Come le donne imprenditrici affrontano la crisi

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Come le donne imprenditrici affrontano la crisi
COME LE DONNE IMPRENDITRICI AFFRONTANO LA CRISI
COME LE DONNE
IMPRENDITRICI AFFRONTANO LA
CRISI
Centro Studi Sintesi
E’ risaputo che nel nostro Paese, più di quanto accada altrove in Europa, esiste un problema legato all’occupazione femminile.
Nel 2000, quando gli Stati membri della Comunità Europea siglarono il trattato che definiva gli
obiettivi di crescita per il 2010 tra cui l’innalzamento
dell’occupazione femminile, sull’Italia pesava già, in
questo campo, un primato negativo. A quell’epoca
il tasso di occupazione femminile era pari al 39,6%,
2 punti percentuali circa inferiore a quello della
Grecia e della Spagna. Allora come oggi, il nostro
Paese era ultimo nella graduatoria tra i Paesi dell’”Europa a 15”; nel corso degli anni sono stati fatti
indubbi progressi che però non hanno consentito
all’Italia di far emergere le potenzialità economiche
delle donne: nel 2006 eravamo ancora in fondo a
questa graduatoria, con un punto di distacco dalla
Grecia e quasi cinque dalla Spagna.
Sicuramente, le politiche adottate in questo
arco di tempo per migliorare il rapporto donna-lavoro hanno avuto esito positivo ma si tratta probabilmente di esiti fisiologici, e questo perché Paesi
con gli stessi nostri problemi hanno ottenuto risultati anche migliori. Di questo hanno preso coscienza,
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Quaderni di ricerca sull’artigianato
a ragione, anche gli organi governativi; al Rapporto sullo stato di attuazione del Programma Nazionale di Riforma 2000-2006 (in sostanza lo stato di
attuazione della Strategia di Lisbona), è allegata
una Nota aggiuntiva centrata esclusivamente sulle
donne e sulle politiche per favorire l’occupazione
femminile dove il messaggio di fondo che emerge
è la necessità di un cambio di passo nelle politiche
a favore delle donne.
Il tasso di occupazione femminile italiano è
fermo al 46,3% e ci sono diverse questioni prettamente socio-economiche o culturali in grado di
spiegare questa stasi preoccupante.
Uno dei fenomeni più importanti dell’industrializzazione in tutti i paesi del mondo occidentale
è stato senza dubbio l’aumento della partecipazione delle donne al lavoro, o meglio, il loro progressivo allontanamento dalle mura domestiche. Tali
mutamenti sembrano confermare l’esistenza di un
modello femminile dominante che vede la “doppia
presenza” della donna adulta nel lavoro familiare di
cura e in quello professionale retribuito.
Questo passaggio però non appare ancora
completo, viste le ripetute analisi che mettono in
luce le difficoltà delle donne non solo a raggiungere posizioni di potere, ma anche a trovare lavoro.
La vita delle donne appare “sostanzialmente spaccata in due. Nella prima parte, quella dedicata alla
formazione, le donne hanno ormai superato gli
uomini in tutti i parametri possibili e immaginabili:
si diplomano e laureano più numerose e nei tempi
stabiliti, sono le più brillanti, eccellono pure nelle
facoltà sempre considerate monopolio maschile
(ingegneria su tutte). Una supremazia che si trasforma in una disfatta quando dalla palestra delle
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aule universitarie si passa all’arena della vita vera,
quella scandita dal lavoro-figlio-marito”1.
Negli ultimi decenni la crescita nel livello di
scolarizzazione ha favorito l’ingresso delle donne in
settori e in luoghi a loro precedentemente preclusi.
Le donne sono infatti sempre più presenti nel mercato del lavoro e, tra queste, molte si cimentano
nella gestione e nella creazione di nuove imprese.
Un fenomeno questo che non è solo interpretabile
come una conquista di posizioni nel mondo economico, ma è anche ascrivibile a motivazioni legate
ad un’evoluzione sociale.
La creazione di imprese per mano femminile, siano esse artigiane, industriali, commerciali o
libere professioni, è da inquadrare non solo nell’accresciuta pressione delle donne nel mercato del
lavoro, ma anche nel cambiamento organizzativo
e culturale in atto all’interno dell’impresa. In essa
infatti si viene a creare un ambiente più consono
alle caratteristiche della donna, che ha la possibilità di accedere a funzioni di governo e di regia dei
processi organizzativi: lo stereotipo che l’imprenditore artigiano sia solo l’operaio manifatturiero, sta
lasciando gradualmente posto ad una nuova concezione di lavoro autonomo al femminile2.
Nonostante la crescente importanza delle imprese femminili e l’incremento numerico osservato
durante gli anni Novanta, la loro incidenza continua
a restare alquanto bassa, sia rispetto a quelle maschili, sia rispetto alla percentuale di donne nella
popolazione3.
1
Il Sole 24 Ore – Donne in pole position negli studi,
ultime al lavoro. Articolo del 6 marzo 2005.
2
Regione Piemonte, Assessorato all’Artigianato, Antilia – Imprenditorialità femminile nell’artigianato in Piemonte.
