Documento allegato - Turin D@ms Review
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www.turindamsreview.unito.it ___________________________________________________________________________________________________________ La febbre di Bollywood contagia le edicole Aelfric Bianchi Ignorato per decenni in Occidente, se non nelle sue manifestazioni più nobili e impegnate (dai capolavori di Satyajit Ray, Ritwik Ghatak e Mrinal Sen alle pellicole dirette dai registi indipendenti contemporanei), il cinema popolare indiano gode oggi di un’improvvisa e inattesa popolarità. Nel volgere di pochi anni, prodotti catalogati per decadi con la sprezzante etichetta di trash e di “oppio delle masse”, espressione di un cinema commerciale che «punta spudoratamente agli incassi»1 e, «nel suo disperato e programmatico sforzo di piacere a tutti, [risulta] così piatto e superficiale»2, soprattutto a causa delle «zuccherose e roboanti» canzoni che «spezzano l’azione nei momenti culminanti», come del resto si addice al gusto di un pubblico che «in un paese sottosviluppato […] va al cinema in massa per divertirsi»3; si sono resi protagonisti di una radicale rivalutazione da parte della critica, che tende ora a definirli «un mix irresistibile», un «musical che non scimmiotta lo stile americano, ma ne impone uno diverso e originale, sospeso tra fiaba, tradizione, commedia, fotoromanzo»4. Ancora pochi anni or sono chiosava per esempio sulle pagine di The Village Voice il critico Michael Atkinson: With its lunatic genre freak-outs and intimidating quantity, Indian cinema is as difficult to nail down as a blob of mercury, but you'd never know it from the rare imported samples. What we see are Westernized half-breeds, divested of poverty and safety-padded for weekends at the middle-class art house. […] Mira Nair’s new Monsoon Wedding is the prototype: Delhi-set, yet sourced out of Hollywood chestnuts (Father of the Bride, for starters) and fastidiously divested of exotic Bollywood high jinks. The pervasive reach of American Everything is part of the fabric. Nair has, in fact, globalized her own movie, a loose and swoony wedding comedy that has less to say about its society than Nancy Savoca’s True Love or even Robert Altman’s A Wedding said about theirs. The director – whose “international productions” following her debut, Salaam Bombay!, include Mississippi Masala, The Perez Family, and Kama Sutra – is no stranger to blithe assimilation. Occupying a well-manicured landscape festooned with orange marigolds and peopled by hip-hop-accented teens and Cosmo girls, Monsoon Wedding is an air-conditioned bus tour of Punjabi ritual. Nair stuffs the film with dancing, henna, ornamentation, and group song, but her narrative clichés and telegraphed 5 episodes smell of old soap opera. Nel 2001, tuttavia, accade un evento inatteso e imprevisto, che segna una svolta epocale e sancisce l’inizio di un’inarrestabile e radicale rivoluzione: Monsoon Wedding (“Monsoon Wedding – Matrimonio indiano”) di Mira Nair vince al Festival di Venezia un pur contestato Leone d’oro, http://www.turindamsreview.unito.it 1 www.turindamsreview.unito.it ___________________________________________________________________________________________________________ guadagnandosi ampia risonanza in tutto l’Occidente. Una risonanza ulteriormente intensificata e consolidata l’anno successivo dal successo internazionale di Lagaan (“Lagaan – C’era una volta in India”) di Ashutosh Gowariker (a sua volta insignito della nomination all’Oscar come miglior film in lingua straniera), la cui consacrazione definitiva e “ufficiale” viene ratificata dall’apoteosi planetaria di Slumdog Millionaire (“The Millionaire”), diretto nel 2008 da Danny Boyle in collaborazione con la regista indiana Loveleen Tandan (già assistente di Mira Nair proprio nella realizzazione di Monsoon Wedding), trasformandosi in autentica moda. Lo dimostrano con incontrovertibile evidenza i sempre più numerosi omaggi che le principali rassegne internazionali dedicano al fenomeno: emblematici in tale prospettiva, l’accoglienza trionfale riservata a Roma (non soltanto dalla folla adorante dei connazionali) al superdivo Shah Rukh Khan, ormai da tempo sottoposto in patria a un glorioso catasterismo, e l’ampio risalto concesso al recente