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CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA
23 marzo 2010 ROMA
Bozza provvisoria
LA RAPPRESENTAZIONE MASS-MEDIATICA DELLA GIUSTIZIA
Edmondo Bruti Liberati
Procuratore della Repubblica aggiunto
Milano
Sommario
1.L’INFORMAZIONE SULLA GIUSTIZIA
1.1.Giustizia:pubblicità contro segreto
1.2.La pubblicità immediata
1.3. La pubblicità mediata.
1.4. Processo e riprese televisive
1.5. La spettacolarizzazione ed il processo parallelo
1.6 Dal processo parallelo alla docu-fiction sui processi
1.7 La delibera AGCOM 31 gennaio 2008
1.8. Rispetto della persona e presunzione di innocenza
2.L’ INTERVENTO DEI MAGISTRATI NEI MEZZI DI COMUNICAZIONE
2.1 Un decalogo made in Usa
2.2 Riforma dell’ordinamento giudiziario. L’ufficio stampa nelle procure
2.3 Normativa disciplinare
2.4 Principi costituzionali e regole deontologiche
2.5 Intervento dei magistrati e mezzi di comunicazione. Considerazioni conclusive
1.L’INFORMAZIONE SULLA GIUSTIZIA
1.1.Giustizia: pubblicità contro segreto
“Pubblici siano i giudizi e pubbliche le prove del reato” scriveva Beccaria e
sottolineava che il segreto è “il più forte scudo della tirannia” Nella tradizione
inquisitoria si ricerca e si accerta la Verità fuori del contraddittorio e fuori del controllo
pubblico. La pubblicità non ha la funzione di controllo, ma di messaggio sociale sulla
esemplarità della pena e della pronunzia della condanna. Per questo l’istruttoria è
rigorosamente segreta mentre la condanna a morte o a pena corporale è eseguita in
pubblico.
La storia della evoluzione democratica del processo penale, ci ha ricordato Glauco
Giostra, è quella della lotta contro il segreto in favore della pubblicità. Nella tradizione
accusatoria vige all’opposto il principio del contraddittorio e della pubblicità, estesa
anche alla fase delle indagini, con limitate eccezioni. “Free press and fair trial”.
Il principio è quello della libertà di informazione e della valenza democratica della
informazione sulla giustizia: “l’ordinaria amministrazione della giustizia civile e penale
1
contribuisce più di ogni altra circostanza ad indurre nella coscienza del popolo
affezione, stima e reverenza” (Alexandre Hamilton, The federalist papers).
Sul tema della informazione sulla giustizia, in vista di un rafforzamento della
fiducia nelle istituzioni della democrazia in Italia non vi mai stata sufficiente attenzione.
Al contrario in altre situazioni è oggetto di grande attenzione: si pensi alla dovizia di
informazioni che si traggono dai siti internet dei Ministeri della giustizia e degli altri
soggetti istituzionali che operano nel circuito giudiziario ( Consigli della magistratura,
Scuole della magistratura). Il Consiglio d’Europa, particolarmente impegnato negli
ultimi venti anni nel supporto alla costruzione delle istituzioni democratiche nei paesi
dell’ Est europeo ha dedicato al tema “Giustizia e mezzi di comunicazione” la seconda
Conferenza europea dei giudici ( Cracovia aprile 2005) : nel documento conclusivo si
sottolinea che la trasparenza del sistema giudiziario e la informazione sul
funzionamento della giustizia contribuisce ad rinsaldare la fiducia dei cittadini nella
giustizia. Il Consiglio Canadese della magistratura ha pubblicato nel settembre1999 un
documento su “Ruolo della magistratura in materia di informazione pubblica”, che si
conclude con una serie di proposte pratiche. 1
Nella tradizione americana insieme alla libera informazione sulla giustizia Free
press ci si preoccupa anche della tutela del principio del fair trial, soprattutto in un
processo in cui è centrale il ruolo della giuria popolare.
Dopo questa premessa sul ruolo della pubblicità dei processi, occorre passare ad
una analisi dei problemi posti dalla informazione sul processo penale. Vi è, al riguardo
deve avere un punto di orientamento, una stella polare: in democrazia la pubblicità
del processo ha la funzione di controllo della pubblica opinione sull’esercizio del
potere giurisdizionale che non conosce forme di responsabilità politica ,pur
assumendo un crescente rilievo nella vita della collettività.2
Il crescente rilievo della giustizia nella vita della collettività che Pulitanò coglieva
già trentacinque anni addietro con riferimento alla situazione italiano è successivamente
divenuto un fenomeno globale e di accentuata intensità al punto che il filosofo francese
Philippe Raynaud, lo ritiene "uno dei fatti politici più importanti di questa fine del XX
secolo" 3
Robert Badinter, Ministro della giustizia francese dal 1981 al 1986 e
successivamente fino al 1994 Presidente del Conseil constitutionnel ha utilizzato
l'espressione "democrazia giurisdizionale". Antoin Garapon ha di recente svolto una
acuta analisi sulla "giuridizionalizzazione della vita collettiva"4 Nell'introduzione al
poderoso volume dal titolo "The global expansion of judicial power" i curatori C.Neal
Tate e Torbjorn Vallinder sostengono che il fenomeno della judicialization of politics "
nel bene e nel male sembra essere o avviarsi a divenire una delle tendenze più
significative delle istituzioni tra la fine del XX° e l'inizio del XXI° secolo. Essa merita
1
Il documento si trova in http://www.cje-ccm.gc.ca sito bilingue ( inglese-francese del Consiglio
Canadese della magistratura
2
D. Pulitanò, Potere di informazione e giustizia. Per un controllo democratico sulle istituzioni, in
Giustizia e informazione, Bari, Laterza, 1975, p 137 ss
3
La rivista International political science review aveva dedicato il vol.15 n.2. aprile 1994 al tema "the
judicialisation of politics: a wordl-wide phenomenon; di qualche anno precedente il volume Judicial
activisme in Comparative perspective, ed. Kenneth Holland, London, Macmillan, 1991 La rivista
International political science review aveva dedicato il vol.15 n.2. aprile 1994 al tema "the judicialisation
of politics: a wordl-wide phenomenon; di qualche anno precedente il volume Judicial activisme in
Comparative perspective, ed. Kenneth Holland, London, Macmillan, 1991
4
A. Garapon, La question du juge, in Pouvoirs, Les Juges, Paris, Seuil, n. 74, 1995, p.16 ss
2
attenta descrizione, analisi e valutazione" 5 Si tratta di un'opera particolarmente
interessante per le analisi di studiosi di paesi dalle tradizioni diverse, spesso con accenti
critici verso il fenomeno che descrivono, e soprattutto per il forte contributo di
impostazione e di ricostruzione sistematica offerto dai curatori.
«La tendenza verso la giurisdizionalizzazione della società si accompagna,
paradossalmente, ad un atteggiamento di crescente sfiducia nei confronti dei giudici. È
una questione fondamentale di legittimità»
Il rilievo crescente della giustizia nella società ha reso più vivo il problema della
responsabilità dei giudici. La sottolineatura del profilo responsabilità/controllo viene
vista come contrappeso al maggiore rilievo assunto dal potere giudiziario.
Non è questa la sede per affrontare il tema del diverse forme di responsabilità del
magistrato; qui interessa, per riprendere le parole di Pulitanò il tema del “controllo
della pubblica opinione sull’esercizio del potere giurisdizionale che non conosce (e
aggiungo io non deve conoscere) forme di responsabilità politica.
Il tema della pubblicità del processo è stato tradizionalmente affrontato con
riferimento al fase del dibattimento. Oggi la informazione sulla giustizia è anche, ed
anzi sempre più informazione e dunque anche informazione/controllo sulla fase delle
indagini. Ma prima di affrontare i problemi specifici posti dalle diverse fase del
processo. È utile richiamare le categorie tradizionali, in origine calibrate sul momento
conclusivo del dibattimento.
Nella dottrina italiana si usa distinguere tra pubblicità immediata, che consiste
nella tradizionale presenza fisica del pubblico alla udienza, e pubblicità mediata, che
porta a conoscenza di un numero indeterminato di persone lo svolgimento del processo
attraverso i mezzi di comunicazione di massa ( stampa, radio, televisione)
6
1.2.La pubblicità immediata
La pubblicità immediata è la forma tradizionale di pubblicità e, a mio avviso,
rimane di centrale attualità: “ è stata un baluardo contro l’esercizio dell’arbitrio in via
giurisdizionale…. ; la battaglia per il processo pubblico è stata, e in parte resta la
battaglia contro un esoterismo processuale volto non già al migliore conseguimento
della giustizia, ma a sottrarre l’ingiustizia dallo sguardo della collettività”7 Da
sottolineare la osservazione di Giostra sull’esoterismo processuale, che oggi può
assumere una nuova valenza . Vi sono casi nei quali si verifica la distorsione: alcuna
delle parti ( più spesso la difesa, ma talora anche il pm) più che rivolgersi al giudice,
nella logica del processo, usano la tribuna del processo per appellarsi direttamente alla
pubblica opinione. Ma nella normalità dei casi è l’esoterismo che prevale.
