Il Tfr dei lavoratori dipendenti

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Il Tfr dei lavoratori dipendenti
Il Tfr dei lavoratori dipendenti
Le tre opzioni della nuova previdenza complementare
Premessa
Il Parlamento ha approvato la legge 23 agosto 2004, n. 243 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 21 settembre
2004, n. 222, ed entrata in vigore a partire dal 6 ottobre 2004), nella quale fissa nuove regole in materia pensionistica
e attribuisce al Governo numerose deleghe: una, in particolare, per il sostegno della previdenza complementare. Entro
un anno dall'entrata in vigore - dunque al massimo entro il 5 ottobre 2005 - il Governo dovrà adottare uno o più
decreti legislativi che definiscano: 1) come i lavoratori dovranno conferire il proprio Tfr maturando alle varie forme
di previdenza complementare; 2) cosa accadrà della loro "liquidazione" qualora non esprimano alcuna preferenza (il
cosiddetto principio del silenzio-assenso).
Entro sei mesi dall'entrata in vigore di tale decreto legislativo o, per i neo assunti successivamente all'entrata in vigore
del decreto, entro sei mesi dalla data di assunzione, ogni lavoratore dipendente (pubblico e privato) sarà chiamato a
scegliere fra tre alternative. Vista l'importanza che la decisione ricopre per il futuro delle persone, la stessa legge
243/2004 raccomanda al Governo di garantire che "il lavoratore stesso abbia una adeguata informazione sulla
tipologia, le condizioni per il recesso anticipato, i rendimenti stimati dei fondi di previdenza complementare (...)
nonché sulla facoltà di scegliere le forme pensionistiche a cui conferire il TFR".
Il lavoratore di fronte a tre alternative
A. Prima alternativa: dichiarazione esplicita di mantenimento dell'attuale sistema
Il lavoratore prenderà carta e penna - in realtà utilizzerà un modulo prestampato ad hoc - e dichiarerà "la volontà di
non aderire ad alcuna forma pensionistica complementare". La conseguenza è che continuerà a funzionare tutto
come oggi: anche il Tfr maturando, oltre ovviamente a quello già maturato, si accumulerà e rivaluterà di mese in
mese, di anno in anno, e resterà presso il datore di lavoro. Al momento del ritiro, il lavoratore riceverà il "gruzzolo"
accumulato e rivalutato (cioè la "liquidazione") tutto in un'unica soluzione e in tempi ormai molto rapidi, comunque
entro 40-60 giorni dall'inoltro della richiesta al proprio ente di previdenza.
Vantaggi
A.
B.
C.
D.
Rivalutazione garantita dei propri versamenti al 31 dicembre di ogni anno con l'applicazione di un tasso
costituito dall'1,5 per cento in misura fissa + il 75 per cento dell'aumento dell'indice dei prezzi al consumo
per le famiglie di operai e impiegati accertato dall'Istat rispetto al mese di dicembre dell'anno precedente
(tasso d'inflazione annuo) ai sensi dell'articolo 2120, 4°comma, del codice civile. Nel 2004 la rivalutazione
del Tfr oscilla attorno al 3,3 per cento.
Il titolare riscuote immediatamente un capitale che può usare come crede per sé o per altri (figli).
Dopo otto anni di vita lavorativa presso lo stesso datore di lavoro si possono chiedere versamenti anticipati
fino al 70 per cento del proprio Tfr maturato. La richiesta deve essere tuttavia giustificata (articolo 2120, 8°
comma, c.c.) dalla necessità di: c.1) eventuali spese sanitarie per terapie o interventi straordinari
riconosciuti dalle competenti strutture pubbliche; c.2) acquisto della prima casa di abitazione per sé o per i
figli, documentato con atto notarile. Per la verità, è prassi nel privato usare questa possibilità offerta dalla
legge come una specie di "fringe-benefit": al fine di accontentare e fidelizzare i dipendenti migliori si suole
accordare più volte nel tempo quote di Tfr, anche prescindendo da plausibili giustificazioni documentali.
La percezione del Tfr è praticamente istantanea (fatti salvi i naturali tempi tecnici di determinazione
dell'ammontare spettante): cioè dopo ogni interruzione del rapporto di lavoro, il lavoratore subordinato
percepisce entro pochi giorni o poche settimane la "liquidazione" che ha maturato.
