Nota su proposta di direttiva 20120518
Transcript
Nota su proposta di direttiva 20120518
SEGRETARIATO PER L’EUROPA UFFICIO GIURIDICO E VERTENZE LEGALI Roma, 18 maggio 2012 Note sulla proposta di direttiva concernente l’applicazione della direttiva 96/71 Il 21 marzo 2012 è stata approvata dalla Commissione europea la proposta di direttiva concernente l’applicazione della direttiva n. 96/71/CE relativa al distacco dei lavoratori (COM(2012)131 def.). La proposta – adottata sulla base degli artt. 53, par. 1 e 62 del Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE), gli stessi su cui si basa la direttiva n. 96/71 – non apporta modifiche a quest’ultima, ma intende colmare le lacune regolative della direttiva 96/71, superando le incertezze interpretative che hanno accompagnato la sua attuazione negli Stati membri. In particolare la proposta contiene un pacchetto di misure di carattere sostanziale (ad es. volte a contrastare l’abuso dello status dei lavoratori distaccati per eludere i vincoli normativi ed il ricorso a società fittizie, c.d. “letter box companies”), combinate con misure meramente procedurali, che dovrebbero permettere un più efficace contrasto a comportamenti elusivi da parte delle imprese delle regole dettate dalla dir. 96/71 sulle condizioni di lavoro da applicare ai lavoratori distaccati nello Stato ospitante. La proposta di direttiva è il frutto del dibattito sviluppatosi all’indomani delle discutibili sentenze rese dalla Corte di Giustizia UE nei casi Laval e Viking. Come evidenziato nella Relazione di accompagnamento, il documento UE intende in particolare risolvere i problemi di impatto della suddetta giurisprudenza Laval sui sistemi di diritto del lavoro e sindacale degli Stati membri. 1 La proposta di direttiva è stata preceduta dall’adozione: - del rapporto dell’ex Commissario Monti del maggio 2010 (Una nuova strategia per il mercato unico. Al servizio dell’economia e della società europea), ove si raccomanda un intervento finalizzato a garantire la piena e corretta attuazione della dir. 96/71 ed a contrastare il ricorso abusivo al distacco, nonché l’introduzione di una norma che garantisca il diritto di sciopero ed un meccanismo di risoluzione delle vertenze “transnazionali” sul modello del regolamento n. 2679/98 in materia di libera circolazione delle merci (cd. regolamento Monti I); - dell’Atto per il mercato unico - Dodici leve per stimolare la crescita e rafforzare la fiducia, espressione di un’ottimistica visione della Commissione europea sul tema della crescita, da perseguire con la piena integrazione del mercato unico. Tra le dodici “leve” figurano: una nuova direttiva sul distacco dei lavoratori volta a completare quella del 1996 ed un regolamento (c.d. Monti II) volto a chiarire la relazione tra azione sindacale e libertà economiche. La proposta di regolamento Monti II è stata approvata dalla Commissione europea il 21 marzo u.s. (Proposal for a Council Regulation on the exercise of the right to take collective action within the context of the freedom of establishment and the freedom to provide services, COM(2012) 130 final) (su quest’ultimo documento v. le note degli scriventi del 5 febbraio e 23 marzo 2012). Il miglioramento dell’applicazione della dir. 96/71 negli Stati membri dovrebbe essere garantito: - chiarendo la nozione di distacco per contrastare comportamenti fraudolenti; - prescrivendo l’adozione di misure preventive di controllo e relative efficaci sanzioni; - rafforzando la cooperazione reciproca fra le amministrazioni degli Stati (scambio di informazioni e collaborazione nel settore ispettivo). * * * L’art. 1 della proposta di direttiva (che apre il Capo I - Disposizioni generali) contiene, al terzo comma, la cd. “clausola Monti” secondo cui: “La presente direttiva non pregiudica in alcun modo l'esercizio dei diritti fondamentali riconosciuti dagli Stati membri e dal diritto dell'Unione, ivi compresi il diritto o la libertà di sciopero e il diritto o la libertà di intraprendere altre azioni contemplate dalla disciplina delle 2 relazioni industriali negli Stati membri, secondo le leggi e le prassi nazionali, né il diritto di negoziare, concludere ed applicare accordi collettivi e promuovere azioni collettive secondo le leggi e le prassi nazionali”. La norma ricalca il testo dell’art. 2 del reg. 2679/98 e dell’art. 1, par. 7, della direttiva servizi 2006/123. La portata della clausola è tuttavia alquanto limitata giacché riguarda solo la “nuova” direttiva e non rileva per la dir. 96/71; per quest’ultima resta il solo 22° considerando che, pur prevedendo che la direttiva medesima non dovrebbe