Il diritto all`oblio - ISCOM - Istituto Superiore delle Comunicazioni e
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Il diritto all`oblio - ISCOM - Istituto Superiore delle Comunicazioni e
La Comunicazione N.R.&N. Fabio Di Resta Avvocato Membro del Consiglio direttivo Master di II livello Università Roma Tre/Dip. Giurisprudenza LL.M. ISO 27001 Security Lead Auditor - Data Protection and I.P. Law Specialist Studio legale Di Resta Il diritto all’oblio: dalla tutela nei confronti dell’editore alla deindicizzazione delle parole chiave nei risultati dei motori di ricerca. The right to be forgotten (RTBF): the legal protection towards to publishers of the original content and the delising in the results of the original content and the delisting in the results of search engines. Sommario: La società moderna è una società digitale e interconnessa nella quale le informazioni sul nostro conto possono essere raccolte e associate da diverse fonti di informazioni, si aprono così problematiche spinose del controllo dei nostri dati, ne sono esempio tangibile i casi a tutti noti legati ai Big Data, a tal riguardo si citano i sistemi, come per esempio il programma di sorveglianza elettronica Prism sviluppato negli USA per ragioni di pubblica sicurezza, i quali se venissero utilizzati in modo distorto potrebbero diventare mezzi di raccolta massima ed indiscriminata contro i cittadini stessi. In tale contesto, si afferma con maggior forza l’esigenza di tutela dell’identità personale di ciascuno, soprattutto nell’ambiente di Internet che si caratterizza per la sua dimensione universale, identità che deve essere controllata e gestita al fine di evitare che la stessa venga dispersa. In particolare, nell’ambiente di Internet una notizia negativa sulla nostra reputazione può danneggiare gravemente chiunque pregiudicando irreparabilmente il suo futuro, dal professionista, all’imprenditore, ad uno studente, ecc. Il diritto all’oblio, nell’accezione in senso stretto, è un aspetto del diritto alla protezione dei dati personali (diritto fondamentale della persona) che consente di evitare che informazioni negative sul nostro conto ci inseguano per sempre consentendo all’interessato di rivolgersi ai motori di ricerca per la rimozioni dei link associati ai risultati contenenti i dati personali dello stesso. Abstract: Our modern, digital and interconnected society is going through a period whereby more personal data about our day-to-day life information is being collected, linked and processed within various sources through out the world within and out of the Internet. In particular, in the Internet many thorny points on controlling our personal data is raised, recent episodes relating to Big Data and the electronic surveillance program (PRISM) developed by US Government, for the purpose of public security, show the real risks for our personal data and the possible consequences on personal identity of each citizen. This context states an estreme need to controll one's online identity where personal data is to serve il for not to be lost. 69 F. Di Resta Almost every waking moment of our lives is recorded online, and it can be potentially shared or made public, and it can negatively influence on everyone's future. In Europe the right to be forgotten, in restrictive sense, is an aspect of our right to data protection, a fundamental right which allows to avoid that negative news on our social identity will persue us forever, guaranteeing to data subjects to ask search engines to remove links to the results with personal data about them. Come è noto, il diritto alla riservatezza inteso come interesse alla non intrusione nella propria sfera privata ha trovato una prima compiuta elaborazione nello scritto pubblicato a quattro mani tra l’avvocato S.D.Warren eL.D. Brandais anch’egli avvocato, che successivamente divenne giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti, l’articolo titolava The Right to Privacy, pubblicato nel 15 dicembre 1890 sulla Harvard Law Review. Fu la prima vera riflessione sulla tutela della riservatezza come diritto inviolabile, nel quale si denunciava il conflitto tra diritto all’informazione e diritto dalla riservatezza, la vicenda riguardava appunto la vita coniugale dell’allora noto avvocato di Boston,S.D. Warren, finito su tutti di giornali per una relazione extraconiugale. L’articolo sollevava una questione giuridica ancora fortemente attuale, se da una parte la pubblicazione di informazioni per scopi giornalistici si ricollega ai diritti fondamentali di informare i cittadini dall’altra occorre che non vengano lesi altri diritti perché questo può determinare una evidente sproporzione nella sfera personale di ciascuno. Dal 1890 sono trascorsi oltre centoventi anni, sicuramente la cultura giuridica si è adattata ai radicali cambiamenti della società, invero, nel corso di più di un secolo i nuovi principi giuridici e istituti giuridici sembrano più essersi integrati con i precedenti nella continua ricerca di una tutela effettiva, dal canto suo il progresso tecnologico ha comportato un completo stravolgimento della società trasformandola in una società dell’informazione. In questa prospettiva di evoluzione storica del diritto alla riservatezza con specifico riferimento all’informatica giuridica, in ambito giuridico si è passati dal concetto di habeas corpus,insieme di garanzie giurisdizionali affermatesi originariamente negli ordinamenti di common law tramite la Dichiarazione dei diritti del 1215 (la Magna Carta), cui si è accostato molti secoli dopo il concetto di tutela del corpo informatico ossia le garanzie dell’habeas data da intendersi usando le parole del giurista Eduardo Rozo Acuña come un “diritto autonomo e fondamentale, che permette a ogni persona di conoscere, aggiornare e rettificare le proprie informazioni raccolte nelle banche dati e archivi degli enti pubblici e privati, in difesa dei diritti fondamentali all’intimità - privacy”. 70 La Comunicazione N.R.