Mutui bancari, ammortamento alla francese e nullità delle clausole

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Mutui bancari, ammortamento alla francese e nullità delle clausole
From the SelectedWorks of Valerio Sangiovanni
September, 2014
Mutui bancari, ammortamento alla francese e
nullità delle clausole sugli interessi per
indeterminatezza
Valerio Sangiovanni
Available at: http://works.bepress.com/valerio_sangiovanni/209/
Giurisprudenza
Diritto civile
Mutuo bancario
TRIBUNALE DI MILANO, Sezione specializzata in materia di impresa B, 30 ottobre 2013 - G.U.
Riva Crugnola - AE. s.r.l. c. Banca di C. s.p.a.
La presenza in un contratto di mutuo bancario di una pluralità di clausole sul tasso d’interesse fra esse incompatibili, che rende impossibile l’accertamento del tasso effettivamente concordato fra le parti, produce l’effetto di rendere indeterminabile l’oggetto delle clausole e, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1346, 1418
e 1419 c.c., rende nulle le clausole, con la conseguenza che gli interessi sono dovuti nella misura legale come
previsto dall’art. 1284 c.c.
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Non sono stati rinvenuti precedenti in termini.
…Omissis…
Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto
della decisione
L’attrice, AE. s.r.l., ha citato in giudizio la Banca di C.
s.p.a. chiedendo:
1. declaratoria di nullità delle clausole relative alla determinazione degli interessi contenute in due contratti
di mutuo stipulati inter partes rispettivamente il 5 dicembre 2002 per l’importo di euro 1.000.000 (con successivo atto di quietanza del 24 marzo 2004) e il 24
marzo 2004 per l’importo di euro 500.000, in particolare
rilevando:
- quanto al primo mutuo: la indeterminatezza del tasso
di interesse previsto dalla complessa e contraddittoria
formula negoziale contenuta nell’atto di quietanza, in
sostanza prevedente un piano di ammortamento “alla
francese” a rate costanti ma con tasso variabile e con effetti anatocistici; il comportamento abusivo (anche ai
sensi dell’art. 9 l. n. 192/1998) della banca, la quale solo in sede di quietanza, senza fornire alcuna previa informazione alla mutuataria, ha sottoposto alla firma dell’attrice la complessa formula negoziale, unilateralmente
predisposta, senza che AE. s.r.l. potesse comprenderne
la portata;
- quanto al secondo mutuo, analoghe circostanze;
- quanto a entrambi i contratti, la concreta applicazione
da parte della convenuta di tassi effettivi diversi e superiori rispetto a quelli risultanti dalle astruse formule negoziali, come indicato da relazione del consulente dell’attrice;
2. individuazione del tasso applicabile in luogo di quello
risultante dalle clausole nulle;
3. con condanna della convenuta alla restituzione di
quanto pagato in eccesso fino al 31 dicembre 2010.
La convenuta ha contrastato le domande dell’attrice, rilevando che nel corso del rapporto erano stati periodicamente comunicati i dati relativi alla composizione
delle rate (cfr. docc. da 14 a 38), dai quali risulterebbe
la piana applicazione, senza alcun effetto anatocistico,
delle clausole contrattuali, articolate specificatamente
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in tutti i loro elementi e quindi da considerare determinate e pienamente valide.
All’esito del deposito delle memorie ex art. 183 comma
6 c.p.c., il g.i. ha quindi così provveduto sulle istanze
istruttorie dell’attrice:
«ritenuto che le prove orali dedotte dall’attrice non
paiono riguardare circostanze determinanti ai fini del
decidere;
ritenuta la necessità di procedere a CTU per la verifica
- sulla scorta delle cognizioni tecniche proprie dell’esperto da nominarsi nell’ambito accademico tenuto
conto delle questioni matematico-finanziarie in gioco della effettiva ricorrenza:
- di elementi d’indeterminatezza nelle pattuizioni in
materia di tassi controverse,
- nonché, in ogni caso, di effetti anatocistici nei meccanismi di ammortamento applicati dalla banca convenuta,
- nonché, ancora in ogni caso, di distorsioni applicative
delle clausole contrattuali, mentre l’accertamento tecnico non pare possa estendersi a ulteriori profili di illiceità delle pattuizioni negoziali non dedotte in citazione»,
nominando quindi CTU la prof. F. B., chiamata a rispondere al seguente quesito:
«dica il CTU, esaminati gli atti e i documenti di causa
e compiuto ogni accertamento ritenuto utile:
1. se le pattuizioni relative agli interessi di cui ai due
contratti di mutuo controversi presentino elementi di
indeterminatezza;
2. se, comunque, tali pattuizioni comportino effetti anatocistici;
3. se, in ogni caso, la concreta applicazione di tali clausole da parte della convenuta abbia comportato violazione dei parametri negoziali.
In caso di risposta affermativa ai quesiti che precedono
procedendo poi:
A. nell’ipotesi di risposta affermativa al quesito sub 1, a
determinare un piano di ammortamento a tasso legale
con quote capitali costanti, calcolando altresì la differenza fra l’ammontare dovuto in base a tale piano e
quanto pagato dall’attrice per le rate già corrisposte;
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B. nell’ipotesi di risposta affermativa al quesito sub 2, a
indicare se - e con quale metodologia e risultati - il piano di ammortamento sia depurabile degli effetti anatocistici, in caso di impossibilità procedendo come sub A;
C. nell’ipotesi di risposta affermativa al quesito sub 3, a
determinare un piano di ammortamento corretto secondo i termini negoziali, calcolando altresì la differenza
fra l’ammontare dovuto in base a tale piano e quanto
pagato dall’attrice per le rate già corrisposte».
Depositata quindi dalla prof. B. la sua relazione finale il
19 ottobre 2012, le parti hanno precisato le conclusioni
nel tenore in epigrafe trascritto, riproducendo quelle
formulate negli atti introduttivi e hanno svolto le difese
conclusionali.
All’esito di tale contraddittorio reputa il Tribunale che
le domande di parte attrice debbano essere accolte.
Al riguardo va rilevato che l’accertamento tecnico predisposto ha permesso di ricostruire l’effettiva portata
delle complesse clausole dei due contratti di mutuo in
discussione, di per sé peculiari in quanto prevedenti, come illustrato dall’attrice, un piano di ammortamento
c.d. alla francese (vale a dire comportante rate costanti
in ciascuna delle quali la quota di capitale aumenta progressivamente mentre la quota di interessi progressivamente decresce) ma caratterizzato anche dalla variabilità, secondo vari parametri, del tasso di interesse.
Dalla relazione del CTU, caratterizzata da significativa
accuratezza nella illustrazione dei passaggi del ragionamento matematico-finanziario utilizzato per la risposta
al quesito e come tale del tutto condivisibile ad avviso
del Tribunale, neppure essendo stata, del resto, oggetto
di specifiche e convincenti critiche scientifiche nelle
difese conclusionali delle parti, emerge in particolare,
quanto alle clausole regolanti il piano di ammortamento relative al primo contratto (ricavabili oltre che dal
contratto di mutuo dal successivo atto di quietanza, cfr.
docc. 1 e 2 convenuta), che le previsioni contrattuali si
articolano, oltre che in riferimento all’ammontare del
mutuo, alla durata di 15 anni e alla restituzione a mezzo
di rate semestrali posticipate nonché al preammortamento per complessivi euro 936.000 e al tasso nominale
annuo del 3,4% fino al 30 giugno 2004, in riferimento
ad altri tre elementi complessi specificamente schematizzati dalla CTU come A1, A2 e A3 a p. 11 della relazione, e così riassumibili utilizzando le parole della
CTU:
A1: “tale tasso (ovvero il tasso d’interesse del 3,4%) sarà preso a base per il calcolo delle quote di rimborso del
capitale nel caso l’ammortamento inizi prima della scadenza del primo triennio e anche per il triennio successivo in caso di prosecuzione a tasso variabile” (cfr. doc.