incidere sul “diritto vigente degli Stati membri in materia di azioni collettive”, non ha impedito l’esito negativo della sentenza Laval. * * * La parte più interessante della proposta di direttiva in esame è contenuta nell'art. 3, che individua una serie criteri di carattere sostanziale finalizzati a definire la nozione di distacco ed a contrastare il ricorso a società fittizie create in altri Stati membri per praticare il dumping sociale; criteri che in buona parte riprendono quanto già previsto per il regime previdenziale dei lavoratori distaccati dai regolamenti n. 883/04 (art. 12) e n. 987/09 (art. 14). “Lavoratore distaccato” è definito dall’art. 2, par. 1, dir. 96/71, come colui che per un “periodo limitato” svolge il proprio lavoro nel territorio di uno Stato membro diverso da quello nel cui territorio “lavora abitualmente”, purché permanga durante il periodo di distacco un rapporto di lavoro fra distaccato e datore di lavoro distaccante (art. 1.3, dir. 96/71) La dir. 96/71 non contiene altre indicazioni circa il modo di determinare se l’impresa distaccante è effettivamente stabilita in uno Stato membro, né enuncia criteri specifici per determinare il carattere temporaneo del lavoro che deve essere svolto dai lavoratori distaccati. Questo ha dato origine a vari problemi nell'applicazione pratica della suddetta direttiva. Ebbene la proposta di direttiva in esame contiene, all’art. 3, parr. 1 e 2, un elenco indicativo non esaustivo di “indici” che caratterizzano: - la natura temporanea inerente alla nozione di distacco; - l'esistenza di un legame effettivo tra l’impresa distaccante e lo Stato membro a partire dal quale avviene il distacco. 3 Le situazioni di fatto e le circostanze da considerare, in base ad una valutazione complessiva, come “indici” di distacco sono le seguenti: - l’attività lavorativa è svolta per un periodo di tempo limitato nello Stato ospitante; - il distacco avviene in uno Stato diverso dal luogo “abituale” di lavoro secondo il reg. n. 593/08 (cd. Roma I); - il lavoratore distaccato ritorna nel suo Stato d’origine o si prevede che lo faccia; - il datore distaccante provvede alle spese di viaggio, di vitto e alloggio; - il posto di lavoro era già occupato dallo stesso lavoratore (non si tratta, quindi, di un’assunzione ad hoc). Si omette però di dire quali siano le conseguenze dell’assenza degli indici che identificano il distacco transazionale. Dal momento che la nozione di distacco serve a definire l’ambito di applicazione della direttiva, se ne dovrebbe dedurre che - in assenza degli indici - la direttiva non trovi applicazione, con la conseguenza che il rapporto di lavoro debba essere regolato in base alla disposizioni di carattere generale relative alla legge applicabile ai rapporti di lavoro “transazionali” dettate dal reg. n. 593/08 (c.d. Roma I), che per altro la stessa proposta di direttiva richiama espressamente. Di norma dovrebbe quindi applicarsi la legge del paese dove il (finto) distacco trova esecuzione, in quanto luogo “abituale” di lavoro ex art. 8.1 del regolamento cit. Tuttavia questa non è l’unica soluzione prospettabile, visto che le norme di conflitto internazional-privatistiche potrebbero portare ad identificare anche la legge di un paese diverso, con il quale il contratto di lavoro presenta un “collegamento più stretto”, ai sensi del paragrafo 4 del citato art. 8. Si tratta di un profilo della disciplina che andrebbe assolutamente chiarito - come richiesto dalla CES (Note for discussion. Changes to Article 3 of the enforcement Directive in order to reduce the use of letterbox companies, 2012, dattiloscritto) - anche perché sulla questione incidono pure gli “indici” volti ad accertare se il datore di lavoro distaccante è “effettivamente” stabilito in uno Stato membro. Al riguardo il par. 1 dell’art. 3 della proposta di direttiva affida all’autorità competente (di entrambi gli Stati, secondo quanto prevede il successivo Capo III) la verifica circa l’effettivo legame del datore di lavoro con lo Stato membro a partire dal 4 quale avviene il distacco (legame evidenziato dallo svolgimento nel territorio di quest’ultimo di “attività sostanziali”). L’obiettivo del disposto dell’art. 3, par. 1, è quello di combattere il ricorso “abusivo” al distacco fittizio per eludere i vincoli normativi dello Stato ospitante. Il riferimento è in particolare alle cd. “letter box company” (società “cassetta delle lettere”) create ad hoc in altri Stati membri: l’imprenditore di uno Stato membro sposta la propria sede in altro Stato (od ivi impianta un’impresa controllata subfornitrice); applica ai dipendenti assunti in