Egitto-Essere copto in Egitto

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Egitto-Essere copto in Egitto
Essere copto in Egitto
Essere copti in Egitto significa percepire fin da piccoli di essere diversi, quando esci di classe per l’ora di religione, sotto
gli sguardi curiosi e attoniti dei tuoi piccoli colleghi, e te ne vai in un’altra stanza con un pugno di studenti copti come
te. Da quel momento preferirai stare con gli altri scolari copti e cercherai rifugio nella loro compagnia perché nessuno
prenda in giro la tua fede o ti tratti male.
Essere copti in Egitto significa che molti non amano la tua religione e non la professano. Basta che tu pronunci il tuo
nome, da cui si capisce la tua religione, per suscitare reazioni spesso negative che oscillano tra la freddezza e l’odio
aperto.
Essere copto in Egitto significa che sei un elemento accessorio, marginale, superfluo, guardato con sospetto:
raramente qualcuno s’interesserà ai tuoi diritti e alla tua dignità. Significa che sarai costretto a studiare e lavorare
durante le tue festività religiose perché lo Stato, per gettare un po’ di fumo negli occhi, ti riconosce una sola festa
durante l’anno come vacanza ufficiale. Tutte le altre per lo Stato sono giorni normali, a cui non accorda importanza
particolare. Ti ricordi quante volte nel giorno di festa sei andato a una conferenza importante o a una riunione di
lavoro. Quante volte i tuoi figli hanno visto rovinata la gioia della festa da un esame fissato per quel giorno!
Essere copto in Egitto significa impegnarsi al massimo nello studio pur sapendo che spesso non otterrai il voto più alto,
anche se ti spetterebbe. Durante gli esami orali all’università il docente, non appena leggerà il tuo nome copto, si
scurirà in volto e ti darà un voto più basso dei tuoi compagni.
E anche se avrai i voti più alti, l’amministrazione dell’università s’inventerà qualcosa per impedirti di fare l’assistente,
perché sei copto. Quelli che ti priveranno del tuo diritto di fare l’assistente per lo più sono praticanti che seguono i
precetti della loro religione; semplicemente ti considerano un miscredente che non può godere dei loro stessi diritti.
Essere copto in Egitto significa prepararsi a emigrare a ogni istante. Devi scegliere i nomi dei tuoi figli e il loro percorso
di studio in modo che si armonizzi con il Paese dove forse sarai costretto a emigrare, nel caso di aggressioni da parte
degli estremisti.
Essere copto in Egitto significa che non occuperai mai le cariche più alte nello Stato. Per quanto capace tu sia, non
sarai mai Presidente della Repubblica o Primo Ministro o Capo di Stato maggiore o Direttore dei Servizi Segreti.
Perché? Perché sei copto e alcuni uomini della fede maggioritaria considerano che Dio abbia interdetto la tua nomina
alle cariche più alte e anche perché lo Stato in Egitto, a dirla tutta, non si fida totalmente di te. Ai suoi occhi sei un
traditore potenziale che in qualsiasi momento potrebbe entrare in contatto con i nemici, perché i nemici hanno la tua
stessa religione.
Essere copto in Egitto significa penare molto prima di poter costruire una chiesa in cui praticare la tua religione. A
impedirti di costruire le chiese ci penseranno lo Stato e gli estremisti. Lo Stato facendo delle leggi vessatorie che
rendono difficilissimo costruire le chiese e impediscono di rinnovarne o restaurarne qualsiasi parte (fossero anche i
servizi igienici), se non dopo aver ricevuto numerose autorizzazioni da parte delle autorità. Aggiungici che gli
estremisti in Egitto considerano ogni costruzione di chiesa un attentato aperto alla loro religione e alla loro dignità. Non
appena comincerai a costruire la chiesa, centinaia di estremisti si precipiteranno ad attaccarla, bruceranno l’edificio e
prenderanno di mira te, la tua famiglia e i tuoi figli, maledicendoli come infedeli. Tutto questo avverrà perché vuoi
costruire un luogo dove adorare Dio. I poliziotti li lasceranno fare quello che vogliono, poi arriveranno tardi, per
stendere un verbale quando gli autori del reato se ne saranno già scappati.