& N. Il diritto all’oblio: dalla nei confronti dell’editore alla deindicizzazione delle parole chiave nei risultato dei motori di ricerca. The right to be forgotten (RTBF): the legal protection towards to publishers of the original content and the delising in the results of the original content and the delisting in the results of search engines. Da una società di fine ottocento in cui l’informazione era basata sul passa parola e sulla stampa cartacea, siamo arrivati alla società dell’informazione, un mondo digitale ed interconnesso, nel quale lo sviluppo dell’ Internet delle Cose (IoT) è già una realtà, nei prossimi anni sarà esponenziale, frigoriferi intelligenti, macchine che comunicano informazioni tramite satellite in caso di incidente oppure tecnologie che consentono di aprire la porta dell’autovettura tramite smartphone. In questo contesto, se da una parte vi sono le major di Internet (spesso anche indicati con l’acronimo GAFA, Google, Apple, Facebook and Amazon) che dominano il mondo digitale, come anche le più importanti enciclopedie online, tra cui Wikipedia, dall’altra vi è chi pensa che i diritti fondamentali debbano prevalere sul progresso tecnologico, senza tuttavia che l’applicazione di tali diritti si tramuti in forme di censure oppure che impedisca il progresso sociale stesso. Evidentemente, la soluzione tra opposte prospettiva non può essere trovata con le ideologie, ma identificando valori, principi e diritti su cui si fonda la società nella dimensione di internet cercando di trovare caso per caso una soluzione proporzionata e bilanciata. Dopo queste brevi premesse generali, occorre addentrarsi nelle recenti questioni giuridiche relative alla cronaca giudiziaria in relazione alla protezione dei dati personali. In primo luogo, tralasciando per il momento l’aspetto relativo all’eventuale falsità della notizia, l’indagine dovrebbe essere volta a verificare se la notizia contenuta sul sito del mass media o testata giornalistica sia obsoleta, ossia non abbia seguito lo sviluppo della vicenda giudiziaria, il cittadino coinvolto nella vicenda potrebbe rivolgersi al quotidiano chiedendo l’aggiornamento dei dati poiché la notizia così come è riportata attualmente non è più esatta, corretta, ovvero non rispetta i criteri di essenzialità. In altri termini, sebbene la notizia che riportava la vicenda del professionista costituisse originariamente un trattamento lecito dei dati personali, allo stato potrebbe costituire un illecito trattamento dei dati perché la notizia non è più aggiornata. Oltre a questo il professionista potrebbe chiedere che la notizia venisse spostata nell’archivio storico online del quotidiano in modo che l’informazione fosse meno accessibile da parte di terzi attraverso una deindicizzazione della stessa. Questo diritto viene conferito al cittadino come interessato, Codice della Privacy (C.d.P.), art. 11 lett. c, laddove prescrive che i dati personali oggetto di trattamento debbono essere “ c) esatti e, se necessario, aggiornati”. 71 F. Di Resta Tuttavia, mentre l’aggiornamento specifico e la spostamento della notizia nell’archivio storico non presenta problemi tecnici di particolari complessità, una volta risolta la questione giuridica di bilanciamento dei diritti coinvolti, qualche criticità, tanto giuridica quanto tecnica, potrebbe presentarsi in ordine alla richiesta di deindicizzazione rivolta all’Editore. Infatti, se da una parte il cittadino si ritiene leso sostenendo che chiunque ricerchi la notizia come parola chiave il proprio nome e cognome, trovi tra i risultati associati alla notizia i propria dati personali; dall’altra, lo stesso richiedente la deindicizzazione (c.d. delisting), tramite robots.txt della notizia, potrebbe trovarsi di fronte ai limiti tecnologici dell’operazione; se è, infatti, vero che da alcuni anni i maggiori quotidiani hanno oramai provveduto a digitalizzate gli archivi cartacei, è anche vero che le piattaforme web implementate dai quotidiani sono sicuramente dei siti dinamici che utilizzano banche dati più o meno complesse e strutturate. In tali casi, deindicizzare la singola pagina web può presentare notevoli complessità tecniche e nella maggior parte dei casi potrebbe essere difficile se non addirittura impossibile arrivare a risultati utili alla tutela dell’interessato per il tramite del solo sito sorgente (Editore). In tal senso, vi è anche il pronunciamento del Garante privacy dell’11 dicembre 2008, laddove si asseriva che: ‘alla luce dell’attuale meccanismo di funzionamento dei motori di ricerca standard, intendendo con ciò quelli di maggiore diffusione, la raccolta di informazioni sulla pagine disponibili nel world wide web (fase di “grabbing”) è influenzabile dal solo amministratore di un sito web sorgente per il tramite della compilazione del file robots.txt, previsto dal “Robots Exclusion Protocol”, o tramite l’uso dei “Robots Meta Tag secondo convenzioni concordate nella comunità di internet (avendo presente comunque come tali accorgimenti non siano immediatamente efficaci rispetto ai contenuti già indicizzati da parte motori di ricerca internet, la cui rimozione potrà avvenire secondo le modalità da ciascuno di questi previste)”. In un provvedimento precedente il Garante aveva anche asserito che: “in realtà la rettifica o cancellazione effettuati dal gestore del sito non sono sufficienti a tutelare l’interessato: infatti in diversi casi le copie cache dei siti e le relativa sintesi (gli abstract che compaiono nelle pagine dei risultati della ricerca) non vengono aggiornate o rettificate dal motore di ricerca, anche se sui siti sorgenti la rettifica o la cancellazione è avvenuta da tempo […] le copie di cache generate da Google per l’indicizzazione di determinate pagine web continuavano a contenere la notizia dell’arresto di una professionista nell’ambito di una nota vicenda giudiziaria senza menzionare la successiva assoluzione […] il motore di ricerca continua a trattare autonomamente dati consentendone la permanenza in rete anche se non più presenti nei siti che li contenevano originariamente” (Provv. Garante privacy, 18 gennaio 2006, commento estratto dal volume PRIVACY E 72 La Comunicazione N.R.& N. Il diritto all’oblio: dalla nei confronti dell’editore alla deindicizzazione delle parole chiave nei risultato dei motori di ricerca. The right to be forgotten (RTBF): the legal protection towards to publishers of the original content and the delising in the results of the original content and the delisting in the results of search engines. GIORNALISMO, Mauro Paissan, Editore - Garante per la protezione dei dati personali, pagg. 39 e 40). Il problema sopra illustrato – piuttosto ricorrente in realtà - mostra da una parte che il semplice aggiornamento e/o rettifica della notizia sul sito sorgente può non sempre essere una sufficiente soluzione in termini di efficace tutela del diritto alla protezione dei dati personali, dall’altra la questione è ancora più complicata quando si pone un problema di giurisdizione come nel caso di Google, nel quale essendo i server e le attività di gestione delle attività dei motori di ricerca svolte negli Stati Uniti,la applicazione a Google Italy della giurisdizione italiana ed europea presenta