apri e stampa la sentenza - Giurisprudenza delle imprese

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apri e stampa la sentenza - Giurisprudenza delle imprese
N. R.G. 3629/2016
TRIBUNALE ORDINARIO di BOLOGNA
SEZ. SPECIALIZZATA DIRITTO SOCIETARIO-TRIBUNALE IMPRESE CIVILE
Nel procedimento cautelare iscritto al n. R.G. 3629/2016 promosso da:
CAMICERIA FRAY, assistita e difesa dall’Avv. Stefano DALLA VERITA’
RICORRENTE
contro
MAROL S.a.s. di Vignudelli Manuela e C., assistita e difesa dall’Avv. Michele
Angelo LUPOI
Marco FARI, assistito e difeso dall’Avv. Adriano SPONZILLI
RESISTENTI
Il Giudice dott.ssa Rita CHIERICI,
a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 15.09.2016,
esaminati gli atti di causa e le memorie difensive,
ha pronunciato la seguente
Con ricorso depositato l’11.03.2016, la società CAMICERIA FRAY S.r.l., con sede
in Casalecchio di Reno (BO), esponeva:
-di essere un’azienda di forte connotazione familiare, interamente retta dalla sua
fondatrice, Lucia PASIN, la quale si era sempre occupata in prima persona della
produzione, affiancata man mano dal collaboratore Marco FARI, assunto 19 anni
prima dopo la laurea e formato come responsabile commerciale dell’azienda (le altre
dipendenti, la figlia Silvia RANDI e Simona FERRARI, erano invece rispettivamente
addette alla contabilità e al gestionale di produzione);
-Marco FARI aveva comunicato le proprie dimissioni in data 4.1.2016, con
decorrenza dal 31.12.2015, con messaggio whatsApp trasmesso a Silvia RANDI,
figlia della titolare Lucia PASIN, in quel momento impossibilitata per ragioni di
salute ad occuparsi dell’azienda;
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ORDINANZA
Nella memoria di costituzione MAROL s.a.s. eccepiva la genericità delle deduzioni
svolte dalla ricorrente, in relazione sia alle informazioni riservate, sia allo sviamento
della clientela (non avendo controparte indicato il nominato dei clienti che sarebbero
passati da FRAY a MAROL); contestava in ogni caso la sussistenza degli illeciti
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-in occasione della fiera PITTI svoltasi tra l’11 e il 14 gennaio 2016 il FARI veniva
visto dai collaboratori di CAMICERIA FRAY S.r.l. presso lo stand della concorrente
MAROL s.a.s.;
-a seguito di un episodio avvenuto il 7.1.2016, relativo ad un tentativo di accesso
abusivo al conto corrente della società ricorrente tramite home banking, la stessa
incaricava un esperto informatico di effettuare l’analisi del computer in uso a Marco
FARI durante il suo impiego in FRAY: tale verifica evidenziava gli accordi intercorsi
sin dall’estate 2015, attraverso le comunicazioni di posta elettronica, tra il FARI e
MAROL s.a.s., in vista della sua assunzione presso quest’ultima società, e una serie
di contatti di lavoro intrapresi, già prima delle dimissioni, con MAROL s.a.s., per
fornirle alcune indicazioni commerciali e aziendali relative all’attività di FRAY,
nonché rapporti con i clienti di CAMICERIA FRAY, per presentare loro la
produzione di MAROL; venivano diffuse a costoro anche notizie relative alle
difficoltà dell’impresa, determinate dalle condizioni di salute di Lucia PASIN.
Alla luce di quanto esposto, la società ricorrente rilevava che il FARI si era reso
responsabile dell’illecita sottrazione di informazioni aziendali ex art. 98 c.p.i., sia
commerciali (relative ai nominativi dei clienti e dei fornitori, delle specifiche
tecniche dei prodotti acquistati, dei prezzi e dei termini di consegna abitualmente
applicati), sia tecniche (specifiche costruttive, misure, metodi di produzione di
articoli o particolari realizzati da FRAY, quali il collo “Miami”): tali informazioni
erano accessibili unicamente al FARI, quale unico dipendente che si occupava dei
rapporti con la clientela.