loco il relativo trattamento, salvo poi utilizzare il medesimo personale in regime di distacco nello Stato di originaria sede, senza dover estendere al medesimo il relativo maggior trattamento normativo ed economico. Gli obblighi previsti dalla dir. 96/71, come interpretata dalla Corte di Giustizia, attengono infatti solo a standard minimi di tutela (art. 3, par. 1) e non all’integrale rispetto delle condizioni di lavoro fissate dalla legge e dai contratti collettivi. La verifica in merito all’effettiva presenza dell’impresa distaccante nel territorio di stabilimento deve avvenire sulla base di una serie di “elementi di fatto”. Tali elementi sono “in particolare: a) il luogo in cui l'impresa ha la propria sede legale e amministrativa, utilizza uffici, paga imposte, è iscritta in un albo professionale o è registrata presso la camera di commercio; b) il luogo in cui i lavoratori distaccati sono assunti; c) la legge applicabile ai contratti stipulati dall'impresa con i suoi lavoratori e con i suoi clienti; d) il luogo in cui l'impresa esercita la propria attività economica principale e in cui è occupato il suo personale amministrativo; e) il numero anormalmente basso di contratti eseguiti e/o l'ammontare del fatturato realizzato nello Stato membro di stabilimento”. Fra gli indici individuati dal testé citato par. 1 particolare rilievo assumono quelli della “attività economica principale” e del “numero anormalmente basso di contratti” stipulati nello Stato di stabilimento, utilizzati anche per valutare l'esercizio abituale dell'attività del datore ai fini dell'inquadramento previdenziale del lavoratore ai sensi del reg. n. 883/04. Proprio per rendere pienamente omogenei i criteri utilizzati ai fini lavoristici e previdenziali, la CES propone di integrare l'elenco della proposta di direttiva con 5 ulteriori indici, ricavabili dalla giurisprudenza della Commissione amministrativa sulla sicurezza sociale dei lavoratori migranti (e recepiti nell'art. 5 del reg. 1071/09 sul trasporto su strada), quali: - la quantità di personale amministrativo dell'impresa di invio che lavora nei diversi Stati; - il luogo di conservazione dei documenti contabili e relativi al personale dirigenziale; - il tempo trascorso dalla costituzione di un'impresa nello Stato d'invio. Questi indici dovrebbero essere resi vincolanti, ma non necessariamente esaustivi (CES, Note for discussion. Changes to Article 3 of the enforcement Directive, cit.). Anche in questo caso, però, la proposta nulla dice sulle conseguenze dell’accertamento del fatto che l’impresa non esercita “ attività sostanziali” o la “propria attività economica principale” nello Stato di stabilimento. La non applicazione della dir. 96/71 dovrebbe in linea di principio far riemergere le regole generali del diritto dell’Unione, in primo luogo quelle relative all’esercizio delle libertà economiche nel mercato interno. Invero la questione degli “indici” relativi all’impresa distaccante tocca direttamente la nozione di stabilimento ex art. 49 TFUE. La proposta di direttiva introduce elementi di valutazione più rigorosi di quelli che emergono dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia di diritto di stabilimento (per la quale - come affermato nella sentenza Centros del 9.3.1999, C212/97 - la sede di stabilimento dell’impresa può essere determinata anche in un paese ove questa non svolge effettivamente la parte principale dell’attività). Ove si dovesse tener conto delle norme di diritto primario del TFUE (come interpretate dalla Corte di Lussemburgo) in tema di diritto di stabilimento, libertà di circolazione e prestazione di servizi, si porrebbe allora il problema di capire cosa possono fare gli Stati membri per difendersi dal dumping. In presenza di una prestazione di servizi legittima ex TFUE come interpretato dalla Corte di Giustizia (cioè pur in assenza di “attività sostanziale” del prestatore di servizi nello Stato di stabilimento), c’è il rischio che il problema dei limiti alle restrizioni della libertà (appunto) di prestare servizi si riproponga negli stessi termini in cui si è posto fino ad oggi e quindi l’eventuale applicazione delle condizioni di lavoro previste nel paese di esecuzione del distacco andrebbe valutata alla luce del principio di 6 proporzionalità, e resterebbe verosimilmente esclusa la possibilità di applicare integralmente la normativa del paese ospitante. Sembra comunque che si aprano degli spazi per una maggior discrezionalità degli Stati membri con relativo aumento dell’incertezza. Certo, ove si dovesse ritenere che, in assenza di indici rivelatori dell’esistenza di un legame