Nala cap1 - Il Mondo di Gaia

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Nala cap1 - Il Mondo di Gaia
Tiqa si guardò intorno con un malcelato disgusto. Sempre lo stesso posto, sempre le
stesse facce… certo, quella del figlio del padrone poteva anche essere interessante, e
sia lui che suo padre sembravano essere ben contenti di una possibile futura
conoscenza più approfondita fra quella faccia e la sua. Ma Tiqa non voleva un ragazzo
per il momento, e comunque non aveva ancora deciso che quello le interessava. Era
sempre stata una giovane donna con molta scelta in questo senso.
Al momento ne stava prendendo in considerazione tre. Gli altri li aveva già scartati. Il
figlio del padrone della taverna, Margain, era il primo. Alto (forse un po’ troppo per
lei), ben piantato ma non eccessivamente grosso, agile, biondo (forse un po’ troppo
chiaro), occhi fra un bel marrone chiaro e il verde, era esteticamente senza dubbio il
più desiderabile… sua sorella diceva sempre che sembrava un attore… però aveva un
carattere troppo strano, troppo effervescente e con qualcosa di troppo spiccato. A lungo
andare ci si poteva stufare di un ragazzo del genere.
Il secondo era Rajan. Altrettanto bello ma un po’ troppo signorino di buona famiglia.
Sua sorella diceva che non sembrava del tutto sincero, però era così premuroso… un
vero cavaliere… dopo un po’ ci si poteva stufare anche di lui. Era dannatamente
prevedibile.
Il terzo era in bilico. Tiqa era sul punto di mandarlo al Caimano, soprattutto in quel
momento. A parte lo spiacevole fatto che le erano appena venute le mestruazioni e che
là fuori faceva un freddo cane che si infiltrava anche nelle case attraverso mille
spifferi la stagione invernale stava finendo e presto sarebbe stato il momento in cui a
Caisarine avrebbero cominciato a cogliere le arance. Non che rendessero come le
ostriche, ma lì c’era un ragazzo che lei avrebbe voluto prendere in considerazione. Poi
c’era anche il fatto che si trovavano in quella città da dannatamente troppo tempo.
Avevano persino saltato la fiera. Da quando sua madre aveva rinunciato alla strada e
si era fatta sedentaria, trovandole un patrigno e mettendo al mondo un’altra bambina,
le cose si erano fatte parecchio diverse. Per qualche tempo Tiqa aveva vissuto con la
madre, perché viaggiare da sola le aveva fatto troppa paura. Poi Nala era cresciuta,
aveva superato certi suoi problemi di salute ed era uscita dall’ospedale. La sorella
maggiore l’aveva convinta che potevano andarsene un po’ in giro per conto loro, e Nala
aveva accettato. Ormai erano quasi quattro anni che facevano quella vita, ed era stata
molto divertente. Tiqa era convinta che soltanto una vita come quella facesse per lei.
La mamma aveva un po’ brontolato, se non altro perché mentre Tiqa era liberissima di
andarsene in giro a divertirsi Nala era troppo giovane, ma le aveva lasciate andare.
Adesso, però, aveva ricominciato a insistere perché si fermassero e si mettessero in
società con il suo compagno e suo fratello, cioè il padre di Margain. Divertirsi era
giustissimo, ma avevano tirato su una bella società, una taverna e un piccolo albergo,
e se le due girovaghe e Margain, che a sua volta se ne andava spesso a lavorare e a
divertirsi altrove, si fossero fermati a Lagesh, avrebbero potuto stare tutti più sicuri e
magari comprare qualcosa di nuovo. Tanto più che anche i fratelli minori di Margain
cominciavano a spingere perché i genitori li facessero andare in giro da soli…
Tiqa non aveva ancora ventitre anni e fermarsi, magari mettendosi con Margain, non
rientrava nei suoi progetti nel modo più assoluto. Quell’inverno, poi, si era fermata già
abbastanza: prima per discutere con mamma, zio, zia e tutto il resto della banda,
quindi la nuova sorellina Javienn si era presa una bronchite, quindi un amico che era
arrivato a Lagesh insieme a lei e Nala aveva messo incinta una ragazza e se l’era
filata alla chetichella… infine ci si era messa persino una frana, che aveva ostruito
completamente la strada (l’unica, dannata strada!) che portava da Lagesh ai Territori
Orientali. Il padre del suo terzo pretendente era proprio il sovrintendente alle strade,
