Salute e medicina di genere
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Salute e medicina di genere
ISSN 0392-4505 Anno XXXII - Settembe-Ottobre 2011 Rivista bimestrale di politica sociosanitaria Laboratorio Regionale per la Formazione Sanitaria Salute e Medicina di genere Salute e Territorio - Registrazione al Tribunale di Firenze n. 2582 del 17/05/1977 Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale - Regime libero - 70% - CNS/CBPA - CENTRO 1 Una filosofia “per” la Medicina Patient satisfaction Lo sviluppo di una nuova governance Settembre-Ottobre 2011 E 15,00 188 Presentazione Le diseguaglianze Epidemiologia delle differenze Malattie cardiovascolari Oncologia al femminile Sex-gender pharmacology Salute e sicurezza sul lavoro La violenza esercitata sulle donne La specificità del disagio psicologico La prospettiva ospedaliera di genere Esiste il nursing di genere? Organizzazioni sanitarie e salute di genere Contributi Monografia 00sommario 257:00sommario 1 5-12-2011 10:45 Pagina 257 Sae l ute Territorio Direttore responsabile Mariella Crocellà Redazione Antonio Alfano Gianni Amunni Alessandro Bussotti Francesco Carnevale Bruno Cravedi Laura D’Addio Gian Paolo Donzelli Claudio Galanti Carlo Hanau Gavino Maciocco Benedetta Novelli Mariella Orsi Daniela Papini Paolo Sarti Luigi Tonelli Comitato Editoriale Gian Franco Gensini, Preside Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Firenze Mario Del Vecchio, Professore Associato Università degli Studi di Firenze, Docente SDA Bocconi Antonio Panti, Presidente Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Firenze Luigi Setti, Direttore Laboratorio Regionale per la Formazione Sanitaria - FORMAS 188 Rivista bimestrale di politica sociosanitaria fondata da L. Gambassini FORMAS - Laboratorio Regionale per la Formazione Sanitaria Anno XXXII - Settembre-Ottobre 2011 Sommario 258 I. Cavicchi Una filosofia “per” la Medicina 265 A. Marcon, F. Bravi, D. Tedesco, Patient satisfaction D. Gibertoni, T. Carradori, M.P. Fantini 270 S. Bernardini, C. Catalani, S. Fini Lo sviluppo di una nuova governance Monografia Salute e Medicina di genere 277 L. Turco Presentazione 278 L. Canavacci Le diseguaglianze 282 F. Cipriani Epidemiologia delle differenze Segreteria di redazione Simonetta Piazzesi 349/4972131 286 A. Zuppiroli Malattie cardiovascolari 291 L. Fioretto, F. Martella, A.S. Ribecco Oncologia al femminile Segreteria informatica Marco Ramacciotti 295 F. Franconi, A. Sassu, S. Occhioni, I. Campesi Sex-gender pharmacology Direzione, Redazione [email protected] http://www.salute.toscana.it 298 D. Scala Salute e sicurezza sul lavoro 302 V. Dubini La violenza esercitata sulle donne Edizioni ETS s.r.l. Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa Tel. 050/29544 - 503868 - Fax 050/20158 [email protected] www.edizioniets.com 307 P. Trotta La specificità del disagio psicologico 311 C. Capanni La prospettiva ospedaliera di genere 313 P. Mondini, C. Braschi Esiste il nursing di genere? Distribuzione PDE, Via Tevere 54, I-50019 Sesto Fiorentino [Firenze] Questo numero è stato chiuso in redazione il 15 ottobre 2011 316 L. Turco, A. Bassetti, A. Mannocci Organizzazioni sanitarie e salute di genere Abbonamenti 2011 Italia € 50,00 Estero € 60,00 Fotocomposizione e stampa Edizioni ETS - Pisa Per abbonarsi: www.edizioniets.com/saluteeterritorio Pagamenti online con carta di credito o PayPal 01Cavicchi 258:Layout 1 5-12-2011 Sae l ute Territorio 258 Ivan Cavicchi Docente Organizzazione sanitaria di Filosofia della Medicina, Università Tor Vergata, Roma N on so se è “politically correct” iniziare un discorso da un ricordo personale. Si da il caso che vi siano certi “insignificanti episodi” che, non si sa perché, restano nella memoria come se fossero chissà quali esperienze. Evidentemente non sono così insignificanti come si pensa. Anni fa dirigevo una bella rivista che si occupava dei problemi della Medicina e che tentava di affrontarli studiandoli da più punti di vista, etico, scientifico, economico. Si chiamava Keiron. In un suo numero decisi di affrontare la delicata questione “dell’evidenza”. Era il tempo in cui l’EBM impazzava come l’ultima delle verità infrangibili. Ai miei occhi si trattava di un fenomeno da approfondire, in quanto mi colpiva come esso contrastasse con un secolo, che si era appena chiuso, all’insegna di grandi dubbi proprio sulle verità infrangibili e sulle verità apodittiche, quali le evidenze. Fu questa ragione che mi indusse a dedicare “all’evidenza” prima un libro “La Medicina della scelta” (Cavicchi 2000) poi successivamente, un numero di Keiron. Ne vennero fuori critiche a non finire. Soprattutto da parte degli epidemiologi. Per loro era incomprensibile dire che 10:52 Pagina 258 Una Medicina da ripensare N. 188 - 2011 Una filosofia “per” la Medicina l’evidenza supposta come verità infrangibile era frangibile come qualsiasi verità statistica. Devo dire che il tempo ha finito da “galantuomo” quale in genere esso è, per dare ragione ai miei dubbi. Oggi l’evidenza non è più considerata una verità infrangibile. Ma in quegli anni la comunità medico-scientifica la pensava in modo diverso. In “Medicina della scelta” avevo ricordato il ’600, il secolo del Barocco ossessionato in tutti i settori sociali dall’evidenza, dall’ostensione della verità, e dalla ricerca della “sensata certitudo”, ma che con l’Illuminismo andò praticamente in frantumi, fino a costringere Diderot e D’Alembert a rubricare, nella loro celebre enciclopedia, l’evidenza, come una complessa categoria della metafisica. Oggi in Medicina è accaduto più o meno la stessa cosa:l’evidenza da caposaldo di una certa idea di scienza, usata per combattere sprechi, inutilità, arbitrarietà, abusi, ma soprattutto per garantire risparmi, ha inevitabilmente manifestato i suoi limiti metafisici in quanto, quale verità assoluta, alla prova dei fatti non ha retto. Che cosa è lo scientismo? È l’atteggiamento di chi considera la scienza come unica Le sfide da affrontare per il superamento dello scientismo forma valida di sapere e quindi superiore a qualsiasi altra forma di conoscenza, in grado di fornire all’uomo un sapere completo appagandone tutti i bisogni anche quelli spirituali, etici, culturali, sociali. Lo scientismo, storicamente, è maturato nel clima del positivismo ottocentesco e con esso dissoltosi, conoscendo più tardi, una sorta di revival con il neopositivismo per poi entrare nuovamente in crisi con l’epistemologia post-positivista. Oggi in Medicina il vero problema costituito dallo scientismo è il suo anacronismo cioè l’essere un pensiero fuori tempo come un rottame di altre epoche. In Medicina forme di scientismo sono il biologismo, il determinismo, il meccanicismo, il fisicismo, il naturismo, il clinicismo, il molecolarismo, il genetismo, il proceduralismo ecc. Queste conoscenze scientifiche che in quanto tali hanno un enorme valore, quando diventano “ismi” cioè “visioni del mondo” diventano un grande problema. Oggi in Medicina proprio per limitare i danni dello scientismo non facciamo altro che appic- cicare un prefisso dietro l’altro:paradigma bio-psico-sociale, oppure bio-etico-sociale, ecc a indicare una complessità che oggettivamente sfugge al riduzionismo dello scientista. L’anacronismo dello scientismo consiste, davanti a intricate complessità di proporsi non come una “soluzioni sbagliata” ma come una “non-soluzione”. I custodi della scienza, non propongono mai soluzioni. Nella seconda metà del XIX secolo, fino ai primi decenni del XX, il termine “scientismo” era addirittura assunto con orgoglio. Ma oggi non è più così. Ho sempre pensato e continuo a pensare che gli scientisti, diversamente dagli scienziati non abbiano un proprio pensiero, ma rappresentino ciò che gli inglesi chiamerebbero expertise, cioè una conoscenza di settore, quella che, a torto o a ragione, li autorizza a rilasciare discutibili certificati di autenticazione circa ciò che è scientifico e circa ciò che non lo è. Gli scientisti non hanno Albi professionali, né Ordini o Collegi, ma si comportano come se la scienza fosse un par- 01Cavicchi 258:Layout 1 7-12-2011 12:44 Pagina 259 Sae l ute Una Medicina da ripensare Territorio 259 N. 188 - 2011 tito al quale essi sono iscritti. In questo multiforme partito virtuale gli scientisti sarebbero l’ala dura, estremista, radicale. Cioè dei veri massimalisti. Anch’io e molti altri, che come me portano avanti da anni un progetto di rinnovamento della Medicina, sono iscritti al partito della scienza, ma le mie critiche allo scientismo non depongono contro la scienza ma al contrario sono pensate in favore della scienza. Chi mistifica questo è a disagio per problemi suoi e sospetto con un zinzino di malafede. In tempi davvero non sospetti (Cavicchi 2004), ho confutato a Corbellini la rigidità eccessiva delle sue tesi. Per esempio nel saggio “Filosofia della Medicina” (Corbellini 2003), egli ripropone la vecchia idea di “filosofia della Medicina” cioè qualcosa che si limiti ad illustrare la razionalità medica in tutte le sue forme, prigioniero, senza saperlo, di un ortodossismo lontanissimo mille anni luce da quello che sta accadendo fuori e dentro la Medicina, ignaro del tutto della crisi che sta vivendo proprio la Medicina scientifica. Comprendo quindi che di fronte alla mia proposta di voltare pagina, egli deve essersi sentito quanto meno delegittimato. In un articolo “La Biomedicina non ha la Bioetica che si meriterebbe” (Corbellini 2004), egli dà per scontato un mucchio di cose. Per esempio riduce la filosofia a Bioetica, è convinto che la Medicina debba essere solo Biomedicina ignorando che un’intera società chiede, come dicevo prima, un mucchio di prefissoidi di altro tipo e quindi dà per scontato che l’unica filosofia per la Medicina debba essere la Bioetica, o meglio la Bioetica scientista cioè una fede incontrastata nella scienza. Oltre il bioorizzonte lo scientista non ammette altro. Per uno come me che vive tutti i giorni, da dentro, i problemi della Medicina, degli operatori, dei malati, da svariati decenni, è risibile ricondurre le grandi aporie della Medicina contemporanea alla bio-etica e allo scientismo. In Medicina, a partire dagli anni ’80, la Bioetica, come ho già spiegato (Cavicchi 2004), è apparsa come una forma di scientificizzazione della filosofia ma in funzione dell’esclusione della filosofia. Agli scientisti come Corbellini, non sembrava vero poter riattualizzare i vecchi precetti della Medicina sperimentale, per ridefinire la Medicina come bioscienza con una propria bioetica. In una società in tumulto, traversata da profondi cambiamenti, dentro transiti epocali, quindi per certi versi instabile e transeunte, alla domanda di cambiamento sociale lo scientismo medico rispondeva con le bio-verità. In questo contesto si comprende perché l’EBM abbia avuto un così grande successo. Alla società che avanza dubbi e perplessità nei confronti della Medicina, gli scientisti attraverso la Statistica, l’Epidemiologia, la Bioetica laica, rispondono, ai nuovi bisogni sociali dell’esigente (non più paziente) riproponendo il valore apodittico della scienza senza “se e senza ma”, cioè con un solo prefisso “bio” (Cavicchi 2000). Nel frattempo un pezzo consistente di società ricorre sempre più alle Medicine complementari, un altro pezzo al contenzioso legale, la stragrande maggioranza dei medici si rifugia nella Medicina difensivistica, si afferma una clinica opportunistica cioè un procedularismo senza metodologia; le restrizioni economiche imposte alla Sanità condizionano sempre più l’atto clinico, fraintesi aziendalismi fanno dell’etica una variabile dipendente della parità di bilancio. Insomma un bel casino. Scientismo: il lato debole dell’ortodossia Oggi la Medicina è spaesata, in mezzo, tra società ed economia, è come in surplace, cioè bloccata sulla pista. Sembra che non abbia alcuna voglia di ripensarsi dando addirittura l’impressione di resistere al cambiamento. Gli scientisti è come se fossero “in difesa”. Non a caso il termine che in certi ambienti è stato proposto è quello di “resilienza” ovvero una metafora ripresa dalla fisica meccanica e che riguarda la capacità dei metalli di resistere agli urti. La Medicina deve essere resiliente, cioè resistere agli urti dell’economia, del contenzioso legale, della delegittimazione sociale, a costo di diventare una gigantesca “Medicina difensivistica”. Gli scientisti non si rendono conto di questo pericolo e si dimostrano indisponibili ai ripensamenti ma non per cattiveria, in realtà essi a ben vedere si sforzano di essere conformi alla tradizione scientifica. Cioè essi sono niente più e niente meno che dei rigidi ortodossi. Per ortodossia, in generale, si intende la “retta credenza”, la conformità alle verità che reggono e dirigono, nel caso della Medicina, la sua opera. Essa è la garanzia che obbliga la Medicina a funzionare conformemente ai suoi principi fondativi, di non sgarrare dalle regole ma anche di non cambiare, se le regole, per una ragione o per l’altra, non dovessero funzionare più. L’ortodossia degli scientisti è apologetica con il fine di provare la perfezione e la verità della scienza contro le dottrine avversarie e i contesti che provano a cambiarla. Per esempio gli argomenti della Medicina scientifica contro le Medicine non convenzionali sono in larga parte apologetici, come quelli contro l’invadenza dell’economia aziendale. L’ortodossia si oppone al cambiamento non tanto perché deve dimostrare le sue verità, che per essa sono già dimostrate, ma perché, dentro una continua competizione di idee e di spinte al cambiamento, essa deve amministrare le sue verità e difenderle nel modo più vantaggioso. L’uso competitivo dell’apologetica avviene, in genere, con il ricorso a inattaccabili argomenti scientifici, con la veste apparentemente rigorosa della correttezza e del rispetto, ma in realtà essa non esita ad avvalersi dei poteri di cui dispone, delle rendite di posizioni, delle relazioni privilegiate, degli interessi consolidati, dei giornali sui quali scrive. L’ortodossia non tutela solo le 01Cavicchi 258:Layout 1 5-12-2011 Sae l ute Territorio 260 proprie verità ma anche i legittimi sistemi di interessi che quelle verità hanno sancito e che rischiano di venire meno con il cambiamento o quantomeno di declinare rispetto a nuovi scenari. Dire, come nel mio caso che serve una filosofia “per”la Medicina significa dire che la filosofia “della” Medicina è quanto meno insufficiente. Questo non può far piacere a coloro che grazie alla “filosofia della Medicina” si sono, come si suol dire, “ritagliati un ruolo”. Però nel momento in cui lo scientismo diventa una banalissima difesa di interessi l’apologetica degenera in conservatorismo. L’intransigenza dello scientismo “Gli scientisti sono, tutto sommato, degli intransigenti nel senso letterale del termine cioè che non sono capaci di giungere ad una transazione” (v. transigere). Essi oggi sono un grande problema perché oggi si ha bisogno di transigere, cioè di intese e di accordi sociali. Proprio perché intransigente lo scientismo ha un carattere impositivo, rispetto ad una società che al contrario vorrebbe una Medicina diversa. Oggi nel campo della Medcina niente può essere imposto ad una società che non corrisponda ai suoi bisogni. E se si forza la mano sono dolori. Non si tratta di rinunciare alla fondazione razionale della scienza medica ma di comprendere i grandi problemi che, un certo tipo di Medicina, ha nei confronti di una società segnata da grandi cambiamenti. 10:52 Pagina 260 Una Medicina da ripensare Ormai la pretesa dello scientismo di delineare una ragione scientifica, che stabilisca autonomamente le condizioni di possibilità della Medicina, è implausibile. Oggi la società e l’economia, per ragioni diverse, hanno adottato nei suoi confronti, atteggiamenti di aperta confutazione. Quindi è evidente l’incapacità degli scientisti di dialogare con la propria società di riferimento. Il loro linguaggio non è per nulla riferito ai malati e ai cittadini di questa società, meno che mai ai suoi problemi economici. L’unica eccezione sono certi medici illustri quando a loro volta si ammalano, e che raccontano nei loro libri la loro esperienza di malati, dimostrando da malati quanto essi siano stati da medici scientisti. È significativo che un medico per riuscire a fare una critica al suo scientismo debba diventare un malato. Come se essere medici obbligasse ad essere scientisti ed essere malati obbligasse ad essere relativisti. Questa contrapposizione è assurda. Da medici si è convinti che la ragione medica sia “a priori” cioè indipendente dai malati e dalle risorse disponibili. Da malati ex-medici la ragione medica crolla sotto il peso della condizione disumana della malattia. Lo scientismo interpreta, attraverso la ragione medica, il mondo della malattia incurante che le sue concezioni siano palesemente incongrue rispetto a quelle sociali. La ragione medica, oggi, pur avendo goduto di uno straordinario sviluppo scientifico, resta ancorata ad un pensiero tardo ottocentesco che, nei N. 188 - 2011 suoi fondamenti, non è mai stato seriamente ripensato. Oggi le “responsabilità”della Medicina, non sono tanto nelle sue difficoltà a rispondere agli spiazzamenti del cambiamento ma, soprattutto, sono nell’aver accumulato ritardi su ritardi circa gli adeguamenti che sarebbero stati necessari nel corso del tempo, a causa soprattutto di uno scientismo intransigente. Lo scientismo oggi è in contrasto con l’attualità. Questo ha costi etici, sociali e economici tutt’altro che trascurabili. L’Università tra conservazione e cambiamento L’ortodossia degli scientisti è qualcosa di ambivalente: è un disvalore perchè ostacola il cambiamento, nello stesso tempo è il valore disponibile, dal cui nucleo di fondo non si può prescindere. Le idee per ripensare la Medicina, non sono ricavabili da un modello altro di Medicina ma dai limiti e dai problemi della sua ortodossia. Verrebbe da dire che oggi più che cambiare la Medicina si tratta di ripensarne l’ortodossia. Lo scientismo quindi è una patologia dell’ortodossia. La forza dello scientismo medico in questi anni è stata tale da neutralizzare spesso importanti tentativi di innovazione. È accaduto con la qualità, la complessità, l’evidenza, la narrazione, la centralità del malato, la relazione terapeutica, le teorie del nursing, l’errore, il rischio, l’immissione di nuove tecnologie, (per citare gli argomenti più comuni dei dibattiti). Tali questioni, pur rappresentando notevoli potenziali di ripensamento, non sono in realtà riuscite a mettere seriamente in discussione lo scientismo prevalente. La qualità, ad esempio, è stata ridotta a linee guida, la complessità banalizzata e immiserita a logiche lineari, l’errore spiegato con difetti dell’organizzazione, la relazione ad amabilità ecc. Le Facoltà di Medicina spesso sono additate come la causa di tutto ciò perché sono inevitabilmente considerate come le case dell’ortodossia e dello scientismo. Esse si avvalgono naturalmente di professori ortodossi cioè giustamente conformi ai programmi didattici ed hanno il dovere di insegnare l’ortodossia e lo scientismo in tutti i suoi aspetti disciplinari. La famosa tabella 18 è la prova che le Facoltà di Medicina insegnano ad essere soprattutto scientisti. Quello dell’Università non è un discorso semplice. Ripensare la ragione medica non è solo una questione di programmi ma di decidere prima a quale paradigma medico i programmi devono ispirarsi. Ha senso introdurre nuovi insegnamenti, nuove mentalità didattiche, se vi è un accordo su come ripensare la Medicina. Tale accordo non è delegabile all’Università. È una questione politica e culturale allo stesso tempo che deve coinvolgere i tanti soggetti circoscritti dalla nozione di Medicina e non solo. L’Università, certamente non è scevra da responsabilità, ma fino a quando non si deciderà di ridiscutere la Medicina, essa non può che attenersi alla tabella 18, anche se è platealmente scientista. Forse una critica ragionevole che si può 01Cavicchi 258:Layout 1 5-12-2011 10:52 Pagina 261 Sae l ute Una Medicina da ripensare Territorio 261 N. 188 - 2011 avanzare all’Università è di non fare abbastanza per promuovere questo ripensamento, e di avere poche idee in proposito. In fin dei conti un’istituzione come l’Università non può restare indifferente a quello che bolle in pentola. Il ripensamento più importante al quale l’Università, dovrebbe porre mano è proprio un ridimensionamento del suo scientismo. Per me la Medicina ha bisogno di una nuova base filosofica, cioè di un nuovo “pensiero primo”da cui ricavare un apparato concettuale più adeguato. Oggi la Medicina ha un aspetto paradossale:nonostante il suo inestimabile valore etico e scientifico, appare, alla società attuale, per molti versi inadeguata e, all’economia, eccessivamente costosa. Inadeguata perchè essa continua a limitarsi a curare maggiormente corpi malati anzichè persone malate. Costosa perchè crescono le ragioni del risparmio. Servirebbe, quindi, un’idea di Medicina sensibile alle questioni filosofiche e a quelle economiche, idea non facile da digerire per nessuno. Digerire un bisogno di filosofia e digerire l’ingerenza dell’economia non è facile. Fino a quando i malati sono stati docili “pazienti” e i costi delle cure sono stati bassi, la Medicina non è mai stata un problema, ma da quando essa è entrata nel post-welfarismo ed è a carico della fiscalità, essa è sempre più in discussione. Una cosa è certa: i vecchi equilibri novecenteschi tra etica e economia oggi sono saltati e non solo in Medici- na. Bisogna quindi trovarne di nuovi e di più efficaci. La Medicina nel post-welfarismo Uno dei problemi più inquietanti della Medicina oggi, del tutto ignorato dallo scientismo, è quindi il post-welfarismo. Con questa espressione si possono indicare due interpretazioni diverse: – Una situazione negativa, di sgretolamento dei valori, che viene semplicemente dopo il welfarismo del ’900, quindi dopo la conquista dei diritti, le lotte per l’emancipazione di tutto l’emancipabile, la riforma sanitaria, il servizio sanitario pubblico ecc. – Una situazione positiva nella quale il welfarismo è ripensato, nelle sue forme, nella sua organizzazione, nella sua spesa, nella sua Medicina scientifica ma a parità di valori di riferimento, quindi senza rinunciare né all’universalismo, né alla solidarietà, e ne ai diritti e neanche alla scientificità, nel tentativo soprattutto di risolvere le contraddizioni che riguardano le embricazioni strette tra etica scienza ed economia. La Medicina oggi si trova esattamente come l’asino di Buridano tra questi due “mucchi di fieno”. ”Una filosofia per la Medicina” (Cavicchi 2011) è il tentativo di rifiutare il post-welfarismo come decadenza contrapponendogli una Medicina ripensata, cioè adeguata al proprio tempo. Le grandi manovre finanziarie che tutta l’Europa ha messo in campo sono tutte orientate a ridimensionare la spesa pubblica, nella quale gran parte è rappresentata dalla Sanità e dalla Medicina, questi “tagli” sono irreversibili, cioè senza la possibilità di un ritorno indietro, essi sanciscono un passaggio d’epoca, perché non sono i soliti “taglietti” che abbiamo avuto in questi anni, ma sono delle “amputazioni” che mettono in discussione l’integrità financo dei paradigmi, cioè delle basi fondative della Medicina stessa. Per cui la Medicina oggi può scegliere: – O si rassegna ad una lenta agonia accettando di essere sempre più burocratizzata e minimizzata e quindi facendosi sempre più condizionare dal limite economico. – O cambia ridefinendosi dentro le nuove sfide del post-welfarismo. Il dilemma è reso acuto anche da grandi inadempienze. Nei confronti soprattutto della Medicina, settore mai veramente riformato, (diversamente dalla Sanità che in trent’anni ha fatto ben 5 riforme), si può parlare di riformismo disatteso. Oggi vengono molti dubbi sulla plausibilità delle politiche adottate in questi anni, nel senso che viene il sospetto che sia stato uno sbaglio accanirsi sulla organizzazione della Sanità considerando la Medicina come una invarianza. In molti erano convinti che per affrontare il cambiamento, sarebbe bastato gestire meglio la Sanità, riorganizzare, razionalizzare, compatibilizzare. È stato uno sbaglio rispondere ad un grande cambiamento sociale, economico culturale, antropologico, come quello che si annunciava tra gli anni ’60 e ’70, intervenendo solo sui “contenitori”, quindi sulla Sanità e ignorando completamente i “contenuti”, quindi la Medicina. Negli anni ’90 ci si è di fatto invaghiti della svolta aziendalista, pensando all’Azienda come ad una panacea. Oggi le promesse legate al gestionalismo dell’Azienda sono state disattese, e la Medicina dentro l’Azienda sta deperendo addirittura nei suoi valori più sacri. Il guaio è che se una leva archimedea, come è stato il gestionalismo, non è più efficace e non se ne ha un’altra di riserva, si finisce con il credere che l’unica cosa che resta da fare è rassegnarsi al proverbiale destino “cinico e baro”. L’Azienda, poveraccia, con le condizioni date, ha fatto quello che poteva, ma alla fine ha tradotto il bisogno di cambiamento della società tutta, in termini di limiti negativi, pur potendolo teoricamente interpretare in termini di possibilità positive. In questi anni hanno vinto i limiti, non le possibilità. Probabilmente avremmo dovuto esplicare fino in fondo la teoria del cambiamento della riforma del ’78. Quella riforma avrebbe dovuto estendersi alle facoltà di Medicina delle Università, al ripensamento di un genere nuovo di operatore, al ripensamento di una forma post-tayloristica dei servizi, ed altre cose ma soprattutto avrebbe dovuto ripensare le forme anacronistiche dello scientismo medico. Ma niente di ciò è avvenuto. In genere quando si parla di Sanità si sottolineano le criticità legate 01Cavicchi 258:Layout 1 7-12-2011 Sae l ute Territorio 262 a quello che è stato fatto, nessuno esamina le criticità causate da quello che non è stato fatto ma che si sarebbe dovuto fare. Purtroppo le omissioni non sono poche. Oggi, si mettano l’anima in pace gli scientisti, ma se vogliamo che il post-welfarismo esprima una nuova teoria del cambiamento sulla base di una nuova alleanza tra diritti e risorse, tra etica ed economia, tra etica e scienza, il ripensamento della Medicina non è eludibile. Oggi milioni di malati, in pieno post-welfarismo, cioè nel momento in cui si rompe una storica alleanza tra etica ed economia, chiedono alla Medicina di ridiscutersi, di ripensarsi, fino a considerare la possibilità di mettere mano a quella che “Teoria”, la rivista di filosofia diretta da Adriano Fabris, ha chiamato “critica della ragione medica”. Non si tratta di rinunciare alla scienza, (come potrebbe essere!), al contrario si tratta di ribadirne il valore riattualizzandola e ricontestualizzandola. È allo scientismo che si deve rinunciare, ma non alla scienza. In sintesi: – La Medicina, in ragione di tanti cambiamenti… limiti di ogni tipo…, contraddizioni a non finire… pesanti problemi finanziari. ed altro ancora… deve essere ripensata. – La ragione medica, cioè il sistema di regole, criteri, principi, norme che dirige e sovraintende per intero la pratica medica, è l’oggetto del ripensamento. Tutte, ribadisco tutte, le più spinose questioni in Medicina, oggi, conduco- 12:45 Pagina 262 Una Medicina da ripensare no, in un modo o nell’altro, a tale problematica. – Anche se la questione del ripensamento è chiara quasi a tutti, da parecchi anni, sino ad ora, poco o nulla di significativo è stato fatto. – Coloro che potrebbero fare qualcosa è come se arretrassero davanti all’indicibile complessità della questione, e non sapendo dove mettere le mani tirano a campare rimandando i problemi a chi verrà dopo. – Che la Medicina non sia facile da ripensare, è vero. È vero che le cose complesse sono complesse, e che i limiti limitano… ma che ci possiamo fare… la Medicina sulla propria complessità non fa sconti. Dalla filosofia “della” Medicina alla filosofia “per” la Medicina L’ortodossia della ragione medica e quindi le ragioni dello scientismo, oggi si possono desumere: 1. Dall’insieme della conoscenza biologica della malattia. 2. Dalla metodologia che regola tale conoscenza. 3. Dall’etica o dalla deontologia che la sovraintende. 4. Dall’insieme delle prassi che la mettono in atto. Queste quattro grandi questioni sino ad ora sono state descritte, dalla cosidetta “filosofia della Medicina”, un discorso più che una disciplina accademica, e spesso relegata a pochi appassionati. “Della” è una preposizione articolata che indica, in modo inequivocabile, che trattasi di un pensiero di proprietà della N. 188 - 2011 Medicina, quale spiegazione della propria ortodossia. In questo senso ortodossia, ragione e razionalità, scientismo coincidono. La “filosofia della Medicina” almeno fino a questo momento ha svolto prevalentemente compiti chiaramente “ortodossografici”. I filosofi della Medicina sono per lo più medici o storici, cioè autori di opere sui principi della razionalità medica. I titoli delle loro opere sono molto significativi: – “Il procedimento clinico, analisi logica di una diagnosi”. – “Manuale di metodologia clinica”. – “La diagnosi clinica:principi metodologici del procedimento decisionale”. – “I fondamenti del metodo in Medicina clinica e sperimentale”. – “Riflessioni metodologiche”. – “Logica clinica”. – “Epistemologia contemporanea e clinica medica”. – “Elementi di logica medica” ecc. Ragione, razionalità, logica, procedimento, metodo in questi titoli sono la base dell’ortodossia della ragione medica ma anche del loro scientismo. Per ripensare tutto ciò oggi abbiamo bisogno di un pensiero, di idee, di proposte, di ipotesi di lavoro e per quanto ad alcuni filosofi e ad alcuni scientisti dispiacerà, dobbiamo renderci conto che: 1. È finito il tempo della “filosofia della medicina” attraverso la quale la Medicina orgogliosamente spiegava agli altri, il suo pen- siero, il suo modo di curare, di diagnosticare, di operare, di trattare le malattie, di ragionare. 2. È arrivato il momento di una “filosofia per la Medicina” cioè di proporre alla Medicina un pensiero nuovo, ascoltando le ragioni degli altri, dei cittadini, dei malati, di intere comunità, tenendo conto dei cambiamenti culturali di questa società, considerando le ragioni dell’economia che ormai contrappongono i diritti alla disponibilità delle risorse. Ai filosofi della Medicina e agli scientisti dico affettuosamente di aprire gli occhi: siamo nel tempo del post-welfarismo, quindi chiedo loro di dare una mano per un ripensamento. La strada obbligata è quella di ripensare la Medicina dentro una nuova relazione sociale semplicemente facendo ricorso a quello che, i post-positivisti, definiscono il principio della meaning variance, cioè una situazione in cui i significati, i concetti, le categorie, dipendono anche dal contesto teorico-sociale ed economico in cui vengono adoperati. Nessun concetto della Medicina, oggi, può essere considerato come avente lo stesso significato che aveva alla sua nascita. Termini come “malattia”, “malato”, “cura” “causa”, “osservazione” “trattamento”e tanti altri, funzionano come termini omofoni, cioè che hanno lo stesso suono, ma con significati diversi se sono usati o dai medici o dai cittadini, o nel secondo millennio o nel terzo millennio. Ma ripensare la Medicina vale 01Cavicchi 258:Layout 1 5-12-2011 10:52 Pagina 263 Sae l ute Una Medicina da ripensare Territorio 263 N. 188 - 2011 anche come aggiornare una “visione del mondo, quindi adeguare la filosofia dalla quale è nata, per ricavarne un apparato concettuale più coerente. Per tutto questo è necessario interpretare il proprio tempo storico, la propria società, le proprie possibilità scientifiche e cercare un accordo sociale. Si tranquillizzino quindi gli scientisti ripensare la Medicina non vuol dire rinunciare alla scienza, o diventare “relativisti”, come dice Corbellini, ma più semplicemente vuol dire rendere più attuale la scienza. Se gli scientisti non si prendono mai la responsabilità di una proposta io che non sono ne scientista, né relativista, questa responsabilità me la voglio prendere. Si tratta di una responsabilità rispetto al mio tempo storico e rispetto alle convinzioni e agli ideali ai quali sino ad ora mi sono attenuto. Per cui propongo un manifesto in 10 punti. Esso riassume quelli che secondo me dovrebbero essere i ripensamenti fondamentali a cui porre mano. Dieci ripensamenti: proposta per un manifesto 1. Attualità A quale idea, valore, principio deve riferirsi la ragione medica, per far sì che i suoi modi di pensare, conoscere, operare siano coerenti con i bisogni che le vengono rivolti. Sino ad ora l’idea di riferimento è stata la scientificità nei confronti del mondo fisico della malattia, quindi la razionalità della conoscenza, oggi questo non basta più. L’idea che contiene la complessità organica della malat- tia, quella della persona malata, del contesto e della situazione in cui il malato si trova, si chiama “attualità”. Assumere il principio di attualità come riferimento generale della ragione medica è il primo ripensamento. 2. Natura In una concezione fisica, biologica, corporea della malattia, il riferimento principale della ragione medica è la “natura”. Sino ad ora si è tentato di sommare, a tale tradizionale concezione, altre concezioni sociali o psichiche o ambientali della malattia, oggi si tratta di ridefinire alla base tale idea e attualizzarla. Senza questo passaggio non si potrà fare alcuna seria “umanizzazione”. Questo è il secondo importante ripensamento. 3. Malato, essere e persona Nel momento in cui la malattia si esplica nell’attualità del malato, la ragione medica si deve ripensare rispetto alla complessità del soggetto malato, inteso come essere e persona. È il terzo grande ripensamento necessario. 4. Ontologia come conoscenza Se la ragione medica non basta più per conoscere l’attualità del soggetto malato, quale altra conoscenza è possibile? L’unica possibile è quella filosofica, cioè quella che si incarica della riflessione, della comprensione, della ricerca di tutto quanto concerne l’attualità dell’essere e della persona, oltre le sue implicazioni biologiche, dentro le relazioni, le contingenze e le situazioni. Si tratta di un genere di conoscenza non nozionistica come quella scientifica, ma orientata a formare e a accrescere le sensibilità degli operatori, le loro abilità, la loro perspicacia, le loro virtù. Il quarto ripensamento riguarda quindi la definizione di un genere filosofico di conoscenza che affianchi, integri, rafforzi persino, la conoscenza scientifica. 