A parere della ricorrente, avvalendosi di tali informazioni, e sottraendo a FRAY
l’unico impiegato con funzioni di responsabile commerciale, MAROL s.a.s. aveva
posto in essere atti di concorrenza sleale ex art. 2598 n. 3 c.c., per sviare la clientela
di FRAY; inoltre, utilizzando le informazioni acquisite dal FARI, MAROL si era
appropriata dei pregi della concorrente, in violazione dell’art. 2598 n. 2 c.c., con
particolare riguardo all’impiego del collo “Miami” (oltre a concorrere con FARI nella
violazione dell’obbligo di fedeltà nei confronti del datore di lavoro ex art. 2105 c.c.).
La ricorrente chiedeva, quindi, disporsi inaudita altera parte la descrizione giudiziale
ex art. 129 c.p.i. dei sistemi informatici e telematici di proprietà e nella disponibilità
di MAROL e dei suoi collaboratori, nonché l’acquisizione presso la sede della stessa
società resistente di documentazione, anche cartacea, utile per l’accertamento dei
fatti; chiedeva, quindi, inibirsi a MAROL s.a.s. di continuare ad avvalersi della
collaborazione del FARI come responsabile commerciale o quantomeno nei rapporti
con la clientela già dal medesimo trattata per conto di FRAY e di utilizzare le
informazioni commerciali e tecniche di FRAY di cui era avvenuta la sottrazione, con
immediata cancellazione dai computer, oltre alla previsione di una penale e alla
pubblicazione del provvedimento ai sensi dell’art. 126 c.p.i.
Nella memoria di costituzione FARI Marco innanzitutto disconosceva il doc. 1
prodotto dalla ricorrente (lettera di dimissioni del 31.12.2016), rappresentando di aver
manifestato la volontà di dimettersi dalla CAMICERIA FRAY S.r.l. in un colloquio
avuto con la titolare e con la di lei figlia in data 17.9.2015, seguito da una lettera di
dimissioni del 30.09.2015, trasmessa con raccomandata a mano controfirmata per
accettazione dal datore di lavoro (doc. 5); precisava che col messaggio whatsApp del
4.01.2016, citato dalla ricorrente, il FARI aveva inteso confermare la propria volontà
di dimettersi, dinanzi alle insistenti richieste di Silvia RANDI di prolungare
ulteriormente il servizio; spiegava che la decisione di dimettersi era dipesa dalla
situazione di grave crisi aziendale in cui versava la società ricorrente sin dai primi
mesi del 2013, a causa di errate scelte di natura commerciale (tanto da aver fatto
ricorso dal marzo 2014 al contratto di solidarietà), cui si era aggiunta la grave
malattia della titolare.
Inoltre, FARI Marco contestava la liceità e l’utilizzabilità della prova acquisita dalla
ricorrente, costituita dalla relazione di consulenza informatica prodotta sub doc. 5,
realizzata (attraverso un dubbio procedimento di acquisizione di frammenti di
messaggi di posta elettronica rimasti memorizzati sul computer aziendale in copie
locali) con l’acquisizione di una serie di messaggi di posta elettronica transitati non
su un indirizzo e-mail aziendale, bensì sull’account privato e personale di Marco
FARI. Al pari di MAROL s.a.s., contestava poi la sussistenza degli illeciti dedotti
dalla ricorrente, in relazione alla sottrazione e all’impiego di informazioni riservate,
allo sviamento della clientela (non avendo controparte indicato il nominato dei clienti
che sarebbero passati da FRAY a MAROL), allo storno di dipendenti (non
configurabile nel caso del passaggio di un unico dipendente da un’impresa all’altra),
all’appropriazione di pregi (insussistente e non giuridicamente configurabile);
affermava l’infondatezza del ricorso, con riguardo non solo al fumus boni iuris, ma
anche al periculum in mora, in ragione dell’intervenuta cessazione, da alcuni mesi,
del rapporto di lavoro tra FRAY e FARI; rilevava l’assoluta arbitrarietà della
richiesta di inibitoria a MAROL di avvalersi dell’attività del proprio dipendente, che
non troverebbe fondamento né nell’art. 131 c.p.i., né nell’art. 2599 c.c.
