I Professionisti dell`Antimafia Un precursore
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I Professionisti dell`Antimafia Un precursore
I Professionisti dell’Antimafia Un precursore: Michele Pantaleone Giuseppe Pracanica l 17 luglio del 1943 il generale Patton, che da poco aveva occupato Porto Empedocle ed Agrigento, invece di sostenere, come previsto dal piano di invasione, lo sforzo degli inglesi che, impantanati attorno a Catania, non riuscivano a raggiungere Messina, volò a Tunisi per incontrare il generale Alexander, per chiedergli l’autorizzazione ad occupare Palermo. Alexander bocciò la proposta, ma dopo aver capito che il generale americano avrebbe fatto di testa sua, per evitare ulteriori guai, ritornò sulle sue decisioni ed approvò la richiesta. Fu l’11° Corpo d’Armata del generale Omar Bradley a marciare verso nord attraversando il centro dell’isola. A proposito della facilità con cui queste truppe avanzarono, Pantaleone sostiene che “la mafia s’adoperò per tenere sgombra la via da un mare all’altro, tanto che le truppe di occupazione avanzarono nel centro dell’Isola con un notevole margine di sicurezza”. Tale sicurezza, invece, derivava da ben altri fattori. Su quella strada non esistevano assolutamente apprestamenti difensivi; inoltre il comandante delle forze dell’Asse, gen. Guzzoni, giudicando insostenibile una ulteriore difesa della zona occidentale della Sicilia, aveva emanato l’ordine di abbandonare le Madonie e ripiegare verso i Peloritani. Infine molti reparti italiani erano svaniti nel nulla per la possibilità, che era stata data ai siciliani, di consegnarsi per esser rilasciati sulla parola e così ritornare a casa. Era stato il gen. Bradley, visto il gran numero di prigionieri, oltre 20.000, tra cui moltissimi siciliani, che creavano non pochi problemi nella gestione dei campi di prigionia, ad assumere tale decisione, anche in considerazione che era tempo di raccolti, 37 moleskine I Don Calogero Vizzini nominato sindaco di Villalba dagli americani dopo lo sbarco in Sicilia Soldati americani, avvalendosi di mezzi di locomozione messi a disposizione dalla mafia, occupano un paese dell’Isola moleskine 38 e che sarebbe stato difficile per gli Alleati sfamare tutti i siciliani, militari e non. Narra ancora Pantaleone che il 14 ed il 15 luglio, cioè due giorni prima che Patton ottenesse l’autorizzazione a marciare su Palermo, un caccia dell’aviazione americana gettò su Villalba una borsa di nylon che conteneva un foulard giallo con una grande L nera, da consegnare a don Calogero Vizzini. Data la grande importanza che aveva il fazzoletto (sic), gli americani cercarono di farlo pervenire a Vizzini utilizzando anche una jeep, tuttavia con scarsa fortuna. Anche se l’episodio riferito ha, per Alfio Caruso, più il sapore di “leggenda” che di fatto storico, privo com’è di riscontri sia da parte americana che da altre fonti, si riporta per il grande scalpore che suscitò al momento della pubblicazione del libro di Michele Pantaleone, “Mafia e politica” nel 1962, peraltro presentato da Ferruccio Parri. Scrisse ancora Pantaleone che la stessa sera del 15 luglio un contadino partiva a cavallo da Villalba per portare un messaggio a Genco Russo, a Mussomeli, con l’ordine di inghiottirlo se fosse stato fermato. Nel biglietto, scritto di pugno da don Calogero Vizzini, notoriamente analfabeta, si leggeva: “Curatulu Turi partitu cu li vitiddazzi, pi la fera di Cerda martitì iorno 20. lu partirò lu stissu iornu cu li vacchi, li voi di carrozzu e lu tavaru. Priparati l’ardimi pi fari lu fruttu e li mannari pi riparar! li pecuri. Avvertiti l’autri curatuli di tinirisi pronti. Pi lu quagghiu ci pinsavu iu”. E Pantalone, sempre nel libro, lo interpreta così :”Con caratteristico gergo simboleggiante della mafia, don