5. Relazione Ma quale è il luogo, la circostanza, l’occasione, in cui conoscere l’attualità della persona malata, in cui servirsi non solo dei vari saperi disponibili, ma da cui ricavare delle conoscenze ontologiche? Tale luogo, circostanza, occasione è la “relazione” con il malato, al di fuori di essa nessun tipo di ripensamento è possibile. Per la conoscenza biologica della malattia le relazioni non servono, ma per la conoscenza dell’attualità di una persona malata, sono indispensabili. Questo è il quinto ripensamento fondamentale. 6. Linguaggio Le persone nelle relazioni si esprimono prima di tutto con il linguaggio a partire dal quale avviene il dialogo, la comprensione reciproca, la trasmissione delle conoscenze, l’espressione delle scelte e delle esperienze. Il linguaggio è il primo importante riferimento della relazione, la comunicazione è successiva. Esso oltre alla sintomatologia diventa l’altro oggetto di conoscenza della persona malata e dell’operatore. Questo equivale ad un allargamento della base conoscitiva della ragione medica. La conoscen- za nella relazione attraverso il linguaggio è il sesto importante ripensamento. 7. Razionalità clinica La conseguenza inevitabile che deriva dai precedenti ripensamenti è il dover ripensare coerentemente, il caposaldo della ragione medica, vale a dire la “razionalità clinica”. La razionalità clinica resta la base della conoscenza medica ma va svecchiata. Rendere la razionalità clinica la più adeguata nei confronti dell’attualità della persona malata e della relazione con essa, è il settimo ripensamento. 8. Razionalità ragionevole Il risultato dell’accordo tra razionalità medica, attualità, relazione e contesti, è “la razionalità ragionevole”. Essa è un modo di conoscere comunque rigoroso nelle sue logiche scientifiche, ma libero da visioni assolute e dogmatiche. Essa è anche un particolare modo di “fare e agire” pratico, concreto, realista, pragmatico. L’ottavo ripensamento riguarda il modo di usare praticamente il buon senso. 9. Scelta La razionalità ragionevole deve scegliere la cosa giusta da fare rispetto all’attualità della persona malata. Come si decide? Come si sceglie? Quale autonomia e quale responsabilità di chi decide? Sino ad ora la scelta del medico o dell’infermiere, era come predecisa dalle regole metodologiche della clinica. L’assunzione dell’attualità impone per forza che si scelga rispetto alla relazione e che a scegliere 01Cavicchi 258:Layout 1 5-12-2011 Sae l ute Territorio 264 sia, da una parte il malato, e dall’altra il medico. Ripensare la scelta all’interno di un orizzonte di codecisionalità è il nono grande ripensamento. 10:52 Pagina 264 Una Medicina da ripensare 10. Limiti La razionalità ragionevole non sarebbe tale se non accettasse la realtà incontrovertibile dei suoi diversi limiti nei confronti dell’attualità, N. 188 - 2011 compresi quelli economici ai quali la ragione medica sarà sempre più esposta. Assumere il limite ma come una possibilità è il decimo fondamentale ripensamento. A questo punto che la discussione abbia inizio, liberamente, onestamente, con convinzione, ricordando a tutti noi che di tempo se ne è già perso tanto. Bibliografia Cavicchi I. (2004), Ripensare la medicina, restauri, reinterpretazioni, aggiornamenti, Bollati Boringhieri, Torino. 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Critica della ragione medica, Teoria, XXXI/2011/1. 02Marcon 265:Layout 1 5-12-2011 11:25 Pagina 265 Sae l ute La qualità relazionale Territorio 265 N. 188 - 2011 Anna Marcon1 Francesca Bravi1,2 Dario Tedesco1 Dino Gibertoni1 Tiziano Carradori2 Maria Pia Fantini1 Patient satisfaction 1 Dipartimento di Medicina e Sanità pubblica, Università degli Studi, Bologna 2 Azienda USL, Ravenna “Q ualunque sia la diagnosi, la prognosi, la risposta alle terapie, non esistono tumori di scarsa rilevanza. Il cancro rappresenta sempre, per il paziente e per la sua famiglia ma anche per i terapeuti, una prova esistenziale sconvolgente. Questa prova riguarda tutti gli aspetti della vita: il rapporto con il proprio corpo, il significato dato alla sofferenza, alla malattia, alla morte, così come le relazioni familiari, sociali, professionali” (1). Il trattamento, in quest’ottica, deve proporsi come obiettivi principali, oltre a quelli clinici (quali guarigione, contenimento della malattia, riabilitazione), il miglioramento della qualità della vita e la riduzione del rischio di conseguenze psicopatologiche tali da condizionare la vita futura della persona con neoplasia. Su questa linea si muovono le conclusioni del documento presentato, su richiesta del National Institute of Health (NIH), dall’Institute of Medicine statunitense, in cui si afferma che “non è oggi più possibile valutare come qualitativamente valide le cure oncologiche che non affrontino i bisogni di salute psicosociale”. A ciò fa eco il documento del Council of the European Union del 23 giugno 2008 che, affermando la necessità di implementare nella cura del cancro “un approccio comprensivo, interdisciplinare e psicosociale” (art. 5), invita gli Stati membri dell’UE a considerare tra le priorità in Oncologia l’attenzione ai bisogni psicosociali (art. 19). Letti in questi termini, i diritti delle persone colpite da cancro non riguardano solo, come ribadito in molti documenti, inclusa la recente Declaration della International Union Against Cancer (UICC) o il Noncommunicable Diseases Action Plan dell’OMS, l’accesso alle cure e ai trattamenti oncologici, la promozione dei comportamenti rivolti alla salute, il potenziamento delle politiche di prevenzione e controllo, ma anche il diritto delle persone colpite dal cancro ad un’assistenza adeguata sul versante psicosociale (2). Ma quando e perché un tipo di assistenza può essere definita adeguata? Per Cifaldi et al. (3) “per offrire una buona assistenza sanitaria occorre tener conto del livello di soddisfazione dei pazienti (customer satisfaction) in termini Dall’analisi della letteratura ad alcune indicazioni di ricerca-azione in campo oncologico di qualità percepita delle prestazioni e di espressione delle loro volontà: agli occhi della collettività, il successo della prestazione medica appare non solo come corretta diagnosi ed adeguata terapia, bensì come la sommatoria di diversi fattori, quali l’accoglienza alberghiera, la competenza, l’umanità e la comprensione da parte del medico e dell’équipe assistenziale”. Dalla definizione precedente emergono due costrutti principali, quello di “qualità percepita” e di “soddisfazione dei pazienti”, che sebbene siano spesso considerati sinonimi, presentano una sostanziale differenza in quanto la qualità è determinata dal rispetto di determinati requisiti tecnico-strutturali mentre la soddisfazione è data dalla coincidenza tra le aspettative di qualità e la relativa percezione da parte dell’utenza: paradossalmente può esistere un servizio di alta qualità che non soddisfa il paziente, proprio perché non corrisponde ai sui reali bisogni (4). Ad oggi sono ancora pochi gli studi che hanno cercato di esplorare i reali bisogni, compreso il supporto psicologico delle persone con neoplasia e di verificare, di conseguenza, l’adeguatezza della risposta dei servizi sanitari e delle associazioni (5) attive in uno specifico territorio. Nella maggior parte degli studi, ci si è limitati alla rilevazione del grado di soddisfazione del paziente, che per molti autori, già fornisce “una valutazione della qualità della prestazione ricevuta” (4) e, di conseguenza, dà un feedback agli operatori sulla capacità dell’organizzazione di sintonizzarsi con i bisogni del paziente (6). La soddisfazione del paziente è diventata quindi uno degli obiettivi principali del sistema di cura tanto più che persone soddisfatte mostrano una più alta compliance alla terapia (7-8), una maggiore cooperazione con il personale sanitario, migliori esiti di salute e di qualità di vita (QoL) (9-10) e tendono a riutilizzare gli stessi Ospedali/ 02Marcon 265:Layout 1 5-12-2011 Sae l ute Territorio 266 Servizi e a raccomandarli agli altri (11-13). Una difficoltà che si riscontra nel trarre delle conclusioni dagli studi sulla soddisfazione del paziente deriva dall’ampia eterogeneità dei contributi esistenti che si differenziano rispetto al tipo di neoplasia, alla specificità della popolazione considerata (14) e ai diversi strumenti di rilevazione utilizzati (15), fatta eccezione per alcuni contributi in contesto europeo. L’European Organization for Research and Treatment of Cancer (EORTC), organizzazione internazionale no-profit deputata allo sviluppo e coordinamento della ricerca clinica sul cancro nel territorio europeo, ha infatti messo a punto e diffuso alcuni strumenti di rilevazione, validati in più lingue, utilizzabili sul territorio dell’UE al fine di permettere dei confronti inter-nazionali; significativi a riguardo sono il QLQC30 e il IN-PATSAT32 (16-17) che rilevano rispettivamente la qualità di vita del paziente con neoplasia e la qualità della cura ricevuta durante la degenza ospedaliera. Al di là di tali contributi, in una recente revisione della letteratura scientifica dal titolo Distribution and determinants of patient satisfaction in oncology (14) è stata sottolineata la difficoltà a circoscrivere il significato semantico di “soddisfazione del paziente” e, di conseguenza, a trarre delle considerazioni di carattere generale. Alla luce di queste criticità, il presente studio si propone di analizzare la letteratura scientifica al fine di: 11:25 Pagina 266 La qualità relazionale a) evidenziare il modo in cui è stata concettualizzata la patient satisfaction; b) descrivere le differenze tra i concetti di patient satisfaction e quality; c) individuare classi semantiche (cluster) trasversali. Metodologia Per rispondere alle domande di ricerca è stato strutturato uno studio qualitativo testuale sugli abstract dei lavori, reperibili nella banca dati MedLine al 5 marzo 2011. Nello specifico sono stati selezionati i lavori che avevano nel titolo la parola chiave “patient satisfaction” e nell’abstract le parole “oncology or cancer”. Ciò ha permesso di selezionare i lavori che erano direttamente ed esplicitamente centrati sul tema della soddisfazione dei pazienti in oncologia. L’analisi dei dati testuali è stata effettuata tramite il software T-LAB Pro versione 4.1 (www.tlab.it), che consente l’estrazione, la comparazione e la mappatura dei contenuti di dati testuali (18). Il corpus, classificato in base alla variabile anno di pubblicazione, comprende 116 testi-abstract e un totale di 30.986 occorrenze. Nell’analisi sono state considerate le parole con una soglia di frequenza N = 11 per un totale di N = 2.487 lemmi, ossia insiemi di parole classificate secondo i criteri linguistici definiti dalla lemmatizzazione automatica, che di norma comporta che le forme dei verbi vengano ricondotte all’infinito presente (esempio “lavorano” → “lavorare”), quelle dei sostantivi e degli aggettivi al maschile singola- N. 188 - 2011 re. Il corpus risultante è stato sottoposto ad analisi delle associazioni di parole, per individuare la rete semantica che gravita attorno a “patient satisfaction”. Come indice di associazione tra le parole è stato utilizzato il coefficiente del coseno (18). In seconda battuta, è stata utilizzata l’analisi del confronto tra parole chiave per individuare eventuali differenze tra i termini “patient satisfaction” e “quality” (18). L’intero corpus è stato infine sottoposto a cluster analysis per individuare le classi semantiche trasversali, formate da unità di contesto elementari in cui co-occorrono un certo numero di termini. Come misura della significatività della co-occorrenza delle forme verbali in ciascun cluster è stato utilizzato il test del Chi Quadrato (18). Risultati Termini associati a “patient satisfaction” Come appare dalla Fig. 1 “patient satisfaction” si associa soprattutto a termini che pongono attenzione a: – condizioni cliniche (cancer, symptom, patient, follow-up, treat); – ricerca e tentativo di misurazione (study, evaluate, measure, assess, questionnaire, outcome, investigate, baseline); – qualità (quality) di diversi aspetti (treatment; care; hospital; relationship, Qol; life). È significativo riscontrare che la parola maggiormente associata a patient satisfaction è quality, analizziamone ora le sovrapposizioni e differenze. Satisfaction e quality a confronto I risultati ottenuti dall’analisi “confronto tra parole chiave” Fig. 1. Parole associate al lemma “Patient satisfaction” e indice di associazione (coefficiente del coseno)*. * Il coefficiente ha valori compresi tra 0 e 1: coefficienti più vicini a 1 indicano maggiore associazione. 02Marcon 265:Layout 1 5-12-2011 11:25 Pagina 267 Sae l ute La qualità relazionale Territorio 267 N. 188 - 2011 hanno evidenziato una parziale sovrapposizione tra i costrutti quality e patient satisfaction. I due termini condividono infatti alcuni lemmi che fanno principalmente riferimento agli aspetti di cura della persona in termini sanitari (treatment, patient, case, reconstuction, practitioner, health-care) e psico-sociali (life, health related, EORT, treatment, heathcare) (Tab. 1). Al di là di aspetti condivisi patient satisfaction si differenza da quality perché si associa a lemmi che danno importanza agli aspetti comunicativi (consultation, doctorpatient, express, decision, ask, discuss) e clinici (diagnosis, disease, history, distress, skin sparing mastectomy, performance, colonscop, flap, pain, skin, infection). In altri termini, nella soddisfazione è basilare la comunicazione, il confronto tra paziente e operatori sociosanitari in tutte le varie fasi della storia clinica della persona (dalla diagnosi, al trattamento, alla gestione del dolore…). La qualità invece è definita in maniera univoca solo da termini che indicano la scelta (choose) del singolo (subject). Consideriamo ora nuovamente l’intero corpus testuale al fine di individuare dei cluster tematici trasversali. Cluster analysis L’analisi dei cluster è simile ad un’analisi fattoriale e permette di individuare all’interno del testo considerato delle classi semantiche principali. Nel nostro caso sono emersi 3 cluster che spiegano rispettivamente l’83,83% della varianza complessiva (cluster Tab. 1. Termini condivisi e non da “Patient satisfaction” e “Quality”. 1), l’8,42% (cluster 2) e il 7,76% (cluster 3) (Tab. 2). Il primo cluster, denominato “care satisfaction”, comprende lemmi che richiamano l’utilizzo di specifici strumenti (questionnaire, IN-PATSAT32) per rilevare la qualità percepita di alcune componenti della cura (communication, nurse, hospital, information, physician, support, consultation, doctor, practitioner). Il secondo cluster “clinical domains” comprende una serie di lemmi che fanno riferimento a specifici trattamenti (reconstruction, mastectomy, implant, prophylactic,) e condizioni sanitarie (flap, immediate, skin sparing mastectomy, breast, undergo, saline, local, skin, complication). Infine il terzo cluster “life satisfaction” include lemmi che sottendono un’attenzione alla qualità di vita percepita dalla persona (QLI, QOL, QLQC30), conside- rando gli effetti (effects, decline) che la neoplasia e la sua cura (history, treatment) hanno sul fisico (health, physical), sulla psiche (psychological), sulla vita socio-familiare (social, family, relationship). È inoltre significativo riscontrare che i tre cluster si associano diversamente alla variabile anno di pubblicazione (Tab. 2). In particolare, gli abstract del 2001 descrivono gli aspetti clinico-medici (cluster 2) connessi alla soddisfazione, quelli del 2002, 2004, 2005 pongono maggiore attenzione alla soddisfazione dai pazienti nei confronti della cura ricevuta (cluster 1); infine, è negli abstract del 2007-2008 che diventa centrale l’attenzione alla storia (history) della persone colpite da neoplasia, alla loro qualità di vita, alla percezione degli effetti dei trattamenti sulla loro quotidianità (cluster 3). Discussione Le analisi effettuate hanno evidenziato che la patient satisfaction è stata concettualizzata in modo da richiamare: a) lo studio e la ricerca scientifica che si è sviluppata attorno al costrutto ed ai suoi determinanti; b) la centralità delle relazioni, delle informazioni ricevute e della comunicazione più in generale. In particolare poi è emerso che il concetto patient satisfaction si differenzia da quello quality per la presenza di termini che fanno riferimento ad aspetti comunicativi e di scambio relazionale che dovrebbero essere presenti durante l’iter terapeutico. Queste considerazioni si pongono in linea con le recenti evidenze scientifiche, che dimostrano quanto la patient satisfaction sia influenzata dal comportamento del 02Marcon 265:Layout 1 5-12-2011 Sae l ute Territorio 268 11:25 Pagina 268 La qualità relazionale N. 188 - 2011 Tab. 2. Lemmi caratteristici dei 3 cluster e rispettivi pesi specifici. personale sanitario (medici, infermieri) (5, 14); in altri termini, pazienti soddisfatti sentono che lo staff di cura è in grado di dare da un lato considerazione e supporto emotivo (19-23) e dall’altro adeguate informazioni sulla condizione clinica e sul programma di trattamento (19, 22, 24-25). Infatti, sebbene i pazienti non siano spesso in grado di valutare realmente l’adeguatezza e solidità della diagnosi e del piano di trattamento, possono comunque verificare se si sentono soddisfatti del sostegno e delle informazioni ricevute durante tutto il percorso. Gli studi e le ricerche sulla soddisfazione del paziente oncologico quindi “danno valore ed importanza […] a quella Medicina basata sul dialogo, sul confronto, sulla relazione umana (26). In altri termini, nell’area della patologia oncologica, il messaggio che si inizia a diffondere e realizzare è che “in ogni momento del ‘cammino’ intrapreso, il malato non resterà solo, potendo egli contare sulle risorse umane e sugli strumenti terapeutici della struttura cui si è affidato” (27). In realtà è soprattutto negli abstract più recenti (dal 2007) che viene data maggiore attenzione alla persona nel suo complesso. Solo ponendo attenzione al modo in cui il paziente vive e valuta l’intero percorso di cura è possibile superare le critiche mosse nei confronti delle ricerche sulla soddisfazione in cui i pazienti e le loro famiglie giudicano i diversi servizi in maniera frammen- taria e non sulla base del loro coordinamento e della continuità dell’intera assistenza ricevuta. Un costrutto presente nella letteratura più recente è proprio quello di Continuity of Care (28), ove per continuità si intende il grado con cui una serie di eventi sanitari sono percepiti come coerenti, connessi e consistenti con i bisogni avvertiti dal paziente. Affinché un percorso sia vissuto in termini di continuità, è necessario che siano garantiti tre aspetti: informativi (informational continuity), relazionali (relational continuity), organizzativi (management continuity). L’informational continuity si riferisce alla continuità delle informazioni condivise tra gli operatori socio-sanitari che hanno in cura la persona; tali informazioni riguardano non solo lo stato di malattia, ma anche altri aspetti come le preferenze per i trattamenti. La relational continuity indica la presenza di un gruppo di professionisti che lavora con la persona e che svolge una funzione di ponte tra trattamenti passati, presenti e futuri. Questo collante garantisce che le prestazioni sanitarie siano erogate in modo complementare e tempestivo (management continuity), anche se da professionisti diversi. Nel momento in cui questi tre aspetti sono garantiti, la persona si sente accompagnata in un percorso e vengono meno quelle sensazioni di solitudine, isolamento, mancanza o scarsità di dialogo con e tra professionisti, che appesantiscono un percorso di per sé complesso. Non secondaria è inoltre la necessità di garantire la continuità di scambi e collaborazione fra servizi (siano essi sanitari che socio-sanitari) e le associazioni di familiari e pazienti che assolvono a numerose ed importanti funzioni (5, 29-30) entro la rete assistenziale. Altre ricerche sono necessarie in questa direzione perché ancora sono troppo pochi gli studi (31-33) che hanno analizzato il costrutto della continuità della cura in persone con neoplasie, ma la posta in gioco è alta perché si tratta della “[…] umanizzazione dell’intero sistema sanitario: a partire da quella dei rapporti tra équipe assistenziale e malato (34)”. 02Marcon 265:Layout 1 5-12-2011 11:26 Pagina 269 N. 188 - 2011 Bibliografia (1) Società Italiana di Psico-oncologia (1998), Standard, Opzioni e Raccomandazioni per una buona pratica in psico-oncologia, p. 3. Documento Disponibile al sito internet: http://www.siponazionale.it/ pdf_2008/LINEE%20GUIDA%20SIPO.pdf (2) Grassi L. (2009), Cancro e salute Psicologia: è nata la federazione internazionale delle società scientifiche. Quel “diritto umano” alla psiconcologica, Il Sole 24 Ore, 15-21 Settembre, p. 28. (3) Cifaldi L., Gareri R., Cristina G., Felicetti V., Gremigni U. 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(2008), La malattia oncologica tra vincoli economici ed umanizzazione, Recenti Progressi in Medicina, 99, pp. 48-51. 03Bernardini 270:Layout 1 5-12-2011 Sae l ute Territorio 270 Sarah Bernardini1 Corrado Catalani2 Simone Fini3 1 Filosofo bioeticista Direttore UO Educazione e promozione della salute AUSL 3 Pistoia 3 Coordinamento Dipartimento Processi amministrativi integrati e sviluppo servizi sociosanitari della montagna AUSL 3, Pistoia 2 L a crisi economica internazionale spinge la riorganizzazione del lavoro verso una maggior efficienza ed una riduzione dei costi di produzione. Alla perdita di posti di lavoro nell’Industria si aggiunge un incipiente processo di flessibilizzazione e precarizzazione dei rapporti di lavoro. Sono quindi rafforzate ed incrementate condizioni sociali che espongono le popolazioni coinvolte a rischi di deterioramento delle condizioni di vita e di salute. Le politiche europee e nazionali per l’integrazione sociale abbinano oltre agli obiettivi di occupazione, anche quelli di occupabilità (un percorso a fasi alterne di lavoro, formazione e non lavoro) che favoriscono, attraverso un’apposita legislazione, lo sviluppo di nuovi ruoli professionali. Un aspetto critico del caso italiano è che questo processo sia in corso nonostante gli status relativi siano incompleti riguardo alle tutele. Le carriere nel settore del lavoro a tempo determinato, occasionale, in- 10:58 Pagina 270 Organizzazione giuridico-amministrativa N. 188 - 2011 Lo sviluppo di una nuova governance terinale sembrano però essere, più che una libera scelta, una condizione subita e segnata dallo stigma dell’insicurezza del reddito e del ruolo sociale. Quanto e come incidono questi processi sulla salute? Nell’attuale situazione di mercato, sono da considerare come possibili determinanti di cattiva salute. L’impatto negativo della disoccupazione e dell’insicurezza del lavoro sulla salute psichica e fisica è ampiamente documentato da una lunga tradizione di ricerca che testimonia un’interazione complessa i cui effetti si differenziano secondo la fase e la durata del periodo di disoccupazione o di “non-lavoro”, il tipo di disoccupato o di lavoratore precario, il contesto socioculturale, la tipologia del welfare e del supporto sociale. Esso non è limitato al periodo dell’evento, ma condiziona la traiettoria di vita delle persone che lo subiscono, provocando un accumulo degli svantaggi, e si estende alla collettività. Gli effetti della crisi economico-occupazionale sul diritto alla salute e sullo Stato di diritto Questo scenario rischia di mettere in crisi il welfare e nello specifico la tutela del diritto alla salute1. Il collegamento della salute alla categoria del diritto è fondamentale; dal punto di vista istituzionale è legato strettamente alla Costituzione della Repubblica che dichiara: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti” (art. 32, comma 1). Il Sistema sanitario è indicato prospetticamente nella Costituzione come lo strumento tecnico perché tutti possano usufruire del diritto alla salute. La salute, di fatto, è una qualifica, un’aggettivazione, uno degli indicatori della vita, nel senso che per salute si indica uno stato del vivente. Secondo la definizione classica dell’OMS, la salute non è assenza di malattia. La salute è uno stato della vita che ha come eccezione l’avere una malattia. L’OMS ha definito la salute come “la perfetta fruizione di tutto ciò che ha a che fare con la vita”, è quindi l’espressione della pienezza del vivere. Il diritto alla salute è una sorta di promemoria che ci ricorda che dobbiamo entrare in un circolo di dialogo sulle cose che contano per la vita, altrimenti si rischia di accontentarsi di un linguaggio che invece di rivelare i diritti li nasconde, mettendoli in capitoli leggibili solo dagli addetti ai lavori. Il dialogo e la trasparenza verso i degenti dovrebbero essere alla base delle decisioni e delle politiche in campo sanitario. Deve essere creata una cultura che sia in grado di entrare in relazione con chi ha bisogno di cure. A. Ahs, G. Burrel, R. Westerling, Care or not care-that is the question: predictors of healthcare utilisation in relation to employment status, Int. J. Behav. Med, 2010. 1 03Bernardini 270:Layout 1 5-12-2011 N. 188 - 2011 Le origini dello Stato di diritto Lo “Stato di diritto”, espressione della dottrina dei diritti soggettivi, ha origini nella cultura europea, prima in Gran Bretagna (rule of law) poi nell’Europa continentale. Come afferma Danilo Zolo: “Il tentativo di fare del diritto positivo uno strumento di controllo del potere politico e di riduzione dell’arbitrio, pur con tutti i suoi limiti pratici e la sua crisi attuale, è un’esperienza senza uguali nel mondo e che (…) deve essere energicamente tutelata. È la garanzia di alcune libertà fondamentali delle persone, della loro autonomia nei confronti dello Stato, della responsabilità del potere politico nei confronti dei cittadini e, nello sviluppo welfarista dello Staro liberal-democratico, di alcune essenziali aspettative di sicurezza sociale da parte dei cittadini…”2. Egli sostiene inoltre che lo Stato di diritto sia privo di qualsiasi fondamento universale, ma che abbia origine da una particolare fase della storia europea. Questo non significa delegittimare la teoria e la pratica dei diritti soggettivi, ma riconoscerne il carattere fortemente storicizzato: pretenderne l’affermazione nel resto del mondo costituisce, per Zolo, “un vero e proprio imperialismo culturale”. Proprio il carattere storicizzato dello Stato di diritto ne determina un valore contestuale da difendere e tutelare. Se 10:58 Pagina 271 Sae l ute Organizzazione giuridico-amministrativa Territorio 271 l’Azienda sanitaria è quindi lo strumento fondamentale per mettere in atto il diritto alla salute quali considerazioni si possono fare su limiti e criticità correnti in grado di interferire con il raggiungimento di questo obiettivo prioritario? E quale profilo di responsabilità è tracciabile sulla base degli attuali assetti di governance? La corporate governance nelle Aziende sanitarie Il processo per l’aziendalizzazione del Servizio sanitario nazionale ha avuto inizio con il D.Lgs 502 del 1992 subendo continui adeguamenti normativi sia livello nazionale che regionale. Con il D.Lgs 229 del 1999 l’impianto organizzativo del sistema sanitario ha subìto una forte trasformazione dando un sostanziale impulso all’attuazione di un moderno servizio sanitario. Con la modifica del titolo V della Costituzione le singole Regioni hanno normato modelli spesso sufficientemente diversi l’uno dall’altro, generando, pertanto, sistemi a “velocità” diverse con luci ed ombre, che a livello di efficienza-efficacia si discostano notevolmente. Alcuni aspetti sono, comunque, univoci come, fra gli altri, quelli relativi alla corporate governance che, a tutt’oggi, rimane saldamente nelle mani quasi esclusive delle Direzioni generali. La costituzione dei Consigli dei sanitari, in maggioranza elettivi, e soprattutto dei Collegi di Direzione, avrebbero dovuto “calmierare” il potere del direttore generale, generando un sistema di governance basato sul concetto di governo clinico. Questo, in molti casi non è avvenuto, continuando le Direzioni ad avere una esclusività sulle varie nomine dirigenziali e soprattutto sui c.d. “poteri di gestione”. Infatti, a differenza di quanto avviene in tutte le altre amministrazioni pubbliche indicate nell’art. 1, comma 2, del D.Lgs 165/01 e smi, ove si applica il principio generale della separazione fra poteri di indirizzo e controllo da quelli di gestione, il D.Lgs 502 testualmente riconosce al direttore generale “Tutti i poteri di gestione…”. Ciò ha prodotto un sistema di governance basato principalmente sull’istituto della delega, ovvero di “trasferimento” della titolarità della funzione gestionale, mentre nelle altre amministrazioni con la nomina il dirigente assume già direttamente i poteri e le competenze che caratterizzano il proprio incarico. Orbene, se questo fenomeno non assume particolare rilevanza nell’esercizio diretto di professioni specifiche, in particolare quelle sanitarie, in quanto qualunque titolo professionale possieda il direttore generale non potrà mai sostituirsi nella funzione specifica di professioni “certificate”, assume caratteristiche “anomale” in un moderno governo di sistema aziendale complesso come quello sanitario. Infat- ti, avendo la possibilità di esercitare tutti i poteri di gestione, in qualunque momento, anche se con le modalità che ogni atto aziendale (Statuto) dovrebbe prevedere, potrà sempre “avocare”, “richiamare”, “assumere” qualunque funzione precedentemente “delegata” al singolo dirigente. Le conseguenze possono essere molteplici ma, quella che maggiormente interessa questa breve disamina, concerne la “precarietà” dell’esercizio gestionale da parte del soggetto formalmente responsabile della funzione, anche se questa ultima avuta per delega3. Riflessi sui processi di valutazione Questo aspetto “interventistico” può generare una linea di collegamento dirigente-direttore di forte subalternità che, qualora esercitato con frequenza, inquina non solo il sistema di valutazione, qualunque esso sia, ma soprattutto può generare nella dirigenza un senso di appiattimento e accondiscendenza. La conseguenza più diretta è proprio nel Collegio di Direzione, massimo organismo del governo clinico, i cui componenti, oltre ad essere logicamente nominati dal direttore generale, sono legati a questo ultimo dai legami relazionali sopra indicati e quindi, con poche possibilità di contrastare eventuali decisioni in qualche misura “già decise” o comunque non www.giornaledifilosofia.net, Intervista a Danilo Zolo, I filosofi e la politica/6, 17-2-2008. In merito è interessante la disamina effettuata nella Guida Normativa per l’Amministrazione Locale, Anno 2002, Collana Editoriale ANCI, Ed. CEL, Foggia, parte 54° “Il Servizio Sanitario Nazionale”, capitolo III, paragrafo 4.2, P.F. Bernacchi, F. Ciccarelli, S. Fini, M. Galligani. 2 3 03Bernardini 270:Layout 1 5-12-2011 10:58 Pagina 272 Sae l ute Territorio Organizzazione giuridico-amministrativa N. 188 - 2011 condivisibili dalla maggioranza di questo organismo. Pertanto, qualunque sistema di valutazione della dirigenza sia adottato, in particolare per i responsabili di strutture complesse, lo stesso dovrebbe tenere conto, almeno nella misurazione della performance, della presenza di fenomeni “inquinanti” che in un moderno modello di governance non dovrebbero esserci. Inoltre, il dirigente deve essere valutato sui risultati ma solo dopo aver garantito un identico ed egalitario accesso ai service aziendali, alle risorse del sistema azienda, a relazioni oggettivamente equilibrate4. In buona sostanza, in molti casi, il modello aziendale non ha favorito la diffusione dei centri decisionali, l’applicazione di principi interni di autogoverno e trasparenza, con presenza di diffuse procedure di controllo e verifica, continuando in una corporate-governance quasi di tipo “padronale” da piccola impresa familiare. In merito vi sono state alcune Regioni che hanno introdotto modelli che tendono al superamento di questi fenomeni distorsivi. Si cita solo per esempio la Regione Toscana, che ha previsto nel proprio ordinamento del Servizio sanitario la presenza di un Ufficio di Direzione, per ogni Azienda, che deve contribui- re, supportando la Direzione aziendale, per l’adozione degli atti di governo, con modalità previste nel singolo Statuto, con convocazioni a cadenza almeno mensile ed i cui pareri, sulle materie previste nello Statuto, sono obbligatori anche se non vincolanti5. Sarebbe estremamente interessante verificare nello specifico quante Aziende si sono dotate di questo strumento e di come sia utilizzato, soprattutto per applicare un sistema direzionale di governance maggiormente “diffusa”. Certo è che qualora non adottato e soprattutto allorché non utilizzato potrebbe creare diversi problemi di legittimità agli atti assunti senza l’obbligatorio parere previsto da una fonte normativa primaria, in particolare nel caso che la singola Azienda abbia indicato espressamente le materie da sottoporre a parere successivamente mai richiesto. Appare, però, importante che i vari organismi precedentemente citati, ovvero Collegio di Direzione, Ufficio di Direzione, Consiglio dei sanitari siano inseriti in un contesto direzionale fortemente “organizzato” e con definiti e strutturati rapporti relazionali, altrimenti vi è il rischio che rappresentino solo un aspetto formale del sistema aziendale senza alcuna reale valutazione “centralizzata” con forti possibilità di fenomeni inquinanti. 