Le domande proposte dalla società ricorrente sono infondate e debbono essere
rigettate.
Innanzitutto appare condivisibile la tesi del resistente FARI Marco, in relazione
all’inutilizzabilità e all’inammissibilità della consulenza tecnica informatica prodotta
da parte ricorrente, avente ad oggetto i messaggi di posta elettronica transitati
sull’account privato e personale del lavoratore, che hanno natura riservata e sono
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denunciati dalla ricorrente, con riguardo allo storno di dipendenti (non configurabile
nel caso del passaggio di un unico dipendente da un’impresa all’altra),
all’appropriazione di pregi (non giuridicamente configurabile, oltre che
insussistente); affermava l’infondatezza del ricorso, con riguardo non solo al fumus
boni iuris, ma anche al periculum in mora, in ragione dell’intervenuta cessazione, da
alcuni mesi, del rapporto di lavoro tra FRAY e FARI.
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totalmente sottratti anche al controllo del datore di lavoro, esperibile esclusivamente
sulla posta elettronica aziendale e durante lo svolgimento del rapporto di lavoro
(Cass. civ. n. 2722 del 23.02.2012); la circostanza che l’acquisizione abbia avuto ad
oggetto frammenti di messaggi di posta elettronica rimasti memorizzati in copie
locali sul computer aziendale già utilizzato dal FARI, durante la consultazione da
parte del titolare della casella di posta elettronica privata [email protected] (si veda
in proposito la consulenza informativa di cui al doc. 5 del fascicolo del ricorrente),
anziché attraverso l’accesso abusivo all’account di posta dell’interessato, non esclude
l’illiceità dell’acquisizione, avente ad oggetto comunicazioni riservate e inviolabili,
trasmesse nell’ambito di una corrispondenza privata, tutelata dall’ordinamento anche
nella forma della trasmissione informatica e telematica, ai sensi dell’art. 15 della
Costituzione e dell’art. 616 c.p.
L’inammissibilità della consulenza esclude, pertanto, la sussistenza dei presupposti
per l’accoglimento dei provvedimenti cautelari richiesti dalla società ricorrente,
inclusa la descrizione, la cui funzione di misura di istruzione preventiva, diretta ad
acquisire la prova della violazione del diritto, non ne comporta la natura esplorativa e
non può prescindere dalla sussistenza del requisito del fumus boni iuris. Peraltro, la
descrizione veniva richiesta in relazione all’illecito di utilizzazione abusiva di
informazioni aziendali e tecnico-industriali ex artt. 98-99 c.p.i., di cui tuttavia parte
ricorrente non ha neppure allegato la sussistenza dei requisiti di protezione, quanto
alla segretezza delle informazioni (nozione che fa riferimento ad una conoscenza
qualificata e a una non facilità di accesso da parte degli operatori del settore), al loro
valore economico (in ragione della posizione privilegiata assunta dall’impresa per
effetto del possesso esclusivo o quasi esclusivo delle informazioni rispetto ai
concorrenti che non possono accedervi) e all’adozione di misure di segretezza
(trattandosi di informazioni destinate a rimanere nell’ambito dell’impresa, attraverso
l’adozione di misure di tutela preventiva che attengono all’organizzazione interna).
Pertanto, la descrizione deve ritenersi inammissibile, e per questa ragione non veniva
disposta inaudita altera parte, a seguito del deposito del ricorso cautelare.