effettivo tra l’impresa distaccante e lo Stato membro a partire dal quale avviene il distacco, la “nuova” direttiva legittimi la piena parità trattamento con i lavoratori dello Stato ospitante, saremmo di fronte ad un’innovazione importante introdotta dalla proposta di direttiva in esame, perché se ne dovrebbe dedurre che è possibile contestare la legittimità di un distacco anche in presenza di una prestazione di servizi “legittima” ex TFUE (quale va qualificata, appunto, quella erogata da un’impresa stabilita in uno Stato membro, ove tuttavia non svolge la sua attività principale). Si tratta però di un’opzione interpretativa tutt’altro che scontata, proprio perché una simile deroga ai principi del diritto del mercato unico dovrebbe essere espressamente prevista. Anche sotto questo profilo l’assenza di chiarezza della proposta di direttiva non troverebbe rimedio nelle norme di conflitto previste dal reg. Roma I. Problemi particolari sorgono soprattutto per i lavoratori dei trasporti, per i quali, qualora non sia possibile identificare un luogo di svolgimento abituale del rapporto, potrebbe acquistare rilievo il criterio (di selezione della legge applicabile) della “sede” che ha assunto il lavoratore (ex art. 8, par. 3, del regolamento); con il paradossale risultato di rendere possibile l’applicazione integrale della normativa del paese di stabilimento del datore “formale” proprio grazie alla mancata applicazione della dir. 96/71. * * * La parte centrale della proposta di direttiva (Capi II, III e IV), da un lato, recepisce nella sostanza gli orientamenti della Corte di Giustizia UE in materia di poteri di controllo ed obblighi amministrativi in capo ai prestatori di servizi; dall’altro, introduce obblighi di cooperazione tra amministrazioni ed organismi ispettivi. L’art. 5 della proposta introduce alcune norme (più dettagliate di quelle contenute nell’art. 4 della dir. 96/71) volte a facilitare l'accesso alle informazioni da parte dei lavoratori stranieri e delle imprese (soprattutto PMI e microimprese) sulle condizioni di lavoro da rispettare nello Stato ospitante, comprese quelle previste dai contratti collettivi 7 (par. 4). Gli Stati, ad es., rendono pubbliche tramite internet informazioni (in più lingue) sulle condizioni di lavoro della rispettiva legislazione (nazionale e/o regionale) che devono essere applicate ai lavoratori distaccati nel loro territorio, sui contratti collettivi applicabili e loro ambito di efficacia, sulle autorità campetenti di cui all’art. 4 della proposta (come gli uffici di collegamento ex art. 4 della dir. 96/71); gli Stati si accertano che i sindacati mettano a disposizione dei prestatori di servizi e dei lavoratori distaccati le informazioni attinenti alle tabelle salariali dei CCNL. L’art. 6 enuncia i principi generali, le regole e le procedure per una cooperazione amministrativa e un'assistenza reciproca a titolo gratuito e per via elettronica fra gli Stati (ad es., accesso in condizioni di reciprocità ai registri dei prestatori di servizi). Il controllo sulle condizioni di lavoro e sulla regolarità del distacco viene effettuato dalle autorità del paese dove questo è eseguito (con i poteri definiti nel successivo Capo IV), in collaborazione con le autorità del paese di stabilimento del datore, che sono tenute a fornire le informazioni in loro possesso per via elettronica entro due settimane dalla richiesta (nei casi d’urgenza entro 24 ore). Per adempiere a tali obblighi le autorità dello Stato d’origine continuano ad esercitare un'azione di controllo e di monitoraggio nei riguardi dei lavoratori distaccati in un altro Stato membro (art.7), ma non effettuano controlli fattuali nel territorio dello Stato di distacco per la prestazione del servizio (rientrando questi ultimi nell’esclusiva competenza dello Stato ospitante). L’art. 8 detta misure di accompagnamento per favorire e promuovere la cooperazione. In stretta connessione con le disposizioni del Capo III e con i sopra citati paragrafi 1 e 3 dell’art. 3, vanno lette le norme del Capo IV della proposta in esame (artt. 9 e 10) sul controllo di conformità da parte dello Stato di distacco. In particolare l’art. 9 definisce tassativamente gli obblighi amministrativi e le misure di controllo che possono essere imposte dallo Stato ospitante ai prestatori di servizi che distaccano lavoratori sul suo territorio. Dette misure sono ammesse sub principio di proporzionalità, cioè se giustificate da esigenze di interesse generale (tutela dei diritti dei lavoratori, nei limiti ammessi dalla dir. 96/71) e se non vanno oltre quanto necessario a perseguire questo fine. Gli