2 convenuta, capoverso “in primo luogo”);
A2: “le semestralità saranno calcolate col sistema dell’ammortamento di un prestito a rate costanti, basato
sulla formula matematico-finanziaria nota nella tecnica
finanziaria come sistema francese” (cfr. doc. 2 convenuta, capoverso “in primo luogo”, punto 1);
A3: il tasso d’interesse è variabile, pari a un mezzo del
tasso nominale annuo Euribor a 6 mesi più uno spread
dell’1% (cfr. doc. 2 convenuta, capoverso “in primo
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luogo”, punto 1.A); elementi che, secondo la convincente ricostruzione della CTU, «pur avendo ciascuno
significato finanziario determinato, non sono tra di loro
compatibili», sicché, «per costruire un ammortamento
che sia in linea con le condizioni A1, A2 e A3 occorre
trascurare e/o modificarne una, mantenendo valide le
altre», così potendosi pervenire, in sostanza, sulla base
dello stesso testo negoziale ad almeno tre diverse ipotesi
di pieni d’ammortamento per così dire “alternativi”,
una delle quali è quella in concreto applicata al rapporto dalla banca convenuta, fondata sulla osservanza delle
condizioni A1 e A3 ma non di quella A2 (cfr. relazione
pp. 12-13, ove si precisa che tale applicazione delle
clausole è quella “più naturale” dal punto di vista della
interpretazione finanziaria, ma da un lato si basa su di
una delle interpretazioni possibili della condizione contrattuale A1, dall’altro disattende completamente la
condizione negoziale A2), mentre le altre due (generanti ciascuna diverse conseguenze rispettivamente sul piano degli effetti solutori dei pagamenti e degli importi da
versarsi dal mutuatario) soddisfano rispettivamente le
condizioni A2 e A3 pretermettendo la condizione A1
(cfr. relazione pp. 13-14) e l’altra le condizioni A1 e A2
pretermettendo la condizione A3 (cfr. relazione p. 14).
Le clausole in discussione, dunque, pur apparendo di
per sé analitiche come sottolineato dalla convenuta, si
risolvono, da un punto di vista matematico-finanziario,
in enunciati non danti luogo a una univoca applicazione ma richiedenti la necessità di una scelta applicativa
tra più alternative possibili, ciascuna delle quali comportanti l’applicazione di tassi d’interesse diversi: il che
vale a dire che tali clausole, da un punto di vista giuridico, non soddisfano il requisito della determinatezza o
determinabilità del loro oggetto, richiesto dalla disciplina dei contratti ex artt. 1418 e 1346 c.c. a pena di nullità, come costantemente affermato, in materia di mutuo,
dalla giurisprudenza di legittimità (cfr., ad esempio,
Cass. 19 maggio 2010, n. 12276, secondo la quale «affinché una convenzione relativa agli interessi sia validamente stipulata ai sensi dell'art. 1284 comma 3 c.c. che
è norma imperativa, deve avere forma scritta e un contenuto assolutamente univoco in ordine alla puntuale
specificazione del tasso di interesse»).
Né a inficiare tali conclusioni possono poi valere le
considerazioni svolte dalla difesa di parte convenuta in
particolare nella memoria di replica conclusionale:
- sia quanto alla ricavabilità in via interpretativa, dal
complesso delle clausole negoziali, di elementi idonei a
correggere l’indeterminatezza matematico-finanziaria
delle formule in discussione, trattandosi di argomento
che si scontra con il carattere “assolutamente univoco”
richiesto dalla giurisprudenza in materia di pattuizione
di tassi di interessi ultralegali, carattere che nel caso,
come analiticamente indicato dalla CTU, è impossibile
ricostruire in riferimento alla terminologia utilizzata
nella parte del negozio deputata;
- sia quanto alla possibilità di mantenimento della previsione negoziale relativa al tasso variabile (pari a un
mezzo del tasso nominale annuo Euribor a 6 mesi più
uno spread dell’1%, cfr. supra sub A3) di per sé chiara,
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anche questa argomentazione scontrandosi con le complessive conseguenze della indeterminatezza delle pattuizioni negoziali, in realtà comportanti, secondo i meccanismi individuati dalla CTU, tre possibilità applicative diverse, in ciascuna delle quali la diversa combinazione delle tre condizioni negoziali conduce a una diversa incidenza dei tassi di interesse complessivamente
in gioco e, dunque, in definitiva, a una pattuizione non
univoca circa la misura complessiva di tali tassi, come
emerge in particolare dalla ricostruzioni analitica dei tre
diversi piani di ammortamento allegati dalla CTU sub
1, sub 3 e sub 4.
Ad analoga conclusione deve poi pervenirsi anche rispetto alle clausole regolanti il piano di ammortamento
relative al secondo contratto (cfr. doc. 3 convenuta),
per le quali pure la CTU ha fornito un’analisi del tutto
convincente e condivisibile quanto alla indeterminatezza, in questo caso dovendosi osservare che, essendo
espressamente previste le sole condizioni sopra indicate
come A1 e A3, rimane aperta, da un punto di vista matematico-finanziario, la questione relativa alle possibili
interpretazioni di uno degli elementi della clausola A1
(cfr. pp. 15-16 della relazione).
Per quanto fin qui detto, in accoglimento delle relative
conclusioni dell’attrice, va dichiarata la nullità per indeterminatezza delle clausole determinanti il piano di
ammortamento dei due contratti di mutuo ai sensi dell’art. 1419 c.c., dovendosi al riguardo, in assenza di specifica eccezione della convenuta, condividere l’orientamento di legittimità secondo il quale: «l’estensione all’intero contratto della nullità delle singole clausole o
del singolo patto, secondo la previsione dell’art. 1419
c.c., ha carattere eccezionale perché deroga al principio
generale della conservazione del contratto e può essere
dichiarata dal giudice solo in presenza di una eccezione
della parte che vi abbia interesse perché senza quella
clausola non avrebbe stipulato il contratto. Ne consegue che la relativa questione non può essere esaminata
d’ufficio e, se non dedotta in appello, non è proponibile
per la prima volta nel giudizio di legittimità» (così
Cass., 27 gennaio 2003, 1189; nonché Cass., 13 giugno
2008, n. 16017).
Quanto poi alla sostituzione delle clausole nulle ai sensi
del comma 2 dell’art. 1419 c.c., sostituzione da ritenersi
domandata dall’attrice con la richiesta formulata nelle
conclusioni sopra riportate sub a.1 e sub b.1 di individuazione del “saggio di interesse applicabile in sostituzione sulle rate scadute e a scadere”, deve ritenersi applicabile la previsione di cui al comma 3 dell’art. 1284
c.c., secondo la quale «gli interessi superiori alla misura
legale devono essere determinati per iscritto; altrimenti
sono dovuti nella misura legale», trattandosi di clausola
sostitutiva avente portata generale e la cui operatività
nel caso di specie, del resto, non è stata oggetto di alcuna discussione fra le parti neppure a seguito della formulazione da parte del g.i. di quesito al CTU che la
presupponeva; non pare invece al Tribunale applicabile
la disciplina sostitutiva ex art. 117 comma 7 t.u.b., tale
disposizione specificando che il tasso sostitutivo ivi previsto riguarda l’ipotesi di “mancanza” di specifica pattui-
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zione scritta ovvero l’ipotesi di nullità della pattuizione
scritta ai sensi del precedente comma 6, vale a dire l’ipotesi di pattuizione facente rinvio agli usi ovvero prevedente condizioni deteriori rispetto a quelle pubblicizzate, casi, tutti, non corrispondenti a quello in esame.