272 possibilità di incidere nello stesso6. Altro esempio interessante di modelli organizzativi sociosanitari che evidenziano uno sforzo del legislatore regionale al superamento di una governance monocratica e centralizzata è quello delle Società della salute, ove la governance è distribuita all’interno di una Assemblea e di una Giunta composte dalla Azienda sanitaria e dagli Enti locali di riferimento, mentre l’attività gestionale è competenza del “direttore della SdS”7. Questa ultima è una figura dirigenziale individuata congiuntamente dalla Giunta della SdS e dalla Regione. Nonostante i vari tentativi, sembra comunque persistere nelle singole Aziende un forte senso di accentramento del “potere”, ancora più evidenziabile proprio in quelle ove vi erano strumenti normativi, sia di fonte primaria che regolamentare, che tendevano a porre almeno alcuni vincoli applicando un sistema di governo maggiormente diffuso. Il sistema “valutazione” conseguentemente ne risentirà con una incidenza ancora maggiore, proprio perché si evidenzia, nelle Aziende sopra indicate, una scelta di fondo di mantenere una governance “dominante” con l’appiattimento di tutti i vari correttivi e quindi con una Le asimmetrie nel sistema aziendale Appare, infatti, come la “valutazione” – sia del singolo operatore che dell’intera struttura cui appartiene – possa essere analizzabile sotto diversi aspetti: sociologico, economico, psicologico, amministrativo, comunicazionale, in sintesi in un concetto multidisciplinare che al termine di un percorso prestabilito (durata incarico, periodo contrattuale, esecuzione progettuale), ne analizzi l’efficienza e l’efficacia misurandone gli effetti. Ora qualora la valutazione sia in qualsiasi misura “inquinata” ne consegue una sicura incertezza, quando non imparzialità del giudizio, generando asimmetrie valutative che, se non altro, produrranno sicure conseguenze sul clima interno, sui rapporti relazionali, sul benessere organizzativo. I provvedimenti normativi emanati dal ministro Brunetta si inseriscono, pertanto, in Sanità, in un contesto sicuramente più difficile di altri, con ricadute che se non ben disciplinate a livello regionale e governate dalle singole Aziende potrebbero aumentare il “disagio valutativo”. In merito vedi il concetto di “anomalie di potere” in Guida Normativa per l’Amministrazione Locale, Anno 2010, Collana Editoriale ANCI-ComuniCare, Editore EdK, Rimini, parte 52°, da p. 2334 a p. 2335, “Il Servizio sanitario nazionale”, P.F. Bernacchi, F. Ciccarelli, S. Fini, M. Sammartino. 5 LRT 40/05 e smi, art. 57. 6 Alcune osservazioni in relazione al contesto aziendale sono evidenziate in Comunicazione Interna ed Esterna degli URP, Anno 2008, Regione Toscana, a cura Agenzia per la Formazione, Maggio Giugno 2008, Raccolta relazioni docenti, da p. 48 a p. 52, parte relativa al “Contesto Aziendale”, S. Fini, corso di formazione regionale. 7 In merito vedi Guida Normativa per l’Amministrazione Locale, Anno 2008, Collana Editoriale ANCI, Ed. CEL, Foggia, parte 54° “Il Servizio sanitario nazionale”, P.F. Bernacchi, F. Ciccarelli, S. Fini, M. Sammartino, nonché la recente sentenza Corte Costituzionale 325/2010. 4 03Bernardini 270:Layout 1 5-12-2011 N. 188 - 2011 Inoltre, nel mondo aziendale sanitario esiste, da sempre, una problematica condensabile nel concetto di “Alta valutazione”, ovvero come misurare i risultati di scelte di alta strategia e come eventualmente “giudicarne” la responsabilità. Queste scelte, come precedentemente analizzato, sono fortemente ancorate al livello di Direzione aziendale, ed anche se in molti casi necessitano di una parere obbligatorio ma non vincolante da parte del Consiglio dei sanitari, o del Collegio di Direzione o, come previsto in alcune normative regionali di un altro organismo (Ufficio di Direzione), composto normalmente dai responsabili dipartimentali, la loro adozione è indissolubilmente legata alla “Direzione”, con un apporto della governance diffusa che per i motivi sopra esposti può, normalmente, essere di ben poco conto. Per comodità di esposizione si cita, ad esempio, solo le decisioni che riguardano l’organizzazione aziendale che, qualora non perfettamente funzionale potrà generare continue criticità anche a livello di gestione ordinaria del sistema. In questo caso la valutazione può andare a penalizzare il dirigente o la struttura da lui diretta quando gran parte dell’insuccesso dovrebbe gravare sul modello adottato e del quale ben poca responsabilità può essere imputata a questi ultimi. Inoltre, le imperfezioni di un sistema organizzatorio o di una strategia di Alta Direzione si evidenziano con vettori temporali ben diversi da quelli della valutazione ordinaria; 10:58 Pagina 273 Sae l ute Organizzazione giuridico-amministrativa Territorio 273 infatti l’asimmetria temporale fra la durata degli incarichi della tecnostruttura e quelli dell’ Alta Direzione, in sistemi non perfettamente equilibrati, può contribuire a generare incertezze nella valutazione e nell’individuazione delle varie responsabilità che non si identifichino con i classici canoni della responsabilità conosciuta a livello giuridico (penale, civile, amministrativa, in alcuni casi politica). Responsabilità di sistema Questa responsabilità può essere definita “di sistema” ed è in buona sostanza quella che è generata da scelte di alto livello politico-strategico e che non si manifesta direttamente in azioni o comportamenti censurabili sotto il profilo giuridico, ma che genera un terreno fertile perché azioni o comportamenti possano avere l’assenza del crisma delle tre E (efficienza, economicità, efficacia). Inoltre, l’insuccesso di questa tipologia di scelte si può manifestare, spesso, in periodi temporali medio lunghi, quindi con Alte Direzioni diverse, e con indicatori sia di natura sanitaria sia economica. Per l’adozione di un modello organizzatorio che dopo anni produce un aumento della mortalità per una certa patologia, casomai perché era stata privilegiata la risoluzione di un problema immediato, esempio creazione di una nuova struttura operativa per rispondere ad una esigenza di politica territoriale, rispetto alla strutturazione di un sistema di prevenzione di tale patologia, sarà ben difficile riuscire ad individuare una qualsiasi for- ma di responsabilità giuridica da imputare ad un soggetto. Al contrario il sistema di valutazione aziendale può esprimere un giudizio negativo sul responsabile di quella struttura in quanto l’indicatore di mortalità supera gli standard riconosciuti in letteratura. La presenza di un sistema di valutazione, anche raffinato ed avanzato tecnicamente, come ad esempio il sistema MeS della Regione Toscana, dell’Alta Direzione, difficilmente potrà rilevare una “responsabilità di sistema” generata, casomai, molti anni prima, correndo, altresì, il rischio di imputare l’insuccesso alla “nuova Direzione”. La Conferenza dei Sindaci, altro soggetto che ha il compito di esprimere valutazioni sulla Direzione, troppo spesso non ha strumenti raffinati di verifica, dovendosi, pertanto, basare su giudizi “localistici” o comunque sufficientemente legati al periodo della legislatura comunale. Inoltre, una Direzione generale, non ha direttamente una responsabilità politica di mandato, ma può solo essere “sollevata” o non rinominata da parte della Regione, senza, peraltro, particolari conseguenze se non quella, appunto, di cessare dall’incarico. Alcuni recenti episodi, che hanno avuto forte risalto anche sulla stampa, in merito a responsabilità dell’Alta Direzione sulla redazione di atti come il Bilancio aziendale, aprono nuovi scenari proprio su un’eventuale ricerca di responsabilizzazione delle Direzioni ed offriranno sicuri spazi di analisi giuridico-amministrative ai vari cultori e pro- fessionisti della materia. Responsabilità che, comunque, non potrà che essere tradotta, qualora esistente, in termini delle classiche “responsabilità giuridiche”, ovvero, in primis quella amministrativa. Questo fenomeno della responsabilità traslata nel tempo è, ovviamente, presente anche in molte altre organizzazioni, ad esempio nelle grandi imprese private, ma in questo caso tale responsabilità si concretizza in un “danno” economico (esempio minori ricavi o redditività) che l’impresa stessa subirà. Ma anche nelle Amministrazioni Pubbliche troviamo frequenti esempi di responsabilità che è possibile rilevare solo in periodi temporali sufficientemente lunghi, si cita solo per comodità di lettura l’esempio di un piano strutturale approvato da un Comune le cui conseguenze sono evidenziate negli anni successivi. In questo caso, però, la responsabilità politica in qualche misura interviene sia nei confronti della maggioranza del governo dell’Ente (il cittadino può sempre non votarla), sia nel caso di periodi temporali lunghi a livello di consenso per la parte politica che la citata maggioranza rappresentava. In Sanità, invece, la Direzione è svincolata dai fenomeni di consenso politico diretto, anche se nominata dalla Regione, e difficilmente vi potranno essere fenomeni traslativi nei confronti della parte politica che ha espresso il manager che dopo anni risulti aver errato scelte strategiche fondamentali. Da queste premesse preme fare alcune osservazioni: 03Bernardini 270:Layout 1 5-12-2011 Sae l ute Territorio 274 – Esiste una zona grigia di terreno alquanto inesplorato, definibile “responsabilità di sistema”, che si trova oltre la responsabilità giuridica strictu sensu ed oltre la responsabilità di politica aziendale valutabile dal livello politico. Questa responsabilità di sistema, i cui principali indicatori, fra gli altri, sono quelli epidemiologici rilevabili solo in vettori temporali difficilmente compatibili con la permanenza in carica di una singola Direzione. – Questa responsabilità di sistema è in qualche modo identificabile come responsabilità etica? – I Sistemi sanitari regionali raggiungono livelli di efficienza diversi anche sulla base della velocità di analisi e quindi di valutazione delle Direzioni aziendali delle loro Aziende sanitarie regionali. – Le singole Aziende dovrebbero utilizzare gli strumenti già esistenti per applicare una governance maggiormente equilibrata e soprattutto autodisciplinarsi tramite l’atto aziendale di diritto privato (Statuto); solo con una governance-corporate maggiormente in linea con i tempi attuali è possibile applicare con linearità, equilibrio, trasparenza e reale “pesatura del merito” il sistema valutativo. La governance partecipativa L’idea di una nuova governance democratica, che coinvolge gli stakeholder nei processi deliberativi di policy making, si è estesa gradualmente dal mondo accademico alla prati- 10:58 Pagina 274 Organizzazione giuridico-amministrativa N. 188 - 2011 ca politica “quotidiana”. Una gestione democratica dei processi decisionali, con una forte componente deliberativa, implica la partecipazione di tutti quegli stakeholder che prevedibilmente subiranno l’impatto della decisione. Un ruolo importante è giocato dalla presenza e dal coinvolgimento di comunità che costituiscono il complesso mosaico della società contemporanea; sono di grande influenza sulla percezione del rischio da parte del pubblico e contribuiscono a creare nei cittadini la fiducia per operare come cittadini attivi. Il Consiglio europeo intende approfondire e ampliare il lavoro con la società civile organizzata, verso un sistema in continua evoluzione, capace di adattarsi alle sfide della società moderna. Nonostante il favorevole contesto democratico europeo di questo periodo, buona parte dei Paesi si trova, operando attraverso le Istituzioni e le procedure tradizionali, in una crescente difficoltà su questo tema. Nel 2004 la Conferenza del Consiglio europeo The future of democracy in Europe è stata un’opportunità per affrontare questa difficile questione della democrazia contemporanea e dibattere nuove proposte per una riforma democratica. La raccolta Reflections on the future of democracy in Europe, Council of Europe, 2005, contiene la maggior parte dei contributi di questa Conferenza. Le questioni scientifiche e tecnologiche hanno un ruolo essenziale nella nostra società e le controversie che accendono i dibattiti pubblici nelle società industrializzate, sempre più Queste difficoltà, che sono sovente la conseguenza di esperienze non di successo nella governance del rischio, aggiungono complessità nel contesto del processo decisionale. Si assiste ormai da anni a questa parte ad una svolta dall’approccio tecnocratico tradizionale verso un approccio che porti alla creazione di mutua fiducia. In Europa una spinta verso questa direzione è stata data anche dalla pubblicazione White Paper on European Governance, che fra gli altri obiettivi, indica la necessità di democratizzare la conoscenza scientifica in particolare nelle aree sensibili della salute e della sicurezza. Nel Summary Report of the 3rd Villigen Workshop, 2003 il paragrafo Practical Guidance on Stakeholder Parteicipation in Radiological Decision Making presenta un elenco di domande che emergono quando ci si confronta con la necessità di coinvolgere gli stakeholder e alle quali tenta di dare delle risposte: – Quando dovrebbero essere coinvolti gli stakeholder? – Chi degli stakeholder deve essere coinvolto nella partecipazione? – In che cosa si differenzia la partecipazione degli stakeholder da quanto viene fatto normalmente? – In quali fasi è prevista la loro partecipazione? – Quanto estesa deve essere la loro partecipazione? – Quale tipo di questioni può essere discusso all’interno di un processo partecipativo? – Chi è responsabile o chi sono i responsabili? spesso chiamano in causa la scienza e le sue applicazioni, che si trovano quindi sempre più spesso presenti nelle agende dei vari Governi. Tuttavia, in genere, la discussione non si focalizza sulla soluzione tecnico-scientifica della controversia, bensì sul confronto fra”idee del mondo” in cui valori e ragioni di natura sociale, culturale, politica,legale, etica o religiosa giocano un ruolo fondamentale. La comunità scientifica si trova in contatto con quella politica, quella economica e con il pubblico e quando una questione scientifica diventa un argomento per la società, sulla stessa si addensano elementi di opinione di carattere etico, culturale, politico o economico, che assumono valenze importanti quanto il punto di vista scientifico. I processi decisionali considerano quindi, oltre alle ragioni scientifiche, altri tipi di ragioni che sono espressione degli attori sociali Le difficoltà incontrate nel processo decisionale tradizionale si possono riassumere in: – una generale perdita di fiducia da parte degli attori non coinvolti; – il riconoscimento di una distribuzione non equa del rischio nella vita del pubblico; – l’erosione della credibilità e legittimazione dei decisori e degli esperti; – un crescente sospetto da parte del pubblico nei confronti dello sviluppo tecnologico; – l’erosione di credibilità fra gli stessi stakeholder, gli esperti e gli amministratori. 03Bernardini 270:Layout 1 5-12-2011 N. 188 - 2011 – Quando questo funziona e quando non funziona?8 Emergono quindi una serie di criteri qualificanti che possono essere di aiuto per impostare un processo partecipativo di risk governance applicabile nella maggior parte dei contesti: – dare autorità agli individui e gruppi coinvolti; – operare in una atmosfera di mutuo rispetto e fiducia; – creare le condizioni affinché gli stakeholder facciano proprie le rilevanti evidenze scientifiche; – fornire feed-back agli stakeholder coinvolti nelle decisioni prese; – essere riconosciuti come legittimati e moralmente probi da parte degli stakeholder; – produrre decisioni e strategie che siano flessibili e aperte a possibili revisioni nel tempo; – indurre una cultura condivisa di risk governance fra gli attori coinvolti. 10:58 Pagina 275 Sae l ute Organizzazione giuridico-amministrativa Territorio 275 Viene inoltre suggerita un’ applicazione step by step del processo decisionale, in cui si riconoscono una prima fase di decision framing e una seconda di decision taking. La prima fase, descritta come un dialogo aperto e libero, ha l’obiettivo di creare una condizione tale da dare a tutti gli attori la possibilità di farsi un’idea del problema al vaglio e la possibilità quindi di vedere e valutare le possibili opzioni. Questa parte del processo è anche utile per identificare le categorie di attori locali, nazionali e internazionali da coinvolgere e comprende l’identificazione iterativa delle questioni e delle loro diverse dimensioni (sanitaria, economica, sociale, etica, tecnica, politica…). Contribuisce inoltre a definire basi comuni e affidabili di conoscenze fra tutti i partecipanti al processo. La fase finale del processo, quella di decision taking è principalmente a carico di chi ha la responsabi- Bibliografia Commission of the European Communitties (2000), White Paper on European Governance. Enhancing democracy in the European Union, Brussels, October 2000, SEC 2000 1547/7. Comunicazione Interna ed Esterna degli URP, Anno 2008, Regione Toscana, a cura Agenzia per la Formazione, Maggio Giugno 2008, Raccolta relazioni docenti, da p. 48 a p. 52 , parte relativa al “Contesto Aziendale”, S. Fini, corso di formazione regionale. Ahs A., Burrel G., Westerling R. (2010), Care or not care-that is the question: predictors of healthcare utilisation in relation to employment status, Int. J. Behav. Med. Guida Normativa per l’Amministrazione Locale, Anno 2002 Collana Editoriale ANCI, Ed. CEL, Foggia, parte 54° “Il Servizio Sanitario Nazionale”, capitolo III, paragrafo 4.2, P.F. Bernacchi, F. Ciccarelli, S. Fini, M. Galligani. Guida Normativa per l’Amministrazione Locale, Anno 2008 Collana Edi- lità di prendere la decisione. È necessario sottolineare che ad una partecipazione nella fase di decision framing è raramente associata la partecipazione nel decision taking ovvero che la governance inclusiva non significa necessariamente che debba essere presa una co-decisione. Inoltre, promuovere la fiducia nelle autorità, negli esperti, nonché nei percorsi decisionali stessi, richiede tempi lunghi; l’inclusività non può essere vista come una situazione statica, ma piuttosto come un work in progress; che i frutti degli sforzi fatti devono essere valutati solo a lungo termine e che la qualità dei risultati ottenuti in processi decisionali complessi o in ambiti sociali complessi,dipende da una serie contestuale di fattori e di modalità di sviluppo del processo. Lo sviluppo di una nuova governance ridefinisce i confini del modello decisionale tradizionale aprendo nuovi ruoli ad attori vecchi e nuovi. La principale implicazione di questa nuova prospettiva è che il singolo individuo si trova coinvolto in un circuito di posizionamenti etici in cui i valori, i comportamenti, i modelli culturali sono veicolati attraverso il coinvolgimento e il dialogo con tutti i referenti contestuali. Si mettono in discussione i propri punti di vista con altri referenti del mondo sociale e attraverso la comunicazione si ricercano obiettivi condivisi. L’azione individuale si inscrive così in un quadro di consapevolezza degli effetti delle proprie azioni, delle regolazioni del comportamento in considerazione del fatto che ha implicazioni e conseguenze ad un livello extra-individuale, collettivo, sociale. Se l’individuo agisce responsabilmente in un ambiente che produce comportamenti responsabili il circolo virtuoso della responsabilizzazione è destinato ad autoalimentarsi. toriale ANCI, Ed. CEL, Foggia, parte 54° “Il Servizio Sanitario Nazionale”, P.F. Bernacchi, F. Ciccarelli, S. Fini; M. Sammartino, nonché la recente sentenza Corte Costituzionale 325/2010. Guida Normativa per l’Amministrazione Locale, Anno 2010 Collana Editoriale ANCI-ComuniCare, Editore EdK, Rimini, parte 52°, da p. 2334 a p. 2335 “Il Servizio Sanitario Nazionale”, P.F. Bernacchi, F. Ciccarelli, S. Fini, M. Sammartino. La Codeterminazione nel Sistema della Partecipazione Aziendale in Germania, Hans Bockler Stiftung. Practical Guidance on Stakeholder Parteicipation in Radiological Decision Making, in Stakeholder Participation in Radiological Decision Making: Processes and Implications. Summary Report of the 3rd Villigen Workshop, October 2003, NEA/OECD Paris 2004. Reflections on the future of democracy in Europe, September 2005, Council of Europe, www.coe.int. www.giornaledifilosofia.net, Intervista a Danilo Zolo, I filosofi e la politica /6, 17-2-2008. Recenti esperienze di governance partecipative sono state messe in atto con successo anche economico in Germania, La Codeterminazione nel sistema della partecipazione aziendale in Germania, Hans Bockler Stiftung. 8 04MONOGR_present 276(277):Layout 1 5-12-2011 10:59 Pagina 276 Una salute differente SALUTE E MEDICINA DI GENERE Le diseguaglianze e l’epidemiologia delle differenze La prospettiva cui fare riferimento nella pratica clinica La necessità di una cultura della diversità fra i professionisti della salute Linee guida e percorsi assistenziali I Servizi sociosanitari dedicati alla persona L’opportunità di rivedere la prescrizione ed il consumo dei farmaci attualmente non diversificata per genere Monografia a cura di Lucia Turco e Claudia Capanni Centro studi Salute di genere – Azienda sanitaria Firenze [email protected] 04MONOGR_present 276(277):Layout 1 N. 188 - 2011 5-12-2011 10:59 Pagina 277 Sae l ute Salute e Medicina di genere Territorio 277 Presentazione L’approccio di genere alla salute è una importante innovazione. Il genere è un determinante di salute e da tempo l’Organizzazione mondiale della sanità, le Conferenze internazionali sulla salute e le Direttive dell’Unione europea raccomandano di considerare e promuovere la prospettiva di genere nella erogazione delle cure mediche e dei servizi sanitari. Vi sono importanti “differenze di genere” nella salute e nella malattia, nei comportamenti e nel ricorso all’assistenza sanitaria. Vi sono profonde differenze nella epidemiologia, nei fattori di rischio, nella fisiologia e fisiopatologia, nella modalità di insorgenza delle malattie, nella risposta ai farmaci. Le donne sono da sempre paradossalmente sottostimate nelle sperimentazioni farmacologiche e negli studi clinici. Di conseguenza, le cure mediche rivolte alle donne sono compromesse da un vizio di fondo: i metodi utilizzati nelle sperimentazioni farmacologiche e cliniche e la successiva analisi dei dati risentono di una prospettiva maschile che sottovaluta le variabili sesso-genere. La ricerca biomedica e la letteratura scientifica in questo settore danno ogni giorno più evidenza al ruolo del determinante genere nella salute. Nonostante ciò l’approccio di genere rimane una criticità. I professionisti e il mondo sanitario non hanno ancora oggi le conoscenze e gli strumenti per affrontare questo aspetto. Riconoscere le differenze biologiche, anche quelle relative alla dimensione sociale e culturale del genere, è essenziale per delineare programmi ed azioni, per organizzare l’offerta dei servizi, per indirizzare la ricerca, per analizzare i dati statistici, per giungere a decisioni cliniche basate sull’evidenza sia nell’uomo che nella donna. Un Centro studi per la Salute di genere è quanto concretamente è emerso dagli operatori che si sono impegnati in questo settore ed è il percorso che l’Azienda Sanitaria di Firenze sta esplorando per dare una risposta integrata, sostenuta dalla Medicina basata sull’evidenza, per rispondere alle molte domande ancora aperte e per favorire quel percorso che lo scenario disegnato sta fortemente chiedendo. Con questa monografia abbiamo cercato, con l’apporto di discipline scientifiche ed umanistiche, di dare uno spaccato e spunti di riflessione su questa ampia tematica, auspicando di portare un contributo di conoscenza. Ringrazio tutti gli autori per la collaborazione e per la grande partecipazione a questa iniziativa. Un particolare ringraziamento a Flavia Franconi “pioniera” e grande esperta di questa materia, per la passione e l’entusiasmo che ci ha saputo trasmettere accompagnandoci in questo percorso. Lucia Turco Responsabile Centro studi Salute di genere Azienda sanitaria Firenze 05Canavacci 278:Layout 1 5-12-2011 Sae l ute Territorio 278 Laura Canavacci Segreteria scientifica della Commissione regionale di Bioetica - Regione Toscana Because of the numbers of people involved and the magnitude of the problems, taking action to improve gender equity in health and to address women’s rights to health is one of the most direct and potent ways to reduce health inequities and ensure effective use of health resources. World Health Organization, 20071 I l principio di eguaglianza di tutti gli esseri umani è uno dei capisaldi sui quali le società occidentali hanno costruito le proprie identità moderne, il fondamento per la realizzazione dello Stato di diritto e l’organizzazione democratica degli Stati. La stessa idea di eguaglianza è centrale in tutte le teorie filosofiche della moralità 2, nonché importante riferimento per le principali confessioni religiose. A tale principio si ispirano la nostra Costituzione (art. 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito 11:01 Pagina 278 Salute e Medicina di genere N. 188 - 2011 Le diseguaglianze della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”); i più importanti codici etici internazionali (Dichiarazione universale dei diritti umani, art. 1: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”; Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, capo terzo, art. 21: “È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali”); e, per quel che concerne l’ambito della salute, i codici deontolo- Un approccio complessivo per superare tutte le diversità di tutela della salute fra i generi gici (Codice di deontologia medica, art. 3: “Dovere del medico è la tutela della vita, della salute fisica e psichica dell’Uomo e il sollievo dalla sofferenza nel rispetto della libertà e della dignità della persona umana, senza distinzioni di età, di sesso, di etnia, di religione, di nazionalità, di condizione sociale, di ideologia, in tempo di pace e in tempo di guerra, quali che siano le condizioni istituzionali o sociali nelle quali opera”) e i principali indirizzi etici internazionali (Dichiarazione universale sulla Bioetica e i diritti umani dell’UNESCO, art. 21: “Si deve rispettare la fondamentale uguaglianza di tutti gli esseri umani in dignità e diritti, così che tutti siano trattati in modo giusto ed equo”). Anche solo riflettendo su questo incompleto e sommario elenco, appare evidente come il principio di eguaglianza, più che un valo- re descrittivo (ricordare la comune appartenenza al genere umano), possieda invece un valore normativo, ovvero vincoli all’esercizio dell’uguaglianza come indicatore del grado di civiltà cui una società è giunta: le differenze che caratterizzano ciascun individuo come unico e differente da tutti gli altri, non possono dare ragione ad una sua discriminazione sul piano del riconoscimento dei diritti che gli appartengono come essere umano e cittadino, e obbligano invece la società ad un impegno attivo per la rimozione di quegli ostacoli che, proprio in ragione delle differenze, dovessero limitarne la libertà di esercizio. Il rapporto tra uguaglianza e differenza, tema centrale di tanta riflessione delle donne, non è di opposizione, poiché l’eguaglianza si oppone alle diseguaglianze e non alle differenze3. L’eguaglianza, infatti, World Health Organization (2007), Unequal, unfair, ineffective and inefficient - gender inequity in health: why it exists and how we can change it, Final report of the Women and Gender Equity Knowledge Network of the Commission on Social Determinants of Health, Geneva. 2 I. Carter, L’idea di eguaglianza, Feltrinelli, Milano 2001, con saggi di R.J. Arneson, R. Dworkin, T. Nagel, A. Sen, B. Williams. 3 “Rivendicata l’esistenza di due sessi come fonte di una nuova comprensione del mondo e di un nuovo ordine sociale, si è pensato, con un certo 1 05Canavacci 278:Layout 1 5-12-2011 11:01 Pagina 279 Sae l ute Salute e Medicina di genere Territorio 279 N. 188 - 2011 non cancella le differenze, poiché esse fanno parte della sua stessa ragion d’essere: ma se riconosciamo il valore delle differenze, in che cosa allora siamo tutti eguali4? Per il solo ambito di cui ci stiamo occupando, la salute (che è già imbarazzante parlare di temi come questi che portano al seguito millenni di storia della riflessione filosofica), l’obiettivo da raggiungere per tutti è quello indicato già nel Preambolo all’atto costitutivo dell’OMS (1946): “il possesso del miglior stato di salute che è capace di raggiungere costituisce uno dei diritti fondamentali di ogni essere umano, quali che siano la sua razza, la sua religione, le sue opinioni politiche, la sua condizione economica e sociale”, laddove per salute si intendeva e si intende “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale”, e non solo l’assenza di malattia o di infermità. Un obiettivo alto, dunque, soprattutto se si considera che, come precisato nel 1986 dall’OMS nella Carta di Ottawa, godere della salute significa anche essere in grado di identificare e realizzare le proprie aspirazioni, soddisfare i propri bisogni, modificare l’ambiente o adattarvisi. Un concetto, quello di salute, che negli ultimi anni è stato spesso riletto alla luce delle riflessioni del premio Nobel Amartya Sen e della studiosa Martha Nussbaum5, nella prospettiva delle “capacità umane”, ovvero di ciò che le persone sono effettivamente in grado di essere e di fare, e che devono essere accresciute per produrre salute o, laddove compromesse, ripristinate con interventi di cura. La salute di fronte alla quale siamo, o dovremmo essere, tutti eguali, è dunque una risorsa della vita quotidiana di pertinenza non esclusiva del settore sanitario, i cui requisiti devono essere visti in un’ottica intersettoriale 6 e promossi al fine di mantenere, promuovere o migliorare lo stato di “salute possibile” di ciascuno che, tuttavia, non potrà che essere diverso da soggetto a soggetto. Rispetto alla salute, dunque, quali e quante diseguaglianze è possibile accettare7. Non tutte le diseguaglianze di salute, infatti, sono inique: alcune di- pendono dalla variabilità biologica, altre dal caso o da comportamenti che sono liberamente scelti da coloro che ne sono poi danneggiati. Quelle che creano responsabilità collettiva, invece, sono le differenze non necessarie, prevedibili, evitabili e dunque ingiuste8. Non intervenire su tali differenze è fonte di ingiusta discriminazione proprio perché fare parti uguali tra persone differenti, senza tentare di correggere o compensare gli svantaggi, viola il principio etico di eguaglianza dei diritti. La questione dell’equità nelle opportunità di godere di una buona salute è un tema centrale per la sanità pubblica che, negli ultimi decenni, ha focalizzato in particolare la propria attenzione sull’analisi di quelle diseguaglianze che caratterizzano, anche se con profili differenti, tutte le società: mi riferisco alle differenze di salute tra uomini e donne9. Il tema delle differenze tra uomini e donne si è inserito nel dibattito sui diritti delle donne e nella riflessione femminista già dagli anni ’80, quando l’approccio basato sulla rivendicazione della parità dei diritti, pur avendo conseguito fondamentali risultati nella conquista dei diritti fondamentali per le donne, mostrò il proprio limite proprio nella incapacità di fare luce sulle differenze che caratterizzano la biologia e il vissuto femminile, mancando quindi di riconoscerne le peculiarità e avvalorando un processo di assimilazione nel quale le donne non si riconoscevano e fallivano nel tentativo di realizzarsi e di realizzare il proprio potenziale di salute10. Le differenze tra uomini e donne, come è ovvio, sono in parte da riferire al sesso, ovvero a quelle caratteristiche biologiche e fisiologiche che differiscono tra i sessi; ma in larga parte esse dipendono dall’insieme dei ruoli sociali, storicamente prodotti, che caratterizza i due sessi: è in questa seconda prospettiva che si parla di diseguaglianze di genere, di quelle differenze che spesso penalizzano il mondo femminile e che sono appunto condizionate da fattori ambientali e culturali e eccesso di ingenuità, che la differenza fosse una novità epistemologica tale da superare l’eguaglianza come principio etico-politico della convivenza, e addirittura da inficiarne il valore normativo. Si è visto nell’eguaglianza il valore che di per sé cancella le differenze e occulta l’esclusione: lo strumento di un accordo tra maschi per escludere le donne dalla cittadinanza. (…) Come ha osservato Sylviane Agacinski, si tratta di un errore filosofico: la differenza si oppone all’identità, non all’eguaglianza; l’eguaglianza si oppone alla diseguaglianza, non alla differenza”. C. Mancina, Oltre il femminismo, Il Mulino, Bologna 2002, pp. 8-9. 4 A.K. Sen, Eguaglianza, di che cosa?, in Scelta, benessere ed equità, Il Mulino, Bologna 1962. 5 A.K. Sen, Capabilities and Commodities, Elsevier, Amsterdam 1985; M. Nussbaum, A.K. Sen (eds.), The Quality of Life, Oxford University Press, Oxford 1993. 6 Si veda la Dichiarazione La salute in tutte le politiche, Conferenza dei Ministri della salute dei 27 Paesi della UE, Roma, 18 dicembre 2007. 7 C. Arnsperger, P. Van Parijs, Quanta disuguaglianza possiamo accettare?, Il Mulino, Bologna 2003. 8 Comitato Nazionale per la Bioetica, Orientamenti bioetici per l’equità nella salute, 2001; M. Whitehead, The concept and principles of equity and health, International Journal of Health Services, 22 (3), 1992, pp. 429-45. 9 W.A. Rogers, Feminism and public health ethics, Journal of Medical Ethics, 32, 2006, pp. 351-4. 10 R. Braidotti, Il paradosso del soggetto femminile femminista. Prospettive tratte dai recenti dibattiti sulle gender teorie, in Aa.Vv., La differenza non sia un fiore di serra, Franco Angeli, Milano 1991; M.L. Boccia, C. Buffa, L’eclissi della madre, Nuove Pratiche, Milano 1998; F. Restaino, A. Cavarero, Le filosofie femministe, Paravia, Torino 1999; F. Sartori, Differenze e diseguaglianze di genere, Il Mulino, Bologna 2009. 