L`AZIONE DELL`UNIONE EUROPEA CONTRO LA VIOLENZA
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L`AZIONE DELL`UNIONE EUROPEA CONTRO LA VIOLENZA
L’AZIONE DELL’UNIONE EUROPEA CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE 11 febbraio 2016 (Anna Pitrone) L’atteggiamento degli Stati purtroppo, com’è prevedibile, si riflette sulle politiche dell’Unione europea, che è un’organizzazione di Stati. Peraltro e’ bene sin da subito sottolineare che la tutela delle donne, in generale dei diritti umani fondamentali, è un fenomeno recente in ambito UE. I trattati istitutivi delle Comunità europee, infatti, non contenevano alcun riferimento al riguardo, basandosi, il processo di integrazione, solo su finalità economiche, quali l'unione doganale, economica e monetaria. Tuttavia, l'impatto sociale, culturale e politico di numerose attività economiche ha presto comportato delle implicazioni pratiche in tema di diritti individuali. Così a partire dalla fine degli anni '60, la Corte di Giustizia delle Comunità europee, ha assunto una posizione di orientamento e di guida, inaugurando un'importante prassi giurisprudenziale, ritenendo che i diritti fondamentali, in quanto principi generali di diritto, sono tutelati nella Comunità, come parte integrante dell’allora diritto comunitario. E' con l'adozione dell'Atto Unico europeo nel 1986, tuttavia, che i principi di democrazia ed i diritti umani fecero il loro ingresso ufficiale nel Preambolo, mentre con il trattato di Maastricht del 1992, tali principi sono stati inseriti nel testo del Trattato. Nel 2000 come è noto a Nizza veniva proclamata la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, con la quale l'Unione si è dotata di un catalogo ampio ed organico dei diritti umani fondamentali. Essa non aveva valore giuridico vincolante, sino all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona che ne sancisce l’obbligatorietà giuridica, oltre a prevedere l’adesione dell’Unione alla CEDU (anche se la strada dell’adesione è ancora lunga, considerato che il Progetto di Accordo sottoposto alla Corte di Giustizia dell’Unione è stato dalla stessa “bocciato”). La Carta ribadisce diritti già contenuti nella CEDU, garantendo il diritto alla vita, all’integrità fisica, il divieto di schiavitù e tortura, nonché il principio di non discriminazione e all’art. 23 il principio di parità fra uomini e donne. Tuttavia in tema di contrasto alla violenza di genere in ambito UE, occorre percorrere principalmente 3 strade: 1. La possibile adesione dell’UE alla Convenzione di Istanbul; 2. I programmi specifici; 3. Il diritto derivato. 1. Adesione UE alla Convenzione di Istanbul Come già anticipato in premessa, la Convenzione di Istanbul è aperta alla partecipazione anche dell’Unione europea ( come già partecipa alla Convenzione ONU sulle persone con disabilità). Quest’ultima, allo stato attuale, non ne ha però ancora effettuato neanche la sottoscrizione, nonostante oggi tra gli scopi dell’Unione rientrano anche la lotta alle discriminazioni e la promozione della giustizia, della protezione sociale e della parità tra donne e uomini, principi ispiratori delle Convenzione. Peraltro come vedremo il diritto dell’Unione europea si occupa già di talune questioni affrontate dalla Convenzione di Istanbul. Senza ambizione di esaustività, ricordiamo, in primo luogo, la direttiva 2012/29/UE del 25 ottobre 2012, in tema di diritti delle vittime di reato, che contiene varie norme il cui contenuto corrisponde a quello di parecchie disposizioni della Convenzione; rileva, inoltre, la direttiva 95/46/CE del 24 ottobre 1995, relativa al trattamento dei dati personali. Vi è poi un collegamento tra la Convenzione e la decisione quadro 2008/909/GAI del 27 novembre 2008, sul reciproco riconoscimento delle sentenze penali (L’art. 47 della Convenzione di Istanbul impegna gli Stati parti ad adottare le misure necessarie per riconoscere le condanne definitive pronunciate in un altro Stato parte in relazione ai reati previsti in base alla Convenzione. Si tratta, in buona sostanza, dello stesso tema di cui si occupa la decisione quadro 2008/909/GAI a cui è fatto riferimento nel testo). Infine, il capitolo VII della Convenzione, dedicato alla peculiare situazione delle donne migranti, tratta questioni che sono oggetto della direttiva 2003/86/CE del 22 settembre 2002, sul ricongiungimento familiare; della direttiva 2004/38/CE del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri; della direttiva 2008/115/CE del 16 dicembre 2008, sul rimpatrio di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare. Diverse sono le motivazioni per cui sarebbe auspicabile comunque l’adesione dell’Unione alla Convenzione di Istanbul. In primo luogo, chiare indicazioni in tal senso sono state fornite dall’Agenzia per i diritti fondamentali dell’Unione europea (European Union Fundamental Rights Agency – FRA). Dal canto suo, il Parlamento europeo ha dimostrato in una sua risoluzione di essere