ostacoli ritenuti a lungo insormontabili (tema che sarà trattato nel prosieguo). In tale contesto, il recente protocollo di verifica adottato dal Garante privacy rappresenta in tal senso un passo avanti verso la soluzione di questi problemi (Provv. Garante privacy del 22 gennaio 2015), il protocollo prevede aggiornamenti trimestrali sullo stato di avanzamento dei lavori e la possibilità di effettuare presso la sede americana di Google verifiche di conformità alla disciplina italiana delle misure in via di implementazione: informative, consenso, conservazione dei dati, rimozione delle informazioni dai risultati di ricerca da parte degli utenti. I quesiti e le problematiche sopra illustrati sono stati affrontati in numerose pronunce della giurisprudenza di merito, nella prassi decisoria del Garante privacy nonché della Cassazione e della Corte di Giustizia. Nel prosieguo andremo ad analizzare queste pronunce. Quando rivolgersi all’editore e cosa chiedere In giurisprudenza non è rinvenibile un vero è proprio landmark case in materia di diritto all’oblio almeno fino al 2012, mentre il Garante privacy aveva già riconosciuto almeno dal 2004-2005 una forma di diritto all’oblio in ambito di cronaca giudiziaria. A tal riguardo, il provvedimento del Garante del 7 luglio 2005 riguardava la trasmissione “Un giorno in Pretura” programma della RAI S.p.a., la trasmissione televisiva riproponeva a distanza di sedici anni le immagini riprese durante il dibattimento processuale di una persona, estranea alla vicenda, allora legata sentimentalmente con uno degli imputati, la stessa manifestava chiaramente solidarietà con quest’ultimo. Tuttavia, riteneva l’Autorità le reazioni emotive dell’interessata erano stato riprese senza alcuna cautela volta ad evitarne l’identificazione e non rispettando il requisito di essenzialità dell’informazione. Pertanto, “la tutela invocata dalla segnalante trova 73 F. Di Resta giusto fondamento anche nel diritto della segnalante di non essere più ricordata pubblicamente, anche a distanza di molti anni (c.d. diritto all’oblio; art. 11, comma 1, lett. e del Codice). La riproposizione […] ha leso il diritto dell’interessata di veder rispettata la propria rinnovata dimensione sociale e affettiva, così come si è venuta definendo successivamente alla vicenda stessa, anche in relazione al proprio diritto all’identità personale e al diritto alla protezione dei dati personali”. A questo punto appare opportuno, per ordine di importanza, iniziare ad analizzare la pronuncia della Cassazione del 2012, atteso il suo valore di landmark case. Si trattava di un articolo pubblicato sul Corriere della Sera, l’interessato aveva chiesto inizialmente al Garante per la protezione dei dati personali il “blocco dei dati personali che lo riguardavano contenuti nell’articolo “Arrestato per corruzione…” pubblicato sul quotidiano il giorno 22 aprile 1993, l’Autorità aveva respinto il ricorso. Quindi, lo stesso impugnava il provvedimento di rigetto del Garante Privacy innanzi al Tribunale di Milano, tuttavia, il Tribunale confermava quanto asserito dal Garante respingendo l’opposizione volta alla rimozione dei dati giudiziari. Così come previsto dall’art. 152 del C.d.P., attesa la non appellabilità delle sentenze del Tribunale, l’interessato proponeva ricorso in Cassazione. Il ricorso conteneva un unico complesso motivo nel quale si richiamava alla violazione degli artt. 2, 7, 11, 99, 102, 150 del C.d.P., nonché agli artt.3, 5, 7 del codice deontologico e buona condotta per i trattamenti di dati per scopi storici. Gli argomenti dell’organo giudicante respingono alcune richieste della ricorrente e sono così succintamente riassunti: “l’articolo di cui si tratta non può essere tecnicamente inteso come una nuova pubblicazione”, la “ricerca effettuata attraverso i comuni motori di ricerca – non direttamente legata all’articolo del Corriere della Sera – dà, in realtà, contezza degli esiti processualmente favorevoli” e “l’inserimento di una sorta di sequel nell’articolo contenuto in archivio […] farebbe venir meno il valore di documento del testo stesso, vanificandone così la funzione storico-documentaristica”. Gli argomenti posti dal ricorrente avverso la pronuncia del Tribunale più nello specifico così possono riassumersi: - richiesta di “spostamento dell’articolo pubblicato molti anni prima in un area di un sito web non indicizzabile dai motori di ricerca”; - L’articolo “non reca, in sé, la notizia distinta successiva – che l’inchiesta giudiziaria che aveva condotto all’arresto del ricorrente si sia poi conclusa con il proscioglimento del medesimo, sicché, ancora il […] è soggetto allo stigma derivante dalla continua 74 La Comunicazione N.R.& N. Il diritto all’oblio: dalla nei confronti dell’editore alla deindicizzazione delle parole chiave nei risultato dei motori di ricerca. The right to be forgotten (RTBF): the legal protection towards to publishers of the original content and the delising in the results of the original content and the delisting in the results of search engines. riproposizione di una notizia che, al momento della sua pubblicazione era senz’altro vera ed attuale, ma che oggi, a distanza di così grande lasso di tempo ed in ragione delle sopravvenute vicende favorevoli, getta un intollerabile alone di discredito sulla persona del ricorrente, vittima di un vera e propria gogna mediatica”. La vicenda sottoposta alla Corte riproponeva ancora una volta la spinosa questione del bilanciamento, da una parte il diritto di informare, la libertà di espressione e l’interesse della collettività ad accedere ad informazioni e dell’altra parte il diritto, non più solo diritto alla riservatezza inteso come right to be alone, ma al trattamento dinamico dei dati, dalla raccolta alla gestione alla prima diffusione (prima pubblicazione) financo alla ulteriore diffusione (si trattava di una circolazione dei dati tramite internet e quindi potenzialmente accessibile da tutto il mondo). Come è noto, l’art. 11 del C.d.P. definisce i criteri con il quali il trattamento dei dati personali può essere definito corretto (p.e. è stato acquisito il consenso informato) e/o lecito (p.e. violazione di altre disposizione del C.d.P. come ad esempio violazione del principio di finalità e/o proporzionalità del trattamento). Invero, la liceità del trattamento merita un breve approfondimento perché è un principio fondamentale nella decisione che occupa. L’organo giudicante asserisce che la liceità trova fondamento nella finalità del trattamento e ne costituisce un limite intrinseco allo stesso, nello specifico, la finalità perseguita