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P.Oxy. XI, 1384 Medicina, rituali di guarigione e cristianesimi nell
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ASE 24/2(2007)437-462
Roberta Mazza
P.Oxy. XI, 1384
Medicina, rituali di guarigione
e cristianesimi nell’Egitto tardoantico
I papiri documentari e paraletterari sono senz’altro tra le fonti più
interessanti e allo stesso tempo neglette per lo studio del cristianesimo
tardoantico. Gli stessi papiri letterari che hanno trasmesso la letteratura
cristiana, più e meno antica, non sono stati oggetto di un’attenzione
commisurata alla loro importanza. Pur essendo tra le più antiche testimonianze delle prime comunità cristiane, e dunque pur rappresentando
un aspetto importante della cultura espressa da tali comunità, la maggior parte degli studiosi si è concentrata tuttalpiù sulla filologia neotestamentaria, ponendo attenzione solo di rado all’aspetto fisico e materiale di questi manufatti.1 La ricostruzione dei diversi cristianesimi,
nelle loro varianti regionali e nelle diverse fasi di sviluppo attraversate,
deve, com’è ovvio, tenere conto dei documenti a disposizione. L’Egitto rappresenta sotto tale profilo un campo di studio particolarmente
fertile. Esponenti del cristianesimo alessandrino ed egiziano, come
Clemente, Atanasio o Pacomio, hanno rivestito, infatti, un ruolo centrale nello sviluppo della cultura e delle strutture organizzative delle
chiese nascenti. Un vasto e composito «corpus» di opere letterarie sta
alla base di svariate sintesi sul cristianesimo egiziano, nelle quali tuttavia le fonti documentarie e paraletterarie e spesso anche quelle archeologiche sono assenti o sotto utilizzate.
Nello sforzo di fare uscire questo tipo di materiale dal ruolo di fonte secondaria, meno importante, in cui lo si è confinato, spesso con la
1 Questo problema cruciale che investe le discipline storiche ed esegetiche è stato molto
acutamente messo in evidenza recentemente da L.W. Hurtado, The Earliest Christian Artifacts. Manuscripts and Christian Origins, Cambridge, Eerdmans, 2006, passim che raccoglie e
sistematizza una serie di precedenti interventi dell’autore su tale argomento.
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falsa motivazione che si tratti dell’espressione di presunte forme di
cultura popolare, il mio saggio si propone di analizzare un papiro databile su base paleografica al V o VI secolo: P.Oxy. XI, 1384. Esso riporta tre ricette mediche e due brani di letteratura cristiana, dunque, secondo le categorie correnti, lo si potrebbe definire un papiro paraletterario di tipo medico-magico o iatromagico.
Commentando le molte informazioni che il papiro restituisce cercherò di indagare quale sia il suo ambito di provenienza e di redazione
e quale l’uso che di esso si faceva, ovvero a cosa servisse. Sulla base di
questi ragionamenti intorno al testo, esporrò anche alcune considerazioni relative ai processi di formazione e soprattutto trasformazione e
rielaborazione delle molteplici identità cristiane nell’Egitto tardoantico e alle modalità di interazione tra queste e le culture religiose preesistenti in tale territorio.
P.OXY. XI, 1384
Oxyrhynchus
28.5 x 13.8
V o VI sec.
Il papiro di Ossirinco 1384, edito da B.P. Grenfell e G.H. Hunt nel
1915,2 è conservato attualmente alla University Library di Glasgow.
Come può accadere a papiri che sono stati restaurati e magari sono passati da un luogo di conservazione ad un altro, alcune porzioni del testo
che i primi editori avevano evidentemente sotto gli occhi e di cui rendevano conto nell’«editio princeps» sono attualmente andate perdute.
La mia edizione tiene conto di un esame autoptico del testo; in nota si
dà ampiamente conto dell’edizione originale, ove sia il caso.
Il foglio è integro nella parte sinistra, mentre a destra presenta una
vasta rottura nella parte alta, rottura che prosegue, ma in modo meno
2 B.P. Grenfell – G.H. Hunt, The Oxyrhynchus Papyri, XI, London, 1915, 238-41; il papiro corrisponde a J. van Haelst, Catalogue des papyrus littéraires juifs et chrétiens, Paris, Publications de la Sorbonne, 1976, n. 584; LDAB 3237 (Leuven Database of Ancient Books,
<http://www.trismegistos.org/ldab/>); Mertens–Pack3 2410: una versione digitale di questo
catalogo, a cura del CEDOPAL (Centre de documentation de papyrologie littéraire dell’Università di Liegi), è consultabile anche on line <http://www.ulg.ac.be/facphl/services/adopal/index.htm>; esso è particolarmente utile per i papiri iatromagici, raccolti in una sezione speciale
<http://promethee.philo.ulg.ac.be/cedopal/Iatromagiques.htm>, preceduta da un’introduzione
e da una bibliografia generale a cura di Magali de Haro Sanchez <http://promethee.philo.ulg.ac.be/cedopal/Papyrusiatromagiques.htm>. Per tutte le abbreviazioni, citazioni di papiri
e bibliografia papirologica cf. J.F. Oates, R.S. Bagnall et al., Checklist of Greek, Latin, Demotic and Coptic Papyri, Ostraca and Tablets, Web Edition <http://odyssey.lib.duke.edu/
papyrus/texts/clist.html>. Per le ricette mediche si farà spesso riferimento alla voce dedicata a
P.Oxy. XI, 1384 nel catalogo M.-H. Marganne, Inventaire analytique des Papyrus Grecs de
Médecine, Genève, 1981, n. 136, pp. 247-8, n. 136. P.Oxy. XI, 1384 è stato ripubblicato in
PGM II, 7 e tradotto in inglese in M.W. Meyer, R. Smith (eds.), Ancient Christian Magic:
Coptic Texts of Ritual Power, San Francisco, Harper, 1994, testo 4.
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compromissorio, anche in basso. La scrittura corre in senso parallelo
alle fibre del papiro e in senso perpendicolare ad una kollesis, che è ben
visibile a circa 6 cm. dal bordo sinistro esterno del foglio e corrisponde
attualmente al punto in cui il papiro si è maggiormente deteriorato. Il
lato opposto del papiro, in cui le fibre sono verticali, è bianco. La presenza della kollesis e il suo rapporto con il testo scritto permettono di
affermare che lo scriba ha utilizzato il lato interno di un rotolo di papiro o comunque che il foglio ottenuto per scrivere il testo proveniva da
un rotolo.3 A una distanza di circa 3 cm dal bordo sinistro del papiro è
visibile una linea verticale, perpendicolare alle fibre e parallela alla
kollesis, che mi pare essere il risultato di una piegatura del foglio. Lo
stacco tra le diverse unità di testo è segnalato dalla paragraphos; ogni
ricetta medica o brano letterario è preceduto dallo staurogramma o croce monogrammatica.
L’organizzazione delle varie sezioni che compongono il manoscritto è ordinata, come risulta chiaro dalla foto e come dimostra l’uso
delle paragraphoi e dello staurogramma. Questo genere di arrangiamento ricorda ad es. Suppl. Mag. II, 88 (pl. X) – papiro del quarto secolo sempre da Ossirinco, che riporta due ricette medico-magiche seguite da un inno magico già conosciuto perché inserito nel cosiddetto
Papiro di Philinna, cioè testi etichettabili come formulari magici4 – oppure P.Antin. II, 66 = Suppl. Mag. II, 94 (pl. XII),5 un formulario che
raccoglie tredici prescrizioni iatromagiche.
La datazione del manoscritto è possibile solo su base paleografica
ed è assegnabile al V o VI secolo. A mio avviso rimane difficile un’attribuzione certa viste le somiglianze che si registrano tra mani attestate
in papiri datati con sicurezza. A tale proposito la scrittura di P.Oxy. XI,
1384 può essere accostata a quella di P.Köln 151 del 423, ma anche a
quella di P.Laur. 75 del 589.6 Gli editori, a tale proposito, preferivano
tuttavia il V secolo e definivano lo scriba «an uncultivated writer». La
scrittura effettivamente si presenta irregolare, piuttosto larga e grande,
con tratti corsivi; l’andamento delle linee, dapprima intervallate da una
certa spaziatura poi più ravvicinate l’una all’altra da linea 27ss., tende
a discendere gradualmente verso il basso a destra e presenta poi un parziale recupero verso l’alto (da linea 30). Il testo, che contiene alcuni tipici errori legati alla pronuncia (confusione tra vocali lunghe e brevi,
3 Cf. in particolare E.G. Turner, ’Recto’ e ’Verso’. Anatomia del rotolo di papiro, Firenze, 1994, 65-67 (trad. it. di Id., The Terms Recto and Verso. The Anatomy of the Papyrus Roll,
in: Jean Bingen – Georges Nachtergael (Éds.), Actes du XVe Congrès International de Papyrologie. Première Partie. Rapport Inaugural (Papyrologica Bruxellensia, 16), Bruxelles, 1978.
4 Mertens–Pack3 1872.
5 Mertens–Pack3 2391.
6 G. Cavallo – H. Maehler, Greek Bookhands of the Early Byzantine Period, A.D. 300800 (Bulletin Supplement, 47), London, Institute of Classical Studies, 1987, tav. 14a e 34b.
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tra vocali e dittonghi dallo stesso suono, cf. note sottostanti), è in più
punti corretto dalla stessa mano (cf. linee. 12, 27, 29 e 36); la grammatica è spesso approssimativa (cf. ad es. l’ultima ricetta).