Essere copto in Egitto significa che in qualsiasi momento sei a rischio espulsione dal quartiere in cui abiti. Basta che gli
estremisti ti mandino una minaccia di morte dandoti un giorno o due di tempo per andartene. Allora dovrai prendere la
tua famiglia e i tuoi figli e lasciare la tua casa per trasferirti altrove. E se andrai a chiedere aiuto alla polizia, ti diranno
che ti consigliano di lasciare per un po’ casa tua. «Sinceramente, non siamo in grado di proteggerti».
Essere copto in Egitto significa che sei sempre a rischio strage. Mentre stai manifestando per i tuoi diritti uscendo dalla
chiesa insieme ai tuoi correligionari, resterai stupito alla vista dei carri armati dell’esercito. Poi gli estremisti
piomberanno su di voi e vi uccideranno. Oppure un commerciante avrà da ridire con un suo cliente nel quartiere in cui
abiti e siccome uno dei due è copto, la questione si trasformerà immediatamente da disputa commerciale a guerra
religiosa. Allora gli estremisti attaccheranno le case dei copti e le bruceranno e forse vi ammazzeranno. Come al solito
i poliziotti arriveranno tardi e arresteranno alcuni aggressori, ma per quanti siano i morti copti, gli assassini
riceveranno miti condanne o saranno assolti. Se sei un copto in Egitto e la cattiva stella vuole che abiti in un villaggio o
in uno slum, è più che sufficiente che un vicino si fermi sotto la finestra e si metta a urlare: «Questo infedele offende
la nostra religione su Facebook». Questa frase sarà il segnale per i tuoi vicini estremisti che circonderanno la casa e
aggrediranno te e la tua famiglia scandendo slogan religiosi. Tutto questo accadrà malgrado tu non abbia attaccato la
loro religione su Facebook; del resto molti di quelli che ti aggrediscono non hanno la minima idea di che cosa sia
Facebook. Dopo ogni nuova strage i responsabili dello Stato verranno a coprire il sangue delle vittime innocenti con
belle parole e baci d’amore. Diranno che le indagini faranno il loro corso e che i criminali non sfuggiranno alla giustizia.
Poi dichiareranno che questo doloroso incidente non potrà mai incrinare l’unità nazionale e che i copti vivono in Egitto
in totale sicurezza e armonia.
Essere copto in Egitto significa abituarsi a sentire offese alla propria religione per ogni dove, alla televisione, in strada,
in metropolitana. Vedrai uomini della religione maggioritaria dichiarare che la tua fede copta è errore e miscredenza e
mettere in guardia i loro seguaci dall’avere a che fare con te, dal mescolarsi con la tua famiglia o dall’augurare la
misericordia divina sui tuoi morti: la Misericordia non è lecita su di voi copti perché siete destinati inesorabilmente
all’Inferno, «qual tristo destino». Anzi, vieteranno ai loro seguaci di farti gli auguri per le tue festività religiose perché
questi auguri sarebbero un riconoscimento implicito da parte loro della tua religione, la quale invece è miscredenza
evidente.
Essere copto in Egitto significa vedere un estremista che fa a pezzi il tuo Libro Sacro davanti alle telecamere e che
esorta uno dei suoi nipoti a urinarci sopra. Tu devi accettare queste offese pubbliche. L’estremista infatti sarà rilasciato
dopo un processo-formalità. I suoi sostenitori si raduneranno fuori dal tribunale per riversare sulla tua religione ancora
più scherno e insulti. In Egitto chiunque ha il diritto di attaccare la tua religione, perché sei copto. Ma se tu critichi la
religione della maggioranza, sarai immediatamente arrestato e gettato in prigione per lunghi anni con l’accusa di
offesa alle religioni. In quel momento scoprirai che in Egitto con offese alle religioni s’intendono unicamente quelle
rivolte contro la religione della maggioranza. Quelle contro la religione minoritaria invece sono totalmente ammesse:
chiunque può denigrarla o schernirla o fare a pezzi il suo Libro Sacro senza nessun problema.