Molti progressi devono esser fatti in Italia per combattere il tecnicismo superfluo
ed inutile dei giudici e del Pm e degli stessi avvocati, atto più quando il processo
coinvolga soggetti che non parlano l’italiano e comunque provengono da altre culture.
Avoid Legalise ammoniscono gli americani; l’esigenza di farsi comprendere è ora
accentuata dall’irrompere nella società del fenomeno dell’immigrazione di massa. Nel
processo sempre più vi sono imputati, vittime e testimoni che parlano altre lingue e
5
(C.N.Tate e T.Vallinder, The global expansion of judicial power: the judicialization of politics, capitolo
1. in The global expansion of judicial power, a cura di C.N.Tate e T.Vallinder, New York, N.Y.
University Press, 1995, p.5.)
6
(P. MARTENS, Réflexions sur le maniérisme judiciaire, in Rev. trim. dr. h, 2002, p.
343
7
G.Giostra, Processo penale e informazione,Milano,1989 p.13
3
provengono da altre tradizioni; oltre alle strette garanzie processuali sulle traduzioni
occorre farsi carico della “comprensione” del senso globale del processo .
Nella disciplina processuale il principio della pubblicità del dibattimento soffre
limitatissime eccezioni. L’udienza a porte chiuse prevista dall’art. 472 cpp,
essenzialmente a tutela del buon costume e del segreto di stato, nella pratica costituisce
un caso del tutto eccezionale. Piuttosto l’evoluzione è nel senso di tutelare la privacy di
testimoni in ordine a fatti che non sono oggetto dell’imputazione e soprattutto di tutelare
la dignità delle vittime di reati di violenza sessuale, in particolare minorenni, ma anche
maggiorenni. Una modifica del 1998 del cpp ha disposto inoltre che “In tali
procedimenti non sono ammesse domande sulla vita privata o sulla sessualità della
persona offesa se non sono necessarie alle ricostruzione del fatto” (art.472 co. 3 bis
cpp); l’esame dei testimoni minorenni può esser svolto con modalità particolari (vetro a
specchio) che consentano al minore di vedere senza essere visto (art. 498 co.4; per
l’incidente probatorio vedi art. 398 co.5 bis cpp). Ulteriori norme sono state introdotte
per consentire l’esame dei collaboratori di giustizia in teleconferenza o comunque, nel
caso di cambio delle generalità, in modo da evitare che il volto della persona sia visibile
dal pubblico.
Le limitazioni alla pubblicità introdotte da queste recenti modifiche si pongono in
una prospettiva diversa da quella tradizionale e sono ispirate alla esigenza di garantire la
genuinità nella assunzione delle prove, ovvero di tutelare la dignità o la stessa sicurezza
delle persone.
Una disciplina specifica è dettata per il giudizio abbreviato dall’art.441 co.3 cpp:
“il giudizio abbreviato si svolge in camera di consiglio; il giudice dispone che il
giudizio si svolga in pubblica udienza quando ne fanno richiesta tutti gli imputati”. Di
norma gli imputati non chiedono la pubblicità, essendo proprio la “riservatezza” ,
unitamente alal riduzione di pena, uno dei vantaggi principali del rito.
1.3. La pubblicità mediata.
Si intende per pubblicità mediata quella che porta a conoscenza di un numero
indeterminato di persone lo svolgimento del processo attraverso i mezzi di
comunicazione di massa ( stampa, radio, televisione). Sembra un fenomeno nuovo, ma
esiste da sempre, quello che cambia è solo il mezzo di comunicazione: araldo,
cantastorie, manoscritti, testi a stampa, giornali, radio, foto, Tv Internet. Anche le
deviazioni esistono da tempo: pensiamo alla spettacolarizzazione operata dai
cantastorie, al sensazionalismo della cronaca nera nei giornali dell’800.
In questa sede affronto il tema della pubblicità mediata non sotto il profilo della
disciplina giuridica del segreto nella fase delle indagini preliminari, ma dal punto di
vista delle modalità della comunicazione. E’ naturale dunque che uno spazio rilevante
sia riservato alla comunicazione televisiva
A proposito dei processi in Tv si è parlato di “gogna elettronica”, ma la “gogna”
storicamente esistita non era meno pesante e neppure il sensazionalismo della cronaca
nera dei giornali.
Il processo a O.J Simpons nel World Almanac 1996 entra nelle Top Ten News
Stories: ma un caso simile, ad es. un vincitore di Olimpia che avesse ucciso la moglie,
avrebbe avuto una enorme pubblicità mediata in ogni tempo. Il mezzo di comunicazione
sarebbe stato allora la storia orale, magari raccolta e messa in poesia da un Omero.
La novità della Tv e soprattutto di Internet consisterebbe nella “incontrollabile
diffusività “ del mezzo. La Corte di assise di Perugia con ordinanza del 11 aprile 1996
ha vietato la diffusione tramite internet degli atti processuali a causa della
4
“incontrollabile diffusività con quel mezzo degli atti del processo”. Una decisione in
senso opposto, sempre in un processo a carico di Andreotti è stata presa dal Tribunale di
Palermo. Ma la “incontrollabile diffusività” è proprio la caratteristica essenziale della
libertà di espressione, di cronaca, della libera diffusione della stampa.
Nella tradizione americana il ruolo dei mezzi di informazione, il quarto potere, è
visto come quello di “guardiano” degli altri poteri. In uno scritto del 1904 Joseph
Pulitzer paragonava il giornalista alla vedetta sul ponte della nave dello Stato, qualcuno
che “scruta attraverso la nebbia e la tempesta per dare l’allarme sui pericoli che si
profilano”8 Non ci sono vie di mezzo: come ammonisce Thomas Jefferson “La nostra
libertà dipende dalla libertà di stampa e questa non può essere limitata senza essere
perduta”.
Esiste però un punto vista alternativo. E’ l’opinione di chi ritiene che è “un falso
e un pregiudizio” l’idea “che la conoscenza sia un bene quanto più è diffusa … In
fondo Bellarmino che cosa rimproverava a Galileo? Non di aver scoperto delle verità
scientifiche, ma di aver usato mezzi di grande diffusione: perché queste cose non le hai
scritte in latino, come le scrivevano gli scienziati e invece le hai scritte in italiano così
che le possono leggere tutti?”9
Ma tralasciando queste opinioni, una questione è più interessante: la rivoluzione
della TV forse non è stata superiore alla rivoluzione di Gutemberg della stampa a
caratteri mobili. Tutti conoscono le conseguenze nell’ambito della religione. Ma mi
sembra interessante citare una osservazione di Toussaint, un avvocato e giornalista
belga: ”Nei primi cinquant’anni, l’epoca degli incunaboli, si è assistito ad una caduta
vertiginosa della qualità dei testi editi. I romanzi di cavalleria, che erano per l’epoca il
corrispondente dei libri da stazione ferroviaria, trionfarono al posto di opere di grande
cultura”.Gli aspetti di novità sono dunque forse meno radicali di quanto appaia a prima
vista.
Occorre dunque affrontare i problemi posti dalle nuove tecniche di
comunicazione con riferimenti a valori perenni come la tutela della dignità della
persona e a questioni più nuove come la Tv spettacolo ( docu-fiction) ed il processo
parallelo.
Forse per la Tv nel processo occorrerebbe adottare le avvertenze usuali per
gli oggetti fragili o pericolosi “Maneggiare con cautela” ma non mi spingerei fino
alla scritta dei pacchetti di sigarette “Nuoce gravemente alla salute”.Ma prima di
affrontare i rischi occorre sottolineare gli aspetti positivi:
- Controllo e informazione sul funzionamento della giustizia in generale e sui singoli
casi giudiziari. Gli insabbiamenti divengono più difficili. Il controllo è diretto e non
filtrato da verità ufficiali. La visioni di processi “veri” e di “imputati veri” costringe
ad una attenzione meno distorta di quella dei film americani. Un esempio clamoroso
delle conseguenze negative della mancanza di una informazione critica è stato in
Francia il caso cd. di Outreau, una indagine per fatti di pedofilia, che si è svolta in
un clima di indignazione popolare e che ha condotto la Corte di Assise di Appello di
Parigi a riformare in radice la sentenza di primo grado, in pratica distruggendo
l’ipotesi accusatoria
- Controllo/ informazione sulle regole del processo. Un grande spazio viene preso
dalla accusa pubblica, dal pm, ma per la prima volta, almeno nei casi famosi, la
difesa ha un spazio notevole e una possibilità di replica in tempo reale. La disputa
innocentisti/colpevolisti esisteva già sui giornali; ora il contatto diretto con il
processo introduce anche il tema delle garanzie del processo e dei limiti di prova
8
9
Citato in R. Brancoli, Il risveglio del guardiano, Milano, Garzanti,1994
Gianfranco Miglio citato da Glauco Giostra, Op. cit
5
-
Controllo/informazione sugli attori professionali del processo, giudici, pm e
avvocati. Il loro comportamento è oggetto di analisi dal punto di vista della capacità
professionale ed anche della deontologia. La Tv mette a nudo la arroganza di certi
Pm, la capacità o incapacità dei giudici di dirigere il processo, la competenza o la
vacuità degli avvocati. La Tv stimola i chierici ad essere comprensibili.