Svantaggi
A.
B.
Il grande svantaggio del Tfr è che, una volta a regime il sistema previdenziale pubblico calcolato con il
regime cosiddetto "contribuivo", la pensione mensile che si percepirà sarà pari al 50-55 per cento per i
livelli più bassi o intermedi e al 35 per cento per i livelli più alti (dirigenziali). La liquidazione - per
elementari ragioni di cautela da investire in strumenti finanziari "sicuri" e dunque poco remunerativi - non
sarà mai neanche lontanamente in grado di colmare il differenziale con l'ultimo stipendio percepito dal
lavoratore, il che lo spingerà a una situazione di povertà o di drastica riduzione del tenore di vita a cui era
abituato. Inoltre, nella nefasta ipotesi che si consumi in tutto o in parte la liquidazione, non resta nulla
(salvo altri cospicui risparmi privati) per integrare la riduzione dell'assegno pensionistico rispetto allo
stipendio.
L'istituto del Tfr non conosce le garanzie della non cedibilità, della non sequestrabilità e della non
pignorabilità.
B. Seconda alternativa o meccanismo della scelta multipla consequenziale: il lavoratore dichiara che
vuole destinare i nuovi accantonamenti mensili del proprio TFR maturando alla previdenza
complementare e indica liberamente in quale tipo di investimento devono confluire nonché le modalità
gestionali a cui dovrà essere sottoposto il flusso dei suoi conferimenti.
Il lavoratore prende carta e penna - o un modello predisposto ad hoc - e dirà:
1) che vuole che tutto il proprio Tfr maturando mensilmente confluisca in una delle forme possibili, cioè attualmente
esistenti sul mercato, di investimento previdenziale. Precisiamo che non è consentito destinare solo una parte del
proprio Tfr alla previdenza complementare: il legislatore esige che il lavoratore faccia una scelta chiara e definitiva
senza tenere due piedi in una staffa. La scelta riguarda solo la parte di Tfr maturanda, cioè ancora da versare, salvo
restando l'erogazione sottoforma della classica "liquidazione" della parte di Tfr già maturata e accantonata presso il
datore di lavoro
2) Successivamente il lavoratore dovrà esplicitare per filo e per segno la propria volontà; in altre parole, dovrà
indicare in quale forma di previdenza complementare dovrà essere conferito il proprio Tfr maturando. Egli potrà
scegliere di conferire il proprio TFR fra le tre seguenti opzioni:
A.
B.
C.
in un fondo pensione chiuso (detto anche negoziale o di categoria), se esiste già
in un fondo pensione aperto, a contribuzione definita
in un Fip (Forma/Fondo individuale di previdenza) o Pip (Piano individuale di previdenza) che altro non
sono se non delle polizze vita individuali - ramo I° (le tradizionali polizze rivalutabili); ramo III° (unit
linked classiche, unit linked garantite, index linked) - stipulate dal singolo lavoratore con una compagnia
assicurativa.
Le caratteristiche nonché i costi/benefici di ognuna di queste tre forme di investimento previdenziale, più le
sottovarianti, saranno trattate successivamente.
3) Infine il lavoratore dovrà specificare, nell'ambito di una delle tre forme di investimento sopra indicate, il tipo di
gestione che desidera: investimento obbligazionario, azionario, bilanciato, prudente, aggressivo. Nel tempo
eventualmente potrà decidere di cambiare la linea gestionale mediante il cosiddetto switch (passaggio da un fondo
all'altro) che a volte è gratuito ma più spesso è oneroso.
Vantaggi
A.
B.
C.
D.
