GB, Corbyn spacca il Labour

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GB, Corbyn spacca il Labour
GB, Corbyn spacca il Labour
Mercoledì 29 Luglio 2015 23:00
di Michele Paris
La competizione per la leadership laburista in Gran Bretagna, dopo la sconfitta patita alle urne
lo scorso mese di maggio, sta rapidamente gettando il partito in una grave crisi, provocata
principalmente dal gigantesco divario esistente tra gli orientamenti dei suoi vertici e quelli della
sua teorica base elettorale.
A scatenare una feroce polemica all’interno del “Labour” è stata la relativamente sorprendente
ascesa del candidato della sinistra del partito, Jeremy Corbyn, a tutt’oggi il favorito nella corsa
alla sostituzione di Ed Miliband. Il veterano deputato 66enne ha infatti superato nel gradimento
dei possibili elettori i vari aspiranti segretari di tendenze più moderate o apertamente schierati
con il “New Labour” e l’ex primo ministro, nonché potenziale criminale di guerra, Tony Blair.
Lo status di “front-runner” di Corbyn rappresenta una beffa per l’establishment laburista che
teme la sua elezione a segretario, visto che la sua candidatura era stata sponsorizzata all’ultimo
momento proprio da vari leader del partito contrari alle sue posizioni progressiste. Per un partito
spostatosi nettamente a destra negli ultimi anni e punito severamente alle urne, molti all’interno
di esso auspicavano la presenza di un candidato di “sinistra”, sia per dare l’impressione
dell’apertura del Labour a tutti gli orientamenti sia, soprattutto, per dimostrare l’esiguità di un
elettorato “radicale” in Gran Bretagna e giustificare perciò l’abbraccio delle politiche
neo-liberiste.
Questa scommessa sembrava però poter andare a buon fine solo in caso di una candidatura
debole di Corbyn e di un’inevitabile sonora sconfitta, come avevano agevolmente previsto i
leader moderati del partito. L’agenda di Corbyn, fatta di misure volte a invertire le politiche di
austerity degli ultimi governi laburisti e conservatori, ha al contrario suscitato una valanga di
consensi e un numero inaspettato di nuovi aderenti al partito, pronti a sostenere il candidato di
“sinistra” nelle prossime elezioni per la leadership.
A favorire il decollo della candidatura di Jeremy Corbyn è stata anche la modifica delle regole
per l’elezione del leader del partito. A differenza del passato, in questa occasione chiunque
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potrà partecipare al voto, a patto che sia disposto a donare tre sterline al Partito Laburista.
Decine di migliaia di persone hanno così aderito al Labour o si sono registrate come
“sostenitori” nelle ultime settimane, provocando non l’esultanza dei suoi leader ma suscitando
bensì un’angoscia diffusa.
Secondo i sondaggi pubblicati in questi giorni dai media britannici, Corbyn avrebbe un margine
sostanzioso sui suoi sfidanti, essendo attestato in media attorno al 40% dei consensi, contro
circa il 20% degli ex membri del governo di Gordon Brown, Yvette Cooper e Andy Burnham, e
poco più di un misero 10% della fedelissima di Tony Blair, Liz Kendall. Anche in un ipotetico
testa a testa con Burnham o Cooper, Corbyn risulterebbe al momento il candidato vincente.
Questi sviluppi hanno trasformato la sfida interna al Partito Laburista in una vera e propria
farsa. Svariati parlamentari laburisti hanno infatti manifestato reazioni tra il patetico e l’isteria,
denunciando le modalità con cui si dovrà tenere il voto per il leader del partito. Le nuove regole
avrebbero cioè consentito l’inflitrazione di elementi “socialisti” e “comunisti” che intendono
appoggiare Corbyn.
Per il deputato John Mann, il voto è a rischio sabotaggio per opera di individui di “estrema
sinistra” che si sono tradizionalmente opposti ai laburisti e che ora starebbero cercando
“espressamente di distruggere” il partito. Lo stesso Mann ha invitato la leader ad interim del
Labour, Harriet Harman, a controllare in maniera più scrupolosa il profilo dei nuovi aderenti al
partito, visto che la maggior parte di essi sembra sostenere la candidatura di Corbyn.
Per altri, addirittura, la competizione per la leadership del partito dovrebbe essere sospesa,
mentre il ministro-ombra per l’Energia, Caroline Flint, ha sostenuto che “a coloro che non
condividono gli obiettivi o i valori del Labour dovrebbe essere negato il diritto di voto nelle
elezioni” per il nuovo segretario.
Ancora, secondo il Daily Telegraph, se Corbyn dovesse diventare il prossimo segretario del
partito, importanti parlamentari laburisti starebbero già complottando per la sua deposizione,
subito dopo l’elezione, prevista per settembre, o “tra un anno o due”, verosimilmente in attesa
degli effetti di una campagna politica e di stampa che prenderebbe di mira fin da subito la sua
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leadership.
Simili denunce e minacce fanno seguito alle numerose dichiarazioni rilasciate settimana scorsa
da vari leader ed ex leader laburisti, tutti preoccupati per le possibili conseguenze di
un’eventuale svolta a sinistra del partito in caso di elezione di Jeremy Corbyn. Liz Kendall e
Yvette Cooper avevano ad esempio affermato di non essere disposte a prendere parte al
governo-ombra sotto la leadership di Corbyn, prospettando secondo molti l’ipotesi di una futura
scissione nel partito.
Anche Tony Blair, senza apparente imbarazzo, era intervenuto nel dibattito, esaltando i presunti
successi nel passato del New Labour e mettendo in guardia dai pericoli che comporta
l’adozione da parte del partito di una “vecchia piattaforma di sinistra”.
In generale, i leader laburisti che si oppongono a Corbyn e i giornali che sostengono il partito
sono impegnati a spiegare come l’unico percorso per tornare al governo passi attraverso un
ulteriore spostamento a destra. Il ritorno a politiche anche solo vagamente di ispirazione
progressista assesterebbe invece un colpo mortale al Labour, destinandolo all’irrilevanza
politica per decenni. Secondo questa interpretazione, la sconfitta del Partito Laburista alle
elezioni di maggio sarebbe stata appunto causata dalle posizioni troppo a sinistra dell’ormai ex
leader, Ed Miliband.
La candidatura di un politico non particolarmente radicale e che promuove più che altro
iniziative tipiche delle socialdemocrazie europee del recente passato è bastata dunque a
smascherare la vera natura del Partito Laburista odierno e la profonda crisi in cui versa.
Incapace da tempo di formulare una proposta politica alternativa che vada incontro alla
diffusissima richiesta tra lavoratori e classe media di invertire le devastanti politiche anti-sociali
dei conservatori - e degli stessi precedenti governi laburisti di Brown e Blair - il Labour rischia di
implodere di fronte alla sola prospettiva di una leadership teoricamente disposta a fare una
reale opposizione nel Parlamento britannico.
La popolarità di Jeremy Corbyn - al di là delle sue reali intenzioni e dell’effettiva disponibilità a
sfidare l’establishment del partito - testimonia come un’ampia fetta della popolazione britannica
sia attestata su posizioni molto più progressiste, se non “radicali”, di quanto ritengano o
vogliano far credere i politici laburisti. Questi ultimi vivono in una realtà parallela a quella della
maggioranza dei loro connazionali e i rapporti che li legano ai poteri forti della società
impediscono loro di comprendere o ammettere come i presunti punti deboli di Corbyn siano i
motivi stessi del suo inaspettato successo.
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