Maggio 2004.
3
Commissione Europea, IfGH – Good Practices in
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Quaderni di ricerca sull’artigianato
Il divario ancora forte tra uomini e donne
che fanno impresa non è da attribuire a differenze
di sensibilità, d’intelligenza o di propensione al rischio, ma piuttosto all’esistenza di alcune difficoltà
nella creazione e nel mantenimento dell’attività che,
sebbene tipiche per entrambi i generi, risultano essere più determinanti nel caso femminile4.
La stessa Commissione Europea mette in
luce questo problema e propone un elenco dei fattori che più influenzano la scelta imprenditoriale: lo
stanziamento in un contesto povero di imprese, la
scelta del tipo di attività e del settore in cui operare,
le lacune informative, la mancanza di contatti e di
accesso a reti di comunicazione, le discriminazioni
di genere e gli stereotipi, la scarsa e poco flessibile presenza di servizi per la cura dei bambini, le
difficoltà nel conciliare affari ed obblighi familiari,
i diversi approcci con cui uomini e donne si rivolgono al lavoro autonomo. Tutti questi fattori, che riguarderebbero entrambi i generi, vengono vissuti
in modo più intenso dalle donne5.
In particolare, l’incompatibilità del ruolo familiare con lo svolgimento della professione continua a rimanere una fonte di disagio6: esse devono
compiere una sorta di lavoro ad incastro fra le loro
responsabilità imprenditoriali e l’organizzazione familiare7. Le donne imprenditrici sono quindi costrette ad affrontare delle difficoltà aggiuntive rispetto ai
the Promotion of Female Entrepreneurschip, Vienna, dicembre
2002
Le opportunità per l’imprenditorialità femminile, in mi4
naret.it
5
Commissione Europea, IfGH – Good Practices in the
Promotion of Female Entrepreneurship, Vienna, dicembre 2002
6
Sinergica o.n.l.u.s – Sintesi della ricerca “Lo sviluppo
della piccola imprenditorialità femminile locale e la domanda di
servizi di supporto”.
7
Ente Bilaterale dell’Artigianato Veneto – Donne, lavoro e maternità nell’impresa artigiana veneta
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propri colleghi maschi: esse si trovano nella condizione in cui gli impegni di lavoro impediscono
di dedicare tutto il tempo che sarebbe necessario
alla cura della casa e della famiglia, senza riuscire
quindi a trovare un equilibrio tra il tempo dedicato
all’attività aziendale e quello rivolto all’aspetto più
privato.
Diviene quindi significativo il fatto che la responsabilità imprenditoriale sia tale da non permettere alle donne di effettuare delle scelte private e
familiari senza averle prima ben pesate e pianificate8. Per questa ragione le imprenditrici mettono in
risalto i loro risultati professionali raggiunti, tanto da
considerarli superiori a quelli dei colleghi maschi
che non sono chiamati a fronteggiare e neutralizzare le influenze negative derivanti dalla condizione
femminile.9
Tuttavia la questione dell’imprenditorialità
femminile acquista una rilevanza sempre maggiore
nel più generale impegno a costruire pari opportunità rispetto al lavoro. In questa direzione vanno
alcuni strumenti legislativi che, nel tempo, hanno
modificato l’idea della donna come soggetto debole sul mercato del lavoro.
In particolare, nel 1991 è stata emanata la
legge 125 sulla “realizzazione della pari opportunità
uomo-donna nel lavoro”. Questa legge segna una
tappa fondamentale nel cammino intrapreso dalle
donne verso la parità di trattamento e di uguaglianza di diritti, discostandosi nettamente dal concetto
classico di eguaglianza formale. Viene promossa
e sostenuta di fatto l’uguaglianza sostanziale attraverso la realizzazione di un modello paritario e
protettivo che si basa sul ripristino dell’uguaglianza
8
9
Ibidem.
Ibidem.
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Quaderni di ricerca sull’artigianato
nelle condizioni di partenza e sulla concretizzazione dell’accesso e dello svolgimento dell’attività lavorativa10.
Dopo aver intrapreso il percorso per la tutela
del lavoro dell’universo femminile, è stata emanata
successivamente la legge 215 del 1992, indirizzata
invece alla promozione e al sostegno dell’imprenditoria femminile. I settori interessati vanno dalla
produzione di beni nell’agricoltura, nell’artigianato
e nell’industria ai settori commerciali, del turismo
e della fornitura di servizi. L’obiettivo della legge
è quello di facilitare l’accesso al credito da parte
delle donne imprenditrici e a promuovere la loro
presenza nei comparti più innovativi dei diversi settori produttivi. Le agevolazioni si indirizzano verso
iniziative di avviamento di nuove attività, acquisizione di già esistenti, progetti aziendali innovativi ed,
infine, acquisizione di servizi reali11.