obblighi imponibili alle imprese consistono in: a) una previa dichiarazione (identità del prestatore di servizi, presenza e numero dei lavoratori distaccati, durata del distacco, ecc.); b) messa a disposizione e conservazione di copia dei contratti del lavoro e dei documenti sociali (fogli paga, cartellini orari e 8 prove del pagamento delle retribuzioni) durante il periodo del distacco; c) predisposizione della traduzione dei documenti se di lunghezza non eccessiva; d) designazione di un responsabile (persona di contatto). La Commissione in questo modo recepisce in una direttiva quanto essa stessa aveva previsto nelle proprie Comunicazioni in materia (del 4 aprile 2006 e del 13 giugno 2007), a loro volta adottate sulla scia dei principi emersi dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia. I limiti ai poteri ispettivi ricavabili per via interpretativa da tale giurisprudenza vengono così cristallizzati in fonti vincolanti e ineludibili per gli Stati, che - come si legge appunto nel par.1 dell’art. 9 - “possono imporre solo gli obblighi amministrativi e le misure di controllo” ivi previsti. Peraltro la direttiva precluderebbe la possibilità di sfruttare gli spazi di maggior apertura nei confronti della discrezionalità statale emersi nella più recente giurisprudenza della Corte di Lussemburgo: nella sentenza 7.10.2011, C-515/08, dos Santos Palhota, è stato ad esempio giudicato compatibile con le regole del mercato unico l’obbligo (previsto dalla legge del Belgio) di trasmettere copia dei documenti sociali agli ispettorati del lavoro al termine del distacco: un obbligo che diventerebbe inesigibile in base alla “nuova” direttiva. Come inesigibile potrebbe diventare in Italia l’obbligo di produrre il DURC negli appalti edili, per altro già di dubbia ammissibilità alla luce della dir. 96/71. L’unico passo in avanti rispetto alla giurisprudenza della Corte è rappresentato dalla previsione che la persona di contatto designata (art. 9.1, lett. d) sia abilitata a negoziare per conto del datore con le parti sociali durante il periodo di distacco. A parte l’ambiguo riferimento alle parti sociali (e non al solo sindacato), si tratta di un’apertura di non poco conto al potere negoziale del sindacato dello Stato di distacco nei confronti dell’impresa straniera distaccante, specie considerando che proprio la legittimità dell’azione sindacale (che di tale potere è necessario corollario) è stata messa in discussione dalla giurisprudenza della Corte nella sentenza Laval. Entro 5 anni dall’entrata in vigore della direttiva si prevede un'ulteriore valutazione della situazione, in particolare per esaminare la necessità e l'opportunità dell'applicazione di misure di controllo nazionali alla luce delle esperienze realizzate (art. 9, par. 3). 9 L’art. 10 dispone infine che le ispezioni non siano discriminatorie né sproporzionate; queste ultime si dovrebbero basare principalmente su una “valutazione dei rischi” effettuata dalle autorità competenti dello Stato di distacco (in linea con la Convenzione Oil n. 81/47), volto a identificare i settori in cui nel territorio nazionale si concentra la presenza di lavoratori distaccati (ad es., edilizia, trasporti). Per attuare la cooperazione amministrativa è previsto che gli Stati si avvalgano del sistema di informazione del mercato interno (IMI), applicazione online già operante nel mercato dei servizi (art.18). * * * Il Capo V della proposta di direttiva (Esecuzione degli obblighi) si apre con l’art. 11, ai sensi del quale gli Stati membri devono istituire: - efficaci meccanismi che consentano ai lavoratori distaccati di sporgere denuncia, direttamente o tramite terzi (ad es. i sindacati), contro i datori di lavoro che abbiano violato le norme vigenti nello Stato di distacco; - meccanismi che consentono ai lavoratori distaccati - anche ove abbiano fatto ritorno dallo Stato membro di distacco - di riscuotere: a) le remunerazioni arretrate loro spettanti in base all’art. 3 della dir. 96/71 (cioè le tariffe minime salariali, comprensive dello straordinario); b) il rimborso degli importi eccessivi, in relazione alla retribuzione netta o alla qualità dell'alloggio, trattenuti dal salario in contropartita dell'alloggio fornito dal datore. In base alla dir. 96/71 i lavoratori distaccati possono già ricorrere davanti all’autorità giudiziaria dello Stato ospitante nei confronti del datore stabilito in un altro Stato membro (art. 6). Le nuove disposizioni dovrebbero garantire l’effettività di tale tutela giurisdizionale, ad oggi minima (come nel nostro Paese dimostra l’assenza di giurisprudenza in materia). Gli obblighi sono