1.4. Processo e riprese televisive
Per quanto riguarda la fase dibattimentale la questione è stata disciplinata con il
nuovo codice di procedura penale.
Art. 146 disp att. Riprese audiovisive dei dibattimenti
“1. Ai fini dell’esercizio del diritto di cronaca, il giudice con ordinanza, se le parti lo
consentono, può autorizzare in tutto o in parte la ripresa fotografica, fonografica o
audiovisiva ovvero la trasmissione radiofonica o televisiva del dibattimento purché non
ne derivi un pregiudizio al sereno e regolare svolgimento dell’udienza o della
decisione.
2. L’autorizzazione può essere data anche senza il consenso delle parti quando sussiste
un interesse sociale particolarmente rilevante alla conoscenza del dibattimento.
3. Anche quando autorizza la ripresa o la trasmissione a norma dei commi 1 e 2, il
presidente vieta la ripresa delle immagini di parti, testimoni, periti, consulenti tecnici,
interpreti e di ogni altro soggetto che deve essere presente se i medesimi non vi
consentono o la legge ne fa divieto.
4. Non possono in ogni caso essere autorizzate le riprese o la trasmissione dei
dibattimenti che si svolgono a porte chiuse a norma dell’art. 147 co. 1, 2 e 4 del
codice.”
La norma del codice lascia ampia discrezionalità al giudice nel bilanciamento
dei valori in gioco: diritto di cronaca/diritto alla riservatezza, in particolare dei terzi. Ma
forse è più giusto dire che il valore da bilanciare con il diritto di cronaca è
essenzialmente il “ sereno e regolare svolgimento del processo” che comprende la
tutela della dignità della persona. Inoltre il valore della pubblicità del processo non
deve sacrificare, al di la del necessario la riservatezza dei soggetti che intervengono nel
processo.
Il codice distingue per così dire:
- processi ordinari , nei quali per le riprese Tv è necessario il consenso delle parti
- processi in cui vi è un “interesse sociale particolarmente rilevante alla conoscenza
del dibattimento”. In questo caso il consenso delle parti non è indispensabile.
Tuttavia il consenso è sempre necessario per la ripresa delle immagini delle persone,
La casistica, per la quale rinvio alla analisi di E. Valentini , Le riprese audiovisive
del dibattimento, è alquanto articolata. Vi è una tendenza più restrittiva, motivata dal
rischio del condizionamento psicologico di testimoni, periti, consulenti tecnici, parti
private. Si va dal divieto assoluto, alla limitazione alla sole riprese fotografiche o
radiofoniche , con esclusione della TV, a limiti di spazi e di tempi ( esempio solo le fasi
iniziali e finali del dibattimento, ripresa TV non in diretta , ma in differita) Ci si è posti
anche la questione dell’eventuale condizionamento dei giudici popolari delle Corti di
Assise. Il tema è stato approfonditamente studiato, anche attraverso indagini empiriche
con interviste, da un magistrato Luigi Lanza, che vanta una lunga esperienza quale
presidente di Carte di Assise; mutando un precedente indirizzo Lanza è arrivato a
concludere che questo rischio non è significativo.
Una disciplina specifica, come si è già ricordato è dettata per il giudizio
abbreviato dall’art.441 co.3 cpp: “il giudizio abbreviato si svolge in camera di
consiglio; il giudice dispone che il giudizio si svolga in pubblica udienza quando ne
6
fanno richiesta tutti gli imputati”. Se di norma gli imputati non hanno intereresse alla
pubblicità, l’opposto si verifico nel processo di appello per il cd caso Cogne. L’imputata
chiese che il giudizio dinnanzi alla Corte di Assise di appello di Torino si svolgesse in
udienza pubblica; il presidente, risulta dal verbale della udienza, dispose in conformità,
ma con separata ordinanza ritenne che la disciplina dell’art. 147 cpp non si applicasse ai
giudizi abbreviati, neppure nel caso in cui le udienze, a richiesta dell’imputato fossero
pubbliche, poiché la norma citata nella rubrica “ Riprese audiovisive dei dibattimenti” e
nei commi 1 .2 si riferiva espressamente ai “dibattimenti”
Negli Usa le riprese TV non sono consentite nelle Corti Federali, ma sono
ammesse nella quasi totalità delle Corti statali. Court Tv dal 1991 trasmette via cavo e
pagamento solo processi. Usa camere fisse, con trasmissione integrale “gavel to gavel” i
presentatori sono giornalisti avvocati; se la trasmissione è in diretta vi è comunque un
ritardo di dieci secondi per evitare di trasmettere informazioni relative all’indirizzo dei
testimoni, ai nomi dei giurati e alle conversazioni tra il difensore ed i clienti. Sul sito
internet di Court Tv si trova inoltre dibattito culturale sulla giustizia, ad es, sulla pena di
morte. 10
Nel dibattito Usa di solito si indicano gli aspetti positivi delle riprese Tv sotto due
aspetti:
- controllo della attività dei giudici
- diffusione della conoscenza sul sistema legale nel suo funzionamento pratico.
Molti sottolineano che dipende dalla capacità del giudice dirigere il dibattimento e
controllare l’effetto Tv e il processo O.J Simpson è citato come esempio negativo.
Peraltro si afferma che di fronte ad un caso importante a poco varrebbe tenere le Tv
fuori della sala della corte perché il caso avrebbe comunque una copertura TV con
riprese davanti ai palazzi di giustizia con un assedio alle case delle vittime e dei
testimoni.
Altri autori insistono soprattutto nel segnalare gli elementi negativi dei programmi
televisivi detti di Reality show, tra cui il francese Temoin n. 1, che è stato un precursore
in Europa.11
In Italia uno ruolo importante ha avuto il programma di Roberta Petrelluzzi “Un
giorno in pretura”. Riporto dal sito internet la pagina di domenica 21.3.2010:
“Un Giorno in Pretura è una delle trasmissioni storiche di Rai Tre. Dal 18 gennaio del
1988 inizia il suo lungo percorso sulla terza rete nazionale. Da semplice funzione di
controllo sull'andamento della giustizia, il programma si trasforma in un grande
affresco della realtà italiana. Le aule giudiziarie vengono coperte a 360 gradi dalle
telecamere che ripropongono, senza commento, i numerosi processi tenutisi nelle corti
di giustizia italiane.
E’ la realtà ad essere protagonista: ogni processo è infatti una storia individuale che
ha come personaggi principali vittime e imputati. Alle immagini registrate nell`aula
della Corte d`Assise, che costituiscono il corpo centrale della trasmissione, vengono
affiancate ricostruzioni filmate dei fatti e contributi audiovisivi inediti e
particolarmente suggestivi realizzati da reparti specializzati di Polizia e Carabinieri.
Un Giorno in Pretura conta, nel corso degli anni, innumerevoli i processi "epocali"
Tra i tanti occorre ricordare quello a Erich Priebke per l'eccidio delle Fosse Ardeatine
e ed il processo nodale dell'era Tangentopoli, quello a Sergio Cusani, senza
dimenticare le pagine più cupe della cronaca nera nazionale come i processi relativi
10
Peraltro nel 2008 Time Warner ha acquisto il controllo di Court Tv, che ha mutato la denominazione in
truTV e modificato la programmazione riducendo le ore di programmazione di riprese di processi ed
aumentando quelle di fiction
11
Una critica molto forte è condotta da Chantal Anciaux , La justice: Un bon objet de desir mediatique,
nella rivista Juger,n. 8-10,1995
7
alle vicende del Mostro di Firenze, ai sequestri Celadon e Soffiantini all'omicidio di
Marta Russo e al serial killer delle Liguria Donato Bilancia.”
La trasmissione “Un Giorno in Pretura”, che è sopravvissuta alla scomparsa della
Pretura, è stata oggetto nel corso degli anni di numerose analisi e commenti. In
particolare Aldo Grasso ha segnalato sia il limite di “obbiettività” perché pur sempre
“la trasmissione di un processo in televisione non è il resoconto fedele di un processo,
ma la sua spettacolarizzazione” sia il rischio che “le telecamere stimolassero soprattutto
la vanità di pretori, avvocati ed esibizionisti vari”.