La ragion d'essere della previdenza complementare è quella di costituire una indispensabile integrazione
all'assegno pensionistico, il quale, una volta a regime il sistema "contributivo", raggiungerà il 50-55 per
cento dell'ultimo stipendio (livelli bassi e medi) o il 35 per cento per gli stipendi più elevati. Ad esempio, se
l'ultimo stipendio percepito ammonterà a 1.500 euro, il primo assegno pensionistico si aggirerà tra i 750 e
gli 825 euro, con una drastica riduzione del tenore di vita (la forbice è imputabile al maggior o minor
numero di anni di contribuzione che il lavoratore potrà vantare). Gli esperti calcolano che ogni punto
percentuale di contribuzione dà, con un orizzonte temporale di 35-40 anni, un risultato del 2-2,5 per cento
sull'ultimo stipendio. Per raggiungere l'obiettivo ottimale di integrare del 20-25 per cento l'assegno
pensionistico, la contribuzione dovrà aggirarsi attorno al 10 per cento: il 7 per cento (precisamente il 6,91
per cento) esiste già e rappresenta lo zoccolo duro costituito dal proprio Tfr; un 1,2 per cento deriverà
dall'obbligo contributivo supplementare del datore di lavoro; un altro 1,2-1,5 per cento da un ulteriore
versamento mensile del lavoratore (pari a 12-15 euro ogni 1.000 netti). Aderendo per 30 o 40 anni a una
delle tre forme di previdenza complementare, il lavoratore dipendente ha la possibilità di crearsi una
pensione bis, di scorta, aggiuntiva a quella pubblica obbligatoria senza "svenarsi" finanziariamente, cioè
senza dover intaccare una quota rilevante del salario netto percepito mensilmente. Nell' ipotesi infatti che il
lavoratore decidesse di tenersi il suo Tfr e, contemporaneamente, di aderire a una delle forme di previdenza
complementare, sarebbe obbligato a drenare dal proprio stipendio netto mensile una cifra significativa poniamo un 10 per cento, pari a 100 euro per ogni 1.000 netti - cifra che pochi dipendenti potrebbero
permettersi a cuor leggero per tutta la loro vita lavorativa.
Il lavoratore che aderirà a una delle tre forme di previdenza complementare beneficerà di un contributo
supplementare versato mensilmente dal proprio datore di lavoro pari all'1-1,2 per cento della retribuzione
lorda mensile. Se invece il lavoratore dipendente propende per la conservazione del Tfr secondo il sistema
classico, non beneficerà mai di questo ulteriore versamento contributivo cha la legge impone a carico del
datore di lavoro.
Tale contributo del datore di lavoro si dice "portabile" nel senso che se e quando un lavoratore deciderà di
spostare il suo montante contributivo da un fondo A a un fondo B e poi ancora in un fondo C, continuerà ad
avere diritto al versamento del contributo da parte del suo datore di lavoro anche per tutto il tempo in cui
rimarrà, dapprima nel fondo B e, successivamente, nel fondo C.
La legge 243/2004 delega il Governo ad ampliare ulteriormente gli incentivi fiscali al fine di rendere più
appetibile l'uso dello strumento. La disciplina attuale - regolamentata dal decreto legislativo 18 febbraio
2000, n. 47, (pubblicato nel S.O. n. 41/L alla Gazzetta Ufficiale n. 57 del 9 marzo 2000), entrata in vigore il
1° gennaio 2001, e su cui l'Agenzia delle Entrate si è pronunciata con una poderosa circolare, la n. 29/E del
20 marzo 2001 - prevede che i contributi versati in un fondo chiuso, in un fondo aperto, in un Fip o Pip,
sono deducibili dal reddito complessivo nel limite del 12 per cento e comunque non oltre i 10 milioni delle
vecchie lire (5.164,65 euro). In realtà, questa regola si applica alla lettera solo per i lavoratori autonomi; per
i lavoratori dipendenti per i quali non è a disposizione - nel senso che non è stato ancora istituito o se è stato
istituito non è ancora operante dopo due anni dalla costituzione - un fondo chiuso di categoria e per i
lavoratori dipendenti che non hanno neppure la possibilità di iscriversi a un fondo aperto ad adesione
collettiva in quanto il proprio datore di lavoro non ha sottoscritto alcuna convenzione ad hoc con qualche
istituto di credito o compagnia assicurativa.
