ANNO 2017 NOtizie dAl 08 febrAiO Al 15 febbrAiO

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ANNO 2017 NOtizie dAl 08 febrAiO Al 15 febbrAiO
HDIG ONLUS
HUMANITARIAN DEMINING ITALIAN GROUP
Gruppo Italiano di Sminamento Umanitario
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ANNO 2017
Notizie dal 08 febraio al 15 febbraio
notizie e informazioni SULL’africa e, in particoLare,
SULLa SomaLia E paesi del corno d’africa,
raccolte da agenzie, gruppi, istituzioni,
comMENTATE CON considerazioni ed osservazioni
SOMMARIO
Pag. 02 - 08 feb. Kenya - Firma dell’Accordo per il contributo italiano a UNDP per il programma
“Strengthening the Electoral Process in Kenya” (SEPK)
Pag. 02 - 08 feb. Giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili
Pag. 03 - 08 feb. Si può aggiustare la Somalia?
Pag. 05 - 08 feb. La Somalia alle elezioni presidenziali per condurre il paese fuori dall’instabilità
Pag. 05 - 08 feb. Somalia. L’Uganda chiede più fondi per le truppe di Amisom
Pag. 06 - 09 feb. L’Italia in campo per la rinascita somala
Pag. 07 - 09 feb. Farmajo è il nuovo presidente della Somalia
Pag. 08 - 09 feb. Un militare italiano ferito in Somalia
Pag. 08 - 09 feb. Kenya. Alta Corte annulla chiusura del campo profughi di Dadaab
Pag. 09 - 09 feb. Libia: Alfano capisce di aver puntato sul cavallo sbagliato, ma ora è tardi…
Pag. 10 - 10 feb. Somalia, il neo presidente: "Prima di tutto la pace, la trasparenza e la lotta alla
corruzione"
Pag. 11 - 10 feb. Somalia: tentato assalto hotel, almeno 6 morti
Pag. 11 - 11 feb. La Somalia ha un nuovo presidente: sicurezza interna e crisi umanitaria sono le priorità
del paese
Pag. 13 - 12 feb. Cooperazione: Somalia, dall'Italia 500 mila euro per aiuti alimentari
Pag. 13 - 12 feb. Somalia: le forze di sicurezza del Puntland sequestrano materiale esplosivo
Pag. 13 - 13 feb. Primi miracoli di Farmajo in Somalia
Pag. 15 - 14 gen. Somalia: combattenti di al Shabaab riconquistano due villaggi
Pag. 15 - 14 feb. La Somalia riprende a battere moneta. Le speranze di mons. Bertin
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08 feb. Kenya - Firma dell’Accordo per il contributo italiano a UNDP per il
programma “Strengthening the Electoral Process in Kenya” (SEPK)
Lo scorso 1 febbraio 2017, l’Ambasciatore d’Italia Mauro Massoni e il Rappresentante delle Nazioni Unite
in Kenya Siddharth Chatterjee hanno firmato l’accordo che sigla un contributo italiano pari a 1 milione di
Euro al Programma Strengthening the Electoral Process in Kenya (SEPK) in vista del voto che si terrà il
prossimo 8 agosto.
Il contributo, da erogare attraverso l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, si affianca a quello
di diversi donatori, tra cui l’Unione Europea, gli USA e l’Irlanda. Il programma consiste nel sostegno
istituzionale a livello centrale alla IEBC (Independent Elections and Boundaries Commission) e a livello
locale a tutte le amministrazioni pubbliche coinvolte nel processo elettorale; realizza inoltre attivita’ di
rafforzamento dei meccanismi esistenti per la risoluzione delle dispute.
L’intento del contributo italiano, in particolare, e’ mirato a favorire donne, giovani e disabili affinche’
partecipino attivamente a queste elezioni.
“Concludo augurando a tutti i keniani di avere, innanzitutto, elezioni pacifiche. Non serve ribadire che non e’
attraverso la violenza che i problemi di questo paese possono essere risolti” ha detto l’Ambasciatore
Massoni.
08 feb. Giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili
Il 6 febbraio si è celebrata la Giornata Mondiale contro le mutilazioni genitali femminili. Questa pratica
viene, oggi, usata in circa 23 paesi dell’Africa. Un tempo si pensava che le mutilazioni fossero un fenomeno
limitato al continente africano, mentre, invece, sono praticate anche da comunità in Asia e Medioriente
(India, Indonesia, Iran, Iraq, comunità curde, Malesia, Pakistan, Arabia Saudita e Yemen), ed anche
all’interno di certi gruppi nell’America del Nord, Centrale e del Sud e in Australia, nonché tra le comunità
migranti in Europa.
Tre i modi più praticati. Circoncisione infibulazione: è l’asportazione della punta della clitoride, con
fuoriuscita di sette gocce di sangue simboliche. Escissione del clitoride: asportazione della clitoride e taglio
totale o parziale delle piccole labbra. Infibulazione (o circoncisione faraonica o sudanese): cioè, asportazione
della clitoride, delle piccole labbra, di parte delle grandi labbra vaginali con cauterizzazione, cui segue la
cucitura della vulva, lasciando aperto solo un foro per permettere la fuoriuscita dell’urina e del sangue
mestruale.
L’età delle persone, di sesso femminile, sottoposte a tale trattamento può variare a seconda dello Stato di
appartenenza: neonate in Nigeria, bambine in Somalia e adolescenti in Uganda.
Naturalmente tali pratiche, fatte il più delle volte da donne, sono il prodotto di una cultura patriarcale e
maschilista in cui la donna è solo un oggetto da controllare e da scambiare. La donna non deve provare
piacere visto che l’unico piacere riconosciuto è quello maschile e l’unico valore che una ragazza può offrirgli
è la sua verginità e la certezza di portare avanti la razza, nel procreare figli maschi.
Nel 2010, 57mila donne e ragazze straniere tra i 15 e i 49 anni, con mutilazioni genitali femminili, vivevano
in Italia nel 2010. La comunità nigeriana era la più colpita: circa 20.000 avevano subito mutilazioni (35,5%
del totale colpito in Italia), poi quella egiziana (circa 18.600 cioè il 32,5%). Il restante 15% delle donne con
mutilazioni genitali viene dall’Etiopia (5,5%), dall’Eritrea (4,9%) e dalla Somalia (4%).
Vari programmi prevedono la formazione e prevenzione sull’argomento al fine di sensibilizzare e migliorare
le conoscenze sulle MGF tra i/le professionisti/e del settore sanitario e gli/le operatori/trici che lavorano nel
settore dell’asilo in Europa, tra cui ostetriche, ginecologi, pediatri, infermieri, assistenti sanitari, giudici,
funzionari che si occupano della valutazione delle domande di asilo, personale dei centri di accoglienza ai
richiedenti asilo, polizia, funzionari incaricati della tutela dell’infanzia, assistenti sociali e ONG attive nel
settore.”