e quando il pargolo era arrivato di corsa a dirle che adesso, dopo un mese e mezzo di
lavori, la frana era sgombrata e la strada era libera, lei stava decidendo di mandarlo
cordialmente al Caimano. Se suo padre prendeva evidentemente le mazzette dalle
ditte per sgombrare le rocce (ci voleva un intero mese e mezzo per liberare una
strada?!) il figlio non poteva essere troppo più piacevole… soprattutto adesso che era
arrivata un’ondata di freddo e lei aveva il mal di pancia…
La taverna era quasi del tutto immersa nell’oscurità, piuttosto vuota come era
normale a quell’ora. Le imposte delle finestre erano chiuse per evitare gli spifferi che
passavano attraverso le vecchie piombature dei vetri. Soran Alairnè, detto Orso,
puliva il bancone della taverna con larghi gesti sonnolenti. Non che gliene importasse
veramente. I suoi pensieri erano decisamente altrove. Prima di tutto la gente era
nervosa, soprattutto per la storia della frana. Il sovrintendente l’aveva fatta grossa
stavolta… oppure era stata la frana ad essere stata troppo grossa, magari aveva
danneggiato il tracciato… oppure troppo in bilico… ma non importava alla maggior
parte dei cittadini di Lagesh, né ai commercianti. Loro pensavano solo che il
sovrintendente doveva aver preso qualche tangente… il che poteva anche essere… e
che nel frattempo i carichi di uova erano diventati carichi di pulcini e tanti soldi
avevano preso il volo. A giudicare dalla sua faccia, doveva pensarlo anche la figlia
maggiore di sua cognata. Solo che lei era troppo brillante e modaiola per scatenare un
putiferio o una rivoluzione. La maggior parte della gente che frequentava la taverna
no. Gli avevano già rotto un vetro (con quel che costavano!), diversi bicchieri e un paio
di tavolini, ultimamente. Se una volta suo figlio non li avesse disarmati con le arti
marziali che aveva imparato (Soran non ne era stato tanto entusiasta all’inizio, ma
adesso poteva dirsene felice…) ci sarebbe scappato anche un ferito o un morto.
Un’altra volta era stata la seconda figlia di sua cognata a risolvere un problema, ma a
quell’avvenimento Soran cercava di non pensare… in fin dei conti, nonostante tutto, si
trattava di un amore di ragazza…
«Ciao zio!» lo chiamò proprio la persona a cui stava pensando, spuntando dal
magazzino con un fagotto voluminoso in mano «Dove la metto?»
Nala Nazur Harinè. Definirla una bella ragazza era dichiarare di aver bisogno di
occhiali. Tuttavia normalmente si muoveva troppo velocemente per poterla scrutare
bene e vedere tutto ciò che in lei non andava. Soran non aveva avuto troppe occasioni
per farlo, tranne una volta in cui si era sentita male. Per il resto era quella che gli
dava sempre una mano, non particolarmente robusta ma forte come una buona parte
di ragazzi, sveglia quanto sua sorella ma non altrettanto attenta a fare sempre la
splendida in qualunque occasione. Sembrava quasi che vivesse senza rendersene
conto, o comunque senza stare a rifletterci troppo.
«Vuoi suonare quell’arpa anche stasera, Nala?» le chiese Soran «Ci potrebbe essere un
bel po’ di gente strana, potrebbero sciupartela.»
«Lo so, e proprio per questo motivo ho portato questa. Se vola qualche seggiola
quest’arpa è piccola, più leggera dell’arpicordo e dell’altra, così posso nasconderla e
scappare nel magazzino… se ce n’è bisogno…»
«Stasera ci penseranno Margain e Bragan a calmare gli animi. Non voglio che tu faccia
come l’altra volta. Dopo ti sei sentita male.»
«Mi dispiace di averti fatto preoccupare. Però non è niente di grave. Mi è capitato altre
volte.»
Soran stava per obiettare che non era una replica molto convincente quando, come suo
solito, lo sguardo di Nala saettò di scatto da un’altra parte. Non si voltò veramente, ma
il locandiere ebbe l’impressione che le sue trecce nere fossero scosse da un qualche
tremito.
In effetti nella taverna c’era già un avventore… se si poteva definirlo tale, visto che
aveva preso solo un bicchiere d’acqua e se ne stava seduto a un tavolo da tanto tempo
che ormai sembrava essere diventato parte dell’arredamento… lui e la candela che
aveva acceso.
«Chi è quello,» chiese Nala «un tuo parente?»
Soran scrollò le spalle.
«Un forestiero.» rispose «È arrivato con la prima diligenza, ed è qui da oggi pomeriggio.