05Canavacci 278:Layout 1 7-12-2011 12:46 Pagina 280 Sae l ute Territorio Salute e Medicina di genere da quei costrutti sociali che determinano, diversamente per ciascuna società e nei diversi periodi, i ruoli, i comportamenti, le attività e le qualità adeguati alle donne e agli uomini. Le diseguaglianze di genere, associate ad altri determinanti, come le condizioni socio-economiche11, l’età o l’etnia, producono in tutto il mondo diseguaglianze nello stato di salute di uomini e donne e nell’accesso alle cure mediche, che, sistematicamente, si traducono in perdita di salute per le donne e loro minore capacità di accesso alle risorse di salute 12 . Tali caratteristiche variano di luogo in luogo e non sono statiche nel tempo: ciò spiega la complessità di un’analisi di genere finalizzata alle politiche sanitarie, ma anche il forte impegno che in questo settore deve essere profuso, poiché, in ragione del gran numero di persone coinvolte e del ruolo cruciale che le donne svolgono all’interno delle società (anche come “health provider” formali e informali), contenere le diseguaglianze di genere significa mirare ad un sostanziale miglioramento dell’equità in salute e ottenere un effettivo guadagno in salute per tutti, bambini, uomini e donne. Per le ragioni sopra riportate assistiamo negli ultimi anni ad una straordinaria proliferazione di documenti e programmi d’azione prodotti dalle principali organizzazioni internazionali che, affiancati alla sterminata letteratura in tema di gender studies e diseguaglianze di genere, rende ad oggi assai ricco il panorama in materia. A fronte di tale ricchezza nella riflessione teorica e programmatica, si riscontra però una realtà ancora fortemente sfavorevole alle vita e alla salute delle donne13: nel mondo le donne sono ancora più povere, meno istruite, con minor reddito, con minori diritti civili. Anche nei Paesi ad alto sviluppo come il nostro, la maggioranza delle donne resta ancora esclusa dai luoghi decisionali delle istituzioni, della politica, della produzione. Per quanto concerne la salute, le donne vivono mediamente più a lungo degli uomini, ma non vivono vite più sane e gli anni guadagnati rispetto alla vita degli uomini sono spesso afflitti da malattia e disabilità. Vi sono condizioni (come la gravidanza e il parto) che riguardano solo le donne e che le espongono a rischi gravi per la salute e la vita e che ancora oggi sono affrontate con non sufficiente attenzione ai bisogni specifici delle donne (per non considerare 280 N. 188 - 2011 la loro sistematica medicalizzazione e commercializzazione). Altre malattie colpiscono sia gli uomini che le donne, ma hanno un impatto maggiore sulle donne sebbene non siano affrontate dai sistemi sanitari con una prospettiva adeguata alle specificità femminili. Altre malattie, infine, colpiscono egualmente uomini e donne, ma vedono queste ultime in maggiore difficoltà nell’accedere alle cure necessarie. Inoltre, le diseguaglianze di genere limitano sostanzialmente la capacità delle donne di proteggere e promuovere la loro salute. Senza considerare poi la condizione delle donne che vivono nei Paesi a basso sviluppo, nei quali, sebbene molti programmi siano avviati e molto sia stato fatto, la salute delle donne è ancora un obiettivo in larga parte mancato (il 99% delle morti per parto ogni anno avviene nei Paesi in via di sviluppo, dato questo che fa riflettere su quanto debba ancora essere fatto in materia di morti evitabili). A rendere ancora più complesso il lavoro per affrontare e contenere le iniquità generate delle differenze di genere concorre poi la difficoltà di disporre di dati aggiornati e attendibili sulle condizioni, le malattie e le cure riguar- danti le donne: è il caso della sperimentazione clinica, che, per ragioni ben note, manca sistematicamente di arruolare un numero sufficiente di donne e che soffre sostanzialmente di una visione improntata all’universo maschile che la rende incapace di progettare la ricerca in modo utile a far luce sulle specificità femminili. Più in generale, la Medicina nel suo complesso e i Sistemi sanitari, sono strutturati coerentemente al sistema di potere proprio delle società nelle quali operano, e, come queste, adottano obiettivi, metodologie, strumenti non rispondenti ai bisogni propri delle donne. Il danno di salute derivante dalle iniquità di genere, è subìto dalle donne soprattutto quando divengono anziane: considerati gli effetti della transizione demografica ed epidemiologica, nonché quelli economici e sociali della crisi che stiamo attraversando (ricordiamo che, in tutte le situazioni di conflitto, di crisi o di emergenza, le donne pagano un tributo di salute più alto degli uomini), appare ancora più chiaro perché l’OMS, e con lei tutte le maggiori organizzazioni internazionali14, abbiano individuato in questo settore una vera e propria emergenza. È certamente vero che anche 11 N.E. Moss, Gender equity and socioeconomic inequality: a framework for the patterning of women’s health, Social Science a Medicine, 54, 2002, pp. 49-661. 12 WHO, Karolinska Istitutet, Unequal, Unfair, Ineffective and Inefficient. Gender Inequity in Health: Why it exists and how we can change it, 2007. Final Report to the WHO Commission on Social Determinants of Health. WHO, Women and health: today’s evidence tomorrow’s agenda, 2009; European Communities, Data and information on women’s health in the European Union, 2009. 13 In aggiunta ai documenti già segnalati in nota 12, si legga, per lo specifico dell’Italia: Ministero della Salute, Primo rapporto sui lavori della Commissione “Salute delle donne”, 2008; Ministero della Salute, La salute delle donne. Un diritto in costruzione, 2008. 14 Si veda, ad esempio, The World Bank, World development report 2012. Gender equality and development, Washington DC 2011. 05Canavacci 278:Layout 1 5-12-2011 11:01 Pagina 281 Sae l ute Salute e Medicina di genere Territorio 281 N. 188 - 2011 la Medicina ha preso atto della necessità di riorientare le proprie conoscenze e i propri strumenti in una dimensione più responsabile rispetto alle diseguaglianze di genere: la Medicina di genere, infatti, nasce proprio con l’intento di studiare le differenze tra uomini e donne, non solo quelle anatomo-fisiologiche, ma anche le differenze biologiche, funzionali, psicologiche, sociali e culturali che caratterizzano le malattie e la risposta alle cure. Allo stesso modo anche la Sanità pubblica e i Governi degli Stati cominciano a raccogliere la sfida alla salute rappresentata dalle differenze di genere, spinti in questa direzione da una pressione sempre più costante da parte dell’OMS15. In tutti i settori, dunque, tanto scientifici che politici, è ormai evidente come sia necessario identificare, studiare e orientare gli interventi in modo tale da fronteggiare le iniquità derivanti dai differenti ruoli svolti da uomini e donne e dell’iniqua divisione del potere tra i due, al fine di ridurre le conseguenze negative di queste diseguaglianze sulla vita, la salute e il benessere delle donne. Adottare una prospettiva di genere, tuttavia, non significa unicamente aggiungere dati e obiettivi di genere alla normale programmazione (scientifica o politica che sia); non significa neppure creare nuove specializzazioni o nuovi uffici preposti. Pensare il genere implica infatti un cambiamento paradigmatico che vincola ad adottare sempre un’ottica differenziata, per uomini e donne, e per singoli individui. Se poi, al momento attuale, l’acquisizione di dati disaggregati per genere e di conoscenze specifiche relative alle condizioni della donna costituiscono un primo passo necessario, l’obiettivo deve tuttavia essere molto più ampio: accanto alla lotta per la difesa dei diritti delle donne e per il riconoscimento della loro piena cittadinanza e l’accesso ai ruoli di leadership, vi sono altre strategie ormai consolidate e che devono essere sempre tenute in considerazione. In primo luogo l’idea di empowerment delle donne: aumentare la capacità delle donne di compiere scelte consapevoli per la loro salute e di trasformare tali scelte nelle azioni e nei risultati voluti16. Associata all’idea di empowerment vi è poi quella strategica di gender mainstreaming 17 : tale approccio nasce dalla consapevolezza che nessuna strategia tecnica sarà mai sufficiente a migliorare la condizione delle donne a meno che non si contrasti la discriminazione e l’iniquità che permea la struttura dei Governi e delle Organizzazioni, anche quelle sanitarie: ciò implica che l’attenzione al genere sia praticata in ogni intervento o azione, mediante una sistematica analisi di genere (che comporta anche un bilancio di genere sull’impatto degli interventi, delle strategie e delle politiche) e un impegno costante per bilanciare in maniera equa tra uomini e donne il potere e la distribuzione delle risorse utili per la salute. Un tale obiettivo implica ripensare completamente l’attività di ciascuno e i propri progetti, poiché richiede che la prospettiva di genere non sia più il fine, ma il mezzo con cui si costruisce l’azione stessa 18. Tutti gli operatori sanitari dovrebbero dunque avere le conoscenze necessarie e la consapevolezza di come il genere agisce sulla salute e, in ogni intervento, quando appropriato, prendere in considerazione le questioni di genere al fine di rendere più efficace ed equa la loro azione: questo non è solo un indirizzo operativo, sempre più necessario, ma anche un imperativo etico che esorta ciascuno all’assunzione di una specifica responsabilità, nell’accezione anglosassone di accountability: superare l’apparente neutralità delle politiche e degli interventi, dando conto delle differenze e soprattutto delle diseguaglianze inique che possono essere superate. WHO, ‘En-gendering’ the Millennium Development Goals (MDGs) on Health, 2003; WHO, Strategy for integrating gender analysis and actions into the work of WHO, 2007; The World Health Assembly, Resolution WHA60.25 on the Strategy for integrating gender analysis and actions into the work of the World Health Organization (WHO Gender Strategy), 2007; WHO, How can gender equity be addressed through health systems?, 2009; WHO, Human rights and gender equality in health sector strategies: how to assess policy coherence, 2011. 16 Per l’uso di questo concetto applicato quale strategia di promozione femminile, si veda la Quarta conferenza mondiale sulla condizione della donna nel mondo, tenutasi a Pechino nel settembre 1995. 17 WHO, Mainstreaming gender equity in health: the need to move forward. Madrid statement, 2001; WHO, Gender mainstreaming in WHO: where are we now: report of the baseline assessment of the WHO gender strategy, 2011; WHO, Human rights and gender equality in health sector strategies: how to assess policy coherence, 2011; WHO, Gender mainstreaming for health managers: a practical approach, 2011. 18 T. Agostini, Alle radici della disuguaglianza. Manuale di pari opportunità, Marcianum Press, Venezia 2011. 15 06Cipriani 282:Layout 1 5-12-2011 Sae l ute Territorio 282 Francesco Cipriani Coordinatore Osservatorio di Epidemiologia Agenzia regionale di Sanità della Toscana [email protected] T ra gli epidemiologi è regola consolidata analizzare ed interpretare i dati dei loro studi descrittivi o analitici separatamente per maschi e femmine. L’esperienza insegna, infatti, che le statistiche sulla distribuzione dell’insorgenza e degli esiti di molte condizioni patologiche differiscono spesso per genere. Con variazioni che tendono a essere più marcate nelle età che corrispondono al periodo fertile femminile, di meno in età prepubere e dopo i 50 anni. Scorriamo le evidenze più macroscopiche. Anche se di poco, nascono sempre ed ovunque più maschi che femmine. Ma già in età adulta – intorno ai 40 anni – le femmine in Italia sorpassano numericamente i maschi, staccandoli con inesorabile progressione con l’avanzare dell’età, tanto che quelle che arrivano a dopo gli 80 anni si ritrovano ad essere il doppio dei maschi. È un dato demografico storicamente consolidato: le donne muoiono meno degli uomini. Dunque vivono di più. Mediamente ad oggi oltre 5 anni in più dei maschi. Perché nel corso della vita hanno mantenuto stili di vita e comportamenti più adeguati e moderati o anche perché biologicamente avvantaggiate. Almeno quelle 11:02 Pagina 282 Salute e Medicina di genere N. 188 - 2011 Epidemiologia delle differenze che nei Paesi ad economia avanzata superano senza problemi gravidanze e maternità. Qualcosa forse di scritto nel braccio corto che l’uomo ha perso nel suo Y. Forse meccanismi filogenetici di protezione che hanno a che fare con la perpetuazione della specie. In ogni caso, oggi una neonata può attendersi di vivere almeno 84 anni se nata in Italia e quasi 85 se nata in Toscana, mentre un neonato italiano può contare su 79 anni, e qualche mese in più se toscano (Grafico 1). Valori leader nel mondo e che la prestigiosa rivista “Science” alla fine degli anni ’90 indicava già come limite per la specie umana. Di fatto invece già superati oggi dal Giappone e rivisti al rialzo nelle stime internazionali per il 2050: 88,4 anni per le donne e 82,5 per i maschi se nati in Italia – e per i toscani dovrebbe essere ancora qualcosina in più. In pratica negli ultimi 50 anni l’aspettativa di vita alla nascita è cresciuta a livello nazionale di tre mesi ogni anno. Il guadagno di anni di vita negli anni ’60 era sostenuto perlopiù dalla diminuzione della mortalità infantile e giovanile, mentre fin dagli anni ’80 è causato dalla riduzione progressiva della mortalità nelle età più anziane. Comportamenti e stili di vita che favoriscono la maggiore longevità femminile Sono soprattutto le donne di oltre 65 anni ad avvantaggiarsi dai maggiori guadagni di sopravvivenza, anche se in misura minore dopo gli 80 anni. Le malattie cardiovascolari sono quelle che più hanno inciso sull’incremento di vita negli ultimi 50 anni, con riduzione della mortalità per questa causa in tutte le età, anche dopo gli 80 anni, ed in misura maggiore nelle femmine rispetto ai maschi. Tumori e incidenti stradali sono le altre cause rilevanti che influenzano il guadagno di anni di vita, in modo diverso però per classe di età e per sede tumorale. La sopravvivenza in aumento degli italiani – soprattutto delle italiane – si accompagna a un incremento della popolazione anziana e molto anziana, dove si concentra la condizione di fragilità, che aumenta vistosamente dopo i 75 anni. Con questa, aumenta inevitabilmente la multimorbosità e la conseguente disabilità, così da creare un differenziale di genere questa volta a svantaggio delle donne: quasi la metà delle donne dopo gli 80 anni è disabile rispetto al 36% dei maschi. È soprattutto la disabilità più grave che si concentra nell’ultimo periodo di vita delle donne. Dunque, le donne muoiono meno dei maschi, ma rispetto a loro si ammalano di più, soprattutto con l’avanzare dell’età. Con il superamento dell’età fertile, con l’arrivo della menopausa, i processi di decadimento biologico sembrano accelerare di più rispetto ai coetanei maschi. Come nel caso delle lesioni ateromatose, meno frequenti nelle donne rispetto ai maschi in età relativamente giovanile, ma con più rapido accrescimento negli anni dopo la menopausa. Nel corso del 2010, infatti, quasi il 9% delle donne italiane dichiara di sentirsi male o molto male, rispetto al 5% dei maschi. In Toscana le cose sono simili anche se vanno un po’ meglio per le donne (7% nelle femmine e 5% nei maschi). E anche la frequenza dichiarata di gravi limitazioni nelle attività è maggiore nelle femmine rispetto ai maschi. Sono soprattutto gli stili di 06Cipriani 282:Layout 1 5-12-2011 11:02 Pagina 283 Sae l ute Salute e Medicina di genere Territorio 283 N. 188 - 2011 Grafico 1. Aspettativa di vita alla nascita in Toscana dal 1995 al 2008. Maschi e Femmine. Da: ARS, 2011. vita – fumo, alcol, alimentazione, attività fisica – a determinare la salute di maschi e femmine, e ad a incidere sulla frequenza delle principali malattie croniche: malattie cardiovascolari e respiratorie, tumori, diabete. Scelte individuali, ma fortemente condizionate dal contesto ambientale e dalla pressione sociale dove si vive. Dalle indagini nazionali e regionali sappiamo che le donne sono sempre più morigerate dei maschi. Rispetto ai maschi sono meno spesso fumatrici, e se fumano, sono meno spesso forti fumatrici. Fuma una su 6, e così era ancora trent’anni fa. Quando i maschi invece per oltre la metà erano fumatori, ma poi – grazie anche a politiche efficaci di prevenzione – hanno cominciato a smettere, tanto che i maschi fumatori adesso sono il 30% del totale. I messaggi salutistici evidentemente hanno avuto per ora minore presa sulle donne. Le più giovani, ancora adolescenti, iniziano a fumare sempre prima, prima dei maschi e più di prima, con effetti negativi sulla salute che già si fanno sentire e che aumenteranno nei prossimi anni – vedi incremento del tumore del polmone nelle donne adulte. Dallo studio toscano triennale sui comportamenti a rischio dei ragazzi, emerge con chiarezza che tra i 14 ed 17 anni sono più le ragazze dei ragazzi a fumare e sono anche più precoci. Poi dopo i 18 anni le cose si invertono. I giovani maschi sembrano aver imboccato strade più virtuose, anche grazie alla crescente cura per l’estetica del corpo, pur con rilevanti differenze di classe sociale. Sembra che le donne sul fumo siano in ritardo sui trend generazionali dei comporta- menti di vita. Con un chiaro effetto della classe sociale in direzione opposta per maschi e femmine: fumano di meno i maschi di classe sociale più elevata e di più le femmine di pari classe sociale, in una sorta di emancipazione tardiva. E questo è coerente con la più alta frequenza attualmente di donne fumatrici nelle Regioni del centro-nord rispetto a quelle del sud, e viceversa per i maschi (più fumatori al sud rispetto al centro-nord). L’alcolismo Discorso un po’ più complesso per l’alcol. Le donne in tutto il mondo bevono meno dei maschi – almeno la metà. Ma secondo i dati più recenti, in Italia ed in Toscana nell’età adolescenziale e giovanile le differenze di genere si stanno assottigliando. Le ubriacature nell’ultimo anno hanno riguardato più di un ragazzo o una ragazza tra i 14 e 15 anni su tre, con queste spesso più precoci dei loro coetanei. Poche differenze di genere anche per il bere smodato – 5 o più bicchieri o bicchierini di alcolici in un’unica occasione. Per le ragazze ed i ragazzi siamo vicini ormai ai modelli di approccio all’alcol tipico dei Paesi nord europei – bere per l’effetto psicotropo piuttosto che per il gusto – in un chiaro processo di omologazione e convergenza internazionale degli stili di vita. I più adulti, invece, risentono ancora della tradizione e cultura mediterranea, dove il bere si accompagna al mangiare ed è cosa più “da uomini”. Nelle Regioni del nord e centro si beve più che al sud, e questo è vero in entrambi i generi. Ovunque però i maschi consumano quasi il doppio delle femmine. La dieta alcolica in entrambi i sessi è dominata dal consumo di vino – oltre l’80% del consumo totale di alcol – mentre la birra ha spazio maggiore solo tra i più giovani. Tenendo conto che 20 grammi di alcol al giorno per le femmine e 40 per i maschi rappresenta il limite di sicurezza per evitare problemi di salute – le donne sono più sensibili agli effetti nocivi biologici dell’alcol – in Italia oltre una donna su 10 si trova nell’area del consumo eccessivo (femmine: 12%; maschi: 9,0%), che le espone a rischi sanitari. Secondo le stime toscane, quasi 2 decessi su 100 nelle donne sono causati da consumo inadeguato di alcol (4% nei maschi). Nei giovani, la guida sotto l’effetto dell’alcol è al momento un comportamento 06Cipriani 282:Layout 1 5-12-2011 Sae l ute Territorio 284 diffuso – quasi il 10% dei ragazzi che guidano lo ha fatto in questo stato nell’ultimo anno – più tra i maschi che tra le femmine. In generale, le donne appaiono più prudenti, meno amanti dell’azzardo e rispettose del Codice della strada. Attività fisica Su attività fisica e peso corporeo le donne italiane sono messe un po’ peggio dei maschi. Ma questo è vero in quasi tutto il mondo e l’OMS segnala una tendenza al peggioramento. Attualmente quasi la metà delle donne italiane è sedentaria e solo una su 6 pratica qualche attività sportiva continuativa. In età giovanile – tra 14 e 19 anni – le sedentarie sono quasi una su tre, valore pressoché doppio rispetto ai coetanei maschi. Un comportamento che ha dei riflessi sui maggiori livelli di stress, depressione e malattie invalidanti nell’età più avanzata delle donne. Le femmine sono più sedentarie dei maschi a tutte le età, con un differenziale massimo dopo i 70 anni. La sedentarietà è più diffusa nelle classi più svantaggiate, nelle Regioni del sud e nell’età avanzata. Anche tra i ragazzi toscani si conferma la tendenza maggiore delle femmine a non praticare sport rispetto ai loro coetanei, anche se qualche punto di incremento percentuale si rileva negli ultimi anni. I nuovi modelli estetici della cura del corpo facilitano probabilmente questa tendenza. Siamo ancora lontani però dalle raccomandazioni internazionali per una vita attiva e dinamica. 11:02 Pagina 284 Salute e Medicina di genere Il peso corporeo Il peso corporeo, sappiamo, dipende dalla alimentazione, attività fisica e – in misura modesta – dai tratti genetici. Dai dati toscani ed italiani emerge che dall’adolescenza in poi sovrappeso ed obesità sono più frequenti nei maschi rispetto alle femmine, con minori differenze se si tratta di obesità. Negli adulti il sovrappeso interessa 4 maschi su 10 e meno di tre femmine su 10, mentre l’obesità interessa 1 maschio su 10 e un po’ meno tra le femmine (0,8%). Solo dopo i 75 anni l’obesità è più frequente nelle femmine. Obesità e sovrappeso sono in aumento in Italia, anche se ancora non ai livelli epidemici di altri Paesi, segnando non più di due punti percentuali di incremento nell’arco degli ultimi 10 anni. È evidente un gradiente geografico di peggioramento dell’obesità e sovrappeso da nord a sud, così come una diffusione maggiore nelle classi sociali più svantaggiate. La condizione di sottopeso è più frequente nelle donne a tutte le età, con massimo differenziale di genere tra i 18 ed i 24 anni. Il sottopeso patologico legato all’anoressia, sebbene raro, è tipico di questo periodo della vita femminile, in aumento negli anni più recenti e con abbassamento dell’età d’esordio. Incrementi di disturbi del comportamento alimentare sono segnalati negli anni più recenti anche nei maschi. In indagini scolastiche campionarie, si è stimato che il 12% delle ragazzine e il 3% dei ragazzini sono a rischio di disturbi alimentari. N. 188 - 2011 I comportamenti alimentari Poco sappiamo dei normali comportamenti alimentari degli italiani. Nel 2010 solo il 5% consuma almeno le 5 porzioni/die di frutta e verdura raccomandati, mentre la metà consuma dolci tutti i giorni. Le donne sembrano più attente al consumo di frutta, verdura, latte e formaggio, rispetto ai maschi che invece consumano un po’ più carne, salumi, pasta, snack e dolci. Sembrano perciò più orientate a consumi alimentari salutistici. I comportamenti sessuali Molto poco sappiamo sui comportamenti sessuali. Nello studio toscano sui ragazzi di 1418 anni, emerge con chiarezza che tra quelli sessualmente attivi, l’uso del profilattico diminuisce con il crescere dell’età e del numero dei partner, soprattutto tra le ragazze. Il profilattico è percepito come strumento di prevenzione della gravidanza e non come protezione da rischi per la salute – AIDS e malattie a trasmissione sessuale. Peraltro, anche tra i metodi anticoncezionali utilizzati dalle ragazze sessualmente attive, tra il 2005 ed il 2008 diminuisce l’uso del profilattico (dal 57% al 53%) a favore della pillola (da 20% al 22%) e di nessun metodo contraccettivo (dal 14% al 17%). Importante anche il rilievo che tra le ragazze con meno di 14 anni, ben il 13% ha fatto uso di sostanze stupefacenti nel periodo che precede il rapporto sessuale, a fronte del 10% dei coetanei maschi. Alcol e stupefacenti sono di ostacolo maggiore all’uso del profilattico. Uso di droghe Riguardo all’uso di droghe, da tutte le indagini – internazionali e nazionali – sappiamo che la proporzione di consumatori è sempre più elevata nei maschi, anche se si osserva una tendenza alla convergenza tra i due generi negli anni più recenti. È un comportamento correlato all’età giovanile, più sviluppato nei Paesi industrializzati e con bassa mortalità generale. Secondo l’ultimo rapporto europeo, l’Italia si colloca tra i Paesi con la popolazione di 15-64 anni a più elevato consumo nell’ultimo anno di cannabis (14%) e cocaina (2%). Nell’indagine nazionale – ormai del 2007 – il consumo di cannabis nella popolazione generale di 15-64 anni, almeno una volta nell’ultimo anno, è più elevato nei maschi rispetto alle femmine (18% e 12% rispettivamente), e doppio per cocaina (M: 3,1%; F: 1,5%) ed eroina (M: 0,5%; F: 0,2%). Tra i decessi per overdose, le femmine rappresentano una parte minoritaria, circa il 13% del totale. Anche nelle rischiose condizioni correlate ad abuso di droghe, le femmine sembrano più morigerate. Le malattie croniche Significative differenze di genere si riscontrano anche rispetto ad altri fattori di rischio che favoriscono le malattie croniche. Secondo l’ultima datata rilevazione nazionale di dieci anni fa, circa una donna su tre è ipertesa – e lo stesso è vero per gli uomini – e di queste una su tre non è trattata farmacologicamente (la metà nei maschi). Dopo la menopausa l’ipertensione è 06Cipriani 282:Layout 1 5-12-2011 11:02 Pagina 285 Sae l ute Salute e Medicina di genere Territorio 285 N. 188 - 2011 più frequente nelle donne e costituisce un fattore di rischio maggiore per eventi cardiovascolari rispetto ai maschi. Una donna su 4 – ed un uomo su 5 – è ipercolesterolemica e di queste solo il 15% è trattata – come per i maschi. Nelle donne l’incremento del colesterolo si manifesta perlopiù dopo la menopausa, mentre nei maschi tende ad incrementare già dai 30 anni. Nelle donne il rischio cardiovascolare correla meglio con i livelli plasmatici di trigliceridi che non con il colesterolo totale e LDL, come invece accade per i maschi. La procreazione Considerando la maternità e gli esiti del parto, il fenomeno forse più evidente è il continuo incremento dell’età media al parto, che ha ormai superato quota 32 anni nelle donne italiane – 29 nelle straniere –, con un raddoppio in quasi dieci anni della proporzione di donne che partoriscono dopo i 40 anni – oggi al 6,8%. Negli ultimi 10 anni, in Italia la proporzione di straniere sul totale dei parti è cresciuta fino al 17% del 2008. Le donne italiane sono ai vertici mondiali, con le messicane, per ricorso al taglio cesareo – 38,4% su 100 nati vivi nel 2007-, con progressivo aumento nel tempo, e con un gradiente geografico nord-sud in peggioramento. Insieme al Friuli VG e le Province di Trento e Bolzano, la Toscana è tra le Regioni più virtuose (26% di cesarei). La percentuale di cesarei aumenta progressivamente con l’età della madre ed è più ele- vato nelle Case di cura private (62%). E ciò nonostante che mediamente un po’ in tutti i Paesi, Italia compresa, le donne dichiarino che preferirebbero partorire in modo spontaneo (88% delle preferenze). Il numero dei cesarei è minore nelle strutture con maggiori volumi di parti, ed il cesareo si accompagna ad una maggiore mortalità e morbilità. D’altra parte ancora nel 2008 il 23% dei parti in Italia avviene in strutture che non raggiungono gli 800 parti/anno. Il rapporto di abortività spontanea – numero aborti spontanei per 1.000 nati vivi da donne di età 15-49 anni – è in costante incremento dagli anni ’80 fino ai valori di 135,7 per 1.000 nati vivi del 2007. Permangono differenze geografiche con valori più elevati al centro Italia, seguiti dal nord e dal sud, forse anche per le corrispondenti differenze nell’età al matrimonio ed al parto in queste aree. L’età della donna al parto è un fattore di rischio noto per l’abortività spontanea che, infatti, cresce al crescere dell’età della donna, ad esclusione delle giovanissime (< 20 anni) che hanno tassi di abortività superiori a quelle della classe di età successiva. Diminuisce progressivamente invece l’abortività volontaria (IVG) nel corso degli anni in Italia, fino ad un tasso di 8,6 per ogni 1.000 donne di età 15-49 anni del 2007. Dimezzata in un trentennio. Dei circa 115.000 IVG del 2010, 3.800 sono realizzate con la pillola Ru 486 (autorizzata nel luglio 2009). Si tratta di valori di IVG tra i più bassi a livello europeo, soprattutto tra le minorenni. La riduzione si è verificata un po’ in tutte le classi di età. Nel corso del tempo si sono ridotte significativamente anche le differenze territoriali. L’abortività volontaria nelle minorenni (15-17 anni) è assestata sul 3 per 1.000 a livello nazionale, con una tendenza all’incremento, pur con lievi oscillazioni. Elevato il ricorso all’IVG da parte delle donne straniere, pari al 33% di tutte le IVG del 2009, di cui oltre la metà di donne dell’Europa dell’est, anche se negli ultimi anni si osserva una tendenza alla flessione. Le donne, abbiamo detto, vivono più a lungo dei maschi, ma si ammalano di più. Tra le condizioni patologiche, quelle con maggior differenziale a sfavore delle femmine sono l’osteoporosi, le malattie della tiroide, la depressione ed ansietà, la cefalea e emicrania, l’Alzheimer, la cataratta, artrosi ed artrite, la calcolosi e la disabilità. Tra le malattie esclusivamente femminili, l’endometriosi interessa una donna su 10, e tre su dieci donne infertili. È diagnosticata tardivamente – in media dopo 9 anni – inducendo invalidità, sofferenza ed elevati costi sociali. Le donne sono anche le maggiori consumatrici di farmaci. Gli infortuni domestici interessano in misura decisamente superiore le femmine rispetto ai maschi. In quanto casalinghe ed anziane, passano più tempo in casa. Fino a 14 anni, invece, gli incidenti domestici sono più frequenti nei maschi. La mortalità per incidenti domestici è invece simile nei due sessi. In generale i maschi hanno una psicomotricità che li espone a maggiori rischi di infortuni, di tutti i tipi. Gli incidenti stradali, soprattutto quelli gravi, sono più frequenti nei maschi, in parte perché più spesso delle femmine sono alla guida di veicoli, ma anche perché hanno comportamenti più aggressivi. Gli incidenti stradali sono in aumento, come in aumento è il traffico veicolare, ma la mortalità è in diminuzione. Conclusioni In conclusione, in Italia le donne vivono più a lungo dei maschi, ma si ammalano di più, con maggiore esito in disabilità, soprattutto a partire dal periodo post menopausale. Pur avendo comportamenti e stili di vita più adeguati e moderati rispetto ai maschi, nella fase adolescenziale le giovani donne corrono rischi nuovi e poco conosciuti. Scarsa attività fisica e sportiva, più fumo, alcol e droghe assunte con modalità sconosciute alle generazioni precedenti, minore attenzione alla sicurezza nei rapporti sessuali, impongono un’attenzione specifica a questa fascia di età femminile ed interventi di prevenzione appropriati. La salute delle donne di domani si gioca nei comportamenti di oggi. (segue a pag. 301) 07Zuppiroli 286:Layout 1 5-12-2011 Sae l ute Territorio 286 Alfredo Zuppiroli Direttore Dipartimento cardiologico - Azienda sanitaria di Firenze Presidente Commissione regionale di Bioetica, Regione Toscana [email protected] Gli organismi sono differenza. Charles Darwin Odio gli indifferenti. Antonio Gramsci A nche nel settore delle Malattie cardiovascolari (MC) vige il cosiddetto “paradosso donna”: le donne vivono più a lungo degli uomini, ma in peggiori condizioni di salute. Le MC sono la causa principale di morte per le donne nei Paesi industrializzati e la loro incidenza non è in calo come negli uomini. Si stima che circa una donna su due morirà per cardiopatia o ictus, a fronte di una su 25 per carcinoma della mammella, tanto che la mortalità cardiovascolare nelle donne è 4 volte maggiore della somma della mortalità per cancro del seno, broncopneumopatia cronica, incidenti, cancro del polmone. Le donne muoiono più degli uomini nel primo anno dopo un infarto o dopo un intervento di bypass aortocoronarico, ed hanno un’incidenza doppia di scompenso cardiaco. Sebbene morbilità e mortalità per MC stiano diminuendo sia per gli uomini che per le donne, il calo della mortalità è meno pronunciato nelle donne, dove anzi si assiste ad un incremento nelle età <55 anni. Nonostante questi dati, l’approccio clinico 11:05 Pagina 286 Salute e Medicina di genere N. 188 - 2011 Malattie cardiovascolari e la ricerca restano sostanzialmente in-differenti al genere, tanto che la malattia coronarica è spesso considerata una malattia maschile. A 20 esatti di distanza restano purtroppo sempre attuali le parole con cui Bernardine Healy nel 1991 definiva la “Sindrome di Yentl”: “In una professione dominata dagli uomini, i sintomi delle donne sono presi in minor considerazione ed i trattamenti sono inferiori per qualità e quantità”. E questo, nonostante la Cardiologia rappresenti l’area in cui lo studio delle differenze di genere è nato, le raccomandazioni delle periodiche conferenze internazionali sulla salute, le direttive dell’Unione europea, l’impegno dell’American Heart Association e della Società europea di Cardiologia e, per venire al nostro Paese, precisi obblighi legislativi – a partire dall’articolo 3 della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso…” – e deontologici: “Dovere del medico è la tutela della vita, della salute fisica e psichica dell’Uomo e il sollievo dalla sofferenza nel rispetto della libertà e della dignità della persona umana senza distinzioni di …sesso…”. Parados- Il “paradosso donna” in un settore che richiederebbe un’attenzione particolare salmente, la neutralità rispetto al sesso ed al genere, quando questi sono precisi fattori di differenze nell’incidenza e nell’esito di molte patologie, si risolve in un potente fattore di disparità ed iniquità! Riconoscere le differenze è dunque un preciso dovere etico e civile, oltre che professionale. La Medicina, la Sanità non possono più non tenere in adeguata considerazione tale questione nell’ambito delle politiche di prevenzione, di diagnosi e di cura. Il contesto generale Se la prevenzione, in particolare quella secondaria, significa individuare e prendersi cura dei soggetti con MC nota, dei soggetti con diabete mellito e di quelli che sono ad altissimo rischio di sviluppare una MC, ed in particolare curare e riabilitare quei pazienti che hanno avuto una sindrome coronarica acuta o uno stroke, sempre al fine di evitare nuovi eventi cardio- o cerebrovascolari, possiamo amaramente constatare come politiche e prassi quotidiane vadano in una diversa direzione. Praticamente tutte le Società scientifiche presentano nei loro siti i rispettivi programmi di prevenzione, e tutti partono dalla constatazione che, nonostante sia noto che intervenire sui fattori di rischio migliori significativamente gli esiti, i programmi di implementazione nella realtà quotidiana sono ancora troppo rari e sporadici e rarissimamente tengono conto delle differenze di genere. Eppure sappiamo che interventi mirati di controllo dei fattori di rischio possono aumentare la sopravvivenza, migliorare la qualità della vita, diminuire la necessità di ricoveri ripetuti e di ulteriori procedure diagnostico/terapeutiche, ridurre l’incidenza di ulteriori eventi acuti. Non bastassero le patologie croniche organiche, le crescenti comorbilità, le tante malattie che possono coesistere nella stessa persona, soprattutto se anziana, rendendola sempre più fragile, larghe fasce di popolazione in età relativamente più giovane sono sempre più preoccupate per la salute, al punto che la domanda di salute può diventare ingovernabile. Perverse dinamiche di mercato e 07Zuppiroli 286:Layout 1 5-12-2011 11:05 Pagina 287 Sae l ute Salute e Medicina