Anche la Commissione Europea ha cercato
di sviscerare i problemi connessi all’imprenditoria
femminile e comprendere quali siano le difficoltà
che le donne si trovano ad affrontare. In questo contesto sono state formulate alcune “buone pratiche”
destinate a tutti i Paesi dell’Unione per agevolare
le imprenditrici e le aspiranti tali a intraprendere il
lavoro autonomo. Queste si riassumono fondamentalmente in tre aspetti:
• migliorare l’informazione;
• agevolare la formazione di reti;
• migliorare l’accesso ai finanziamenti12.
10
Politano D., “Legge 125/1991: azioni positive per la
realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro”, in diritto.it
11
Imprenditorialità femminile: la legge 215/1992, in minaret.it
12
Commissione Europea, Direzione generale Imprese
– Promuovere l’imprenditorialità femminile. Rapporto Best n.2,
2004
COME LE DONNE IMPRENDITRICI AFFRONTANO LA CRISI
Tutte queste forme di “tutela” si snodano in
un contesto imprenditoriale come quello attuale,
dove l’utilizzazione di saperi e competenze relazionali sono fondamento del nuovo tessuto economico13. È in questo sistema, caratterizzato da
capacità e velocità dei processi di cambiamento
e riposizionamento delle imprese e dei sistemi produttivi locali che risulta importante la qualità di saper dialogare su differenti livelli di complessità, con
diversi interlocutori contemporaneamente (snodi
delle reti) e su differenti contenuti per riuscire a costruire un vantaggio competitivo del sistema14. Lo
stile di management e imprenditoria femminile presenta maggiormente questi aspetti, amalgamando
lavori nuovi ed alternativi, alte scolarità e saperi tradizionali15.
Di frequente, quando si parla di donne e lavoro, ci si sofferma molto, e giustamente, sulle criticità
che questo rapporto comporta, ma forse sarebbe
opportuno cominciare a quantificare i risultati degli
sforzi compiuti dalle donne fino ad oggi che, nonostante le problematiche, soprattutto legate al forte
legame con la famiglia, si stanno inserendo a forza
in questo sistema, producendo risultati economici
notevoli e soprattutto un forte cambiamento culturale. È necessario superare la prospettiva legata
alle difficoltà e cominciare a concentrarsi sui numeri che le donne producono e il cambiamento che da
questo ne deriva. L’impresa al femminile, artigiana
e non, si caratterizza per alcune specificità.
Innanzitutto, quando si parla di impresa al
femminile difficilmente siamo di fronte a situazioni
13
Campagnoli D., Regione Emilia Romagna – Imprenditorialità femminile: risorsa del territorio regionale.
14
Ibidem.
15
Ibidem.
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Quaderni di ricerca sull’artigianato
occasionali, e ciò è confermato anche dal fatto che
la crisi recente ha intaccato questo universo economico in modo del tutto simile al sistema economico generale.
Le imprenditrici artigiane, sono oltre 2,6 milioni, e rappresentano oltre ¼ del sistema totale
artigiano, in costante crescita ormai da anni, nonostante i periodi di difficoltà economica che hanno
caratterizzato questi ultimi anni. Ed è proprio lo strumento imprenditoriale l’elemento in grado di colmare il gap di offerta lavorativa nelle regioni del sud,
o a permettere l’inserimento lavorativo della donna
in settori diversi dai servizi alla persona, dove tradizionalmente si colloca il lavoro femminile.
Un altro elemento importante da sottolineare quando si parla di imprenditoria femminile artigiana è la capacità di produrre reddito: secondo
una ricerca condotta da Confartigianato, il valore
aggiunto, il pil delle imprese in sostanza, realizzato
dalle imprese femminili ogni anno, è di 27.5 miliardi
di euro, cifra vicina, ad esempio, ad una manovra
finanziaria: il valore acquisisce importanza non tanto in termini assoluti, ma sulle modalità attraverso
cui esso viene prodotto, poiché è rilevante anche in
settori a forte tradizione maschile, come l’industria
in senso stretto, addirittura intorno al 25% al centro
e al sud, o nei servizi alle imprese, dove di solito si
collocano le attività legate alle nuove tecnologie, all’informatica, più consone alla figura imprenditoriale
maschile. Inoltre è importante rilevare che dietro a
questi numeri si nasconde un processo di elevazione culturale del lavoro femminile, processo che si
vede anche dai dati relativi al confronto internazionale, laddove l’Italia, pur scontando una posizione
in graduatoria bassissima, emerge quando si parla
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del tipo di mansione che la donna riveste, legata a
posizioni di responsabilità se non di potere.
Quindi, se è vero che il dinamismo economico non c’è solo di nome ma anche di fatto, è vero
che questo esiste nonostante tutto; le criticità in
Italia rimangono, senza tuttavia rinunciare a riconoscere alla donna il merito di aver saputo conquistare il proprio ruolo, ad esempio, sotto il profilo salariale: in tal senso, il nostro è il paese dove il divario
è minore e questo perchè al fatto che le mansioni
che si esercitano sono di responsabilità. Per contro, ancora oggi, il tasso di occupazione femminile
è tra i più bassi d’Europa. Si intravede, in sostanza
nel mercato del lavoro femminile, una sorta di selezione naturale, nel senso che i bassi livelli di occupazione complessivi sono dovuti ad una scelta
molto radicale legata alla posizione e al ruolo che
si occupa. Se è di responsabilità viene mantenuto,
diversamente si opta per la scelta non lavorativa.