Pur condividendo tali osservazioni e pur rilevando il progressivo scivolamento
verso la spettacolarizzazione, la mia valutazione di questo programma è nel complesso
positiva. E’ stata per un lungo periodo iniziale dal 1988 al 1992 un programma, l’unico,
di informazione non tanto sui singoli processi, quanto sul funzionamento complessivo
della giustizia, una informazione che il pubblico italiano traeva pressoché
esclusivamente dai telefilm e dai film americani. Ed inoltre. E’ vero che, soprattutto
all’inizio, gli “attori” si preparavano: aule d’udienza in ordine, toghe ben stirate,
scambio di cortesie; ma progressivamente, gli “ attori” si sono rilassati e sono apparsi
nella loro veste quotidiana, anche negli aspetti negativi. Dalla autrice Roberta
Petrelluzzi mi è stata fatta pervenire quattro anni fa la cassetta della trasmissione di un
processo in cui il giudice, del tutto incurante della presenza delle telecamere, mostrava
tutto un campionario di ciò che non si dovrebbe fare ed essere, approssimazione,
arroganza, mancato rispetto della dignità degli imputati.
1.5. La spettacolarizzazione ed il processo parallelo
La spettacolarizzazione mette in crisi la logica del processo, lo spazio ed il tempo
del processo, il rituale del processo fino a proporre un vero e proprio “processo
parallelo”. Un magistrato francese,Antoine Garapon già diversi anni addietro, ha
proposto un approccio fortemente critico che merita riflessione.12
“I media, soprattutto la televisione … pretendono di offrire una rappresentazione più
fedele della realtà di quanto non la offrano le finzioni procedurali. I media risvegliano il
sogno della democrazia diretta, il sogno di un accesso alla verità liberata di ogni
mediazione procedurale.”13
Si esige la VERITA’. “La dimensione convenzionale della verità giudiziaria
diviene insopportabile” 14La Tv ha un pretesa di obbiettività, che pure tralascia le scelte
soggettive della ripresa e del montaggio. Si verifica la rottura della logica e dei tempi
del processo.
I mezzi di comunicazione ed i procedimenti giudiziari hanno logiche e tempi
diversi. Vi sono diverse fasi nel processo: dalla indagine preliminare al processo di
primo grado alla decisione definitiva. Come ha sottolineato un giudice belga “la
giustizia è un’opera complessa. Ha bisogno di tempi, di formalismo, di regole di prova”
(Foulek Ringelheim). Il processo è un strumento delicato. Occorre distinguere la
desacralizzazione che è apertura al controllo e alla critica, dalla delegittimazione.
Il modello processo parallelo assume un aspetto particolare nei casi di processi a
carico di uomini politici. Il processo parallelo è gestito dagli imputati esponenti politici
e dai loro avvocati. Deliberatamente faccio riferimento ad un caso non italiano.
12
A. Garapon, Le gardien des promesses. Justice et démocratie,Parigi, 1996. Trad it. I custodi dei diritti.
Giustizia e democrazia, Milano, Feltrinelli,1997 in particolare pp. 59 ss
13
Ivi p. 59
14
Ivi p.70
8
Prendendo spunto dal processo sul caso degli elicotteri italiani Agusta, che ha visto
inquisiti tre ministeri del Belgio, un magistrato belga ha esaminato la vicenda sotto il
profilo del processo parallelo15 Il punto di partenza è “Homo politicus delinquere non
potest”. Tutto è una congiura mediatico-giudiziaria, ma la replica è gestita tutta sui
mezzi di comunicazione di massa, piuttosto che nel processo. I Ministri, attorniati dai
loro avvocati comunicano ai telespettatori gli elementi dell’indagine, contestano le
testimonianze forniscono alibi, etc. “La scena giudiziaria è trasferita dal Palazzo di
giustizia al parlamento. Agendo in questo modo gli uomini politici non contribuiscono
né alla serenità che essi esigono dalla giustizia, né al rafforzamento delle istituzioni
democratiche. Reclamano, a buon diritto, il beneficio del segreto istruttorio e della
presunzione di innocenza. Ma essi stessi non rispettano il primo e assoggettano la
seconda al plebiscito dei telespettatori. Eludono l’istanza della giustizia per esercitare i
sortilegi della democrazia diretta. Mentre rivendicano lo statuto di cittadini come gli
altri, difendono la loro causa davanti al tribunale del popolo sovrano. …”
1.6 Dal processo parallelo alla docu-fiction sui processi
Uno studioso che ha dedicato grande attenzione al processo mediatico, Glauco
Giostra, ha osservato che “Il rapporto tra processo penale è media è solitamente inteso
nel senso di ‘informazione sul processo’. […] Ma c’è anche una degenerazione di tale
rapporto: dalla informazione sul processo si passa al processo celebrato sui mezzi di
informazione. […] La pericolosissima idea, sottesa a questo favor per il processo
celebrato sui mezzi di informazione, è che il miglior giudice sia l’opinione pubblica”16
La primogenitura, nella televisione italiana, del genere del “processo parallelo”
spetta in modo incontrovertibile a Bruno Vespa, con la trasmissione “Porta a porta”, che
già aveva conquistato la palma di “terza camera”.
Il caso Cogne è stato oggetto di innumerevoli puntate di Porta a Porta. Aldo
Grasso ( Corriere della sera 30 novembre 2005) riferendo della puntata del 28 novembre
2005, che aveva raggiunto il record stagionale di ascolti, osservava che “l’innocenza o
meno di Annamaria Franzoni è solo il tappeto su cui si scontrano i membri della
‘compagnia di giro’ allestita da Vespa. Dopo un po’ l’orrore dell’infanticidio stinge e si
confonde nel colore dei maglioncini di Crepet […], nel nero di ordinanza della Matone,
nella barba incolta di Bruno. […] La ricerca della verità ha oggi un limite pratico in
più:l’audience”. E se l’audience che comanda, non stupisce che altri, come Maurizio
Costanzo vadano ad insidiare Vespa sul tema Cogne.
La vicenda si ripete con il delitto di Garlasco; riprendo ancora dai commenti su
Corriere della Sera di Aldo Grasso: “Quest’anno va in onda il “Garlasco show”. “Dove
vola l’avvoltoio? Avvoltoio vola via, vola via dalla testa mia..” Quando nel dopoguerra
Italo Calvino scrisse questa canzone conosceva il male del mondo, ma non aveva mai
potuto assistere a una puntata di “Porta a porta” o di “Matrix” o di altre trasmissioni
televisive. Su cui, da un po’ di tempo, volano volentieri gli avvoltoi.”
Ed ancora il delitto di Erba; cito sempre da Aldo Grasso: ”Ormai non c’è più
distinzione fra realtà e rappresentazione, fra processo vero e processo istruito nei
tribunali di “Porta a Porta” o di “Matrix” o di qualche altra località televisiva.[…]
Plastici, docu-fiction, inchieste, enigmi, ricostruzioni, ore e ore di Tv…”.
15
Foulek Ringelheim, La justice saisie par l’audiovisuel, Juger,n. 8-10. 1995 p. 4-16.
G. Giostra, Media e giustizia. Il pericolo di un sovrapposizione. Le suggestioni del processo mediatico,
Il Riformista, 12 dicembre 2007 p.6.
16
9
Con le trasmissioni di Matrix su Erba è stato insidiato il primato, per me in
negativo, fino ad allora detenuto da “Porta a Porta”: si è passati decisamente al genere
della docu-fiction, con verbali di intercettazioni recitati da attori. Ma poiché la gara al
peggio è sempre aperta ecco Santoro che con Anno Zero si spinge oltre e la docu-fiction
si espande con la messa in scena di interi verbali di dichiarazioni recitati da attori, il
tutto sotto gli occhi di una nuova sua , direbbe Aldo Grasso, “compagnia di giro”.
Il metodo della docu-fiction si coniuga con quello dello story-telling:non si tratta
più di dare un contributo critico alla ricostruzione di un fatto, attraverso una esposizione
razionale, ma di raccontare una storia.17
1.7 La delibera AGCOM 31 gennaio 2008
La deliberazione n. 13/08/Csm del 31 gennaio 2008 della Autorità per le garanzie
nelle comunicazioni è intitolata “atto di indirizzo sulle corrette modalità di
rappresentazione dei procedimenti giudiziari”. Il testo, di grandissimo interesse, affronta
tutte le questioni principali ,indica delle linee di condotta del tutto condivisibili. Il
problema è che la realtà quotidiana delle trasmissioni televisive si incarica di smentire
radicalmente le indicazioni dell’Agcom: la effettività di queste regole è vicina allo zero.