comunque dettati in termini molto generici e vaghi, il che lascia ampia discrezionalità agli Stati nell’adempiervi. Il successivo art. 12 contiene la parte più insidiosa della proposta di direttiva, relativa alla responsabilità solidale negli appalti del settore edile. In varie occasioni il Parlamento europeo ha invitato la Commissione a predisporre uno strumento legislativo in materia di responsabilità solidale a livello dell’Unione. Trattasi di un tema delicato su cui esistono posizioni diverse tra le parti interessate 10 (come evidenziato dalla Comunicazione della Commissione sui risultati della consultazione pubblica sul Libro verde "Modernizzare il diritto del lavoro per rispondere alle sfide del XXI secolo" del 2007). Esistono inoltre differenze sostanziali tra le discipline nazionali della responsabilità solidale (anche in situazioni transfrontaliere) e sono pochi gli elementi che si prestano ad essere trasferiti ad una soluzione europea (cfr. Study on the protection of workers'rights in subcontracting processes in the European Union, Gent University, 2012). In risposta alle suddette sollecitazioni, l’art. 12 contiene ora disposizioni specifiche in materia, limitate al settore dell'edilizia (come definito dall'elenco di attività figurante nell'allegato alla dir. 96/71) che è quello nel quale si verificano il maggior numero di situazioni di sfruttamento e di mancato pagamento delle retribuzioni spettanti ai lavoratori distaccati ai sensi della dir. 96/71 (il regime dell’art. 12 si estende al distacco da parte di agenzie di lavoro temporaneo, se riguardante attività del settore edile). Il principio di solidarietà tra appaltante e appaltatore per i crediti di lavoro in linea di principio è stato ritenuto conforme al diritto dell’UE dalla Corte di Giustizia (sentenza del 12.10.2004, causa C-60/03, Wolff-Müller), a condizione però che esso non sia disciplinato in maniera tale da configurare una compressione sproporzionata della libertà di prestazione dei servizi. E’ per recepire simili principi che la Commissione prevede quindi dei precisi limiti al potere degli Stati di regolare il vincolo solidale nell’ambito degli appalti transnazionali. Le norme hanno un ambito di applicazione limitato al solo rapporto tra committente e datore di lavoro appaltatore (la solidarietà non si estende alla catena di sub-appalto). Inoltre il committente è chiamato a rispondere in solido con l’appaltatore transnazionale solo nei casi di mancato pagamento: - delle retribuzioni arretrate corrispondenti alle tariffe salariali minime e/o dei contributi dovuti a fondi comuni (bilaterali/convenzionali: ad es. le Casse edili), purché in questo secondo caso l’obbligo si giustifichi alla luce dell’art, 3, par. 1, dir. 96/71 (il che, anche rispetto alle Casse edili, non avviene sempre); - dei rimborsi di contributi sociali indebitamente trattenuti dal salario. Soprattutto si introduce, al par. 2 dell’art. 12, il principio (obbligatorio per gli Stati) per cui l'adempimento degli obblighi di diligenza da parte dell'appaltante ne esclude la responsabilità. L’esonero può derivare dall’adozione da parte del committente di misure 11 preventive concernenti la prova fornita dall’appaltatore transnazionale delle principali condizioni di lavoro applicate ai lavoratori distaccati ex art. 3, par. 1, dir. 96/71, del pagamento dei salari, del rispetto degli obblighi contributivi e/o fiscali nello Stato membro di stabilimento e del rispetto delle norme vigenti in materia di distacco dei lavoratori. Agli Stati è permesso adottare norme più rigorose in materia di responsabilità solidale del (solo) committente, ed estenderle anche ad altri settori, in modo non discriminatorio e nel rispetto del principio di proporzionalità (art. 3, par. 3 della proposta di direttiva). Si tratta di una disposizione di chiusura di estremo rilievo (anche se discutibile sotto il profilo della tecnica legislativa): grazie ad essa infatti resta impregiudicato il potere degli Stati di applicare un regime più rigido di solidarietà rispetto a quello previsto dalla “nuova” direttiva, con il risultato di lasciare alla Corte di Giustizia il giudizio in merito alla sua compatibilità con le regole del mercato unico (come è avvenuto sino ad oggi). Sembrano però restare ineludibili i vincoli relativi alla non estensibilità della responsabilità solidale all’intera catena di subappalto ed all’esonero da responsabilità del committente che abbia adempiuto gli obblighi di diligenza nei confronti dell’appaltatore. Quest’ultima regola, per altro, sembra essere posta come vincolante solo in relazione agli appalti edili (e non