Gli ho chiesto se voleva qualcosa o qualcuno in particolare e lui si è limitato a farmi
una smorfietta e…»
S’infilò una mano in tasca e sventolò una moneta molto interessante. Tiqa si alzò dalla
sedia imbottita su cui si era accomodata per rimuginare sul suo mal di pancia e
sull’odio che provava per il suo ex terzo pretendente e si accostò per guardarla da
vicino.
«È d’oro!» commentò «Se ne vedono poche! Dev’essere un forestiero ricco…»
«Non soltanto. È anche uno che viene da lontano, se ha preso questa moneta a casa
sua.»
«Spada e bilancia…» la analizzò meglio Tiqa, aguzzando gli occhi per osservarla con la
poca luce «L’altra figura sono due draghi intrecciati… è una moneta imperiale. Tu dici
che quel tipo viene dall’Impero, Soran?»
Nala buttò un’altra occhiata alla faccia dietro la candela e la squadrò. Era giovane, se
non altro. Forse aveva la sua età, forse poco più. Poi notò che aveva una borsa posata
sulla sedia accanto alla sua e un’altra ancora più voluminosa ai piedi. Un sacchetto di
cuoio gli pendeva addirittura dalla cintura. Era evidente che non sapeva
assolutamente niente sui monti Arsaka Centrali né sulla città di Lagesh.
«Qualcuno dovrebbe dirglielo.» commentò.
«Dirgli cosa?» chiese Soran, ma Tiqa aveva già intuito dove la sorella voleva andare a
parare… solo che lei non si sentiva così protettiva nei confronti di uno spocchioso
signorino di buona famiglia che era andato probabilmente nei “barbari Territori
Rantor” per provare qualche nuova emozione.
«Perché dovrebbe importarcene qualcosa?» chiese, rendendosi subito dopo conto che
aveva reagito quasi come se si fosse già messa d’accordo con uno dei famigerati
tagliaborse di Lagesh per spartirsi il contenuto di quel portamonete e di quelle valige.
Nala non fece caso alle parole della sorella e si avviò verso la candela, tenendosi
nell’ombra e continuando a squadrare il forestiero, poi strascicò i piedi sul parquet del
pavimento per attirare la sua attenzione. Lui si voltò e sembrò non fare molto caso a
quella ragazza poco appariscente, anzi, decisamente poco attraente che lo stava
fissando. Aveva ben altre cose per la testa… ma era ovvio che prima o poi il
proprietario avrebbe mandato una cameriera a prendere un’altra ordinazione.
«Un bicchiere di vino.» fece, distogliendo lo sguardo dalla ragazza e sottolineando il suo
malcelato fastidio con un gesto della mano, tanto per dirle che poteva andarsene e
tornare il più tardi possibile.
Era un tipo piuttosto maleducato, pensò Nala, e si disse che avrebbe volentieri voluto
fare un bel discorsetto ai suoi genitori.
Però era anche un ingenuo, pensò la ragazza, o almeno era assolutamente,
completamente impreparato a tutto quello che sarebbe potuto succedere quella sera in
una frequentata taverna di una città già movimentata per conto suo… ma in quel
periodo sull’orlo della rivoluzione per colpa di una stupida frana.
«Amico?» si decise a dire Nala, con una voce molto femminile che contrastava
ferocemente con il suo aspetto spigoloso e mascolino. «Senti, bello… avrei una cosa da
dirti, se non ti offendi.»
Il giovanotto si voltò e la guardò come se fosse stata un lupo mannaro apparso lì
accanto al suo collo… e non ci sarebbe andato tanto lontano.
«Io il vino te lo porto anche…» continuò Nala «Ma quelle borse non puoi lasciarle lì.
Presto arriverà un bel po’ di gente, e sanno gli dei chi s’infiltrerà fra i normali clienti.
La strada commerciale si è appena liberata, e non credo di andarci tanto lontano se ti
dico che tutti i ladri di Lagesh si sono svegliati e sono usciti in cerca di un pollo da
spennare. È come andare nella foresta con un agnellino al guinzaglio. Dai retta a me…
vieni con me. Le mettiamo nel magazzino.»
Il giovanotto, un bel giovanotto, decisamente bello, fece un sussulto come se lei gli
avesse appena buttato un serpente accanto alla candela.
«Ti puoi fidare di me!» sbottò Nala, e Tiqa alzò le orecchie come un cane da pastore.
Aveva già sentito sua sorella così accalorata, e di solito le toccava intervenire, se non
altro sfoderando tutto il suo fascino. Quel ragazzo, però, la disturbava. Se non fosse
stato così bello (adesso che lo guardava bene lo stava notando anche lei) lo avrebbe
trovato immediatamente sgradevole.