Ma vediamo più in dettaglio. Dopo aver richiamato la necessità della pluralità dei
punti di vista ( su cui già si era espresso il precedente Atto di indirizzo del 11 marzo
2003) si precisa che con riferimento ai procedimenti giudiziari in corso “ l’obbligatorio
confronto tra le diverse tesi dovrà essere garantito da soggetti diversi dalle parti che
sono coinvolte e che si confrontano nel processo”. Il testo è poi articolato su una
motivazione ( Considerato…) sviluppata in nove punti che precede i due articoli
conclusivi.
Ripercorriamo i punti essenziali:
1.Si rileva che alcuni programmi creano un ‘foro mediatico’ alternativo alla sede
naturale del processo. “In tal modo la televisione rischia seriamente di sovrapporsi alla
funzione della giustizia, […] con il concreto rischio di precostituire presso l’opinione
pubblica un preciso giudizio sul caso concreto, basato su una ‘verità virtuale’ che può
influire, se non prevalere, sulla ‘verità’ processuale, destinata per sua natura ad
emergere solo da una laboriosa verifica che richiese tempi più lunghi”
2. “La tecnica della spettacolarizzazione dei processi, che le trasmissioni televisive
utilizzano a fini di audience, […] presenta il rischio della degenerazione della
trasmissione in una sorta di ‘gogna mediatica’, a scapito della presunzione di
innocenza”.
3.”Il livello di civiltà di uno Stato si misura innanzitutto dal rispetto per la giustizia. E
da un sistema giudiziario indipendente ed efficiente. […] La cronaca può indubbiamente
riferire del processo, ma non può spingersi a crearne un surrogato. […] Non è pertanto
ammissibile […] che il ruolo di giudici, accusatori e difensori sia svolto da giornalisti o
conduttori televisivi o, comunque, da soggetti estranei, senza quelle garanzie che nella
cultura giuridica del Paese rappresentano un caposaldo dello Stato di diritto.
5.”Né è da escludere o da sottovalutare il pericolo che una siffatta rappresentazione
‘mediatica’ del processo […] possa influenzare indebitamente il regolare e sereno
esercizio della funzione di giustizia. […] Si rischia di mettere a repentaglio
l’indipendenza psicologica del giudicante ( anch’essa valore costituzionalmente
rilevante) facendo risentire la pressione di un processo di piazza dei nostri tempi sul
processo nella sede giudiziale. […] Per altro verso, un’attenzione sproporzionata ad un
17
Sulla teoria dello story-telling con riferimento al processo civile adversarial ( ma lo stesso vale per il
processo penale) si vedano le brillanti osservazioni di M.Taruffo, La semplice verità.
10
certo “caso” può determinare una “personalizzazione” delle indagini che competono al
giudice, esponendo così il singolo magistrato a tentazioni di protagonismo mediatico
(oltre che a rischi personali) e sottoponendolo ad una sovra-pressione che può mettere a
repentaglio la correttezza delle dinamiche di funzionamento del processo”
7.” Omologo al diritto di cronaca è il principio della pubblicità delle udienze,
immediatamente riconducibile al disposto dell’art. 101 della Costituzione: in un sistema
democratico che garantisce la sovranità popolare e nel quale la giustizia è amministrata
in nome del popolo devono esistere meccanismi di controllo sui modi di esercizio della
giurisdizione”
8.”Nell’ordinamento della comunicazione i principi rappresentati dalla libertà di
espressione, di opinione e di ricevere e comunicare informazioni- comprensivi certo
anche del diritto di cronaca, costituzionalmente garantito - devono pur sempre conciliasi
con il rispetto delle libertà e dei diritti e in particolar della dignità della persona; ne
discende che a tale rispetto non è possibile derogare neanche nel caso in cui la persona
sia sottoposta a procedimento giudiziario o sia stata condannata con sentenza definitiva”
Passando alla parte dispositiva l’art. 1 sintetizza, dalla parte motiva i principi e i
criteri la cui osservanza sono tenuti a garantire “le emittenti radiotelevisive pubbliche e
private, nazionali e locali e i fornitori di contenuti televisivi”. L’art. 2 invita le emittenti
di cui sopra a redigere un codice di autoregolamentazione , per la elaborazione del quale
sarà istituto un apposito “tavolo tecnico”.
1.8. Rispetto della persona e presunzione di innocenza
A conclusione di questa rassegna sui problemi posti dalla informazione sulla
giustizia ritengo sia utile richiamare alcuni punti di orientamento
- Rispetto della dignità della persona. Anche se la Tv non è presente, anche nei
processi di criminalità comune, anche nei confronti degli imputati dei crimini più
gravi
- Rispetto/educazione alla presunzione di innocenza.Tenere conto dei tempi, delle fasi
del processo e delle regole di prova. Ma nello stesso tempo distinguere tra
responsabilità penale da un lato e dall’altro responsabilità politica e responsabilità
deontologica
- Deontologia e professionalità del giornalista. Il dovere del giornalista è di fornire
notizie e informazioni senza tener conto di valutazioni estranee di opportunità.
Nessuna censura o autocensura, ma nel fornire la notizia anche per il giornalista vi
è il rispetto della dignità della persona
11
2. L’ INTERVENTO DEI MAGISTRATI NEI MEZZI DI COMUNICAZIONE
2.1 Un decalogo made in Usa
Un approccio realistico sul tema è proposto dall’opuscolo Media Guide
pubblicato la prima volta nel 1944 a cura di National Association for Court
Managment, National Center for State Courts, Williamsburg, Virginia.
Ho provato a trarne una specie di decalogo ( ripreso in articolo su Corriere della sera
del 31 ottobre 2007) che parte dalla premessa Be Honest and Clear
1. Sii sincero. Dì la verità oppure taci
2. Non dire nulla che non vorresti vedere il giorno dopo sui titoli dei giornali
3. Non dire ciò che non vuoi sia riportato
4. Non dire mai “no comment”
5. Non farti ingannare dal “off the records”. E’ una cosa che non esiste
6. Parla in un italiano chiaro ed evita il “giudichese” ( nel testo originario Avoid
legalise)
7. Pensa prima a quello che vuoi dire e preparati a rispondere alla domande prevedibili
8. Tieni conto dei tempi di chiusura dei giornali
9. Stabilisci le regole e i tempi dell’intervista in anticipo
10. Comportati come se un giornalista fosse sempre presente ogni volta che parli in
pubblico
A mio avviso il monito non è “ magistrati tacete”, ma piuttosto “ magistrati non dite
sciocchezze”, “dite cose appropriate, nel contesto corretto, in modo argomentato e
comprensibile, con la consapevolezza delle regole del mezzo utilizzato, con fermezza
nei contenuti, con senso di misura nella forma e sempre con rispetto della dignità delle
persone”.
Ma vediamo più in dettaglio i problemi posti dall’intervento dei magistrati nella
informazione sulla giustizia.
2.2 Riforma dell’ordinamento giudiziario. L’ufficio stampa nelle procure
Nuovi problemi si aprono ora con la approvazione, in attuazione della Legge
delega n. 150/2005 sulla riforma dell’ordinamento giudiziario, dei decreti legislativi
20 febbraio 2006,n.106, sulla organizzazione delle procure e del D.Lgs 23 febbraio
2006 n.109, a sua volta modificato, in molti punti significativi dalla l. 24 ottobre 2006, n
269 sugli illeciti disciplinari dei magistrati.
L’art 5 del Dlsg 106/2006, nell’ambito di una organizzazione delle procure
ispirata ad un rafforzamento del principio gerarchico, disciplina i rapporti dell’Ufficio
del Pm con gli organi di informazione:
“Art.5 Rapporti con gli organi di informazione
1.Il procuratore della Repubblica mantiene personalmente, ovvero tramite un
magistrato dell’ufficio appositamente delegato, i rapporti con gli organi di
informazione
2.Ogni informazione inerente alle attività della procura della Repubblica deve essere
fornita attribuendola in modo impersonale all’ufficio ed escludendo ogni riferimento ai
magistrati assegnatari del procedimento.
3. E’ fatto divieto ai magistrati della procura della repubblica di rilasciar dichiarazioni
o fornire notizie agli organi di informazione circa la attività giudiziaria dell’ufficio.
12
4. Il procuratore della Repubblica ha l’obbligo di segnalare al consiglio giudiziario,
per l’esercizio del potere di vigilanza e di sollecitazione dell’azione disciplinae, le
condotte dei magistrati del suo ufficio che siano in contrasto col divieto fissato al
comma 3 .”
Ispirata ad una condivisibile esigenza di contrastare il “protagonismo” di taluni
Pm, la nuova disciplina legislativa si concreta in un irrealistico, burocratico rigorismo.