favorevole alla ratifica della Convenzione da parte dell’Unione. Di ciò sembra aver preso atto il Consiglio, nella sua composizione giustizia ed affari interni, con la recente adozione di un documento programmatico. Inoltre, l’Unione, com’è risaputo, è solita chiedere agli Stati aspiranti membri o associati di garantire i diritti prescritti da certi accordi internazionali di cui essa non è però parte contraente. In effetti, solitamente si tratta di accordi sui diritti umani non aperti all’adesione dell’Unione. Nel caso di specie, l’Unione è invece abilitata a partecipare alla Convenzione di Istanbul e, pertanto, se essa per prima non agisse in questa direzione, potrebbe poi trovarsi in difficoltà nel richiedere il rispetto dei diritti garantiti da quella stessa Convenzione agli Stati. Infine, se l’Unione ratificasse la Convenzione di Istanbul, questa andrebbe a costituire parte integrante del suo ordinamento, ciò implicherebbe l’obbligo di interpretare gli atti delle Istituzioni in maniera ad essa conforme. Tale obbligo di interpretazione conforme varrebbe per tutti gli Stati membri dell’Unione, ivi compresi quelli non contraenti la Convenzione di Istanbul. Di recente, la Commissione, sollecitata sull’argomento, ha però risposto sottolineando la necessità anzitutto che prima tutti gli Stati membri ratifichino la Convenzione (ed ha esortato a farlo), solo successivamente secondo la Commissione potranno essere valutate in maniera approfondita le implicazioni giuridiche e politica di tale adesione. 2. I programmi specifici Lotta contro la violenza nei confronti dei bambini, degli adolescenti e delle donne: Programma Daphne Il programma Daphne, istituito dal 2000, mira a prevenire e a combattere ogni forma di violenza (fisica, sessuale e psicologica) nei confronti dei bambini, dei giovani e delle donne, sia nella sfera pubblica che in quella privata, e a proteggere le vittime e i gruppi a rischio. Integra i programmi esistenti negli Stati membri. I beneficiari del programma sono i bambini, i giovani (12-25 anni) e le donne vittime di violenza o che rischiano di diventarlo. Sono considerate vittime di violenza anche coloro che sono testimoni di un'aggressione nei confronti di un parente prossimo. Il programma si rivolge a gruppi di destinatari come le famiglie, gli insegnanti, gli operatori sociali, la polizia, il personale medico e giudiziario oltre che alle organizzazioni non governative e alle autorità pubbliche. Possono presentare proposte organizzazioni e istituzioni pubbliche o private (autorità locali, dipartimenti universitari e centri di ricerca) attive nel settore della prevenzione e della lotta contro la violenza o del sostegno alle vittime. Il programma mira in particolare a: assistere e incoraggiare le organizzazioni non governative (ONG) e le altre organizzazioni impegnate contro la violenza; costituire reti multidisciplinari, al fine di rafforzare la cooperazione tra le ONG; sviluppare e attuare azioni di sensibilizzazione destinate a pubblici specifici; diffondere i risultati ottenuti nell'ambito dei due programmi Daphne precedenti; assicurare lo scambio di informazioni e di buone pratiche, per esempio tramite visite studio e scambi di personale; studiare i fenomeni collegati alla violenza e il relativo impatto sia sulle vittime che sulla società (costi sociali, economici e relativi all'assistenza sanitaria); sviluppare programmi di sostegno per le vittime e le persone a rischio e programmi d'intervento per gli autori delle violenze. Per realizzare questi obiettivi, il programma sostiene tre tipi di azione: le azioni della Commissione europea: ricerche, sondaggi e inchieste, raccolta e diffusione di dati, seminari, conferenze e riunioni di esperti, sviluppo e aggiornamento di siti web, ecc.; i progetti transnazionali di interesse comunitario che coinvolgono almeno due Stati membri; il sostegno alle ONG e ad altre organizzazioni che perseguono un obiettivo di interesse europeo generale. Il finanziamento comunitario può assumere una delle seguenti forme: sovvenzioni (sovvenzioni di funzionamento e sovvenzioni alle azioni) sulla base di inviti a presentare proposte; contratti di appalto pubblico per misure complementari (per esempio, spese di informazione e comunicazione, monitoraggio e valutazione) per finanziare l'acquisto di beni e servizi. La Commissione adotta un programma di lavoro annuale contenente le sue priorità e propone una ripartizione indicativa dei fondi da assegnare alle sovvenzioni. Inoltre, pubblica annualmente un elenco dei progetti finanziati nel quadro del programma. I beneficiari del finanziamento devono presentare relazioni tecniche e finanziarie sullo stato di avanzamento dei lavori ed una relazione finale entro tre mesi dal completamento dell'azione. Sono previsti anche la supervisione e il controllo finanziario. Dal 2013 il programma Daphne è stato inglobato nel programma Diritti, uguaglianza e cittadinanza per il periodo 2014-2020, adottato con