negli altri settori), il che configurerebbe una situazione di disparità di trattamento non comprensibile e del tutto ingiustificata. Il recepimento della direttiva prospetterebbe effetti significativi sul regime di solidarietà vigente nel nostro ordinamento. S’imporrebbe una revisione di quello ad oggi applicato in caso di appalti transnazionali, dettato dall’art. 3, co. 3 e 4, d.lgs. n. 72/00, ove si stabilisce la regola della parità di trattamento in favore dei dipendenti dell’appaltatore transnazionale ed il principio di responsabilità solidale, entro un anno dopo la data di cessazione dell’appalto di servizi, tra appaltante e appaltatore transnazionale. Quanto al regime “generale” ex art. 29, d.lgs. n. 276/2003 (come modificato, da ultimo, dal c.d. d.l. “semplificazioni” n. 5/12, convertito nella l. n. 35/12), è dubbio se sia applicabile agli appalti transnazionali; se lo fosse, come sembra ritenere il Ministero del lavoro (interpello 33/10), anch’esso andrebbe comunque rivisto alla luce dei limiti posti dalla “nuova” direttiva. 12 Il “nuovo” regime varrebbe solo per gli appalti transnazionali, ma il rischio è che, una volta introdotto un regime in deroga da parte dell’eventuale legge di trasposizione della “nuova” direttiva, se ne proponga l'estensione anche agli appalti “nazionali”, per evitare situazioni di disparità di trattamento che favorirebbero le imprese straniere. * * * Data la natura transnazionale del distacco, il riconoscimento e l'esecuzione su base reciproca delle sanzioni, in particolare nello Stato di stabilimento della società che distacca temporaneamente lavoratori in un altro Stato, sono aspetti fondamentali. L’assenza di uno strumento comune per il riconoscimento e l'esecuzione su base reciproca delle sanzioni è all'origine di problemi seri, che incidono sull’effettività dei diritti dei lavoratori distaccati. Per questo il Capo VI della proposta di direttiva (artt. 13-16) si preoccupa di disciplinare un sistema di esecuzione transfrontaliera delle sanzioni amministrative, che si ispira ai sistemi istituiti per il recupero dei crediti di sicurezza sociale dal reg. n. 987/09 (di applicazione del reg. n. 883/04), prevedendo obblighi di informazione e di assistenza reciproca tra le autorità competenti degli Stati membri (per adempiere i quali gli Stati si dovrebbero avvalere del sistema IMI). Va ricordato che gli strumenti UE attualmente in vigore disciplinano l’esecuzione transfrontaliera solo di alcune delle sanzioni imposte dagli Stati membri, anche mediante l'assistenza reciproca e il riconoscimento reciproco. E per quanto riguarda le sanzioni di natura amministrativa, che possono essere impugnate dinanzi a giurisdizioni non penali, strumenti simili non esistono. Spetta agli Stati stabilire le sanzioni applicabili alle imprese straniere, che devono in ogni caso essere efficaci, proporzionate e dissuasive (art.17). * * * La proposta di direttiva in commento può essere letta come un’occasione persa e dimostra l’assenza di una reale volontà da parte delle istituzioni dell’Unione di contrastare il dumping sociale operato nell’ambito del mercato dei servizi. L’idea di fondo che la ispira (esplicitata da Monti nel suo rapporto del maggio 2010) è che per garantire una crescita equilibrata non si debba limitare l’esercizio delle libertà 13 economiche fondamentali oltre i limiti già ammessi dal vigente diritto europeo della concorrenza e del mercato. E’ per questo che la ricetta della Commissione per risolvere i problemi sollevati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia di distacco trasnazionale dei lavoratori (con i celebri casi Laval, Commissione c. Lussemburgo e Ruffert) si concretizza in una proposta di direttiva che non modifica in alcun modo la dir. 96/71 (che quella giurisprudenza ha generato), ma si limita a completarla colmandone le lacune e arricchendola con strumenti che ne garantiscano la piena e corretta attuazione. Restano immutati dunque i limiti posti dalla direttiva del 1996 alla possibilità di difendere i mercati del lavoro nazionali dal dumping attuato da imprese con sede in altri Stati membri; limiti che vincolano la potestà normativa degli Stati (come dimostra la sentenza Commissione c. Lussemburgo), le pubbliche amministrazioni (come dimostra la sentenza Ruffert) e gli stessi sindacati (come dimostra la sentenza Laval). Ciò non significa che la proposta non contenga elementi di novità positivi, che migliorano il quadro esistente nella misura in cui forniscono agli Stati strumenti atti a contrastare comportamenti illeciti ed abusivi da parte delle imprese; cioè, appunto, a permettere che (almeno) quanto previsto dalla dir. 96/71 trovi attuazione e che i diritti che ne derivano per i lavoratori distaccati siano effettivamente rispettati. Sotto questo profilo particolare rilievo va riconosciuto all’indicazione degli elementi funzionali a valutare la genuinità del distacco transnazionale e ad accertare l’effettivo svolgimento di un’attività d’impresa nel paese di stabilimento da parte di chi vi assume i lavoratori distaccati. La Commissione intende in tal modo procedere a un adeguamento del regime “sostanziale” del distacco transnazionale a quello, già esistente, relativo ai profili previdenziali dello stesso. Positive appaiono anche le aperture al ruolo del sindacato come garante dell’effettività dei diritti dei lavoratori stranieri. Ad esso si rinvia infatti sia come canale di informazione nei loro confronti, sia come attore processuale (legittimato a promuovere procedimenti giudiziari e amministrativi), sia come attore negoziale: un riconoscimento, questo, potenzialmente in controtendenza rispetto agli orientamenti della Corte di Giustizia. La previsione di obblighi di informazione reciproca e di mutua assistenza e cooperazione amministrativa tra le autorità competenti degli Stati membri è poi un 14 passaggio indispensabile per rafforzare e rendere effettiva l’attività ispettiva e di controllo sulle condizioni dei lavoratori distaccati. Lo stesso vale per le disposizioni che migliorano l’accesso alla giustizia di questi ultimi e favoriscono l’esecuzione delle sanzioni amministrative nel loro paese d’origine. E tuttavia, anche dove vengono colmate lacune esistenti e si procede nel senso di rafforzare le misure di contrasto agli abusi delle imprese, le disposizioni proposte paiono ispirate ad una logica compromissoria, frutto dell’esigenza di non introdurre misure che possano intralciare l’esercizio delle libertà economiche. Di tale prudenza sono testimonianza sia la genericità di alcune disposizioni (come quelle relative alla difesa giurisdizionale dei diritti di cui all’art.11 e all’esercizio dell’attività ispettiva di cui all’art. 10), sia l’inderogabilità di altre che pongono limiti al potere statale di regolare istituti funzionali a garantire l’effettività dei diritti dei lavoratori distaccati: ciò vale, in particolare, per i vincoli posti dall’art. 9 al potere statale di imporre obblighi amministrativi e misure di controllo alle imprese (la cui documentazione sociale, per inciso, resta quella prevista dalla normativa del paese di stabilimento) e, soprattutto, per i limiti posti dall’art. 12 al regime della solidarietà, configurato in termini assai meno ampi rispetto a quanto previsto per gli appalti “nazionali” dall’art. 29 del d.lgs. n. 276/03. E’ questo il profilo più discutibile e potenzialmente più pericoloso della proposta di direttiva, il cui recepimento potrebbe giustificare un ripensamento della materia anche al di là dello stretto ambito degli appalti transnazionali. La medesima logica compromissoria può spiegare come mai la Commissione si preoccupi di indicare gli elementi caratterizzanti il distacco genuino, ma si dimentichi di esplicitare quali effetti produca l’assenza di tali elementi. Si tratta di una grave lacuna che necessita di essere colmata dall’espressa previsione circa l’applicazione ai lavoratori distaccati del medesimo trattamento previsto per i lavoratori nazionali “comparabili”; trattamento altrimenti non garantito dalle regole internazional-privatistiche (che, al pari dei generali principi del mercato interno, riacquisterebbero rilevanza per effetto della mancata applicazione della dir. 96/71). Il ricorso al distacco per finalità elusive sarebbe più efficacemente contrastato con la previsione di un limite di durata dello stesso, al cui superamento far conseguire una presunzione di illiceità. Una proposta sostenuta dalla CES, ma non accolta dalla 15 Commissione. Una proposta tanto più opportuna considerando che la Commissione prospetta una omologazione tra indici di liceità del distacco ai fini sostanziali e previdenziali; il rischio da scongiurare è che per questa via si rafforzi la prassi per la quale i limiti di durata del distacco validi per l’iscrizione al regime previdenziale del paese d’origine valgono come presunzione di legittimità del distacco anche per regolarne i profili sostanziali. Quei limiti (24 mesi, estensibili fino a 5 anni) non solo non dovrebbero rilevare per interpretare la dir. 96/71, ma, anzi, meriterebbero di essere rivisti anche per regolare i profili previdenziali del distacco, perché causa prima del dumping giocato sul costo del lavoro. A. Allamprese – G. Orlandini 16