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Nel mondo sono duecento milioni nel mondo le donne e le ragazze vittime delle mutilazioni genitali
femminili. Una pratica antichissima, che è stata tollerata a lungo sia dall’Islam sia dal Cristianesimo, ma che
adesso inizia a essere sempre meno accettata. L’Onu ha inserito la sua abolizione entro il 2030 tra gli
Obiettivi di sviluppo sostenibile. Le norme di legge possono essere utili per vietare la pratica e punire chi la
esercita. E, infatti, una trentina di Paesi africani, ha adottato norme che puniscono severamente chi continua
a mutilare le ragazze. Detto questo, la legge da sola non basta. Serve un lavoro sul piano culturale. Un’azione
capillare sul terreno fatta insieme alle comunità locali. Un’azione che da tempo ormai è portata avanti da
organizzazioni internazionali (Unicef in testa) e da piccole e medie Organizzazioni non governative.
In Africa però la situazione è ancora grave
soprattutto nel Corno d’Africa (Somalia, Etiopia,
Eritrea), ma anche nell’Ovest (Nigeria, Gambia,
Guinea, Senegal, Mali) e in Egitto. Nel nostro
continente si stima che ci siano 500mila donne e
ragazze che l’hanno subita. Molte di esse, per
aggirare il divieto imposto dalla legge italiana (che
ha espressamente proibito le Mgf nel 2006),
subiscono l’infibulazione in soggiorni nei loro Paesi
di origine durante l’estate o le principali feste. Per
questo motivo la lotta contro l’infibulazione in
Europa deve essere coordinata con gli sforzi che vengono fatti in Africa. Spesso per aggirare i divieti imposti
in Europa, le bambine immigrate subiscono le mutilazioni nei loro Paesi di origine durante le vacanze estive.
L’Italia è stato uno dei Paesi sostenitori della risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni unite di
messa al bando universale delle mutilazioni genitali femminili e la nostra legislazione prevede la concessione
dell’asilo per «atti di violenza fisica o psichica compresa la violenza sessuale ».
08 feb. Si può aggiustare la Somalia?
Mercoledì si elegge il presidente, in quello che un giornalista del New York Times ha definito «uno degli
eventi politici più fraudolenti della storia» del paese
Mercoledì la Somalia avrà un nuovo presidente. Il parlamento somalo, eletto alla fine dello scorso anno in
modi che in pochi si azzardano a definire democratici, deciderà chi sarà tra i 20 candidati in lizza a guidare il
paese per i prossimi quattro anni ed eventualmente a sostituire Hassan Sheikh Mohamud, che però potrebbe
essere anche rieletto per un secondo
mandato. Dire che le elezioni del
presidente somalo sono molto attese
è vero per metà, ma non la metà che
sostiene un vero processo
democratico. Diversi stati islamici –
Turchia, Sudan, Emirati Arabi Uniti
e Qatar – sono da tempo coinvolti
nella politica somala e sembra che
abbiano finanziato con milioni di
dollari uno o l’altro candidato
presidente per promuovere una certa
idea di Islam o semplicemente per
poter spiare meglio quello che fanno
le forze militari americane nel paese.
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Mentre le Nazioni Unite hanno provato a definire le elezioni in Somalia una pietra miliare per la democrazia
somala, Joffrey Gettleman, giornalista del New York Times e premio Pulitzer nel 2012, le ha definite una
pietra miliare di corruzione, «uno degli eventi politici più fraudolenti della storia della Somalia». Ed è una
cosa rilevante, visto che secondo l’organizzazione Transparency International la Somalia è già il paese più
corrotto al mondo.
Le elezioni del presidente sono l’ultima fase di un complicato processo elettorale che non ha eguali nel
mondo. In occasione delle ultime elezioni parlamentari, tenute nell’ottobre 2016, il sistema è leggermente
cambiato e funziona più o meno così. La prima fase prevede l’elezione di 275 deputati della Camera bassa e
54 della Camera alta attraverso un sistema di voto indiretto, ma diverso per i due rami del parlamento. Per la
Camera bassa, 135 anziani del clan tradizionali somali selezionano 14.024 delegati che formano 275 collegi
elettorali, ciascuno dei quali elegge un deputato, ma sempre in maniera da rappresentare tutti i clan, anche
quelli minori. Per la Camera alta funziona invece un sistema che si basa sui vari stati federali somali, che più
che un’elezione indiretta si è rivelata essere una specie di asta basata sul chi offre di più. Dopo le elezioni
parlamentari, il sistema prevede altre due fasi: l’elezione degli speaker delle due camere e quella del
presidente.
Gettleman ha scritto che più di 10 anziani dei clan tradizionali gli hanno confermato di essere stati corrotti o
di avere corrotto durante le elezioni parlamentari cominciate ad ottobre. Un anziano di Chismaio, una città
portuale a sud di Mogadiscio, ha detto che la notte prima che il suo clan scegliesse la persona da mandare in
parlamento, uno dei candidati si è presentato all’hotel dei delegati e ha cominciato a distribuire mazzette di
banconote da cento dollari. Il candidato ha detto ai delegati che avrebbero ricevuto 3mila dollari se lo
avessero votato: probabilmente, ha aggiunto Gettleman, il candidato era stato mandato a sua volta da uno dei
candidati presidenti alle elezioni di domani, che gli avrebbe dato molti soldi in cambio del suo appoggio
nell’ultima fase del processo elettorale. Gettleman ha scritto che la prima fase delle elezioni è stata talmente
corrotta che il gruppo terroristico al Shabaab, una delle organizzazioni islamiste radicali più violente al
mondo, non ha nemmeno provato a farla deragliare: l’attuale situazione di caos è stata ritenuta già sufficiente
e funzionale alla sua causa.
C’è poi un altro aspetto che rende in un certo senso particolare – ma non di certo unico – il processo
elettorale somalo, cioè il condizionamento non troppo mascherato di altri paesi nel determinare l’esito delle
elezioni. L’attuale presidente, per esempio, ha ricevuto milioni di dollari dalla Turchia e dagli Emirati Arabi
Uniti per comprare i voti dei membri del parlamento che potrebbero essere necessari alla sua elezione. Il
Qatar ha deciso invece di sostenere un candidato diverso da quello degli Emirati Arabi Uniti, a causa della
competizione tra i due paesi per ottenere l’influenza sui Fratelli Musulmani, un gruppo che propone un
approccio politico all’Islam. Anche Egitto ed Etiopia sostengono candidati diversi, visto che stanno litigando
per una questione di gestione delle acque del Nilo. Il Sudan sostiene un altro candidato ancora, che in caso di
vittoria continuerà a permettere ai servizi segreti sudanesi di avere accesso all’intelligence somala, che a sua
volta lavora con la CIA.