Il Csm con la deliberazione del 10 settembre 2008, ha risposto al quesito di un
Procuratore della Repubblica di un ufficio di grandi dimensioni, il quale rilevava che
“una informazione veicolata attraverso canali centralizzati rischia di ingenerare,
seppur involontariamente, distorsioni conoscitive, pregiudizi ingiustificati in danno di
soggetti coinvolti, allarmismi ed inappropriate emotività. …] Una sola fonte, sia essa il
procuratore capo o un solo magistrato a ciò delegato, anche qualora fosse distolta da
ogni altro incombente, non potrebbe far fronte con precisione e completezza ad una tale
ampia richiesta (di tempestive notizie), nei tempi brucianti della comunicazione mass
mediatica. Il risultato sarebbe insoddisfacente e rischierebbe di frustrare ogni
ambizione alla trasparenza delle fonti e dei canali informativi e favorire un repentino
ritorno alle prassi comportamentali che la norma vorrebbe superare.”
La analisi del procuratore è puntuale ed impietosa. La risposta del Csm,
indubbiamente in difficoltà di fronte alla formulazione stringente dell’art. 5 citato, si
limita a ritenere compatibile con il precetto normativo la delega, anche in via
permanente, in favore dei (soli) Procuratori aggiunti, nelle materie di loro rispettiva
competenza. Il Csm aggiunge che “non appare, invece compatibile con lo spirito e la
lettera della norma la possibilità di prevedere la partecipazione alle conferenze stampa
del magistrato titolare del procedimento, quando questi sia diverso dal procuratore
capo o dal procuratore aggiunto all’uopo delegato”, pur concedendo che “il
magistrato titolare delle indagini collabori nella preparazione della conferenza stampa,
fornendo elementi informativi.” Forse il Csm, stretto dal dettato normativo non poteva
andare oltre questa deludente risposta, ma l’ultimo accenno lascia francamente
perplessi: prima di chiedersi chi debba partecipare alle conferenze stampa forse ci si
sarebbe dovuti interrogare in radice sulla opportunità del modello più diffuso di tali
conferenze, quelle che di solito si tengono, secondo una scenografia ormai collaudata,
insieme alle forze di polizia.
Da più parti e da tempo è stato sottolineato che la burocratizzazione dei canali di
comunicazione delle notizie attraverso uffici- stampa è inutile e spesso
controproducente. 18 L’esperienza infatti insegna che la comunicazione, nella realtà
pratica, passa inevitabilmente attraverso il magistrato che ha la responsabilità
dell’indagine, che ne conosce tutti risvolti e dunque può valutare il contenuto ed il
livello delle informazioni che possono essere comunicate , nelle diverse fasi delle
indagini ; che alcune delle dichiarazioni più discusse sono state fornite proprio da capi
degli uffici, i quali magari erano spinti dal desiderio di mettere in luce il lavoro
dell’ufficio, ma spesso non tenevano in conto tutti gli elementi del caso, per non dire
che dal virus del protagonismo non sono esenti neppure i procuratori capo.
Il proposito che ispira il comma 2 dell’art. 5 citato, quello di evitare la
pubblicazione dei nomi dei magistrati è del tutto fuori della realtà possibile in un
mondo di libertà di informazione, ove indiscutibilmente il nome ( ma anche non la
foto, più o meno in posa) del magistrato che svolge le indagini è un pezzo di
informazione rilevante.
Il comma 3, norma di chiusura rispetto al principio di cui al comma 1, stabilisce
un divieto formulato in termini così generali con il riferimento alla “attività giudiziaria
18
Cfr al riguardo G. Giostra, Fa discutere la proposta di istituire uffici stampa presso le Procure della
repubblica, in Diritto penale e processo, 1999,n.3,p.138
13
dell’ufficio” da prospettare un dubbio di costituzionalità con riguardo alla liberta di
manifestazione del pensiero dei magistrati.
A me sembra di condividere pienamente le preoccupazione del procuratore che
ha formulato il quesito al Csm nel senso che questa disciplina rischia di “di frustrare
ogni ambizione alla trasparenza delle fonti e dei canali informativi e favorire un
repentino ritorno alle prassi comportamentali che la norma vorrebbe superare.”
Una giornalista americana, Carol Ivy, in un suo articolo dal titolo “When a
Reporter Calls, Don’t Hang Up” 19, partendo dalla premessa che nel mondo attuale “No
comunicazione” non è più tra le opzioni possibili, detta alcune regole pratiche , che in
parte coincidono con quelle di “Media Guide” sopra ricordate. La questione è dunque
“Quale comunicazione”. Eallora l’A. fornisce alcune indicazioni pratiche. Se voi non
fornite alcuna informazione i giornalisti scriveranno o manderanno in onda le loro
“storie”, indipendentemente da voi. L’intervista è una ottima occasione per informare il
pubblico sul funzionamento della giustizia, ma ricordate che un’intervista non è una
conversazione a ruota libera. Essa richiede accurata preparazione “Birds and planes can,
in most instances, fly, We can’t”.
La comunicazione dunque è ineludible, ma non si improvvisa; molto opportunamente il
Csm ha di recente proposto dei corsi di comunicazione diretti ai capi degli uffici. Su
questa via ci aveva preceduto da tempo la Enm , scuola della magistratura francese,
che due anni addietro ha fatto un passo ulteriore organizzando nella sede di Bordeaux,
quella ove si svolge il tirocinio iniziale un corso di comunicazione diretto agli uditori. Il
corso si è svolto , dopo la distribuzione agli uditori di un fascicolo di un caso reale, con
la simulazione di interviste rese dai portavoce di ciascun gruppo a giornalisti della
carta stampata, di radio e TV e si è concluso con una discussione finale in plenaria,
coordinata da un magistrato italiano.
2.3 Normativa disciplinare
Il tema dei rapporti con gli organi di informazione è oggetto di numerose
disposizioni del D.Lgs 23 febbraio 2006 n.109, a sua volta modificato, in molti punti
significativi dalla l. 24 ottobre 2006, n 269 sugli illeciti disciplinari dei magistrati.
Riporto di seguito le norme rilevanti sul tema.
“Art.1 Doveri del magistrato
1.Il magistrato esercita le funzioni attribuitegli con imparzialità, correttezza, diligenza,
laboriosità, riserbo, equilibrio e rispetta la dignità della persona nell’esercizio delle
funzioni
Art. 2 Illeciti disciplinari nell’esercizio delle funzioni
1. Costituiscono illeciti disciplinari nell’esercizio delle funzioni :
[…]
v) pubbliche dichiarazioni o interviste che riguardino i soggetti coinvolti negli affari
in corso di trattazione ovvero trattati e non definiti con provvedimento non soggetto ad
impugnazione ordinaria, quando sono dirette a ledere indebitamente i diritti altrui e la
violazione dell’art. 5 comma 2 del d. lgs 20 febbraio 2006 n. 10620
[…]
aa) il sollecitare la pubblicità di notizie attinenti alla propria attività di ufficio ovvero il
costituire e utilizzare canali informativi personali riservati o privilegiati.”
19
California Courts Review, Summer 2006, p.23
Riporto di nuovo l’art. 5 comma 2 D lgs 106/2006: 2.Ogni informazione inerente alle attività della
procura della Repubblica deve essere fornita attribuendola in modo impersonale all’ufficio ed
escludendo ogni riferimento ai magistrati assegnatari del procedimento.
20
14
Va subito notato che con la l.269/2006 è stata abrogata la lettera z):” il tenere
rapporti in relazione alla attività del proprio ufficio con gli organi di informazione al di
fuori delle modalità previste dal decreto legislativo emanato in attuazione della delega
di cui agli articoli 1, comma 1 lettera d) e 2 comma 4 della legge 25 luglio 2005,
n.150.” Non è dunque disciplinarmente sanzionata la violazione delle disposizioni di
cui all’art. 5 del Dlsg 106/2006, relativo alla organizzazione delle procure. Segnalo
ancora che la lettera aa) riprende pressoché testualmente una formulazione contenuta
nell’art. 6 del Codice etico dell’Anm, con tutti i problemi che si aprono a proposito della
distinzione tra deontologia in senso stretto e disciplina.
2.4 Principi costituzionali e regole deontologiche
I magistrati debbono poter godere in quanto cittadini della piena libertà di
manifestazione del pensiero. E’ del tutto naturale che intervengano nel dibattito sul
funzionamento della giustizia e sulle proposte di riforma. Sembra davvero ipocrita la
regola tradizionale che ammetteva gli interventi dei magistrati a condizione che fossero
del tutto privi di risonanza ( articoli sulle riviste giuridiche) e di efficacia. E se si
ammette la legittimità dell’intervento, non si può sindacare il contenuto ritenendo leciti
l’adesione alla tradizione, alla giurisprudenza prevalente e l’ossequio al governo o alle
proposte della maggioranza parlamentare, poiché la ragione della libertà di opinione è
proprio nella tutela delle opinioni dissenzienti.
Richiamo alcune vicende disciplinari, recenti e meno recenti, in tema di libertà di
espressione dei magistrati.