In dipendenza della accertata nullità della clausola e
della sostituzione della stessa quanto alla misura degli
interessi con applicazione del tasso legale vanno poi accolte le domande dell’attrice relative alla condanna della convenuta alla restituzione di quanto all’attrice versato - in applicazione delle clausole nulle - in eccesso rispetto a quanto dovuto secondo un piano di ammortamento da ricostruirsi,
- ferme la durata e la cadenza delle rate negozialmente
previste,
- con applicazione del tasso legale (sostitutivo di quello
indeterminato di cui alle clausole nulle),
- su quote capitali costanti (la nullità delle clausole
avendo travolto anche ogni previsione relativa all’andamento delle quote capitali “alla francese”)
- in relazione alle rate scadute fino al 31 dicembre
2010.
La ricostruzione di tali piani è stata effettuata dalla
CTU come da allegati alle relazione sub 2 e sub 6, così
evidenziando un differenziale rispettivamente per il primo contratto di euro 138.471,09 (cfr. p. 10 della relazione nonché allegato 2) e per il secondo di euro
69.235,52 (cfr. p. 16 della relazione nonché allegato 6):
importi dei quali quindi la convenuta va condannata alla restituzione, il rapporto dovendo poi proseguire anche per le rate successive a quella del 31 dicembre 2010
secondo le modalità di cui ai piani di ammortamento ricostruiti dal CTU e allegati sub 2 e sub 6, senza che al
riguardo debba disporsi alcuna ulteriore condanna della
convenuta quanto alla restituzione dei versamenti in
eccesso relativi alle rate maturate (nelle more del processo) successivamente al 31 dicembre 2010, restituzione che pare domandata dall’attrice nelle difese conclusionali (cfr. pp. 18 e 21 comparsa conclusionale) ma
che da un lato non è compresa nelle conclusioni definitive della stessa attrice, e d’altro lato va configurata
quale obbligazione della banca comunque conseguente
alla declaratoria di nullità parziale di cui alla presente
sentenza e in ordine al cui adempimento (nell’avvenuto
caso di accoglimento della domanda di nullità) neppure
vi è attuale contestazione.
In dipendenza delle pronunce che precedono va poi ritenuta assorbita ogni altra conclusione dell’attrice e
ogni altra questione discussa fra le parti, e in particolare
quelle relative
- al preteso (dall’attrice) effetto anatocistico, effetto, va
qui solo ricordato, che comunque la CTU ha condivisibilmente escluso discenda di per sé dal piano di ammortamento costruito alla francese nel quale il maggior ammontare degli interessi da versarsi – rispetto a piani di
ammortamento costruiti all’italiana – dipende non dall’applicazione di interessi composti ma dalla diversa costruzione delle rate (cfr. pp. 8-9 della relazione, in particolare nota 4),
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- nonché alle pretese (sempre dall’attrice) distorsioni
applicative poste in essere dalla banca, distorsioni anche queste, secondo le condivisibili conclusioni della
CTU, non ricostruibili, avendo la banca costantemente
applicato il piano di ammortamento coerente con la sua
scelta di una delle possibili letture delle clausole “polivalenti”.
…Omissis…
Mutui bancari, ammortamento alla francese e nullità
delle clausole sugli interessi per indeterminatezza
di Valerio Sangiovanni (*)
Il Tribunale di Milano enuncia il principio che il tasso d’interesse nei contratti di mutuo deve essere
espresso in modo univocamente chiaro nel testo contrattuale: qualsiasi combinato di clausole che non
realizzi tale trasparenza determina la nullità della pattuizione sul tasso di interesse ultralegale, con conseguente applicazione del tasso legale, potendo allora le banche pretendere dal mutuatario solo un corrispettivo del tutto inadeguato rispetto alle condizioni di mercato. La sentenza, nell’evidenziare l’incompatibilità fra le diverse clausole contenute nel contratto, obbliga pertanto in alcuni casi le banche a una revisione dei propri testi contrattuali. Si esclude invece che il piano di ammortamento alla francese produca
effetti anatocistici.
La sentenza in commento si colloca all’interno
di uno scenario di ampio contenzioso che, negli ultimi anni, vede confrontarsi i clienti e le banche (1). La crisi economico-finanziaria ha difatti
determinato un acuirsi della litigiosità, talvolta vista dalle imprese come extrema ratio per evitare la
cessazione dell’attività o financo l’insolvenza. Diversi filoni giurisprudenziali degli ultimi anni mostrano la crescita del contenzioso fra clienti e intermediari bancari e, al riguardo, possono evidenziarsi
quattro macro-aree:
1) un primo settore di controversie investe il requisito di “forma” in senso lato dei contratti bancari, affermando i clienti che il contratto non è stato
stipulato per iscritto oppure non soddisfa altri requisiti formali (mancando ad esempio le sottoscrizioni) oppure non contiene valide pattuizioni sugli
interessi;
2) altre cause riguardano l’anatocismo;
3) recentemente è in fase espansiva il contenzioso sull’usura, con il quale i clienti bancari chiedo-
no la riduzione a zero degli interessi dovuti, in forza del disposto dell’art. 1815 comma 2 c.c. (2);
4) infine sono frequenti le contestazioni dei
clienti che affermano di essere stati illegittimamente iscritti nei sistemi d’informazione creditizia,
chiedendo la cancellazione del proprio nominativo
oltre che il risarcimento del danno patito (3).
Nella maggior parte dei casi le pur esistenti difficoltà fra il cliente e la banca non portano a contenzioso finché l’impresa ha bisogno dell’assistenza
finanziaria dell’intermediario: la società finanziata
si trova in una posizione di considerevole debolezza
nei confronti della propria controparte contrattuale, e ciò sconsiglia iniziative giudiziarie nei confronti della banca. Il conflitto emerge invece solo
alla fine, quando il rapporto fra le parti si incrina
definitivamente. In pendenza di contratto l’impresa dipende dai finanziamenti concessi dalla banca
e non ha interesse a interrompere la relazione, correndo il rischio di non trovare fonti alternative di
credito. Invece, quando è la banca che interrompe
il rapporto, l’impresa - come extrema ratio - fa tal-
(*) Il contributo è strato sottoposto, in forma anonima, alla
valutazione di un referee.
(1) L’autore è componente dell’organo decidente dell’Arbitro Bancario Finanziario. Le opinioni espresse sono di carattere
personale e in nessun caso possono reputarsi vincolanti per le
decisioni dell’ABF.
(2) Di particolare attualità è la tematica dell’usura sopravvenuta, sulla quale cfr. C. Chessa, Requiem per l’usurarietà sopravvenuta, in Riv. giur. sarda, 2012, I, 231 ss.; A. Senatore,
Contratto di mutuo e usurarietà sopravvenuta. Quale regime?, in
Nuova giur. civ. comm., 2010, I, 68 ss.