La Somalia si potrebbe definire lo stato fallito per eccellenza. Divenne indipendente nel luglio 1960, dopo
essere stato una colonia britannica e italiana, e nel 1969 ci fu il primo colpo di stato militare della storia del
paese, che portò al potere il generale Siad Barre. Negli anni Settanta la Somalia combatté una guerra contro
l’Etiopia per il controllo di alcuni territori, perdendola. Negli anni Ottanta il peggioramento delle condizioni
sociali ed economiche mise in difficoltà il regime di Siad Barre, che divenne sempre più repressivo. Nel
1991 Barre fu destituito e iniziò una terribile guerra civile seguita dall’intervento delle Nazioni Unite nel
1992 fallita miseramente. Successivamente ci fu un lungo periodo di anarchia anni e il paese rima se alla
mercè dei Signori della guerra: si sviluppò quindi l’Unione delle Corti Islamiche, cioè una rete di gruppi
islamisti che cominciarono a prendere il controllo di Mogadiscio e altre zone del paese. Le Corti rimasero
nella capitale fino a all’inizio del 2007, quando i soldati dell’Etiopia intervennero in Somalia a sostegno del
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debole governo di transizione somalo, ma di fatto sopravvissero anche dopo con la nascita di al Shabaab. La
situazione di caos e di mancanza di una vera autorità governativa centrale non si è mai risolta, nonostante
l’approvazione di una nuova Costituzione nel 2012 e l’elezione di un nuovo parlamento federale.
Molte delle organizzazioni umanitarie e dei diplomatici americani che lavorano da anni in Somalia hanno
cominciato a chiedersi cosa succederà ora con Donald Trump presidente degli Stati Uniti. Lo slogan che ha
accompagnato la campagna elettorale di Trump, “American First”, prevede che gli Stati Uniti mettano
davanti a tutto l’interesse nazionale, disimpegnandosi dalle situazioni che non sono più viste come
prioritarie. Non è chiaro quanto la Somalia venga considerata una priorità dalla nuova amministrazione, ma
al momento sembra molto poco, nonostante il pericolo di una ulteriore diffusione del terrorismo islamista (la
Somalia, comunque, è uno dei paesi inclusi nel cosiddetto “muslim ban“). Non è chiaro nemmeno quanto
l’evidente fallimento dell’esperimento elettorale democratico somalo spingerà i paesi che lo avevano
sostenuto e incentivato – Stati Uniti, Regno Unito, Unione Europea, Svezia e Italia – a ripensare alla loro
strategia e provare qualcosa di diverso, di nuovo.
08 feb. La Somalia alle elezioni presidenziali per condurre il paese fuori dall’instabilità
Il voto è considerato dagli osservatori un test cruciale per verificare la stabilità delle nuove istituzioni
somale. I candidati sono in tutto 22, dopo che oggi uno dei pretendenti, l’ex presidente dello stato semiautonomo del Puntland, Abdirahman Farole, ha annunciato la propria defezione. In una conferenza stampa
tenuta oggi, Farole ha motivato la sua decisione con le “continue interferenze” esercitate dalle autorità
somale nel processo elettorale che ha portato all’elezione del parlamento e ha invitato gli altri candidati
presidenziali dell'opposizione ad unirsi per l'interesse del popolo somalo.
Farole ha poi invitato i deputati e i senatori del parlamento federale ad evitare di favorire i candidati in base
alle preferenze claniche o al tornaconto personale e ad eleggere un presidente che lavori nell'interesse del
paese e dei cittadini somali. Un simile allarme su presunte interferenze, ma di provenienza “esterna”, era
stato lanciato la scorsa settimana dal premier Omar Abdirashid Sharmarke, uno dei candidati alle
presidenziali, il quale aveva puntato il dito contro i paesi vicini, rei a suo dire di interferire indebitamente
negli affari interni del paese alla vigilia delle elezioni.
Il presidente in carica Hassan Sheikh Mohamud è il grande favorito della vigilia, forte soprattutto
dell’appoggio di Turchia ed Emirati Arabi Uniti, che hanno investito milioni di dollari per la costruzione di
un porto e di un aeroporto nella capitale Mogadiscio. Ma secondo diversi analisti le presidenziali di domani
rappresentano un vero e proprio scontro di potere fra le diverse potenze geopolitiche.
Nel frattempo, in attesa del voto di domani, le autorità somale hanno imposto un coprifuoco parziale in
diverse zone della capitale Mogadiscio. Le misure di sicurezza, riferisce l’emittente “Bbc”, sono concentrate
in particolare nella zona intorno all'aeroporto.
08 feb. Somalia. L’Uganda chiede più fondi per le truppe di Amisom
Il ministro degli Affari esteri ugandese, Sam Kutesa, ha dichiarato che il suo Governo sta spingendo per una
revisione del finanziamento per la missione dell’Unione africana in Somalia (Amisom).
Kutesa, rivolgendosi ai giornalisti presso il Centro media, ha affermato: «Ciò che vogliamo è un aumento dei
contributi ai Paesi che forniscono le loro truppe alla missione».
Il Governo ugandese ha schierato truppe in Somalia nel 2007, e attualmente gestisce una forza di pace di
6.000 uomini, una delle più grandi in Somalia. La missione è finanziata dall’Unione Europea (Ue) e dalle
Nazioni Unite. Tuttavia, l’Unione europea ha recentemente annunciato l’intenzione di rivedere al ribasso il
sostegno finanziario all’Amisom.
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09 feb. L’Italia in campo per la rinascita somala
La Somalia è oggi un “paese non paese”,
profondamente toccato da oltre vent’anni di
guerra civile che, oltre a distruggere e
danneggiare radicalmente tutte le infrastrutture,
ha intimamente minato il rapporto di credibilità
e fiducia tra popolazione e Stato e deviato
l’attenzione degli amministratori dall’interesse
per la cosa comune a dinamiche claniche,
quando non personalistiche. Negli ultimi anni, e
in particolare negli ultimi mesi, è in corso una
profonda evoluzione del sistema di
coordinamento degli aiuti internazionali e la
Cooperazione italiana si è contraddistinta come
una importante sostenitrice di cambiamento,
anche grazie alla sua tradizionale presenza in
tutto il paese.
In questo quadro, l’entrata in funzione formale – dal 1 gennaio 2017 – della nuova sede di Mogadiscio
dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics) sancisce la priorità che l’Italia attribuisce alla
Somalia quanto riguarda la cooperazione allo sviluppo. Le esigenze del paese sono enormi e spesso le
tremende necessità che hanno caratterizzato e caratterizzano il presente hanno spesso sviato la comunità
internazionale dall’avere una visione prospettica. Oggi, a seguito all’approvazione del primo Piano nazionale
di sviluppo dagli anni ‘90, le autorità somale e la comunità internazionale si stanno impegnando in uno
sforzo comune per affrancare definitivamente la Somalia da uno stato di fragilità, indirizzandolo verso una
crescita sostenibile e duratura.