regolamento (UE) n. 1381/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, che nasce appunto come risultato dell’unione di tre programmi separati: 1. il programma Cittadinanza e Diritti Fondamentali, 2. il programma Daphne III 3. due capitoli del programma per la solidarietà sociale e l’impiego PROGRESS. Diritti e Cittadinanza verrà utilizzato per combattere la discriminazione sotto ogni aspetto così come enunciato all’articolo 21 della carta europea dei diritti fondamentali. Il programma, nello specifico, andrà a finanziare iniziative e progetti per il sostegno dell’uguaglianza, la lotta contro la discriminazione e la diffusione della Cittadinanza Europea. Particolare attenzione verrà data alla discriminazione di genere e di orientamento sessuale, includendo tra gli obiettivi del programma anche la lotta all’omofobia, affiancandola agli altri obiettivi primari quali la lotta al razzismo e alla xenofobia. Le attività finanziabili tramite questo programma sono varie: Attività di analisi; elaborazione di metodologie, di indicatori o criteri di riferimento comuni; studi, ricerche, analisi, indagini; valutazioni e valutazioni di impatto; elaborazione e pubblicazione di guide, relazioni, materiale didattico; monitoraggio e valutazione del recepimento e dell’applicazione del diritto dell’UE e dell’attuazione delle sue politiche; conferenze, seminari, riunioni di esperti; Attività di formazione, come scambi di personale, convegni, seminari, eventi di formazione per formatori, sviluppo di moduli di formazione online; Attività di apprendimento reciproco, cooperazione, sensibilizzazione e divulgazione, come individuazione e scambio di buone prassi, approcci ed esperienze innovativi, organizzazione di valutazioni peer review; organizzazione di conferenze e seminari; organizzazione di campagne di sensibilizzazione e di informazione, di eventi mediatici, inclusa la comunicazione istituzionale delle priorità politiche dell’UE; raccolta e pubblicazione di materiali informativi sul programma; sviluppo, gestione e aggiornamento di sistemi e strumenti che utilizzano le tecnologie dell’informazione e della comunicazione; Sostegno alle principali parti coinvolte, come gli Stati membri, nella fase di attuazione delle norme e delle politiche UE; sostegno a reti chiave a livello europeo la cui attività è collegata agli obiettivi del programma; networking a livello europeo tra enti e organizzazioni specializzati, autorità nazionali, regionali e locali; finanziamento di reti di esperti; finanziamento di osservatori a livello europeo. Potranno partecipare al programma organismi ed enti pubblici o privati pertinenti; organizzazioni internazionali attive nei settori coperti dal programma. Inoltre è prevista una collaborazione con i paesi terzi, con particolare attenzione ai paesi interessati dalla politica di vicinato. 3. Il diritto derivato Diversi atti dell’Unione riguardano alcuni aspetti della lotta alla violenza di genere. La direttiva 2011/99/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, sull'ordine di protezione europeo, che stabilisce un meccanismo per il reciproco riconoscimento delle misure di protezione in materia penale tra gli Stati membri. Sulla base di tale direttiva, la persona interessata qualora stia per lasciare o abbia lasciato il territorio dello Stato membro che aveva originariamente emesso una misura di protezione in suo favore, può richiedere allo Stato membro di destinazione il rilascio dell’ordine di protezione e la sua esecuzione. Tale disciplina inoltre è stata successivamente ampliata da un regolamento relativo al riconoscimento reciproco delle misure di protezione in materia civile (non dunque solo penale come nel caso dell’ordine di protezione), che consente alle vittime di stalking di molestie, di violenza domestica, che abbiano ottenuto dal proprio Stato membro misure di protezione nell’ambito di procedimenti appunto civili lo spostamento in altro Stato membro senza perdere tale protezione. La direttiva 2011/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2011, concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime. Definisce norme minime comuni per determinare i reati connessi alla tratta di esseri umani e fissare le relative pene. Inoltre prevede misure che mirano a rafforzare la prevenzione del fenomeno e la protezione delle vittime. Sono considerati punibili il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l’alloggio o l’accoglienza con la forza di persone a fini di sfruttamento. La direttiva stabilisce come pena massima per tali reati almeno cinque anni di reclusione e almeno dieci anni in caso di circostanze aggravanti, per esempio se il reato è stato commesso nei confronti di vittime particolarmente vulnerabili (quali i minori) o se è stato commesso da un’organizzazione criminale. I paesi dell’UE possono perseguire i rispettivi cittadini per reati commessi in un altro paese dell’UE e ricorrere a strumenti investigativi come le intercettazioni (ad esempio, di conversazioni telefoniche o e-mail). Le vittime ricevono assistenza prima, durante e dopo i procedimenti penali per consentire loro di esercitare i diritti loro conferiti dalla posizione di vittima nel procedimento penale. Le misure di sostegno possono consistere nella fornitura di un alloggio, di cure mediche e assistenza psicologica, nonché di informazioni e servizi di interpretariato. Bambini e adolescenti (minori) beneficiano di misure complementari, quali l’assistenza fisica e psico-sociale, l’accesso all’istruzione e, all’occorrenza, la possibilità di designare un tutore o un rappresentante. Inoltre, dovrebbero essere interrogati senza ritardo in locali predisposti e da parte di operatori formati a tale scopo. Le vittime hanno diritto alla protezione da parte della polizia e all’assistenza legale, per permettere loro di richiedere il risarcimento. I paesi dell’UE devono intraprendere azioni per scoraggiare la domanda che incoraggia la tratta; svolgere campagne di informazione e formare i funzionari per permettere loro di individuare e avere a che fare con le vittime e potenziali vittime della tratta. la direttiva 2011/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa alla lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile. Finalizzata a combattere in modo diretto gli abusi, lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia ma anche a creare un terreno comune tra gli Stati per ciò che riguarda la definizione dei reati e delle sanzioni in materia di abuso e sfruttamento sessuale dei minori, pornografia minorile e adescamento di minori per scopi sessuali, e ad introdurre delle previsioni normative utili a rafforzare la prevenzione di tali reati e la protezione delle vittime. Tra le nuove figure di reato, finora non previste in Unione europea nell'ambito dell'abuso e dello sfruttamento sessuale a danno di minori, è introdotto il reato di adescamento di minori anche attraverso l'utilizzo di Internet. Nella direttiva si definiscono poi i modi per interrompere la distribuzione di materiale pedopornografico sul web, in particolare si stabilisce che gli Stati membri debbano adottare tutte le misure necessarie per assicurare la tempestiva rimozione delle pagine ospitate nel loro territorio che contengono o diffondono materiale pedopornografico e, quando questo non sia possibile, sono chiamati a bloccarne l'accesso dal proprio territorio nazionale. Importante è anche la previsione della collaborazione con i Paesi terzi per ottenere la rimozione di siti ospitati su server al di fuori dell'Unione, anche se si tratta di un'operazione di non facile attuazione perché talvolta richiede molto tempo. Inoltre, la direttiva definisce il reato di turismo sessuale all'interno dell'Unione, ossia lo sfruttamento sessuale di minori da parte di una o più persone che viaggiano verso una destinazione all'estero in cui hanno contatti sessuali con minori. Per combatterlo le autorità nazionali hanno la possibilità di perseguire i propri cittadini che abusano di minori all'estero e organizzano viaggi a tale scopo, e di vietare di pubblicizzare occasioni per abusi sessuali. Per quanto riguarda le pene, la direttiva fissa un traguardo importante perché gli Stati membri dovranno adottare le misure necessarie per assicurare che la persona ritenuta responsabile di tali reati sia punita con sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive che comprendono sanzioni di natura diversa determinate in base alla gravità dei diversi reati. Per stabilire se una sanzione sia proporzionata, vengono considerati fattori specifici al fine di garantire una maggiore coerenza nelle classificazioni della gravità dei reati e ridurre così le differenze esistenti negli ordinamenti giuridici degli Stati (per esempio, è prevista un'aggravante quando gli abusi sui minori sono compiuti da persone che abbiano la fiducia dei bambini, ricoprano una posizione di autorità o siano familiari, tutori o insegnanti oppure quando abusino di bambini particolarmente vulnerabili come i bambini affetti da disabilità). Per prevenire i casi di abuso e sfruttamento sessuale di minori sono state messe a punto azioni incentrate sugli autori dei reati con precedenti penali al fine di prevenirne la recidiva: in proposito gli Stati membri dovranno adottare, anche tramite Internet, azioni adeguate intese a sensibilizzare e a ridurre il rischio che i minori diventino vittime di abuso o sfruttamento sessuale. Inoltre, per scongiurare il rischio di reiterazione dei reati, gli Stati membri dovranno introdurre misure interdittive derivanti dalle condanne per assicurare che la persona fisica condannata per questi tipi di crimini sessuali sia interdetta, in via temporanea o permanente, almeno dall'esercizio di attività professionali che comportano contatti diretti e regolari con minori, nonché per assicurare che i datori di lavoro abbiano il diritto di chiedere informazioni alle autorità giudiziarie su eventuali