(3) Il contenzioso sulle errate segnalazioni presso le banche
dati finanziarie ha pertanto tipicamente due distinti oggetti: in
primis la cancellazione della segnalazione e, secondariamente,
il risarcimento del danno che è derivato dalla segnalazione.
Più studiato in dottrina è questo secondo aspetto; fra i vari
contributi usciti sul tema cfr. M. Bellante, Responsabilità della
banca per illegittima segnalazione alla CAI e alla Centrale rischi
della Banca d’Italia e per illegittima iscrizione ipotecaria, in Nuova giur. civ. comm., 2012, I, 8 ss.; F. Grasselli, Errata segnalazione in “Centrale rischi” e risarcimento dei danni, in Obbl.
contr., 2011, 737 ss. V. Sangiovanni, Segnalazioni alla Centrale
dei rischi e questioni di responsabilità civile, in Danno e resp.,
2013, 250 ss.
L’acuirsi del contenzioso bancario
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volta causa all’intermediario, adducendo diverse
asserite scorrettezze tali per cui la pretesa della
banca non appare fondata (o lo è solo in parte) (4). Di solito l’azione in giudizio del cliente nei
confronti della banca non è dunque “selettiva” con
riferimento alle domande che vengono presentate,
ma tende a cumulare tutte le (o la maggior parte
delle) pretese indicate sopra.
All’interno di questo ampio contenzioso del quale si stanno occupando numerosi tribunali, si colloca anche la vicenda oggetto della sentenza del Tribunale di Milano in commento, che può essere così riassunta. Una società stipula due contratti di
mutuo, che vengono regolarmente eseguiti per diversi anni: il mutuatario paga puntualmente le rate
alle scadenze semestrali pattuite. Ad un certo punto, peraltro, la società mutuataria contesta alla
banca che le clausole che prevedono il tasso d’interesse che le viene applicato si caratterizzano per essere indeterminate, comportando inoltre addebiti
anatocistici. Per queste ragioni agisce in giudizio e
chiede la restituzione di quanto illegittimamente
addebitato in forza dei contratti di mutuo contestati.
È appena il caso di accennare al fatto che gli obblighi che sorgono in capo al mutuatario per effetto della conclusione del contratto di mutuo sono
due: restituire il capitale e corrispondere gli interessi (5). Mentre la restituzione del capitale non
solleva particolari problemi nella prassi, l’obbligo
del pagamento degli interessi determina sovente
contenzioso fra le parti.
Con riguardo alla quantità d’interessi che il mutuatario deve corrispondere al mutuante, la disposizione che è stata oggetto di applicazione nel caso deciso dal Tribunale di Milano è l’art. 1284 c.c., che
pone la distinzione fra interessi legali e interessi
convenzionali. L’art. 1284 comma 3 c.c. stabilisce
in particolare che gli interessi superiori alla misura
legale devono essere determinati per iscritto; altrimenti sono dovuti nella misura legale. La norma
sugli interessi convenzionali è di fondamentale importanza per il sistema bancario in quanto l’interesse legale non remunera a sufficienza gli istituti di
credito, i quali sono così costretti ad applicare interessi convenzionali di valore percentuale maggiore. Con riguardo ai tempi di pagamento degli interessi,
le parti possono concordare il pagamento degli interessi in un’unica soluzione (alla scadenza del termine previsto di durata del mutuo) oppure possono
prevede una restituzione rateale (con rate che possono essere di diversa durata: mensili, trimestrali o
semestrali). La seconda fattispecie è quella più ricorrente nella prassi, anche perché riduce per le
banche il rischio di mancato pagamento del debitore.
Una volta che la misura degli interessi è stata
debitamente pattuita (ma ciò non è avvenuto nel
caso deciso dal Tribunale di Milano in commento), il mutuatario assume l’obbligo di pagare al mutuante detti interessi. L’obbligo di pagamento degli
interessi viene concretizzato nel c.d. “piano di ammortamento”, che altro non è che l’elencazione
delle scadenze alle quali capitale e interessi devono
essere pagati, con indicazione precisa delle somme
che devono essere corrisposte a ogni rata a titolo rispettivamente - di capitale e interessi (6). La
Corte di cassazione ha affermato che il piano di
(4) Tipicamente la banca, convincendosi a un certo punto
dell’incapacità del proprio cliente a saldare il debito contratto,
chiede il rientro dagli affidamenti, e dunque l’immediato pagamento del saldo debitore. L’impresa che non è in grado di far
fronte a tale richiesta si oppone, sollevando diverse eccezioni
(tipicamente quelle indicate sopra: interessi ultralegali non debitamente pattuiti, anatocismo, usura e illegittima segnalazione nelle banche dati finanziarie). Il cliente nei cui confronti la
banca agisce in giudizio per ottenere il pagamento del saldo
debitore non è quasi mai in grado di far fronte immediatamente ai propri debiti: laddove difatti il cliente avesse di proprio le
disponibilità finanziarie, non avrebbe originariamente contratto
un debito con il sistema bancario. Talvolta il cliente dispone di
garanzie, che però non necessariamente sono particolarmente
liquide (è il caso dell’ipoteca su immobili che, in un periodo di
recessione economica, può non essere sufficiente a soddisfare
il creditore: l’immobile potrebbe difatti rimanere invenduto oppure essere ceduto solo a un prezzo basso che non garantisce
la soddisfazione del creditore procedente). Ciascuna delle contestazioni elencate è in grado di mettere in dubbio l’esattezza
del saldo vantato dalla banca e di ridurlo di un certo ammonta-
re: talvolta nella prassi succede che il saldo creditore originariamente vantato dalla banca si trasforma, per effetto dei ricalcoli compiuti dal CTU, in un saldo debitore; mentre la banca riteneva di vantare un credito nei confronti del cliente, risulta invece - infine - in una posizione debitoria nei confronti dell’impresa.
(5) Il primo obbligo risulta dalla stessa definizione di mutuo,
quale contratto col quale una parte consegna all’altra una determinata quantità di danaro e l’altra si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e qualità (art. 1813 c.c.). Il
secondo obbligo (di pagamento degli interessi) non è in realtà
una conseguenza necessaria del contratto di mutuo, per così
come esso è disciplinato in via generale dal codice civile: prevede difatti la legge che, salvo diversa volontà delle parti, il mutuatario deve corrispondere gli interessi al mutuante (art. 1815
comma 1 c.c.).
(6) Sul piano di ammortamento cfr. anche Arbitro Bancario
Finanziario, Collegio di Roma, decisione n. 813 del 12 febbraio
2013, in www.arbitrobancariofinanziario.it, secondo cui la condotta della banca è censurabile per negligenza in caso di
omessa consegna del piano di ammortamento al cliente. Per
Il contratto di mutuo e l’obbligazione di
pagare gli interessi
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ammortamento entra a far parte del contratto e ne
costituisce parte integrante, divenendo così vincolante per i contraenti (7). Proprio in quanto parte
del contratto, non sono tollerabili contrasti fra il
tasso d’interesse come indicato nella parte letterale
del contratto e il tasso d’interesse come indicato (o
meglio: “esplicitato” in termini assoluti, e non più
percentuali) nel piano di ammortamento. Laddove
siano presenti detti contrasti spetta all’ordinamento stabilire quale tasso d’interesse debba prevalere:
quello indicato nella parte testuale del contratto o
quello indicato nel piano di ammortamento. La
giurisprudenza mostra di ritenere che - in caso di
contrasti - non si possa normalmente reputare un
tasso prevalente rispetto all’altro, con conseguente
complessiva indeterminatezza del tasso concordato,
nullità delle clausole e applicazione del tasso legale.