nella prima pubblicazione da parte del quotidiano è diversa da una riproposizione dello stesso articolo. Infatti, come già accennato sopra la pubblicazione originaria può avere il carattere di attualità (trattamento dati originario), ma il trascorre del tempo può comportare che la notizia divenga obsoleta perché non più di interesse per il pubblico, l’ulteriore ripubblicazione a distanza di tempo di una notizia dimentica può quindi danneggiare l’identità personale e professionale di un individuo e può pertanto considerarsi illecita. Un altro passaggio della sentenza appare cruciale, anche i dati pubblici o pubblicati sono oggetto di tutela, afferma la Cassazione che “il diritto all’oblio salvaguardia in realtà la proiezione sociale dell’identità personale, l’esigenza del soggetto di essere tutelato dalla divulgazione di informazioni (potenzialmente) lesive in ragione della perdita (stante il lasso di tempo intercorso dall’accadimento del fatto che costituisce l’oggetto) di attualità delle stesse sicché il relativo trattamento viene a risultare non più giustificato ed anzi suscettibile di ostacolare il soggetto nell’esplicazione e nel godimento della propria personalità.” Il Supremo Collegio prosegue richiamando altra pronuncia secondo la quale “ il diritto al rispetto della propria identità personale e 75 F. Di Resta morale, a non vedere cioè travisato alterato il proprio patrimonio intellettuale […] (la n.d.r.) propria immagine nel momento storico attuale”. Sempre analizzando il profilo della liceità del trattamento successivo alla prima pubblicazione l’organo giudicante richiama un principio, ai fini della valutazione della ripubblicazione della notizia, secondo il quale è importante tenere in conto che i dati personali provenienti da fonti pienamente conoscibili (p.e. elenchi telefonici) come anche i dati pubblici (p.e. dati reddituali detenuti dall’Agenzia delle Entrate), entrambi non sono liberamente utilizzabili, ed i secondi possono comunque essere sottoposti ad un regime giuridico di pubblicità che ne limiti l’utilizzo. In particolare, i primi sono anche reperibili online, si pensi ad esempio alle e mail, agli indirizzi, ai numeri di telefono, non per questo sono dati personali liberamente utilizzabili da chiunque e per qualunque scopo ed anzi sono soggetti in termini generali alla protezione dati personali. Nel ricercare un giusto bilanciamento di interessi la Corte asserisce quindi che se da una parte occorre tutelare l’identità personale anche nelle fasi successive alla prima pubblicazione dell’articolo ai fini di tutela della proiezione sociale della stessa identità, dall’altra vi è pur sempre l’interesse del pubblico ad accedere alla notizia e quindi ad una permanenza della stessa nella memoria storica presente su Internet. Pertanto, asserisce la stessa proprio sulla base dell’esigenza di garantire una liceità del trattamento successivo alla prima pubblicazione che il quotidiano Corriere della Sera (R.C.S. Quotidiani S.p.A.) non è sufficiente che si sposti nell’archivio storico la notizia, è invece necessario che adotti un sistema di segnalazione dello sviluppo della stessa (p.e. banner all’interno dell’articolo) il quale garantisca una contestualizzazione e l’aggiornamento della stessa. Infine, vi da rilevare che, correttamente, la Corte non sembra aver accolto altre richieste del ricorrente volte invece a chiedere anche la deindicizzazione dall’archivio online, trovando invero questa richiesta di difficile realizzabilità tecnica. Come si avrà modo di illustrare più avanti la deindicizzazione avrebbe dovuto essere rivolta al motore di ricerca, sebbene i limiti giurisdizionali all’epoca ancora sussistenti non avrebbero forse consentito di coinvolgere processualmente lo stesso. Altra pronuncia che si inserisce parzialmente nel solco delineato da questo significativo arresto è l’ordinanza del Tribunale di Firenze del 29 marzo 2014, la questione attinente alla cronaca giudiziaria, si contrapponevano anche qui il diritto all’autodeterminazione informativa, nell’accezione di diritto alla tutela dell’identità personale e quindi alla veridicità delle informazioni contenute nell’archivio storico 76 La Comunicazione N.R.& N. Il diritto all’oblio: dalla nei confronti dell’editore alla deindicizzazione delle parole chiave nei risultato dei motori di ricerca. The right to be forgotten (RTBF): the legal protection towards to publishers of the original content and the delising in the results of the original content and the delisting in the results of search engines. online, per contro vi era lo scopo storico-documentaristico, il diritto di informare e di essere informati. L’organo giudicante asserisce che: “il presente giudizio infatti non tocca in alcun modo il contenuto degli archivi storici del quotidiano che rimarrebbero pertanto disponibili a chiunque voglia prenderne visione […] la deindicizzazione dei due articoli risulta, pertanto, misura adeguata e sufficiente a contemperare l’esigenza di mantenimento della memoria storica della cronaca giudiziaria (continuando i due articoli ad essere reperibili nell’archivio storico del quotidiano) ma anche a garantire, al contempo, in via immediata la tutela dell’immagine telematica dal punto di vista professionale e lavorativo dell’odierno ricorrente […] Nel caso di specie l’avvenuta rettifica nel corpo dell’articolo di cui alla URL […] pur ristabilendo la verità storica, non tutela certamente in modo sufficiente l’interesse cui è diretto il presente ricorso, che consiste, principalmente, nel disincentivare l’associazione del nome del ricorrente alle parole “arresti domiciliari” ogni qualvolta lo si digiti sul motore di ricerca Google”. Pertanto, da una parte il pronunciamento del Tribunale fiorentino è pienamente conforme all’arresto giurisprudenziale della Suprema Corte del 2012, ma lo stesso va oltre asserendo che l’esattezza dell’informazione non è sufficiente: occorre che la notizia venga deindicizzata dal sito sorgente. D’altro canto, il Tribunale fiorentino si era già pronunciato su una questione analoga l’anno precedente, Ord. Trib. di Firenze del 13 febbraio 2013, asserendo su ricorso per provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c. che: “non spetta ai motori di ricerca provvedere all’aggiornamento e alla contestualizzazione delle informazioni immesse, ma ai siti sorgente e quindi alle testate giornalistiche […] è chiaro perciò che il fumus boni iuris del diritti all’identità personale del ricorrente deriva dalla indicizzazione da parte dei motori di ricerca del suo nome e cognome e dall’associazione dello stesso alla