L’impegno italiano, per questo motivo, si è concentrato, in particolare negli ultimi anni, su programmi ed
attività ponte tra l’umanitario e lo sviluppo, sul rafforzamento delle istituzioni pubbliche e sul rifacimento
delle infrastrutture, con l’obbiettivo di promuovere la ripresa e l’impegno del settore privato. Non è infatti
immaginabile che la Somalia intraprenda il cammino dello sviluppo senza il fondamentale apporto dato dagli
investimenti privati. Con l’obiettivo di facilitare il rinsaldarsi della credibilità dello Stato con la popolazione,
l’impegno si è focalizzato sul settore
sanitario; nel sostegno alla modernizzazione
della pesca, all’agricoltura e all’educazione
terziaria; nel superamento dell’approccio
umanitario utilizzato in genere per affrontare
molti dei problemi correnti in Somalia. Le
sfide rimangono ancora molte, prima tra
tutte il tema della resilienza. Proprio in
questi giorni in Somalia è in atto
un’emergenza a causa della gravissima
siccità che sta colpendo il paese, a cui la
comunità internazionale tarda a dare anche
solo una risposta di tipo umanitario,
rischiando comunque ancora una volta di
non affrontare il problema alle radici,
fenomeni che colpiscono il paese
periodicamente. Infine, il tema degli sfollati
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e della popolazione spinta a rientrare dai campi profughi dal Kenya o dal Golfo di Aden resta centrale, sia
per la presenza della popolazione somala nella regione del Corno d’Africa sia per l’emigrazione in Europa,
come anche quello della partecipazione delle donne alla vita politica che preclude a oltre il 50 per cento della
popolazione di apportare il proprio insostituibile contributo di sviluppo al paese.
09 feb. Farmajo è il nuovo presidente della Somalia
Mohamed Abdullahi Mohamed, meglio conosciuto come Farmajo, è il nuovo Presidente della Somalia. È
stato eletto al ballottaggio con 184 voti, superando l’attuale capo di Stato Sheikh Mohamud, che si è fermato
a 97 preferenze. Farmajo possiede doppio passaporto somalo e americano ed era già stato Primo Ministro dal
2010 al 2011. Nessuno si aspettava la sua vittoria. Dopo 25 anni di guerra civile nel Paese, prima a causa dei
Signori della Guerra e ora per la presenza jihadista di Al-Shabab, la nomina di Farmajo - eletto in un hangar
blindato - potrebbe aprire una nuova stagione che ha come obbiettivi principali la lotta alla corruzione e la
sicurezza nazionale.
Il risultato è stato accolto con grande giubilo dalla popolazione che è stata costretta a rimanere in casa per
tutta la giornata dato il coprifuoco imposto per motivi di sicurezza. Gioia anche tra i militari somali, spesso
in contrasto con le alte cariche dello Stato per lo scarso equipaggiamento a disposizione nella lotta contro i
jihadisti di Al-Shabaab e per il ritardo dei pagamenti mensili. Farmajo quando era stato Primo Ministro
aveva, invece, introdotto tra le prime riforme proprio la puntualità dei salari dell’esercito.
Il voto si è tenuto in gran segreto all’interno di un compound di massima sicurezza all’interno dell’aeroporto
di Mogadiscio per paura che ci potessero essere attentati terroristici da parte dei qaedisti di Al Shabaab.
L’attuale Presidente in carica Sheikh Mohamud, nonostante le promesse, ha fallito nel tentativo di riformare
il sistema elettorale che, anche questa volta, non è stato a suffragio universale, ossia una persona un voto,
bensì si è basato sul vetusto schema dei clan. Un insieme di 135 gruppi etnici che scelgono 14.025 delegati,
che a loro volta votano 275 membri del Parlamento e 54 senatori, poi responsabili di nominare con voto
segreto il Presidente del Paese.
Marqaati, un’associazione somala che monitora il malaffare nel Paese, ha etichettato il voto come uno dei
più corrotti della storia con un giro di mazzette da 20 milioni di dollari. Da qualche migliaia di dollari per
comprare il voto di delegati di basso potere al milione e mezzo di dollari per assicurarsi la scheda di un
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parlamentare, più decisivo nella conta finale. Illeciti confermati anche da Nur Jimale Farah, revisore
contabile dello Stato.
Il nuovo Presidente Farmajo si trova a dover gestire enormi sfide nei prossimi anni, iniziando dal problema
dei rifugiati, 1 milione quelli interni, più centinaia di migliaia presenti nel campo di Dadaab in Kenya che
chiuderà fra qualche mese. A cui si è aggiunta nelle ultime ore la patata bollente del Muslim Ban che vieta
proprio ai cittadini somali di cercare asilo politico negli Stati Uniti, dove vive la più grande diaspora con
146mila persone. A questo va aggiunta la grande partita geopolitica che si sta giocando nel Paese,
trasformatosi in nuova frontiera di scontro delle varie correnti musulmane: la Turchia di Erdogan da una
parte ed i sauditi dall’altra.
09 feb. Un militare italiano ferito in Somalia
Non è stato un attacco mirato, questo sembra certo. Per il resto ancora non è chiaro cosa sia successo
esattamente nei dintorni della base internazionale di Mogadiscio. Quel che si sa è che un militare italiano, un
sergente della Brigata Sassari, è stato raggiunto in pieno da un proiettile. Colpito al torace e ricoverato, ora le
sue condizioni non sono fortunatamente preoccupanti.
Fortunatamente il colpo, con scarsa velocità cinetica residua, si è arrestato a livello intramuscolare senza
raggiungere alcun organo interno. Il militare, rimasto sempre cosciente, è stato prontamente soccorso dai
commilitoni e, trasportato presso l'ospedale da campo della base, è stato sottoposto, con esito positivo, ad
intervento chirurgico per asportare il colpo.
In Somalia i militari italiani partecipano alla missione dell’Unione Europea, anzi proprio all’Italia è stata
affidato il compito di coordinare il lavoro delle truppe che partecipano alla EUTM-S. Proprio oggi la
Somalia ha eletto il suo nuovo presidente e vicino alla base, allestita nei pressi dell’aeroporto internazionale,
c’era uno dei seggi che ha registrato maggiore affluenza. In città, quando si è saputo dell’elezione di
Mohamad Abdullahi Farmajo, si è scatenata subito una grande festa. Tanta gente in strada, caroselli e anche
qualche esagerazione.
Qualcuno, raccontano i media locali, ha addirittura imbracciato fucili e pistole e sparato in aria. E forse
proprio così si spiega il ferimento del militare italiano, che al momento si trovava all’interno del compound
internazionale. Il sergente della Brigata Sassari è stato immediatamente soccorso e nel corso della notte è
stato sottoposto a una delicato intervento chirurgico.