Le caratteristiche qui evidenziate paiono indicare che il manoscritto fu redatto da una persona abituata a scrivere e che conosceva il greco, pur incorrendo in frequenti errori per altro di tipo comune nei testi
di questo periodo. Vista la qualità dell’esemplare, è assai probabile che
fosse stato scritto per uso privato, personale, da un individuo (uomo o
donna) di “media” alfabetizzazione e cultura, appartenente a una categoria di persone definite da G. Cavallo e H. Maehler «not professional
scribes with advanced training in formal script writing, but simply literate persons, capable of writing blunders for their everyday affairs».7
1
Fouvska" kaqarsivou
2 † kumivnou
3
maravqou
4
selivnou
5
kovstou
6
mastivch"
7
kwrivou
8
dafnokovkka
9
karoivou
10 pevrnh"
11 glhvcwno"
12 foivllou
13 a{lato"
14 o[xou"
(dracmaiv) d[
(dracmaiv) b[
(dracmaiv) d[
(dracmaiv) d[
(dracmaiv) d[
(dracmaiv) z[
ka[
(dracmaiv)[
(dracmaiv)[
(dracmaiv)[
(dracmaiv)[
[
[
15 † ajphvnthsan hJm[≥ i'n tina" a[ndre"
16 ejn th/' ejrhvmw/ k≥a[≥ i; ei\pan tw/' k(uriv)w/
17
jIesou' ti e[nh qa≥ra≥p≥iv≥a≥ [ajrrwvstoi";
18 kai; levgi aujtoi'" e[leom ajpevd[≥ wka ej19 lhva" kai; sbuvrn[an ejxevcusa toi'"
20 pepoivq[os]i t[w/' oJnovmati
21 patro;" kai; aJg[ivou pneuvmato" kai;
22 uiJou'
23 † a[ggeloi k(urivo)u ajnhvrqan pro;" [mevson
24 to;n oujrano;n ojfqalmo[u;"
25 ponovnte" kai; [sfovggon kra26 tou'n≥te" levgi ... oJ kuv(rio") ti; ajnhvr7
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Cf. Cavallo–Maehler, Greek Bookhands..., 4.
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qate ajgnoi; pankavqaroi i[asin lavbin
ajnhvlqamen ∆Iaw; Sabawvq o{ti soi;
doinato;" kai; oijscirov"
30 eij" straggouritiva ija'se to;n p[onou'nta
31 † la;bon spevrma ajgivnou xero;≥n[≥
32 trivya" meta; uoi[nou ∆Askalw≥
33 nivtou ei'ta≥ q≥erma; pivnne
34 † eij" qarapivan oujlon
35 labo;n mh'la kuparivsou
36 zevsa" kloivzou
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
Per posche purgative:
cumino dracme 4
semi di finocchio dracme 2
sedano dracme 4
costus dracme 4
mastice dracme 4
coriandolo dracme 7
semi di alloro 21
noci dracme …
pepe dracme …
pulegio dracme …
foglia (di silfio?) dracme …
sale
aceto
15
16
17
18
19
20
21
22
Vennero da noi alcune persone
nel deserto e chiesero al Signore:
«Gesù che cura c’è per un malato?»
E disse loro: «Ho dato olio d’oliva e vi ho mescolato mirra per
quelli che credono nel nome
del padre e dello spirito santo e
del figlio».
23
24
25
26
27
28
29
Degli angeli del Signore salirono
al cielo avendo gli occhi
malati e tenendo una spugna.
Chiese loro il Signore: «Perché siete
saliti, o santi e purissimi?» «Per ricevere una cura
siamo saliti, o Iao Sabaoth, poiché tu
sei potente e forte!».
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33
Per problemi alle vie urinarie per guarire il malato:
prendi un seme essiccato di basilico selvatico,
mescolalo con del vino di Ascalona caldo, quindi bevilo caldo.
34 Per guarire le ferite:
35 prendi la bacca del cipresso,
36 bolliscila e applica.
(2) «Cuminum Cyminum», cf. M.-H. Marganne , Inventaire analytique des
Papyrus Grecs de Médecine, Genève, 1981, n. 136. ( 3) «Foeniculum vulgare»,
cf. Marganne, Inventaire..., n. 136. (4) «Apium graveolens», cf. Marganne, Inventaire..., n. 136. (5) Radice di «Saussurea Lappa», cf. Marganne , Inventaire..., n. 136. (6) Mastice o resina di «Pistacia Lentiscus», cf. Marganne , Inventaire..., n. 136. (7) Leggi korivou. «Coriandrum Sativum», cf. Marganne, Inventaire..., n. 136. (8) Bacche di «Laurus Nobilis», cf. Marganne, Inventaire..., n.
136. (9) Leggi karuvou. (10) Sulla base di Aet. III, 81-82 pevrnh" starebbe per
pepevrew", ossia «Piper Nigrum», cf. Marganne, Inventaire..., n. 136. (11)
«Mentha Pulegium», cf. Marganne, Papyrus Grecs de Medecine, n. 136. (12)
Leggi fuvllou, la seconda l è aggiunta, sovrascritta. Fuvllou ha significato generico di pianta o erba medicinale, si trova impiegato per indicare il silfio in
Hipp. Nat. mul. 72.
(15-22) Un confronto tra l’«editio princeps» e la foto del papiro dimostra
evidentemente che Grenfell e Hunt avevano a disposizione porzioni del testo attualmente perdute. Infatti nella introduzione a P.Oxy. XI, 1384 (p. 238) si legge: «La parte inferiore del papiro è praticamente completa, ma nella parte inferiore quasi tutta la metà destra manca, causando la perdita di solo alcune delle
quantità di ingredienti riportate nella prima ricetta, ma della fine di tutte le linee
tranne una del primo estratto di carattere teologico, la ricostruzione del quale
presenta difficoltà, nonostante il senso generale sia chiaro». 8 In «editio princeps» tutte le linee del testo di carattere evangelico presentano una integrazione,
tranne la 15, dove, dopo una lacuna, Grenfell e Hunt leggevano r≥e≥".≥ Attualmente la linea meglio preservata è la 18. Sulle lacune da 23 in poi si veda sotto. Per
chiarezza nell’esposizione, prima delle note al mio testo, riporto di seguito 1522 «editio princeps»:
15 † ajphvnthsan hJm[≥ i'n . . . . . a[nd]re≥"≥
16 ejn th/' ejrhvmw/ k≥a[≥ i; ei\pan tw/' k(uriv)w/
17
∆Iesou' ti<"> e[nh qarap≥iva≥ aj≥r≥r≥w[v stoi";
18 kai; levgi aujtoi'", e[leon ajpevd[≥ wka ej19 lhva" kai; sbuvrn[a]n≥ ej≥x≥ev≥c[≥ usa toi'"
20 pepoiqovs≥i t[w/' oJnovmati tou'
21 patro;" kai; aJg[iv]o≥u≥ [pn(euvmato)" kai; tou'
22 uiJou'
(15) In «editio princeps» si lasciava spazio per circa cinque lettere. La mia
integrazione si basa sull’uso del pronome indefinito che il redattore o la sua
8 «The lower part of the papyrus is practically complete, but in the upper part nearly all
the right hand half is missing, entailing the loss of only some of the figures in the first recipe,
but the ends of all the lines except one in the first extract, of which the reconstruction present
difficulties, although the general meaning is clear».
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fonte fanno a linea 17 e nel secondo brano a l. 26. (17) jIesou' leggi jIhsou'; e[nh
qarapiva leggi ejni; qerapeiva. Della prima alpha di qarapiva restano poche traccie a causa della sfilacciatura delle fibre del papiro in corrispondenza della kollesis, la r si distingue facilmente, seguono tracce della parte inferiore della seconda alfa, la base delle stanghe della p (caratteristico è il tracciato della seconda stanghetta, sempre arricciolata cf. ad es. 10, 15, 21 e 31) e le parti inferiori di
iota e alfa finale. (18) levgi leggi levgei. (19) sbuvrnan leggi smuvrnan. (20) Come proposto anche in nota, a l. 20 «editio princeps» al posto di t[w/' oJnovmati si
potrebbe senz’altro integrare th/' duvnamei. (20-22) Rispetto alla «editio princeps» ho preferito eliminare gli articoli sulla base delle attestazioni della formula
trinitaria a nostra disposizione. Solitamente nei papiri gli articoli vengono anteposti a ognuna delle tre figure o non vengono utilizzati affatto. Non essendoci
traccia di articolo prima di aJgivou ho uniformato le citazioni di padre e figlio.
(23-29) Il papiro nella parte destra si è molto deteriorato, come dimostra un
confronto con il testo di «editio princeps» che riporto di seguito:
23 † a[ggeloi k(urivo)u ajnhvrqan pro;" m≥[evson]
24 to;n oujrano;n ojfqalmou;"
25 pono<uv>nte" kai; sfovggon kra26 tou'n≥te", levgi aujt≥o≥i'"≥ oJ k(urivo)u, ti; ajnhvr27 qate, aJgnoi; pankavqaroi; i[asin labi'n
28 ajnhvlqamen, jIaw; Sabawvq, o{ti soi;
29 doinato;" kai; oijscirov".
(23) Dopo la h di ajnhvrqan a causa di una sfilacciatura delle fibre del papiro restano solo tracce delle lettere, tuttavia chiaramente distinguibili fino alla ".
(26) Sopra il «nomen sacrum» ku sono visibili le tracce di inchiostro della linea
sovrascritta; ajnhvr- chiaramente distinguibili l’occhiello di a, e le parti inferiori
di n, h e r. (27) aJgnoiv la n è una correzione: in base alle tracce sottostanti, apparentemente lo scriba aveva scritto aJgoiv, saltando la lettera, correggendosi tuttavia subito dopo; labi'n leggi labei'n (28) ajnhvlqamen la seconda a è una correzione da una precedente w. (28-29) soi; doinato;" kai; oijscirov" leggi su; dunato;" kai; ijscurov", oij di oijscirov" è una correzione, sovrascritta.
(30) straggouritiva sarebbe forma non attestata per straggouriva; la
grammatica della frase è approssimativa, anche se il senso generale è chiaro;
ponou'nta è restituito sulla base di «editio princeps». (31) ajgivnou leggi ajkivnou.
(32) uoi[nou sta per oi[nou. (33) pivnne leggi pivne
(34) qarapivan oujlon sta per qaraphivan oujlw'n. (35) labo;n leggi labw;n;
kuparivsou leggi kuparivssou. (36) kloivzou sta per kluvzou, lambda è correzione sovrascritta.
Veniamo dunque al contenuto del manoscritto. Le ricette tra le quali sono inseriti i brani letterari sono state registrate in diversi repertori
di papiri che raccolgono testi medici, come l’inventario di M.-H. Marganne e la rassegna di I. Andorlini.9 Si tratta nell’ordine di una ricetta
per posche purgative a base di «carenum» unito a ingredienti vegetali,
di un rimedio per le vie urinarie a base di vino caldo di Ascalona e di
un impiastro per ferite a base di bacche di cipresso.