qualità di indagato e arresto non più attuali e veritiere […] Ciò posto la permanenza di tali informazioni non può che arrecare un pregiudizio grave e irreparabile al ricorrente”. Anche Il Tribunale di Milano nella ordinanza del 26 aprile 2013, n. 5820, prende le mosse proprio dal landmark case del 2012, il ricorrente lamentava la natura diffamatoria e la illiceità dell’articolo “l’usuraio del casinò ha evaso 84 miliardi”, notizia pubblicata su Repubblica il 29 settembre 1985 e riportata nell’archivio online di Repubblica (il Gruppo editoriale l’Espresso S.p.A.). Lo stesso asseriva, in particolare, la mancanza di veridicità dell’articolo, sia in ordine al reato contestato, sia all’esistenza di mandati di cattura ovvero la presunta latitanza, sia l’importo 77 F. Di Resta contestato e ne chiedeva comunque la rimozione dell’articolo dall’archivio online o in subordine “impedire al motore di ricerca l’accesso al predetto link”. L’organo giudicante nelle conclusioni asseriva in primo luogo la carenza (assunto invero molto ricorrente almeno fino alla pronuncia della Corte di Giustizia) di legittimazione passiva di Google Italy S.r.l., atteso che la stessa effettuava mera attività pubblicitaria e di marketing di prodotti editoriali, attività autonome e distinte da quelle svolte dalla società madre, Google inc., nello specifico autonome e distinte dalle attività relative alla gestione dell’indicizzazione delle pagine web impiegate dai motori di ricerca. Come già accennato, tale tesi costituisce un comune denominatore nella costante giurisprudenza fino a maggio 2014, secondo la stessa si deve asserire il difetto di legittimazione passiva nei confronti di Google Italy in quanto non rientrante nell’art. 5 del C.d.P. e non potendosi individuare neanche un’attività di mero supporto per la società madre (Cfr. Tribunale di Roma, 11 luglio 2011; Tribunale di Luca, 20 agosto 2007; Tribunale di Milano, 25 ottobre 2010, successivamente la stessa è stata riformata totalmente nei due successivi gradi di giudizio). Le altre conclusioni dell’organo giudicante milanese erano le seguenti pieno accoglimento della domanda spiegata dall’attore nei confronti del Gruppo editoriale l’Espresso S.p.A. e per l’effetto si ordinava la cancellazione dell’articolo in oggetto dall’archivio online del quotidiano La Repubblica, condannava, inoltre, il quotidiano al risarcimento dei danni non patrimoniali. Pertanto, da una parte la pronuncia milanese sembra andare oltre il landmark case del 2012, asserendo non il mero aggiornamento o rettifica della notizia, ma la totale rimozione del contenuto della stessa. Occorre però analizzare il percorso argomentativo del Giudice. Il tribunale, si giovava di molte delle argomentazioni presenti nella nota pronuncia del 2012, ma asseriva anche che: “le finalità di archivio di una notizia così risalente (il 1985, n.d.r.) ben possono essere assicurate attraverso la conservazione di una copia cartacea (in tal modo sicuramente sacrificando le possibilità di accesso alla notizia, ma in favore del superiore interesse all’identità personale, per le argomentazione sopra esposte) e considerato il fatto che le procedure di c.d. deindicizzazione poste in essere dalle resistenti sono rimaste infruttuose (Cfr. documentazione prodotta dalla difesa di parte attrice unitamente alla comparsa conclusionale), si ritiene che, ai sensi del citato articolo 7 D.lgs. n. 196 del 2003, possa essere disposta, a cura del Gruppo Editoriale l’Espresso – cui spetta provvedere, Cfr. Cass. 5525/2012) – la cancellazione dell’articolo […] dall’archivio telematico[…]”. Il Giudice milanese ritiene pertanto che sia sufficiente che il quotidiano conservi la notizia in formato cartaceo, data la notizia di 78 La Comunicazione N.R.& N. Il diritto all’oblio: dalla nei confronti dell’editore alla deindicizzazione delle parole chiave nei risultato dei motori di ricerca. The right to be forgotten (RTBF): the legal protection towards to publishers of the original content and the delising in the results of the original content and the delisting in the results of search engines. trent’anni orsono l’interesse pubblico è da considerarsi recessivo rispetto alla protezione dell’identità, inoltre, neanche le soluzioni tecniche approntate dal quotidiano non erano state sufficienti a deindicizzare la notizia. La pronuncia in oggetto è stata accolta da alcuni con riserve e perplessità dovuta al fatto che la conservazione nel solo archivio cartaceo rappresenta una sanzione molto aspra. Tuttavia, a ben vedere il giudicante in ordine al contenuto offensivo si è limitato a constatare la prescrizione relativa alle richieste inerenti la diffamazione, tenuto conto del fatto che questi fatti riportati nella notizia erano almeno in parte falsi come l’accusa di usura, l’evasione di somme molto ingenti, mandati di cattura e latitanza. A tal proposito si richiama la Cassazione del 2012 la quale asserisce che la notizia “originariamente completa e vera, diviene non aggiornata, risultando quindi parziale e non esatta, e pertanto sostanzialmente non vera”, invece nel caso in esame non era il trascorrere del tempo a rendere la notizia non vera (anche se solo parzialmente)la notizia era tale ab origine. Orbene, dalla lettura più approfondita della sentenza emerge che l’aspra misura adottata dall’organo giudicante appare ben motivata sotto il profilo del bilanciamento di interessi, in primo luogo la notizia era stata pubblicata nel 1985 (lasso di tempo sufficiente per soddisfare l’interesse pubblico ad accedere all’informazione), a distanza di quasi trent’anni, inoltre, non sussistevano motivi per l’ulteriore identificabilità della persona in riferimento alle finalità di pubblicazione (trattamento dati), infine, come sopra accennato non solo la stessa era in parte falsa ma le misure adottate dall’editore erano state infruttuose. Pertanto, la rimozione della notizia dagli archivi online è vista correttamente dal giudicante come una extrema ratio volta a garantire un’effettività di tutela del diritto dell’attore non altrimenti tutelabile nell’ambiente Internet, di qui appunto l’obbligo di conservare in formato solo cartaceo per adempimento agli scopi storicodocumentaristici. Alla luce di queste osservazioni appare ora opportuno analizzare la sentenza che costituisce un landmark case a livello europeo. Si tratta della pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 13 maggio 2014, causa C-131/12. La vicenda come è noto riguardava il sig. Costeja Gonzales il quale mediante reclamo chiedeva che fosse ordinato ad un noto quotidiano catalano, La Vanguardia, di