09 feb. Kenya. Alta Corte annulla chiusura del campo profughi di Dadaab
L'Alta Corte del Kenya ha annullato la decisione del governo di chiudere il campo profughi di Dadaab, il più
grande del mondo, in cui sono accolte quasi 400 mila persone, in gran parte somali. "La decisione del
governo di cacciare i rifugiati somali - ha sentenziato l’Alta Corte - è un atto di persecuzione di un gruppo, è
illegale, discriminatoria e quindi incostituzionale e viola il diritto internazionale" andando a colpire chi fugge
dalla fame, dalla guerra civile e dalle violenze dell'estremismo islamico. Inoltre, il Tribunale ha stabilito che
il governo keniano non ha provato che i rifugiati somali possono tornare in patria in sicurezza. Fonti
governative di Nairobi sostengono che il campo di Dadaab viene utilizzato dal gruppo terroristico al-Shabab
per reclutare nuovi membri e come base per sferrare attacchi in Kenya. Tuttavia, non sono state fornite prove
al riguardo. La stragrande maggioranza dei profughi vuole restare. Il governo del Kenya ha reso noto che
farà appello contro la decisione.
L’Alta Corte del Kenya ha bloccato la chiusura di Dadaab. Quindi c’è la volontà giudiziaria, ma la volontà
politica non c’è! Sarebbero circa 300 mila i rifugiati somali che dovrebbero essere rimpatriati e sicuramente
si può trovare un minimo di soddisfazione naturalmente su questo, però non è certo che vada a buon fine
tutta l’operazione e che quindi il campo rimanga aperto. D’altro canto, questo campo è molto, molto
pericoloso per il Kenya, perché non riescono a controllare quella massa di somali che continuamente
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arrivano e che vivono lì. Il campo è praticamente gestito dalle mafie, mafie che controllano tutto il
commercio della benzina, del carburante; il commercio del cibo, il commercio perfino delle schede
telefoniche. Inoltre c’è da tener presente che il Kenya è un nervo scoperto perchè c’è sempre il rischio di
attentati, di infiltrazioni, di fondamentalisti islamici verso l’ex colonia inglese e poi verso l’Europa.
La decisione di chiusura del campo è stata rinviata più volte perché dal punto di vista umanitario è
francamente una cosa difficile e odiosa rimpatriare della gente che va via dalla guerra, dalla fame, dai disagi
che questo comporta… Ma, bisogna riconoscere che riuscire a coniugare le due cose è abbastanza difficile e
trovare una soluzione che rispetti i diritti umani e quindi rispetti anche la sicurezza del Kenya è complicato.
Intanto il Kenya ha adottato delle misure contro i rifugiati che sono simili ad alcune linee europee. Sono
misure di sicurezza molto, molto forti. Per esempio: per entrare nei supermercati, c’è un check dei metalli, ti
fanno passare in mezzo a porte che controllano se tu hai addosso dei metalli e quindi delle armi; le borse
devono essere messe nei tunnel di controllo ai Raggi X. E questo soprattutto dopo il Westgate, l’attacco
commerciale al centro commerciale del Westgate nel settembre di qualche anno fa. E si vive in quel modo,
soprattutto nella capitale ovviamente e sulla costa, dove il rischio di infiltrazioni di guerriglieri dalla Somalia
è ancora più alto, perché lì si arriva proprio via terra o addirittura via mare: le frontiere sono già
estremamente permeabili in quella parte del mondo. La situazione di sicurezza è abbastanza precaria in
Kenya, anche se oggi è molto più tranquillo rispetto a qualche anno fa. Il problema è l’intelligence: se
l’intelligence è in grado di muoversi bene, di fare i controlli bene, di investigare bene; ora, l’intelligence del
Kenya è aiutata dagli israeliani… Ma, la situazione è ancora molto difficile!
09 feb. Libia: Alfano capisce di aver puntato sul cavallo sbagliato, ma ora è tardi…
L‘Italia ancora non vuole ammettere di aver commesso un errore capitale appoggiando, su ordine della Ue e
dell’America di Obama, il “premier” libico al Sarraj, che oltre a non essere premier non potrebbe neanche
fare il sindaco di Tripoli, poiché vive asserragliato in un palazzo e non controlla neanche la città. Altro che
premier… Mentre il generale Khalifa Haftar ha il controllo della maggior parte della Libia. Ma siccome il
generale è vicino alla Russia, l’Italia deve obbedire a Bruxelles.
Per quanto riguarda l’ennesimo schiaffo alla politica estera dell’Italia e della Ue, la bocciatura della Libia di
Tobruk, dell’accordo sull’immigrazione firmato dal governo italiano e da Fayez al-Serraj, questa non ha
ovviamente sorpreso nessuno tranne i membri del governo italiano e i giornalisti che pendono dalla loro
bocca. E’ sperabile che il nostro ambasciatore, che è andato a Tobruk, ove è stato accolto bene, sia riuscito a
tessere una buona tela diplomatica anche su questo versante, tanto che il ministro Alfano, che di diplomazia è
alle prime armi ha dovuto riconoscere: “Non si tratta di vicende che si risolvono da un giorno all’altro,
stiamo lavorando molto anche con l’est (con Tobruk, ndr) e sottolineerei l’ottima missione del nostro
ambasciatore a Tobruk piuttosto che sottolineare un evidente, razionale posizione negativa di Tobruk che se
avesse riconosciuto l’accordo avrebbe riconosciuto anche il firmatario. Quindi è elementare che dicano di
no”, ha evidenziato Alfano con una vena dj finto sarcasmo a giustificaione della in efficienza e incapacità
sua e dell’esecutivo.
In fatti, Alfano poi è costretto a difendere la scelta del governo italiano: l’Italia non è “a favore dell’ovest”,
ovvero Tripoli e il consiglio presidenziale, e “distratta sull’est”, ovvero Tobruk e il suo Parlamento rivale di
Tripoli. “Noi siamo un Paese che considera la Libia un unico Stato e un unico popolo”, anche se questo lo
dice lui e non è detto che il popolo libico lo vogli, e “tutto quello che abbiamo deciso non è a favore di una
parte della Libia”, ha affermato il ministro degli Esteri. Anzi, “siamo stati tra i primi a mostrarci favorevoli a
dare un ruolo al generale Haftar”, ha ricordato Alfano riferendosi al generale legato al Parlamento di Tobruk.
“Su questa strada continuiamo a muoverci e favoriamo tutte quelle relazioni e rapporti anche con altri Paesi
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che abbiano a cuore la stabilità della Libia che per noi vuol dire più sicurezza e meno migranti”,
commentando la proposta dell’ambasciatore di aprire un consolato a Tobruk.
Intanto, la Russia sarebbe pronta a fornire armi al generale libico Khalifa Haftar per circa due miliardi di
dollari. Lo scrive il portale arabo elgornal.net, che cita dichiarazioni di fonti diplomatiche arabe ad agenzie
libiche. Secondo le fonti, Haftar e il governo russo avrebbero “riattivato” un accordo in materia di fornitura
di armi siglato nel 2008, ai tempi del regime di Muammar Gheddafi. La decisione di dare attuazione
all’accordo del 2008 sarebbe stata formalizzata da Haftar – che non riconosce il governo di Fayez al-Serraj,
appoggiato dall’Onu e purtroppo anche dall’Italia – durante la visita sull’incrociatore russo Kuznetsov, che
mercoledì scorso era in transito davanti a Tobruk, di rientro dalla Siria. La notizia è stata confermata da
Ismail al-Gul, parlamentare dell’Assemblea dei deputati di Tobruk – alla quale risponde il generale Haftar –
in un colloquio telefonico con il quotidiano al-Arab. Per al-Gul, si è trattato di dare “compimento ad accordi
esistenti e questo non rappresenta un problema”.