Calò mandava a dire che il giorno 20 un certo Turi, pezzo da 90 della zona di Polizzi Generosa [...J avrebbe accompagnato le divisioni motorizzate fino a Cerda, mentre lui stesso sarebbe partito lo stesso giorno con il grosso delle truppe (li vacchi), i carri armati (li voi di carrozzu) e lu tavaru (il toro, cioè il comandante in capo). Che gli amici preparassero focolai di lotta e gli eventuali rifugi per le truppe (li mannari pi riparari li vacchi)”. Il fatto che Pantaleone conoscesse l’esistenza di un messaggio segretissimo ed il suo contenuto fa sorgere qualche dubbio: come poteva conoscerne il contenuto visto che, a suo dire, egli era acerrimo nemico di don Calogero Vizzini? Appare più probabile, ammesso che questo messaggio sia mai esistito, che a scriverlo sia stato lui stesso, sotto dettatura di Calogero Vizzini, di cui in quel periodo era fedele collaboratore. Narra ancora Pantaleone che il pomeriggio di giorno 20 luglio, tre carri armati americani giunsero a Villalba per prelevare don Calogero Vizzini. Su uno di essi era issato il vessillo giallo oro con al centro una grande L nera, perché molto probabilmente al suo interno sì trovava Luciano, cosa, invece, ovviamente impossibile perché in quel momento Luciano era in carcere negli Stati Uniti a scontare una condanna da 30 a 50 anni e da dove uscirà nel 1946 per essere espulso verso Michele Pantaleone stesso è avvenuto nel caso dì Tommaso Buscetta”. Quindi, secondo Pantaleone, Vìzzinì svolse, sostanzialmente, il ruolo che l’esercito americano, al tempo della conquista del West, affidava agli scouts. “Del resto, l’occupazione militare della Sicilia era finita con il ricongiungimento delle truppe a Cerda”, ma anche in questo caso Pantaleone sbaglia. Agli Alleati occorsero altri 25 giorni di durissimi combattimenti per arrivare a Messina. Keyes giunto al bivio di Cerda, con o senza il consiglio di don Calogero, ordinò alla 2a Divisione del Magg. Gen. H. J. Gaffey di puntare su Palermo. Nel frattempo, la 3a, al comando del gen. Truscott, nonostante le strade fossero quasi completamente intransitabili, continuava la sua marcia verso Corleone e S. Giuseppe Jato. Il 22 luglio sia la 2a che la 3a divisione entrarono a Palermo e lo stesso giorno Patton, accompagnato dal col. Charles Polettì, vice responsabile dei Civil Affairs dell’AMGOT per la Sicilia occidentale, prendeva possesso di Palazzo dei Normanni. Il giorno successivo i ‘Provisionai Corps’ liberavano l’angolo occidentale della Sicilia. Marsala, Trapani e Castellammare caddero senza resistenza alcuna. I rapporti tra Pantaleone e Vizzini vennero alla luce alla fine del 1970, come conseguenza di un dibattito tra Leonardo Sciascia, Michele Pantaleone e l’on. Cattanei, allora presidente della Commissione Antimafia, ospitato sul settimanale “L’Europeo”, sul tema dei rapporti tra mafia e politica. Pantaleone, durante il suo intervento, faceva riferimento, in particolare, all’on. Bernardo Mattarella, accusandolo, tra l’altro, di aver ottenuto agevolazioni di carriera per i suoi fratelli e inoltre di aver sollecitato numerose assunzioni presso il comune di Castellammare del Golfo. L’on. Mattarella rispondeva con una lettera di chiarimenti pubblicata sullo stesso settimanale, nella quale, dopo alcune preliminari puntualizzazioni, concludeva affermando: “Mentre io non ho mai collaborato in nessuna occasione, e a nessun livello, con elementi considerati mafiosi, in un certo momento l’onorevole Pantaleone lo ha invece fatto, nel movimento separatista che io ho vigorosamente combattuto e che aveva attorno a sé raccolto, assieme ad onesti cittadini, tutta la mafia isolana. Egli fu in esso accanto a don Calogero Vizzini che, essendo sindaco di Villalba, lo ebbe pure al suo fianco come vicesindaco”. Sempre su “L’Europeo”, il