaggia in un certo senso l'enigma dello stare al mondo, persino nel momento di quella vecchiaia che secondo Philip Roth non è una battaglia, 'bensì un massacro'; persino quando gli strenui quanto vani discorsi sull'importanza delle emozioni s'arrestano e dilaga a tutto schermo la sequenza regina del caos stordente di battute, musiche e personaggi che davanti al grande schermo della vita ci hanno reso tutti, grandi artisti e grandi mistificatori compresi, inutili comparse. Valerio Caprara – Il Mattino …questa volta il modello di Sorrentino torna ad essere se stesso, senza più o meno consci confronti con i maestri che, anche quando citati, vengono metabolizzati nel suo universo creativo. Non mancano anche qui personaggi più o meno misteriosi che appaiono e scompaiono e a cui ora è comunque lo spettatore a poter assegnare la valenza simbolica che preferisce. Perché Fred e Mick sono persone che sono state personaggi nella loro vita ma che su questo schermo tornano a presentarsi come persone. Con le loro angosce, con le loro attese, con i loro segreti e, soprattutto, con la consapevolezza di una memoria destinata a perdersi nel tempo. (…) Sorrentino non ne fa due vecchie glorie più o meno coscienti delle proprie attuali forze fisiche e intellettuali ma offre loro anche i ruoli di genitori che conoscono luci ed ombre di un'arte altrettanto difficile: quella che i figli pretendono che venga esercitata nei loro confronti, non importa in quale età essi si trovino. In tutto ciò, ci si può chiedere, che ruolo viene assegnato alla giovinezza del titolo? Quello di specchio riflettente (e deformante al contempo) di passioni, desideri, fragilità. Su tutto questo e su molto altro ancora Sorrentino torna a trovare la profondità, la leggerezza ma anche la concentrazione che permettono al film di levitare. Chi lo vedrà capirà il senso del verbo. Giancarlo Zappoli – Mymovies Sorrentino impone una cifra immediatamente riconoscibile, quasi un marchio. E qui osa una struttura più musicale che narrativa, giocando con il kitsch, consapevole dei rischi. Rispetto agli altri suoi film, sono più evidenti certi scivoloni (la parata delle attrici passate di Mick), la ricerca della frase a effetto e, man mano che ci si avvicina alla fine, un tono grave che punta diretto al sublime. Comunque il talento visivo del regista è fuori discussione; e anche, cosa forse ancor più decisiva, la sua sincerità. Molte immagini del film, e la sua atmosfera, accompagnano lo spettatore e lo toccano oscuramente. Grazie anche a un gran gioco d'attori, guidato da un gigantesco Michael Caine (ma va ricordata almeno l'apparizione, feroce e irresistibile, di Jane Fonda). Emiliano Morreale – L’Espresso Il regista, sotto quell'accumulo, sotto l'apparente, quasi ingenua banalità di quel che dice, nasconde una complessità sovrabbondante di contenuto che fa il paio con quella della forma. È provocatorio, Sorrentino, con i suoi spettatori ci gioca a rimpiattino. (…) L'estremizzazione coerente e avanguardistica del suo percorso estetico è un vero e proprio guanto di sfida lanciato in faccia a chi guarda, ne mette alla prova la resistenza e la capacità di perdersi in quella sublimazione, di abbandonarsi a un godimento estetico che via via è del tutto slegato dal contenuto e dalle meccaniche del desiderio. (…) L'amaro e l'amarezza di Youth si fanno strada e pervadono il film e i nostri sensi, la potente semplicità di emozioni basilari e umanissime buca la superficie come stelle alpine che emergono dalla neve. Il merito è senz'altro anche di un cast di attori in forma strabiliante, (…)ma è anche di una complessità tematica che è quella della vita, e che ancora una volta viene mascherata, camuffata.