condanne per abusi sessuali sui minori. Infine cambia anche la protezione delle vittime perché la direttiva impone che l'Unione chieda agli Stati di assicurare alle vittime un maggiore sostegno fino alla conclusione del procedimento penale: in particolare gli Stati membri dovranno prevedere delle misure per garantire la protezione dei minori che segnalano casi d'abuso nell'ambito del loro ambiente familiare, per l'assistenza e il sostegno alla vittima minorenne, misure che, però, non potranno essere subordinate alla volontà del minore di cooperare nel quadro delle indagini, dell'azione penale o del processo. L’atto però che più degli altri ci interessa in questa sede è la direttiva 2012/29/UE recante norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale, dando attuazione, in materia di violenza di genere, alle esortazioni del Parlamento europeo che già nel 2009 invitava l’Unione a garantire alle vittime il diritto all’assistenza ed al sostegno e nel 2011, nella risoluzione del 5 aprile 2011 sulle priorità e sulla definizione di un nuovo quadro politico dell'UE in materia di lotta alla violenza contro le donne proponeva una strategia di lotta alla violenza contro le donne, alla violenza domestica e alla mutilazione genitale femminile come base per futuri strumenti legislativi di diritto penale contro la violenza di genere, compreso un quadro in materia di lotta alla violenza contro le donne. La direttiva anzitutto stabilisce norme minime, il che significa che gli Stati possono ampliare i diritti da essa previsti al fine di assicurare un livello di protezione più elevato; ai sensi della direttiva per violenza di genere s'intende la violenza diretta contro una persona a causa del suo genere, della sua identità di genere o della sua espressione di genere o che colpisce in modo sproporzionato le persone di un particolare genere. Può provocare un danno fisico, sessuale, emotivo o psicologico, o una perdita economica alla vittima. La violenza di genere è considerata una forma di discriminazione e una violazione delle libertà fondamentali della vittima e comprende la violenza nelle relazioni strette, la violenza sessuale (compresi lo stupro, l'aggressione sessuale e le molestie sessuali), la tratta di esseri umani, la schiavitù e varie forme di pratiche dannose, quali i matrimoni forzati, la mutilazione genitale femminile e i cosiddetti «reati d'onore». Le donne vittime della violenza di genere e i loro figli hanno spesso bisogno di un'assistenza e protezione speciali a motivo dell'elevato rischio di vittimizzazione secondaria e ripetuta, di intimidazione e di ritorsioni connesso a tale violenza. La violenza nelle relazioni strette è quella commessa da una persona che è l'attuale o l'ex coniuge o partner della vittima ovvero da un altro membro della sua famiglia, a prescindere dal fatto che l'autore del reato conviva o abbia convissuto con la vittima. Questo tipo di violenza potrebbe includere la violenza fisica, sessuale, psicologica o economica e provocare un danno fisico, mentale o emotivo, o perdite economiche. La violenza nelle relazioni strette è un problema sociale serio e spesso nascosto, in grado di causare un trauma fisico e psicologico sistematico dalle gravi conseguenze in quanto l'autore del reato è una persona di cui la vittima dovrebbe potersi fidare. Le vittime di violenza nell'ambito di relazioni strette possono pertanto aver bisogno di speciali misure di protezione. Le donne sono colpite in modo sproporzionato da questo tipo di violenza e la loro situazione può essere peggiore in caso di dipendenza dall'autore del reato sotto il profilo economico, sociale o del diritto di soggiorno. Una persona dovrebbe essere considerata vittima indipendentemente dal fatto che l'autore del reato sia identificato, catturato, perseguito o condannato e indipendentemente dalla relazione familiare tra loro. È possibile che anche i familiari della vittima subiscano un danno a seguito del reato. In particolare, i familiari di una persona la cui morte sia stata causata direttamente da un reato potrebbero subire un danno a seguito del reato. La presente direttiva dovrebbe pertanto tutelare anche questi familiari vittime indirette del reato. Tuttavia, gli Stati membri dovrebbero poter stabilire procedure per limitare il numero di familiari ammessi a beneficiare dei diritti previsti dalla presente direttiva. Nel caso di un minore, il minore stesso o, a meno che ciò non sia in contrasto con l'interesse superiore del minore, il titolare della responsabilità genitoriale a nome del minore dovrebbero avere la facoltà di esercitare i diritti previsti dalla presente direttiva. Per quanto concerne, invece, la definizione di "vittima", l’articolo 2 §1 risulta innovativo rispetto alla decisione quadro, comprendendo oltre che la persona fisica che abbia subito un pregiudizio fisico, mentale, emotivo o economico a causa di reato, anche i familiari della persona la cui morte sia stata causata direttamente