rimuovere oppure modificare alcune pagine web contenenti i suoi dati personali. Il reclamo, innanzi alla Agencia Espanola de Proteccion de Datos (AEDP), era rivolto sia contro il quotidiano La Vanguardia sia contro Google Spain e Google Inc., si fondava in ragione del fatto che quando 79 F. Di Resta veniva effettuata una ricerca da parte di un qualsiasi utente con le parole chiave “Costeja Gonzales” il motore otteneva come risultati due link verso due pagine di suddetto quotidiano, rispettivamente del 19 gennaio e del 9 marzo 1998, riportanti la notizia da considerarsi oramai obsoleta. Nella notizia si riportava che il sig. Costeja Gonzales, a seguito di accertamenti, era risultato evasore per crediti previdenziali e che dei suoi immobili erano stati messi all’asta a seguito di un pignoramento per la riscossione coatta di detti crediti. Il reclamo verso il quotidiano La Vanguardia veniva respinto ritenendo la pubblicazione del quotidiano legalmente giustificata dato che alla vendita pubblica era stata data ampia pubblicità su ordine del Ministero del Lavoro e degli Affari sociali. Il medesimo reclamo veniva invece accolto dalla AEDP contro Google Spain e Google Inc. Le ragioni dell’accoglimento possono essere riassunte come segue: Le società spagnola e la società madre americana operano in stretta collaborazione, “i gestori di motori di ricerca sono assoggettati alla normativa in materia di protezione dei dati […] effettuano un trattamento di dati per il quale sono responsabili e agiscono quali intermediari […] L’AEDP ha ritenuto di essere autorizzata ad ordinare la rimozione dei dati nonché il divieto di accesso a taluni dati da parte dei gestori dei motori di ricerca ”. Alla base di tale pronunciamento vi è il bilanciamento degli interessi in gioco, nel quale prevale “il diritto fondamentale alla protezione dei dati personali e alla dignità delle persone in senso ampio, ciò che includerebbe anche la semplice volontà della persona interessata che tali non siano conosciuti da terzi”. La pronuncia dell’AEDP veniva impugnata innanzi all’Audiencia Nacional, la quale sospendeva procedimento ponendo una questione pregiudiziale comunitaria innanzi alla Corte di Giustizia. Si ponevano principalmente tre questioni che possono riassumersi come segue: 1. La qualificazione come “stabilimento” relativamente a Google Spain al fine di definire la giurisdizione in base alla normativa europea e al diritto spagnolo sul caso; 2. Se l’attività posta in essere da Google Search, “consistente nel localizzare le informazioni pubblicate e messe in rete a terzi, nell’indicizzarle in maniera automatica, nel memorizzarle temporaneamente e infine metterle a disposizioni degli utenti di Internet secondo un determinato ordine di preferenza” possa qualificarsi come trattamento dei dati personali e se come tale la società possa essere qualificata come Responsabile del trattamento ai sensi dell’art. 2 lett. d) della Direttiva 95/46/Ce. 80 La Comunicazione N.R.& N. Il diritto all’oblio: dalla nei confronti dell’editore alla deindicizzazione delle parole chiave nei risultato dei motori di ricerca. The right to be forgotten (RTBF): the legal protection towards to publishers of the original content and the delising in the results of the original content and the delisting in the results of search engines. 3. In riferimento alla portata del diritto di cancellazione e/o opposizione al trattamento di dati in relazione al diritto all’oblio, ai sensi degli artt. 12 e 14, se il diritto di cancellazione e congelamento dei dati implichino o meno che l’interessato possa rivolgersi ai motori di ricerca “per impedire l’indicizzazione delle informazioni riguardanti la sua persona pubblicate su pagine web di terzi, facendo valere la propria volontà che tali informazioni non siano conosciute dagli utenti di internet”, qualora tale divulgazione comporti una pregiudizio ai sui danni o desideri che tali informazioni siano dimenticate. Per tutte e tre le questioni sopra illustrate la Corte di Giustizia forniva risposta affermativa, riconosceva per la prima volta nella la giurisdizione europea e spagnola sui motori di ricerca, che Google Spain fosse qualificabile come responsabile del trattamento (Titolare autonomo secondo il diritto italiano). Infine, con la questione indicata al punto 3 si chiedeva alla Corte se fosse possibile legittimamente chiedere al motore di ricerca la rimozione del link alla pagina web del sito sorgente (quotidiano La Vanguardia), anche nella circostanza che il trattamento operato da quest’ultimo fosse lecita (Cfr. paragrafo 62). La risposta della Corte è netta in base alla Direttiva 95/46/Ce il fatto che le informazioni pubblicate sul sito sorgente siano lecite non incide sugli obblighi dei motori di ricerca. Anzi, specifica che il trattamento dell’editore di una pagina web, consistente nella pubblicazione di informazioni relative ad una persona fisica, può in ipotesi essere anche effettuato per esclusivi scopi giornalistici (par. 85) e beneficiare delle deroghe previste dall’art. 9 della Direttiva, mentre tali deroghe non sono applicabili ai motori di ricerca. La Corte conclude, infine, che il diritto allo protezione dei dati personali prevale, nell’ottica di un bilanciamento di diritti, non soltanto sugli interessi economici dei motori di ricerca ma sull’interesse del pubblico ad accedere all’informazione in occasione di una ricerca concernente il nome dell’interessato. D’altro canto, quest’ultima tesi trova conforto anche se si fosse ragionato in stretti termini di diritto italiano, l’editore in tal caso avrebbe potuto infatti sostenere una tesi difensiva ricorrendo all’art. 136 e ss. del Codice della Privacy (d.lgs. 196/2003). Lo stesso prevede una deroga al consenso al trattamento quando lo stesso è “effettuato nell’esercizio della professione di giornalista e per l’esclusivo perseguimento delle relative finalità” o “effettuato dai soggetti iscritti nell’elenco dei pubblicisti o nel registro dei praticanti di cui agli articoli 26 e 33 della legge 3 febbraio 1963, n. 69”. D’altro canto, il trattamento potrebbe anche essere “temporaneo finalizzato esclusivamente alla 81 F. Di Resta pubblicazione o diffusione occasionale di articoli, saggi e altre manifestazioni di pensiero anche nell’espressione artistica”. Ovviamente la deroga al consenso, che include anche le garanzie previste dagli artt. 27 in combinato disposto con l’art. 137 C.d.P. sul trattamento dei dati giudiziari, potrebbe anche essere opposta impropriamente perché lo scopo giornalistico potrebbe essere ritenuto recessivo rispetto al diritto all’oblio ossia