9 Marganne, Inventaire analytique..., n. 136, 247-8; I. Andorlini Marcone, L’apporto dei
papiri alla conoscenza della scienza medica antica, ANRW II, 37.1, 458-62, n. 187.
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Esse sono in sostanza prescrizioni mediche tradizionali, composte
da ingredienti diffusi in trattati e manuali di medicina per così dire comuni; mi limito a ricordare le posche molto simili riportate nel trattato
di Ezio di Amida (III, 81-82) e l’uso del vino di Ascalona raccomandato da Alessandro di Tralle per problemi alle vie urinarie.10
I due brani di letteratura cristiana hanno come tema principale la
guarigione, coerentemente con la presenza delle ricette mediche. La
discussione tra quanti si sono occupati del primo dei due testi – sul
quale mi soffermerò più a lungo – si è svolta sostanzialmente intorno
a due ipotesi: (1) che si tratti di un brano di un vangelo apocrifo, non
accolto nel canone, e per di più non altrimenti conosciuto;11 (2) che si
tratti di un breve racconto di invenzione: o un brano estrapolato da
raccolte di episodi leggendari con al centro Gesù, scritti in epoca tarda, o una creazione originale, un «unicum», dello scriba stesso o di
una sua fonte.12 La brevità dell’episodio (caratteristica anche del secondo brano) induce a pensare, in ogni caso, a un compendio che poteva servire a due scopi non in conflitto tra loro: la fabbricazione di
amuleti e filatteri o l’utilizzazione, la recitazione, all’interno di pratiche rituali di guarigione. In ambedue i casi si può definire il breve
scritto una «historiola», termine tecnico che sta ad indicare una storia
mitica (un archetipo) che riattiva il suo potere ogni volta la si racconti
o evochi.13 Esempi di storie di questo tipo di ambito cristiano sono
piuttosto rari in lingua greca, più frequenti in copto e siriaco. Al nostro brano evangelico possono essere affiancati due papiri, in particolare, uno da Heidelberg, l’altro da Berlino.14 Il papiro conservato a
Heidelberg contiene un incantesimo contro il reuma (flusso) agli occhi. La storia dall’effetto taumaturgico racconta di Gesù che, perseguitato dagli Ebrei, fugge fino all’Eufrate, dove, piantato il suo bastone nelle acque, ne ferma lo scorrere evidentemente per poter passare.
10 P. Mayerson, “The Use of Ascalon Wine in the Medical Writers of the Fourth to the
Seventh Centuries”, IEJ 43 (1993) 169-73; Id., “An Additional Note on Ascalon Wine (P.Oxy.
1384)”, IEJ 45 (1995) 190.
11 Questa l’opinione degli stessi Grenfell e Hunt nel loro commento introduttivo al testo.
12 Cf. W. Schneemelcher in: E. Hennecke, Neutestamentliche Apokryphen in deutscher
Übersetzung, 3. völlig neubearbeitete Auflage herausgegeben von Wilhelm Schneemelcher, I,
Evangelien, Tübingen, 1959, 57. Questa era anche l’opinione di Nock riportata in calce a PGM
II, 7.
13 W.M. Brashear, “The Greek Magical Papyri: an Introduction and Survey; Annotated
Bibliography (1928-1994)”, ANRW II, 18.5, 3380-84, lo studioso catalogava il papiro in questione tra i testi iatromagici descrivendolo come «medicinal recipes with historiolae», cf.
3500; sulle «historiolae» cf. D. Frankfurter, Narrating Power: the Theory and Practice of the
Magical Historiola in Ritual Spells, in: M. Meyer – P. Mirecki (eds.), Ancient Magic and Ritual Power, Leiden - New York - Köln, E.J. Brill, 1995, 457-76.
14 P.Heid. G 1101 = F. Maltomini, Cristo all’Eufrate. P. Heid. G. 1101: amuleto cristiano, ZPE 48 (1982) 149-70 = Suppl. Mag. I, 32; PGM 23 = van Haelst 876 = H. Lietzmann, Ein
christliches Amulett auf Papyrus, Aegyptus 13 (1933) 225-8.
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È chiaro che allo stesso modo la potenza di Gesù sarà in grado di fermare il flusso oculare. Nel cercare di rintracciare paralleli di questo
racconto, l’editore F. Maltomini ha individuato un papiro copto
dell’VIII secolo che sempre in materia di flusso o emorragia, riporta
una «historiola» simile – che ha però per protagonisti Elia e il fiume
Giordano – e una serie di «Jordansegen» e «Blutsegen» appartenenti
alla letteratura in lingua tedesca medievale e moderna. Lo studioso si
è posto poi una serie di interessanti interrogativi circa il possibile retroterra della storia in questione: accanto ai richiami biblici su passaggi miracolosi del Mar Rosso e del Giordano ed evangelici sui miracoli
di Gesù sulle acque egli ha richiamato anche una possibile connessione con apocrifi quali il Vangelo dello pseudo-Matteo o il Protovangelo di Giacomo.
Assai interessante è anche il testo conservato a Berlino. Su questo
foglietto si leggono infatti un episodio in cui Gesù seda una tempesta
– che richiama Matteo 14,28-31, ma per così dire compendiato e riscritto – e di seguito una preghiera preceduta dall’espressione kaiv
levgei o kaiv levge, ossia «quindi dice, recita», oppure «quindi dì, recita». L’«historiola» era accompagnata in questo caso da una chiara indicazione relativa alla pratica magico-rituale. Si trattava probabilmente di una storia di carattere apotropaico che, seguita dalla recitazione della preghiera, allontanava sciagure di qualche tipo, probabilmente legate alla navigazione viste anche le caratteristiche geofisiche
dell’Egitto.
Questi papiri nel complesso restituiscono un’idea di quale uso si
facesse dei testi sacri in età tardoantica, del polimorfismo che essi
assunsero trasformandosi di volta in volta in amuleti, libri di preghiera, formulari magici. Tale polimorfismo del resto era già stato
caratteristico di testi di altre tradizioni religiose: in Egitto, in particolare, è ampiamente attestata l’utilizzazione, sia nei complessi templari che in contesti privati, di stele e statue con testi inscritti dai poteri guaritivi. A Dendera, ad esempio, il rituale di guarigione prevedeva, tra l’altro, l’uso di acque che scorrevano su una stele ricoperta
da formule iatromagiche.15 Come ha argomentato D. Frankfurter,
l’amplissima diffusione dei cosiddetti cippi di Horus e di altre rappresentazioni di divinità egiziane dai poteri apotropaici con formule
magiche iscritte sui lati, sulla base, o sul retro, conferma che l’uso di
versare liquidi sulle immagini e i testi iscritti, affinché ne venissero
assorbiti i poteri curativi, era praticato anche in contesti domestici.16
15 Cf. F. Daumas, “Le sanatorium de Dandara”, BIFAO 56 (1957) 35-57; D. Frankfurter,
Religion in Roman Egypt. Assimilation and Resistance, Princeton, Princeton University Press,
1998, 47.
16 Frankfurter, Religion in Roman Egypt..., 47-9.
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Procedimenti strutturalmente simili passarono anche nella ritualità
cristiana, come dimostra la presenza di statue, rilievi o pitture dal potere taumaturgico, tratte da diverse tradizioni letterarie. Secondo Eusebio (Hist. Eccl. VII, 18), ad esempio, a Cesarea di Filippo c’era
un’immagine che riproduceva la guarigione dell’emorroissa (la quale si pensava fosse originaria della città), alla cui base cresceva
un’erba che sfiorava il manto del rilievo e si diceva avesse proprietà
curative.
Per cercare di individuare possibili fonti della «historiola» di
P.Oxy. XI, 1384, o comunque di ricondurre il brano a un più preciso
contesto culturale, ho enucleato alcune caratteristiche da cui partire,
caratteristiche per altro già acutamente poste in luce dai primi editori.
Innanzitutto la prima persona utilizzata nella narrazione (se l’integrazione di Grenfell e Hunt a l. 15 sulla base dei frammenti che essi avevano ancora a disposizione è da accettarsi, come sembra). Il discorso in
prima persona induce a porsi una serie di interrogativi relativi sia alla
provenienza del testo (apocrifo o storia inventata «ad hoc»), sia al rituale che a mio modo di vedere stava dietro alla confezione di P.Oxy.
XI, 1384. Per rendere più chiara l’esposizione su questo punto, anticipo che la mia ipotesi – argomentata nel dettaglio più avanti nel corso
del saggio – è, infatti, che il redattore del papiro utilizzasse il suo contenuto all’interno di rituali di guarigione. Stando a questa ipotesi, il
“noi”/“io” con cui è narrata la storia a carattere evangelico presuppone
che, sia che si tratti di un apocrifo (compendiato o meno), sia che si
tratti di un episodio di invenzione di altra natura, il brano fosse comunque fatto rimontare a uno scritto attribuito a un discepolo di Gesù. Il redattore e utilizzatore del papiro evidentemente doveva ritenere che tale
testo e la sua fonte avessero un potere medico-magico, che poteva essere impiegato sia nella fabbricazione di amuleti, sia nel corso di «performance» rituali. L’«audience», a sua volta, condivideva tale atteggiamento nel momento in cui partecipava al rituale o indossava e custodiva amuleti e filatteri con il testo inscritto. È evidente che all’interno di riti di questo genere i partecipanti riconoscessero il ruolo e l’autorevolezza del guaritore. Sulla base del ruolo giocato dal guaritore,
l’«audience» riconosceva il potere medico magico delle «historiolae»;
non si può escludere che qualcuno dei soggetti coinvolti conoscesse
talvolta in modo dettagliato o di prima mano le fonti delle «historiolae», ma si deve ammettere che nel contesto socio-culturale dell’Egitto
di questo periodo il semplice richiamo a Gesù nel primo episodio e a
Iao Sabaoth e agli angeli nel secondo potevano comunque bastare a
conferire credibilità alla «performance». Il caso del guaritore è, invece,
a mio modo di vedere, differente. Il suo ruolo, infatti, presuppone una
specializzazione e autorevolezza che, soprattutto nel contesto egiziano,
significa l’appartenenza a un gruppo sociale ben definito di guaritori
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professionisti. Ora questo ruolo per secoli era stato ricoperto dal ceto
sacerdotale: il testo in esame, come argomenterò oltre, fornisce interessanti informazioni sulla ridefinizione e riassegnazione di ruoli e poteri medico-magici in età tardo antica, conseguentemente alla diffusione del cristianesimo e alla sua successiva affermazione come religione
ufficiale dell’impero.