A seconda delle pattuizioni che vengano inserite
nel contratto, il tasso d’interesse può essere fisso o
variabile. Al riguardo non sono desumibili dall’ordinamento particolari limiti all’autonomia negoziale delle parti, le quali possono liberamente pattuire
un tasso fisso oppure variabile (oppure anche sistemi più complessi che consentono di passare da
meccanismi fissi a variabili e in direzione opposta
durante la durata del mutuo). Laddove sia previsto
un tasso d’interesse variabile, questo si compone di
due elementi: una parte effettivamente variabile
(tasso Euribor o Libor) e una parte in realtà fissa
(c.d. “spread”, o margine d’intermediazione della
banca). In presenza di un tasso variabile, il piano
di ammortamento non può essere predefinito in
tutti i suoi dettagli fin dal momento della conclusione del contratto, in quanto il complessivo onere
finanziario per interessi che farà carico al mutuatario dipende dalla variazione del tasso nel corso del
tempo.
Dal punto di vista operativo è poi comune che si
concordi fra le parti come si debba estinguere il debito complessivo assunto dal mutuatario, in particolare se debba essere estinto prima il debito in
conto capitale oppure il debito in conto interessi.
L’art. 1194 c.c. lascia libertà di accordo alle parti,
con l’effetto che – nella prassi bancaria – si rinvengono diversi meccanismi di estinzione del debito.
Piuttosto diffuso nel nostro ordinamento è il piano
di ammortamento c.d. “alla francese”, che è quello
oggetto della sentenza in commento (8). Detto piano prevede che ogni rata di pagamento si compone
di due voci: un certo importo a titolo di capitale e
un certo importo a titolo d’interessi. Inoltre l’ammontare complessivo di ciascuna rata pagata dal
mutuatario a ogni scadenza è identico. Peraltro all’interno di ciascuna rata la quota di capitale e la
quota di interessi non sono identiche: gli interessi
da corrispondersi sono maggiori nelle prime rate e
scendono progressivamente man mano che si procede verso l’ultima rata (mentre sale la quota capitale) (9).
Nel caso deciso dal Tribunale di Milano in commento si è verificata una situazione del tutto particolare, in quanto è risultato impossibile stabilire
quale fosse il tasso d’interesse pattuito fra le parti,
dal momento che le condizioni contrattuali erano
contraddittorie: la CTU è così giunta alla conclusione che le parti non avessero pattuito in modo
certo il corrispettivo spettante alla banca. Il contratto prevedeva che il tasso d’interesse si sarebbe
dovuto calcolare facendo uso di tre parametri:
1) base di riferimento era il tasso d’interesse iniziale al 3,4%;
2) il tasso sarebbe variato in relazione alle variazioni dell’Euribor;
3) ciò nonostante le rate sarebbero rimaste costanti nel tempo.
Il problema è che non è possibile avere un tasso
variabile mantenendo costanti le rate nel tempo
(in quanto se aumenta il tasso aumenta l’importo
delle rate), salvo in un caso eccezionale: quando il
contratto ha durata variabile. In presenza di un tasso variabile, l’onere complessivo per il mutuatario
si potrà stabilire solo alla fine del rapporto contrattuale, quando sarà stato applicato il tasso così come esso si evolve nel corso del tempo. L’onere finanziario totale è accertabile nel suo ammontare
approfondimenti sul funzionamento e sui poteri dell’ABF v. in
particolare C. Consolo, M. Stella, L’“Arbitro Bancario Finanziario” e la sua “giurisprudenza precognitrice”, in Società, 2013,
185 ss.; S. delle Monache, Arbitro Bancario Finanziario, in Banca borsa tit. cred., 2013, I, 144 ss.; G. Guizzi, L’Arbitro Bancario
Finanziario nell’ambito dei sistemi di ADR: brevi note intorno al
valore delle decisioni dell’ABF, in Società, 2011, 1216 ss.
(7) Cass., 19 aprile 2002, n. 5703, ha statuito che il piano di
ammortamento, attraverso cui si predispone l’assetto inerente
la restituzione del capitale con coeva determinazione dell’entità dei frutti per ogni singola scansione del pagamento, rappre-
senta clausola negoziale i cui effetti, per tale sua natura, sono
vincolanti fra le parti.
(8) Relativamente ai mutui con piano di ammortamento alla
francese cfr. M. Silvestri, G. Tedesco, Sulla pretesa non coincidenza fra il tasso espresso in frazione d’anno e il tasso annuo nel
rimborso rateale dei prestiti secondo il metodo “francese”, in
Giur. mer., 2009, 82 ss.
(9) Per una descrizione delle caratteristiche dei piani di ammortamento alla francese e all’italiana cfr. A. Maccarrone, Capitalizzazione trimestrale degli interessi nei mutui, in Contratti,
2009, 226 s.
il Corriere giuridico 8-9/2014
1107
Giurisprudenza
Diritto civile
solo ex post e il sistema del tasso variabile è dunque
logicamente incompatibile con rate costanti nel
tempo. Si può ottenere il risultato descritto (beneficio del tasso variabile + rate costanti) solo prolungando o abbreviando la durata del contratto al
fine di tenere conto dell’andamento (inizialmente
imprevedibile) dei tassi. Se i tassi saranno elevati,
il mutuatario avrà bisogno di più tempo per saldare
il proprio complessivo debito, mentre se i tassi si
manterranno bassi, il mutuatario riuscirà a pagare
prima il proprio complessivo debito. Il difetto del
contratto di mutuo giunto all’attenzione del Tribunale di Milano è dunque quello di prevedere una
durata fissa del piano di ammortamento, incompatibile con le ulteriori caratteristiche di un tasso variabile a rate costanti.
Il requisito di forma scritta del contratto
di mutuo e degli interessi convenzionali
L’art. 117 comma 1 t.u.b. prevede che i contratti
bancari sono redatti per iscritto (10). Questa disposizione non prescrive un requisito di “comprensibilità” del contratto, diversamente da quanto avviene - ad esempio - per i contratti assicurativi, per i
quali l’art. 166 comma 1 cod. ass. stabilisce che
vanno redatti “in modo chiaro ed esauriente”. La
questione della comprensibilità del contratto è stata indirettamente oggetto della sentenza del Tribunale di Milano in commento, nel senso che le
clausole sul tasso d’interesse contenute nel contratto erano incompatibili le une con le altre e non
consentivano di comprendere esattamente quale
fosse il corrispettivo pattuito a favore della banca.
Tuttavia, nel caso di specie, più che di “comprensibilità” dell’oggetto, si trattava di “determinatezza”
del medesimo, circostanza che ha condotto l’autorità giudiziaria milanese a dichiarare la nullità delle
clausole (11).
L’art. 117 comma 3 t.u.b. specifica che nel caso
d’inosservanza della forma prescritta il contratto è
nullo. Si tratta di un’ipotesi di nullità del contratto
(10) Sul requisito di forma scritta del contratto bancario cfr.
in particolare F. Rolfi, La Cassazione e la forma dei contratti
bancari: il difficile bilanciamento tra garanzie e celerità, in questa
Rivista, 2006, 3, 361 ss.; S. Pagliantini, Nullità formali bancarie
e restituzioni (a margine di una recente decisione dell’A.B.F. Arbitro Bancario Finanziario), in Nuova giur. civ. comm., 2012,
II, 179 ss.