My Name is Khan (“Il mio nome è Khan”) di Karan Johar, evento speciale al Festival 2010, prodotto e distribuito dalla Fox anche nelle sale italiane; ma soprattutto la proiezione, in occasione dell’ultimo Festival di Cannes (11-22 maggio 2011), del film The Greatest Love Story Ever Told, una sorta di florilegio dei momenti più significativi della storia di Bollywood, ideato e diretto da Shekhar Kapur (poliedrico autore del cult-movie Bandit Queen, 1994, e dei pluripremiati Elizabeth, 1998, e Elizabeth: The Golden Age, 2007) con la collaborazione del regista indiano Rakeysh Omprakash Mehra e del documentarista statunitense Jeff Zimbalist. Senza dimenticare eventi di minore impatto mediatico ma altrettanto indicativi, a cominciare dalla rassegna dedicata dalla Cineteca di Bologna nel marzo 2011 al regista indiano Mani Ratnam, premiato l’anno precedente alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia con il prestigioso riconoscimento “JaegerLeCoultre Glory to the Filmmaker” per aver saputo segnare con originalità il cinema contemporaneo. A illustrare più compiutamente la portata del fenomeno Bollywood, tuttavia, è forse il proliferare, talora caotico e disordinato, di siti Internet – perlopiù di carattere amatoriale – dedicati a questo mondo dorato e favoloso, specchio nel contempo fedele e deformante di un Paese cromatico e contraddittorio. Ormai entrato a pieno titolo nell’immaginario degli spettatori occidentali, esso può vantare anche in Italia nutrite schiere di devotissimi fan, che celebrano nei loro appassionati blog attori e attrici di una produzione soggetta per decenni a un ostracismo aprioristico e spesso non suffragato dalla necessaria esperienza autoptica. Una vera e propria “febbre”, insomma, capace di attirare l’attenzione dei media e del mondo del business; e così, nello scorso mese di aprile, mentre http://www.turindamsreview.unito.it 2 www.turindamsreview.unito.it ___________________________________________________________________________________________________________ uno spot interpretato da Shah Rukh Khan veniva trasmesso sugli schermi della metropolitana milanese e degli aeroporti di Malpensa, Linate e Brescia per pubblicizzare la tratta Malpensa-New Delhi offerta da Jet Airways e un tradizionale taxi indiano giallo e nero (il famoso Indian Ambassador) faceva mostra di sé a Malpensa trasmettendo le più celebri colonne sonore di Bollywood, per promuovere le dieci destinazioni dell’India raggiunte da Emirates, usciva nelle edicole il primo numero di “Bollywood Magazine”, il primo mensile italiano dedicato alla rutilante galassia del cinema popolare hindi. Un’iniziativa editoriale coraggiosa (e per certi versi modaiola) che, collocandosi a metà strada tra la fanzine e la rivista di alta divulgazione, intende offrire a un pubblico di cultori sempre più vasto interviste, recensioni, anteprime e notizie sulle uscite cinematografiche e le novità dell'home-video made in Bollywood; il cui auspicio è, nelle parole del direttore Claudio Pofi, quello di «offrire ai propri lettori un caleidoscopio di emozioni e sensazioni che muovano allo stesso ritmo di un Paese così incredibilmente eterogeneo come l’India, in costante crescita in ogni settore, dove cinema, televisione e i media più evoluti segnano il tempo del cambiamento di una realtà di entertainment con incremento di investitori esteri, stimata per l’anno in corso in 10,7 miliardi di dollari per il cinema e 260 milioni di dollari per la musica». Presentato senza mezzi termini quale «portavoce del Consolato indiano», il periodico (che, a partire dal prossimo numero, previsto per settembre, sarà in doppia lingua: italiano e inglese) si avvale di una struttura grafica policroma e variopinta, che sembra riprodurre i colori e i sapori di quel magico «mondo dorato che fa sognare». 1 DAVIDE FERRARIO, Il caleidoscopio e la carestia. Il cinema di Mrinal Sen, in Mrinal Sen, Bergamo, Bergamo Film Meeting 1983, p. 10. 2 Ivi, p. 11. 3 Ivi, p. 10. 4 FULVIA CAPRARA, Bollywood-Cannes una storia d’amore, in “La Stampa”, 26 aprile 2011. 5 MICHAEL ATKINSON, Prosaic Nations, in “The Village Voice”, 19 febbraio 2002 (http://www.villagevoice.com/2002-02-19/film/prosaic-nations). http://www.turindamsreview.unito.it 3
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