È una selezione pericolosa, perché rischia di mantenere il mondo lavorativo femminile ristretto ad un
nucleo di persone, ma probabilmente premiante,
perché il lavoro femminile in Italia è un lavoro qualificato e retribuito, ed in tutto questo la carriera imprenditoriale, soprattutto nelle aree meridionali del
paese, gioca un ruolo assolutamente rilevante.
E se ancora c’è da lavorare affinché le donne
possano migliorare in termini di presenza sui posti di potere, intervenendo sempre prioritariamente
su quelli che sono i nodi critici del rapporto delle
donne con il lavoro, è chiaro che le donne ormai
riconoscono e sostengono la forte evoluzione culturale che c’è stata negli ultimi anni, e i maggiori
interventi a sostegno della loro integrazione vanno
proprio nella direzione di sostenere la volontà delle
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Quaderni di ricerca sull’artigianato
donne di essere protagoniste attive e non passive
della crescita ance economica del paese.
Gli elementi di riflessione proposti in questo
lavoro tendono ad affrontare un aspetto specifico
della componente economica femminile: l’imprenditorialità femminile artigiana, con l’obiettivo di verificare lo stato di salute, le tendenze recenti e di
medio periodo, le specializzazioni settoriali e le localizzazioni regionali.
La crisi vista dalle donne imprenditrici
La grave crisi economica in atto, partita da
oltre oceano come crisi finanziaria, si è tradotta in
crisi reale intaccando in maniera profonda la struttura produttiva del nostro Paese.
Le imprese infatti sono state costrette a ridurre i propri volumi produttivi a causa della generale contrazione della domanda interna e di quella internazionale, determinando una riduzione dei
consumi. Ad esprimere pessimismo non sono solo
le famiglie (i cui redditi disponibili hanno registrato
un’evidente contrazione), ma anche le imprese che
fanno fatica a programmare nuovi investimenti per
la propria attività futura, testimoniata dalla riduzione nei volumi degli investimenti fissi lordi.
In questo quadro, i “soggetti economici”
colpiti dalla stagnazione sono molteplici: i consumatori, le famiglie, i lavoratori, i giovani, le imprese
(piccole e grandi), il sistema del credito. La crisi
ha intaccato i legami e gli equilibri tradizionali che
intercorrevano tra questi soggetti, mettendo in discussione quelle regole che prima guidavano tali
dinamiche.
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Nel tunnel della crisi è entrato (chi più e chi
meno) anche il mondo imprenditoriale il quale, per
molti casi, fa fatica a vedere la ripresa economica.
Le modalità di reazione e le strategie messe
in campo per trovare una via di uscita dipendono
dalla struttura dell’impresa. Capire e studiare le dinamiche delle imprese di più piccole dimensioni,
in particolare quelle artigiane, è fondamentale dal
momento che il sistema Italia è caratterizzato da
imprese che mediamente contano 3,5 addetti per
unità locali.
La conduzione al femminile di queste imprese permette di rilevare un’ulteriore specificazione
dell’universo imprenditoriale, tenendo conto delle
disparità di genere che anche in questo ambito
sembrano essere evidenti.
Attraverso un recente studio, vengono riscontrate delle correlazioni positive tra la presenza
delle donne nelle aziende e le performance delle
imprese stesse; in particolare, in Europa, le imprese con più donne nei piani alti hanno un Roe (indicatore di redditività) superiore del 10% rispetto alla
media di settore e un risultato operativo netto quasi
doppio.
Questo sembra valere anche per l’Italia dove
le imprese nel cui Cda vi sono donne, registrano
un utile operativo medio superiore del 21% rispetto
alle altre e un Roe medio superiore del 3%.
Questi dati permettono di attestare come la
presenza femminile sia determinante nell’affermazione delle loro potenzialità imprenditoriali e decisionali, soprattutto in questo periodo di evidente
crisi. Dare quindi più spazio alle donne significa
premiare l’economia nel suo complesso.
Ma il nostro Paese ha bisogno di rivedere le
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Quaderni di ricerca sull’artigianato
proprie politiche per continuare a rafforzare la partecipazione femminile in tutti gli ambiti sociali ed
economici e promuovere una vera opportunità tra i
sessi, dal momento in cui quasi tutte le statistiche
di genere pongono l’Italia come fanalino di coda tra
tutti gli stati sviluppati.
I risultati congiunturali delle aziende guidate
da donne e le successive disamine sulla gestione
dell’attività aziendale sono stati ricavati attraverso
un’indagine campionaria, condotta nel mese di settembre 2009, ad oltre 600 imprenditrici sull’intero
territorio nazionale.