«Ascolta, amico…» continuò Nala abbassando di nuovo il tono «Io sono la nipote del
padrone di questo posto… non ti sembra logico che venga a farti notare questo
problema? Se ti dovessero rubare qualcosa non sarebbe una buona pubblicità per il
nostro locale, non trovi?»
Il bel ragazzo cambiò espressione. Un po’ lentamente, si disse Tiqa continuando ad
osservare e valutare la scenetta, però sembrava piuttosto lento anche lui, in generale e
soprattutto di comprendonio. Diventò disponibile al dialogo e malleabile.
«Siete…» cominciò, con l’accento ed il dialetto vetusti che andavano per la maggiore
nell’Impero, dove, ricordò Tiqa, c’era ancora la consuetudine di dare del “voi” agli
estranei. «Siete proprio sicura, signorina, che così corro il rischio di essere derubato?»
Nala sospirò scrollando le spalle come se stesse dichiarando una verità eterna.
«Tesoro,» rispose «se potessi farci qualcosa lo farei, credimi… ma disgraziatamente ti
trovi negli Arsaka Centrali.»
Le valigie andarono così a finire nel magazzino, e Tiqa seguì per benino la scena con lo
sguardo. Il mal di pancia svaniva nel contempo, con una rapidità sospetta… non
appena tutta l’attenzione della proprietaria della suddetta pancia si spostava su
qualcos’altro. Il passo di Nala era allarmante, pensò Tiqa, così come i suoi movimenti.
Si facevano ad ogni istante più lenti, più fluidi, più femminili… possibile che quella
puzzola fosse il suo tipo? Certo, lo si poteva classificare fra i ragazzi belli, ma quei
lineamenti erano troppo delicati per definirlo un attraente esemplare di maschio
umano. Eppure era indubbio che Nala stava reagendo a un qualche suo fascino… una
gran brutta cosa, pensando che lui probabilmente la considerava allo stesso livello di
un qualsiasi pezzo dell’arredamento. Quella era una frana, pensò Tiqa, una frana
anche più pericolosa di quella che aveva bloccato la strada per un mese e mezzo, ed i
primi sassi si stavano già staccando. Era difficile dire a quel punto se Nala sarebbe
riuscita a schivarla per un pelo oppure le sarebbe crollata tutta addosso.
Il giovane straniero si sentiva un po’ in imbarazzo per essere stato manovrato come un
bambino dalla nipote di un taverniere, ma probabilmente quella brutta ragazza sciatta
e banale aveva ragione nel dire che qualcuno avrebbe potuto rubare le sue valigie se
lui non avesse provveduto a nasconderle nel magazzino. Quella città era strana. La
gente era nervosa e sembrava quasi tutta di malaffare. Ed era già sera. Non che lui
avesse proprio paura… era pur sempre un uomo… ma non trovava affatto piacevole
quell’atmosfera così minacciosa.
La sua missione, per quanto non fosse stato entusiasta di condurla, era comunque
importante. Dato che aveva attaccato bottone con quella sciatta sguattera poteva
tentare di ricavarne qualcosa. In fin dei conti non era forse vero che i tavernieri
conoscevano tutto e tutti?
«Signorina…» cominciò «Perdonate la mia intrusione… voi avete conoscenza di una
signora chiamata Neshrat Harinè?»
Gli occhi dorati di Nala saettarono, e per un attimo la sua pupilla si fece oblunga. La
ragazza abbassò la testa e cercò di ragionare nel modo più veloce possibile. Per non
conoscere la propria madre adottiva bisognava proprio essere stupidi, e sebbene Tiqa
insistesse a dire che lei superava in stupidità molti stupidi che aveva avuto modo di
conoscere non era tanto ingenua da non chiedersi cosa accidenti volesse da Neshrat un
forestiero che si trovava da quelle parti come un pesce fuor d’acqua. La prima cosa che
le venne in mente fu che, nonostante sua madre avesse sempre giurato di non aver
mai accettato le proposte della sua amica di Monamary, fra quello che si dice a due
bambine e quello che effettivamente si fa possono esserci delle divergenze non poco
significative. E da quanto lei e Tiqa erano riuscite a capire all’epoca l’amica aveva a
che fare con il contrabbando. Considerando che il paese più vicino oltre il canale
oceanico su cui si affacciava Monamary era il cosiddetto Impero la questione si
riduceva a un semplice calcolo matematico. Risultato: era il caso di risolvere il
problema con una fantastica balla.