Per i lavoratori dipendenti, privati e pubblici, che invece hanno la possibilità di iscriversi a un fondo chiuso
o a un fondo aperto ad adesione collettiva, esistono ulteriori forti limitazioni per godere della deducibilità
fiscale. Essi infatti sono obbligati:
1) ad aderire solo al proprio fondo chiuso di categoria, oppure al fondo aperto ad adesione collettiva con il
quale il datore di lavoro ha stipulato una convenzione ad hoc. I lavoratori dipendenti che appartengono a
una categoria che ha istituito un fondo chiuso ma che per scelta volontaria decidono di non aderirvi, così
come i lavoratori dipendenti che appartengono a una categoria che non ha istituito alcun fondo chiuso ma
che decidono di non iscriversi al fondo aperto ad adesione collettiva sulla base di una convenzione siglata
dal loro datore di lavoro con una qualche banca o assicurazione, avranno ulteriori pesanti limitazioni.
Infatti, il lavoratore dipendente che non aderisce al fondo chiuso o al fondo aperto ad adesione collettiva
beneficia della deduzione fiscale solo se possiede redditi diversi rispetto a quelli da lavoro dipendente, nel
qual caso avrà il beneficio del 12 per cento ma solo fino all'importo complessivo dei soli redditi diversi.
Esempio: reddito lavoro dipendente 25.000 euro, redditi diversi 2.500 euro, deduzione complessiva 3.300
euro pari al 12 per cento di 27.500 euro (si badi bene, somma inferiore al limite massimo di 5.164,65 euro),
deduzione utilizzabile 2.500 euro corrispondente all'ammontare massimo dei propri redditi diversi. Va da sé
che sulla base della disciplina vigente se il lavoratore non aderisce e non possiede altri redditi diversi
rispetto a quelli derivanti dal lavoro dipendente non potrà beneficiare di alcuna deduzione fiscale
2) a versare a tale fondo una quota non inferiore al 50 per cento dei contributi versati al Tfr: la deduzione
spetta per un importo complessivamente non superiore al doppio della quota di Tfr destinata al fondo
chiuso.
Esempio: se un soggetto versa al fondo a cui si iscrive una quota di Tfr pari a 2.000 euro, avrà diritto a una
deduzione massima di 4.000 euro, fermo restando che tale cifra dovrà essere inferiore al 12 per cento del
suo reddito complessivo con il massimo di 5.164,65 euro. Ciò significa che quel soggetto può versare al
proprio fondo di categoria e/o a un Pip privatamente sottoscritto con una compagnia di assicurazione anche
più di 2.000 euro di contribuzione volontaria, poniamo ad esempio 4.500 euro, ma solo 4.000 ne potrà
dedurre dal proprio reddito complessivo in dichiarazione, i restanti 500 no.
E.
F.
Riassumendo: il decreto legislativo 47/2000 prevede tre paletti per i lavoratori dipendenti:
1) il 12 per cento del redito complessivo
2) doppio della quota del Tfr trasferito alla previdenza complementare
3) soglia massima di euro 5.164,65,
sono concorrenti e alternativi tra loro, nel senso che si applica il più basso.
Esempio: un lavoratore ha un reddito di 80.000 euro, il primo limite (12 per cento) è 9.600 euro. Poiché tale
cifra supera la soglia massima deducibile (5.164,65 euro) ci si deve fermare a questo importo, ma a patto
che la quota di Tfr trasferita al fondo pensione chiuso sia almeno pari al 50 per cento di 5.164,65 euro.
La legge delega prevede tuttavia di ampliare tali limiti agevolativi al fine di rendere più appetibile per tutti
(dipendenti e autonomi) il ricorso alla previdenza complementare. In particolare, la delega impone ai futuri
decreti attuativi di fissare nuovi e diversi limiti in valore assoluto (oggi 5.164,65 euro) e in valore
percentuale (oggi il 12 per cento del reddito), applicando quello più favorevole all'interessato: pertanto, una
volta a regime il nuovo sistema, i tre paletti di cui sopra si amplieranno e si capovolgeranno consentendo al
soggetto di beneficiare di quello che lo agevolerà di più. Inoltre, allo scopo di equiparare tutte le forme di
previdenza complementare affinché ogni lavoratore sia libero di trasferire il proprio Tfr dove meglio crede
senza alcuna limitazione e/o penalizzazione, la legge delega eliminerà il vincolo di adesione ai soli fondi
chiusi (o di categoria), al fine di trarne i benefici fiscali, per i dipendenti che lavorano in settori che li hanno
già costituiti e che sono operanti.