il diritto alla protezione dei dati personali nell’accezione di controllo della propria identità personale nella sua proiezione sociale. In tale caso una notizia diventa obsoleta per il trascorrere del tempo perdendo di interesse per la collettività. Peraltro, riprendendo le argomentazioni della Corte di Giustizia, la notizia di un privato cittadino che non ha incarichi pubblici perde di interesse dopo un certo numero di anni, prevalendo il diritto a che la notizia venga dimentica, pertanto si può chiedere che non sia più accessibili con facilità da parte di terzi, tuttavia, quotidiano potrà ottenere ragionevolmente il risultato di continuare a conservare la notizia, in forma aggiornata e veritiera, nell’archivio storico online. Sul piano generale occorre, inoltre, porsi un ulteriore quesito che allo stato rappresenta uno dei punti critici del dibattito istituzionale a livello europeo in tema di protezione dati, il diritto all’oblio riconosciuto in via giurisprudenziale deve trovare una puntuale disciplina normativa? Il testo della proposta del regolamento europeo sulla protezione dei dati personali (General Data Protection Regulation-GDPR), regolamento che dovrebbe essere approvato prevedibilmente entro gli inizi del 2016, sarà come tale direttamente efficace in tutti Stati Membri (c.d. diretta applicabilità dei regolamenti dell’UE), licenziato dal Consiglio dell’Unione Europea lo scorso 19 dicembre 2014, contiene anche una disposizione sul diritto all’oblio. Tuttavia, solo in apparenza sembra andare nella direzione della necessità di riconoscere un nuovo diritto oltre ai diritti dell’interessato già riconosciuti (art. 7 co. 3 e 4 Codice della Privacy; art. 12 co. 2 e 3 della Direttiva 95/46/Ce), per contro è da ritenersi che la volontà attuale del legislatore comunitario sia di individuare un’accezione del più ampio diritto alla cancellazione dei dati, all’integrazione e all’aggiornamento nonché all’opposizione del trattamento per motivi legittimi. Infatti, l’art. 17 è stato rubricato “Right to be forgotten and to erasure” (spesso nella letteratura in materia si riporta il semplice acronimo RTBF), invece, esaminando il testo attuale, il diritto all’oblio compare solo nella rubrica e non viene specificamente disciplinato, le disposizioni riconoscono al diritto di cancellazione un ambito di applicazione molto vasto, rimandando al diritto di opposizione al trattamento per motivi legittimi e al bilanciamento tra i diritto in gioco 82 La Comunicazione N.R.& N. Il diritto all’oblio: dalla nei confronti dell’editore alla deindicizzazione delle parole chiave nei risultato dei motori di ricerca. The right to be forgotten (RTBF): the legal protection towards to publishers of the original content and the delising in the results of the original content and the delisting in the results of search engines. (Art. 19), al principio di finalità e necessità del trattamento dati, alla revoca del consenso al trattamento dei dati (Articolo 9). Infine, analizzando i documenti del Dapix Working Group, Gruppo di Lavoro sullo scambio di informazioni e la protezione dei dati in seno al Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea, emergono diverse posizioni degli Stati Membri, in particolare, le delegazioni di Germania, Danimarca e Spagna ritengono che non sia necessario introdurre legislativamente un diritto ad hoc andando oltre il diritto di cancellazione dei dati, ma sia sufficiente disciplinare solo quest’ultimo. Le delegazioni spagnola e tedesca, insieme ad altre sostengono, inoltre, che il diritto all’oblio sia un’ accezione del diritto alla riservatezza e quindi espressione del più ampio diritto alla protezione dei dati personali che deve essere bilanciato contro diritto alla memoria storica dei fatti e all’accesso alle fonti di informazione, intesi questi ultimi come esplicazioni della libertà di espressione. Quando e come rivolgersi al motore di ricerca La sentenza sopra analizzata rappresenta come detto un landmark case per diversi aspetti, infatti, immediatamente dopo la pubblicazione della sentenza, 13 maggio 2014, il principale motore di ricerca a livello mondiale ha introdotto in tutta Europa una procedura di segnalazione per i richiedenti la deindicizzazione delle pagine web. Come sopra accennato fino ad allora le società come Google Italy e Google Spain, erano costantemente considerate, come società che svolgono una semplice attività di vendita di servizi pubblicitari per conto della Google Ireland Ltd. (Società del gruppo Google che gestisce la raccolta pubblicitaria sul sito web) e non compiendo pertanto operazione di trattamento strumentali alle attività di motore di ricerca non erano soggette alle giurisdizioni europee (Provv. Garante privacy del 18 gennaio 2006, doc. web n. 1242501) Successivamente a tale sentenza, Google Inc. ha deciso di pubblicare in diverse lingue la procedura in base alla quale i cittadini possono richiedere la deindicizzazione delle parole chiave dai risultanti dei motori di ricerca. Il richiedente dopo aver compilato la richiesta telematica deve attendere il riscontro di Google in merito. Le decisioni di Google in tema di deindicizzazione in Italia possono essere impugnate innanzi al Garante privacy ed innanzi al Tribunale, atteso che secondo i più recenti pronunciamenti in materia Google Italy deve ritenersi un rappresentante stabilito in Italia ai fini dell’art. 5, co. 2 del d.lgs. 196/2003. La statistiche ufficiali italiane mostrano che Google finora ha rigettato circa il 60% delle richieste pervenute secondo criteri e 83 F. Di Resta valutazioni condivise dal nostro Garante per la protezione dei dati personali (Audizione del Presidente Antonello Soro presso la Commissione dei Diritti e doveri relativi ad Internet – Camera dei Deputati, 12 gennaio 2015). Fino a tutto dicembre 2014, erano alcune decine le richieste di indicizzazione pervenute al Garante, di queste solo nove pervenute ad una conclusione del procedimento innanzi al Garante. Di queste nove pronunce, sette sono di conferma delle decisioni di Google e quindi di rigetto delle richieste di deindicizzazione (newsletter del Garante del 22 dicembre 2014), mentre le altre due pronunce hanno accolto il ricorso degli interessati, in un primo caso le informazioni pubblicate erano eccedenti e riferite a persone estranee alla vicenda giudiziaria, nell’altro caso la notizia pubblicata era inserita in un contesto idoneo a ledere la vita privata della persona (Cfr. doc. web nn. 3623877 e 3623978). Più nel merito, analizzando i succinti provvedimenti del garante relativi al respingimento delle richieste di