Dante Troisi, giovane giudice a Cassino pubblico nel 1955 il Diario di un giudice,
che ebbe un grande successo e che fu recensito molto favorevolmente da Piero
Calamandrei, ma ciò non gli evito un procedimento disciplinare per avere
“compromesso il prestigio dell’ordine giudiziario in alcuni episodi narrati
rappresentando la funzione del giudice come un mestiere esercitato senza idealità e
senza alcun senso di responsabilità”. Nonostante la appassionata difesa di Alessandro
Galante Garrone la Corte disciplinare di Roma con sentenza 22 novembre 19578
inflisse a Troisi la sanzione della censura. La Corte motivò la mitezza della sanzione
con la speranza che l’incolpato eviterà per il futuro di porre in divulgazione opere che
compromettano il prestigio della magistratura.
Nel 1950 viene sanzionato disciplinarmente il giudice De Fina Tribunale Trento
per un articolo pubblicato su Foro Italiano, nel quale dissentiva da una interpretazione
della Cassazione.
Negli anni più recenti in diverse occasioni il Csm si è pronunciato su dichiarazioni
di magistrati; si segnalano in particolare Sezione Disc Csm sentenza 18.6.1999 di
assoluzione Gherardo Colombo e Sezione Disc Csm sentenza 22.5. 1998 di assoluzione
di Francesco Greco ( in entrambi i casi l’azione disciplinare era stata promossa dal
Ministro Flick).
Il caso Troisi ( come quello De Fina) risalgono ad epoca precedente la entrata in
funzione del Csm. In materia di liberata di manifestazione del pensiero dei magistrati la
giurisprudenza della sezione disciplinare del Csm si è da tempo assestata sul principio
del favor libertatis . Ma questa, a mio avviso correttissima, linea giurisprudenziale a
livello disciplinare, lascia interamente aperto il tema a livello deontologico. Non tutto
ciò che è disciplinarmente lecito, è deontologicamente corretto e comunque opportuno.
15
2.5 Intervento dei magistrati e mezzi di comunicazione. Considerazioni conclusive
In un quadro di rigorosa tutela della libertà, costituzionalmente garantita, di
manifestazione del pensiero, per il magistrato assume un rilievo decisivo la deontologia.
La Associazione nazionale di magistrati italiani ha adottato nel 1994 un “Codice
etico” di cui riportiamo l’art. 6.:
“ Rapporti con la stampa e con gli altri mezzi di comunicazione di massa.
Nei contatti con la stampa e con gli altri mezzi di comunicazione il magistrato non
sollecita la pubblicità di notizie attinenti alla propria attività di ufficio.
Quando non è tenuto al segreto o alla riservatezza su informazioni conosciute per
ragioni del suo ufficio e ritiene di dover fornire notizie sull’attività giudiziaria, al fine
di garantire la corretta informazione dei cittadini e l’esercizio del diritto di cronaca,
ovvero di tutelare l’onore e la reputazione dei cittadini, evita la costituzione o
l’utilizzazione di canali informativi personali riservati o privilegiati.
Fermo il principio di piena libertà di manifestazione del pensiero, il magistrato si ispira
a criteri di equilibrio e misura nel rilasciare dichiarazioni ed interviste ai giornali e
agli altri mezzi di comunicazione di massa. “
Faccio subito rilevare l’approccio dell’Anm. Sul tema delicato delle dichiarazioni
che riguardano casi che il magistrato sta trattando, il Codice etico, piuttosto che
proporre un divieto assoluto, irrealistico e spesso ingiustificato, sottolinea come in
alcuni casi l’informazione sia addirittura doverosa e si preoccupa di dettare piuttosto
alcune regole di comportamento.
Già sopra si è detto della, per più versi discutibile, nuova normativa disciplinare
( e sugli uffici stampa). Ma ora ci poniamo a livello di regole deontologiche 21, dove
non vi sono sanzioni formali, ma dovrebbe operare una sanzione informale, ma non
meno significativa: la disapprovazione dell’ambiente professionale di appartenenza.
I punti essenziali, a mio avviso, sono tre, distinti se pur interconnessi:
a) il magistrato non interviene, né direttamente, né indirettamente, su vicende che
attengono alla sua attività di ufficio;
b) il magistrato non coopera, nemmeno con la sua semplice presenza, a legittimare
trasmissioni nelle quali si imbastisce il “processo parallelo”;
c) il magistrato interviene sui problemi dei diritti e della giustizia, sulla politica della
giustizia, evitando scrupolosamente di farsi coinvolgere in logiche di schieramento
politico
Si tratta di principi, validi per tutti i magistrati, ma che assumono una valenza
particolare per il Pm, mediaticamente più esposto. L’esperienza ci insegna che
magistrati, e particolarmente Pm, non sempre si sono attenuti e si attengono ai suddetti
principi deontologici.
Vediamo punto per punto
a)il magistrato non interviene, né direttamente,né indirettamente, su vicende che
attengono alla sua attività di ufficio, formula con la quale si fa riferimento a
specifiche indagini in cui il magistrato sia coinvolto. Le eccezioni sono puntualmente e
rigorosamente indicate nel comma 2 dell’art. 6 del Codice etico Anm, sopra citato. Al di
21
Sulla distinzione tra deontologia e disciplina cfr. Bruti Liberati E., Responsabilità, imparzialità,
indipendenza dei giudici in Europa, in Deontologia giudiziaria. Il Codice etico alla prova dei primi dieci
anni, a cura di L.Aschettino, D. Bifulco, H. Epineuse, R. Sabato, Jovene, Napoli, 2006, p. 137
16
là di queste situazioni particolari non vi dovrebbe essere spazio alcuno per interventi
del magistrato. La regola dovrebbe essere pacifica per i giudicanti, ma di tanto in tanto
si vedono anche giudici che, ovviamente dopo aver premesso che “i giudici parlano solo
con i loro provvedimenti”, si dedicano ad abbondantemente anticipare le linee salienti
della motivazione della sentenza che hanno appena pronunziato,ovvero a commentare il
provvedimento emanato. Ma la questione concerne principalmente i Pm. Non ignoro
che l’intervento sulla stampa o in TV del pm che conosce tutti gli aspetti del “suo”
processo, che magari ha ampia esperienza del fenomeno complessivo, può essere molto
efficace. Ma continuo a ritenere che in questo modo si accentuano in modo
incontrollabile i rischi della personalizzazione, del protagonismo con tutte le ricadute
sulla questione aperta dello statuto del pm.
Una sola notazione aggiuntiva. Ho parlato di intervento diretto o indiretto. Infatti
le “regole” della comunicazione ci insegnano che anche solo due righe virgolettate di
dichiarazioni del magistrato inserite in un articolo di stampa su una specifica vicenda
hanno l’effetto di coinvolgere in magistrato stesso nel messaggio complessivo
dell’articolo. Il fenomeno è ancor più evidente per le trasmissioni televisive, anche
quando non si raggiunge il limite (oggetto di una sarcastica nota di Aldo Grasso,
critico Tv del Corriere della sera) di un Procuratore della repubblica che presenziò ad
una intera trasmissione televisiva sul caso di un delitto di sangue trattato dal suo
ufficio, solo per dire più volte che lui del caso non parlava.
Con questa notazione ci siamo avvicinati al punto
b) il magistrato non coopera, nemmeno con la sua semplice presenza, a legittimare
trasmissioni nelle quali si imbastisce il “processo parallelo”
Il caso Cogne, come trattato nella trasmissione “Porta a porta” di Bruno Vespa, ha
aperto un filone che ha fatto scuola e che si è esteso. Dai “delitti di sangue” si è passati
ai processi di mafia, criminalità organizzata e criminalità economica , affrontati,
anch’essi, con il canone della spettacolarizzazione, che ha trovato nuovi moduli: passi di
intercettazione telefoniche “recitati”, attori che replicano fasi del processo o mettono in
scena contenuti di dichiarazioni testimoniali. Si tratta della applicazione a casi giudiziari
del genere chiamato docu-fiction.
La presenza di magistrati in trasmissioni di questo tipo ( magari ad integrare le
“compagnie di giro” di cui parlava Aldo Grasso), a prescindere dal contenuto dalle
dichiarazioni che rendono e anche se la vicenda non è trattata dal loro ufficio,
ineluttabilmente conferisce autorevolezza al “processo parallelo”. Ed è il colmo che,
sempre “a fin di bene”, s’intende, per evidenziare la vera VERITA’, siano proprio
magistrati a sponsorizzare il processo parallelo.