Le prestazioni erogate dalle varie forme di previdenza complementare avranno le garanzie della non
cedibilità, non sequestrabilità e non pignorabilità: si tratta di garanzie che non esistono per il Tfr.
Se da un lato è vero che il rendimento dei fondi o dei Fip è aleatorio, cioè dipende dalle capacità della
società di gestione e dall'andamento del mercato finanziario, dall'altro è altrettanto vero che nel lungo
periodo, cioè nell'arco di 20 o 30 anni, le statistiche dimostrano come investimenti dinamici (azionari)
permettono di ottenere rendimenti presumibilmente superiori rispetto a quelli derivanti dalla rivalutazione a
norma di legge del Tfr accantonato. Tali risultati non si determinano in modo automatico, a prescindere
dall'andamento dei mercati, ma per conseguirli richiedono che il titolare effettui periodicamente una
adeguata "manutenzione" del proprio investimento previdenziale, allo stesso modo del contadino che non
basta che pianti una vite per ottenere qualche anno dopo del buon vino ma deve ogni tanto potarla,
concimarla, raddrizzarla. Né sarà sufficiente delegare la manutenzione del proprio investimento, ad
G.
esempio, all'operatore della propria banca di fiducia, e questo per due ragioni: 1) il Testo unico della
finanza assegna alle istituzioni finanziarie (banche/assicurazioni) un ruolo di intermediari, cioè di meri
venditori di prodotti, e non di consulenti. Pertanto, la "consulenza" delle banche è solo "strumentale"
ovvero strettamente legata all'investimento proposto in un dato istante; 2) c'è il turn-over degli addetti, per
cui è praticamente certo che i suggerimenti cambiano a seconda della persona che li dà, in quanto la finanza
non è una scienza esatta, inconfutabile nei suoi postulati, ma opinabile.
La legge 243/2004 attribuisce ai fondi pensione la contitolarità con i propri iscritti del diritto di
contribuzione, compreso il Tfr cui è tenuto il datore di lavoro, e li legittima a rappresentare i propri iscritti
nelle controversie aventi per oggetto i contributi omessi. In altre parole, se i datori di lavoro non verseranno
i contributi mensili o non accantoneranno il Tfr maturato, i fondi pensione potranno perseguirli con una
capacità di tutelare i diritti violati incomparabilmente maggiore di quanto potrebbe fare il singolo lavoratore
dipendente "truffato" dal proprio datore di lavoro "disonesto".
Svantaggi
A.
B.
C.
D.
E.
Il lavoratore dovrà necessariamente acquisire una notevole cultura finanziaria o studiando a titolo personale
oppure avvalendosi di consulenti esperti ma indipendenti (e, dunque, a pagamento "a parcella", come tutti i
professionisti) per le due ragioni indicate nel precedente punto F. Non a caso si osservava in premessa
come la legge 243/2004 imponga al Governo di informare i lavoratori. Ma è utopistico pensare che
qualcuno riesca a rendere 13 milioni di lavoratori dipendenti di oggi, più tutti i futuri lavoratori subordinati,
degli esperti di finanza. Aggiungiamo, a nostro avviso, che su un tema così essenziale nessuno può pensare
di ricevere passivamente tutte le informazioni che gli servono da una lungimirante autorità o da qualche
sensibile datore di lavoro, ma dovrà sempre, necessariamente, assumere un ruolo attivo e, dunque, studiare,
ricercare, chiedere, informarsi individualmente. Ricordiamoci che le lacune informative del sistema saranno
colmate da campagne pubblicitarie sapientemente orchestrate delle società che vendono i fondi al fine di
fare presto "cassa", ovvero di realizzare profitti straordinari.