Un primo ed importante dato che si deve sottolineare è che circa due imprenditrici su tre hanno
dichiarato che la propria attività risente in maniera
rilevante dell’attuale involuzione economica (molto
26,3%; abbastanza 39,9%). Solo l’8,5% risulta immune dagli effetti della crisi ed è il comparto edile,
seguito dai servizi alle imprese, quello che subisce
in maniera più pesante il calo della domanda e del
fatturato. La posizione delle imprese manifatturiere e dei servizi alle persone appare un pò meno
negativa con percentuali in relazione alla modalità
aggregata “molto / abbastanza” che, pur evidenziando una notevole ricaduta dell’attuale situazione economica sull’attività aziendale, si collocano
al di sotto del dato medio generale (manifatturiero
63,9%, servizi alle persone 65,6%)
COME LE DONNE IMPRENDITRICI AFFRONTANO LA CRISI
Quanto l’andamento dell’attività aziendale risente della crisi economica?
Per niente
8,5%
Poco
25,3%
Molto
26,3%
Abbastanza
39,9%
Manifatturiero
Edilizia
Servizi alle
imprese
Servizi alle
persone
Molto
26,8%
18,8%
28,3%
26,3%
Abbastanza
37,1%
59,4%
42,4%
39,0%
Poco
26,8%
12,5%
21,7%
27,0%
Per niente
9,3%
9,3%
7,6%
7,7%
100,0%
100,0%
100,0%
100,0%
TOTALE
Non sa / Non risponde: 0,7%
Elaborazione Centro Studi Sintesi su dati Infocamere
Gli effetti principali della crisi si traducono
principalmente in una contrazione dei volumi degli
ordinativi e della produzione (43%), ma non marginale risulta anche la dilazione di pagamento dei
clienti che generano rilevanti problemi di liquidità.
In misura secondaria si segnalano altri
aspetti, connessi al calo dei volumi di lavoro, che
penalizzano l’attività aziendale: la diminuzione dei
prezzi di vendita dei prodotti e servizi (12,8%); l’aumento dei costi di produzione / servizi (10,2%), le
maggiori difficoltà ad ottenere finanziamenti dalle
banche (8,7%) ai quali si aggiunge poi la constata-
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Quaderni di ricerca sull’artigianato
zione di un generale aumento dei costi di finanziamento (3,7%).
In che modo la sua azienda sta risentendo della
crisi attuale?
Diminuzione livello di ordini e
produzione
43,0%
Maggiore dilazione di
pagamento dei clienti
21,6%
Diminuzione dei prezzi di
vendita
Aumento costi di produzione /
servizi
Difficoltà ottenere finanziamenti
da banche
Aumento costi di finanziamento
12,8%
10,2%
8,7%
3,7%
Non sa / Non risponde: 4,4%
Elaborazione Centro Studi Sintesi su dati Infocamere
A preoccupare ulteriormente le donne imprenditrici è la constatazione che allo stato attuale
non si riesca ancora ad intravedere alcun segnale di ripresa che possa dare un’indicazione sulla
durata o sul protrarsi di questa fase di involuzione
economica. Solo il 15,3% delle intervistate ritiene,
infatti, che la crisi si stia avviando verso la fine, prospettando a breve una ripresa generale dell’intero
sistema economico. Nella maggior parte dei casi
(43,3%) si riconosce, invece, che questa fase sia
la fase più acuta della crisi, mentre circa un quinto
delle imprenditrici ritiene che ci si trovi solo all’inizio
e che il peggio debba ancora arrivare. La mancanza di dati certi e di indicazioni per il prossimo futu-
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ro che non si basino solo su sensazioni soggettive
mettono in risalto il grande clima di incertezza che
sta caratterizzando l’ultima parte del 2009, con circa un’imprenditrice su cinque che non riesce ancora a valutare quale sia lo stadio di avanzamento
dell’attuale crisi economica.
Le aziende più pessimiste sono quelle del
manifatturiero, dato che circa il 23% ritiene che l’attuale fase economica sia solo l’inizio di un periodo
ben più pesante e negativo che sopraggiungerà
nei prossimi mesi. Dall’altro lato sono le aziende
edili a rivelare qualche segnale di maggiore ottimismo con quasi il 19% delle imprenditrici del settore
che sostiene che si sia già toccato il fondo e che
ora non si potrà far altro che risalire. Tra i servizi
alle persone invece prevale un senso di generale
incertezza dato che le operatrici del settore si dividono tra chi ritiene di trovarsi nel profondo della
crisi (45%) e chi invece non sa dare una valutazione (23,5%) o ha la sensazione che il peggio debba
ancora arrivare (20%).
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Quaderni di ricerca sull’artigianato
Secondo lei la crisi economica che le aziende
stanno attraversando:
Non saprei
dare un
giudizio
20,4%
Sta
terminando
15,3%
Siamo solo
all'inizio
21,0%
Siamo nel
pieno della
crisi
43,3%
Manifatturiero
Edilizia
Servizi alle
imprese
Servizi alle
persone
Sta terminando
16,8%
18,8%
16,0%
11,5%
Siamo nel pieno
della crisi
41,1%
46,9%
42,6%
45,0%
È solo all’inizio
22,9%
15,6%
21,3%
20,0%
Non saprei
19,2%
18,7%
20,1%
23,5%
TOTALE
100,0%
100,0%
100,0%
100,0%
Non sa / Non risponde: 0,0%
Elaborazione Centro Studi Sintesi su dati Infocamere
L’andamento negativo dell’ultimo periodo
ha indotto il 36% delle imprenditrici intervistate ad
adottare misure anticrisi e tra le categorie economiche maggiormente “attive” sotto questo profilo si
distinguono soprattutto le aziende che operano nel
manifatturiero (37,4%) e nell’edilizia (40,6%).