di genere Territorio 287 N. 188 - 2011 politiche utopistiche di promozione della salute incentivano infatti sia il salutismo che la medicalizzazione. L’estrema fase di questo processo è il disease mongering, cioè quel fenomeno di negoziazione fra potenziali clienti/pazienti e fornitori di servizi (medici e imprese farmaceutiche) per trasformare in malattie da trattare alcune condizioni che non sono necessariamente malattie. Ne deriva un impatto non significativo dal punto di vista della sanità pubblica ma che può risultare invece estremamente positivo per i profitti dei professionisti o delle Industrie. Un lungimirante esempio dei rischi di medicalizzazione epidemica ci è stato fornito quasi un secolo fa da Jules Romains, quando fa dire al suo giovane Dr. Knock che “Un sano non è altro che un malato che non sa ancora di esserlo”. Ed in tutto questo scenario è dolo(ro)samente assente una prospettiva di genere! È ovvio che non si deve confondere la doverosa responsabilità che ogni cittadino deve avere nei confronti della propria salute, nell’ottica di una prevenzione che non può non partire da noi stessi, con la colpevolizzazione se non si sono seguiti quegli stili di vita che sappiamo epidemiologicamente essere associati ad una minore incidenza di patologie. Ben lungi dal valorizzare l’autonomia del paziente, atteggiamenti di repressione morale o peggio ancora economica nei confronti della malattia configurano un approccio culturale orientato al dovere di curarsi, e non al diritto alla sa- lute. Gli esempi di medicalizzazione della società non mancano: dalla sistematica revisione al ribasso delle soglie che definiscono il “patologico” (ipertensione, ipercolesterolemia, diabete, ecc), che tende a trasformare milioni di persone soggettivamente sane in individui oggettivamente malati, alla generalizzazione della diagnosi precoce (screening, check-up, ecc.) i cui risultati in termini di costo-efficacia sono sempre più discussi. E paradossalmente si tras-cura, non ci si prende cura di quelle donne che i fattori di rischio ce li hanno, spesso tutti insieme, e a livelli elevatissimi! Ben diverso, sotto una prospettiva etica ma anche di razionale uso delle risorse, il concetto di cura che si trasforma da strumento per recuperare una perduta salute a mezzo per mantenere il precario equilibrio della cronicità. La transizione epidemiologica ci ha ormai messo di fronte a stati morbosi che non possono essere “guariti”, ma “curati”. E la cura non può essere più vista soltanto come quella ippocratica, quando la cura cioè deve rispondere ad un bisogno espresso dall’ammalato (modernamente classificabile con un NNT = 1); si fa strada sempre di più anche una cura rivolta a chi ha la probabilità di ammalarsi, e anche solo la possibilità (NNT = n): è evidente come soltanto un rigoroso controllo etico, direi politico di questo tipo di cura sia necessario, per evitare che sia il mercato a governarlo, con il rischio di concentrare solo nelle fasce più forti (economica- mente, socialmente, culturalmente), gli strumenti di prevenzione, che infatti vengono riservati più spesso e con maggior impegno agli uomini piuttosto che alle donne. Parole come “empowerment” ed “enhancement”, che descrivono come la Medicina si stia orientando non più solo ai malati, ma anche ai sani, per aumentarne le capacità (patients/unpatients), devono trovare in una seria politica di orientamento e governo della domanda/offerta di salute la loro giusta collocazione. Il rischio da evitare è che si mantengano ed anzi si accentuino le tante disparità, che sono sì di genere, ma che le trascendono se è vero, come è vero, che i peggiori risultati tra i Paesi avanzati sono ottenuti dal Paese che spende di più, sia nella sanità privata che in quella pubblica, per l’inefficienza dovuta alla mancanza di un sistema che coordina e pianifica sull’intero territorio nazionale le attività sanitarie. Gli USA sono infatti ultimi nel G7 per mortalità dovuta a malattie croniche (460 ogni 100.000 abitanti, contro una media di 398), e la vita media è 75 anni per i maschi (2 anni in meno della media) ed 80 anni per le donne (3 anni in meno della media). La prevenzione Per quanto riguarda la prevenzione della cardiopatia ischemica, può essere opportuno partire da un autorevole riferimento, costituito dalla risoluzione del Parlamento europeo del 12 luglio 2007 sulle iniziative per contrastare le MC. Vista, tra gli altri docu- menti, la Carta europea per la salute del cuore del giugno 2007, meritano di essere sottolineate alcune delle considerazioni ivi contenute: “In base alle statistiche europee sulle malattie cardiovascolari per il 2005, tali malattie rappresentano la principale causa di morte per gli uomini e le donne nell’Unione europea, provocando 1,9 milioni di decessi; le donne e gli uomini non vengono colpiti in egual misura dalle malattie cardiovascolari, le donne sono più soggette degli uomini alla morte per ictus o attacco cardiaco e le MC nelle donne spesso non vengono diagnosticate e curate in modo adeguato. Le MC causano circa la metà di tutti i decessi nell’Unione europea, con una percentuale pari al 42%. Il costo totale delle MC nell’UE ammonta a 169 miliardi EUR, di cui 105 miliardi EUR sono spesi per il trattamento di tali malattie e 64 miliardi EUR sono dovuti alla perdita di produttività e al costo delle cure informali…Gli indicatori OCSE 2005 affermano che in media solo il 3% delle spese sanitarie si riferisce alla prevenzione e ai programmi di sanità pubblica…È possibile prevenire la maggior parte delle malattie cardiovascolari attraverso un cambiamento dello stile di vita unito all’identificazione precoce dei soggetti ad alto rischio e a una diagnosi corretta. L’OMS riconosce che i metodi più efficaci sul piano dei costi per ridurre i rischi su un’intera popolazione sono costituiti da interventi rivolti a tutta la popolazione, che combinino politiche efficaci e politiche ampie di promozione 07Zuppiroli 286:Layout 1 5-12-2011 11:05 Pagina 288 Sae l ute Territorio Salute e Medicina di genere della salute. Vi sono forti discrepanze tra gli Stati membri per quanto riguarda la prevalenza, la prevenzione e il trattamento delle MC e spetta all’UE lottare contro queste ineguaglianze e colmare il divario. Il genere rappresenta un fattore determinante nello sviluppo, nella diagnosi, nella cura e nella prevenzione delle MC; considerando che nel settore sanitario non viene prestata sufficiente attenzione al genere, ciò si ripercuote negativamente sul trattamento delle malattie vascolari che colpiscono le donne”. Sulla base di questa premessa, ricca di forti basi epidemiologiche e di dati incontrovertibili, ecco una risoluzione con cui il Parlamento europeo formula una serie di inviti, sia alla Commissione europea che agli Stati membri: “Presentare una raccomandazione relativa alle MC, inclusa l’ipertensione, nonché all’identificazione precoce dei soggetti ad alto rischio e a strategie di prevenzione in Europa, tenendo conto delle differenze di genere in modo da assicurare la parità di genere nel settore sanitario… Adottare o riesaminare le rispettive strategie nazionali di sanità pubblica per includervi la promozione della salute e strategie per la gestione precoce dei rischi elevati in materia di salute cardiovascolare. Definire linee guida nazionali per la prevenzione delle malattie cardiovascolari, incluse linee guida standard relative alle migliori prassi per identificare i soggetti ad alto rischio… Concentrarsi sulla necessità della parità di accesso alla prevenzione, al trattamento, alla diagnosi e al controllo delle malattie per tutti i cittadini europei”. Si tratta di inviti ed esortazioni assolutamente condivisibili, anche se troppo sbilanciate sugli aspetti del controllo dei fattori di rischio e con scarsa enfasi sul fatto che gli stessi fattori di rischio, le abitudini di vita scorrette, sono maggiormente diffuse nelle fasce più svantaggiate sotto il profilo sociale, culturale ed economico. Se da una parte si osserva una maggiore prevalenza nelle donne dei fattori di rischio quali diabete, ipertensione, ipercolesterolemia, nonché di scompenso cardiaco e vasculopatia periferica, è ormai accertato che le tradizionali “carte del rischio” basate sui classici fattori di rischio cardiovascolare sottostimano la probabilità di eventi nelle donne. Perciò, quando questi fattori di rischio sono presenti nelle donne, soprattutto in quelle più giovani, essi dovrebbero essere considerati molto più seriamente di quanto non avvenga oggi, per l’erronea convinzione che, siccome le donne hanno una minore incidenza rispetto all’uomo di MC in età più giovane, modificare questi fattori di rischio sia meno importante. Particolare attenzione va posta al diabete, che determina un aumento del rischio cardiovascolare di 3,5 volte nelle donne e “solo” di 2,1 volte negli uomini; se gli uomini con diabete hanno avuto negli ultimi 30 anni una riduzione del 43% della mortalità correlata, arrivando a pareggiare quasi quella dei non diabetici, per le donne diabetiche la strada è an- 288 N. 188 - 2011 cora lontana, con una mortalità doppia rispetto alle non diabetiche. Inoltre, l’effetto positivo dell’acido acetilsalicilico, considerato ormai una pietra miliare nella prevenzione delle MC, è stato ben dimostrato nell’uomo fin dal 1988, ma non era mai stato studiato nella donne fino al 2005, quando il Women’s Health Study ha dimostrato che l’aspirina riduceva l’incidenza di stroke ma non di cardiopatia ischemica acuta. Ancora, la maggior parte delle donne e dei medici sottovaluta il fatto che patologie della gravidanza quali eclampsia, ipertensione, diabete ed obesità aumentano significativamente il rischio di MC negli anni successivi. Infine, dato che oltre il 60% delle donne che muoiono all’improvviso non ha mai avuto in passato sintomi specifici e che i fattori di rischio tradizionali sottostimano il rischio cardiovascolare nelle donne, è necessario identificare altri indicatori per definire il rischio nella donna. Ad esempio, i neuroormoni del sistema renina-angiotensina, o biomarker quali la proteina reattiva C o i peptidi natriuretici potrebbero risultare utili. Ancora, marker surrogati di aterosclerosi e di rischio cardiovascolare – tra cui si possono includere l’ipertrofia ventricolare sinistra, lo spessore medio-intimale delle carotidi, la proteinuria e la microalbuminuria, la disfunzione endoteliale, le calcificazioni coronariche, l’anemia – potrebbero risultare utili in una stratificazione del rischio più precisa nelle donna. La cura Le donne accedono ai servizi sanitari in età ed in stati più avanzati di malattia, e con una proporzione maggiore di fattori di rischio quali ipertensione, dislipidemia, diabete. Le cause di queste differenze sono molteplici, e tra queste si possono elencare sia le diversità nella percezione e nell’espressione dei sintomi che la più bassa accuratezza diagnostica ed il minor valore predittivo nella donna di alcuni test non-invasivi. Per quanto riguarda i sintomi legati all’ischemia miocardica, le donne hanno più spesso sintomi cosiddetti atipici quali dispnea, stanchezza, malessere generale, e ciò può ritardare la diagnosi. Ma certamente non si può trascurare quanto è già noto in letteratura da molti anni, e che purtroppo resta un pesante fattore di discriminazione nel rapporto medico-paziente: la modalità stessa di comunicazione di un sintomo può influenzare notevolmente il successivo percorso clinico. Sappiamo infatti (ma ce ne dimentichiamo troppo spesso!) che, sebbene noi medici siamo chiamati a valutare pazienti che hanno la stessa storia clinica, parola per parola, gli stessi dati strumentali e di laboratorio, e siamo in presenza di identiche probabilità di cardiopatia ischemica, la nostra decisione sull’iter diagnostico-terapeutico da seguire può essere fortemente influenzata dallo stile con cui il/la paziente presentano la propria storia. Un’altra causa di ritardata diagnosi risiede nel fatto che le strategie diagnostiche attuali si 07Zuppiroli 286:Layout 1 5-12-2011 11:05 Pagina 289 Sae l ute Salute e Medicina di genere Territorio 289 N. 188 - 2011 focalizzano sull’ostruzione al flusso coronarico, più frequente nell’uomo, e non sono in grado di studiare accuratamente la disfunzione del tono vascolare, le alterazioni del microcircolo – più frequenti nelle donne – o anche altre patologie aterosclerotiche non ostruttive. Anche per questi motivi le donne arrivano più tardi ad effettuare la coronarografia, e ricevono meno procedure di rivascolarizzazione miocardica, sia di tipo percutaneo che chirurgico; le differenze nella prognosi fra uomini e donne dopo angioplastica coronarica sono indipendenti dalla diversità di sesso ma sono legate a un diverso profilo di rischio. Eppure, dovremmo ricordarci che più donne che uomini muoiono per MC; considerando gli ormai assodati benefici della rivascolarizzazione miocardica con angioplastica percutanea nel ridurre le complicanze fatali e non fatali nei pazienti con infarto miocardico acuto e con sindrome coronarica acuta ad alto rischio, è francamente inaccettabile che solo un terzo della procedure di rivascolarizazione percutanea sia effettuato nel genere femminile. In proposito, nelle donne è riportato un maggior rischio di complicanze vascolari periferiche dopo angioplastica (per il fatto che i vasi sono più piccoli e perché più spesso le procedure sono effettuate in urgenza a causa di una presentazione clinica più tardiva). Questo non giustifica il minor accesso nel sesso femminile alle procedure di rivascolarizzazione, soprattutto in caso di sindromi coronariche acute a rischio medio-elevato, perché è dimostrato come l’incidenza delle complicanze vascolari possa diminuire, se si adottano regimi di anticoagulazione meno aggressivi e tarati sul peso e se si scelgono dispositivi medici di dimensioni appropriate. Anche nella nostra realtà, quella dell’Azienda sanitaria di Firenze, abbiamo dimostrato significative differenze di genere, sia nel post-infarto che nello scompenso cardiaco. In tema di prevenzione secondaria sappiamo che il trattamento con statine è in grado di ridurre la mortalità ed il rischio di nuovi eventi cardiovascolari a lungo termine in pazienti dopo un infarto miocardico acuto. Nonostante ciò, nell’anno successivo all’infarto sono state prescritte statine nell’88% degli uomini e nel 70% delle donne, e tra i pazienti con prescrizioni di statine, la prevalenza di alta compliance era minore nelle donne (63%) rispetto agli uomini (76%); tali differenze si mantenevano significative anche aggiustando le proporzioni per età. All’analisi multivariata, il sesso femminile era indipendentemente associato ad una minor probabilità di utilizzo delle statine e di bassa compliance, mentre abbiamo dimostrato come un’alta compliance alla terapia con statine fosse indipendentemente associata ad un minor rischio di mortalità ad un anno. Sappiamo anche che il trattamento con statine è in grado di migliorare la prognosi a lungo termine in pazienti con scompenso cardiaco. Eppure, sempre nella nostra ASL fiorentina abbiamo rilevato che sono state prescritte statine nel 37% degli uomini e nel 22% delle donne con scompenso cardiaco, e che tra i pazienti con prescrizioni di statine la prevalenza di alta compliance era minore nelle donne (32%) rispetto agli uomini (43%); anche in questo caso le differenze si mantenevano significative dopo aggiustamento per età. All’analisi multivariata, il sesso femminile risultava essere indipendentemente associato ad una minor probabilità di prescrizione di statine e ad una maggior probabilità di bassa compliance. E così come per l’infarto miocardico, anche per lo scompenso cardiaco un’alta compliance alla terapia con statine è risultata essere un determinante indipendente di ridotta mortalità ad un anno. Nelle donne minori prescrizioni, minor compliance… ma perché? Dobbiamo mettere in evidenza l’estrema importanza di vari fattori psicosociali, tutti maggiormente prevalenti nelle donne (e tutti legati a una peggiore prognosi delle MC), quali depressione, ansia, risorse socioeconomiche scarse, stress legato alla condizione coniugale o di caregiver. Fattori che hanno un diverso effetto nell’uomo rispetto alla donna – ad esempio sappiamo che il matrimonio riduce il rischio di MC nell’uomo, ma lo aumenta nelle donne. Infine, dopo un evento acuto, le donne adottano più spesso comportamenti che hanno un impatto negativo sulla prognosi, come la non aderenza alla prescrizioni terapeutiche, la sedentarietà, squilibri alimentari. Nella stessa direzione vanno i dati della periodica indagine della Società europea di Cardiologia sull’andamento della prevenzione cardiovascolare in Europa: i risultati dell’EUROASPIRE III (2007) mostrano che le donne raggiungono meno degli uomini gli obiettivi in tema di pressione arteriosa, colesterolemia ed emoglobina glicata dopo un evento coronarico acuto e che questo gap non accenna a ridursi a partire dalla prima indagine del 1994. Conclusioni Finché le donne resteranno sottorappresentate nella ricerca, compresi i grandi trial – la media delle donne arruolate nei trial è del 33%, e solo il 50% dei trial completati dal 2006 in poi riporta i risultati in una prospettiva di genere – i dati specifici di genere saranno sempre insufficienti. Sussiste ancora, nella ricerca biomedica, l’assimilazione della donna all’uomo, nella sbagliata prospettiva di una generalizzazione dei fenomeni organici, seppur anch’essa necessaria, senza prestare sufficiente attenzione alle differenze, oltre che di sesso, anche di età, di disabilità, di condizioni socioeconomiche, di etnicità. Nel campo dei farmaci si riscontra che, se da un lato si rileva un aumento nel consumo dei farmaci da parte delle donne rispetto agli uomini, dall’altro lato risulta che gli effetti dei farmaci sulle donne sono meno o non adeguatamente studiati rispetto alla specificità femmi- 07Zuppiroli 286:Layout 1 5-12-2011 11:05 Pagina 290 Sae l ute Territorio Salute e Medicina di genere nile. Le donne sono maggiormente esposte a possibili reazioni avverse al momento dell’assunzione di farmaci dopo l’immissione in commercio e si riscontra una minore efficacia nell’uso di farmaci, con effetti collaterali e indesiderati più frequenti e più gravi rispetto agli uomini. Le aree di criticità e svantaggio delle donne si evidenziano, in particolare, nell’ambito delle sperimentazioni di farmaci per patologie non specificamente e tradizionalmente femminili (anche se scarsi sono i dati riportati, proprio a conferma di tale disinteresse). La maggior parte delle sperimentazioni non prevede una differenza tra maschi e femmine al momento dell’arruolamento e dell’analisi dei dati. La percentuale di donne (se confrontata con quella degli uomini) reclutate nella sperimentazione rimane bassa: ciò non consente di misurare la reale efficacia dei farmaci su di loro, ma potrebbe avere anche limitato l’identificazione di farmaci specifici per le donne. Ad esempio, nell’ambito della sperimentazione dei farmaci attivi sulle MC si rilevano prevalenze di soggetti di sesso femminile inaccettabilmente basse per farmaci diventati poi di uso quotidiano: 21% per i betabloccanti, 23% per gli antiaritmici, 24% per gli antiaggreganti e trombolitici, 27% per gli antitrombotici. Inoltre, dai dati AIFA risulta che delle 412 sperimentazioni cliniche su donne censite nel periodo 20002006, una sola riguardava il settore delle MC, mentre la stragrande maggioranza era rappresentata dall’oncologia (62%), seguita dall’ostetricia e ginecologia (ovviamente), dalle malattie dell’apparato muscolo-scheletrico e dall’en- 290 Bibliografia www.goredforwomen.org www.heartcharter.eu www.consilium.europa.eu/ueDocs/cms_Data/docs/pressData/en/lsa /80729 www.who.int/whosis/whostat/2011/en/index.html Stramba-Badiale M., Fox K.M., Priori S.G. et al. (2006), Cardiovascular diseases in women: a statement from the policy conference of the European Society of Cardiology, European Heart Journal, 27, pp. 994-1005. Maas A.H., van der Schouw Y.T., Regitz-Zagrosek V. et al. 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In sintesi, non si può che sottoscrivere le parole del Comitato nazionale per la Bioetica, quando “intende sottolineare il principio etico fondamentale della doverosità di una sperimentazione farmacologica sia su uomini che su donne, in condizioni effettive di parità, senza esclusioni o marginalizzazioni indebite, ritenendo necessaria l’identificazione e la rimozione delle cause delle iniquità… Il CNB auspica che già a livello della ricerca biomedica sia incentivato lo studio specificamente rivolto all’analisi delle condizioni di salute delle donne (malattie diffuse, fattori di rischio, incidenza ecc.), an- che e soprattutto alla luce dei recenti cambiamenti della condizione psicologico-sociale e culturale, al fine di individuare le aree di carenza del sistema sanitario nella risposta ai nuovi e variabili bisogni femminili. In tale direzione andrebbe implementato lo studio sugli aspetti fisiologici e psicologici, oltre all’analisi dei fattori sociali e culturali e alle loro interazioni con la salute femminile”. Il concetto di “pari opportunità” si deve dunque estendere anche alla opportunità di avere un trattamento adeguato in caso di cardiopatia ischemica, nello spirito con cui Amartya Sen intende il concetto di equità della salute: “non già cure uguali per tutti, né cure estese ugualmente a tutti, ma cure tali per cui tutti possano avere uguali probabilità di godere di buona salute”. Birdwell B.G., Herbers J.E., Kroenke K. (1993), Evaluating Chest Pain. The Patient’s Presentation Style Alters the Physician Diagnostic Approach, Arch Intern Med, 153, pp. 1991-5. Balzi D. et al. (2011), ASL 10 Firenze. Differenze di genere nell’uso di statine in una coorte di soggetti ospedalizzati per infarto miocardico acuto, Abstract sottoposto al XX Seminario Nazionale di Farmacoepidemiologia, 12-13 Dicembre 2011. 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Di tutto questo deve tener conto anche l’Oncologia per delineare programmi ed azioni, per organizzare l’offerta dei servizi, per indirizzare la ricerca e per analizzare i dati statistici. Nell’ambito dell’Oncologia di genere inteso come accezione biologica l’Oncologia “maschile” si differenzia da quella “femminile” per i distinti profili fisiopatologici, da cui derivano neoplasie “specifiche” di genere come i tumori della prostata, della mammella e degli apparati genitali. Una prospettiva di genere, intesa sia come accezione biologica che sociale, applicata in ambito oncologico deve tener conto della dimensione e della complessità dello specifico settore. Oggi, in Italia i tumori rappresentano nel complesso la seconda causa di morte dopo le pa- Oncologia al femminile tologie cardiovascolari, confermandosi addirittura prima causa di morte nella popolazione generale con meno di 70 anni. In particolare questo è vero nel sesso femminile, dove il cancro rappresenta fino al 60% delle cause di morte tra i 30 ed i 75 anni, rispetto ad un dato del 45% nel sesso maschile (ISTAT 2007, Fig. 1). In realtà, l’approccio di genere in Oncologia è ancora oggi inusuale, per quanto alcuni aspetti distinguano sin dall’incidenza l’Oncologia femminile da quella maschile, in virtù dell’interazione di molteplici fattori ambientali e costituzionali. Per esempio, l’abitudine al fumo di sigaretta è stata ed è ancora un elemento che risente pesantemente degli aspetti culturali, socioeconomici ed etnici ed è al contempo uno dei principali fattori di rischio nell’insorgenza di molti tumori. Nella differente evoluzione dell’abitudine al fumo nei due sessi negli ultimi vent’anni, risiede probabilmente il motivo per cui nell’ultimo decennio si è assistito ad un ridotto decremento d’incidenza ed ad una maggiore mortalità per cancro polmonare nel sesso femmi- Le specificità psicologiche, sociali e culturali che dovrebbero porsi come riferimento per l’organizzazione dei Servizi nile rispetto a quanto registrato in quello maschile (1,2,3). Infatti, se è vero da una parte che incidenza e mortalità per tumore polmonare si sono ridotte, è anche vero dall’altra che ciò risulta interamente attribuibile ad una netta riduzione di questa patologia nel sesso maschile, associato ad un incremento proporzionale invece nel sesso femminile, parallelamente al diverso andamento dell’abitudine al fumo nei due sessi (Fig. 2). Tuttavia, la variabilità tra uomini e donne non si limita a differenze in termini di incidenza ma si allarga anche a caratteristiche clinico-patologiche (3) con ulteriori differenziazioni etniche. Per esempio, l’incidenza assoluta del tumore polmonare nell’ultima decade è addirittura aumentata nelle donne indiane d’America e native dell’Alaska in controtendenza rispetto a tutte le altre etnie (1,2). L’Oncologia di genere si va progressivamente delineando come una interessante area multidisciplinare, possibile oggetto di ricerche volte a identificare le diversità nella fisiopatologia delle neoplasie nei due sessi, a descrivere e definire eventuali differenze in termini di manifestazioni cliniche ed efficacia degli interventi diagnostici e terapeutici, a sviluppare azioni mirate al trasferimento dei risultati degli studi generespecifici nella pratica clinica. La maggior parte degli studi clinici ad oggi non tiene conto di possibili variabili di genere a partire da quelle farmacocinetiche, farmacodinamiche e inerenti il metabolismo epatico dei farmaci; ciò comporta che in una fase successiva vengano applicati alla popolazione femminile i risultati di ricerche scarsamente mirate. Le problematiche che l’Oncologia deve affrontare come “peculiarità di genere” sono molteplici, di seguito un breve accenno descrittivo per alcune di esse. 08Fioretto 291:Layout 1 5-12-2011 Sae l ute Territorio 292 Menopausa e obesità L’obesità e lo stile alimentare sono riconosciuti quali importanti fattori predisponenti all’insorgenza di alcuni tumori e di potenziale impatto prognostico (4,5). Nelle donne in menopausa, Berrino ha dimostrato con gli studi DIANA che una dieta con meno zuccheri raffinati e grassi animali riduce i livelli di testosterone, estradiolo libero, insulina ed IGF-1 che sono gli ormoni legati sia ad un maggior rischio di tumore mammario recettori-positivi e sia ad una maggior recidività degli stessi (6,7,8). L’aumento ponderale, se non proprio l’obesità, si associa spesso all’ingresso della donna in menopausa, momento in cui emerge anche la problematica della terapia sostitutiva ormonale. Tale tipo di terapia sembra correlare con una maggiore incidenza di tumore mammario invasivo con recettori positivi, come è emerso dalla correlazione tra una riduzione del 26% dell’incidenza di tale tumore nella popolazione in esame tra il 2000 e il 2006 nello studio canadese e riduzione del 64% dell’utilizzazione nello stesso periodo di terapia ormonale sostitutiva (9,10). Tuttavia, tale trattamento ha dimostrato negli anni importanti risvolti positivi in termini di salute sia fisica (ad esempio per quanto riguarda le problematiche cardiovascolari) sia psichica nelle donne in menopausa e le relazioni fra questi aspetti e quelli oncologici che richiederebbero adeguati approfondimenti, risultano ad oggi complesse e non prive di implicazioni di ordine etico/sociale. 11:10 Pagina 292 Salute e Medicina di genere N. 188 - 2011 Fig. 1 ISTAT 2007 - dati relativi all’anno 2002 Screening, tumore e fertilità La partecipazione allo screening mammografico e la richiesta di accertamenti alla comparsa di sintomi risentono di un’interazione non solo con il sesso femminile, ma anche con il contesto socioeconomico e culturale in cui le donne vivono. Le donne con minori livelli socio-finanziari sviluppano un maggior distress dopo la diagnosi di tumore mammario e si rileva una minore partecipazione ai programmi di screening delle donne con maggiori livelli di istruzione(11). Le interazioni tra screening, tumore e fertilità assumono particolare rilievo in caso di giovani donne ancora desiderose di prole. La prospettiva di una maternità può essere alterata dal tumore in se stesso, quando que- sto colpisce l’utero o le ovaie, o dai trattamenti che possono indurre amenorrea od infertilità, effetti talora vincolati all’efficacia degli stessi, come nel caso dell’ormonoterapia. Rare, ma ancora più complesse, le situazioni in cui il tumore viene diagnosticato in corso di gravidanza. In questi casi, la diagnosi è frequentemente tardiva a causa di eventuali fattori confondenti legati alla gravidanza stessa (sintomatologia gastro-intestinale, turgore mammario, edemi arti inferiori, ecc.); possono essere adottati specifici protocolli diagnostici non dannosi per il feto. Successivamente, l’età gestazionale determinerà l’iter ed il timing terapeutico più appropriato. Il trattamento medico del tumore primitivo, quando indicato, im- pedisce l’allattamento nella maggior parte dei casi, alterando ulteriormente un fragile equilibrio. Terapie alternative e complementari L’impiego di trattamenti alternativi e/o complementari risulta decisamente maggiore nelle donne di età media, con un alto livello culturale ed economico e per lo più affette da tumore mammario (12). L’utilizzo di tali trattamenti è stato tale da aver fatto registrare un netto incremento della spesa sanitaria nazionale degli Stati Uniti ad esse dedicato negli ultimi 10 anni. Nel 2006, anche l’European Society of Mastology (EUSOMA) ha riconosciuto la rilevanza delle terapie complementari sottoscrivendo un documento che ne 08Fioretto 291:Layout 1 5-12-2011 11:10 Pagina 293 Sae l ute Salute e Medicina di genere Territorio 293 N. 188 - 2011 Fig. 2 definisse il ruolo nelle donne con cancro mammario operato (13). Nella Regione Toscana è avviato da alcuni anni un processo di governo e integrazione delle terapie complementari in Oncologia indirizzato verso una possibile definizione di: livelli di evidenza, requisiti degli operatori coinvolti, campi di applicabilità, identificazione delle interazioni negative con trattamenti convenzionali, monitoraggio dell’impiego, ecc. Le peculiarità di genere in tale ambito dovrebbero rappresentare una ulteriore importante variabile a cui porre adeguata attenzione. Comunicazione e compliance alle terapie oncologiche La comunicazione della diagnosi, della prognosi e delle terapie da intraprendere riveste in Oncologia un’importanza primaria. La comunicazione risulta efficace quando l’operatore sanitario sa coniugare una corretta informazione sulla patologia con la gestione del distress correlato al contenuto che la stessa veicola, fondando la base per la costruzione e lo sviluppo di una buona relazione terapeutica. In Oncologia, settore in cui quotidianamente ci si confronta con dilemmi esistenziali fondamentali, una delle dimensioni più cri- tiche e impegnative del processo comunicativo, sia per il paziente che per l’operatore, riguarda gli aspetti emotivi, che presentano problematiche differenziate rispetto al genere maschile e/o femminile. Il distress è associato più spesso all’informazione sulla chemioterapia piuttosto che ad altre informazioni inerenti le malattia oncologica (stadio, prognosi, ecc.); esso risulta decisamente maggiore nelle donne rispetto agli uomini e nelle giovani donne affette da tumore alla mammella rispetto alle più anziane. Fallowfield già in passato evidenziava una frequenza di comorbidità psichiatriche (in particolare ansia e depressione) doppia nelle donne che riferivano di aver ricevuto informazione inadeguate rispetto a quelle che ritenevano di averle ricevute in modo appropriato (14). La dimensione interattiva e il raggiungimento di una “realtà” condivisa tra medico e paziente è uno degli aspetti cruciali della comunicazione in Oncologia, in quanto punto di incontro tra l’esperienza “soggettiva” di sofferenza del paziente (illness) e la visione medico-scientifica “oggettiva” del medico (disease). Ad esempio, il dolore, spesso ritenuto sintomo evocativo del cancro, può essere percepito con una intensità che non è proporzionale né al tipo, né all’estensione del danno tissutale cancro-correlato, ma può derivare dall’interazione di fattori fisici, psicologici, culturali e spirituali; ciò sembra essere più rilevante nei pazienti di sesso maschile che non in quelli di sesso femminile. Recenti studi hanno rilevato come negli uomini la percezione del dolore correli con ansia e depressione, mentre nelle donne i sintomi fisici e quelli psicosociali siano ben distinti (15). Per quanto riguarda la compliance alle terapie oncologiche, non è tuttora dimostrata una differenza fra uomini e donne. Peraltro è da rilevare come nel corso degli anni si siano trasformati i profili di compliance ai trattamenti oncologici: le problematiche di tipo psico-sociale correlate alla chemioterapia, come la preoccupazione per il futuro e le conseguenze correlate alla famiglia o alla propria attività lavorativa o alla propria vita di coppia, hanno assunto un ruolo preminente nella vita dei pazienti di entrambi i sessi rispetto ai classici disturbi fisici quali nausea, vomito ed alopecia. Ciò, probabilmente, non dipende tanto dal miglioramento delle terapie di supporto, come dimostrato dall’analogia delle analisi degli studi australiani prima e dopo l’introduzione delle terapie antiemetiche, ma sembra dipendere piuttosto da variazioni del contesto socio/culturale (15,16). Recenti studi di indagine sul mantenimento dell’abilità lavorativa nelle popolazioni di pazienti a lunga sopravvivenza rilevano come i soggetti maschili mantengono abilità lavorative inalterate rispetto alla popolazione maschile sana di pari età, mentre le donne mostrano un deterioramento statisticamente significativo delle capacità in esame. Questo fenomeno probabilmente dipende dalla 08Fioretto 291:Layout 1 5-12-2011 Sae l ute Territorio 294 maggiore rilevanza che il ruolo lavorativo assume per l’uomo rispetto alla donna (17). Le considerazioni esposte implicano che il miglioramento della comunicazione medico/paziente, in vista per esempio dell’incremento della compliance alle cure e della collaborazione dei familiari o della prevenzione dell’insorgenza di sintomatologie psicologico-cliniche o di disadattamento sociale, ecc., trova base nella considerazione anche di variabili come l’ap- 11:10 Pagina 294 Salute e Medicina di genere partenenza di genere in precedenza trascurate. Conclusioni L’Oncologia oltre a prefigurarsi come un sistema a crescente complessità medica, caratterizzato da un forte approccio multidisciplinare lungo tutte le fasi della storia di malattia, ha da sempre rappresentato un eccellente banco di prova per integrare saperi apparentemente distanti come il trattamento medico, il confronto con dilemmi etici, lo sviluppo di N. 188 - 2011 misure psico-sociali a supporto del paziente, la considerazione narrativa dei differenti punti di vista ecc. Anche nella considerazione delle variabili connesse al genere l’Oncologia richiede uno sguardo ed una impostazione progressivamente complessa e sistemica. Le ricerche che connettono l’esperienza del cancro e il genere ci inducono a rivedere ulteriormente la posizione secondo la quale i pazienti oncologici rappresentino gruppi omogenei. Sia da un punto di vista medico che da un punto di vista psico-sociale è un assunto che può interferire con l’efficacia stessa degli interventi. La letteratura presa in esame indica che i fattori legati al genere assumono un ruolo di mediatori e moderatori dell’esperienza personale della malattia attraverso un ampio spettro di dimensioni cliniche, psicologiche, sociali e culturali che a loro volta possono rivestire una grossa rilevanza nella percezione pubblica e nella organizzazione dei servizi sanitari. Bibliografia cancer incidence accord to hormone therapy use: the California Teachers Study cohort, Breas Cancer Reasearch, 12, R4. (1) Jemal A., Siegel R., Xu J. et al. (2010), Cancer statistics, 2010, CA Cancer J Clin, 60 (5), pp. 277-300. (10) Banks E., Canfell K. (2010), Recent decline in breast cancer incidence: mounting evidence that reduced use of menopausal hormones is largely responsible, Breast Cancer Research, 12, p. 103. (2) Menville G., Kunst A.E., Stirbu I. et al. 