Da certi contesti un magistrato, a mio avviso, deve puramente e semplicemente
tenersi alla larga. Agli inviti a partecipare a certi dibattiti televisivi è possibile
rispondere: No grazie ( anche se ciò, e ne ho avuta personale esperienza, suscita lo
sbalordimento degli interlocutori, abituati a ricevere pressanti sollecitazioni a
partecipare piuttosto che dinieghi). E non ci si faccia trarre in inganno dalla proposta,
apparentemente più rassicurante, di una dichiarazione del magistrato preregistrata; a
parte il fatto che la dichiarazione sarà oggetto di un montaggio ( ma ciò si può evitare
chiedendo quanti secondi di hanno a disposizione e facendo un dichiarazione della
durata precisa), rimane incontrollabile il “come” la dichiarazione preregistrata sarà
inserita nel corso della trasmissione.
Naturalmente le considerazioni che precedono non riguardano il giornalismo (
sulla carta stampata, su video o su internet) cosiddetto di inchiesta; peraltro anche i
migliori esempi di questo genere sono spesso esposti al rischio che la docu-fiction porti
alle deviazioni sopra evidenziate
E veniamo al terzo punto:
17
c) il magistrato interviene sui problemi dei diritti e della giustizia, sulla politica
della giustizia, evitando scrupolosamente di farsi coinvolgere in logiche di
schieramento politico.
Ormai da qualche decennio vicende giudiziarie sono costantemente al centro
della attualità politica, si tratti di indagini per fatti di corruzione, di criminalità
economica, di mafia. E il modulo del processo parallelo e della docu-fiction , inaugurato
con indagini su delitti di sangue, si è esteso anche alle vicende di rilevo politico,
economico.
Bisogna distinguere tra i diversi media sui quali il magistrato può avere occasione
di intervenire. Un saggio su una rivista o anche un articolo su un giornale, una
relazione ad un convegno offrono lo spazio per una riflessione articolata che consenta di
entrare nel merito delle questioni, esprimere ad esempio, con argomentazioni stringenti,
ma con equilibrio, il più duro dissenso rispetto ad un disegno di legge o a una
prospettiva di riforma ordinamentale. La “cifra” del discorso del magistrato è data dalle
sue opinioni, dagli argomenti che lo sostengono, dallo stile utilizzato; le
strumentalizzazioni sono sempre in agguato, ma è ben possibile, se lo si vuole e si
presta la dovuta attenzione, evitare di cadere nella logica dello schieramento politico,
anche quando alcune conclusioni ( o anche tutte su una questione specifica) coincidano
con la posizione di una parte politica. Il rischio di strumentalizzazione aumenta, in
progressione geometrica, quando si passa dall’articolo firmato all’intervista (in cui le
domande, la organizzazione del pezzo, per non dire il titolo possono portare ad un
risultato diverso da quello immaginato) per raggiungere l’apice nei dibattiti televisivi,
dove la logica dello scontro tra parti contrapposte, quando non della rissa tra fazioni è
spesso quella vincente nella percezione dello spettatore.
La “riforma della giustizia” in senso “epocale” è all’ordine del giorno da almeno
un quindicennio, variamente declinata a livello costituzionale ( si veda il progetto di
riforma approvato nell’ottobre 1997 dalla Commissione Bicamerale presieduta dall’on.
D’Alema , rimasto senza esito, che avrebbe modificato l’assetto della magistratura
nell’ordinamento costituzionale, incidendo sui tre punti nodali: Consiglio Superiore
della Magistratura, giurisdizione disciplinare e assetto del pubblico ministero 22) o a
livello di legislazione ordinaria (si veda la riforma dell’ordinamento giudiziario del
ministro Castelli, essenzialmente centrato sul ripristino di una rigida gerarchia interna
nella magistratura, progetto poi largamente rientrato poiché le modifiche introdotte con
la «riforma Mastella» ne hanno eliminato il nucleo centrale).
Ma la prospettiva di un ‘riequilibrio’ tra politica e magistratura, con la
conseguente limitazione, nella sostanza, dell’indipendenza della magistratura,
giudicante e del P.M., rimane ben presente nell’orizzonte attuale della politica.
Quale la risposta possibile della magistratura? Replicare, argomentatamente,
punto per punto alle proposte settoriali e adoperarsi, a tutto campo, per contrastare la
“cultura” delle prospettive involutive, a livello individuale, come gruppi di magistrati,
come Associazione nazionale magistrati ( fermo restando l’intervento a livello
istituzionale del Csm con i pareri, le risoluzioni generali, la politica complessiva di
amministrazione della giurisdizione).
Naturalmente questi problemi entrano appieno nel dibattito, spesso aspro, a tre
livelli: dibattito nel foro dell’ opinione pubblica, iniziative della società civile, dialettica
dei partiti politici.
Quale la collocazione del magistrato nei tre livelli? La sua voce conta nel dibattito
pubblico e può essere presa in considerazione da coloro che non sono già
22
Rinvio a V. Borraccetti, E. Bruti Liberati, G. Gilardi, L. Pepino, N.Rossi, Giustizia e Bicamerale,
numero monografico di «Questione Giustizia», 1997, n.3 con prefazione di S. Rodotà.
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pregiudizialmente schierati, in quanto sia la voce di un magistrato, che è un esperto di
diritto, ma che nella categoria degli esperti di diritto si connota sempre come esponente
di una istituzione, anche quando non si esprime con atti della funzione giudiziaria, ma
in quanto semplice cittadino.
Il magistrato, meglio i magistrati, con le loro diverse opzioni culturali e
ideologiche, hanno tutto il diritto di intervenire liberamente nel dibattito pubblico sui
temi della giustizia come cittadini. Il terreno è minato e non vi è dubbio che per gli
interventi del magistrato nel dibattito della pubblica opinione vi sono limiti sanciti
dalla normativa disciplinare , ed anche limiti deontologici. Ma quando si tratta del
dibattito nel foro della pubblica opinione sui problemi della giustizia, il principio
generale è quello dell’ esercizio di un diritto di libertà ed i limiti sono la eccezione. La
situazione è simmetricamente rovesciata per quanto attiene ad un intervento nella
dialettica dei partiti politici23, ma non è su questo che voglio soffermarmi. Interessa
piuttosto il livello intermedio: il magistrato di fronte alla iniziative della “società civile”.
Sono agevolmente applicabili, in quanto compatibili ( si direbbe con linguaggio
giuridichese), le considerazioni svolte sugli altri due livelli, quando le iniziative di
“società civile” tendano ad avvicinarsi ai due poli estremi della nostra analisi: il livello
del dibattito generale e quello degli schieramenti partitici. Più delicato ed a mio avviso,
più interessante, soffermarsi un attimo sull’area intermedia, quella propria delle
iniziative più tipiche di “società civile”. Il tema è molto ampio anche in considerazione
della estremamente variegata gamma di tali iniziative.
Due spunti di riflessione.
Primo. In uno dei più approfonditi recenti studi sulla corruzione è stato sottolineato che
se qualcosa è mutato nel passaggio a quella che viene chiamata la nuova corruzione è
nel senso che essa ha assunto nel nostro paese un carattere ‘sistemico’, è una pratica
comune e diffusa in molti settori di attività politico amministrativa: «Sembrerebbe così
smentita la contrapposizione tra una società politica corrotta e una società civile sana ed
onesta […] Al contrario il sistema della corruzione […] ha dimostrato la propria
capacità di radicamento nella società civile, innervandosi in profondità nel mondo delle
professioni, dell’imprenditoria e della finanza» 24. Non mitizziamo dunque: “società
civile” non sempre è di per sé buono.
Secondo. Nelle iniziative di “società civile” che attengono a questioni di giustizia è
immanente il rischio, si intende “a fin di bene”, di scivolare verso il sostanzialismo, di
abbandonare in un conflitto semplificato tra il Bene e il Male ogni regola garantistica,
di assumere,infine, come modello, comportamenti di magistrati discutibili e discussi
(sotto il profilo della professionalità e del rispetto delle regole processuali), fino
all’esito di “eroicizzare” questo o quel magistrato rientrante nel modello.
Si evoca spesso, del tutto strumentalmente, il fantasma del “partito dei
magistrati”. I magistrati hanno il dovere civico, prima ancora che il diritto, di portare,
senza reticenze e autocensure, il loro contributo nel dibattito a livello di opinione
pubblica, sui temi della giustizia. Ma i magistrati per primi devono accuratamente
evitare che atteggiamenti non meditati e/o non misurati possano dare argomenti a chi
evoca quel fantasma.
23
Ovviamente mi riferisco alle iniziative generaliste e di propaganda di un partito politico, alle quali
ritengo che il magistrato non debba partecipare. Diverso il discorso su iniziative tematiche su questioni
attinenti la giustizia organizzate da un partito, alle quali ritengo che un magistrato possa dare il suo
contributo, a condizione che l’iniziativa sia organizzata in modo pluralistico.
24
D. della Porta ed A. Vannucci. Mani impunite. Vecchia e nuova corruzione in Italia, Laterza, Roma.Bari, 2007, p.10
19
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