Ma torniamo ai contenuti del brano “evangelico”. L’inversione
tra spirito santo e figlio, che si legge in chiusura dell’episodio, è il secondo e forse più importante dato in esso contenuto. Un sondaggio
nei papiri documentari non ha rilevato alcun caso analogo di cambiamento di posizione tra le tre figure della trinità, nelle numerosissime
citazioni della formula trinitaria. Si tenga presente che dalla fine del
VI secolo in poi alla datazione dei documenti cominciarono ad essere
regolarmente anteposte delle formule di invocazione di carattere sacro che contenevano in gran parte dei casi un riferimento alla trinità:
dunque il campione di citazioni in nostro possesso è assai numeroso
e costituisce un buon termine di riferimento “statistico”.17 Tra i papiri magici, due mi paiono i casi da prendere in considerazione, a parte
la menzione della formula ortodossa.18 PGM 16, 20-21 riporta
nell’ordine figlio, padre e spirito santo, ma a ben vedere non si tratta
di una vera e propria menzione della formula trinitaria, bensì di un riferimento alla consustanzialità della divinità nelle tre persone del figlio, del padre e dello spirito (o{ti movno" kuvrio", movno" qeov" ejsti ejn
uiJw/' kai; ejn tw/' patri; kai; aJgivw/ pneuvmatei). Di grande interesse è invece un altro papiro magico, sempre da Ossirinco, P.Oxy. VI, 924.19
Si tratta di un amuleto contro la febbre fabbricato per una donna,
scritto su un foglio di papiro che misura 9 x 7,6 cm. Ecco la prima
parte del testo in traduzione:
«Davvero proteggi e preserva Aria dal tremore febbrile di un giorno e
dal tremore febbrile giornaliero e dal tremore febbrile notturno e dalla febbre leggera ... Queste cose falle di grazia compiutamente per il
tuo volere e per la sua fede, poiché è serva del dio vivente, e affinché
il tuo nome tramite lei sia glorificato per sempre».
17 Sui sistemi di datazione cf. R.S. Bagnall – K.A. Worp, Chronological Systems of Byzantine Egypt. Second Edition, Leiden, Brill, 2004. Sulle formule di invocazione, in particolare: R.S. Bagnall – K.A. Worp, “Christian Invocations in the Papyri”, CE 56 (1981) 112-33 e
“Christian Invocations in the Papyri: A Supplement”, CE 56 (1981) 362-5.
18 PGM 15a, 19-20: dia; th;n duvnamin tou' patro;" kai; tou' uijou' kai; tou' aJgivou
pneuvmato". La stessa formula si trova in PGM 15b, 5.
19 PGM 5a = van Haelst 953; cf. Brashear, “The Greek Magical Papyri...”, 3560.
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A queste linee segue uno stacco e quindi un’invocazione di «voces
magicae», la cui stessa disposizione grafica assumeva un potere magico e simbolico.
a
∆I(hso)u' pathvr uiJ ov" mhvthr C(risto)u'
h
i
o
u
pn(eu'm)a
∆Abra
a
w
a{gio"
w
sav"
Le vocali che fanno da cornice sono tipiche di questo tipo di testi,
l’unica anomalia è l’assenza di epsilon, che tuttavia poteva trovarsi prima di eta, poiché il papiro è rotto, oppure più semplicemente è stata
omessa per motivi di simmetria. I due «nomina sacra» IU e XU al genitivo possono essere interpretati in due modi: o sono retti da un vocativo sottinteso (ad esempio duvnami", “o potenza di Gesù Cristo”) o sono apposti in quanto tali, perché graficamente e in quella forma evocavano un potere magico.20 Tra l’invocazione del nome di Gesù e di Cristo – scritti in forma contratta come ho detto e in caratteri più grandi rispetto al resto – troviamo la triade padre, figlio e madre, quindi nella linea sottostante lo spirito santo con incastonato il binomio alpha-omega
e il segno della croce apposto al centro. Chiude il testo la voce magica
Abrasax, isopsefismo di origine ebraica (=365), ampiamente usata in
testi magici di varia natura (papiri, lamelle, «defixiones») in diverse
aree del mediterraneo antico dal I secolo in poi. In ambito cristiano,
Epifanio (Panarion 24,1 24) e il trattato dello Pseudo-Tertulliano (cap.
I) affermano che Abrasax fosse il nome attribuito da Basilide – a capo
di una scuola gnostica ad Alessandria sotto i regni di Adriano e Antonino Pio – alla divinità suprema, il padre.21 È come se il redattore
dell’amuleto avesse voluto raccogliere insieme alcune delle principali
voci sacre e simbologie magiche cristiane, o comunque utilizzate anche dai cristiani: padre, figlio e madre non possono che corrispondere,
come vedremo a breve, a una formulazione e interpretazione della trinità attestata, con alcune varianti, in alcune specifiche fonti cristiane.
La presenza di questo papiro, proveniente dallo stesso contesto archeologico, e il fatto che nei documenti e nei papiri magici non si verifi-
20 M. Meyer ad esempio sceglie la prima soluzione nella sua traduzione inglese a questo
testo cf. Meyer–Smith (eds.), Ancient Christian Magic..., testo 15.
21 Su Abrasax in generale si veda la bibliografia schedata in Brashear, “The Greek Magical Papyri...”, 3577.
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chino casi di inversione è un forte indizio a favore dell’ipotesi che l’ordine
attestato in P.Oxy. XI, 1384 non sia frutto del caso e neppure di un errore.
Postulato quindi che il cambiamento d’ordine fosse parte del testo
copiato o parafrasato dall’autore materiale del manoscritto, o facesse
parte comunque della sua cultura religiosa nel caso sia egli stesso l’autore o il compendiatore della «historiola», si possono individuare alcuni testi – e di conseguenza alcuni ambienti cristiani – in cui la formula
trinitaria assunse la forma padre-spirito santo-figlio e venne interpretata in modo differente da quello dell’ortodossia calcedoniana. Origene e
Girolamo riportano una teoria secondo la quale la trinità era interpretata evidentemente come padre, spirito=madre e figlio, in cui cioè lo Spirito Santo veniva considerato figura materna. Il principale testo di riferimento sarebbe il Vangelo secondo gli Ebrei:
«Se poi qualcuno accetta il vangelo secondo gli Ebrei, in cui il Salvatore stesso dice: “Poco fa mi ha preso mia madre, lo Spirito Santo, per
uno dei miei capelli e mi ha trasportato al monte sublime Tabor”, rimarrà perplesso, pensando come possa essere madre di Cristo lo Spirito Santo, che ha avuto origine per mezzo del Verbo. Il che però non
deve recare a costui molta difficoltà per l’interpretazione». 22
Il legame tra madre del Salvatore e Spirito Santo è adombrato anche nella versione copta di un discorso sulla Vergine attribuito a Cirillo
di Gerusalemme. Esso riporta un dialogo tra Cirillo e un monaco di un
villaggio vicino a Gaza, in cui, come si vedrà, il monaco considera fede
degno il vangelo che fu scritto per gli Ebrei. Alla fine della diatriba i libri in questione, assai significativamente, verranno dati alle fiamme.
Ecco il brano che qui interessa in traduzione, è il monaco che parla:
«Nel vangelo degli Ebrei sta scritto che quando Cristo volle venire
sulla terra, dagli uomini, Dio Padre chiamò nei cieli una validissima
forza di nome Michele e affidò Cristo alla sua cura. La forza venne
giù nel mondo e fu chiamata Maria e per sette mesi Cristo restò nel
suo seno. .... Cirillo domandò: “Dove, nei quattro vangeli, è detto che
la santa vergine Maria madre di Dio è una forza?”. Il monaco rispose:
“Nel vangelo degli Ebrei”. Allora Cirillo domandò: “Sono forse cinque i vangeli? Qual è il quinto?”. Il monaco rispose: “È il vangelo che
fu scritto per gli Ebrei”». 23
Nell’Apocrifo di Giovanni (testo rimasto in versione copta tra i codici di Nag Hammadi e testimoniato in Ireneo) il Cristo polimorfo afferma: «Io sono colui che sempre è con voi. Io sono il padre, io sono la
22 Com. in Joh. II, 12 citato nella trad. di Erbetta. Testo ripreso anche da Girolamo,
com’è noto, in Mich. 7, 6; in Is. 40, 9; in Ez. 16, 3.
23 Trad. da L. Moraldi, Tutti gli apocrifi del Nuovo Testamento. Vangeli, Casale Monferrato, Piemme, 1999, 448.
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madre, io sono il figlio». Nell’opera che va sotto il nome di Vangelo
degli Egiziani o Il libro sacro del grande spirito invisibile (Nag Hammadi CG III, 2; IV) le tre forze delle tre ogdoadi prodotte dal padre con
la sua pronoia sono il padre, la madre e il figlio. Anche in Clemente di
Alessandria nel Quis dives salvetur (37) torna uno schema simile, pur
con delle variazioni: è delineata una successione padre/madre (ma in
Dio) che genera il figlio. Non mi pare poi da scartare l’ipotesi che lo
schema padre-madre-figlio in ambiente egiziano potesse ricollegarsi
facilmente alla triade sacra Osiris-Isis-Horus, e che dunque certe posizioni in materia trinitaria venissero accolte in ambienti come quello
che ha prodotto il nostro papiro anche grazie al sostrato religioso ellenistico egiziano soggiacente.