«Non molto bene…» rispose Nala sentendosi scottare la lingua nel frattempo. «Non so
neppure se abita ancora qui. È un bel po’ che non la vedo al mercato. Potrebbe essersi
trasferita.»
Il ragazzo sembrò decisamente preoccupato, per non dire agitato, e Nala si sentì
ancora di più scivolare inesorabilmente nella forma di un anellide. E se non ci fosse
stato di mezzo il contrabbando? Il poverino non aveva di certo l’aria di un poliziotto…
Tuttavia ormai le uova erano rotte, come si diceva dalle sue parti, e nemmeno
l’orologiaio più bravo poteva rimetterle nel guscio. Lasciò il ragazzo al suo tavolo con
un sorriso (non che a lui importasse molto della cosa) ed un bicchiere di buon vino
(aveva pagato abbastanza per non meritarsi la schifezza che Tiqa e Soran avrebbero
cercato di appioppargli in quanto forestiero e quindi cliente che non sarebbe
presumibilmente tornato) e decise che nonostante fosse ormai quel che si diceva una
“donna fatta” poteva prendersi il lusso di filare dalla sua sorella maggiore.
Raccontò tutto a Tiqa nascondendosi in cucina e a bassa voce, tutto d’un fiato.
«Se gli avessi lasciato le valigie, mia povera dama di carità…» la rimproverò la sorella
«qualche brava persona avrebbe indubbiamente provveduto ad alleggerirlo di cotanto
carico, e senz’altro sarebbe stato un ottimo incentivo perché questo simpatico ficcanaso
se ne scappasse con la coda fra le gambe. Avremmo eliminato alla radice il problema
delle sue strane domande a proposito della mamma. Ma ormai hai rotto le uova, no?
Anche se scommetto che non hai nemmeno provato a ripararle.»
«Non ci tengo a mettere nei guai la gente.» replicò Nala «Non mi sembra un poliziotto,
oltretutto… e se la mamma ci avesse detto la verità? Probabilmente non ha mai avuto
a che fare niente con quel contrabbando. Non ce la vedo, la mamma, a fare la ladra.
Cercherò di capire cosa vuole il ragazzo… se è qualcosa di brutto cercherò di
convincerlo che mamma si è trasferita e che non so dove abiti adesso.»
Tiqa annuì con un cenno del capo, per niente convinta del piano della sorella. C’erano
centomila piani migliori, anche se implicavano prendersi una maledetta frescata. Se
solo quell’odioso signorino fosse esploso sotto i suoi occhi in una dannata palla di fuoco!
Tiqa desiderò di essere una maga… una delle parecchie volte in cui lo faceva da
quando era piccola.
Quindi inventò la scusa che si era scordata di portare con sé un certo tipo di salviette
assolutamente indispensabili in certi momenti delicati della vita femminile e uscì
dalla taverna imprecando e stringendosi nel cappotto e nello scialle.
Nala la guardò dubbiosa. Non poteva chiedere a lei di andare alla farmacia? Non ci
aveva pensato? Oppure…
Gli occhi dorati della giovane si spostarono di nuovo sul forestiero, e Nala aggrottò la
fronte. Poteva cercare di parlarci adesso, però… se fosse stato davvero qualcuno che
indagava sul contrabbando? Magari la mamma non c’entrava niente, ma qualche
brava ladrona poteva aver usato il suo nome…
La taverna cominciò a riempirsi, e come Soran aveva temuto e predetto erano parecchi
quelli che erano arrivati già col muso lungo, si erano lasciati cadere sul panchetto del
bar e avevano ringhiato: “Oste, un bicchiere di birra!” aggiungendo a volte, dopo e sullo
stesso tono “Per favore!”. Qualcuno aveva gli occhi spiritati, altri li avevano iniettati di
sangue. Qualcuno contava una serie di ricevute e bestemmiava tutti gli dei noti ai
Territori. Altri, invece, avevano la faccia felice e piena d’aspettativa… ladri e
tagliaborse pronti a approfittare di un ubriaco facoltoso, compresa la famigerata Lena
la Lince e il suo compagno, quell’armadio di Ithan il Toro. E c’era anche qualcuno di
quegli imbecilli che godevano delle risse e andavano a cacciarsi nei guai proprio per
poterle provocare.
Fortunatamente erano arrivati anche i suoi figli, Margain e Bragan, e suo fratello si
era unito alla compagnia con un bastone da passeggio che, si sapeva, era molto
flessibile e aveva lasciato parecchi bernoccoli nella sua onorata carriera.