Dall’analisi dei dati raccolti si osserva inoltre una correlazione diretta tra l’attuazione di azioni
per fronteggiare la difficile situazione economica
e la rilevanza della sua percezione: maggiore è
COME LE DONNE IMPRENDITRICI AFFRONTANO LA CRISI
l’impatto della crisi, più forte risulta la necessità di
adottare contromisure. Al contrario, le imprese che
hanno risentito in maniera meno evidente della crisi
preferiscono assumere un atteggiamento più cauto non operando alcuna strategia, in attesa di un
cambiamento che avvenga innanzitutto dal mercato globale.
Ha intrapreso azioni per fronteggiare gli effetti
dell’attuale situazione economica?
NO
63,7%
SI
36,3%
Manifatturiero
Edilizia
Servizi alle
imprese
Servizi alle
persone
Si
37,4%
40,6%
36,2%
35,0%
No
62,6%
59,4%
63,8%
65,0%
TOTALE
100,0%
100,0%
100,0%
100,0%
Non sa / Non risponde: 3,5%
Elaborazione Centro Studi Sintesi su dati Infocamere
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Quaderni di ricerca sull’artigianato
Aziende che hanno intrapreso azioni per fronteggiare l’attuale situazione economica per grado di percezione della crisi
Aziende che
hanno intrapreso
azioni
Aziende che non
hanno intrapreso
azioni
TOTALE
Molto rilevante
60,0%
40,0%
100,0%
Abbastanza rilevante
38,7%
61,3%
100,0%
Poco rilevante
28,4%
71,6%
100,0%
Per niente rilevante
14,3%
85,7%
100,0%
Elaborazione Centro Studi Sintesi su dati Infocamere
Per quanto riguarda le imprese che hanno
adottato strategie anticrisi circa un terzo è intervenuto per ridurre il costo del lavoro ed una quota
leggermente più bassa ha razionalizzato maggiormente le risorse interne, cercando di ridurre
gli sprechi ed i costi di produzione. Si deve inoltre segnalare che il 15,5% delle imprenditrici si è
adoperata per allargare il proprio volume d’affari,
estendendo le proprie quote di mercato, mentre il
ritardo dei pagamenti dei clienti ha portato circa il
14% ad intervenire per sopperire alla mancanza di
risorse liquide.
Il 10,2% delle imprese, infine, ha deciso di
rinviare o rinunciare investimenti già programmati,
in attesa di un miglioramento della situazione economica generale.
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Quali azioni ha intrapreso?
Riduzione costo del lavoro
33,1
Riduzione costi di produzione /
servizi
Allargamento del giro d'affari
Aumento della liquidità
aziendale
Rinvio / rinuncia degli
investimenti
27,3%
15,5%
13,9%
10,2%
Non sa / Non risponde: 5,5%
Elaborazione Centro Studi Sintesi su dati Infocamere
La riduzione del costo del lavoro deriva principalmente da una diminuzione del personale per
effetto di licenziamenti o di mancato rinnovo di contratti a termine (47,7%) ed in seconda battuta per
effetto di una riduzione degli orari di lavoro e degli
straordinari (34,1%).
La riduzione dei costi di produzione e dei
servizi erogati passa attraverso l’ottimizzazione
degli sprechi (72,7%), sia in termini di materie prime e semilavorati utilizzati, sia in termini di risorse
energetiche utilizzate, mentre in misura minore si
sono cercati nuovi fornitori (21,8%) o si è cercato di
reperire materiale di minore qualità (5,5%).
La fase di congiuntura economica poco
favorevole ha penalizzato, come detto, gli investimenti, soprattutto quelli in nuove attrezzature
(59,3%), meno quelli per nuovi immobili (22,2%) o
gli impieghi per l’innovazione di prodotti e processi
(18,5%).
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Quaderni di ricerca sull’artigianato
Tra le aziende che hanno aumentato la liquidità aziendale, il 62,2% si è rivolto alle banche per
ottenere i finanziamenti necessari per sopperire alla
carenza di risorse liquide; in alternativa si è deciso
di protrarre i tempi di pagamento dei fornitori (25%)
e solo in alcuni casi si è provveduto alla ricapitalizzazione dell’azienda con mezzi propri o al recupero
crediti per vie legali (entrambi intorno al 6%).
Infine, per quanto riguarda le misure volte
all’estensione del giro d’affari, la metà delle imprese ha cercato di inserirsi in nuovi mercati, mentre
circa un terzo ha puntato sulla differenzazione dei
prodotti e dei servizi. Sotto questo profilo inoltre si
deve segnalare che circa un quinto delle aziende
ha effettuato nuovi investimenti nell’ottica di un rafforzamento della propria rete distributiva.