successivo mese di gennaio veniva riportata sia la lettera di risposta del Pantaleone, già 39 moleskine l’Italia. Don Calò salì su uno dì essi e, sempre secondo quanto riferito da Pantaleone, si limitò ad “accompagnare” una delle due colonne in cui si era divisa la VII armata americana fino al bivio di Cerda e qui giunto, fece ritorno a Villalba. Scrive Pantaleone “La sua missione era finita, al bivio di Cerda terminava la zona della mafia dei feudi, che aveva come centro la provincia di Caltanissetta e su cui egli aveva giurisdizione; più oltre era la mafia dei mulini e dei pastifici, controllata dalla feroce e autorevole mafia di Caccamo, e più avanti ancora, era la zona di Palermo, zona degli orti e degli agrumeti, dominio assoluto della mafia dei giardini. Don Calogero sapeva di potersi considerare, per prestigio ed iniziativa, ma non ancora per virtù di esplicita designazione delle varie mafie, il capo della “onorata società” di tutta l’isola, ma sapeva anche come fosse buona norma di tutte le cosche il non uscire, senza il previo e reciproco consenso, dai propri confini, sicché, cautamente, stimava prematuro assumere la direzione di tutta l’operazione, anche fuori dai suoi confini”. Giovanni Falcone ha avanzato molti dubbi sul fatto che don Calogero Vizzini sia stato capo di tutta “l’onorata società” dell’Isola. Infatti nel libro Cose di Cosa Nostra, curato dalla giornalista Marcelle Padovani, si legge che “personaggi leggendari in seno a Cosa Nostra, come don Calogero Vizzini o Giuseppe Genco Russo o Vincenzo Rimi sono rimasti soldati a dispetto della loro influenza e del loro prestigio. Lo moleskine 40 pubblicata su “L’Ora” di Palermo il 30-31 dicembre 1970, che l’ulteriore replica di Mattarella. Nella lettera, Pantaleone riassumeva un vecchio articolo di Eduardo Rossi (qualcuno sostiene che questo Eduardo Rossi non sia mai esistito e che dietro tale nome si nascondesse lo stesso Pantaleone), già pubblicato su l’”Avanti” del 27 aprile 1954, sotto il titolo “Un ministro che non potrebbe fare l’appuntato dei carabinieri”. Pantaleone vi aveva poi aggiunto alcune nuove accuse, tra cui quella che Mattarella, nel 1944, avesse difeso “gli aggressori di Villalba”, in un articolo pubblicato sul quotidiano della Democrazia Cristiana “II Popolo”. Pantaleone si riferiva al notissimo episodio accaduto a Villalba il 16 settembre 1944, quando un comizio tenuto dal segretario regionale del PCI, dott. Girolamo Li Causi, lui presente, fu interrotto da una violenta sparatoria da parte di “amici” di don Calogero Vizzini, cui dalla controparte si rispose anche con le armi. Per tale episodio furono incriminati, assieme a molti altri, sia don Calogero Vizzini che lo stesso Michele Pantaleone. Per legittima suspicione il processo fu trasferito da Caltanissetta a Cosenza. Nell’articolo di Mattarella si leggeva: “A chi risalgono le responsabilità del triste incidente di Villalba, che soprattutto noi, che dalla violenza abbiamo sempre rifuggito, non possiamo che deplorare e condannare, ancora non è stato interamente accertato. […]. Ma è bene sin da ora precisare che […] la sua vera causa determinante sta nel conflitto di due famiglie che nel piccolo centro si contendono il primato ed il potere”. E più avanti: “I reazionari sono anche nel movimento socialista di Villalba, perché il geom. Pantaleone, che è a capo di quella minuscola Sezione, è stato separatista deciso ed agguerrito come fu prima fascista, come il gruppo di giovani che gli sta accanto”. Pantaleone si difendeva dalle accuse lanciategli dal Mattarella, affermando: “Circa la mia appartenenza al Movimento separatista e la collaborazione con Calò Vizzini, sindaco di Villalba, il Mattarella dice cosa non vera, ovvero inesatta”. L’inesattezza cui si riferiva Pantaleone riguardava il