“La Russia è ritornata in grande stile nel Mediterraneo per via di una elementare questione che vale nella vita
come nella politica: quando ci sono dei vuoti c’è qualcuno che li va a occupare”. Lo afferma in
un’intervista il presidente della commissione Esteri del Senato, Pier Ferdinando Casini, commentando
l’attivismo di Mosca nello scenario libico a sostegno del generale Khalifa Haftar, capo delle forze armate che
fanno riferimento al Parlamento di Tobruk. “L’importante è che la Russia abbia un ruolo costruttivo come
può averlo anche in altri scenari”, evidenzia Casini, sottolineando che “il nemico comune è la lotta
all’instabilità e al terrorismo”. A proposito del supporto di Mosca a Haftar, il presidente della commissione
Esteri spiega che “non è di oggi, è di ieri, non c’è niente di nuovo sotto il sole, sono venute allo scoperto cose
che si sapevano. Sappiamo tutti che Francia ed Egitto appoggiano Haftar così come la Russia”.
Solo il governo di Renzi e del suo ministro degli esteri e solo l’attuale governo di Gentiloni e del suo attuale
ministro degli esteri si sono ancora accorti di tale scenario strategico-diplomatico.
10 feb. Somalia, il neo presidente: "Prima di tutto la pace, la trasparenza e la lotta alla
corruzione"
I somali ieri hanno eletto Presidente della Repubblica Federale della Somalia Farmajo, soprannome storico di
Mohamed Abdullahi Mohamed. Nato a Mogadiscio nel 1962, si è laureato alla State University of New York
di Buffalo (USA) con una tesi sulla storia occidentale. Nella medesima università ha anche conseguito un
master e attualmente vi insegna. È sposato con la signora Zeyneb Moalim ed ha quattro figli, due maschi e
due femmine. Attivista dei diritti umani ha, tra gli altri incarichi, quello di capo delle minoranze della città di
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Buffalo (USA). Il risultato attuale è stato raggiunto con un duro lavoro di oltre un anno e con un team capace
e efficiente.
Ma il voto è stato un plebiscito. E’ stato eletto alla
seconda votazione con una maggioranza di 184 voti a
97 (il terzo candidato ha preso invece 46 voti), sulle
tre tornate previste come minimo dalla Costituzione
Provvisoria in un Parlamento eletto su base clanica,
frammentato e senza partiti.
“Questa vittoria è del popolo somalo che ha sofferto a
lungo e continua a soffrire. Noi abbiamo fatto un
lavoro serio e i nostri team hanno svolto una
campagna capillare con la società civile e i suoi
Saggi.”
Che messaggio vuoi mandare al popolo somalo?
Come intendi affrontare i nodi dell’economia, del
terrorismo e delle divisioni: in una parola la
ricostruzione del Paese?
“Il nostro obbiettivo è quello di realizzare per prima
cosa la pace e la riconciliazione del popolo somalo.
Mettiamo al primo posto la sicurezza, la giustizia, il
buon governo, la trasparenza, la lotta alla corruzione
e al terrorismo. Serve anche finalmente un serio
piano finanziario. Sono convinto che la Somalia si può ricostruire.”
Sono sei mesi che la Somalia non ha un governo. Quando pensa di presentare la nomina del Primo Ministro,
l’ultima carica che ancora manca per raggiungere la completezza delle istituzioni somale? “Al più presto. Ci
metteremo subito al lavoro per dare un governo legittimo e credibile al Paese.”
Poiché ci sono giornalisti italiani che lo intervistano dice: “Saluto con affetto il popolo italiano. Vogliamo
ripristinare rapidamente i tradizionali rapporti di amicizia e cooperazione insieme. Spero di avere presto
l’opportunità di incontrare le istituzioni italiane.”
L’intera Somalia lo ha festeggiato. Persino nelle zone occupate dagli Al Shabab è stato consentito di
festeggiare e a Mogadiscio, durante l’intera notte in bianco, non si è sparato un solo colpo d’arma da fuoco.
Il capo dello Stato uscente Hassan Sheikh Mohamud, principale favorito della vigilia, ha ammesso la
sconfitta, il che significa che Farmajo ha ottenuto i due terzi dei voti necessari per evitare ulteriormente il
ballottaggio. Oltre a Mohamud, il terzo candidato ammesso al secondo turno era l’ex presidente Sharif
Sheikh Ahmed, mentre l’attuale primo ministro Omar Abdirashid Ali Sharmarke ha deciso di abbandonare la
corsa.
Con l’elezione di Farmajo è scoppiata la pace
in Somalia. Tra i primissimi a congratularsi è
stata l’amministrazione americana, essendo
Mohamed A. Mohamed anche cittadino degli
USA. Obama stesso aveva voluto incontrarlo
nel 2016, in una cena presso l’Ambasciata
USA di Londra, per incoraggiarlo avendo
saputo che raccoglieva il consenso popolare,
ma che le istituzioni somale non prevedevano
le elezioni a suffragio universale.
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10 feb. Somalia: tentato assalto hotel, almeno 6 morti
Un commando di almeno sette uomini armati di kalashnikov ha fatto irruzione nell'International Village
Hotel, nella città di Bosaso in Somalia, e ha aperto il fuoco.
È di almeno sei vittime il bilancio, quattro guardie dell'hotel e due degli assalitori.
L'assalto, avvenuto nel giorno dell'elezione del nuovo presidente somalo, ha preso di mira un albergo
frequentato da politici locali e stranieri.
Al momento non sono arrivate rivendicazioni, anche se le modalità lasciano pensare che ci sia la mano dei
militanti islamici di al-Shabaab. I killer sopravvissuti sono in fuga.
11 feb. Somalia. Per il nuovo presidente, sicurezza interna e crisi umanitaria sono le
priorità del paese
Mohamed Abdullahi Mohamed, detto Farmaajo, è il nuovo presidente della Somalia: mercoledì 8 febbraio,
nelle prime elezioni “a partecipazione allargata” degli ultimi cinquant'anni (un modo come un altro per non
definirle ciò che non sono, ovvero democratiche) il 55enne Farmaajo ha battuto Hassan Sheikh Mohamud,
presidente uscente, con 184 voti su 329 parlamentari.
“Oggi si è fatta la storia” ha dichiarato lo sconfitto alla tv nazionale, “abbiamo intrapreso il cammino della
democrazia e voglio congratularmi con Farmaajo” (che si legge “formagio” con la prima o aperta e
significa esattamente ciò che intendiamo noi italiani, ovvero “formaggio”, di cui il neo-presidente dicono
essere ghiotto, contrariamente alla maggior parte dei suoi connazionali).