(11) I contratti bancari sono contratti per adesione, nel senso che - nella prassi - nella quasi totalità dei casi il loro testo
viene predisposto unilateralmente dalla banca e viene accettato integralmente dal cliente. Osserva M. De Poli, Commento all’art. 117 t.u.b., in AA.VV., Commentario breve al diritto dei consumatori, a cura di G. De Cristofaro, A. Zaccaria, II ed., Pado-
1108
per assenza di forma, che travolge l’intero contratto (e, con esso, ogni possibile pattuizione orale sul
tasso d’interesse). Se, difatti, viene meno il contratto, viene meno - per definizione - anche ogni
pattuizione relativa agli interessi. Si noti tuttavia
che l’art. 117 comma 3 t.u.b. non è la disposizione
che ha trovato applicazione nella sentenza del Tribunale di Milano in commento, in quanto vi era
un contratto scritto debitamente firmato dalle parti. Il problema è stato di tipo diverso, di “determinatezza” dell’oggetto del contratto, in particolare
degli interessi pattuiti fra le parti.
Un conto è il testo del contratto in sé considerato, un altro conto è il contenuto minimo del contratto, in relazione al quale la legge prevede che i
contratti bancari indicano il tasso d’interesse e
ogni altro prezzo e condizione praticati (art. 117
comma 4 t.u.b.). Dunque non è sufficiente che il
contratto sia redatto per iscritto dovendo invece
disciplinare appositamente il tasso d’interesse. Non
necessariamente peraltro il tasso d’interesse deve
essere indicato in misura fissa, essendo possibile
l’indicazione di un tasso variabile. Il requisito della
“indicazione” del tasso è soddisfatto tutte le volte
che l’ammontare del tasso, anche se non determinato nel contratto, risulta determinabile (sempre
sulla base del contratto). Ciò avviene in particolare quando il tasso da applicarsi dipende da parametri variabili, a condizione che i parametri variabili
siano oggettivamente accertabili (e dunque si possa
ricostruire in modo certo, anche solo ex post, l’ammontare dell’onere per interessi cui è tenuto il debitore). In definitiva l’art. 117 comma 4 t.u.b. può
reputarsi soddisfatto tutte le volte che il contratto
contiene un riferimento al tasso d’interesse che
consente di stabilire con certezza quale sia il corrispettivo che fa capo al mutuatario.
Mentre l’assenza del contratto bancario scritto
determina nullità dell’intero contratto, nel diverso
caso in cui manchi solo la pattuizione sul tasso
d’interesse non si verifica la nullità dell’intero contratto, ma opera un meccanismo legislativo di sova, 2013, 1615, che il legislatore pone l’obbligo di redazione
dei contratti in capo alla banca, circostanza che dimostra come il legislatore consideri naturale il fatto che a formare il documento contrattuale sia chi predetermina il contenuto delle
condizioni contrattuali che lo comporranno. In realtà, non vi è
nel testo della legge l’affermazione diretta di un preciso e specifico obbligo di redazione del contratto da parte della banca,
anche se detto obbligo si può ricavare dal fatto che la legge
prescrive che un esemplare del contratto debba essere consegnato ai clienti (così recita sempre l’art. 117 comma 1 t.u.b.): è
evidente che se la banca deve consegnare un esemplare del
contratto, deve prima averlo predisposto.
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Giurisprudenza
Diritto civile
stituzione di clausole. Prevede difatti la legge che,
in caso di inosservanza del citato comma 4, si applica il tasso nominale minimo e quello massimo,
rispettivamente per le operazioni attive e per quelle passive, dei buoni ordinari del tesoro annuali
emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione
del contratto (art. 117 comma 7 t.u.b.). La banca
pertanto che ha un contratto scritto, ma che ha
omesso di disciplinare il tasso d’interesse, riceve
comunque una parziale tutela, nel senso che al tasso convenzionale mancante si sostituisce un altro
tasso (d’importo inferiore) fissato dalla legge (12).
L’art. 117 t.u.b. costituisce una disposizione specifica della legge bancaria, che – come tale - si applica ai contratti bancari. I contratti bancari peraltro sono assoggettati anche alle disposizioni del codice civile sulle obbligazioni in generale. Dunque
l’art. 117 t.u.b. deve essere coordinato, in particolare, con l’art. 1284 c.c. e l’art. 1284 comma 3 c.c.
afferma che gli interessi superiori alla misura legale
devono essere determinati per iscritto (altrimenti
sono dovuti nella misura legale) (13).
Si rinviene pertanto nel codice civile una disposizione sulla forma con cui devono essere pattuiti
gli interessi convenzionali ultralegali: occorre lo
scritto ad substantiam. Con il requisito della forma
il legislatore intende tutelare il cliente bancario.
Bisogna riflettere sul fatto che, nella prassi, il contratto è predisposto unilateralmente dalla banca e
il cliente non ha margini realistici di negoziazione
del medesimo: avrà solo la possibilità di accettarlo
in toto, altrimenti il finanziamento gli verrà negato.
A fronte di questa posizione di debolezza economica (si tenga presente che chi chiede il finanziamento ha necessità del danaro), una delle poche
tutele di cui gode il mutuatario è quella di poter sapere con certezza fin dall’inizio quale sarà l’onere
finanziario derivante dalla conclusione del contratto. In ultima istanza il requisito di forma (e, più in
generale, della trasparenza bancaria, di cui la forma
costituisce uno degli elementi) mira ad accrescere
l’informazione e la consapevolezza degli utenti bancari, ai fine di creare - idealmente - un mercato
concorrenziale. Vero è che il singolo cliente bancario non ha realisticamente la possibilità di negoziare quello specifico contratto con la banca; tuttavia, conoscendo con esattezza tutte le condizioni
economiche, potrà rivolgersi ad altra banca che in ipotesi - gli offre condizioni migliori.
Dunque il legislatore prevede meccanismi di sostituzione. Per il caso di violazione dell’art. 117
t.u.b. e quello di violazione dell’art. 1284 c.c. è peraltro diversa la sanzione prevista dalla legge, nel
senso che nella prima ipotesi si ha sostituzione con
il tasso dei buoni ordinari del tesoro, mentre nella
seconda ipotesi si ha sostituzione con il tasso legale. L’interprete deve allora chiedersi quando trova
applicazione l’art. 117 t.u.b. e quando l’art. 1284
c.c. Per un verso la differente applicazione è ovvia,
in quanto l’art. 117 t.u.b. trova applicazione solo ai
contratti bancari, mentre l’art. 1284 c.c. anche a
tutti gli altri contratti. Il Tribunale di Milano
prende però posizione in modo più specifico su
questo aspetto, con una soluzione che pare condivisibile. Secondo l’autorità giudiziaria milanese
l’art. 117 t.u.b. disciplina le ipotesi di mancanza di
qualsiasi indicazione nel contratto sul tasso d’interesse, mentre l’art. 1284 c.c. regola la differente
ipotesi in cui vi sono riferimenti agli interessi ma
non vi è stata determinazione della loro misura.
Nel caso deciso dal Tribunale di Milano vi era una
pattuizione sul tasso d’interesse, caratterizzata però
da contraddittorietà. Dando peso a questo elemento differenziale, l’autorità giudiziaria milanese ritiene che si applichi l’art. 1284 c.c. e che il criterio
sostitutivo debba essere quello dell’interesse legale.