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Norwegian experiences from the NOCWO study, Support Care Cancer, ahead of print. 09Franconi 295:Layout 1 7-12-2011 12:47 Pagina 295 Sae l ute Salute e Medicina di genere Territorio 295 N. 188 - 2011 Flavia Franconi1,2 Antonio Sassu3 Stefano Occhioni1 Ilaria Campesi1 1 Dipartimento Scienze del farmaco - Università di Sassari 2 Presidente Gruppo italiano Salute e Genere 3 Dipartimento di Ricerche economiche e sociali Università di Cagliari Uomini e donne non sono solo sé stessi: sono anche la regione dove sono nati, la casa o l’aia dove hanno imparato a camminare, i giochi con cui si sono divertiti da bambini, i racconti delle vecchie comari uditi di straforo, i cibi che mangiavano, le scuole che hanno frequentato, gli sport che l’interessavano, i poeti che leggevano, il dio in cui credevano. Somerset Maugham, 2009 P rima di andare al nocciolo del problema riteniamo opportuno ricordare che in Italia sono stati fatti i primi passi per arrivare all’equità di genere nella salute. In particolare: – Il Parlamento italiano, la primavera scorsa, ha costituito un gruppo interparlamentare relativo alla salute di genere coordinato dall’ On. Sabrina De Camillis di cui fanno parte circa 80 parlamentari. – L’indagine conoscitiva, svolta dalla 12 a Commissione permanente del Senato (Igiene e Sanità), sulle malattie degenerative di particolare rilevanza, con specifico riguardo al tumore della mammella, alle malattie reumatiche croniche ad alla sindrome HIV, nel suo documento conclu- Sex-gender pharmacology sivo evidenzia criticità legate a problematiche di genere (Senato della Repubblica, 2011). – L’Agenzia regionale sanitaria della Puglia (ARES) ha nominato un Tavolo tecnico “Medicina di genere” composto dai rappresentati del gruppo di lavoro di Medicina presso l’ARES e dai rappresentanti del Gruppo italiano “Salute e Genere” (GISeG), per valorizzare fra l’altro una Medicina attenta alle problematiche bioculturali legate al genere e per favorire il superamento della cecità di genere. Coordinatore del gruppo è la Dr. Anna Maria Moretti, primario al Policlinico di Bari e vicepresidente GISeG. Oltre alla presa di atto da parte dei decision makers, si è assistito anche alla nascita di altre iniziative fondamentali quali: – Gruppo di lavoro “Farmaci e genere” presso l’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) coordinato dalla Dr.ssa Anna Rosa Marra. Il Gruppo è stato promosso con molta convinzione dal Prof. Guido Rasi che il prossimo ottobre assumerà Le principali iniziative per la stesura delle linee guida sull’utilizzo dei farmaci il ruolo di direttore esecutivo dell’ Agenzia europea del farmaco (EMA). Ciò ci fa sperare che si arrivi ad un’armonizzazione della normativa europea con quella americana per quanto riguarda il genere. Il Gruppo di lavoro dovrà offrire supporto scientifico alla Commissione tecnico scientifica (CTS) nella valutazione delle problematiche di genere specifiche, dovrà valutare i modelli preclinici e clinici atti ad indagare le differenze di genere. In questa ottica il tema potrebbe essere presto nuovamente rivalutato a livello europeo grazie anche alla sensibilizzazione e al coinvolgimento dei Comitati etici. Infine dovrà provvedere alla stesura di linee guida per la sperimentazione farmacologica di genere. – L’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AGENAS) ha costituito tre Tavoli di lavoro relativi alle malattie cardiovascolari, alle malattie respiratorie ed alla fibromialgia per redigere delle linee guida attente al genere. Tutto ciò testimonia l’interesse politico sull’argomento e la voglia di praticare la Medicina di genere anche per aderire alle numerose e documentate raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità e dell’Unione europea. Tuttavia, nel nostro Paese siamo ancora lontani dalla pratica della Medicina di genere anche se è passato il concetto che “essere maschio essere femmina è un importante variabile che dovrebbe essere considerata nel disegnare ed analizzare gli studi in tutte le aeree ed a tutti livelli della ricerca biomedica e della ricerca ad essa correlata”. Alcune iniziative di Aziende sanitarie, vedi quella dell’Azienda sanitaria di Firenze che ha fondato un Centro studi “Salute di genere”, possono essere interpretate in questo senso. 09Franconi 295:Layout 1 5-12-2011 11:12 Pagina 296 Sae l ute Territorio Salute e Medicina di genere Sex-gender pharmacology Differenze di sesso-genere nella salute e nell’assistenza sanitaria sono state descritte in tutto il mondo. Le donne hanno una più alta aspettativa di vita se comparate all’uomo. Tuttavia, un’aspettativa più lunga di vita non implica una migliore qualità della stessa; infatti, le donne affrontano un maggior carico di malattie (paradosso donna). Perché sesso-genere? È noto che la risposta terapeutica dipende dalle interazioni tra geni, ambiente e cultura (Fig. 1). Il paradigma più comune divide il corpo dall’ambiente sociale attribuendo all’uno o all’altro le differenze (Bierman, 2007; Society for Women’s Health Research, 2011). Questo anche perché la Medicina di genere è nata quando ancora non si era cominciato a capire gli intricati ed intriganti meccanismi con cui l’ambiente modificava l’espressione genica. Altri autori (Bird, Rieker, 1999; Marino et al., 2011; Legato, 2011) sostengono che le differenze biologiche non dipendono solo dal genotipo, ma esse possono essere conseguenza dell’ambiente inteso nel senso più ampio e quindi sesso e genere non sono due concetti separati, essendo nella realtà intimamente connessi poiché sono due aspetti di un continuum dove l’esperienza e l’ambiente in cui l’organismo vive impatta sulla funzione dei geni. Nel 2009, l’OMS definisce il genere “the socially constructed roles, behaviors, activities, and attributes that a given society considers appropriate for men and women” e con questa definizione richiama quindi ai ruoli sia biologici che a quelli socialmente costruiti. Il sesso biologico è ovviamente importante, migliaia di geni sono sessualmente dimorfi nel fegato, nel tessuto adiposo e nel muscolo scheletrico (Yang et al., 2006); dimorfismi si riscontrano anche nel cervello (Kolb, Whishaw, 1998) e ciò riguarda anche i cromosomi autosomici (Lega- 296 Fig. 1 N. 188 - 2011 to, 2011). Inoltre, i fattori ambientali modificano in maniera notevole gli organi ed alcune delle modifiche sono trasmissibili alle generazioni successive (Skinner et al., 2011). In effetti, le ultime ricerche evidenziano che definire il sesso o le differenze biologiche fra uomo e donna risulta arduo. Basta pensare ai casi di transessualismo. Alcuni casi di determinazione e differenziazione sessuale risultano condizionabili dall’ambiente. Infatti, l’uovo fecondato XY si differenzierà in fenotipo maschile solo se la sua produzione di ormoni maschili sarà adeguata e se i suoi tessuti risponderanno al testosterone. Modiche ai processi di differenziazione possono essere indotte dall’ambiente, vedi esposizione alle endocrine disruptors (Walker D.M., Gore A.C., 2011; Toppari, 2008). Pertanto preferiamo parlare di sex and gender pharmacology e per praticarla, sia in campo sperimentale che clinico, si devono superare numerose barriere a partire da quella finanziaria, perché l’aumento del numero e della dimensione dei gruppi è necessario affinché statisticamente si possano evidenziare le differenze. Un’altra barriera da superare è la maggiore complessità del disegno sperimentale sia in campo preclinico che clinico. Becker e collaboratori (2005) hanno tracciato un cammino per accogliere la complessità nei disegni sperimentali che però affronta quasi esclusivamente le questioni endocrinologiche, dimenticando di chiedersi se i modelli speri- mentali di malattie hanno un valore per la Medicina traslazionale. In effetti, attualmente i modelli sperimentali di diabete di tipo 2 e di trombosi non presentano tale valore (Franconi et al., 2008, Wong et al., 2008). Molti problemi ci sono anche nella ricerca clinica. Non basta, infatti, includere le donne negli studi clinici ma è necessario considerare il loro stato riproduttivo, il loro ciclo ovarico, l’uso di contraccettivi orali o della terapia ormonale sostitutiva perché essi possono influenzare la farmacocinetica e la farmacodinamica (Franconi et al., 2007, 2011). Altri punti che attendono di essere considerati sono l’analisi dei risultati che richiedono modelli statistici più complessi. Dall’altra parte, come sostengono Wizemann e Pardue (2001), se non conosciamo l’intera storia, le nostre conoscenze saranno alquanto limitate. A questo proposito ricordiamo che non sappiamo neanche se la risposta placebo/nocebo è diversa nei due sessi (Franconi et al., 2007). La risposta a questa domanda è urgente sia per quanto riguarda i clinical trial che la pratica clinica. Infatti, molti trial, devono essere fatti contro placebo anche in accordo alle raccomandazioni della FDA, e senza sapere se vi sono delle differenze nella risposta placebo, il loro valore è scarso. Dal punto di vista clinico è necessario conoscere la risposta per migliorare l’effetto placebo e ridurre l’effetto nocebo. Ovviamente, ci sono anche barriere di tipo etico legate al timore dei pos- 09Franconi 295:Layout 1 5-12-2011 11:12 Pagina 297 Sae l ute Salute e Medicina di genere Territorio 297 N. 188 - 2011 sibili effetti tossici dei farmaci sul prodotto del concepimento che saranno scoperti solo dopo l’entrata in commercio del farmaco. Inoltre, vi è una reticenza delle donne a partecipare agli studi clinici, sia per timore degli effetti sul feto, sia per motivi legati alla cronica mancanza di tempo delle donne prevalentemente legata al ruolo di caregiver (Franconi et al., 2010). Infine, occorre superare il pregiudizio di sesso-genere, che talvolta procura svantaggi anche agli uomini affetti da depressione, emicrania, osteoporosi. Perciò il suo superamento porterebbe alla migliore cura possibile per entrambi i generi avvicinandosi ad una Medicina e ad una salute personalizzata. Sex-gender approccio in farmacologia Le differenze di genere in Farmacologia riguardano sia la Farmacocinetica che la Farmacodinamica ed esse sono state trattate recentemente in numerose review e libri a cui rimandiamo (Franconi et al., 2007; Schwartz, 2007; Soldin, Mattison, 2009; Franconi, Ferro, 2010; Franconi et al., 2010a, 2010b; Franconi et al., 2011, 2011a). Tuttavia avere un approccio di sesso e genere significa considerare le condizioni economiche, di vita, il ruolo sociale circa la femminilità e la mascolinità, ovviamente senza dimenticare la biologia. La non considerazione del determinante genere nella ricerca, nella prevenzione e nella cura ha generato maggiori effetti negativi per la salute della donna. Rimanendo nel campo della cura, le donne ricevono cure meno appropriate rispetto agli uomini, soprattutto se hanno un censo e un livello di istruzione più basso. Inoltre, le donne hanno più reazioni avverse rispetto all’uomo (quasi il doppio). Le donne mostrano una particolare suscettibilità verso alcuni effetti collaterali come la sindrome del QT lungo iatrogeno, il lupus eritematoso sistemico iatrogeno ecc. Il rischio di reazioni avverse è associato alla depressione, alle alterazioni dello stato cognitivo (ambedue gli eventi sono più frequenti nelle donne), all’età (le donne anziane sono più dei maschi anziani), alla politerapia, (le donne essendo più malate ed anziane fanno più ricorso alla politerapia). Le reazioni avverse nelle donne sono anche più gravi rispetto a quelle degli uomini e richiedono quindi maggiori ricoveri ospedalieri andando a pesare sui costi del sistema sanitario. A parte gli aspetti relativi alla salute esse pongono problemi di efficienza e di gestione delle risorse sanitarie. Conclusioni Avere un approccio di sessogenere significa considerare le differenze biologiche, le condizioni economiche, di vita, il ruolo sociale. Purtroppo, la situazione generale dei Paesi avanzati, e ancora di più dei Paesi poco sviluppati, è molto insoddisfacente. Al perpetuarsi dello stato attuale contribuiscono la cultura che la società ha e, in qualche modo, la teoria economica della salute e la professione medica. Infatti, nella teoria dominante dell’economia della salute, vi è una distorsione di genere a svantaggio della donna. Ad esempio, non viene data sufficiente attenzione agli interessi, agli affetti e al tempo che le donne dedicano alla famiglia, al lavoro volontario e all’attività di caregiver. Il modello economico che viene insegnato non affronta minimamente il problema del genere. Eppure è noto che il genere può influenzare anche il mercato e la commercializzazione, quindi per produrre modelli economici aderenti alla realtà si deve prendere in considerazione il determinante sesso-genere. Altrettanto si può dire per i medici che non si soffermano sufficientemente sugli aspetti sociali dei loro pazienti e si limitano, in gran parte, alle variabili strettamente biologiche. Queste considerazione potrebbero sembrare fuori tema o superficiali, ma in un’epoca in cui impera la farmaco-economia, la mancanza di una prospettiva di genere deve essere assolutamente superata per non creare circoli viziosi che rendono più difficile applicare la cura migliore ad ambedue i generi. Ringraziamenti Si ringrazia il progetto strategico “Salute della Donna” Ricerca Finalizzata 2008 del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali ed il progetto “Ricerca cofinanziata PROGRAMMA OPERATIVO FSE SARDEGNA 2007-2013 L.R.7/2007 - Promozione della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica in Sardegna”. Infine si ringraziano il Gruppo italiano Salute e Genere (GISEG; www.giseg.org) che ha costantemente sostenuto tutte le iniziative per promuovere la cultura di genere. (segue a pag. 310) 10Scala 298:Layout 1 5-12-2011 Sae l ute Territorio 298 Danila Scala Presidente Comitato Pari opportunità, Agenzia regionale per la Protezione ambientale della Toscana (Arpat) e del Coordinamento nazionale per le Pari opportunità delle Agenzie ambientali (Cnpo) A d oggi sono ormai numerose e autorevoli le raccomandazioni volte ad adottare l’ottica di genere nella salute e sicurezza nel lavoro nei Paesi occidentali, non solo in quelli in via di sviluppo, dove più riconosciute sono le diseguaglianze di salute delle donne, connesse ai carichi di lavoro e ai rischi in ambiente di vita e di lavoro (1,2). È indubbio che la Medicina del lavoro abbia risentito dell’approccio generale della Medicina volto a indagare patologie a maggiore rilevanza nei gruppi, ricercandone le cause prevalentemente in fattori biologici, fisici e chimici, utilizzando le variabili età e sesso principalmente come confondenti e non come determinanti di malattia. Le evidenze scientifiche sui rischi occupazionali connessi al genere derivano, di fatto, da studi su lavori svolti in prevalenza da uomini poco attenti alla relazione fra esposizioni e patologie femminili in settori a prevalenza di donne, così come all’importanza sia delle differenze ge- 11:16 Pagina 298 Salute e Medicina di genere N. 188 - 2011 Salute e sicurezza sul lavoro nere di natura biologica rilevanti in termini tossicologici (massa corporea, componente lipidica, ecc.) sia di quelle di natura sociale, rilevanti in termini di rischi (carico di lavoro fisico e mentale, conoscenze e comportamenti, interazione vita-lavoro). Gli stessi sistemi di prevenzione hanno spesso ignorato il significato di cambiamenti in atto nella forza lavoro, quali l’ingresso tardivo e la precarietà del lavoro, l’aumento delle donne, l’invecchiamento della popolazione lavorativa, fattori complessivamente capaci di condizionare in modo nuovo le esperienze di vita, parentali e di salute, interagendo con i rischi lavorativi specifici, come dimostra la prevalenza dei disturbi muscoloscheletrici fra le patologie professionali (3,4). I Piani di prevenzione, nazionale e regionali, in corso nel periodo 2010-2012, non mostrano attenzione al genere, stante le differenze di salute fra donne e uomini riportate negli inquadramenti epidemiologici del profilo di sa- La necessità di rilevare patologie derivate da esposizioni e prestazioni che coinvolgono le donne lute delle popolazioni, riferendo tradizionalmente alle donne progetti mirati a rischi sesso specifici (tumori femminili, gravidanza, HPV, ecc.) e agli incidenti domestici1. Si è così prodotta una sottovalutazione delle esposizioni professionali nei settori femminilizzati, perpetuando stime di impatto del lavoro sulla salute probabilmente errate per entrambi i generi (5,6), nonché orientando tardivamente la prevenzione verso i modelli organizzativi, oltre che verso i rischi occupazionali tradizionali (7). La novità introdotta dall’uso della parola “genere” si riferisce proprio alla sua accezione sociale, oltre che biologica, più direttamente espressa dalla parola sesso2. Stante il quadro descritto, non sono però mancati riferimenti alla dimensione di ge- nere nella salute e sicurezza del lavoro: si ricordano in particolare gli studi della statunitense Jeanne Stellman (8), della canadese Karen Messing (9), in Italia di Irene Figà Talamanca dell’Università “La Sapienza” di Roma (10), del Gruppo donne/salute/lavoro Cgil-Cisl-Uil di Milano (11) e, nelle Regioni l’attenzione, ad esempio, della Toscana, che per prima si è occupata di gravidanza e di salute riproduttiva nei sistemi di prevenzione (12), deliberando il protocollo di intesa con INAIL su “Salute e sicurezza sul lavoro in un’ottica di genere”3. Il testo unico che riorganizza ed integra la legislazione nazionale in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro (decreto legislativo 9 aprile 2008 n. 81 e s.m.i.) mira infine a superare la tutela delle http://www.ccm-network.it/Pnp_2010-2012. per il significato di “genere” vedere Regione Piemonte (2007), Glossario. Lessico della differenza, a cura di A. Ribero, pp. 111-4; http://www.kila.it/images/files/Glossario_testo.pdf. 3 http://www.intoscana.it/intoscana2/opencms/intoscana/sito-intoscana/Contenuti_intoscana/Canali/News/visualizza_asset.html?id=1039468&pagename=704617. 1 2 10Scala 298:Layout 1 5-12-2011 11:16 Pagina 299 Sae l ute Salute e Medicina di genere Territorio 299 N. 188 - 2011 lavoratrici in gravidanza, comune a molti Paesi sviluppati, introducendo in più punti il riferimento al genere, obbligando il datore di lavoro a valutare tutti i rischi (art. 28)4. È in questo contesto che alcune Pubbliche Amministrazioni hanno avviato la valutazione dei rischi connessi al genere, programmando una serie di interventi finalizzati all’adeguamento ai criteri richiamati nel nuovo testo di legge ed all’aggiornamento del sistema di prevenzione interno. Uno degli adempimenti previsti è la stesura, da parte del datore di lavoro, di un Documento di valutazione del rischio (DVR, art. 17), rispettando i contenuti minimi riportati nell’art. 28, seguendo le modalità indicate nell’art. 29. Sebbene il decreto 81 sia in vigore dal 15 maggio 2008, la redazione o adeguamento del DVR è stata più volte prorogata, fino al dicembre 2010 per quanto riguarda il rischio stress lavoro correlato. Linee guida operative del sistema delle Agenzie ambientali italiane Le Agenzie ambientali sono nate in Italia nel 1994 con l’istituzione della Agenzia nazionale ANPA, oggi ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambienta- le), seguita dalle restanti 21 Agenzie regionali e provinciali. Il Centro interagenziale “Igiene e sicurezza del lavoro” nel 2006 ha promosso il progetto dedicato alla valutazione dei rischi connessi al genere5, diretto dalle Agenzie delle Regioni Veneto e Toscana, dove si erano sviluppate esperienze precorritrici del disposto legislativo. Il lavoro è proseguito dopo la emanazione del testo unico, visto che non venivano date indicazioni sulla modalità di valutazione dei rischi connessi al genere, avendo comunque il datore di lavoro l’obbligo di individuare delle procedure e di riportarle nel DVR. Le Agenzie svolgono compiti laboratoristici e di controllo del territorio, espletati in condizioni ordinarie e di emergenza. In origine si aveva il massimo di variabilità fra le attività svolte nelle diverse Regioni e Provincie o nelle singole sedi, da cui discendevano condizioni molto differenti di sicurezza e di idoneità dei luoghi di lavoro. Nel tempo questa situazione è stata corretta: si è provveduto all’ammodernamento delle attrezzature e dei locali ereditati dai Servizi multizonali delle Aziende sanitarie locali, alla informatizzazione e alla messa in sicurezza dei processi e delle attrezzature. Il sistema delle Agenzie ambientali ha visto, altresì, l’incremento del numero dei dipendenti (5812 nel 2002, oltre 11.000 oggi), un’elevata presenza di personale con contratti atipici, la riduzione di quello maschile (a maggiore anzianità anagrafica e lavorativa) e la crescita del personale femminile, che ha raggiunto la prevalenza in alcune Agenzie del centro nord (Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Trento, ISPRA). Complessivamente, oggi le condizioni di lavoro sono molto meglio conosciute e controllate rendendo le esposizioni ai fattori di rischio tradizionali saltuarie e di livello moderato o basso: si sono identificati isolati casi di patologie a genesi professionale, generalmente legate alle attività ispettive in esterno. Per affrontare la valutazione dei rischi connessi al genere, il metodo proposto nelle linee guida (13) suggerisce due ambiti di approfondimento: quello generale, relativo alla completa e sistematica analisi per genere dei dati inerenti la organizzazione (personale occupato per età, tipologia contrattuale, orario, assenze dal lavoro, mansioni svolte; turnover; sorveglianza sanitaria, infortuni e malattie professionali, ecc.); quello specifico volto a individuare le condi- zioni o i rischi da approfondire in ottica di genere. Il riferimento all’approccio generale si è reso necessario in considerazione della scarsa attenzione fin qui prestata nel sistema agenziale ai dati per genere, che sono stati prodotti solo dai Comitati di pari opportunità (CPO), laddove istituiti, e per l’emergenza, durante i corsi di formazione, di una diffusa ignoranza della importanza della dimensione di genere nella prevenzione, sia nel personale dirigente, con responsabilità gestionali, che nel restante personale. Tale approccio si trova incluso in numerose raccomandazioni ed è utile sia per la valutazione dei rischi connessi al genere che per la valutazione dello stress lavoro correlato, come riporta la stessa Lettera circolare del 18 novembre 2010 del Ministero del Lavoro. L’approccio genere specifico nella valutazione dei rischi proposto nelle linee guida si basa sulla ricognizione delle conoscenze prodotte in questi anni dai Servizi di prevenzione e protezione interni alle Agenzie ambientali, in merito ai rischi per la salute e la sicurezza derivanti dalle attività, e sui criteri espressi dalla International Ergonomics Association. Technical Committee on Gender and Work6, 4 1. Art. 28 comma 1. La valutazione di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a), anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei preparati chimici impiegati, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro, deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004, e quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, nonché quelli connessi alle differenze di genere, all’età, alla provenienza da altri Paesi. 5 http://www.onog.it/site/it-IT/Le_Attivit%c3%a0/Igiene_e_Sicurezza/Progetti. 6 http://www.iea.cc/upload/technical_genderandwork.pdf. http://www.iea.cc/upload/technical_genderandwork.pdf?phpMyAdmin=XPyBrlJQjtrNYKM50fpmCYvGm%2C8&phpMyAdmin=jLDUJrGUIxQ-3p3v5atPhaf1Xo8. 10Scala 298:Layout 1 5-12-2011 11:16 Pagina 300 Sae l ute Territorio Salute e Medicina di genere che riconducono le principali differenze di genere da indagare nel personale occupato alle seguenti condizioni: – esposizioni: qualora lavori o mansioni siano diversamente presenti fra i generi (come nelle attività di ufficio), o quando lo stesso lavoro venga svolto in modo diverso da uomini e donne; – effetti e risultati: quando si conoscano differenze di genere negli effetti sulla salute dovuti a specificità biologiche (come per la tossicità riproduttiva), a diverse percezioni della salute/malattia, al contesto sociale, alla scelta di indicatori inadeguati (come quelli non distinti); – regolamentazione dei rischi riconducibile al genere (come per la gravidanza). La disparità di trattamento dei temi propri del lavoro femminile ad opera dei sistemi di prevenzione, combinata alle lacune e distorsioni nella ricerca specialistica della Medicina del lavoro, non consente di avere a disposizione validi inquadramenti di tali differenze, che dovranno perciò essere ricercate in parte nella specifica organizzazione. Anche gli strumenti di uso corrente nelle valutazioni si rivelano parzialmente adeguati, in quanto basati su riferimenti “maschili“, come nel caso della valutazione del rischio biomeccanico, molto influenzato dall’effetto combinato genere-età. La ricognizione generale effettuata nelle linee guida indica di approfondire in ottica di genere nelle Agenzie ambientali: – i rischi da agenti chimici; – radiazioni ionizzanti; – vibrazioni, in particolare per le esposizioni in età fertile o in gravidanza; – i rischi da videoterminali, microclima e movimentazione dei carichi, in particolare per le attività di ufficio; – i rischi emergenti, trasversali e organizzativi, in relazione anche ai processi riorganizzativi. A fine 2010, da una indagine fatta dal Coordinamento nazionale per le pari opportunità delle Agenzie ambientali è risultato che la valutazione dei rischi connessi al genere viene ancora centrata soprattutto sulla gravidanza, non si trova sempre riportata nel DVR ed ancor meno è resa disponibile a tutto il personale. Dati e informazioni su infortuni, malattie professionali, sorveglianza sanitaria e radiologica solo in pochi casi vengono elaborati per genere e resi disponibili a tutto il personale. I ruoli di responsabilità previsti dal sistema di gestione salute e sicurezza previsto dal testo risultano coperti prevalentemente da uomini, ma non è stato possibile valutare eventuali differenze nello svolgimento dei compiti laddove essi sono svolti da donne. Particolare attenzione viene dedicata a 300 N. 188 - 2011 garantire la funzionalità dei dispositivi di protezione individuale (DPI), che presentano molte criticità per le lavoratrici delle Agenzie ambientali, nelle taglie e nella conformazione, soprattutto per i dispositivi in uso nello svolgimento delle attività ispettive, di campionamento e di misura in esterno. Nonostante le diverse soluzioni adottate dalle Agenzie, comprese la messa a punto di requisiti specifici nelle procedure di acquisto e la previsione di campioni di prova, non si sono ancora risolti tutti i problemi inerenti i DPI necessari alle lavoratrici. Conclusioni Attraverso la valutazione dei rischi connessi al genere, prevista dal Testo unico, si può dare il necessario impulso alla tutela del lavoro delle donne, alla intensificazione degli studi sui diversi impatti per genere delle esposizioni e alla implementazione di dati sulla salute di lavoratrici e lavoratori, formando adeguatamente i professionisti. Voler approfondire in questi ambiti incontra tuttora particolari ostacoli che le Istituzioni di ricerca, insieme alle Istituzioni pubbliche, devono impegnarsi a superare, migliorando gli stessi flussi statistici correnti, che mal riportano per le donne la professione (ad esempio i certificati di morte o di assistenza al parto). La impossibilità di operare raffronti nella incidenza e prevalenza di patologie nelle lavoratrici, per carenza di dati storici, rischia di sommarsi alla evidenza che sempre meno le donne costituiscono gruppi omogenei o svolgono lavori “femminili”, perpetuando lacune e ineguaglianze. Ai fini della prevenzione, ormai affermato è l’intreccio positivo ai vari livelli fra salute e sicurezza sul lavoro, pari opportunità e lotta alle discriminazioni, sancito dall’ingresso di un rappresentante della Presidenza del Consiglio dei ministri per le pari opportunità nella Commissione consultiva nazionale (decreto 81 art. 6), dove le Agenzie auspicano l’ingresso anche del Ministero per l’Ambiente. È noto che in Europa le pari opportunità al lavoro nascono per ridurre la concorrenza fra Paesi a diversi trattamenti economici nei settori femminilizzati, molti vedono quindi la normativa europea che si sviluppa a tutela del diritto al lavoro e a pari salario per le donne come parte della normativa a tutela della salute di genere, insieme alle norme di Sanità pubblica e di responsabilità sociale delle imprese (14). In Italia, le stesse consigliere di parità aderiscono a tavoli tecnici di studio con gli Ispettorati del lavoro, nonché alla campagna informativa sulla salute e sicurezza del Ministero del Lavoro, in riferimento al lavoro femminile7. La procedura proposta nelle linee guida delle Agenzie può essere applicata anche in altre 7 http://www.lavoro.gov.it/Lavoro/AreaComunicazione/CampagneComunicazione/2010/20100503_Campagna_Comunicazione_SicuramenteNoi.htm. 10Scala 298:Layout 1 5-12-2011 11:16 Pagina 301 Sae l ute Salute e Medicina di genere Territorio 301 N. 188 - 2011 Pubbliche Amministrazioni in cui siano presenti attività simili (di ufficio, di laboratorio, di ispezione in esterno), nonché può servire per migliorare l’acquisizione dei dispositivi di protezione individuale (ancora a concezione “maschile” in molti settori diversi da quello sanitario o alimentare). Il documento fa riferimento anche al tema della valutazione dello stress lavoro correlato e al benessere organizzativo. Le riflessioni fatte in questo percorso nelle Agenzie ambientali hanno evidenziato altri aspetti di interesse da sviluppare, quali la interconnessione fra tematiche della sicurezza e tematiche ambientali, anche nello specifico della prospettiva di gene- re. Molte delle problematiche ambientali, come quelle dei siti inquinati, rappresentano infatti un rischio prima di tutto per i lavoratori e le lavoratrici, le forme di inquinamento possono inoltre avere un effetto differenziato per genere, come si evince dagli studi sugli interferenti endocrini. La sostenibilità delle produzioni a garanzia del- l’ambiente può integrare la garanzia della salute e sicurezza e verso le future generazioni, orientando in tal senso i comportamenti dei fornitori e dei consumatori. In tutti questi ambiti si dovranno muovere con maggiore interazione le diverse discipline scientifiche, nonché le diverse politiche e i diversi settori di intervento. 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In effetti, come per molti altri problemi del mondo, la violenza non è distribuita in modo uniforme tra sessi e/o fasce di età: sono i soggetti “fragili” come donne, bambini o anziani, che vivono una condizione di disparità di potere, economico, relazionale, culturale o sociale, le principali vittime di questi atti. La violenza, dunque, rappresenta un problema “ di genere” per eccellenza, e questa è una consapevolezza ormai ben consolidata e sostenuta da autorevoli organismi internazionali. Il termine “violenza di genere” infatti, viene coniato dall’OMS, che con questo vuole 11:21 Pagina 302 Salute e Medicina di genere N. 188 - 2011 La violenza esercitata sulle donne indicare un complesso arcipelago di comportamenti rivolti contro le donne che includono violenza domestica, violenza sessuale, violenza psicologica, ma anche mobbing o uso del corpo femminile in modo squalificante o irrispettoso. Anche la nostra civilissima Europa non sfugge a questo problema, se è vero che il Parlamento europeo nel 2006 ha sentito il bisogno di riaffermare in sessione plenaria il fatto che la violenza degli uomini contro le donne rappresenta “un fenomeno universale collegato all’iniqua distribuzione del potere tra i generi che ancora caratterizza la nostra società”. Negli ultimi 10 anni si è poi sempre più chiarito come questo fenomeno non sia solo un reato, ma anche un grave problema per la società, una violazione dei diritti umani, ed un fattore di “malattia”: in tutto il mondo esso rappresenta uno dei più grandi problemi di salute pubblica, che si inserisce nel concetto più esteso del riconoscimento dell’“ineguaglianza di genere” come realtà epidemiologica (insieme a fattori sociali, economici e culturali), che attraverso una varietà di condizioni strutturali e istituzionali (leggi, sistemi economici e parentali) influisce sulla mor- Definizione, frequenza e conseguenze fisiche, psicologiche e sociali talità, sulla morbilità e sulla qualità della vita delle donne. Non c’è alcun dubbio che la violenza domestica influisca negativamente sul benessere della donna, incidendo da un punto di vista psicologico, sociale ma anche sul piano fisico: la violenza di genere è alla radice di molte patologie croniche, di quadri psichiatrici, ed è certamente presente tra molte delle donne che si rivolgono ai Servizi sanitari. Da questa consapevolezza nasce l’allarme dell’OMS sulla violenza come fattore di rischio per una serie di patologie rilevanti per la popolazione femminile, e l’appello sulla indilazionabile necessità di costruire una coscienza ed una competenza anche per i sanitari su queste tematiche. L’ambito della salute riproduttiva e sessuale rappresenta il parametro più rappresentativo di quello che una relazione asimmetrica può comportare: la violenza di genere è alla radice di molte patologie croniche ginecologiche, di mancata protezione contraccettiva, di complicanze ostetriche, di disfunzioni sessuali. Molti studi evidenziano come su questo terreno si manifesti in modo determinante l’intreccio tra violenza domestica e violenza sessuale, spesso associate o utilizzate in contemporanea, al fine di mantenere il dominio sulle scelte riproduttive e di mantenere la relazione sbilanciata e asimmetrica. Del resto nel 2009 il “Lancet” pubblica i risultati di uno studio multicentrico, condotto su un campione di 24.097 donne, che mostra un overlap consistente tra i due fenomeni: una percentuale variabile dal 30% al 56% delle donne intervistate riferisce infatti di avere subito sia violenza fisica che sessuale, a dimostrazione che i due aspetti affondano le radici nel medesimo, ben definito aspetto socio-culturale delle relazioni tra “generi”. Il fenomeno Stimare l’incidenza delle varie forme di abuso, non è certamente cosa facile: esistono vari studi sul fenomeno, ma non sempre tra loro confrontabili per l’applicazione di criteri e metodologie diverse. 