Lavoro agricolo ed indennità di disoccupazione
Transcript
Lavoro agricolo ed indennità di disoccupazione
Licenziamento del dipendente che si ammala spesso: illegittimo Renzo La Costa Licenziare un dipendente che si assenta spesso per malattia, ritenendo che non sia possibile utilizzare proficuamente la prestazione lavorativa, non è legittimo. Specie se con tali ripetute malattie non si è superato il periodo di comporto. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con sentenza nr. 1568/2013. La Corte d’appello in riforma della sentenza del Tribunale, aveva dichiarato illegittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo di un dipendente di una società. Il licenziamento era stato motivato dalla frequenza, cadenza, durata delle assenze maturate dal lavoratore che rendevano oggettivamente impossibile utilizzare proficuamente la sua prestazione di lavoro in relazione alle esigenze organizzative produttive dell'azienda. La società aveva comunicato che era, pertanto, venuto meno definitivamente il suo interesse a proseguire nel rapporto di lavoro in considerazione delle reiterate assenze per malattia che determinavano una prestazione di lavoro discontinua e non utile per l'azienda. La Corte territoriale ha osservato che le assenze erano state discontinue e a singhiozzo senza superare il periodo di comporto; che il licenziamento non aveva connotazioni disciplinari e che non era stata accertata l'inidoneità fisica del lavoratore, ma anzi il CTU nominato dal Tribunale aveva accertato la possibilità del lavoratore di rendere la sua prestazione in futuro quale operaio . La Corte, infine, discostandosi dalla decisione del Tribunale che aveva ricondotto la fattispecie all'articolo 1464 c.c., ha ritenuto applicabile nel caso in esame l'articolo 2110 c.c., norma speciale, con la conseguenza che il datore di lavoro non poteva recedere dal rapporto prima del superamento del periodo di comporto non sussistendo nella fattispecie un'inidoneità fisica del lavoratore sopravvenuta tale da far venire meno l'interesse del datore di lavoro alla prestazione. Art. 1464 Impossibilità parziale Quando la prestazione di una parte è divenuta solo parzialmente impossibile (1258), l'altra parte ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta, e può anche recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all'adempimento parziale Art. 2110 Infortunio, malattia, gravidanza, puerperio In caso d'infortunio, di malattia, di gravidanza o di puerperio, se la legge (o le norme corporative) non stabiliscono forme equivalenti di previdenza o di assistenza, è dovuta al prestatore di lavoro la retribuzione o un'indennità nella misura e per il tempo determinati dalle leggi speciali, (dalle norme corporative) dagli usi o secondo equità (att. 98). Nei casi indicati nel comma precedente, l'imprenditore ha diritto di recedere dal contratto a norma dell'art. 2118, decorso il periodo stabilito dalla legge (dalle norme corporative), dagli usi o secondo equità. Il periodo di assenza dal lavoro per una delle cause anzidette deve essere computato nell'anzianità di servizio. Avverso tale sentenza, ricorreva la società sostenendo che la Corte d'Appello era caduta in un palese vizio nell'individuazione della norma di legge applicabile costituita dall'articolo 2110 c.c. sul presupposto del suo carattere speciale rispetto alla norma generale dell' impossibilità sopravvenuta della prestazione, con conseguente preclusione al datore di lavoro di recedere prima del superamento del periodo di comporto. Rileva che la società aveva operato un recesso sulla premessa dell'inapplicabilità della disciplina di cui all'articolo 2110 c.c. sottolineando come ci si trovasse di fronte ad assenze che avevano assunto una frequenza, una cadenza e durata tali da rendere impossibile utilizzare proficuamente la prestazione di lavoro del dipendente in relazione alle esigenze organizzative produttive dell'impresa. Le censure mosse dalla società sono state ritenute infondate. La suprema Corte ha evidenziato che laedesima ha più volte enunciato il principio per i quale "la malattia del lavoratore, tanto nel caso di una sola affezione continuata, quanto in quello del succedersi di diversi episodi morbosi (cosiddetta eccessiva morbilità), e' soggetta alle regole dettate dall'articolo 2110 cod. civ., che prevalgono, per la loro specialità, sia sulla disciplina generale della risoluzione del contratto per sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione lavorativa, sia sulla disciplina limitativa dei licenziamenti individuali. Ne consegue che il datore di lavoro, da un lato, non può recedere dal rapporto prima del superamento del limite di tollerabilità dell'assenza (cosiddetto periodo di comporto), il quale e' predeterminato per legge, dalla disciplina collettiva o dagli usi, oppure, in difetto di tali fonti, determinato dal giudice in via equitativa, e, dall'altro, che il superamento di quel limite e' condizione sufficiente di legittimità del recesso, nel senso che non e' necessaria la prova del giustificato motivo oggettivo ne' della sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa, ne' della correlata impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse. Deve pertanto, affermarsi anche nella fattispecie in esame, nella quale non vi e' stato superamento del periodo di comporto ne' accertamento dell'inidoneità fisica del lavoratore a svolgere le mansioni per le quali e' stato assunto, ma risulta denunciato soltanto il fenomeno di malattie intermittenti; l'incidenza delle assenze per malattia del dipendente e' regolata unicamente dall'articolo 2110 cod. civ. che si pone in rapporto di specialità, e quindi di deroga, sia rispetto alle norme degli articoli 1256 e 1464 cod. civ., sia rispetto a quella della Legge 15 luglio 1966, n. 604, articolo 3. La Corte d'Appello si e' attenuta ai suddetti principi facendone corretta applicazione. Ha rilevato che "le assenze del lavoratore sono state discontinue, reiterate ed a singhiozzo, senza peraltro superare il periodo di comporto .....e senza dare origine ad alcuna contestazione disciplinare. Non risultano infatti assenze ingiustificate a seguito di visita di controllo, che non abbia confermato la patologia o non abbia reperito il lavoratore; del resto l'effettività delle patologie e' stata confermata, in sede di escussione testimoniale dal medico curante...". La Corte ha, altresì, rilevato che il datore di lavoro non aveva in alcun modo provato che "le assenze dell'appellante fossero più rilevanti, a livello organizzativo, di quelle dei colleghi" pur essendo oggetto di contestazione l'impossibilita' di utilizzare la prestazione lavorativa "in relazione alle esigenze organizzative e produttive" dell'azienda. Ha, quindi, concluso richiamando l'articolo 2110 c.c. ed il suo carattere speciale rispetto alla norma generale dell'impossibilita' sopravvenuta (articolo 1464 c.c.) e sulla disciplina limitativa dei licenziamenti. Le censure della ricorrente pertanto , non sono state ritenute idonee ad invalidare la decisione impugnata con conseguente rigetto del ricorso.