(12) Il requisito della forma scritta per gli interessi è soddisfatto quando la clausola sugli interessi è inserita nel testo
contrattuale e il contratto è firmato da ambedue i contraenti.
In assenza di detti presupposti, non sono consentiti meccanismi di sanatoria del difetto di forma scritta. Più precisamente
Cass., 29 luglio 2009, n. 17679, ha specificato che la mancata
contestazione degli estratti conto inviati al cliente dalla banca,
oggetto di tacita approvazione in difetto di contestazione ai
sensi dell’art. 1832 c.c., non vale a superare la nullità della
clausola relativa agli interessi ultralegali, perché l’unilaterale
comunicazione del tasso d’interesse non può supplire al difet-
to originario di valido accordo scritto in deroga alle condizioni
di legge, richiesto dall’art. 1284 c.c.
(13) Cass., 14 gennaio 1997, n. 280, ha stabilito che la convenzione relativa alla pattuizione degli interessi in misura superiore a quella legale, in difetto della forma scritta richiesta ad
substantiam, è colpita da nullità solo per la parte corrispondente alla differenza fra il tasso legale e quello convenuto, con riferimento alla quale l’ordinamento interviene non per espungerla dal regolamento pattizio senza riconnettervi alcun effetto, bensì per sostituirla con la disciplina legale.
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Conseguenze della indeterminatezza
della clausola sugli interessi
La particolarità del caso deciso dal Tribunale di
Milano non sta nell’assenza di forma scritta del
contratto bancario (che era invece soddisfatta) né
nell’assenza di una clausola scritta sugli interessi
(che era presente nel testo del contratto), bensì
nel fatto che il contratto presentava una pluralità
1109
Giurisprudenza
Diritto civile
di clausole sul tasso d’interesse tale da rendere indeterminato quale fosse il tasso effettivamente concordato fra le parti.
In materia di determinazione della misura degli
interessi, la Corte di cassazione è intervenuta chiarendo che la convenzione relativa agli interessi è
validamente stipulata ai sensi dell’art. 1284 comma
2 c.c. soltanto se abbia un contenuto assolutamente univoco, contenente la puntuale specificazione
del tasso d’interesse (14).
“Specificazione” del tasso d’interesse non significa peraltro che il tasso d’interesse deve essere determinato in termini (percentuali) assoluti nel testo contrattuale; esso può essere anche solo determinabile. Secondo gli orientamenti della Corte di
cassazione il tasso d’interesse deve risultare determinabile e controllabile in base a criteri oggettivamente indicati. In particolare, secondo la Cassazione, se il tasso convenuto è variabile, è idoneo - ai
fini della sua precisa individuazione - il riferimento
a parametri fissati su scala nazionale alla stregua di
accordi interbancari, mentre non sono sufficienti
generici riferimenti, dai quali non emerga con sufficiente chiarezza quale previsione le parti abbiano
inteso richiamare con la loro pattuizione. Il requisito della determinazione scritta degli interessi ultralegali può essere soddisfatto anche per relationem, attraverso il richiamo a criteri prestabiliti ed
elementi estrinseci, purché obiettivamente individuabili (15). È stata invece ritenuta insufficiente,
ai fini della determinazione della misura degli interessi, la clausola che si limita a un mero riferimento “alle condizioni praticate usualmente dalle
aziende di credito sulla piazza”, in quanto - in considerazione dell’esistenza di diverse tipologie d’interessi - una clausola siffatta non consente, per la sua
genericità, di stabilire a quale previsione le parti
abbiano inteso concretamente riferirsi (16).
La questione di quali siano le conseguenze dell’indeterminatezza degli interessi convenzionali è
espressamente affrontata dal legislatore, il quale
stabilisce che - se le parti non hanno determinato
la misura degli interessi convenzionali - essi si
computano allo stesso saggio degli interessi legali
(art. 1284 comma 2 c.c.). La disposizione parla di
“determinazione” della “misura” degli interessi.
Dalla norma si ricava che l’ammontare degli interessi deve essere determinato direttamente nel contratto oppure deve essere, quanto meno, determinabile (17). Nel caso affrontato dal Tribunale di
Milano, le clausole sul tasso d’interesse erano molteplici e non compatibili fra di esse, causando l’impossibilità di ricostruire la loro misura. L’autorità
giudiziaria milanese, a fronte della situazione descritta, fa ricorso all’istituto dell’oggetto del contratto, il quale - come è noto - deve essere determinato o almeno determinabile (art. 1346 c.c.). Reputando che le clausole illustrate sopra non consentano di determinare con esattezza l’oggetto del
contratto, viene ritenuto applicabile l’art. 1418
comma 2 c.c., secondo cui produce nullità del contratto la mancanza nell’oggetto dei requisiti stabiliti dall’art. 1346 c.c. (18).
In definitiva il Tribunale di Milano riscrive il
piano di ammortamento nel modo che segue. Rimane ferma la durata del contratto (15 anni) e la
cadenza delle rate (semestrali). Al tasso d’interesse
indeterminato previsto nel contratto si sostituisce
il tasso d’interesse legale. Inoltre la nullità delle
clausole sul tasso investe anche il meccanismo di
ammortamento alla francese e quindi gli interessi
devono essere calcolati su quote di capitale costan-
(14) In questo senso cfr. in particolare, da ultimo, Cass., 19
maggio 2010, n. 12276, precedente citato nella sentenza del
Tribunale di Milano in commento.
(15) Sulla possibilità di determinare gli interessi mediante
relatio v. G. M. Santucci, Sui limiti di ammissibilità della relatio
nei contratti di conto corrente bancario, in Giur. comm., 2003,
II, 45 ss.
(16) Per il fatto che la clausola “uso piazza” non assicura la
necessaria determinazione degli interessi cfr. G. Mantovano,
La nullità della clausola “uso piazza” nel rapporto di conto corrente bancario, in Contratti, 2010, 405 ss. Attualmente l’art.
117 comma 6 t.u.b. prevede espressamente che sono nulle e
si considerano non apposte le clausole contrattuali di rinvio
agli usi per la determinazione dei tassi d’interesse. V. anche
Cass., 13 marzo 1996, n. 2103, la quale ha affermato che il
principio secondo cui la variazione dell’interesse nel corso di
un rapporto bancario di durata può essere reso determinabile
con il riferimento, previsto nella scrittura negoziale, a elementi
estranei e futuri (nella specie, riferimento alle condizioni usualmente praticate dalle aziende di credito sulla piazza) ha subito
deroga a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 4 della l. n.
154/1992 e degli artt. 117 e 118 t.u.b., poiché dette norme
espressamente negano validità alle clausole contrattuali di rinvio agli usi nella determinazione dei tassi d’interesse.
(17) Tipicamente la misura degli interessi è determinata
quando è espressa in cifra percentuale fissa (ad esempio il
5%), mentre la misura degli interessi è determinabile quando è
espressa in modalità variabile (ad esempio Euribor + 3% di
spread). Nessuna delle due fattispecie è giuridicamente problematica, in quanto l’interprete è sempre in grado di ricostruire
l’oggetto della pattuizione intercorsa fra le parti.
(18) La nullità delle clausole sul tasso d’interesse non implica la nullità dell’intero contratto. L’art. 1419 comma 1 c.c. disciplina espressamente la possibile nullità di parte del contratto o anche di singole clausole ed è la medesima legge a specificare che la nullità di singole clausole non importa la nullità
del contratto, quando le clausole nulle sono sostituite di diritto
da norme imperative (art. 1419 comma 2 c.c.): essendo nulle
le clausole sul tasso d’interesse contenute nel contratto esaminato dal Tribunale di Milano, la lacuna viene colmata dall’art.