11Dubini 302:Layout 1 5-12-2011 11:21 Pagina 303 Sae l ute Salute e Medicina di genere Territorio 303 N. 188 - 2011 Inoltre accade spesso che gli episodi, particolarmente quelli che accadono entro le mura domestiche, non vengano riferiti e restino quindi misconosciuti. Tutti gli studi, comunque, concordano sul fatto che la violenza contro la donna è presente in forma endemica in tutti i Paesi del mondo e interessa trasversalmente ogni strato sociale. A livello mondiale si calcola che almeno una donna su tre sia stata picchiata, o abusata sessualmente e che una su quattro sia stata vittima di una forma di violenza durante la gravidanza. La violenza commessa nell’ambito domestico da parte del partner o di un conoscente, rappresenta l’evento più frequente. Alcuni studi condotti nei Pronto Soccorso, rilevano che circa il 30% delle lesioni traumatiche presentate dalle donne, sono dovute a episodi di maltrattamenti da parte del partner: del resto la violenza interpersonale risulta essere la seconda causa di traumi per le donne comprese tra 15 e 44 anni, preceduta solo dagli incidenti stradali, e può assumere forme talmente gravi da provocare la morte della donna. Nel nostro Paese la principale fonte di informazione riguardo a questo fenomeno è rappresentata dall’ISTAT: nell’ottobre del 2006, è stata condotta un’indagine telefonica su 25.000 donne di età compresa tra 16 e 70 anni, dedicata interamente al tema della violenza e maltrattamenti contro le donne, dentro e fuori la famiglia. Sono 6.743.000 (31.9%) le donne che hanno dichiarato di avere subito nel- l’arco della vita violenza fisica o sessuale: nella maggior parte dei casi l’autore è il partner o l’ex partner (69.7%); nel 17,4% si tratta di un conoscente e solo il 6,2% delle violenze è opera di estranei. Da rilevare che il 6.6% del campione dichiara di avere subito forme di violenza sessuale nella minore età, addirittura prima dei 16 anni. Il 33.9% delle donne dichiara di non avere parlato con nessuno della violenza subita, nonostante che la reputi molto grave (34%) o grave (29%), e che nel 21.3% abbia addirittura temuto per la propria vita. Il sommerso riveste dunque la parte più consistente (nel 90.7% non viene denunciata) e i motivi della non denuncia chiama in causa la capacità di accoglienza delle Istituzioni, in particolare quelle sanitarie: infatti è la paura di essere giudicata o trattata male (28.6%), la vergogna o il timore di ingerenze nella propria privacy (22.1%), la scarsa fiducia nelle istituzioni (11.6%) a tenere lontane le vittime. Un aspetto inquietante, che è anche un indice di quanto la violenza sulle donne sia presente anche nel nostro Paese, è fornito dai dati sugli omicidi volontari: il rapporto EURES, pubblicato nel 2009 su dati del 2005-2006, rileva innanzi tutto che un omicidio su tre viene commesso in famiglia; la vittima è una donna nel 58.7% e l’autore un partner o un ex partner nel 53.6% dei casi. I dati più recenti pubblicati nel nostro Paese, si riferiscono a interviste condotte dall’osservatorio Telefono Rosa, nel- l’arco del 2010, coinvolgendo circa 2000 donne: ancora una volta arriva la conferma di come 4 violenze su 5 si verificano all’interno di una relazione sentimentale e soltanto 1 violenza su 100 avviene ad opera di sconosciuti: i comportamenti violenti si consumano solo all’interno delle mura domestiche nel 61% dei casi, per lo meno per quanto riguarda le donne italiane. Al contrario, per le donne straniere in un 30% di casi si verificano atteggiamenti violenti anche in situazioni pubbliche. Tra le donne italiane, inoltre, prevale la violenza psicologica su quella fisica (31% vs 23%), mentre tra le donne straniere è l’inverso, cosa che le costringe al ricorso a cure ospedaliere in una percentuale significativamente maggiore (14% vs 7%). In conclusione anche nel nostro Paese la violenza rappresenta una realtà consistente anche se spesso sottovalutata: a fronte di campagne stampa che si manifestano con grande clamore solo quando esplodono eclatanti episodi di cronaca, contribuendo a creare un clima di straordinarietà rispetto al fenomeno, nel quotidiano si preferisce invece ignorarne l’esistenza, magari affidandosi all’idea rassicurante che si tratti di qualcosa di raro, distante, che non ci riguarda. Le ricadute sulla salute Negli ultimi anni si sono susseguite le prese di posizione e l’impegno di prestigiosi organismi internazionali che si occupano di salute pubblica, che mettevano in relazione la violenza sulle donne e le rica- dute sulla loro salute: nel 1994 la Conferenza internazionale su popolazione e sviluppo tenutasi al Cairo definiva la violenza “… un ostacolo alla salute riproduttiva e sessuale della donna ed ai suoi diritti…”; e nel 2002 l’OMS pubblicava un manuale per gli operatori sanitari dal titolo World report on violence and health. Nel 2004 il Consiglio d’Europa accogliendo le indicazioni dell’OMS, assumeva l’impegno di combattere il fenomeno della violenza sulle donne, così diffuso e trasversale, e rilevava come anche nel nostro continente, la violenza domestica costituisse la prima causa di morte ed invalidità per le donne tra 16 e 44 anni, con un’incidenza maggiore del cancro e degli incidenti stradali. Il già citato articolo pubblicato su Lancet nel 2009 riportava come, delle oltre 24.000 donne intervistate, una percentuale variabile tra 13% e 26% dichiarava di avere subito violenza fisica almeno una volta nella vita mentre erano un 10-50% quelle che dichiaravano di avere subito una qualche forma di abuso sessuale. Uno dei risultati più importanti dello studio è avere evidenziato come la salute delle donne esposte a questo fattore di rischio ne risulti condizionata in modo consistente: nell’ampio campione si riscontra infatti con frequenza quasi doppia rispetto alla popolazione di controllo, una percezione di “cattiva salute” (OR = 1·6), difficoltà a camminare (OR = 1·6), difficoltà a svolgere normali attività (OR = 1·6), dolori diffusi (OR = 1·6), amnesie (OR = 1·8), 11Dubini 302:Layout 1 5-12-2011 11:21 Pagina 304 Sae l ute Territorio Salute e Medicina di genere vaginiti (OR = 1·8); i pensieri suicidiari incidono in misura 3 volte maggiore rispetto alla popolazione generale (OR = 2·9) e i tentati suicidi addirittura quasi 4 volte (OR = 3·8). Dunque la violenza lascia segni sulle vittime non solo sul piano psichico, come si è pensato in passato, ma anche su quello fisico. Le patologie che affliggono con maggiore frequenza le donne vittima di violenza sono i disturbi del tratto gastro-enterico (1 donna su 3 vive una relazione di abuso), depressione (1:2) ma anche cefalea (Golding 1999), lombalgia cronica (Schofferman et al. 1993, Campbell et al. 2002), fibromialgia (Walker et al. 1997), disturbi urologici (Peters et al. 2007) e disturbi della sfera sessuale. Inoltre con maggior frequenza si associa abuso di alcol, droghe, psicofarmaci e analgesici come modalità di reazione nel gestire i sintomi dello stress ripetuto. Anche tutta una serie di patologie ginecologiche, da cui non sono esenti neppure le giovanissime, possono essere associate a questo fenomeno: mancata pianificazione familiare, ricorso all’IVG, malattie sessualmente trasmesse, disfunzioni sessuali e patologie della gravidanza, sono tutte situazioni che possono celare una condizione di violenza. Basti pensare all’associazione con il dolore pelvico cronico, che secondo l’ACOG (American College of Obstetricians and Gynecologists) nel 4050% dei casi affonda le proprie radici in storie di abuso fisico e/o psichico. Non c’è dubbio che il dolore pelvico cronico ben rappresenti un tipo di patologia “funzionale” e sfumata che frequentemente correla con una storia di maltrattamenti. Con qualche sorpresa di molti ginecologi nel 1993 Milburn pubblicava un lavoro in cui il DPC veniva messo in relazione con tutta una serie di possibili cause: sebbene fossero state indagate patologie tradizionalmente ritenute strettamente correlate al dolore pelvico, quali endometriosi e presenza di aderenze rilevate laparoscopicamente, soltanto l’associazione con una pregressa violenza sessuale e una storia di depressione raggiungevano la significatività statistica (p<0.01). I meccanismi che sono coinvolti in questo tipo di associazione sono certamente molteplici e non facili da individuare: probabilmente coesistono fattori di origine psicologica e fattori di origine neurologica; alcuni studi suggeriscono che il trauma possa provocare delle alterazioni biofisiche che esitano in un’alterata sensibilità al dolore. Questo potrebbe realizzarsi attraverso azioni sull’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, con aumento della produzione di cortisolo e conseguente danno alle zone dell’ippocampo e dei circuiti sensibili al CRH, cosa che esporrebbe successivamente ad un’alterata percezione degli stimoli dolorosi (Sapolski et al. 1990); oppure attraverso una “disregolazione “ del sistema nervoso autonomo con ipersensibilità ingravescente da up-regulation delle fibre viscerali. È probabile che meccanismi diversi si 304 N. 188 - 2011 sommino e si potenzino. Probabilmente poi anche depressione e disturbi del sonno, esiti che comunemente fanno seguito ad uno o più episodi di violenza, possono costituire dei fattori che rendono più vulnerabili a successivi stimoli dolorosi. Il trauma è ancora più grave quando le violenze siano avvenute in età infantile: sembra infatti che l’abuso sui minori possa innescare una cascata di eventi in grado di sensibilizzare a successive reazioni al dolore in età adulta; molti studi identificano in esso una sorta di “marker” per il rischio di abuso che dura tutto l’arco della vita, moltiplicando in tal modo il rischio di sviluppare una sindrome da dolore pelvico. (Livello III di evidenza). Società scientifiche prestigiose come l’ACOG e il RCOG invitano a considerare con estrema attenzione la possibilità di una storia di violenza nell’analisi del dolore pelvico cronico, raccomandando di porre domande esplicite sull’argomento, e individuando come punti cardine nell’approccio a questa patologia il tempo dedicato all’ascolto e l’approccio multidisciplinare (Livello di evidenza Ia). La laparoscopia diagnostica, per molto tempo considerata indispensabile nell’analisi del DPC, dati i possibili rischi che può comportare, deve essere invece considerata in seconda istanza, una volta completata l’indagine complessiva (Livello III di evidenza). Le problematiche riproduttive in senso stretto vedono al primo posto la gravidanza non voluta con conseguente ricorso all’interruzione di gravidanza: un articolo pubblicato sul BMJ nel 2005 mostrava un’associazione significativa tra violenza domestica e richiesta di IVG, con un trend crescente al crescere del numero di IVG. Era infatti presente nel 24% delle donne alla prima IVG, nel 30% nelle donne alla seconda IVG fino a raggiungere quasi il 40% nelle donne con più di due IVG alle spalle. Dobbiamo pensare che da queste problematiche non sono esenti neppure le giovanissime: uno studio pubblicato dalla Miller nel 2010 su Contraception riporta una incidenza di giovanissime che percepiscono i rapporti sessuali nella loro relazione come “forzati”, pari al 35% delle ragazze intervistate, con conseguenti boicottaggi contraccettivi (15%) e gravidanze indesiderate (1:5). Per quanto possa sembrare impossibile neppure la gravidanza rappresenta un periodo esente dal rischio di violenza e maltrattamenti: a secondo degli studi si rileva un’incidenza che si attesta tra 5 e 20%. In realtà la gravidanza rende la donna più vulnerabile, riducendo tra l’altro la sua autonomia sia emotiva che finanziaria; i cambiamenti legati a questo periodo possono essere vissuti dal partner come un opportunità per stabilire potere e controllo sulla donna. Non è un caso che il 30% dei maltrattamenti abbia inizio proprio in gravidanza, specie nel secondo e terzo trimestre, che il 69% delle donne maltrattate in precedenza continuino a subire maltrattamenti e che nel 13% dei casi si 11Dubini 302:Layout 1 5-12-2011 11:21 Pagina 305 Sae l ute Salute e Medicina di genere Territorio 305 N. 188 - 2011 assista anzi ad un intensificarsi ed aggravarsi degli episodi. Raramente sono episodi isolati: le aggressioni si ripetono almeno due volte nel corso della gravidanza (60%) o anche più spesso (15%). Sono da considerarsi più a rischio le donne che già vivono una relazione violenta (OR 67.6), le giovanissime (tra 16 e 19 anni il rischio è aumenta di circa 3 volte) e le donne che appartengono a gruppi etnici immigrati. La violenza costituisce un fattore di rischio importante per la gravidanza con conseguenze sulla madre e sul feto che possono arrivare fino alla morte: ricordiamo che rappresenta la 2° causa di morte materna nel mondo. Iperemesi, distacco di placenta, rottura d’utero, poliabortività, perdite ematiche del primo trimestre, ma anche morte fetale, distacco di placenta, parto pretermine, corioamniotite e basso peso alla nascita sono alcune delle possibili complicazioni che possono associarsi ad una gravidanza violenta. In uno studio pubblicato nel 2006 sull’American Journal of Obstetrics and Gynecologists, Silverman, su un campione di oltre 118.000 donne, mostrava come la violenza costituisse un fattore di rischio significativo per ipertensione (OR = 1.40), perdite ematiche (OR = 1.66), iperemesi (OR = 1.63), infezioni vie urinarie (OR = 1.55), parto pretermine (OR = 1.37), IUGR (OR = 1.17). Uno studio del gruppo di Trieste coordinato da Patrizia Romito e pubblicato nel 2009 su Health Care Women, mostrava come anche nella depressione post-partum la violenza del partner giocas- se un ruolo estremamente importante: le donne che subiscono rapporti violenti rischiano infatti 13 volte più delle altre di sviluppare la cosiddetta “blue-syndrome”. Infine abuso di alcol, di farmaci psicotropi e di droga, possono associarsi e potenziare gli effetti negativi sul decorso della gravidanza: è inoltre caratteristico un atteggiamento scarsamente auto protettivo, con ritardo nell’assistenza e controlli mancati che comportano anch’essi conseguenze spesso non trascurabili. Eppure, paradossalmente, la gravidanza costituisce una grandissima opportunità per svelare una situazione di maltrattamento: la maggior parte delle donne segue un programma di controlli prenatali ed ha quindi ripetute occasioni di entrare in contatto con il Servizio sanitario e con operatori con i quali si crea facilmente un rapporto di confidenza e di fiducia; inoltre il timore delle possibili conseguenze per il suo bambino spinge la donna ad aprirsi con maggior facilità. Il report triennale sulla mortalità materna pubblicato regolarmente in Gran Bretagna, ha messo chiaramente in evidenza come il 40% delle donne poi uccise a seguito di episodi di violenza, era passato almeno una volta attraverso i Servizi sanitari, i quali non erano stati in grado si individuare la condizione di rischio. Infine anche disturbi delle sfera sessuale si associano con frequenza maggiore nell’ambito di una relazione violenta, come conseguenza diretta di un rapporto squilibrato e anche attraverso il meccanismo di attivazione del SNA e conseguenti alterazioni dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene descritto in precedenza. Nel 2007 Cocker in una review mette in evidenza la forte associazione tra disturbi della sfera sessuale, e violenza domestica, rilevata in 17 dei 18 studi considerati. Si tratta prevalentemente di vulvodinia, dispareunia e cistiti interstiziali. Gli stereotipi Lo stereotipo rappresenta un “luogo comune” che appartiene alla società ed ha lo scopo di proporre un modello positivo da seguire. Lo stereotipo è introiettato in ciascuno di noi e non è possibile non confrontarsi con esso: ne sono condizionati gli uomini, le donne, ma anche gli operatori. Sulla questione della violenza, il peso degli “stereotipi di genere” è talmente importante che l’OMS dedica nel 2003 un intero capitolo della pubblicazione dedicata alla violenza sessuale ai cosiddetti “miti dello stupro”: la prima cosa che viene stressata riguarda la necessità che il personale che si occupa di questi problemi dovrebbe essere in grado di astenersi dalle proprie opinioni riguardo all’attendibilità del racconto. Gli stereotipi di genere che ruotano intorno alla violenza riguardano innanzi tutto l’idea che la violenza non riguarda solo le donne ma anche gli uomini: quest’idea, contrastata da tutti i dati obiettivi e rappresenta una prima barriera per il riconoscimento di questo problema come un problema di genere. A seguire c’è l’idea che le donne che subiscono violenza sono solo le “cattive ragazze”: è invece noto e consolidato il fatto che la violenza rappresenta un fenomeno trasversale che colpisce tutte le classi sociali. Un terzo stereotipo è rappresentato dall’ipotesi che “spesso le donne si inventano episodi di violenza”: non solo una ricerca dell’US Federal Bureau of Investigation mostrava nel 1997 che solo l’8% degli stupri denunciati si erano rilevati infondati, ma anche tutti i dati, compresi quelli italiani, evidenziano come il problema è rappresentato dalla non denuncia (91.6% nei dati italiani). Un altro stereotipo diffuso è quello che solo se vi sono presenti segni fisici si può essere certi dell’avvenuta violenza: è importante invece sapere che solo in un 10% dei casi la visita ginecologica può accertare l’avvenuta violenza sessuale. Gli stereotipi della violenza sono fattori che contribuiscono a rendere difficile il riconoscimento e l’emersione del fenomeno, e ne è purtroppo ancora intrisa la cultura corrente: è pertanto necessario che siano consapevolmente conosciuti e discussi. Il ruolo degli operatori sanitari Il corpo “parla” anche se la vittima molto spesso non riesce a farlo, e ai sanitari spetta il compito di decodificare questo linguaggio attraverso la conoscenza del fenomeno e la capacità e la sensibilità di interpretare i segnali. Gli operatori sanitari hanno dunque una grande responsabilità, perché conoscere e iden- 11Dubini 302:Layout 1 5-12-2011 11:21 Pagina 306 Sae l ute Territorio Salute e Medicina di genere tificare il problema, può significare comprendere più da vicino le cause di alcune situazioni patologiche e attivare i percorsi di aiuto adeguati, talvolta persino salvare una vita. Non è più possibile ignorare un problema di questa portata che probabilmente si cela dietro a molte patologie che gli operatori sanitari incontrano, e rispetto alle quali è facile provare un senso di impotenza e frustrazione se manca la chiave di volta per una piena comprensione. In particolare i Servizi sanitari che si occupano di salute riproduttiva costituiscono un potenziale unico per confrontarsi su questi problemi, dal momento che la maggior parte delle donne hanno occasione di accedervi in qualche momento della loro vita. Certo ci sono dei segnali che si dovrebbe imparare a riconoscere e ad osservare con attenzione: ad esempio ripetuti accessi al Pronto Soccorso, ri- tardo nell’accesso alle cure prenatali, dimenticanza degli appuntamenti fissati, eccessiva preoccupazione per la gravidanza, eccessiva sollecitudine del partner. Ginecologi, ostetriche, personale dei Pronto Soccorso, medici di famiglia, personale dei Servizi psichiatrici e dei SERT, rappresentano senz’altro le figure con un punto di osservazione privilegiato, rispetto a questo fenomeno: dovrebbero pertanto ricevere una formazione adeguata, che ad oggi non è invece prevista nei percorsi di studio, e dei supporti sufficienti per potere attivare le risposte necessarie. Il manuale che l’OMS ha pubblicato nel 2009 mira proprio a sottolineare come il Sistema sanitario rappresenti la prima possibilità di contatto per le donne vittime di violenza, e conclude che “… troppi pochi medici, infermieri ed altro personale sanitario hanno coscienza e competenza nel ri- 306 Bibliografia Barclay L. et al. (2003), Gynecologist could help identify sexual, physical and emotional abuse, Lancet, 361, pp. 2107-13. Campbell J. (2002), Health consequences of intimate partner violence, Lancet, 359, pp. 1331-6. N. 188 - 2011 conoscere il problema che sottende tante patologie che affliggono le donne o sanno offrire loro aiuto, specie là dove non sono disponibili servizi specifici…”. Gli operatori devono comprendere appieno questa responsabilità e devono essere consapevoli di come un approccio non corretto possa avere l’effetto di allontanare la donna dalle Istituzioni e di impedirle di individuare una strada per uscire dall’inferno dell’abuso. Per dirlo con l’OMS “… Il sistema sanitario non può certo fare questo da solo, ma dovrebbe esprimere pienamente il proprio potenziale ed assumere un ruolo proattivo nella prevenzione della violenza”. Costruire degli strumenti di rilevazione precoce appare un momento indispensabile per offrire ai sanitari un ausilio semplice e immediato per il miglior svolgimento del loro compito: infatti la mancanza cronica di tempo e la neces- sità di “andare veloci” costituiscono una barriera apparentemente insormontabile all’emersione del fenomeno. Un altro punto fondamentale è che gli operatori conoscano le risorse che il territorio nel quale operano può offrire come supporto: la mancanza di una rete e il timore di non potere offrire risposte può infatti costituire la principale spinta a fingere di non vedere. Non c’è dubbio che è necessario anche che i Paesi investano sia in formazione che in azioni politiche e culturali con impiego di risorse: la salute delle donne è un bene prezioso che misura in modo molto corrispondente anche il benessere del Paese stesso. Del resto, per dirlo con Nelson Mandela, dobbiamo sapere che “… la salute e la sicurezza non sono cose che si raggiungono come se accadessero per caso, ma il risultato di un consenso collettivo e di un pubblico investimento…”. OMS (2000), Aide-Mémoire. n. 241. Sharps P. et al. (2001), Health Care Providers Missed Opportunity for Preventing Femicide, Prev Med, 33, pp. 373-80. Talamanca I.F., et al. (1999), La violenza contro le donne, in M. Geddes, La salute in Italia, Rapporto 1999, Ediesse, pp. 113-29. Dubini V. (a cura di) (2007), Violenza contro le donne: compiti e obblighi del ginecologo, Editeam. Why mothers die 1997-1999: the fifth report of the Confidential Enquires into Maternal Deaths in UK 1997-99, RCOG Press, London 2001. 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Facciamo un esempio non casuale: dire che le donne sono più emotive e meno razionali rispetto agli uomini è uno stereotipo, che può divenire stigmatizzante, suggerendo, nel nostro linguaggio che non è neutro, un valore negativo. Si può sottintendere che l’emozione vale meno della ragione, che i due campi debbono essere ben distinti, scissi, e che nella donna non possono esserlo, che esistono processi che attengono del tutto ad un campo o all’altro: nella valutazione di vissuti o ideazioni, presentati da una donna, che La specificità del disagio psicologico si ponga come paziente, questo può fare delle differenze in più o in meno, anche notevoli, nell’essere ascoltata, compresa, diagnosticata. Ogni stereotipo può generare discriminazioni: nella famiglia, nell’ambito lavorativo, persino nella politica, e queste esperienze di nuovo influenzano la mente, la percezione di sé, l’autostima. È noto che le ragazze, spesso più brave negli studi, siano da adulte in numero minore nei livelli lavorativi più alti. Se dicessimo invece che le donne integrano maggiormente aspetti emotivi e cognitivi, o che attribuiscono più importanza ai vissuti emotivi propri e dell’altro, potremmo rendere conto di una differenza, che in realtà non sappiamo quanto naturale e quanto socialmente costruita, senza creare disvalori pregiudiziali. Si suggerirebbe un modello diverso, ma almeno altrettanto valido, di interagire quotidiano, nel lavoro, nella cura di cose e persone, una relazionalità non caratterizzata da presa e possesso, anche simbolici, ma capace di ascolto, dove ciò che è emotivo e ciò che è razionale possono fondersi ed equilibrarsi: “mi fermo davanti all’altro e ne accetto qualcosa: non mi approprio, ma mi meraviglio Le molteplici e significative differenze nella diagnosi e nel trattamento del disagio femminile della vita, accettando di non essere il tutto” (Irigaray). Sicuramente molte sono le differenze legate al genere nel disagio psichico che arriva all’osservazione del clinico, ricevendo una diagnosi psichiatrica, ed ancora troppo poco è stato fatto per far esprimere a tali differenze tutto il loro significato, anche se sono “in fieri” diverse iniziative in questo campo, e questo è sicuramente un dato positivo, di cambiamento. Differenze nei numeri Le patologie non si distribuiscono nello stesso grado, mai si dividono al 50% fra i due generi. Se le schizofrenie maschili sono più frequenti, i disturbi d’ansia prevalgono nelle donne, come le depressioni, ma i suicidi, come le morti per overdose e incidenti, avvengono in numero maggiore nel genere maschile; i disturbi alimentari sono estremamente sbilanciati, solo vent’anni fa si riteneva l’anoressia esclusiva delle ragazze, invece le tossicodipendenze sono più numerose nei maschi, ma anche in questi casi si registra una differenza graduata, che ritroviamo in Toscana, in Italia, in Europa, con poche variazioni, 80/20% per le sostanze illegali, 70/30% per l’alcol, molto più vicini i due generi per il tabagismo. Poi nella gravità, con un andamento inversamente proporzionale alla quantità: le depressioni femminili, più numerose, sono spesso meno gravi di quelle maschili, le tossicodipendenze femminili, meno numerose, sono spesso di grado grave e devastanti per la vita della persona. Come se aver preso una via patologica meno comune per il proprio genere significasse aver avuto maggiore, più forte, un qualcosa, direi la base etiopatogenetica che ha determinato o permesso il disturbo. E differenze vi sono nella disponibilità alla terapia, che almeno per la parte più grave dei fatti patologici che ho citato è migliore se è “integrata”, dove questo temine non descriva, mascherandola, la routine di una terapia farmacologica, appena accompagnata da un parlare di controllo diagnostico, o da ele- 12Trotta 307:Layout 1 5-12-2011 11:22 Pagina 308 Sae l ute Territorio Salute e Medicina di genere menti stereotipi di intervento sociale. Le donne in particolare sono meno chiuse alla parola su se stesse, quando viene loro concessa tale opportunità, in un dialogo terapeutico o in una definita psicoterapia e sono spesso in grado di ripercorrere e comprendere col la/il terapeuta la propria storia e la relazione fra gli eventi di vita precoci, le situazioni successive e la loro sofferenza attuale e questo molto aldilà di fattori culturali, livelli di istruzione, livelli di gravità. Solo sofferenze davvero indicibili, magari da noi conosciute per vie diverse, sociali, giudiziarie, le rendono talora sorde a se stesse e non capaci di nominare le cose o di correlare anche a quei mali il dolore dell’oggi. Non potendo parlare per esteso di tutto questo, che pure mi sembrava di dover accennare, vorrei attraverso due casi, uno dal Servizio per le dipendenze, uno dallo studio professionale, dire cosa troviamo quando andiamo a guardare, anche con attenzione al genere, l’intrecciarsi di vita, sintomi, patologia in due donne con disturbi diversi e con storie molto diverse. Il primo caso è quello di Marina, tossicodipendente, in remissione da molti anni, anche ormai senza trattamento sostitutivo. Conosco la paziente da quasi vent’anni. Ho cominciata a seguirla in carcere ed ho continuato poi al SerT. La sofferenza di questa paziente, ricostruita in almeno dieci anni di colloqui prima bisettimanali e poi settimanali, era cominciata da molto piccola: a otto anni aveva sviluppata una sintomatologia ossessiva grave, che finiva per invadere il suo pensiero e talora le impediva qualsiasi altra cosa, quando aveva dovuto rassicurarsi che la madre, che spesso glielo comunicava anche verbalmente, mentre usciva di casa lasciandola in preda al panico, sarebbe davvero tornata e non si sarebbe uccisa. La paziente amava molto la madre e cercava di proteggerla dalla sua depressione e dal dolore che il marito le dava per motivi relativi ad aspetti di coppia, e soprattutto deludendo le sue aspettative di essere amata e compresa, dopo l’abbandono da piccolissima da parte della propria madre, la nonna della paziente, ed il suicidio del patrigno, l’unico a curarsi di lei con qualche sensibilità. Possiamo leggere la difficoltà materna di questa donna, la madre, come un ripetere i propri abbandoni, in una situazione di non sostegno passata e presente. All’inizio dell’adolescenza Marina, in opposizione al padre, moralista, pio e vissuto da lei come incapace e perverso, volendo incarnare una figura forte e non volendo somigliare alla madre, con il pensiero continuamente invaso da pensieri ossessivi e giochi numerici coatti, aveva cominciato a frequentare ragazzi più grandi, in maniera paritaria e poco sentimentale, più come compagni che amici o innamorati, e ad usare sostanze con loro. Saltando quasi la fase della cannabis, molto comune allora, era approdata ad appena quindici anni all’eroina e poco dopo allo spaccio. Quindi la dipendenza, con l’espandersi compulsivo del bisogno tossi- 308 N. 188 - 2011 comanico, l’alcol, ripetute carcerazioni, lo svilupparsi di un autolesionismo grave, e vari tentativi di suicidio, in carcere e fuori, fino ad un coma che richiese giorni in Rianimazione e la mise in serio pericolo di vita. Già in queste fasi si andava costruendo, fra desiderio e paura di affidarsi, la relazione terapeutica, con me medico psichiatra e con il Servizio, in particolare con un’assistente sociale, secondo rapporto di grande importanza nel seguire una paziente così grave. Infine, accettando di fallire più volte con lei, ma non di cedere alla mancanza di speranza, che di fatto spesso è un ennesimo abbandono nella vita di questi pazienti, arrivammo allo sviluppo di una relazione piena, buona, restaurativa ed insieme alla parola anche i farmaci, fino ad allora abusati, o usati contro di sé, comunque inutili, divennero una parte della cura, che lei rispettava. La paziente riuscì ad interrompere prima l’alcol, poi l’eroina, divenne madre, ed anche se la relazione di coppia non tenne a lungo dopo la nascita della bambina, continuò il suo programma, con impegno e coerenza, nonostante momenti di difficoltà depressiva ripetuti. Fece un inserimento lavorativo in una Cooperativa e diminuì gradatamente il metadone, fino a cessarlo, seguendo anche un percorso di studio e formazione che l’ha portata a svolgere un delicato lavoro di aiuto, in cui riesce bene, con autentica modestia ed un livello di sensibilità impagabile. Ha assistito la madre e si è riavvicinata al padre, comprendendo anche le sue prospettive e difficoltà, fra lavo- ro, insoddisfazioni coniugali e modelli maschili che premono all’eccesso per l’affermazione individuale, almeno sessuale, e dove il predominio sulla parte femminile della famiglia diviene falsamente riparativo della frustrazione. L’altro caso è quello di una giovane signora di buona famiglia, Giulia, moglie di un imprenditore, madre di tre bambini, studiosa citata, venuta da me allo studio in intramoenia, per “sintomatologia ansiosa, con ansia generalizzata e somatizzata”, con episodi di diarrea ripetuti che si esaurivano in 12/24 ore, lasciandola sfinita, inviata già dal suo medico di famiglia a molti specialisti: indagata per carcinoide, Crohn, celiachia, ed altro, era stata poi vista anche da colleghi psichiatri; “sospettata” fra l’altro di essere bipolare, “quindi pazza, dottoressa…” e questa davvero era stata l’ipotesi diagnostica, il collega l’aveva oltretutto vista un’unica volta, che più l’aveva turbata. L’accolsi e la lasciai parlare senza interromperla, oltre l’ora: non è una mia prassi, ma mi sembrò che ne avesse bisogno e che la sua non fosse una logorrea di significato patologico, ma l’umano bisogno di essere ascoltati. Dopo il racconto delle sue disavventure con medici che in tre minuti avevano già capito e le segnavano serie di esami complessi, invasivi, cui comunque era grata, se non altro per avere escluso molte gravi malattie, sentivo emergere l’ansia soprattutto di non poter badare più ai suoi bambini, e a tutte le sue “cose”, più che un’ansia per sé. A tratti riusciva anche 12Trotta 307:Layout 1 5-12-2011 11:22 Pagina 309 Sae l ute Salute e Medicina di genere Territorio 309 N. 188 - 2011 ad essere, segno di una buona salute mentale di base, ironica ed autoironica. Decisi di non porre diagnosi che col tempo, confermandole soltanto al bisogno un ansiolitico dato dal medico di famiglia. Nel corso dei successivi colloqui cominciarono ad emergere circostanze di vita comuni a molte donne, insieme ad un elevato senso del dovere ed un certo perfezionismo, che mi confermarono l’idea di una lieve depressione reattiva, e soprattutto una condizione di stress cronico, che certamente una Medicina molto specialistica e interventista non aveva contenuto, facilitando sintomi di ansia con le molte visite, i molti esami, cosa che anche l’agiatezza economica