(…) Sorrentino mente, spudoratamente, e si diverte come un matto a farlo. O forse non mente, e si diverte semplicemente a abbracciare la contraddizione, il paradosso della vita, la compresenza di opposti che è un po' il motore immoto dell'esistenza. Caine e Keitel, amici di vecchissima data, (…)assaporano le madeleine dei ricordi, pur sapendo che il tempo le ha rese immangiabili, e che quelle rimaste sono una parte esiziale rispetto a quelle perse nei meandri della memoria. (…) Alla fine tutti dobbiamo fare i conti con poche domande fondamentali: a cosa valgono le nostre azioni e le nostre opere? E se valgono, nel bene come nel male, sono davvero quelle che ci possono salvare dal vuoto dell'esistenza, che possono dare senso all'insensatezza che Sorrentino ricostruisce con tanti sberleffi grotteschi e surrealisti? (…) Il regista racconta certo il desiderio, ma anche la sua futilità, e di certo non si esenta dall'orrore, pur mascherandolo. Perché anche l'emozione, alla fine esiste, e conta eccome, e forse conta solo quella: ma, come nel concerto che chiude il film, non deve trapelare dalla maschera del distacco. Allora, o ci si lascia travolgere dall'orrore e dalla paura, come farà Keitel(…) o si fa come Caine: si accetta che l'unico bilancio possibile è fregarsene dei bilanci, dei successi e degli errori, e continuare a agire nel presente, in quello spazio di futuro cui si pensa anche e soprattutto guardando al passato, per prolungarlo. Agire senza l'illusione del piacere, senza brame, senza passioni e senza dolore inutile, per il raggiungimento di quel piccolo nirvana che è rappresentato, ancora, dal perdersi dentro la bellezza del gesto, dell'opera stessa, assaporando la vertigine della libertà. Alla fine, quindi, Youth non è solo un film sulla vita, sulla vecchiaia, sullo spettro della morte, ma anche sull'eterna giovinezza dell'arte, di quel cinema e quella musica che rimbombano e ridondano tanto attraverso i suoni e le immagini sullo schermo, quanto nelle parole dei protagonisti, mescolando alto e basso, sacro e profano, sublime e grottesco. È questo, forse, che a Sorrentino non verrà perdonato: questa sua ribellione alle convenzioni, questo suo mirare altissimo rimestando nel torbido, il suo approccio epidermico. Il suo essere, per dirla con il Fred Ballinger di Michael Caine, uno che è tutta la vita che cerca di non diventare un intellettuale. Federico Gironi – Comingsoon Due grandi vecchi per un film sul tempo che passa mentre la giovinezza (degli altri s'intende) ci assedia senza riguardi. Due grandi attori, Michael Caine e Harvey Keitel, per una riflessione giocosa sull'arte, la creazione, la bellezza (più seccature annesse, tipo la celebrità e i suoi obblighi). Un film così aperto e accogliente che riassume e rielabora tutto ciò che Sorrentino ha già fatto, ma in forma addolcita e semplificata. Come se il regista de La grande bellezza e Le conseguenze dell'amore volesse rendere il suo cinema più accessibile, meno inquietante, senza rinunciare ai tratti che lo rendono ormai così riconoscibile, seducente e, osiamo questa parola ambigua, piacevole. Fabio Ferzetti – Il Messaggero Osservare da vicino, nelle pieghe e nelle macchie della pelle, nelle rughe che appesantiscono gli sguardi, nei passi incerti che trasmettono insicurezza, quello che tutti cerchiamo di combattere, lo spauracchio del tempo che passa, la vera angoscia dei nostri anni. Nella 'Giovinezza' (...) Paolo Sorrentino dà corpo alla sua ossessione di giovane-vecchio, si interroga su una fase della vita che per lui è lontana, ne coglie i diversi aspetti, ne trae un insegnamento triste e necessario (...). A sostenerlo nell'impresa un cast eccezionale (...) il film più caldo di Paolo Sorrentino, ambizioso ma non altero, ironico ma non grottesco, e soprattutto venato di un'insolita pietà affettuosa. Il domani appartiene a tutti, anche a chi potrebbe non averlo. Fulvia Caprara - La Stampa