Altri elementi del brano mi sembrano meno rilevanti al fine della
ricostruzione del contesto culturale di produzione e uso del manoscritto: il fatto che Gesù sia nel deserto (o in un luogo deserto) non mi pare
particolarmente significativo. La menzione della mirra può essere collegata assai vagamente a Mt 2,11 e Gv 19,39. Un inchiostro fabbricato
con la mirra è menzionato in alcuni papiri magici (cf. ad es. PGM II,
30; 34; 42; 48). La mirra e l’olio del resto erano ingredienti medicinali
piuttosto comuni. L’uso dell’olio nella cura dei malati ha una tradizione antichissima: limitandosi all’ambito delle guarigioni cristiane attestate nei testi poi divenuti canonici si possono menzionare Mc 6,13; Lc
10,34 e Gc 5,14. Per il periodo tardo antico esso è largamente attestato
dalla letteratura monastica in episodi che hanno come protagonisti anacoreti o cenobiti famosi, come ad esempio Beniamino, che guariva con
l’olio benedetto in Hist. Laus. 12, 1, e Macario di Alessandria, che cura
una nobile vergine di Tessalonica con l’olio in Hist. Laus. 18, 12.24
In conclusione su questo brano: il noi e la formula trinitaria sono
due indizi che paiono andare in direzione del vangelo apocrifo, o meglio del compendio da un apocrifo. Se il brano, come io credo, fa parte
di un formulario, il redattore non avrebbe usato il noi, a meno che i
soggetti da guarire non pensassero che egli fosse una reincarnazione.
Nei papiri documentari, dove la formula trinitaria ricorre centinaia di
volte nelle invocazioni obbligatoriamente inserite nei contratti, non è
mai attestato nessun caso di errore dello scriba nell’ordine delle tre
persone. Ciò che colpisce è anche l’assenza di casi del genere nei papiri magici finora pubblicati, nonché la presenza di P.Oxy. VI, 924 sopra
riportato.
Mentre il primo dei due estratti ha per protagonista Gesù, interpellato in veste di guaritore, il secondo vede degli angeli malati alla pre24 Sull’olio cf. A.D. Vakaloudi, “Illness, Curative Methods and Supernatural Forces in
the Early Byzantine Empire (4th-7th C. A.D.)”, Byzantion 73 (2003) 185-8.
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senza di Dio, invocato come Iao Sabaoth. L’appellativo, scritto per
esteso, riconduce ancora una volta – oltre che naturalmente alla Settanta, in particolare a Is 6,3 – ai papiri magici, a preghiere, invocazioni e
amuleti quali ad esempio P.Oxy. VII, 1060. Quest’ultimo papiro si
apre con una serie di «voces magicae» che includono invocazioni rispettivamente ad Afrodite e Iao Sabaoth Adonai, seguono poi una formula di scongiuro contro l’invasione della abitazione da parte di rettili
e infine la citazione di San Focas e del giorno a lui dedicato.25
Al di là di ulteriori approfondimenti ancora possibili sui due brani,
ciò che mi sembra importante evidenziare in questa sede è che le chiusure di ambedue – la formula trinitaria e l’appello diretto a Iao Sabaoth
potente e forte – mi sembrano particolarmente drammatiche. Esse paiono corrispondere a una sorta di invocazione con la quale culminava
la recitazione delle due «historiolae» all’interno di un rituale di guarigione, in cui la somministrazione di cure e medicinali si accompagnava molto verosimilmente a pratiche magico-religiose. Sulla base di
quanto finora osservato l’ipotesi che il papiro facesse parte di un manuale medico-magico cristiano mi sembra assai verosimile: a questo
punto diventa interessante soffermarsi sul contesto archeologico e soprattutto storico da cui ha origine P.Oxy. XI, 1384.
Poco è ciò che si può ottenere dai dati archeologici. Tutti i manoscritti di Ossirinco provengono infatti da scavi ufficiali o illegali delle
discariche antiche della città. Sebbene in alcuni casi, soprattutto riguardanti archivi, sia stato possibile ottenere informazioni utili a ricostruire la storia dei testi, tramite i rapporti di scavo e i numeri di inventario, questo non pare essere possibile per il papiro in questione.26 Vale
la pena, allora, soffermarsi su quanto si sa riguardo alla città in cui
P.Oxy. XI, 1384 è stato redatto o utilizzato. È chiaro, infatti, che un
manoscritto reperito in una località può provenire da altri luoghi; resta
comunque il dato di fatto che qualcuno di Ossirinco, o di passaggio da
Ossirinco, ne fece uso.
Tra V e VI secolo Ossirinco – che sorgeva nei pressi dell’attuale
Behnesa ed era chiamata Pemge in copto – era una popolosa città del
Medio Egitto. Metropoli del distretto che da essa prendeva nome (il
nomo Ossirinchite), la città era anche capitale della «provincia Arca25 Si tratta probabilmente del Phokas siriaco. Viene ricordata una data posticipata di
quattro giorni da quella del calendario ufficiale (Phamenoth 13 corrisponde al 9 marzo, mentre
è il 5 marzo il giorno dedicato al santo), ma ciò potrebbe spiegarsi con un comprensibile errore
del redattore dell’amuleto cf. P.Oxy. VII, 1060 nota a l. 9.
26 Cf. R. Mazza, L’archivio degli Apioni. Terra, lavoro e proprietà senatoria nell’Egitto
tardoantico, Bari, Edipuglia, 2001, 11-18. Le informazioni contenute nella prefazione al volume XI del P.Oxy. parrebbero indicare che il numero 1384 facesse parte dei ritrovamenti del
1905-06, ma la genericità dei dati forniti, anche nei rapporti di scavo, non permette alcuna certezza a tale proposito.
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diae» di recente creazione.27 Lì dunque avevano sede importanti istituzioni civiche e provinciali, che contribuivano a dare lustro e ricchezza alla polis, la quale già fin dalla precedente età tolemaica e romana aveva conosciuto un continuo processo di sviluppo politico,
economico e culturale. I pochi dati ricavati dagli scavi archeologici,
combinati alle informazioni contenute nelle migliaia di papiri finora
pubblicati, aiutano a ricostruirne l’aspetto architettonico: tra i pochi
resti scavati dagli inglesi nel 1922 spiccavano il teatro, che poteva
ospitare tra gli 8.000 e i 12.000 spettatori, le vestigia del colonnato
meridionale della città e qualche tratto delle mura civiche. Un ammasso di grandi blocchi di pietre è stato interpretato come ciò che rimaneva di un tempio di una certa imponenza, dedicato quasi certamente a Serapide. Dalla documentazione pubblica e privata si sa che
la polis era divisa in quartieri, che le strade erano mantenute in ordine, che diversi erano gli edifici pubblici (dagli impianti termali, al
ginnasio, al «praetorium») e numerosi i templi (almeno una ventina,
sia dedicati a divinità, sia dedicati al culto imperiale, come l’Hadrianeion). In un papiro della fine del III secolo o dell’inizio del IV, in
cui è descritto il giro che le guardie notturne dovevano compiere ogni
notte, sono anche ricordate due chiese.28
Dal IV secolo in poi, naturalmente, le menzioni di edifici di culto
cristiano e di membri della ekklesia tendono ad aumentare, mentre le
attestazioni di templi e di membri della casta sacerdotale, dedita a
culti pagani, lentamente si rarefanno, oppure gli edifici vengono ricordati, ma perché in abbandono o utilizzati ad altro scopo, come ad
esempio il tempio dedicato ad Adriano, che serviva da carcere cittadino, e il Cesareo, che divenne un monastero.29 Il passaggio al tardoantico è segnato da una parte dalla progressiva scomparsa dei ginnasi
e della vita politico-culturale ad essi collegata, dall’altra dalla comparsa o valorizzazione dei nuovi centri di aggregazione tipici della
città bizantina, quali gli edifici ecclesiastici, l’ippodromo e i palazzi
dei grandi proprietari locali, esponenti del ceto senatorio della nuova
27 J.G. Keenan, “The Provincial Administration of Egyptian Arcadia”, MPhL 2 (1977)
[Special Papyrological Number] 193-202. Non si conosce la data precisa di creazione della
provincia, sotto l’imperatore Arcadio: il primo papiro datato che la menziona è P.Flor. I, 66
(Arsinoe, 10/3/398). Il capitolo V della Hist. Mon. che più avanti riporto in traduzione, sembra
ignorarne l’esistenza, visto che colloca Ossirinco semplicemente nella Tebaide.
28 P.Oxy. I, 43 verso = Chr.Wilck. 474. Sulla discussione intorno a questo testo, scritto
sul verso di un rotolo contenente contabilità datata 295 d.C. e dunque databile posteriormente
a tale data, si veda R.S. Bagnall, Egypt in Late Antiquity, Princeton, Princeton University
Press, 1993, 53, n. 60.
29 Cf. ad es. P.Oxy. LV, 3787 del 301 in cui è ricordato un diacono della santa chiesa e
P.Oxy. XXII, 2344 del 336 che menziona il vescovo. Il cristianesimo era diffuso anche in centri minori del nomo, cf. P.Oxy. XXXIII, 2673 del 304 in cui è citato un lettore della chiesa del
villaggio di Chysis. Per il Cesareo cf. PSI VII, 791; vedi oltre cap. V Historia Monachorum.