Tiqa se ne era andata in cucina con la maggior parte delle altre donne, e forse questo
era un bene… non che quella fosse la classica fanciulla indifesa, anzi… era
semplicemente troppo irritabile, e Tiqa irritata poteva essere esattamente la scintilla
adatta a far saltare in aria tutta quella polveriera. Molto meglio che a servire ai tavoli
fossero un paio di ragazzi robusti e un famoso bastonatore del calibro di suo fratello.
Nala aveva portato la sua piccola arpa sul piedistallo rotondo che serviva spesso per i
vari intrattenitori che Soran ingaggiava per allietare le serate. L’aveva già accordata
(il rumore stridulo delle corde mentre venivano sistemate poteva disturbare qualcuno,
e non era il caso), ma per il momento se ne rimaneva lì guardandosi intorno e cercando
il momento giusto per cominciare a suonare qualcosa per tranquillizzare l’ambiente.
Di solito Tiqa si lasciava prendere dall’entusiasmo e andava con lei per esibirsi in
qualche prova di canto, ma non era poi quella gran cantante. Era estremamente più
interessante da vedersi, però, e di fronte a quella bionda esplosiva gli avventori non
facevano caso a qualche occasionale stonatura…
Se soltanto quel simpatico signore che stava snocciolando epiteti del tutto nuovi e
spumeggianti nei confronti del pantheon al completo avesse finito di contare i suoi
soldi, stava pensando Nala, lei avrebbe cominciato subito. Aveva già in mente qualche
idea per la prima mezz’oretta… in fin dei conti quel branco di strani clienti erano pur
sempre delle persone, e probabilmente era un bel po’ che non sentivano canzoni
d’amore. Andando avanti, poi, si sarebbe anche potuto invitare qualcuno a cui faceva
piacere cantare qualcosa. Male che vada c’è sempre l’inno nazionale… si disse Nala
con un brivido… quindi il magazzino, ovviamente, preferibilmente con il ragazzo
straniero che era rimasto lì sul posto come un meraviglioso scemo.
Altro particolare inquietante, c’erano Ithan e Lena. Non erano sconosciuti alla
taverna, ma Ithan non era stato molto felice quando Margain (quasi la metà di lui in
stazza e dieci centimetri di meno) lo aveva messo a tappeto, all’inizio dell’inverno. Non
era bello sospettare della gente e meno che mai della propria sorella… ma Tiqa
conosceva tutti e due, e quella sembrava quasi una sua mossa per salvare la mammina
da domande spiacevoli e imbarazzanti. Maledetta stupida…
«Allora, sorellina, che hai?» la chiamò una voce sonora dal fondo della stanza «Il gatto
ti ha mangiato la lingua?»
Svariate persone guardarono prima il giovane uomo che l’aveva chiamata e poi lei.
Nala sorrise. «Grazie, Margain.» pensò. Quella poteva essere un’ottima soluzione. Non
sarebbe stata lei a cominciare e perciò, eventualmente, a disturbare. Era stato
Margain. Anche il bestemmiatore si era distratto dai suoi profitti e dalle sue perdite e
la stava guardando.
«Salve, gentili clienti…» cominciò «Cerchiamo di mettere un po’ di allegria, che ne
pensate? Siamo tutti stanchi, siamo tutti nervosi, ma abbiamo già attraversato
momentacci come questo, e sappiamo tutti che alla fine passano, no?»
Il giovane straniero non era preparato a quello che accadde in seguito. Non sapeva
cosa aspettarsi. Le mani della brutta nipote del taverniere (mani grosse, quasi da
uomo) toccarono le corde dell’arpa e non c’era neppure una nota stonata in quello che
ne usciva. Doveva aver studiato musica, si disse il forestiero, e anche da ottimi
maestri. Forse era lei stessa una musicista, magari faceva anche concerti… e aveva
anche una bella voce. Quando parlava non si capiva. Anzi, aveva un modo strano di
parlare, teneva la bocca in una posizione un po’ troppo chiusa, contratta… come se
avesse avuto un brutto accento che voleva controllare. Eppure non sembrava che
avesse un qualche difetto di pronuncia, a sentirla adesso… il giovane si disse che
restava brutta, o forse soltanto banale e non attraente. Ma la sua voce era veramente
interessante, sarebbe potuta diventare una cantante. Magari con un abito molto largo
ed un sacchetto di carta in testa. La cosa peggiore in lei era quel corpo… sembrava che
la natura avesse montato insieme il corpo di un bracciante e quello di una femmina…
oppure era semplicemente il corpo di una rozza contadina. Che non sembrava affatto
rozza. La faccia, invece, poteva essere quasi accettabile. Aveva qualcosa di un roditore,
ma poteva essere accettabile.