Essere copto in Egitto t’impone di domandare la religione di una ragazza prima di innamorarti di lei, perché la tua
storia d’amore non finisca in tragedia. Se ami una ragazza non della tua religione, migliaia di estremisti
considereranno il tuo amore come un attentato fisico al loro onore, che solo il sangue può lavare. Questi estremisti
attaccheranno la tua casa e le case dei copti nel quartiere e le bruceranno, ti picchieranno e forse ti ammazzeranno.
Tutto questo perché hai osato amare una ragazza della loro religione, anche se loro non conoscono la tua ragazza,
anche se non gliene importa niente di lei e anche se in condizioni normali, incontrandola per strada, potrebbero farla
oggetto di molestie sessuali. Ma tu sei un copto miscredente e non ti sarà mai lecito profanare una ragazza della loro
religione.
Essere copto in Egitto t’impedirà di esprimere le tue convinzioni religiose nei luoghi pubblici. Salendo sulla
metropolitana troverai molti passeggeri che leggono il loro Libro Sacro a voce molto alta. Ma se tu proverai a fare la
stessa cosa, troverai che i passeggeri insorgeranno contro di te e ti picchieranno. Troverai che gli altri giurano in nome
delle cose sacre della loro religione, ma se tu provi a giurare nel nome del tuo dio, quanti ti ascoltano s’infastidiranno e
t’impediranno di giurare. Basterà una parola, «dammi retta». Troverai che gli altri mettono ovunque i loro simboli
religiosi, automobili, terrazze, ingressi delle case, ascensori, ma se tu metti i tuoi simboli religiosi come fanno loro,
sarai avvolto da sguardi di odio e riprovazione.
Essere copti in Egitto significa vedere un settore di cittadini domandare l’applicazione a te della loro legge religiosa; se
ti opporrai cercando di fargli capire che tu hai un’altra religione e che perciò non è ragionevole che applichino a te la
Legge di una religione in cui non credi, ti ribatteranno: «L’ Egitto è il nostro Paese e applicheremo la nostra Legge. Se
non ti piace, vattene in un altro Paese».
Se sei copto in Egitto, devi accettare che la libertà di credo sia a senso unico. Se un cittadino copto si converte alla
religione della maggioranza, lo Stato si congratula con lui, se ne rallegra e gli spiana la strada. Ma se capita il contrario
e un cittadino si converte alla fede della minoranza, deve fuggire all’estero con la massima rapidità perché se restasse
in Egitto potrebbe essere ammazzato dagli estremisti in applicazione di quello che essi considerano un obbligo
religioso.
Ma da ultimo: se sei un copto in Egitto, ti prego, non lasciarti sopraffare dal dolore per tutte queste ingiustizie, non
odiare il tuo Paese e non abbandonarlo.
Ricordati com’era bello e tollerante il nostro Paese, l’ Egitto, prima di essere invaso dalle idee estremiste sostenute dai
petrodollari. Ricordati che noi in Egitto abbiamo sempre vissuto insieme, insieme abbiamo mangiato e bevuto;
abbiamo attraversato gli istanti di felicità e i momenti difficili e abbiamo difeso la Patria con le nostre vite e con il
sangue. Ricordati che per ogni estremista ci sono dieci persone tolleranti che sono cresciute nel rispetto delle fedi degli
altri; anche loro soffrono delle aggressioni degli estremisti, esattamente come te. Non emigrare dall’ Egitto che ti ama.