indicizzazione, già rifiutate in sede stragiudiziale da parte di Google Inc., da una parte emerge che le vicende attinenti alla cronaca giudiziaria sono per lo più ancora considerate di pubblico interesse, dall’altra viene suggerito al ricorrente di esercitare i diritti di aggiornamento, rettifica e integrazione previsti dall’art. 7 C.d.P. qualora ritenga che le notizie pubblicate dagli editori non siano vere. Il quadro complessivo relativo alle richieste stragiudiziali rivolte a Google e a quelle in sede amministrativa innanzi al Garante privacy è piuttosto netto al momento. L’accoglimento di una richiesta di deindicizzazione deve essere ben motivato per superare il test del bilanciamento tra lo specifico contesto in cui si applica il diritto alla protezione dei dati personale (rectius diritto all’oblio) e i diritti con esso confliggenti (diritto di cronaca, diritto di essere informati e pubblico interesse all’accesso), indicando le URL per le quali si chiede al motore di ricerca di rimuovere i link. A tal riguardo corre l’obbligo di richiamare la recente pubblicazione delle Linee guida di Google del 6 febbraio 2015, su indicazione dell’Advisory Council nominato da Google (“The Advisory Council to Google on the Right To Be Forgotten”),nella quale si esplicitano i criteri in base al quali Google opererà suddetto bilanciamento di interessi. E’, infine, il caso di notare come le linee guida di Google non siano allineate per diversi aspetti con il Parere del Gruppo europeo dei Garanti (Article 29 Working Party) pubblicato il 26 novembre 2014 (Giudelines on the Implementation of the court of Justice on the European Union Judgement on “Google Spain And Inc V. Agencia 84 La Comunicazione N.R.& N. Il diritto all’oblio: dalla nei confronti dell’editore alla deindicizzazione delle parole chiave nei risultato dei motori di ricerca. The right to be forgotten (RTBF): the legal protection towards to publishers of the original content and the delising in the results of the original content and the delisting in the results of search engines. Espanola de Proteccion de Datos (AEDP) and Mario Costeja Gonzalez” C-131/12). L’accostamento tra i due documenti è invero improprio, le linee guida sono da intendersi come una procedura aziendale implementata da una multinazionale leader mondiale nel settore, mentre l’Opinion del Gruppo di lavoro art. 29 è invece un documento istituzionale europeo. La differenza tra i predetti documenti è di tutta evidenza, il documento del Gruppo europeo dei Garanti essendo un documento istituzionale da ritenersi un riferimento sia per il contenzioso amministrativo (ricorsi al Garante per la protezione dei dati personali) che per quello giudiziario e non ultimo anche per tutti i cittadini e le altre istituzioni. In ogni caso, è bene ribadire che le linee guida di Google saranno un documento utile per fornire indicazioni in ordine ai criteri di bilanciamenti degli interessi in gioco per chi vuole proporre una richiesta di indicizzazione, trattandosi allo stato attuale di una scelta obbligata, successivamente si sceglierà la sede - tra quelle consentite dell’ordinamento - più opportuna per tutelare il diritto fondamentale quale quello alla protezione dei dati personali. ________________________________________________________________________________ BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Bianchi, D. Difendersi da internet, Guida al Diritto, Il Sole 24 Ore, Milano, 2014. Di Resta, F. Il diritto all'oblio: un'evoluzione del diritto di aggiornamento e all'esattezza delle notizie sul proprio conto o un nuovo diritto? Pubblicato su Diritto 24 del Sole 24 ore (ultima visita 25 giugno 2015) http://www.diritto24.ilsole24ore.com/art/avvocatoAffari/mercatiImpresa/201502-26/il-diritto-oblio-evoluzione-diritto-aggiornamento-e-esattezza-notiziaproprio-conto-o-nuovo-diritto-110423.php Di Resta, F., Dal Rfid all’IoT: le criticità del quadro normativo, pubblicato sul sito web (ultima visita 25 giugno 2015): http://channels.theinnovationgroup.it/iot/tag/fabio-di-resta/ Di Resta, F., Protezione dei dati personali - Privacy e Sicurezza (Prefazione a cura di Giuseppe Chiaravalloti), Giapplichelli editore, Torino, 2008, pagg. da 51 a 61. Paissan, M., Privacy e Giornalismo, Garante per la Protezione dei dati personali, ed. febbraio 2008. Warren, S.D. e Brandais, L.D., The Right to Privacy, pubblicato il 15 dicembre 1890, Harvard Law Review. DOCUMENTI DI RIFERIMENTO 85 F. Di Resta − Lettera inviata dal Presidente del Garante privacy a Google Inc., 22 marzo 2006, doc. web. 13339146. − Parere del Gruppo europeo dei Garanti (Article 29 Working Party – WP 225) pubblicato il 26 novembre 2014 (Giudelines on the Implementation of the Court of Justice on the European Union Judgement on “Google Spain And Inc V. Agencia Espanola de Proteccion de Datos (AEDP) and Mario Costeja Gonzalez” C-131/12) − Bozza del Regolamento generale sulla protezione dei dati personali, versione testo del Consiglio dell’Unione Europea, 19 dicembre 2014 − Newsletter del Garante per la protezione dei dati personali, 22 dicembre 2014. − Audizione del Presidente Antonello Soro presso la Commissione dei Diritti e doveri relativi ad Internet – Camera dei Deputati, 12 gennaio 2015 − Linee guida, The Advisory Council to Google on the Right to be Forgotten, pubblicate il 6 febbraio 2015 − Relazione annuale del Garante per la protezione dei dati personali, 2014 (pubblicata a giugno 2015), pagg. 142 e ss. GIURISPRUDENZA DI RIFERIMENTO − Provvedimento del Garante privacy del 10 novembre 2004, doc. web. 1116068 − Provvedimento del Garante privacy del 7 luglio 2005, doc. web. 1148642 − Provvedimento del Garante privacy del 18 gennaio 2006, doc. web. 1242501 − Tribunale di Luca, 20 agosto 2007 − Tribunale di Milano, sez. penale, n. 1972/2010 (Sentenza di condanna, successivamente riformata con assoluzione degli imputati in appello e in cassazione) − Tribunale di Milano, 25 ottobre 2010 − Tribunale di Roma, 11 luglio 2011 − Tribunale di Milano, Ordinanza del 24 marzo 2011 – 1 aprile 2011 − Cassazione, 5 aprile 2012, n. 5225 − Tribunale di Pinarolo, Ordinanza 2 maggio 2012 − Tribunale di Firenze, Ordinanza 25 maggio 2012 − Tribunale di Firenze, 13 febbraio 2013 − Tribunale di Milano, Ordinanza 26 aprile 2013 − Tribunale di Firenze, 29 marzo 2014 − Corte di Giustizia, 13 maggio 2014, Causa C- 131/12 − Provvedimento Garante privacy del 6 novembre 2014, doc. web. 3623877 − Provvedimento Garante privacy del 11 dicembre 2014, doc. web 3623978 − Provvedimento Garante privacy del 18 dicembre 2014, doc. web. 3736353 86 La Comunicazione N.R.& N.