da un reato e che abbiano conseguentemente subito pregiudizio. Alle vittime di reato dovrà garantirsi adeguato accesso alla giustizia, anche a prescindere dalle condizioni di soggiorno nel territorio, dalla cittadinanza o nazionalità. Per stabilire un adeguato standard di tutela sia nel processo che fuori di esso, risulta inoltre centrale la valutazione individuale della vittima, con la quale possono essere individuate le sue caratteristiche ed esigenze specifiche di protezione, e può essere stabilita l’opportunità di ricorrere o meno a servizi di giustizia riparativa. Tra le principali preoccupazioni del legislatore europeo vi è infatti quella di diminuire il rischio di vittimizzazione secondaria, che risulta particolarmente grave soprattutto in relazione a particolari categorie di vittime per cui sono dettate apposite disposizioni. La direttiva non fornisce una definizione del fenomeno, ma chiede che lo si possa prevenire, anche provvedendo alla formazione degli operatori suscettibili di entrare in contatto con le vittime, come i funzionari di polizia ed il personale giudiziario, i giudici, gli avvocati e coloro che forniscono servizi di assistenza, sostegno o di giustizia riparativa, affinché siano sensibilizzati alle loro esigenze e posti in condizione di trattarle in modo appropriato. Sono considerati particolarmente esposti al rischio di vittimizzazione secondaria anche i disabili, le vittime del terrorismo e le vittime di violenza di genere e di violenza nelle relazioni strette. Le vittime identificate come vulnerabili al rischio di vittimizzazione secondaria o ripetuta o di intimidazione dovrebbero poter godere di adeguate misure di protezione durante tutto il procedimento penale, tranne nel caso di vincoli operativi o pratici, o qualora vi sia urgente bisogno di ascoltare la vittima per evitarle un pregiudizio, o per evitare un danno ad un terzo o allo svolgimento del procedimento. Durante le indagini, le audizioni della vittima dovranno svolgersi in locali adattati allo scopo, ed essere effettuate da o tramite operatori formati a tale scopo, e tutte le audizioni della vittima devono essere svolte dalla stessa persona, a meno che ciò sia contrario alla buona amministrazione della giustizia. In particolare, le audizioni delle vittime di violenza sessuale, di violenza di genere o di violenza nelle relazioni strette, salvo il caso in cui siano svolte da un magistrato, dovranno essere effettuate da persona dello stesso sesso della vittima, qualora questa lo desideri e a condizione che non ne risulti pregiudicato lo svolgimento del procedimento. La direttiva sancisce anzitutto il diritto della vittima a ricevere informazioni in modo facilmente comprensibile. Gli Stati dovranno garantire tale diritto fin dal primo contatto con le autorità, mettendo anche a disposizione, ove necessario, un servizio gratuito di interpretazione per consentire la partecipazione delle vittime alle audizioni. La vittima dovrà inoltre ottenere un avviso di ricevimento scritto della denuncia che abbia eventualmente sporto, e se non comprende o parla la lingua del procedimento potrà sporgere denuncia utilizzando una lingua che comprende o ricevendo la necessaria assistenza linguistica, ottenendo a richiesta anche la traduzione gratuita del suddetto avviso. Quest’ultimo dovrebbe indicare gli elementi essenziali del reato e riportare gli estremi dell’avvenuta denuncia. Alla vittima andranno fornite numerose informazioni riguardo: i servizi di assistenza; le procedure per la presentazione della denuncia e della richiesta di misure di protezione; le condizioni per ottenere assistenza legale (anche a spese dello Stato) ed il risarcimento del danno; il diritto all'interpretazione e alla traduzione; le procedure cui ricorrere se si è residenti in un altro stato e quelle per la denuncia dei casi di mancato rispetto dei propri diritti; i servizi di giustizia riparativa disponibili e le condizioni per ottenere il rimborso delle spese affrontate. Si stabilisce anche il diritto della vittima di essere informata senza indebito ritardo del procedimento avviato a seguito della propria denuncia, e conoscere dell’eventuale decisione di non luogo a procedere o di non proseguire le indagini (e, a richiesta, dei motivi della stessa) o, in caso contrario, la data ed il luogo della celebrazione del processo e la natura dei capi di imputazione. Essa dovrebbe essere altresì informata della scarcerazione o dell’evasione dell’autore del reato, e delle misure eventualmente adottate per la sua protezione. Alla vittima dovrà quindi essere indicata una persona cui rivolgersi per tutte le comunicazioni relative al proprio caso, salvo che non desideri ricevere alcuna informazione. Particolare attenzione è dedicata ai servizi di assistenza alle vittime. Si stabilisce che detti servizi (istituiti come organizzazioni pubbliche o non governative e organizzati su base professionale o volontaria) dovrebbero essere forniti gratuitamente