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capitale fondata da Costantino e governatori e patroni delle loro città
d’origine.30
Sulla vivacità culturale di Ossirinco ci informano anche i papiri
contenenti opere letterarie ivi ritrovati, un tema sul quale è impossibile
soffermarci dettagliatamente in questa sede: è pressoché testimoniata
gran parte della letteratura greca classica fino agli autori più tardi, con
esemplari che sotto il profilo librario vanno dalle antologie ad uso scolastico a esercizi di allievi di scuola, da esemplari pregiati eseguiti per
intellettuali e studiosi locali, a copie meno accurate tracciate su rotoli
riutilizzati, i quali spesso sul recto contengono conti o documenti amministrativi pubblici o privati.31 Tra questi resti di libri si trovano anche trattati di medicina di Ippocrate32 e Nicandro33 o di autori per ora
ignoti.34
La stessa sensazione di trovarsi di fronte a una grande varietà di
ambienti e stimoli culturali si ha anche quando si passa ai testi, ritrovati
a Ossirinco, di carattere religioso: preghiere, amuleti, filatteri, trattati e
opere letterarie rimandano l’immagine di una forte compenetrazione,
interazione e talvolta antagonismo tra le differenti correnti religiose
presenti in Egitto, come dimostrato ad esempio nel già ricordato
P.Oxy. VII, 1060, che affianca Afrodite, Iao Sabaoth e San Focas. Le
discariche antiche della città hanno restituito manoscritti di diverse tradizioni religiose databili più o meno nello stesso arco di secoli. Redigerne una lista esauriente e darne un’interpretazione coerente in realtà
presenta una serie di difficoltà di carattere metodologico di non poco
conto. Il primo problema riguarda la definizione di testo religioso. Infatti si è portati meccanicamente a dare per scontato che tutti i manoscritti, in qualsiasi lingua siano redatti, che riportano letteratura cristiana (canonica o meno) siano testi religiosi, così come i papiri della Settanta e delle scritture ebraiche, i testi che contengono preghiere e invo30 Tra i più importanti esponenti di questa classe sociale a Ossirinco e in altri centri
dell’Egitto sono gli Apioni, famiglia attestata con continuità dalle fonti papiracee e letterarie
dalla metà del V ai primi decenni del VII secolo su cui rimando a Mazza, L’archivio degli
Apioni..., spec. 47-75. Tra i membri della casata si contano uno degli ultimi consoli ordinari
dell’impero e un «comes sacrarum largitionum» sotto Giustiniano. La famiglia, in un primo
tempo monofisita, dal regno di Giustino I e Giustiniano in poi è di salda fede calcedoniana, anche se forse un ramo di essa, legato al Fayum, rimase aderente all’antica fede cf. R. Mazza,
“Noterelle prosopografiche in margine ad alcune pubblicazioni recenti riguardanti gli Apioni”,
Simblos 4 (2004) 266-7. Su altri membri dell’elite civica cittadina si veda N. Gonis, “Studies
in the Aristocracy of Late Antique Oxyrhynchus”, Tyche 17 (2002) 86-97.
31 Un tentativo di interpretazione dei ritrovamenti di papiri letterari è fatto da J. Krüger,
Oxyrhynchos in der Kaiserzeit. Studien zur Topographie und Literaturrezeption, Frankfurt am
Main - Bern - New York - Paris, Peter Lang, 1990. Cf. inoltre W.A. Johnson, Bookrolls and
Scribes in Oxyrhynchus, Toronto, University Press, 2004.
32 Cf. Andorlini Marcone, L’apporto dei papiri alla conoscenza..., nn. 16, 18, 20, 22.
33 Ib., nn. 30 e 31.
34 Cf. Ib., nn. 1, 68, 73, 74, 77, 96. A questi testi vanno aggiunti estratti farmacologici, ricette, manuali e prescrizioni varie cf. ivi nn. 103, 109, 113, 118, 136, 160, 183, 188, 190.
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cazioni a divinità pagane e i testi magici, di qualsiasi ambito di provenienza. Ma dove inserire ad esempio la letteratura filosofica ellenistica, compresa quella cristiana ovviamente? Inoltre si proietta meccanicamente su tali testi una distinzione per tipologie e generi, che spesso è
accompagnata da una valutazione di tipo classificatorio. Secondo questo modo di procedere, i vangeli, specialmente quelli canonici, sarebbero stati prodotti e letti da cristiani praticanti una religione “rispettabile”, mentre i testi magici o che presentano quelli che a noi paiono bizzarri sincretismi sarebbero stati riservati a cristiani incolti e/o praticanti in realtà una religione non cristiana, un cristianesimo deviante o falso
(come certe forme di gnosticismo, ad esempio). Questo atteggiamento
– che è anche il portato di un’organizzazione accademica che ha scorporato lo studio della letteratura cristiana dalle discipline della letteratura classica latina e greca – a mio modo di vedere rischia di compromettere la comprensione del fenomeno religioso antico e tardoantico,
perché in realtà imprigiona gran parte della letteratura religiosa antica
all’interno di categorie che risentono pesantemente dell’idea (posteriore e solo di alcuni cristianesimi) di scrittura sacra e normativa.35
Un secondo dato che induce a una riflessione è che troppo automaticamente si attribuisce il possesso di un testo appartenente a una determinata religione a un aderente a tale religione. Tale attribuzione mi
sembra lecita nel caso vi sia un contesto archeologico che chiaramente
indichi l’appartenenza a un determinato ambiente religioso o culturale:
la biblioteca di un tempio, ad esempio, la tomba di un sacerdote o di un
monaco, la biblioteca di un monastero. Ma in assenza del riscontro archeologico nulla vieta di pensare, ad esempio, che a Ossirinco nel III
secolo un colto pagano si procurasse copia di un testo evangelico, oppure che un fervente cristiano leggesse un inno a Iside. Inoltre va tenuto presente il diverso grado di adesione individuale a una religione,
nonché il fenomeno ampiamente attestato nel mondo del Mediterraneo
antico e tardoantico dell’adesione a culti diversi, non esclusivamente
in tempi diversi della propria esistenza.
35 Sulle implicazioni epistemologiche relative all’uso dei termini ’religione, religioni e
religioso’ nello studio dei fenomeni religiosi di culture diverse dalla propria o del passato
più o meno antico rimando a J.Z. Smith, “Religion, Religions, Religious”, in: M.C. Taylor,
Critical Terms for Religious Studies, Chicago, The University of Chicago Press, 1998, 26984; per la scrittura si veda anche D. Tracy, “Writing”, ib., 383-93. L’uso di tali categorie è
inevitabile, ma va secondo Smith chiarito da parte appunto degli scienziati caso per caso.
Penso che un approccio di tipo diverso nei confronti delle fonti porterà anche a un chiarimento e ridefinizione dei termini in questione per il periodo che qui ho affrontato: nel contesto di questo saggio ho utilizzato tali categorie in senso ampio. Do inoltre per acquisito il dato che anche quando utilizzati al singolare i termini ebraismo/giudaismo e cristianesimo stiano ad indicare una molteplicità di sistemi religiosi, con gradi di affinità e differenze tra loro
molto diversi.
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Un terzo elemento di difficoltà è rappresentato dalla datazione dei
testi letterari per due ordini di motivi. Innanzitutto i papiri letterari sono per lo più datati su base paleografica: ora nonostante la quantità di
materiale pubblicato e le tecniche papirologiche producano continui
miglioramenti in questo campo, imprecisioni e inesattezze rimangono
inevitabili. In secondo luogo va aggiunto che la data di redazione di un
manoscritto va disgiunta dal periodo di utilizzazione, di lettura del medesimo: un libro (così come un documento, un appunto, una lista) può
rimanere all’interno di una biblioteca un giorno, un anno, un secolo…
Nel caso dei papiri di Ossirinco ciò che è certo è che a un dato momento ciascuno dei testi ritrovati fu buttato, il frammento di poche righe
così come il lungo rotolo di conti, il Vangelo di Tommaso e quello di
Giovanni, gli amuleti e i ricettari dei medici, le lettere e molto altro ancora.
Tenendo conto di queste difficoltà mi pare comunque interessante ricordare brevemente la varietà dei testi cristiani restituiti dalle discariche della città, senza alcuna pretesa di redigere una lista completa e soprattutto senza alcuna implicazione statistica, poiché a mio
modo di vedere non ci sono i presupposti per un approccio di questo
tipo.36 I manoscritti contenenti opere letterarie cristiane datano dal II
secolo in poi. Sono attestati gran parte degli scritti poi entrati nel canone; scritture apocrife di vario genere, dai famosi frammenti greci
del Vangelo di Tommaso, a testi ancora più frammentari ed enigmatici come P.Oxy. X, 1224 e P.Oxy. V, 840, agli Atti di Paolo, all’Apocalisse di Pietro; letteratura patristica e scritti apostolici, tra cui spicca il Pastore di Erma, conservato in varie copie di diversa datazione;
omelie e trattati di certa o ignota attribuzione.37 Oltre ai testi letterari,
si è poi conservato un vasto dossier relativo alla gestione dei beni ecclesiastici;38 vi sono infine diverse lettere cristiane, calendari liturgi36 Un elenco esaustivo e completo della letteratura attestata ad Ossirinco dal tardo II al
VII secolo va infatti al di là degli scopi del mio saggio. È possibile a tale fine interrogare il
Leuven Database of Ancient Books, continuamente aggiornato, e consultabile on-line all’indirizzo <http://www.trismegistos.org/ldab/>. Si può inoltre fare riferimento a Krüger, Oxyrhynchos in der Kaiserzeit…cit., passim; per la letteratura cristiana cf. in particolare E.J. Epp, “The
Oxyrhynchus New Testament Papyri: «not without honor except in their hometown?»”, JBL
123/1 (2004) 5-55, che, nonostante il titolo, prende in considerazione la letteratura cristiana canonica e non. Il materiale andrebbe a mio modo di vedere posto in una prospettiva cronologica
dal punto di vista delle copie manoscritte: il fatto ad esempio che il pastore di Erma sia rimasto
in copie, depone a favore di una continuità di lettura di quest’opera. Mi riprometto di tornare
su questo punto in altra sede.
37 Cf. Epp, “The Oxyrhynchus New Testament Papyri...”, 14-18.
38 Non esiste una sintesi specifica relativa alla sola Ossirinco, ma lavori più generali
sull’Egitto tardoantico. Cf. E. Wipszycka, Les ressources et les activités économiques des églises en Égypte du IVe au VIIIe siècle, Brussels, 1972; Ead., Études sur le christianisme dans
l’Égypte de l’Antiquité tardive, Roma, 1996. Sul personale e l’organizzazione si veda inoltre
G. Schmelz, Kirchliche Amtsträger im spätantiken Ägypten nach den Aussagender griechischen und koptischen Papyri und Ostraka, München, K.G. Saur Verlag, 2002.