COME LE DONNE IMPRENDITRICI AFFRONTANO LA CRISI
Azioni adottate per ciascuna delle strategie intraprese
Riduzione del costo
Riduzione dei costi di
del lavoro
produzione / servizi
Diminuzione
dell'orario di
lavoro /
straordinari
34,1%
Acquisto
materiale più
scadente
5,5%
Si sono
ottimizzati gli
sprechi
72,7%
Ricorso a
cassa
integrazione
18,2%
Si sono cercati
altri fornitori
21,8%
Diminuzione
del personale /
licenziamenti
47,7%
Rinvio / rinuncia
degli investimenti
Rinvio
investimenti
per nuovi
immobili
22,2%
Aumento della
liquidità aziendale:
Rinvio
investimenti
per
l'innovazione
18,5%
Riscossione
crediti clienti
anche per vie
legali
6,2%
Dilazione di
pagamento dei
fornitori
25,0%
Rinvio
investimenti in
nuove
attrezzature
59,3%
Richiest
prestiti al
banche
62,5%
Ricap.
dell'azienda
con mezzi
propri
6,3%
Aumento del giro d’affari
Effettuati nuovi
investimenti
19,0%
Aumento delle
tipologie di
prodotti /
servizi
32,4%
Ricerca nuovi
mercati
48,6%
Non sa / Non risponde: 4,1% (media)
Elaborazione Centro Studi Sintesi su dati Infocamere
I numeri delle donne imprenditrici artigiane
Analizzando le imprenditrici artigiane in base
al totale degli imprenditori per regione si evidenzia
come una carica imprenditoriale artigiana su cinque in Italia sia rappresentata dal genere femminile.
115
116
Quaderni di ricerca sull’artigianato
Viene superata la media italiana in tutte le
regioni del Centro delineando quindi una buona
specializzazione femminile di questi territori che ricordiamo essere Umbria (21,6%), Marche (21,3%),
Toscana (20,0%) e Lazio (18,8%). In queste regioni
sussistono evidentemente delle condizioni economiche e sociali che sembrano maggiormente favorire rispetto ad altre aree d’Italia l’insediamento di
sistemi produttivi condotti dalle donne. Tra le regioni che superano la media nazionale come presenza di imprenditrici si rilevano anche il Friuli Venezia
Giulia con il 20,4% di imprenditrici e l’Abruzzo con
il 21,5%.
Per quanto riguarda invece la dislocazione
relativamente all’intero territorio nazionale, le imprenditrici artigiane si concentrano maggiormente
nelle aree del Nord d’Italia, in special modo in Lombardia (18,6%), in Emilia Romagna (10,9%) e nel
Veneto (10,5%).
Anche nel 2008 si è registrato un incremento del mondo imprenditoriale artigiano al femminile
pari allo 0,8%, in particolare, gli incrementi maggiori si sono avuti in Calabria, Lazio e Puglia (al di sopra dei due punti percentuali), mentre nelle regioni
del Nord (dove vi è una presenza femminile più elevata) le variazioni sono state inferiori. In flessione
invece la presenza femminile in due dei territori a
maggiore incidenza di imprenditrici sul totale delle
cariche imprenditoriali: Umbria (-0,4%); Emilia Romagna (-0,6%).
COME LE DONNE IMPRENDITRICI AFFRONTANO LA CRISI
Imprenditrici artigiane di imprese attive per regione. Anno 2008
Imprenditrici artigiane
/ imprenditori artigiani
tot.
Distribuzione
sul territorio
Var. %
2007 /
2008
Abruzzo
21,5%
2,7%
0,3%
Basilicata
17,8%
0,7%
0,7%
Calabria
18,3%
2,2%
2,7%
Campania
17,9%
4,4%
0,1%
Emilia
Romagna
19,9%
10,9%
-0,6%
Friuli Venezia
Giulia
20,4%
2,3%
0,0%
Lazio
18,8%
6,2%
2,9%
Liguria
19,7%
3,2%
1,8%
Lombardia
19,1%
18,6%
0,5%
Marche
21,3%
4,2%
0,4%
Molise
19,1%
0,5%
1,1%
Piemonte
19,2%
9,3%
1,1%
Puglia
16,3%
4,2%
2,5%
Sardegna
19,3%
2,8%
0,9%
Sicilia
16,4%
4,6%
1,0%
Toscana
20,0%
8,7%
0,5%
Trentino Alto
Adige
18,4%
1,9%
1,0%
Umbria
21,6%
2,0%
-0,4%
Valle d’Aosta
17,8%
0,3%
0,9%
Veneto
19,3%
10,5%
0,5%
Totale
19,1%
100,0%
0,8%
Elaborazione Centro Studi Sintesi su dati Infocamere
È stato appena evidenziato come le imprenditrici siano a livello numerico maggiormente
presenti nel Nord, ma se rapportate al totale degli
imprenditori del territorio sono le regioni del Centro
ad avere una maggiore specializzazione imprendi-
117
118
Quaderni di ricerca sull’artigianato
toriale femminile.