Il voto del Parlamento somalo si è tenuto sotto strettissima sorveglianza nella base militare dell'aeroporto di
Mogadiscio, l'unico luogo considerato abbastanza “sicuro”: tutti i presenti, parlamentari, giornalisti e
osservatori, sono stati accuratamente perquisiti e si sono dovuti sottoporre a rigidi controlli di sicurezza.
Mercoledì 8 febbraio la capitale somala è stata completamente paralizzata e le strade bloccate dai soldati
governativi e dagli uomini della missione internazionale dell'Unione Africana AMISOM, i cittadini sono
stati invitati a restare nelle loro case.
Appena data la notizia dell'elezione di
Farmaajo la capitale somala è letteralmente
esplosa: i sostenitori del
neo-presidente sono scesi in strada a
festeggiare e lo stesso Farmaajo ha celebrato
la vittoria con loro. Nei festeggiamenti però
qualcosa deve essere andato storto: un
militare di stanza in Somalia, sergente della
Brigata Sassari dell'Esercito Italiano, è stato
colpito al torace, probabilmente non
intenzionalmente, da un proiettile vagante.
Altrove, come nelle città centrali di
Dhusamareb e Guriel, dove la siccità sta
provocando una gravissima crisi alimentare,
le autorità locali hanno macellato capre e
cammelli ordinando di distribuire la carne ai
poveri in segno di festeggiamento.
Farmaajo, che ha la doppia cittadinanza somalo-statunitense, in passato ha già ricoperto il ruolo di primo
ministro ma nei primi anni di carriera ha lavorato anche nel Dipartimento dei Trasporti dello Stato di New
York: ha promesso di combattere la corruzione e, sopratutto, gli Shabaab, è molto amico di diverse
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cancellerie occidentali e visto naturalmente di buon occhio anche dagli Stati Uniti, che hanno definito la sua
elezione a presidente “un passo in avanti” per la Somalia.
Alcuni suoi detrattori invece lo definiscono un populista: “Dice tutto ciò che i demoralizzati cittadini somali
vogliono sentire” ha detto alla Reuters Abdirashid Hashi, analista politico somalo membro del gabinetto del
neo-presidente quando era primo ministro, tra il 2010 e il 2011.
Farmaajo dovrà ora affrontare numerose problematiche impellenti per l'ex-colonia italiana nel Corno
d'Africa: politicamente instabile, un territorio devastato dalle scorribande di al-Shabaab e in parte controllato
dagli islamisti somali, una crisi economica oramai decennale, una litigiosità politica continua a livello
federale e una crisi umanitaria pressoché dimenticata dagli osservatori internazionali aggravata dal flusso di
rifugiati yemeniti in fuga dalla guerra dall'altro lato del Golfo di Aden.
Uno degli elementi più critici della Somalia di oggi resta comunque la sicurezza interna che deve essere
considerata la priorità delle priorità: dopo anni di guerra civile e un risorgimento recente delle milizie alShabaab i soldati somali e i membri delle forze di sicurezza sono tra le parti più demoralizzate della società
somala, una condizione aggravata dai magri stipendi e da sconfitte militari importanti, subite anche dal
contingente internazionale dell'AMISOM in zone lontane da Mogadiscio.
12 feb. Cooperazione: Somalia, dall'Italia 500 mila euro per aiuti alimentari
Per fronteggiare la drammatica siccità che sta colpendo la Somalia - la più grave dal 2011 - la Cooperazione
italiana ha disposto un intervento multilaterale di emergenza dell'importo di 500 mila euro a favore del
Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite (Pam). Lo riferisce la Direzione generale per la
Cooperazione allo sviluppo (Dgcs) della Farnesina. Grazie al contributo italiano, il Pam distribuirà razioni
alimentari (cereali, legumi, olio vegetale) a favore delle categorie più vulnerabili della popolazione civile,
incluse 90 mila persone nell'area di Mogadiscio. Secondo i dati forniti dalle Nazioni Unite ammonta ad oltre
6 milioni il numero di somali con problemi di malnutrizione, di cui 363 mila bambini sotto l'età di 5 anni.
12 feb. Somalia: le forze di sicurezza del Puntland sequestrano materiale esplosivo
Le forze di sicurezza della regione somala semi-autonoma del Puntland hanno sequestrato un camion che
trasportava materiale esplosivo e forniture militari verso la regione di Mudug.
I funzionari delle forze di sicurezza hanno dichiarato di aver sequestrato il camion nella zona di Bayra e
arrestato quattro persone a bordo, sospettate di avere legami con Al Shabaab. Ad avviso delle autorità
somale, l’intenzione dei militanti sarebbe stata quella di utilizzare questi materiali per effettuare attacchi
terroristici nelle città del Puntland.
Il governo della regione non ha rilasciato ulteriori dichiarazioni riguardo al sequestro del camion da parte
delle forze di sicurezza. Le indagini sono ancora in corso.
La sicurezza nella regione del Puntland si è deteriorata negli ultimi mesi a causa dell’aumento degli attacchi
contro i funzionari governativi e le forze di sicurezza e civili.
Nel 2016, il mercato di Dayh, nella città di Galkayo, è stato testimone di due attentati, che hanno provocato
la morte di decine di persone.
13 feb. Primi miracoli di Farmajo in Somalia
Il tripudio popolare per l’elezione di Mohamed A. Mohamed Farmajo a Presidente della Somalia lo scorso 8
febbraio non si placa nonostante il trascorrere del tempo. Il neo Presidente siede ancora in albergo, in attesa
di prendere possesso dell’ufficio di presidenza a Villa Somalia giovedì prossimo cui seguirà il 22 la
cerimonia ufficiale. L’entusiasmo e l’ottimismo sono tali che l’economia si è subito riaccesa e lo scellino
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somalo si è rafforzato sui mercati contro il dollaro mentre le partenze di emigranti verso altri Paesi si sono
prosciugate, a conferma che, se in patria le cose migliorano, anche le emigrazioni si spengono.
L’elezione di Farmajo è stata una sorpresa dopo la diffusione delle notizie sulla corruzione dei parlamentari.
Questi, in qualche capannello tra intimi, hanno spiegato che non c’è motivo di non accettare il denaro che
viene offerto in quanto, se si rifiutasse, lo prenderebbe qualcun’altro più disposto ad asservire il proprio voto.
Accettare una somma di denaro – dicono - serve a indebolire chi lo offre perché il voto, comunque, avviene
secondo coscienza. Una singolare filosofia che lascia perplesso l’Occidente, ma che questa volta sembra aver
funzionato egregiamente. L’esito delle elezioni ha quindi ridestato la fiducia verso il Parlamento e ha pure
fatto cadere le tradizionali diffidenze tra i vari clan in cui è tradizionalmente suddivisa la popolazione
somala: tutti inneggiano a Farmajo senza distinzione di provenienza e appartenenza. E neppure di età!
Incredibile ma vero, sono cadute in questi giorni le barriere che dividevano la città di Galkajo tra il Puntland
e il Galmudug. Improvvisamente sono state rimosse dal popolo. I check point sono stati abbandonati in tutto
il Paese.