Non gli piaceva affatto, eppure non poteva evitare di essere calamitato verso di lei. Gli
capitava spesso, in occasione di concerti di bravi artisti. Era stato educato così.
Nala suonava con le mani e cantava con la bocca, ma non c’era con la testa. Non c’era
per niente. Continuava ad osservare Ithan e Lena che mangiavano patate fritte e
bevevano birra, tranquilli come micetti… e questo era parecchio strano. Quei due
erano una coppia di ben altri felini. O avevano mangiato di recente una bella preda
grossa, oppure stavano facendo gli indifferenti perché erano in agguato. Il ragazzo
straniero, invece, sembrava interessato alla musica. Non riusciva proprio a rendersi
conto del bell’ambientino che aveva intorno, tutta gente piena di tensione, poveretti,
che difficilmente sarebbero riusciti a sciogliere presto… e alcuni con l’istinto del
cacciatore.
Insieme a tutto questo, il serio dubbio che la pantera bionda che viveva insieme a lei
c’entrasse qualcosa nella presenza di alcuni di quei cacciatori. Era orribile pensare
questo della propria sorella… ma il sospetto non riusciva a dileguarsi. Tiqa era uscita
ed era stata fuori un po’… e poi, come per magia, erano apparsi anche Lena e Ithan,
che invece di cercare di far ubriacare qualcuno per ripulirlo come facevano di solito
stavano tranquilli a un tavolo a mangiare.
Nala si sentiva molto un gatto su un albero, con intorno una muta di cani che gli
abbaiavano sperando solo che scendesse per sbranarlo. Ma se quel brutto sospetto non
era sbagliato (e in fin dei conti doveva esserlo, Tiqa non poteva aver avuto un’idea del
genere!) non era lei che i cani aspettavano di sbranare.
Guardò ancora il ragazzo straniero e non le venne in mente nessuna idea brillante.
«Maledetto porco ubriacone!» Lena urlò con tutto il fiato che aveva in gola e schizzò un
bicchiere di vino in faccia a un tizio che Nala non conosceva «Ithan, questo bastardo mi
ha offerto dei soldi se andavo a letto con lui!»
L’uomo, ubriaco tendente al fradicio, sgranò gli occhi vedendo chi era il fidanzatino a
cui la ragazza si stava rivolgendo. Tanto più che non le aveva fatto nessun’offerta del
genere. Non era neanche il suo tipo, a dire il vero, e gli piacevano ancora di meno le
donne con fidanzati di quelle dimensioni.
«Brutto maiale!» gridò Ithan «Ti insegno io a dire cose del genere alle ragazze
perbene!»
«No!» ululò l’ubriaco arretrando e rovesciando la prima di una bella serie di seggiole
«Non le ho detto niente del genere!»
«Non è vero, amoruccio!» continuò ad aizzare Lena. L’ubriaco fece qualche altro passo
indietro e Nala sentì i peli che le si rizzavano dietro la nuca. Tentò un paio di accordi
dell’inno nazionale per attirare l’attenzione di tutti gli altri… ma non era possibile…
non si sarebbero distratti da quello spettacolo neppure se a suonare l’inno fosse stato il
Presidente della Federazione in persona.
«Mi ha chiesto di fargli delle cose innominabili!» strillò Lena. Ithan avanzò ancora e
l’ubriaco arretrò continuando a dire che non era vero, che lei era una bugiarda.
«Maledetto cornuto!» urlò Ithan «Come osi dire che la mia colombella è una bugiarda!»
«Bravo!» stava incitando intanto qualcuno «Picchialo!»
«Lena, dicci cosa ti ha detto! Raccontacelo!» sghignazzavano altri.
Perfetto, si disse disperatamente Nala, sesso e violenza. Proprio gli ingredienti adatti
per aizzare un pubblico di Rantor… e, ovviamente, era tutto un trucco. Le dispiaceva
molto per l’ubriaco. Iniziò a suonare e a cantare a squarciagola l’inno nazionale,
sperando che qualcuno se ne accorgesse.
«No, ti giuro!» piagnucolava intanto l’ubriaco «Non la toccherei nemmeno con una
canna!»
«Carogna!» tuonò Ithan, coprendo anche l’inno nazionale «Prima dici che è una
bugiarda, e ora anche che è brutta come un rospo!»
«No, è bella!» strillò l’ubriaco «È bellissima!»
«Maledetto!» ricominciò Lena «Lo senti, Ithan? Ci sta ancora provando!»