In mancanza del presupposto del fumus boni iuris le domande cautelari non possono
essere accolte neppure con riguardo agli illeciti di concorrenza sleale, rispetto ai quali
si osserva:
-in relazione allo storno di dipendenti denunciato dal ricorrente, non appare
sufficiente ad integrarlo il passaggio di un solo dipendente all’impresa della
resistente, seppur col ruolo qualificato di responsabile commerciale, in mancanza di
elementi oggettivi che evidenzino l’intento di danneggiare l’organizzazione e la
struttura produttiva del concorrente, di regola desumibile dall’elevato numero di
collaboratori qualificati che vengono stornati, su cui è prevalentemente fondata
l’organizzazione aziendale, e l’idoneità di tale atto a determinare una grave
disfunzione nello svolgimento della normale attività della concorrente, per essere tali
collaboratori non facilmente né tempestivamente sostituibili: proprio l’animus
nocendi, cioè lo scopo di diminuire l’efficienza dell’impresa del concorrente, è
l’elemento che porta a ravvisare la contrarietà ai principi della correttezza
professionale, e si concreta in un atto direttamente ed immediatamente rivolto ad
impedire al concorrente di continuare a competere, attesa l’esclusività delle nozioni
tecniche di cui dispongono i dipendenti stornati (Cass. civ. n. 9386 dell’8.06.2012;
Cass. civ. n. 13424 del 23.05.2008);
-in relazione alla concorrenza sleale per scorrettezza professionale, parte ricorrente
non ha neppure allegato quali dei clienti di FRAY sarebbero passati a MAROL, per
effetto dell’asserita condotta illecita dei resistenti; in ogni caso, non integra l’illecito
in questione l’acquisizione della clientela di altra impresa operante nel medesimo
settore, nell’ambito di un fisiologico rapporto di competizione concorrenziale;
-la pretesa concorrenza sleale per appropriazione di pregi non è giuridicamente
configurabile nei termini esposti dalla ricorrente, con riguardo all’utilizzo da parte di
MAROL di un articolo (in particolare, di un modello di collo per camicia) realizzato
dalla società ricorrente: si è infatti sostenuto che “La concorrenza sleale per
appropriazione dei pregi dei prodotti o dell’impresa altrui (art. 2598 n. 2 c.c.) non
consiste nell’adozione, sia pur parassitaria, di tecniche materiali o procedimenti già
usati da altra impresa (che può dar luogo, invece, alla concorrenza sleale per
imitazione servile), ma ricorre quando un imprenditore, in forme pubblicitarie od
equivalenti, attribuisce ai propri prodotti od alla propria impresa pregi, quali ad
esempio medaglie, riconoscimenti, indicazioni di qualità, requisiti, virtù, da essi non
posseduti, ma appartenenti a prodotti od all’impresa di un concorrente, in modo da
perturbare la libera scelta dei consumatori” (Cass. civ. ord. n. 100 del 7.01.2016);
- in ogni caso l’ipotesi di imitazione servile di cui all’art. 2598 n. 1 c.c. non appare
ravvisabile nel caso di specie, in quanto non sono stati adeguatamente allegati e
dimostrati né il valore individualizzante e distintivo della forma del prodotto, né
l’idoneità confusoria degli atti asseritamente posti in essere.
P.Q.M.
Visti gli artt. 669 bis e ss. c.p.c.;
-respinge il ricorso proposto da CAMICERIA FRAY S.r.l. nei confronti di MAROL
S.a.s. di Vignudelli Manuela e di FARI Marco;
-condanna CAMICERIA FRAY S.r.l. alla refusione, nei confronti di MAROL S.a.s.
di Vignudelli Manuela e di FARI Marco, delle spese di lite che si liquidano nella
misura di € 4.000,00 in favore di ciascuno di essi.
Si comunichi.
Bologna, 20 dicembre 2016
IL GIUDICE
Dott.ssa Rita Chierici
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Pertanto, in mancanza del requisito del “fumus boni iuris”, la domanda cautelare
proposta da parte ricorrente deve essere respinta.
Le spese di lite seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c., e debbono essere liquidate
come in dispositivo, tenuto conto dei valori medi dei parametri previsti nelle tabelle
allegate al D.M. n. 55/2014, pari a complessivi € 4.000,00, oltre IVA, CPA e spese
generali, in favore di ciascuna delle parti resistenti.