fatto che egli non era stato vice sindaco, carica allora non esistente, ma solo delegato del sindaco (major) di Villalba, don Calogero Vizzini. L’on. Mattarella, ribadendo le accuse nei confronti di Pantaleone, ricordava che la vicinanza a Calogero Vizzini era stata confermata da due sentenze. Nella sentenza della Corte d’Assise di Cosenza, si leggeva: “Era stato il Pantaleone, fino a non molto tempo prima, amico e cooperatore devoto di Don Calogero allora sindaco di Villalba... […] Il Pantaleone allontanandosi, come più volte ha fatto, dalla verità, ha cercato di sostenere che egli divenne ostile a Don Calogero e ai di lui parenti quando si accorse che essi amministravano la cosa pubblica nel proprio interesse e dopo aver trovato tra le carte del suo defunto padre, che era avvocato, diversi documenti, da cui risultava che Don Calogero era stato qualificato dai Comandi dei CC e dal Procuratore del Re di Caltanissetta, persona pericolosa e mafiosa, ma la menzogna è evidente, perché per conoscere Don Calogero, il Pantaleone, villalbese al par di lui, non aveva proprio bisogno di consultare le carte paterne, e perché, se l’esperienza comune può insegnare qualche cosa, 41 moleskine Bernardo Mattarella non v’è da dubitare che in Villalba come in tutti piccoli centri del mezzogiorno, è assai difficile che alcuno abbia mai amministrato la cosa pubblica se non nel proprio interesse”. Anche la Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro, lo definiva “intimo amico del Vizzini”. Mattarella scriveva inoltre: “II Pantaleone scrive che io ho affermato il falso circa il suo passato separatista e la sua collaborazione con Calogero Vizzini: rispondo che egli mentisce. E per dimostrarlo non mi rifaccio a ricordi personali, [...] ma (tra i tanti documenti) al giornale del PCI ‘La Voce Comunista’ che [...] scriveva testualmente nel numero 23 del 7 ottobre 1944 che ‘il Pantaleone era stato nel movimento separatista un semplice gregario, mentre nel numero successivo aggiungeva che, quanto al fascismo, il Pantaleone era stato “soltanto” iscritto al PNF dal 1932 e caponucleo dal 1938”. Il primo marzo 1971 l’on. Bernardo Mattarella decedeva per cui erano i figli, il fratello ed il nipote a querelare Pantaleone per diffamazione a mezzo stampa, per la lettera pubblicata su “L’Ora” di Palermo. Il Tribunale di Palermo lo condannava a otto mesi e dieci giorni di reclusione, condanna confermata in Appello. Mentre si era in attesa della decisione della Cassazione, le parti convenivano di affidarsi ad un Giurì d’onore, nominando giudice unico il prof. Giuseppe Chiarelli. Quest’ultimo, dopo aver esaminato le sentenze e tutta la documentazione ed aver preso atto della dichiarazione di rammarico e rincrescimento che l’on. Pantaleone, aveva scritto: “Si può con certezza affermare che quanto scritto sull’ “Avanti”, riprodotto nella lettera pubblicata su “L’Ora” del 30-31 dicembre 1970, e quanto nella lettera aggiuntovi, è destituito di fondamento”. Questa, infatti, era la dichiarazione dell’on. Pantaleone: “Dichiaro che pur militando in altro partito politico in opposizione a quello dell’on. Mattarella, con il quale vi furono vivaci polemiche fin dal 1944, non ho mai posto in discussione le sue doti personali e la portata della sua attività politica; dichiaro inoltre che quanto contenuto nell’articolo del giornale “Avanti” a firma di Eduardo Rossi da me riprodotto, nonché nella lettera inviata al giornale “L’Ora” del 30-31 dicembre 1970, è rimasto privo di conferma nel corso della vicenda giudiziaria seguitane; esprimo vivo rammarico e rincrescimento per i riflessi negativi che la pubblicazione della citata lettera abbia avuto nei confronti dell’on. Bernardo Mattarella e della di lui famiglia”.
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