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ci, nonché filatteri, formulari iatromagici e amuleti come quelli qui
analizzati.39
Discorso a parte andrebbe fatto per gli scritti comuni a cristianesimo
e giudaismo: nonostante la ricerca di criteri distintivi quali l’uso del rotolo o del codice e l’uso e la forma dei «nomina sacra», rimane a mio
modo di vedere ancora complesso distinguere quali fossero i confini tra
ebraismo e cristianesimo, per lo meno in età precostantiniana, e di conseguenza sapere per certo a chi sia appartenuta una copia della bibbia
ebraica greca.40 Nonostante le difficoltà incontrate dall’ebraismo egiziano, soprattutto dopo i conflitti di età traianea ed adrianea, è comunque attestata una presenza continuativa di ebrei nel paese, compresa Ossirinco al centro dei nostri interessi. Nella seconda metà del VI secolo
c’era almeno una sinagoga – non si sa se in città o in un altro centro del
nomo – collocata in ambienti appartenenti alla potente famiglia degli
Apioni (i cui membri, come si ricordava, erano calcedoniani convinti e
fedeli alla casa di Giustino), all’interno della cui contabilità è registrato
il pagamento dell’affitto di locali evidentemente adibiti a quest’uso.41
E tuttavia l’ostilità nei confronti della comunità ebraica dovette
senz’altro radicalizzarsi nel corso del II secolo, per poi assumere forme
nuove nel corso dei secoli successivi, con la definizione dei confini tra
cristianesimo e giudaismo. La codificazione giustinianena, poi, dovette peggiorare ulteriormente la condizione degli ebrei, nonostante la
presenza di spazi di convivenza attestati da fonti come il conto appena
ricordato. A Ossirinco, in particolare, ancora nel III secolo si celebrava
una festa in memoria della vittoria sugli ebrei.42 La presenza tra i testi
ossirinchiti dei cosiddetti atti dei martiri alessandrini43 e quella di al39 Sui calendari cf. P.Oxy. XI, 1357 = van Haelst, Catalogue..., n. 961 = LDAB 6290. Il
testo è stato ripubblicato da A. Papaconstantinou, “La liturgie stationnale à Oxyrhynchos dans
la première moitié du VIe siècle. Réédition et commentaire de POxy XI 1357”, Revue des études byzantines 54 (1996) 135-59; per le lettere cf. M. Naldini, Il Cristianesimo in Egitto: lettere private nei papiri dei secoli II-IV, Fiesole, 19982.
40 Ovviamente sono valide anche in questo caso le osservazioni che ho sopra esposto a
proposito dell’appartenenza di un manoscritto a un aderente a un determinato gruppo religioso.
Sui criteri di distinzione tra manoscritti cristiani ed ebraici esiste oramai una letteratura sterminata e un dibattito acceso, rimando per la bibliografia alla recente messa a punto di Hurtado,
Earliest Christian Artifacts... Sulla Bibbia ebraica a Ossirinco cf. anche Epp, “The Oxyrhynchus New Testament Papyri...”, 18-20. Non condivido tuttavia la posizione di fondo dei due
autori, che – a mio modo di vedere – accettano senz’altro in modo poco problematico la tesi
dei criteri di distinzione “fisica” dei manoscritti appartenenti all’una o all’altra religione e di
conseguenza (o a priori?) la distinzione tra ebraismi e cristianesimi già a partire dal II-III secolo. Mi riservo di affrontare questi temi in modo approfondito nella recensione al sopracitato libro di Hurtado, in corso di stesura.
41 P.Oxy. LV, 3805, 56-57 (di poco posteriore al 567). Cf. R. Mazza, “Documenti
dall’Egitto relativi agli Ebrei (V-VII secolo)”, ASE 17/2 (2000) 383-94.
42 Mazza, “Documenti dall’Egitto...”, 383.
43 Il corpus è stato raccolto da H.A. Musurillo, The Acts of the Pagans Martyrs. Acta
Alexandrinorum, Oxford, Clarendon Press, 1954 (con varie ristampe successive); cf. anche D.
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meno un dialogo anti-giudaico44 testimoniano che l’antigiudaismo era
condiviso da ambienti pagani e ambienti cristiani, con motivazioni e
forme differenti che tuttavia potevano senz’altro intrecciarsi, influenzarsi e rafforzarsi a vicenda. Il distacco dall’ebraismo e il conseguente
antigiudaismo cristiano è a mio modo di vedere icasticamente rappresentato in un amuleto del VI secolo, P.Oxy. VIII, 1077, che mi pare interessante prendere in considerazione anche perché aiuta a comprendere e chiarire i processi di rielaborazione “funzionale” dei testi evangelici nel periodo tardoantico. Si tratta di una citazione di Mt 4,23-24, come vedremo modificato, o meglio compendiato, ma non troppo. La
scrittura è tracciata in forma di croce in quattordici dei quindici riquadri ottenuti da una piccola striscia di pergamena (6 x 11,1 cm) che, come risulta dall’immagine in «editio princeps», doveva essere stata ripiegata (in tre e cinque parti rispettivamente in altezza e lunghezza) e
ritagliata, probabilmente per essere inserita in una piccola scatola o in
un pendente. Nel quindicesimo riquadro al centro si trova raffigurato
un busto umano. Riporto il testo:
«∆Iamatiko;n eujaggelivo(n) kata; Matqaivon (sic). Kai; perih'gen oJ
∆I(hvsou)" o{lhn th;n Galilevan didavskw(n) kai; khruvssw(n) to;
eujaggevlion th'" basileiva" k(ai;) qerapeuvw(n) pa'san novso(n) kai;
pa'san novson k(ai;) pa'san malakivan ejn tw/' law/'. K(ai;) ajph'lqen hJ
ajkoh; aujtou' eij" o{lhn th;n Surivan kai; proshvnenkan (sic) aujtw/'
pavnta" tou;" kakw'" e[conta" kai; ejqerapeuvsen aujtou;" oJ jI(hvsou)"».
Rispetto a Matteo vengono fatte le seguenti variazioni. Innanzitutto
il titolo: è chiaro che si tratta di un’inserzione del fabbricante dell’amuleto per dare maggiore potere e importanza al testo e anche per fare riferimento alla profilassi e guarigione dalle malattie che evidentemente
il possesso dell’amuleto doveva comportare. Viene poi inserito il soggetto, Gesù, subito dopo perih'gen, il che si spiega facilmente con la
necessità del riferimento alla divinità la cui forza viene evocata all’interno dei testi medico-magici: i versetti di Matteo hanno il soggetto
sottinteso, ma, decontestualizzati dal resto, diveniva necessario citare
Gesù. L’accusativo o{lhn th;n Galilevan è variazione presente in diversi manoscritti rispetto alla forma ejn più dativo. Pa'san novson è ripetuto due volte e si spiega ovviamente come dittografia causata dalla doppia presenza di pa'san. Davanti a tou;" kakw'" e[conta" è assente il
pavnta", dopo di che il redattore salta direttamente alla fine del versetto
24, per necessità di abbreviazione e compendio, e fa seguire a ejqeraHennig, “Zu neuveröffentlichten Bruchstücken der «Acta Alexandrinorum»”, Chiron 5 (1975)
317-35. Sui rapporti con la letteratura martiriale cristiana cf. da ultimo S. Ronchey, “Les
procès-verbaux des martyres chrétiens dans les Acta Martyrum et leur fortune”, MEFRA 112
(2000) 723-52 con ampia bibliografia anteriore.
44 P.Oxy. XVII, 2070 = van Haelst, Catalogue..., n. 1154 (III sec.).
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peuvsen aujtou;" il soggetto, Gesù, la cui forza divina viene così nuovamente richiamata per di più a chiudere il testo. L’omissione di ejn tai'"
sunagwgai'" aujtoi'" dopo didavskwn e prima di kai; khruvsswn è invece a mio modo di vedere molto significativa dell’ambiente di redazione dell’amuleto: nel VI secolo, per alcuni ambienti cristiani, in particolare vicini alla chiesa bizantina “ufficiale”, gli ebrei e le sinagoghe
fanno parte di un mondo nettamente separato da quello dei cristiani seguaci di Gesù. Gli ebrei sono coloro che non hanno riconosciuto Gesù
e ne hanno causato la morte in croce. Una parte del cristianesimo tardoantico si è appropriato del Dio ebraico, di gran parte delle Scritture,
e ha ormai dato vita a un sistema religioso nettamente separato e antagonista a quello delle sinagoghe.
Questo amuleto, pur conservando testimonianza della continuità di
alcune pratiche, come quella appunto di fabbricare oggetti dal potere
medico-magico, riflette a mio avviso una fase avanzata di cristianizzazione del territorio. Infatti, pur con modalità complesse e seguendo un
ritmo che dovette essere meno fluido di quanto siamo abituati a pensare, lentamente ma inesorabilmente gli abitanti della città e del suo territorio aderirono in gran parte al cristianesimo istituzionalizzato. I papiri documentari relativi alla chiesa cittadina e ad altre istituzioni ecclesiastiche costituiscono oramai un ricco dossier – come si diceva sopra – che attesta la strutturazione graduale della chiesa locale, le attività e gli interessi delle istituzioni ecclesiastiche del territorio, compresi
i monasteri. Le carte provenienti dagli archivi delle famiglie aristocratiche della zona testimoniano, a loro volta, il finanziamento e supporto
di un numero altissimo di chiese, monasteri, nosocomi e cappelle disseminati non solo all’interno della polis, ma anche in villaggi e insediamenti minori del nomo.45 Questa immagine di diffusione capillare di
edifici sacri e personale ecclesiastico è confermata anche dalle fonti
letterarie tardoantiche. In particolare Ossirinco e il suo territorio sono
ricordati come fiorenti centri monastici. Vale la pena riportare in traduzione il capitolo V della Historia Monachorum in Aegypto:
«1. Giungemmo quindi a Ossirinco, città della Tebaide, di cui non è
possibile riportare debitamente le meraviglie. Infatti (la città) al suo
interno è talmente piena di monasteri, che le mura son fatte risuonare
dai monaci stessi ed è circondata all’esterno da altri monasteri, così
da esserci un’altra distinta e vicina città esterna. 2. I templi e il campidoglio della città sono diventati dei monaci e in ogni angolo della
città abitavano i monaci. All’interno vi sono dodici chiese
(ejkklhsivai), essendo questa una grandissima città, nelle quali la fol45 Si tratta sia di fondazioni private sia di istituzioni ecclesiastiche, cf. J.P. Thomas, Private Religious Foundations in the Byzantine Empire, Washington, Dumbarton Oaks Studies
24, 1987, 59-110.