Restaci e difendilo. Rimani al tuo posto e metti la tua mano nella nostra per liberare il nostro Paese civilizzato dal
tribalismo estremista e barbarico che sta cercando d’impadronirsene.
Alā al-Aswānī, «Masrî al-Yôm», 8 gennaio 2013
La denuncia del Papa copto
«La giustizia celeste dirà la sua parola al momento opportuno». Così ha commentato Tawadros II, Papa
della Chiesa copta ortodossa, in merito agli ultimi sanguinosi eventi che hanno scosso l’Egitto.
E per la prima volta, in un’intervista alla televisione ONtv ha denunciato la negligenza colpevole del
presidente: «Vogliamo fatti, non solo parole. Il presidente Morsi ha promesso di fare qualsiasi cosa per
proteggere la cattedrale, ma in realtà ciò non è mai avvenuto». Alla proposta del governo di promuovere
una commissione per affrontare la questione, il Papa ha risposto «Di gruppi, commissioni ne abbiamo
abbastanza. Abbiamo bisogno di azioni, non di parole».
Tutto è cominciato venerdì scorso nella località di al-Khusus, a nord del Cairo, con alcuni graffiti tracciati
sui muri della sede di un istituto affiliato ad al-Azhar. Ben presto la violenza ha assunto una natura
settaria, lasciando sul terreno cinque morti, un musulmano e quattro copti.
Ma il fatto più grave dal punto di vista simbolico è avvenuto durante il funerale dei copti, la domenica
successiva, quando ad essere attaccata è stata la cattedrale di San Marco ad Abbasiyya, quartiere
semicentrale del Cairo. Nonostante gli appelli alla calma e la promessa da parte del presidente Morsi di
misure di sicurezza straordinarie, i fedeli riuniti per il funerale sono stati presi di mira con lanci di pietre e
due persone sono rimaste uccise. Un’azione gravissima, perché portata contro un luogo di preghiera che
è anche la residenza del Papa di Alessandria.
Le dichiarazioni delle autorità hanno ripetuto il consueto ritornello, che si compone di tre elementi. Prima
di tutto, si tratta di un complotto. Quella della congiura infatti è oggi la categoria che molti egiziani
preferiscono per leggere i fatti: qualsiasi avvenimento, per definizione, non è mai quello che sembra, e
responsabile ne è sempre la parte avversa. Vale la pena allora ricordare che anche nell’attentato della
Chiesa dei Due Santi nel Capodanno copto del 2011 furono invocate «mani straniere», che poi si
rivelarono essere, più prosaicamente, agenti provocatori dell’allora ministro degli interni. Secondo
elemento: la violenza non riuscirà a scuotere l’unità nazionale.
È vero, tanti in Egitto sono di questo avviso. Ed wahda, “una mano sola”, è stato uno degli slogan della
rivoluzione e continua ad essere ripetuto. Ma l’unità nazionale presuppone il principio di cittadinanza e
non una Costituzione che sembra fatta apposta per dividere. Terzo elemento: è inaccettabile l’attacco ai
luoghi di culto. Sì, senza dubbio. Ecco perché diventa ancora più urgente rispondere a una domanda
molto semplice: dov’erano le forze di sicurezza in tutta questa vicenda?
In questi ultimi mesi (si pensi agli scontri di Port Said) è apparso più volte evidente che, se la
responsabilità più grande ricade su chi è al Governo e comanda sulle forze dell’ordine, né gli islamisti né i
liberali hanno il controllo reale della situazione, per altro già profondamente segnata da una crisi
economica gravissima, con continui tagli dell’elettricità, mancanza di beni di prima necessità e scioperi
che paralizzano il Paese.
Anche se non mancano segni di collaborazione tra musulmani e cristiani, come la manifestazione
organizzata insieme il giorno dopo l’attacco alla cattedrale sta a dimostrare, la violenza settaria si va
mostrando sempre più esplosiva e pericolosa.