Al momento del pensionamento, il lavoratore non disporrà di alcuna somma da usare a beneficio proprio o
di altri (figli). Più precisamente, potrà ottenere sotto forma di capitale non più di un terzo del montante
maturato, essendo destinati i restanti due terzi a trasformarsi in rendita periodica, cioè in "mini-pensioni"
che saranno corrisposte mensilmente e che andranno a integrare il magro assegno pensionistico pubblico
obbligatorio (quello, per intendersi, garantito dall'Inps, dall'Inpdap, dall'Inpgi, dalle Casse dei liberi
professionisti). Diciamo un terzo anche se la legge (vd. Dlgs 47/2000, articolo 6) prevede che si possa
richiedere sottoforma di capitale fino a un massimo del 50 per cento del montante maturato, ma oltre il
33,33 per cento è prevista una fiscalità talmente svantaggiosa da costituire un ferreo deterrente al
superamento della terza parte dell'ammontare disponibile. La legge delega prevede però un
ammorbidimento di questa regola, sempre da realizzarsi concretamente con i decreti attuativi prossimi
futuri, per cui si potrà richiedere davvero fino al 50 per cento del proprio montante senza penalizzazioni o
disincentivi. A essere ancora più precisi, i fondi pensione garantiscono una rendita mensile (e, dunque, la
mini-pensione integrativa) solo se questa risulta essere superiore all'assegno sociale Inps; viceversa ai
sottoscrittori viene liquidato unicamente il capitale accumulato.
Esempio: nel 2003 l'assegno sociale Inps è stato pari a 4.667 euro (389,92 euro al mese): per avere una
rendita lorda annua identica occorre che un uomo di 60 anni maturi un capitale di circa 81.500 euro, mentre
la cifra sale a circa 93.600 euro per una donna della stessa età (la differenza è imputabile alla maggiore
longevità femminile). Se quell'uomo o quella donna accumulano solo 77.000 euro, tale cifra la otterranno
per intero tutta e subito come la cara vecchia "liquidazione" e non incasseranno alcuna rendita vitalizia.
Prima di gridare alla "fine" della vecchia cara liquidazione, paradossalmente il problema si rovescia: non è
poi così scontato che chi aderirà a un fondo pensione otterrà sicuramente una rendita periodica integrativa
in quanto dovrà accumulare un montante ragguardevole, specie per i lavoratori dipendenti dei livelli
retributivi medi e bassi che rappresenteranno la stragrande maggioranza dei potenziali sottoscrittori. Anzi,
per i lavoratori "medi e bassi" ultra quarantenni, eguagliare l'assegno sociale Inps si prospetta un'impresa
ardua senza un consistente sforzo individuale aggiuntivo.
E' molto disincentivata la possibilità di richiedere anticipi sulle somme di Tfr versate alle forme di
previdenza complementare: a) dal momento dell'adesione, occorre essere iscritti al fondo da almeno 8 anni
(ad esempio, un lavoratore che si iscrive al fondo dopo 12 dall'assunzione, necessita di altri 8 anni per poter
chiedere l'anticipo dovendo complessivamente attendere 20 anni); b) non si può ottenere oltre un terzo delle
somme versate; c) occorre giustificare documentalmente che l'anticipo serve solo per l'acquisto prima casa
o per urgenti e gravi interventi chirurgici riconosciuti dalle competenti strutture pubbliche, per sé stessi o
per i più stretti familiari a carico.
Il riscatto della propria posizione individuale è sempre possibile, ma è conveniente solo al verificarsi di
certe situazioni "tutelate" dalla legge per le quali si applica la tassazione separata: riscatti a seguito di 1)
pensionamento, 2) cessazione rapporto di lavoro per mobilità, 3) per altre cause non dipendenti dalla
volontà delle parti. Al di fuori di tali situazioni "tutelate" dalla legge, l'intero importo riscattato viene
assoggettato a tassazione ordinaria con possibile applicazione di aliquota marginale più elevata.
Mentre il Tfr ha un rendimento garantito, praticamente certo (salvo fortissime oscillazioni del tasso di
inflazione annua) e abbastanza rilevante (comunque superiore all'inflazione annua), i rendimenti dei fondi o
F.
dei Fip sono aleatori in quanto dipendono unicamente dalle capacità della società di gestione e
dall'andamento del mercato finanziario.
I tempi di percezione della rendita e/o di un terzo del capitale si allungano a dismisura. Il lavoratore potrà
percepire i contributi versati al Fondo o al Fip non più ogni volta che cessa il rapporto di lavoro, ma solo
quando matura i requisiti per il trattamento previdenziale da parte del fondo, cioè quando raggiungerà
un'età anagrafica da un minimo di 57 anni a un massimo di 65, a seconda del regime pensionistico al quale
appartiene (anzianità o vecchiaia).