E a quel punto l’ubriaco inciampò una volta di troppo, urtando il tavolo dell’uomo che
stava studiando i suoi incartamenti. Una brocca di vino rosso ondeggiò paurosamente
e quindi si rovesciò proprio sui conti del tizio, che esplose in una fragorosa bestemmia,
afferrando per il bavero l’ubriaco e cominciando a sbatterlo contro il tavolo,
maledicendo lui e tutti gli dei del firmamento. Pochi secondi dopo volò la prima
seggiola, che attraversò la stanza sorvolando il tavolo del forestiero, che rimase a
guardarla volare, apparentemente inebetito. Nala infilò l’arpa sotto la pedana e
sgattaiolò via mentre la seconda sedia andava a sfasciarsi proprio dove lei era stata
fino a quel momento.
«Corri, se ci tieni alla pelle!» urlò rivolta allo straniero, quindi lo afferrò per un braccio
e gli dette un bello strattone. Il ragazzo si riscosse e si lasciò trascinare via. La porta
d’uscita era occupata da Bragan e dallo zio che cercavano di buttare fuori un tale, e
davanti alla cucina c’era Margain che cercava disperatamente di arrivare ad Ithan in
mezzo a tutto quel putiferio. L’unica alternativa era il magazzino. Nala strattonò
disperatamente la maniglia e spinse dentro il forestiero. Un istante dopo era dentro
anche lei. Si appoggiò con le spalle alla porta e cominciò a tremare, piagnucolando
piano.
Il giovane avrebbe voluto crollare sopra una delle sue valigie, ma per farlo avrebbe
dovuto muoversi, e non riusciva a farlo. Che cosa era successo? E accadevano sempre
quelle cose, nei luoghi frequentati dal popolo? E quella ragazza… chi era? Stava
piangendo? E perché stava piangendo, se qualche istante prima aveva avuto la
presenza di spirito per afferrarlo e portarlo via dal pericolo, trascinandolo con la forza
che ci si aspetterebbe più da un uomo robusto che da una donna che fino a pochi
istanti prima aveva solamente suonato l’arpa?
«Signorina…» la chiamò «Gentile signorina… cosa avete?»
La giovane donna non gli rispose. Continuava a tremare e a piagnucolare. Era
possibile che fosse davvero la stessa che lo aveva salvato?
«Signorina…» Il giovane la toccò, e lei fece uno scatto. Lui saltò indietro, spaventato,
ma la ragazza gli aveva già afferrato un braccio. Lui non sapeva veramente cosa fare,
adesso era lui ad essere terrorizzato, ma la presa si allentò subito, e la faccia che si
alzò per mostrarsi al suo sguardo stava ridendo. Un istante prima, però, aveva pianto.
«Ma lo sai che potevano romperti la testa? Quelli là fuori sono arrabbiatissimi!» gli
fece.
«Ma… cosa è successo?»
«Hanno avuto dei problemi, amico, dei grossi problemi. E quei due che hanno
provocato la rissa sono due ladri. Lo fanno spesso. Poi fregano i soldi a chi è svenuto o
troppo ubriaco per accorgersene.»
«E la legge?»
«Anche l’ubriachezza molesta e la rissa sono reati, per cui fischiettano e lasciano
perdere… andare a protestare dalla polizia sarebbe inutile, e forse dannoso. Ma lascia
perdere, non sono cose che ti riguardano…»
… almeno spero di no…
«Ci nascondiamo qui, che ne dici?» propose la ragazza «Dietro a quelle botticelle là.
Prendi le tue valigie e tienile strette. Non so cosa succederà, questa notte.»
Si rintanarono dietro le botti, seduti sul pavimento. All’improvviso il giovane guardò la
ragazza e considerò i suoi lineamenti… erano così poco di suo gusto che non li aveva
mai guardati veramente. Adesso erano strani, così terribilmente familiari…
«Gentile signorina,» le disse con voce tremante «mi concedereste la possibilità di
chiedervi il permesso di domandarvi il vostro nome?»
«Ma certo… mi chiamo Nala. Nala Nazur.»
Il giovane sbiancò tutto d’un tratto. Tutto combaciava… tutto corrispondeva, adesso,
in un modo tremendo.
«Vostra Grazia...» rantolò cercando di inchinarsi dal basso della posizione rannicchiata
in cui si trovava «Vostra Grazia Imperiale… sono Lisador Minfrat, vostro umile servo.
Il mio compito è farvi da scorta fino al vostro paese e al vostro trono, Vostra Grazia…»