1284 c.c. (con applicazione del tasso legale).
1110
il Corriere giuridico 8-9/2014
Giurisprudenza
Diritto civile
ti nel tempo (e non crescenti, come avviene nel sistema alla francese).
Il problema del possibile effetto
anatocistico dei piani di ammortamento
alla francese
Il Tribunale di Milano esclude che il piano di
ammortamento alla francese produca effetti anatocistici (19). Non pare tuttavia che la questione
possa considerarsi definitivamente superata, in
quanto detta problematica continua a essere discussa, e si rinvengono in giurisprudenza decisioni
in senso contrario.
Come si è sopra accennato, il mutuo alla francese si caratterizza per i seguenti elementi:
1) prevede che ogni rata di pagamento cui è tenuto il mutuatario si componga di due voci: una
prima somma a titolo di capitale e una seconda a
titolo d’interessi;
2) prevede altresì che le rate (siano esse mensili,
trimestrali o semestrali) si mantengono costanti
nel tempo, con riguardo al loro ammontare complessivo;
3) prevede tuttavia che la prima rata contenga
una quota elevata d’interessi, che va a diminuire
col passare del tempo (con connesso accrescimento
della quota di capitale, per mantenere appunto tutte le rate dello stesso importo).
Nel mutuo alla francese pertanto il mutuatario
paga con la prima rata una fetta considerevole d’interessi e poco capitale, situazione che man mano
varia, finché - con le ultime rate - paga un importo
piccolo d’interessi e un importo sostanzioso di capitale. Sulla legittimità di un piano di ammortamento
del genere non sussistono in giurisprudenza particolari dubbi, in quanto l’art. 1194 c.c., che disciplina
l’imputazione dei pagamenti (fra capitale e interessi), consente qualsiasi opzione, a condizione che vi
sia il consenso delle parti (20). I problemi che si
pongono nella prassi sono di tipo diverso:
1) quello relativo al fatto che, in ipotesi, il piano
di ammortamento alla francese può produrre un effetto anatocistico;
(19) Sui recenti sviluppi normativi in tema di anatocismo
cfr., fra i molti, U. Salanitro, Retroattività e affidamento: la ragionevolezza del comma 61 (art. 2 d.l. n. 225/2010, convertito l n.
10/2011), in Banca borsa tit. cred., 2012, II, 443 ss.
(20) In questo contesto cfr. anche Trib. Padova, 23 febbraio
2009, in www.dirittobancario.it, il quale ritiene non si possa affermare la nullità del meccanismo di ammortamento alla francese perché l’imputazione di pagamenti prima agli interessi e
poi al capitale è già espressamente prevista dall’art. 1194
comma 2 c.c.
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2) quello relativo alla possibile discrasia fra il testo del contratto e il piano di ammortamento.
Con riguardo al primo punto, va fatta una precisazione. Nel sistema alla francese, siccome vengono
pagati prima soprattutto gli interessi, la quota capitale si mantiene alta nel tempo: ciò significa che
gli interessi che si calcolano su una quota di capitale alta sono a loro volta alti. Rispetto ad altri
meccanismi di ammortamento, la quantità d’interessi che vengono pagati dal mutuatario è nel complesso maggiore (in quanto la quota capitale, sulla
quale si calcolano gli interessi, si mantiene più alta
per un più lungo periodo di tempo). È un sistema
economicamente vantaggioso per la banca, ma
non ha nulla a che vedere con l’anatocismo. Come
è noto, l’anatocismo consiste nel fatto che gli interessi, a più riprese del rapporto (con periodicità
normalmente trimestrale), vengono capitalizzati,
vengono cioè considerati come capitale, con la
conseguenza che diventano a loro volta produttivi
di interessi. Il piano di ammortamento alla francese non pare produrre un effetto anatocistico, in
quanto gli interessi non scadono né vengono capitalizzati (21).
Con riguardo al secondo punto, il piano di ammortamento alla francese - sotto il profilo della sua
possibile contraddittorietà rispetto al testo del contratto - è stato oggetto di alcuni precedenti giurisprudenziali, cui vale la pena accennare. In particolare, il Tribunale di Larino ha affermato che non
è consentito maggiorare nel piano di ammortamento il quantum degli interessi da corrispondersi rispetto a quanto previsto nel testo del contratto (22). Si trattava di un contratto di mutuo fondiario che prevedeva, nel testo del contratto, un
tasso d’interesse del 5% semestrale; il piano di ammortamento era costruito alla francese (con quota
d’interessi più alta nella rata iniziale a decrescere
progressivamente nelle rate successive). Secondo il
Tribunale di Larino il piano di ammortamento alla
francese ha determinato un complessivo carico
d’interessi maggiore di quello pattuito nel testo del
contratto. Detta autorità giudiziaria ha rilevato un
contrasto fra il testo del contratto e il piano di am(21) Il principio che il piano di ammortamento alla francese
non implica un effetto anatocistico è stato affermato dall’Arbitro Bancario Finanziario, Collegio di Milano, decisione n. 429
del 21 gennaio 2013, in www.arbitrobancariofinanziario.it. Precedentemente una soluzione analoga era stata adottata da Arbitro Bancario Finanziario, Collegio di Napoli, decisione n.
1130 del 1° giugno 2001, in www.arbitrobancariofinanziario.it.
(22) Trib. Larino, Sez. dist. Termoli, 3 maggio 2012, in
www.almaiura.it.
1111
Giurisprudenza
Diritto civile
mortamento e ne ha fatto ricavare un’assoluta incertezza su quale fosse il tasso effettivamente pattuito. Non potendo il giudice stabilire se il tasso
concordato fosse quello nominale previsto nel testo
del contratto oppure quello maggiorato previsto
nel piano di ammortamento, ha reputato incerto
l’oggetto del contratto e ha applicato il tasso d’interesse legale.
L’altro precedente sul sistema di ammortamento
alla francese è del Tribunale di Bari, il quale ha
evidenziato una difformità fra gli interessi dovuti
in base al testo contrattuale e gli interessi dovuti
in base al piano di ammortamento (23). Questa
autorità giudiziaria ha affermato che il creditore
può scegliere d’imputare il rimborso prima agli interessi che al capitale. Tuttavia, secondo il Tribunale di Bari, il diritto del creditore stabilito dall’art. 1194 c.c. rispetto all’imputazione del rimbor-
so del credito non può divenire un diritto d’incrementare surrettiziamente il tasso. Più precisamente il tasso nominale d’interesse pattuito letteralmente nel contratto di mutuo non si può maggiorare nel piano di ammortamento né si può mascherare tale artificioso incremento nel piano di
ammortamento. Nello stesso contratto risultavano
coesistere due differenti tassi, con assoluta incertezza su quale dei due tassi fosse effettivamente
quello convenuto e applicabile. Secondo il Tribunale di Bari si trattava di un sistema per dichiarare nella parte testuale del contratto in misura percentuale un tasso minore di quello successivamente esplicitato numericamente in termini assoluti
nel piano di ammortamento. Il risultato cui perviene l’autorità giudiziaria barese è l’applicazione
del tasso legale in sostituzione di quello non determinato nel testo contrattuale.
(23) Trib. Bari, sez. dist. Rutigliano, 29 ottobre 2008, in Contratti, 2009, 221 ss., con nota di A. Maccarrone.
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