fin dal primo contatto con le autorità, nel corso del procedimento ed anche successivamente, e a prescindere dalla presentazione di formale denuncia. Questi dovranno fornire alle vittime informazioni sui loro diritti, sostegno emotivo o psicologico e consigli relativi ad aspetti finanziari e pratici derivanti dal reato, nonché assistenza per la prevenzione di vittimizzazione secondaria o ripetuta o intimidazione. Alle persone particolarmente vulnerabili o esposte a un elevato rischio di pregiudizio dovrebbe inoltre essere fornita un'assistenza specialistica. I servizi di assistenza specialistica dovrebbero tenere conto delle esigenze specifiche delle vittime, della gravità del pregiudizio subito e del loro rapporto con l’autore del reato e l’ambiente sociale, fornire una sistemazione alle vittime bisognose di un luogo sicuro e, ove necessario, rinviare la vittima all’esame medico, fornire assistenza legale e servizi specifici per i minori che siano vittime dirette o indirette. La direttiva sancisce il diritto della vittima ad essere ascoltata e di fornire elementi di prova, secondo il diritto nazionale. Qualora si tratti di minore, dovranno tenersi in debito conto la sua età e maturità, pur senza precludere il diritto di essere sentiti unicamente a causa della minore età. Laddove, in un dato ordinamento, il ruolo della vittima nel procedimento sia stabilito soltanto in seguito alla decisione di esercitare l'azione penale contro l'autore del reato, dovrà garantirsi almeno alle vittime di reati gravi il diritto di chiedere il riesame delle decisioni di non luogo a procedere, fornendo senza indebito ritardo sufficienti informazioni sul caso. Gli Stati membri dovrebbero inoltre provvedere al rimborso delle spese derivanti dalla partecipazione delle vittime al procedimento, eventualmente stabilendo termini e condizioni, e garantire il patrocinio a spese dello Stato alle vittime che siano parte del procedimento, alle condizioni stabilite dal diritto nazionale. Alcune disposizioni sono invece dedicate alle misure di protezione delle vittime da ulteriori patimenti derivanti dalla commissione dell’illecito. Innanzitutto, si introduce il diritto all’assenza di contatti con l’autore del reato, imponendo agli Stati di provvedere anche relativamente ai locali in cui si svolge il procedimento, e consentendo il ricorso a tecnologie della comunicazione per ascoltare la vittima senza che sia fisicamente presente, salvo diverse esigenze processuali. Durante le indagini, l'audizione della vittima dovrà svolgersi senza indebito ritardo dopo la presentazione della denuncia del reato, e ulteriori audizioni dovranno avere luogo solo se strettamente necessario. In tali occasioni la vittima potrà essere accompagnata dal suo rappresentante legale e da una persona di sua scelta, salvo motivata decisione contraria, ed anche le visite mediche dovranno avere luogo solo se strettamente necessario. Mentre la decisione quadro contemplava solo la mediazione come possibile alternativa al procedimento penale, la direttiva guarda invece, più in generale, a forme di "giustizia riparativa", definendo quest’ultima come qualsiasi procedimento che permette alla vittima e all'autore del reato di partecipare attivamente, previo consenso libero ed informato, alla risoluzione delle questioni risultanti dal reato con l'aiuto di un terzo imparziale. La direttiva chiede agli Stati di creare le condizioni perché le vittime possano giovarsi di servizi di giustizia riparativa (tra i quali comprende la mediazione, il dialogo esteso ai gruppi parentali e i consigli commisurativi), apprestando garanzie volte ad evitare la vittimizzazione secondaria e ripetuta e l'intimidazione. Dalla lettura della direttiva si evince che a tali forme alternative si dovrebbe ricorrere soltanto nell’interesse della vittima, oltre che col suo consenso libero, informato e sempre revocabile. L’obiettivo dichiarato è infatti la salvaguardia degli interessi e delle esigenze della vittima, la riparazione del pregiudizio da essa subito e la prevenzione di ulteriori danni. Per questa ragione, la direttiva richiede come condizione per il ricorso ai servizi di giustizia ripartiva che l’autore del reato riconosca prima i “fatti essenziali del caso”. Gli Stati dovranno stabilire le condizioni di accesso a tali servizi tenendo conto della natura e della gravità del reato, del livello del trauma causato, degli squilibri nella relazione tra vittima e autore, e della maturità e capacità intellettiva della vittima, e fornire alla vittima un’informazione completa sul procedimento alternativo e sulle sue conseguenze. Il 20 gennaio scorso è entrato in vigore il decreto legislativo 212/2015, con il quale l’Italia ha recepito la direttiva. Il decreto legislativo ha reso dunque operative le tutele previste dalla direttiva, modificando fra l’altro l’art. 90 del codice di procedura penale e introducendo gli artt. 90 bis, 90 ter e 90 quater. Oggi, quindi, le facoltà e