Né la chiamata di Farmajo alla presidenza della Somalia lascia indifferenti gli Al
Shabab. Uno dei principali capi, Muqtar Robow, detto Abu Mansur (vedi foto a lato)
di stanza nelle regioni del sudovest di Bai e Bacol, ha detto che il Presidente
Mohamed ha un forte consenso del popolo sicché non ha senso contrastarlo. Ha
aggiunto che con lui non c’è il rischio che il Paese venga consegnato a potenze
straniere (leggi: Etiopia, Kenya o Uganda) sicché si ripromette di consegnarsi alle
autorità di Mogadiscio. E a proposito di Paesi stranieri che mirano ad influenzare la
Somalia, oggi il Dayli Nation, un quotidiano di Nairobi, ha affermato che è ormai
privo di significato per le truppe keniote rimanere in Somalia.
Se enormi sono le aspettative sulla presidenza, bisogna dire che Mohamed A.
Mohamed sa come rispondere. Durante i pochi mesi in cui esercitò la carica di Primo Ministro tra il 2010 e il
2011, Mogadiscio rifiorì. Gli stipendi venivano pagati regolarmente ai dipendenti pubblici, l’illuminazione
per le strade era ripresa, vennero aperti 4 licei e la maggior parte di Mogadiscio venne strappata agli Al
Shabab grazie alle truppe governative, finalmente ben pagate, solo appoggiate da quelle di AMISOM.
Non si è mai veramente compreso quale fu il motivo
per cui, a Kampala, Farmajo, all’esito di un vertice
con il Presidente somalo, quello ugandese ed il
rappresentante dell’Onu Agostino Mahiga (attuale
Ministro degli esteri della Tanzania), accettò di
dimettersi come poi fece il 23 giugno 2011,
affermando di farlo nell’interesse della Somalia.
Quelle dimissioni vennero osteggiate con rabbia dal
popolo che sfilò compatto per le vie della capitale
mentre i parlamentari si opponevano alla ratifica
dell’accordo. (nella foto a lato il Presidente Farmajo sulla
destra)
Certo fu che quelle dimissioni, ritenute “forzate” dai
più, alimentarono la convinzione che la Somalia fosse
territorio di conquista da parte dei Paesi vicini finendosi col rafforzare il potere degli Al Shabab, integralisti
islamici ma anche patrioti nazionalisti, contrari alla corruzione e al capitalismo dei Signori della Guerra.
Il passato e i trascorsi di lealtà alla nazione, di rispetto dei diritti umani, di sincera dedizione alla
ricostruzione delle istituzioni e del benessere del popolo spiegano più di qualunque parola o scritto perché il
ritorno di Mohamed A. Mohamed alla guida più influente della Somalia suscita un così corale slancio
popolare.
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14 gen. Somalia: combattenti di al Shabaab riconquistano due villaggi
In seguito a un attacco contro alcune basi militari, i militanti di al Shabaab hanno ripreso il controllo di due
distretti chiave nella regione del Basso Shabelle, nella Somalia meridionale.
Abdi Hassan, comandante dell’esercito della regione, ha dichiarato ai media locali che i combattenti hanno
sopraffatto le truppe governative a Warmahan e Tihisiile, vicino Uanle Uen. Le forze governative somale si
erano ritirate nella città di Uanle Uen prima che i militanti di Al Shabaab entrassero nei due distretti e
sequestrassero le stazioni di polizia e gli uffici amministrativi.
Almeno sei soldati, di cui due comandanti dell’Esercito Nazionale Somalo (SNA), sono morti
nell’esplosione del loro convoglio, vicino alla città di Warmahan e Tihisiile, villaggi della Somalia
meridionale. In un comunicato pubblicato sui propri siti web, i militanti hanno affermato di aver usato una
mina telecomandata.
Mohamed Hassan Bakay, comandante della sesta divisione delle forze armate somale, potrebbe essere tra i
sei militari uccisi durante l’attacco avvenuto mentre stava viaggiando sul convoglio per portare rinforzi ai
campi militari in Tihsile e Warmahan.
Il gruppo Al Shabaab, affiliato di Al-Qaeda, ha dichiarato di aver sequestrato armi e munizioni dalle basi
militari in Warmahan e Tihisiile, dopo il ritiro dello forze dello SNA.
14 feb. La Somalia riprende a battere moneta. Le speranze di mons. Bertin
Dalle ultime notizie giunte attraverso i comunicati stampa sembra ch la Somalia riprenderà a stampare
banconote. Il Paese non emetteva valuta dalla caduta del governo di Siad Barre nel 1991, data dalla quale
sono cominciate a circolare monete occidentali. Anche se, ad iniziare da quella data, diversi "signori della
guerra" avevano stampato diversi tipi di moneta, sempre scellino somalo. La notizia, dopo l’elezione nei
giorni scorsi del nuovo Presidente, è stata resa nota dal governatore della Banca Centrale somala, Bashir Ali
Issa, che ha detto che la stampa di banconote potrebbe già avvenire nel corso di quest’anno. Sull’importanza
di questa scelta, mons. Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio esprime
un parere che è anche una speranza: “il fatto che questa volta sia proprio la Banca centrale a dare la notizia,
fa capire che insomma si sta andando verso una maggiore solidità delle istituzioni …
In merito alla elezione del nuovo presidente esprime con un auspicio ed un augurio: “È difficile dare ora un
giudizio sulla situazione e sul presidente, perché è stato eletto mercoledì scorso; per le vie di Mogadiscio c’è
stata una grande euforia e in generale anche in altre parti della Somalia, compresa la Comunità
internazionale, perché sembra una persona capace, di buona volontà. Aveva già avuto qualche esperienza di
governo, ma si vive con questo senso di euforia. Bisognerà che a questa euforia, a questa buona accoglienza
da parte della popolazione somala corrispondano poi degli impegni precisi da parte delle autorità e del
Presidente. Bisognerà vedere poi quale sarà la formazione del Consiglio dei ministri.”
In questo ultimo periodo c’è stata dalla comunità internazionale un certo distacco e molte perplessità sulle
procedure del sistema elettorale ma “sembra che ora si stia ravvivando il dialogo collaborativo anche perché
incombono grossi problemi come la nuova carestia che sembra essere peggiore e più pestifera di quella del
2011, tenendo conto che anche la comunità internazionale ha bisogno non tanto di guardare ai propri
interessi, ma agli interessi, al bene della popolazione somala e della Somalia”.
Sul terrorismo Mons. Bertin ha idee precise “Rappresenta un ostacolo, ma anche una sfida. Bisognerà
rispondere a questo grosso ostacolo non solo con le armi, ma a che col il dialogo e soprattutto prestando quei
servizi di cui la popolazione ha bisogno: servizi sanitari, educativi e un po’ di sicurezza. Se si è in grado
rispondere a queste necessità, penso che il grosso ostacolo che rimane, quello del fondamentalismo, potrebbe
essere vinto alla lunga, soprattutto con il supporto della popolazione.
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