C. Terza alternativa: il lavoratore dipendente decide di non decidere, ovvero si astiene da ogni
manifestazione di volontà
Questa rappresenta l'eventualità peggiore per gli interessi del lavoratore, il quale, in pratica, finirebbe col delegare
altri (in primis il legislatore e successivamente le società di gestione dei fondi) a decidere permanentemente - e pare
anche irrevocabilmente - su una questione essenziale della sua vita senza averne alcun tipo di influenza. E' una
soluzione altamente sconsigliabile. C'è il rischio concreto che per molti anni questa opzione predefinita - in gergo
tecnico detta di default - sarà molto praticata: l'evidenza empirica dimostra che anche nei Paesi che da decenni
adottano simili sistemi gli individui tendono a non scegliere. Inoltre, un recente rapporto dell'Ufficio studi della Bnl
dimostra come tra i lavoratori italiani serpeggia molta difficoltà ad accettare l'idea di contribuire per qualcosa che fino
a pochi anni fa era data per scontata, nel senso che sono da sempre abituati ad aspettarsi la pensione pubblica "sicura"
al termine della propria vita lavorativa. E, come è noto, cambiare mentalità a un'intera collettività costituisce sempre
una sfida.
Su un piano strettamente operativo invece, questa terza opzione rimarrà del tutto ipotetica fino a quando non
interverranno a far chiarezza i decreti legislativi attuativi di cui abbiamo detto nell'introduzione. In questa sede si può
dire che la legge delega 243/2004 rinvia appunto ai decreti attuativi "l'individuazione di modalità tacite di
conferimento del TFR ai fondi istituiti o promossi dalle regioni, tramite loro strutture pubbliche o a partecipazione
pubblica all'uopo istituite" oppure in base ai contratti collettivi, cioè ai fondi chiusi (detti anche di categoria), se
esistono, o ai fondi aperti ad adesione collettiva. Non è possibile immaginare quali saranno le intenzioni del ministero
del Welfare di qui a qualche mese, ma da un punto di vista esclusivamente logico è ipotizzabile che i decreti attuativi
che emanerà prevedranno le seguenti soluzioni a "esclusione":
1.
2.
3.
4.
Dipendenti che lavorano in settori dove già esistono i fondi di categoria: in caso di loro "silenzio-assenso",
il Tfr finirà proprio nel contenitore che già esiste ed è attivo, il fondo chiuso (o di categoria), ovvero un
fondo aperto ad adesione collettiva, cioè un vero e proprio fondo aperto, ma verso il quale una (di solito
piccola) azienda stipula una convenzione di adesione per i suoi (pochi) dipendenti (esempio: una azienda
manifatturiera con 25 dipendenti si accorda con la Banca XXX per far aderire ciascuno di essi - operai,
impiegati, manager - al fondo pensione aperto direttamente gestito dalla stessa Banca).
Dipendenti che lavorano in settori dove non esistono né i fondi di categoria né quelli aperti ad adesione
collettiva: in caso di loro "silenzio-assenso", il Tfr finirà in fondi di previdenza già istituiti da tempo dalle
Regioni e gestiti insieme ai sindacati confederali. Attualmente solo tre Regioni li hanno istituiti e sono
operanti: "Solidarietà Veneto" dalla Regione Veneto (nato nel 1990, oggi conta 13.500 dipendenti iscritti),
"Laborfonds" dal Trentino Alto Adige (a oggi conta 68.225 aderenti, di cui 32.899 dipendenti pubblici),
"Fopadiva" dalla Valle d'Aosta.
Dipendenti che lavorano in settori dove non esistono i fondi di categoria e che vivono in regioni che non
hanno istituto fondi regionali: in caso di loro "silenzio-assenso" il Tfr dovrebbe automaticamente essere
indirizzato verso un fondo di previdenza che ogni Regione dovrà rapidamente istituire sulla falsariga delle
tre che già ce l'hanno da qualche anno per lungimirante iniziativa autonoma.
Qualora le regioni non fossero in grado di costituire fondi di previdenza in tempi molto rapidi, la legge
delega prevede che in via residuale siano costituiti, presso enti di previdenza obbligatoria (Inps, Inpdap,
Enpals, Casse), forme pensionistiche alle quali destinare - appunto "in via residuale" - le quote del Tfr non
altrimenti devolute. Ciò significa che gli enti citati dovranno costituire presso di loro delle gestioni speciali
a cui far confluire e gestire in via separata la parte di Tfr non altrimenti destinabile nei punti 1, 2 e 3.