i diritti previsti dalla legge per il coniuge a seguito del decesso di una persona offesa in conseguenza di reato, possono essere fatti valere anche dal convivente o dal soggetto con il quale la vittima era legata da una relazione affettiva stabile. Sin dal primo contatto con le autorità, poi, sono ora rafforzati i diritti della persona offesa a conoscere e ricevere nella propria lingua gli atti essenziali per poter partecipare al processo. Inoltre, i provvedimenti di scarcerazione, di cessazione della misura di sicurezza detentiva e di evasione dell'imputato vanno ora immediatamente comunicati alla vittima del relativo reato, se commesso con violenza alla persona. Infine, si prevede che una persona offesa possa essere considerata come particolarmente vulnerabile in ragione non solo dell'età e dello stato di infermità o deficienza psichica, ma anche sulla base del tipo di reato e delle sue modalità di esplicazione e delle circostanze nelle quali l'illecito sia stato perpetrato. Alcune modifiche di rilievo hanno interessato anche le norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, con l'introduzione dell'articolo 107-ter, relativo all'assistenza dell'interprete per la proposizione o la presentazione di denuncia o querela, e dell'articolo 108-ter, relativo alle denunce e alle querele per reati commessi in altro Stato dell'Unione Europea (Fonte: Da domani, la tutela speciale per le vittime di reato è realtà. In allegato il Decreto Legislativo 212/2015 ) 3. Conclusioni Il Parlamento europeo è più volte tornato sul tema, chiedendo alla Commissione di presentare una strategia paneuropea e un piano d'azione per combattere tutte le forme di violenza contro le donne e le ragazze, ponendo in particolare l'accento sulla prevenzione rivolta alle donne affinché esse conoscano i loro diritti, sensibilizzando anche gli uomini e i ragazzi fin dalla più giovane età in merito al rispetto dell'integrità fisica e psicologica delle donne, insistendo sulla necessità di una formazione adeguata per i servizi di polizia e di giustizia che tenga conto della specificità della violenza di genere e incoraggiando gli Stati membri a fornire assistenza alle vittime aiutandole a fare un progetto di vita e a ritrovare l'autostima per non ricadere in situazioni di vulnerabilità o di dipendenza; in particolare un documento allegato alla risoluzione contiene raccomandazioni dettagliate sul contenuto della proposta richiesta, fra queste la messa a punto di misure volte a promuovere e sostenere l'azione degli Stati membri nel settore della prevenzione della violenza di genere, in particolare , la messa a punto di programmi volti alla formazione delle insegnanti e dei professionisti, lo sviluppo di ricerche pertinenti sulla violenza di genere, ivi compreso sulle cause e sulle motivazioni di tale violenza, e raccolta e analisi di dati organizzazione della formazione per i funzionari e i professionisti che potrebbero trovarsi ad affrontare casi di violenza di genere, l’ organizzazione di campagne di sensibilizzazione, incluse campagne specificamente destinate a uomini, se opportuno in collaborazione con le ONG, i media, e altri soggetti interessati, la creazione, ove non già esistenti, e sostegno di linee di aiuto (help line) nazionali gratuite con personale specializzato; il Parlamento inoltre invita a prevedere nella proposta un obbligo per gli Stati membri di adottare le misure necessarie per la nomina di relatori nazionali o la creazione di meccanismi equivalenti, con il compito di svolgere valutazioni delle tendenze relative alla violenza di genere, la valutazione dei risultati delle misure adottate per combatterla a livello nazionale e locale, redigere relazioni annuali alla Commissione europea e alle commissioni competenti del Parlamento europeo. A queste ed alle altre raccomandazioni però la Commissione ha risposto considerando non necessaria l’adozione di un regolamento ad hoc, considerando che essa già assiste gli Stati membri negli sforzi compiuti per combattere la violenza di genere e finanzia progetti a tale scopo. Ad opinione della Commissione poi, molte delle raccomandazioni del Parlamento vengono soddisfatte da atti già esistenti come la direttiva del 2012 appena analizzata; dunque accogliendo solo l’invito a proclamare, nei prossimi tre anni, un Anno europeo per la cessazione della violenza contro le donne e le ragazze, la Commissione ha concluso ritenendo non necessario proporre un atto legislativo ad hoc. Se è vero che, come sottolineato dalla Commissione, e come poco prima esposto con riferimento all’adesione dell’UE alla Convenzione di Istanbul, l’UE già possiede l’arsenale giuridico necessario ad affiancare e sostenere gli Stati membri nella lotta alla violenza di genere, ritengo che l’adozione di un atto ad hoc, avrebbe assunto il significato di impegno forte dell’Unione e degli Stati membri in materia. Forse dunque l’ennesima occasione mancata di difendere le vittime di tale violenza.