Ma che tipologia di azienda conducono/gestiscono queste titolari di azienda? Nella maggior
parte dei casi (48,1%) si tratta di aziende legate
ai servizi alle persone o del settore manifatturiero
(34,7%). All’interno del comparto produttivo, il tessile, abbigliamento e concia è il settore più rappresentato dalle donne, con un’incidenza pari a
13,1%, ed una buona presenza si registra anche
nell’alimentare (9,8%).
Vi è poi una significativa presenza di imprenditrici anche nei servizi alle imprese (9,3%), mentre
nei rimanenti settori di attività economica le donne
risultano una ristretta minoranza.
A livello complessivo vi è un aumento delle titolari artigiane nell’ultimo anno pari allo 0,6%.
Considerando i differenti settori di attività economica la manifattura riporta una flessione in quasi tutti i
comparti, fatta eccezione per l’alimentare e bevande (+1,1%), crescono in maniera rilevante i servizi
alle imprese (+5%) ed anche i servizi alle persone
registrano un leggero progresso (+0,8%).
COME LE DONNE IMPRENDITRICI AFFRONTANO LA CRISI
Settori di attività delle titolari artigiane di imprese attive. Anno 2008
Imprenditrici
Incidenza %
Var. % 2007 /
2008
62.110
34,7%
-1,7%
Alimentari e bevande
17.531
9,8%
1,1%
Tessile, abbigliamento,
concia
23.452
13,1%
-2,5%
Legno
1.684
0,9%
-4,1%
Carta ed editoria
2.264
1,3%
-2,4%
Combustibili, prodotti
chimici, plastica
1.113
0,6%
-2,9%
Lavorazione minerali
2.514
1,4%
-5,1%
Lavorazione metalli
2.743
1,5%
-2,5%
772
0,4%
-4,2%
Apparecchi elettrici
e di precisione
2.725
1,5%
-4,2%
Mezzi di trasporto
261
0,1%
-1,9%
7.051
3,9%
-1,8%
Costruzioni
6.199
3,5%
11,8%
Riparazioni
3.091
1,7%
-2,7%
Trasporti
3.513
2,0%
-0,3%
Servizi alle imprese
16.631
9,3%
5,0%
Servizi alle persone
86.003
48,1%
0,8%
Servizi all’agricoltura
949
0,5%
0,5%
Altro
255
0,1%
26,9%
178.751
100,0%
0,6%
Manifattura
Apparecchi meccanici
Mobili e altre manifatture
Totale
Elaborazione Centro Studi Sintesi su dati Infocamere
Osservando l’incidenza delle donne rispetto
agli uomini in ciascun settore di attività economica,
si rileva come il rapporto tra uomini e donne nell’artigianato si differenzi anche consistentemente nei
diversi comparti. La specializzazione femminile si
conferma nelle attività legate ai servizi alle persone, in cui le donne titolari sono ben il 62,5% di tutti
119
120
Quaderni di ricerca sull’artigianato
i titolari artigiani, così come nel terziario rivolto alle
imprese e nella manifattura si rilevano significative
incidenze (rispettivamente 32,7% e 21,9%).
Titolari di imprese artigiane attive per genere e
settore economico. Anno 2008
Donne
1,2%
21,9%
3,7%
Uomini
3,8%
5,7%
32,7%
62,5%
Elaborazione Centro Studi Sintesi su dati Infocamere
14,1%
NUOVI SCENARI
NUOVI SCENARI
Nella presente sezione vengono presentati
due articoli distinti che trattano di innovazione e di
processi di crescita delle piccole e medie imprese. Il primo contributo esamina in una prospettiva
critica le ricadute dell’innovazione sulle qualifiche
e sui salari – in altri termini sui cosiddetti aspetti
qualitativi del lavoro – alla luce delle recenti interpretazioni avanzate nella letteratura economica.
Definire e misurare l’innovazione non è un compito
agevole perché essa può assumere forme diverse ma una cosa è tuttavia certa e cioè il fatto che
per innovare sono necessarie risorse, competenze,
capacità produttive e un’impresa, ovvero un’unità
organizzativa in grado di combinare questi fattori.
L’incidenza dell’innovazione sulla struttura assoluta e relativa delle qualifiche e dei salari costituisce
un tema tra i più antichi ed esplorati delle scienze
sociali, essendo stato oggetto sin dagli albori della scienza economica, di una profonda analisi e di
numerosi contributi teorici ed empirici.
Il secondo contributo pone la questione di
cosa significhi “crescita” per una piccola e media
impresa e di quali siano i principali ostacoli, proprio
attraverso l’analisi della letteratura e di alcuni dati
121
122
Quaderni di ricerca sull’artigianato
empirici con particolare attenzione al profilo culturale del problema. È del resto evidente come le PMI
rappresentino in Italia e in Europa una insostituibile risorsa, un fondamentale elemento catalizzatore
per il superamento della attuale crisi economica.