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la si raccoglie; vi sono poi le cappelle ( eujkthvria) dei monaci per ciascun monastero. E quasi di più rispetto ai cittadini laici erano i monaci che stavano alle entrate della città e nelle torrette delle porte. 4. Infatti cinquemila monaci, ci veniva detto, abitavano dentro le mura,
ma altrettanti stavano nel suo circondario al di fuori delle mura, e non
c’era momento del giorno o della notte in cui non compissero gli atti
di culto a Dio; infatti non c’era nessun abitante eretico o pagano nella
città, ma tutti insieme gli abitanti erano fedeli e seguivano la catechesi, sicché il vescovo poteva dare benedizione al popolo all’aperto in
pubblico. I loro magistrati, che sono munifici con il popolo, avevano
appostato nei pressi delle porte e delle entrate degli osservatori affinché, nel caso in cui apparissero degli stranieri bisognosi, li portassero
da loro per ricevere in carità di che sostenersi. E chi potrebbe riferire
la reverenza degli abitanti mentre guardavano noi altri stranieri avanzare attraverso il foro e ci si facevano incontro quasi come ad angeli?
Chi potrebbe enumerare la moltitudine innumerevole di monaci e
vergini? 6. Tutto quanto ho reso noto l’ho imparato precisamente dal
vescovo di lì, da cui sono retti diecimila monaci e ventimila vergini.
E quale fu la loro ospitalità e il loro amore nei nostri confronti, non
posso descriverlo: infatti i nostri mantelli erano logorati da quanti, da
ambedue le parti, ci tiravano a sé. 7. E là vedemmo molti e grandissimi padri che avevano doni differenti, gli uni la predicazione, gli altri
il genere di vita, altri ancora poteri e segni».
Al di là delle esagerazioni e di alcuni stilemi e motivi propri del genere letterario, questa fonte trova conferma nelle notizie desunte dai
papiri sopra ricordati: già alla fine del IV inizio del V secolo in città e
nel territorio circostante c’erano numerosi monasteri, chiese, e un vescovo;46 la popolazione cittadina è ritratta – certo in termini un po’
troppo irenici – come un unico corpo scevro da eretici e pagani e governata da un’aristocrazia locale a sua volta devota all’ortodossia, dato
senz’altro reale, almeno in parte, come risulta dagli archivi locali. La
notizia della mutazione d’uso dei templi, come si diceva, si trova anche
nei papiri. Un altro testo letterario, la Vita di Aphu, biografia in copto
del vescovo cittadino vissuto a cavallo tra IV e V secolo, conferma la
centralità del monachesimo nella storia del cristianesimo ossirinchite.
Prima di assurgere alla dignità episcopale l’uomo, soprannominato “il
potente” o “il fuoco”,47 aveva vissuto come anacoreta in mezzo a una
mandria di bufali. Anche nel periodo in cui resse l’episcopato egli rimase a vivere, seguendo lo schema monastico anacoretico, fuori dalla
46 Sui vescovi della città per ora attestati si veda A. Papaconstantinou, Sur les évêques
byzantins d’Oxyrhynchos, ZPE 111 (1996) 171-3.
47 Il primo appellativo è attestato nella Vita (31), il secondo gli è attribuito in un altro testo copto, La storia dei monaci presso Siene di Papnute (28 r). Un dato che va rilevato è che
nonostante la massiccia presenza monastica, rari sono i testi in copto provenienti dal sito, soprattutto se paragonati al coevo materiale in greco. Sarah J. Clakson, nel corso di un convegno
svoltosi a Oxford nel luglio del 1998 di cui non sono ancora stati pubblicati gli atti, ha dato notizia di circa quattrocento testi da pubblicare o ripubblicare.
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polis. La centralità del monachesimo all’interno del cristianesimo ossirinchite è confermata dai papiri: il repertorio ormai invecchiato di P.
Barison contava venti monasteri attestati nei papiri ad Ossirinco.48
Torniamo a questo punto a P.Oxy. XI, 1384 e proviamo a immaginarne il possibile autore. Egli (o ella) viveva in una città49 con le caratteristiche che abbiamo visto. Per limitarci ai temi del papiro, a Ossirinco sicuramente operavano dei medici, ma anche guaritori di altro genere. L’uomo (o la donna) conosceva i metodi terapeutici di ambedue le
categorie; il nostro autore, pur non essendo uno scriba esperto, aveva
familiarità con la scrittura e la lettura e frequentava, oltre che i testi di
medicina, anche la letteratura cristiana coeva. Pur con tutte le difficoltà
e le cautele necessarie, mi pare che questo ritratto potrebbe corrispondere a quello di un monaco o comunque di una persona vicina agli ambienti monastici, la cui cultura religiosa presentava un’interessante
commistione di tradizioni e saperi diversi, radicati nella secolare cultura ellenistico-egiziana.
Le fonti attestano l’attività di cura esercitata da monaci e «holy
men» in Egitto. Accanto a prassi guaritive quali la preghiera e riti miracolosi, sappiamo che ai monasteri erano collegati spesso ospedali e
farmacie. Una curiosità è rappresentata, a tale proposito, da PSI I, 49,
del VI secolo, in cui il monaco Isakios scrive ad Eulogios di essere riuscito a trovare presso il medico una quantità di oppio che si era subito
affrettato a spedirgli. Tra i monaci di Nitria, come riporta l’Historia
Lausiaca (7,4), vi erano dei medici. La stessa opera (13,1) descrive la
forma di ascesi di Apollonio, il quale aveva deciso di usare i suoi beni
per comprare medicine e provviste per i confratelli malati, segno che la
guarigione, anche tra i santi uomini, non veniva assicurata solo per tramite miracoloso ma anche grazie ai farmaci.
D. Frankfurter nel suo volume sulla religione nell’Egitto romano
ha parlato diffusamente di un legame di continuità esistente tra le antiche famiglie sacerdotali e la nascente struttura ecclesiastica, soprattutto monastica.50 A suo modo di vedere molti aspetti della cultura religiosa ellenistico-egiziana si trasmisero al cristianesimo anche per questo tramite; a sostegno della sua teoria egli ha citato, tra gli altri, il caso
interessante di Marco e Isaia, primi successori di Macedonio, protovescovo di File, i quali erano figli del sacerdote della divinità locale. Il
racconto, inserito nella Storia dei monaci presso Siene di Papnute, si
dilunga sui particolari della conversione dell’intera famiglia, prima dei
48 P. Barison, “Ricerche sui monasteri dell’Egitto bizantino ed arabo secondo i documenti dei papiri greci”, Aegyptus 18 (1938) 29-148.
49 O si trovava a passare da una città, come detto sopra.
50 D. Frankfurter, Religion in Roman Egypt. Assimilation and Resistance, Princeton University Press, Princeton 1998.
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due ragazzi e poi del loro padre, l’archiereus, e quindi dell’intera comunità circostante. L’archiereus in particolare si decide quando vede
Macedonio guarire miracolosamente la zampa spezzata di un cammello. Il ruolo di “mago” ossia di esperto in rituali magico-religiosi è in
Egitto, secondo Frankfurter, uno dei maggiori elementi di attrazione
verso il cristianesimo. Spesso gli stessi esponenti del monachesimo
egiziano riconoscevano la potenza degli incantesimi dei propri antagonisti pagani: secondo quanto riportato da Besa, biografo di Shenute, il
mulo sul quale un giorno l’archimandrita viaggiava per andare a distruggere degli idoli si rifiutava di proseguire il cammino quando arrivava in un punto della strada in cui i pagani avevano seppellito “incantesimi”. Shenute allora li fece raccogliere dal proprio servo con l’intenzione non di distruggerli, come potremmo aspettarci, ma di appenderli
al collo dei suoi avversari, dimostrando che perfino lui credeva al potere dell’antica magia pagana.
Il nostro papiro, a mio avviso, testimonia proprio questa reciproca
interazione tra pratiche e credenze di lunga durata in Egitto e il portato
del cristianesimo. Le qualità di mago e operatore di miracoli di Gesù,
come attestato nel caso del brano “evangelico”, e la potenza del Dio
Iao Sabaoth del secondo testo, legato anche alla potente “magia” degli
ebrei, esercitarono un indubbio fascino sulla popolazione di un paese
in cui religione e magia – due categorie che sono il frutto della moderna separazione degli ambiti – furono da sempre legati saldamente. A
questo proposito vorrei tra l’altro attirare l’attenzione sul capitolo VI
della Historia Monachorum, subito successivo a quello sopra riportato
in traduzione. I protagonisti del viaggio, infatti, incontrano nei pressi
della città appena descritta Theon, che secondo la fonte conosceva latino, egiziano e greco e che, praticando l’ascesi del silenzio, scrive su
una tavoletta parole in lode del signore all’arrivo dei visitatori. Ora non
è possibile accertare il grado di cultura di questo anacoreta, è assai difficile capire cosa significhi davvero conoscere latino, egiziano e greco
e tuttavia di certo egli è in grado di farsi comprendere per iscritto.
In conclusione vorrei riconsiderare in breve e parallelamente
P.Oxy. XI, 1384 e gli altri tre testi magico-religiosi considerati e provenienti dalla città: P.Oxy. VIII, 1077, P.Oxy. VII, 1060 e P.Oxy. VI,
924. Questi papiri, infatti, hanno in comune una funzione legata alla ritualità magico-religiosa di protezione e cura dal male – male che in tre
casi si identifica con malattie vere e proprie, in un caso con la presenza
di insetti e rettili in casa e la conseguente minaccia fisica da essi rappresentata. Ma ciascuno dei testi rivela, se analizzato nei contenuti,
una cultura religiosa e – in tre casi – un rapporto coi testi piuttosto articolato e non privo di differenze anche sostanziali. Queste fonti invitano a porsi degli interrogativi importanti sul rapporto che i cristiani
dell’età antica e tardoantica hanno intrattenuto con il divino e i propri
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testi di riferimento, nonché a porsi domande su ciò che è andato perduto, sui “cristianesimi perduti”, che forse, rivolgendoci anche a papiri
come questi – o considerando i testi davvero come testi e non semplicemente come opere letterarie – possiamo tentare di recuperare.
Roberta Mazza
Dipartimento di Discipline Storiche
Università di Bologna
piazza San Giovanni in Monte, 2
IT-40124 Bologna
[email protected]
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