Al di là delle scelte di "merito" che i decreti faranno, saranno inevitabili polemiche a livello politico e sindacale,
perché mentre la legge delega mette tutte le forma di previdenza su un piano di assoluta parità, lo strumento attuativo
sarà obbligato a incardinare il Tfr di chi non sceglie verso un tipo, e uno solo, di fondo previdenziale a scapito di tutte
le altre possibili soluzioni: il che implicherà appunto una scelta che a monte sarà politica tout-court (alcune istituzioni
risulteranno privilegiate rispetto ad altre concorrenti) e, a scendere, anche di politica economica in senso lato (una
scelta piuttosto che un'altra avrà l'effetto di far confluire ingenti risorse in una direzione piuttosto che in un'altra).
Un solo esempio: la legge dovrà necessariamente contenere i criteri per destinare da qualche parte il Tfr di un
lavoratore metalmeccanico trentino che lavora in una piccola azienda che ha sottoscritto un accordo con una Bcc
locale per l'adesione a un fondo aperto ad adesione collettiva da quest'ultima collocato sul mercato per conto di un
grande emittente nazionale o internazionale. Il Tfr andrà al fondo chiuso "Cometa" che vale per tutta la categoria dei
metalmeccanici nazionali? o al fondo regionale "Laborfonds" che in Trentino esiste ed è attivo da tempo? o al fondo
aperto ad adesione collettiva collocato dalla Banca locale e con cui il datore di lavoro ha siglato una convenzione per
far aderire i suoi dipendenti o, in via residuale, all'Inps? Ma, se fosse così, nella sua fisionomia nazionale o in
un'eventuale sua articolazione regionale? È scontato che qualunque scelta che il ministero farà, sarà opinabile.
Inoltre, una volta destinato il Tfr da qualche parte, i decreti attuativi decideranno il tipo di gestione: obbligazionario,
azionario, bilanciato, e così via. Ma senza un'adeguata valutazione della situazione personale del lavoratore e, nel
corso del tempo, senza una minima "manutenzione" dell'investimento previdenziale, questo potrà risultare non
appropriato alla situazione di quel particolare individuo. Ad esempio, destinare il Tfr in un comparto obbligazionario
potrebbe non essere la soluzione migliore se il nostro metalmeccanico trentino è giovane; al contrario, potrebbe
rivelarsi un azzardo conferire il Tfr in un comparto esclusivamente o prevalentemente azionario se il nostro
metalmeccanico è in là con gli anni o comunque vicino alla pensione.
Come si è visto da ques'ultimo esempio, una volta risolto il problema di dove "veicolare" il Tfr di chi si è astenuto da
ogni manifestazione di volontà, i decreti attuativi dovranno decidere tutto ciò che ne deriva a cascata: le modalità
della gestione, l'attribuzione del montante maturato, le componenti "accessorie" come, ad esempio, l'opzione per la
reversibilità o meno della propria rendita, le forme di protezione che dovranno essere garantite ai lavoratori in quanto
il loro Tfr finirà comunque in un sistema a capitalizzazione puro con assoggettamento a tutti i rischi tipici dei mercati
finanziari. A tal proposito, la delega impone al Governo di disporre affinché "i fondi possano dotarsi di linee di
investimento tali da garantire rendimenti comparabili al tasso di rivalutazione del TFR".
Infine, gli eventuali fondi residuali creati dall'Inps o dall' Inpdap dovranno garantire ai sottoscrittori un rendimento
minimo. Ciò apre un ulteriore problema: se infatti il rendimento garantito fosse troppo alto - diciamo, molto prossimo
al rendimento medio del Tfr e, quindi, attorno al 2,5-3 per cento all'anno - si paventa il rischio che la gestione di tali
fondi ricalchi le stesse storture dei sistemi previdenziali pubblici obbligatori e che di qui a vent'anni tutta la
collettività sarà chiamata a "farsi carico" di coprire i buchi di una gestione previdenziale complementare troppo
generosa.
Lorenzo Stoppa