aveva favorito. Il contesto sociale era comunque quello di una discriminazione, pur declinata in una fascia di borghesia alta. Al concorso universitario, per cui si era straordinariamente impegnata, le era stato preferito il figlio maschio di un qualcuno che contava, meno bravo di lei, innamorata del suo studio, e stimatissima; il suo professore per cui aveva dato anni di lavoro sottopagato o gratuito, ed al cui ordinariato aveva contribuito, l’aveva scambiata con qualche favore fra potenti, dopo averle anche rimproverato i tre figli, come tradimento della ”causa”, deludendola nell’insieme moltissimo; il marito, pur volendole bene, non capiva perché mai soffrisse così e non si mettesse a fare la signora e casomai a fare soldi insieme a lui, visto che ne aveva anche le capacità, ed infatti lo aiutava con idee creative ed innovative, cercando un ponte fra le loro attività. D’altra parte lui non leggeva i bellissimi lavori di lei, trovandoli noiosi. Di fatto Giulia, al momento dell’inizio del malessere e delle sue disavventure sanitarie, lavorava sui suoi temi di studio, accettava nel proprio campo lavori poco pagati e precari, che nel suo bilancio familiare contavano ben poco, facendo di tutto per non far pesare a nessuno la sua fatica ed assumendosi viceversa tutto il peso domestico, la cura della casa, per cui aveva solo un aiuto saltuario, la cura dei figli, dei genitori propri e del marito per svariati bisogni: le molte malattie del padre, la depressione della suocera, chi da accompagnare, chi da sostenere, il giovane cognato da far riflettere perché non prendesse strade sbagliate. Tutto questo per naturale generosità e per profondità degli affetti, ma anche per sentire e dimostrare di essere utile, pratica e non persa in sogni; il marito nel proprio tempo libero si poteva dedicare a sport e svaghi, lei continuava a curarsi di tutto: dei tre figli, di cui la più piccola un po’ delicata ed il primo intelligente e particolare, bisognoso di grande attenzione, ed in più scriveva, metteva su iniziative culturali, senza perdere una sola occasione del suo lavoro, dovendo anche in un caso subire le proposte di un collega più anziano, poco competente, ma stabile e con qualche piccolo, meschino potere. Tutto questo sorridendo, preparando cene, curandosi non formalmente di amiche e cugine per lutti o crisi coniugali, inven- tando un museo, pensando ad un romanzo da scrivere. Nel corso dei colloqui, la mia lettura insieme a lei della sua vita, della sua ricchezza, della sua straordinaria fatica, la rassicurazione sulla sua salute mentale, l’affrontare la sua difficoltà ad accettare alcuni umani limiti, ma anche il riconoscimento condiviso delle ingiustizie subite, anche in un’ottica di genere, ha favorito la progressiva tranquilla ripresa del suo ricco cammino esistenziale ed il superamento dei sintomi. Il disagio psichico, che ha origini multifattoriali, vede come significativa parte etiopatogenetica fenomeni sociali legati al genere. La questione del lavoro domestico, del lavoro di cura della prole, degli anziani e di tutti gli impegni attinenti alla famiglia non equamente suddiviso è un tema segnalato in molta letteratura e soprattutto l’OMS chiede che questo, che è una discriminazione, oltre che una causa di malessere fino alla patologia, venga indagata da psichiatri e psicologi. Le donne lavorano in media per la cura di cose e persone anche tre volte e mezzo più dei loro compagni, ad esempio 34 ore vs 10, come riportato in ricerche svolte in diversi Paesi occidentali, anche se hanno un’attività fuori casa, anche se a tempo pieno, ed anche con uno stato di salute peggiore, con poche differenze. Ma le donne spesso non sanno quanto e come lo fanno, non sono consapevoli quindi di come si genera la loro fatica, l’esaurimento di forze che provano, ma solo se lo sanno e se se ne parla con loro e in generale le cose possono cambiare. Anche nella storia di queste due donne, in maniera molto diversa fenomenicamente, è elemento centrale il farsi carico degli altri fino al sacrificio di sé, un’ esaltazione del ruolo femminile, anche quando questo appare negato coi comportamenti di superficie. Marina assume anzi caratteristiche apparentemente mascoline e di rottura, per sostenere la madre rispetto al padre, e anche per dimostrarle che ci si può fare da sole, che non c’è bisogno di alcun sostegno maschile, in un modo che leggerei quasi come una “didattica artemidea”; quando guarisce è una madre davvero ottima per la figlia e riesce nella cura degli altri, anche nel lavoro, disvelando la sua profonda sensibilità e capacità di dedizione, che aveva vissuto, con ruoli rovesciati, verso la madre sofferente. Giulia, cresciuta in un ambiente favorevole, con una coppia di genitori funzionante e significativa, ha imparato in uno sviluppo sostanzialmente riuscito, a curarsi di tutti, e di tutto, ad esserci per tutti, fino qualche volta a temere di perdere se stessa, e difatti ogni tanto ha perduto il “controllo” del suo corpo: oggi quando accade, meno e meno intensamente, lei dice che il suo corpo le sta segnalando che sta esagerando e chiedendo troppo a se stessa. Rispetto alla violenza di genere, altra area da indagare nelle storie di donne, secondo l’OMS, ed i dati di letteratura indicano, legati a quest’area, vari sintomi: ansia, paura, sensazione di insicu- 12Trotta 307:Layout 1 5-12-2011 11:22 Pagina 310 Sae l ute Territorio Salute e Medicina di genere rezza, depressione, stress acuto o cronico, in questi due casi non compaiono dati eclatanti, ma certo le profferte triviali, segnate dal “potere”, del collega di Giulia, rientrano comunque in questo campo, come l’utilizzo di materiale pornografico da parte del padre di Marina, per lei e sua madre così sconvolgente. La questione della dipendenza economica, ulteriore fattore di discriminazione e stress, le donne trovano meno lavoro, fanno più part time, guadagnano meno, anche a parità di ruolo, hanno o avranno meno pensione, appare invece chiara in questi due casi. Per molti motivi, queste due donne sono più deboli economicamente dei loro partner e questi temi entrano nei loro pensieri, le preoccupano. Il padre della bambina di Mari- 310 Bibliografia Bolen J.S. (1991), Goddesses in every woman, Astrolabio, Roma. Facchini C., Ruspini E. (a cura di) (2001), Salute e disuguaglianze, Angeli, Milano. (segue da pag. 297): Sex-gender pharmacology Riferimenti bibliografici Becker J.B., Arnold A.P., Berkley K.J., et al. (2005), Strategies and methods for research on sex differences in brain and behaviour, Endocrinol, 146, pp. 1650-73. Bierman A.S. (2007), Sex matters: gender disparities in quality and outcomes of care, Can Med Ass J, 177, pp. 1520 e 1521. Bird C.E., Rieker P.P. (1999), Gender matters: an integrated model for understanding men’s and women’s health, Social Science Med, 48, pp. 745 e 755. Franconi F., Brunelleschi S., Steardo L., Cuomo G. (2007), Gender differences in drug respones, Pharmacol Res, 55, pp. 81-95. 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(1998), Brain plasticity and behavior, Annu Rev Psychol, 49, pp. 43-64. N. 188 - 2011 na, artigiano, guadagna discretamente più di lei, che tira avanti a fatica, ma non le dà alcuna cifra fissa per la bambina, riservandosi di fare regali alla piccola quando ne ha voglia (aspetto riportato in letteratura: le donne guadagnano meno e spendono mediamente di più per i figli), il marito di Giulia gode di un sicurezza economica individuale di cui la fa parteci- pe, ma questo non la fa sentire indipendente e realizzata. Sicuramente noi professionisti sanitari dovremmo imparare e non dimenticare mai che il genere è un determinante attivo nel condizionare vita e salute ed anche la relazione che abbiamo con le nostre pazienti. Tenerlo presente in ogni attività sanitaria può salvaguardare le donne e permetterci di aiutarle meglio. Irigaray L. (2011), Une nouvelle culture de l’énergie, Bollati Boringhieri, Torino. Irigaray L. (2007), Sexes et parentés, Baldini Castoldi Dalai, Milano. 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Sensibilità personali e competenze professionali hanno portato alla consapevolezza che l’approccio di “genere” alla salute è una criticità ancora non sufficientemente percepita dagli operatori sanitari. Le sollecitazioni da parte delle organizzazioni nazionali e internazionali non mancano ma la realtà attuale dei percorsi di diagnosi e cura è ancora piuttosto impermeabile a questi richiami. Questo il contesto in cui nasce l’impegno del Presidio ospedaliero del Mugello per portare la prospettiva di genere all’interno dei suoi reparti e dei suoi servizi. Il progetto sta coinvolgendo l’intero Ospedale con la nasci- La prospettiva ospedaliera di genere ta di iniziative gender-oriented e la valorizzazione di realtà di cura già presenti e, più o meno consapevolmente, indirizzate verso un approccio di genere. Come nella maggior parte delle strutture erogatrici di servizi sanitari in Italia, anche nell’Ospedale del Mugello prevalgono numericamente le donne sia tra gli utenti sia tra gli operatori sanitari. Quest’ultimi frequentemente svolgono nel contesto extralavorativo ruolo di opinion leader per “la questione salute”. Quindi si è cercato di aumentare l’incisività dei progetti rivolgendoli alle operatrici sanitarie nelle loro molteplici vesti di professioniste della sanità, di opinion leader e spesso anche di care-giver. Proprio al genere femminile è riconosciuto un ruolo chiave nella prevenzione, poiché hanno spesso la responsabilità di categorie vulnerabili quali gli anziani, i bambini e i giovani in età scolare. La formulazione dei progetti specifici è passata attraverso una fase, aperta a tutti gli operatori dell’Ospedale interessati all’iniziativa, in cui, con la tecnica del brainstorming, si è giunti ad una lista di proposte da discutere, per passare successivamente ad un focus group che ha per- L’esperienza di un Ospedale toscano messo di selezionare e formulare le proposte e gli ambiti di azione. È stato costituito un gruppo di coordinamento a livello di Presidio, individuando un referente per ogni progetto. Alla realizzazione dei progetti hanno preso parte anche il Servizio di mediazione culturale e l’Associazione dei volontari ospedalieri. I progetti specifici Gli interventi attuati possono essere ricondotti concettualmente ai seguenti ambiti. 1. Promozione della Medicina basata sulle evidenze. L’attenzione è posta sulle evidenze sensibili al genere per quanto riguarda lo stato di salute, la promozione della stessa, nonché il decorso delle malattie, gli approcci terapeutici e la loro efficacia. 2. Promozione della partecipazione e creazione di impegno sulla tematica della salute delle donne attraverso l’incoraggiamento di procedure orientate alla prospettiva di genere. 3. Miglioramento della comunicazione, dell’informazione e della formazione at- traverso il perfezionamento dei relativi programmi nei confronti dei pazienti, dei loro familiari nonché degli operatori. L’attività svolta è molto articolata (Tab. 1): dall’accoglienza-orientamento al coinvolgimento attivo nel percorso di cura, fino all’attenzione per il dipendente, per la fragilità, la diversità, l’intercultura. Questo ha generato interesse e grande coinvolgimento. La partecipazione agli eventi formativi, la collaborazione del personale dell’Ospedale nella realizzazione dei progetti è stata rilevante. Molte delle iniziative rappresentano uno standard ripetibile e replicabile in altre realtà, con limitate modifiche, se opportune, per la loro contestualizzazione. Di seguito verranno approfonditi alcuni progetti tra quelli ritenuti più significativi. L’iniziativa individuata per catalizzare l’attenzione degli operatori, vista la rilevanza nazionale della stessa, è stata l’adesione al progetto “Ospedale donna” dell’Osservatorio nazionale per la salute della donna. Si tratta di un pro- 13Capanni 311:Layout 1 5-12-2011 Sae l ute Territorio 312 11:23 Pagina 312 Salute e Medicina di genere Tab. 1 Percorsi assistenziali Breast unit Parto analgesia Prevenzione diagnosi e cura dell’osteoporosi Incontinenza urinaria femminile Promozione plasmafaresi Adattamento delle diete (migrant-friendly) Umanizzazione-accoglienza, ed. salute Cura della persona Accoglienza fratellini nuovi nati Accoglienza figli donne ricoverate Biblioteca per le donne Iniziative per operatori sanitari Seminario incontinenza urinaria femminile Seminario osteoporosi Seminario malattie cardiache Seminario medicina di genere Percorso formativo leadership al femminile gramma di selezione, prima, e segnalazione poi, degli Ospedali basato sul loro livello di “women friendship”, cioè sul grado di attenzione posta non solo nei confronti dei campi della Medicina dedicati alle patologie femminili, ma anche alle esigenze specifiche delle donne ricoverate. Il riconoscimento ottenuto dall’Ospedale del Mugello grazie ad un’assistenza particolarmente dedicata alle problematiche femminili, all’impegno nel garantire caratteristiche multietniche, ad alcuni interventi strutturali a “misura di donna”, ha significato un’ importante valorizzazione delle realtà già presenti nell’Ospedale e uno stimolo alla motivazione degli operatori. Tra le iniziative che hanno come target l’utenza merita di essere ricordata quella condotta dal Servizio di dietetica che ha svolto un’operazione significativa sulle diete che possono rendersi indispensa- bili in gravidanza. Consapevoli del ruolo che l’alimentazione svolge nel controllo e/o nella prevenzione di alcune patologie durante la gestazione, le dietiste non si sono limitate alla semplice traduzione e alla somministrazione di alimenti “italiani/occidentali”. Con l’aiuto del Servizio di mediazione culturale, hanno acquisito conoscenze sui piatti tipici e sulle abitudini alimentari di altre culture, strutturando diete che conciliano la cultura alimentare di un popolo con le indicazioni terapeutiche, aumentando marcatamente la compliance delle donne migranti. Da evidenziare che il concetto di genere non ha solo ed esclusivamente una valenza nell’approccio ad una malattia, come dimostra l’iniziativa del Centro trasfusionale intrapresa all’interno dei percorsi di donazione. La promozione della plasmaferesi, ormai realizzata da due anni nell’ambi- N. 188 - 2011 to della “Giornata mondiale della donazione”, assume il valore di una risposta di genere per le donne in età fertile che, in presenza di bassi valori di emoglobina totale, non possono donare sangue intero. Tra le iniziative che hanno riguardato aspetti di umanizzazione-accoglienza da ricordare l’impegno per l’organizzazione della visita dei figli piccoli alle donne ricoverate nei reparti con elevata intensità di cura, come la Terapia intensiva, o a specificità elevata come la Psichiatria. Queste sono situazioni in cui mantenere o favorire la relazione madre-figlio ha valenze molteplici e importantissime per entrambi: basti pensare al caso di gravi depressioni post-partum. La collaborazione con l’Associazione dei volontari ospedalieri permette lo svolgimento di momenti legati alla cura della persona nel day hospital oncologico. La differenza di genere nella percezione degli effetti collaterali di una terapia antitumorali è spiccata e gli incontri sulla cura della persona, sulla sessualità, sono percorsi di supporto “ad hoc” che hanno un notevole riscontro positivo. I percorsi di promozione della salute rivolti ai dipendenti, al personale dei servizi appaltati ed ai volontari ospedalieri si sono concretizzati con seminari multidisciplinari sulla Medicina di genere e su specifiche patologie: osteoporosi, malattie cardiache e incontinenza urinaria femminile. Il ciclo di incontri ha permesso di incrementare il background culturale, l’aggiornamento professionale e la formazione degli operatori sanitari, di fa- vorire l’inserimento prospettico della cultura di genere nei Servizi sanitari e di promuovere una Medicina sempre più personalizzata. Un incontro tra gli altri è quello sull’incontinenza urinaria femminile che può essere trattata con efficacia, anche con terapie conservative, ma la diagnosi deve essere precoce. Un atteggiamento “attivo” e di risoluzione precoce del sintomo risulta vantaggioso per l’utente (evidente guadagno in salute della popolazione generale) e per l’erogatore finale del SSN (significativo risparmio socioeconomico, reinvestimento in prevenzione primaria e secondaria). Il seminario è stato preceduto da un’indagine epidemiologica che ha coinvolto tutte le donne operanti del Presidio attraverso l’autosomministrazione di un questionario specifico. Questa strategia ha offerto l’opportunità di incrementare la consapevolezza del sé, di persona, essa stessa determinante del suo stato di salute. Infine i coordinatori infermieristici e le dirigenti mediche hanno effettuato un percorso formativo sulla leadership al femminile e i nuovi stili direzionali, percorso biennale nel quale sono state approfondite le peculiarità dei diversi stili di leadership in funzione anche del genere, sono stati illustrati metodi e strumenti da impiegare nel management strettamente legati ai contesti e alle situazioni, riscuotendo un alto livello gradimento. (segue a pag. 320) 14Mondini 313:Layout 1 5-12-2011 11:29 Pagina 313 Sae l ute Salute e Medicina di genere Territorio 313 N. 188 - 2011 Patrizia Mondini1 Cristina Braschi2 1 Azienda sanitaria di Firenze Dirigente sanitario Professioni infermieristiche 2 Direttore UO Assistenza infermieristica ospedaliera U omini e donne non differiscono solo nella semeiotica clinica o nei fattori di rischio, la differenza è espressa anche nel contesto sociale ed è quindi logico ipotizzare, accanto all’esistenza di un diverso approccio da parte degli operatori sanitari rispetto alla loro appartenenza di genere, anche una diversa espressione della richiesta assistenziale da parte dei pazienti di genere diverso che può avere un impatto significativo sulla qualità dell’assistenza percepita. Ci siamo chieste come infermiere se esiste un “nursing di genere”. In letteratura non esiste molto che possa sostenere la nostra domanda, ma l’esperienza di ormai molti anni di lavoro e di stretto contatto con pazienti e operatori sanitari, ci ha ricordato come sia sempre esistita la percezione da parte degli operatori di una diversa modalità di richiesta assistenziale in termini sia quantitativi che qualitativi tra pazienti di generi diversi. Negli studi clinici viene evidenziata la differenza biologica (maschio/femmina) quale uno degli elementi che determinano la composizione della popolazione campionaria. Ma da un punto di vista del nursing può bastare che la diffe- Esiste il nursing di genere? renza tra uomo e donna si sostanzi in una “semplice” diversità di sesso? Riconoscere che le storie personali, le emozioni, le percezioni soggettive, le interpretazioni, i significati di malattia possono essere oggetto dell’attenzione dei professionisti sanitari in quanto espresse in modo diverso e che riflettono la diversità del genere femminile e del genere maschile significa entrare nella prospettiva del prendersi cura della persona nella specificità del genere femminile e maschile, allargando l’orizzonte alle altre dimensioni della malattia: da quella biologica (desease), all’esperienza vissuta della persona (illness), ma anche ai significati soggettivi (sickness). La richiesta di scrivere questo articolo ci è sembrata un’occasione per riflettere ora, e ricercare poi, di affiancare questa prospettiva a quella tradizionalmente intesa per sottolineare e confermare che attraverso la relazione assistenziale ci possiamo prendere cura dell’altro, il malato, non solo come oggetto sul quale applicare il sapere delle scienze, ma soggetto portatore di significati che appartengono al genere femminile o al genere maschile. Ricordiamo, ad esempio, come da sempre gli operatori hanno La diversa modalità di richiesta assistenziale espresso la percezione che lavorare nei reparti “donne” fosse più faticoso e impegnativo rispetto ai reparti “uomini”, come le richieste assistenziali fossero significativamente influenzate dal genere. Sostenute da queste semplici riflessioni, abbiamo voluto verificare se questa percezione avesse a tutt’oggi un fondamento, tanto più in contesti dove i tradizionali reparti femminili e maschili sono stati sostituiti da linee assistenziali miste. Abbiamo scelto fra gli strumenti metodologici possibili (questionari- osservazioniinterviste – focus) lo strumento del focus group. Sono stati pianificati tre focus group con 5-6 operatori per focus, provenienti dalle linee di degenza medica e chirurgica appartenenti al profilo dell’infermiere e dell’operatore sociosanitario. I focus sono stati condotti da un moderatore, alla presenza di un osservatore, e hanno avuto una durata di circa 60 minuti. Il primo focus group era misto ovvero composto sia da operatori uomini che donne, il secondo composto da sole operatrici donne ed il terzo da soli operatori uomini. Questo per evidenziare differenze di percezione da parte del genere dell’operatore piuttosto che dal paziente. Il tema centrale oggetto del focus è stato “Nella pratica assistenziale, nel prendersi cura della persona, si evidenziano differenze relativamente alla diversità di genere?”. Nel corso dei focus è stato affrontato anche il tema “La differenza di genere dell’operatore genera una diversa modalità del prendersi cura?”. Ogni focus è stato registrato e trascritto dall’osservatore per evitare che la memoria potesse operare delle selezioni in una direzione ben precisa. Trattandosi di una semplice indagine a scopo esplorativo e per il tempo a disposizione non abbiamo svolto un’ analisi interpretativa con una sistematica scomposizione e segmentazione del contenuto, ma ci siamo limitate dopo un’integrazione e selezione di frasi per affinità di significato ad una descrizione narrativa. La logica sottesa all’analisi è così sintetizzata: “Se diversi osservatori che analiz- 14Mondini 313:Layout 1 5-12-2011 11:29 Pagina 314 Sae l ute Territorio Salute e Medicina di genere zano un fenomeno lo descrivono nello stesso modo, è molto probabile che tale osservazione risulti attendibile” (Berti, 1994). Dal materiale ottenuto si evince in maniera chiara e senza distinzione di genere da parte del personale, che esiste una modalità diversa di richiesta assistenziale che si esplicita in una percezione di maggior carico lavorativo nei riguardi delle pazienti di genere femminile. Questa diversità si manifesta in diversi modi, è opinione comune per esempio che le pazienti donne manifestino una minor autonomia nel self-care, una più pressante richiesta di attenzione, un recupero più lento in termini di mobilizzazione e di attività della vita quotidiana. La qualità della relazione fra operatore e paziente pare influenzare in modo molto più significativo la percezione della soddisfazione del bisogno nel genere femminile. A supporto di quanto descritto riportiamo alcune delle frasi più significative che rappresentano le osservazioni comuni esposte in tutti i focus. – “La donna è più esigente… richiede più attenzioni”. – “Nel soddisfare il bisogno di urinare per motivi biologici la donna ha bisogno di aiuto (con la padella) l’uomo fa da sé (con il pappagallo)”. – “L’uomo tende ad avere più pazienza ed aspetta, la donna chiama per ogni singola necessità”. – “Gli uomini tendono ad essere più autonomi, in Ospedale tendono a tirare fuori le risorse residue”. – “L’uomo deve dimostrare di essere autosufficiente, la donna vuole stare di più nel ruolo di malata”. – “A parità di intervento chirurgico si evidenzia questa differenza: l’uomo reagisce e tende ad alzarsi subito dopo l’intervento, la donna rimane più allettata segnalando tutta una serie di disturbi quali il dolore, un malessere generale, una stanchezza…”. – “Una paziente donna basta entrare in relazione e darle ascolto che anche il problema legato al dolore si risolve. Quando invece ti chiama un paziente uomo e ti comunica di sentire dolore c’è da stare attenti”. – “Quando si entra in una stanza di degenza donne viene da dire ‘addio qui non si esce più!’“. – “Differenza nell’approccio alla malattia: al momento del ricovero, capita che con una paziente donna l’accertamento possa durare anche 45 minuti, perché non solo risponde a tutte le domande che le vengono rivolte ma pone ulteriormente domande. L’uomo invece il momento del ricovero scende anche a soli dieci minuti”. – “L’assistenza alla donna si diversifica anche in base all’età: la donna giovane affronta in maniera diversa il ricovero in Ospedale rispetto alla donna anziana”. – “La donna anziana si lamenta di più rispetto all’uomo ma anche rispetto ad una donna più giovane”. – “L’uomo più che reagire accetta lo stato di malattia, la donna invece che si è 314 N. 188 - 2011 trovata tutta la vita a correre per la famiglia, il trovarsi ferma a letto per una patologia la spiazza ed entra in una forma di depressione”. – “La frase che frequentemente utilizzano le donne ricoverate è ‘facevo tutto da sola e guarda ora come sono ridotta’ mentre l’uomo utilizza questa espressione ‘queste cose me le faceva mia moglie adesso le so fare anche da solo’”. – “Adesso che nelle degenze si hanno le ‘cellule’ si cerca di equilibrarle nel numero di pazienti uomini e pazienti donne, ovvero si cerca di evitare di fare cellule con sole pazienti donne. Perché da qui il carico assistenziale cambia”. – “Lavoro nella linea chirurgica e per la personale esperienza sembra che gli uomini si riprendano prima dagli stessi interventi rispetto alle donne”. – “Mi sembra che nel complesso l’uomo ‘subisca’ più facilmente il nostro lavoro. Nel senso che si adatta meglio”. – “La donna vuole essere più ‘coccolata’”. – “Con la donna devi saper anticipare i bisogni per farla stare tranquilla… senza curare bene l’aspetto relazionale non si ottengono buoni risultati” – “Per l’uomo in realtà non si evidenziano questi coinvolgimenti relazionali. L’uomo ha una tendenza a far da sé…”. – “Le donne come a casa vogliono gestire da protagoniste la vita familiare così anche durante il ricovero vogliono in qualche modo comunicare questa libertà nel gestirsi”. – “Una donna chiama insistentemente per qualsiasi disagio ed esprime dolorabilità anche se obbiettivamente non sussiste un quadro che supporti il dolore riferito”. Relativamente al tema della differenza di genere nell’operatore rispetto all’approccio assistenziale, molte osservazioni sottolineano come l’operatrice donna risulti in generale più attenta e precisa nelle attività assistenziali soprattutto di care, rispetto al personale maschile. Nello stesso tempo però è il personale femminile a “subire” le maggiori lamentele da parte delle pazienti donne. Probabilmente per una dinamica di identificazione che porta le pazienti ad essere più esigenti con gli operatori dello stesso sesso. Diversamente la figura dell’operatore di genere maschile suscita un senso di maggiore protezione e sembra avere una maggiore capacità di sdrammatizzazione e quindi di allentamento della tensione. – “L’uomo è più gentile…”. – “Le donne preferiscono essere assistite da operatori uomini perché percepiti più calmi”. – “L’operatore donna si innervosisce più facilmente…”. – “L’infermiera si dedica all’assistenza con maggior attenzione, precisione nella cura”. – “L’infermiere è più bravo invece nello stimolare una persona ad alzarsi, ha più forza fisica, ha questa capa- 14Mondini 313:Layout 1 5-12-2011 11:29 Pagina 315 Sae l ute Salute e Medicina di genere Territorio 315 N. 188 - 2011 – – – – – – – cità di spronare, trascinare, stimolare le persone”. “Le lamentele sono rivolte sempre verso il personale femminile, mai sentite lamentele nei confronti di operatori di sesso maschile”. “Le donne sembra si sentano più tranquille, più protette dalla figura maschile”. “La donna con l’operatrice donna ha un tipo di approccio più esigente: portami, fammi, sistemami, tirami giù/su, …”. “L’uomo con l’operatrice donna ha un altro tipo di rapporto, sembra più rispettoso, meno esigente, meno tignoso”. “La paziente donna nei confronti dell’operatore uomo si relaziona con meno direttività, l’operatore uomo le dà un senso di sicurezza, pretende meno da lui…”. “Le pazienti donne evidenziano la pazienza dell’operatore uomo rispetto alle operatrici donne. Gli operatori uomini sono visti più calmi”. “Ho notato che un uomo si approccia al paziente in modo diverso da come mi avvicino io. L’infermiere uomo tende a sdrammatizzare… Ha un impatto di tipo scherzoso… sorvola di più sulle lamentele dei pazienti. L’operatrice don- – – – – na ha un atteggiamento più serio forse più professionale”. “C’è da alzare una paziente, se vado io infermiera, cerca di rimandare quest’attività lamentandosi di non sentirsi pienamente in grado di svolgerla in quel momento. Se ci va il mio collega maschio con una comunicazione lineare di semplice ordine di alzarsi, la paziente obbedisce senza replicare alcunché”. “Vedo più rispetto verso i colleghi uomini da parte delle pazienti donne. L’operatore uomo dà più sicurezza alla paziente donna. La donna in qualche modo con l’operatore donna si lamenta di più, prende tempo…”. “La stessa cosa detta da un operatore uomo e da un operatore donna ha una ricaduta sul paziente diversa”. “Anche per me viene spontaneo approcciarmi al paziente maschio in modo più scherzoso rispetto a come mi avvicino alla paziente donna” – “Forse a noi operatori uomini sono perdonate alcune piccole imprecisioni” – “Esempio quando arriva il vitto, l’operatore uomo si dedica a quest’attività facendo una serie di piccoli gesti che Bibliografia Corrao S. (2004), Il focus group, Franco Angeli, Milano. Bezzi C. (2001), Il disegno della ricerca valutativa, Franco Angeli, Milano. facilitano la paziente donna ad assumere il cibo”. Quanto sopra descritto, è comune a tutti i focus, mentre alcune considerazioni sono presenti secondo il genere del gruppo. Per quanto riguarda il focus di operatrici femminili, l’unico elemento di diversità riguarda l’ovvia maggior identificazione con la paziente: – “… Dalle donne più cautela. Forse è anche una proiezione personale, quindi uso tante delicatezze in più…”. – “Se posso lo faccio con tutti ma nei confronti di una donna sono molto più attenta…”. – “Forse perché vorrei le stesse attenzioni se fossi ricoverata in Ospedale”. Si ribadisce la percezione che le pazienti donne siano più direttive e più esigenti nei confronti del loro genere e più tolleranti verso il personale maschile che viene percepito più calmo. Nel focus composto da personale maschile si pone l’accento invece in modo rilevante sull’aspetto relazionale come condizionante fortemente la stessa richiesta d’assistenza e quindi il carico di lavoro conseguente. – “Se ci si approccia ‘rudemente’ alla donna si ha una risposta negativa; se invece ci si approccia ‘dol- cemente’ si ha una risposta positiva: ovvero riesci a sopperire le sue esigenze anche se in realtà non soddisfi completamente i suoi bisogni”. – “Il carico di lavoro lo crei te stesso facendo attenzione alle differenze di genere”. Solo nel gruppo maschile si riporta come il ricorso al placebo, nella loro esperienza, sia sostanzialemente rivolto ai pazienti di genere femminile: – “Non ricordo di aver fatto neanche un placebo ad un uomo, mentre ne ho fatti molti alle donne…”. – “Valutando l’esito del placebo dopo averlo somministrato: con la paziente donna generalmente si ha la remissione del dolore riferito”. – “Anche il placebo ha funzionato al posto di tranquillanti…”. Conclusioni Da quanto emerso seppur come risultato di una valutazione non approfondita possiamo affermare che esiste un nursing che potremo definire di genere, il cui studio anche attraverso un progetto di ricerca qualitativa può avere un importante significato ai fini della costruzione della relazione assistenziale con il paziente e della relazione professionale tra professionisti. 15Turco 316:Layout 1 5-12-2011 Sae l ute Territorio 316 Lucia Turco1 Andrea Bassetti2 Annalisa Mannocci3 Azienda sanitaria di Firenze 1 Responsabile Centro studi Salute di genere, Direttore del Presidio ospedaliero SM Annunziata 2 Dirigente medico di Direzione sanitaria Ospedale Santa Maria Annnunziata 3 Infermiere professionale Gender equality means the absence of discrimination on the basis of a person’s sex in opportunities, allocation of resources or benefits, and access to services (1). E siste un considerevole numero di ricerche riguardanti le differenze tra donne e uomini in termini di esperienza di malattia e nella risposta dei Servizi sanitari. Vi è sempre più la consapevolezza e la constatazione di significative differenze di genere nell’accesso alle cure, così come nel coinvolgimento negli studi clinici sui farmaci. Sappiamo che esistono evidenze di malattie più frequenti negli uomini e altre nelle donne, che ci sono malattie comuni ma con sintomatologia clinica e risposta al trattamento diversi tra uomo e donna. In letteratura è presente una grande quantità di dati che rivelano un quadro complesso soprattutto a riguardo del divario nella aspettativa di vita, per esempio in anni di vita persi: gli uomini in Europa hanno una speranza di vita inferiore, mentre le donne 11:53 Pagina 316 Salute e Medicina di genere N. 188 - 2011 Organizzazioni sanitarie e salute di genere hanno una maggiore speranza di vita: vivono più a lungo ma con una disabilità maggiore e condizioni di salute peggiori (2). Solo una parte di questo divario riflette differenze biologiche, cioè, differenze in termini di funzione riproduttiva, di influenze genetiche e ormonali. Il genere è importante nello spiegare molte di queste differenze. Numerose ricerche evidenziano l’importanza della influenza di una serie di determinanti sociali sulla salute e su come questi interagiscono con le disuguaglianze di genere amplificandone l’impatto sulla salute. Donne e uomini usano in modo diverso i Servizi sanitari. Vi sono, per esempio, dati che mostrano importanti differenze tra donne e uomini in termini di accesso e di utilizzo dei Servizi cosi come differenze vi sono in termini di adeguatezza e appropriatezza delle cure. Per esempio le donne utilizzano maggiormente i Servizi sanitari soprattutto di Cure primarie e i Servizi di prevenzione al contrario degli uomini e questo sottoutilizzo deve essere conosciuto e affrontato (3). Nu- L’importanza di affrontare le diseguaglianze in termini di opportunità di salute della persona merosi studi hanno inoltre dimostrato che le esperienze di donne e di uomini nei Servizi sanitari – come pure il modo in cui i Servizi sono in grado di soddisfare i relativi bisogni – dipendono anche da come sono organizzati i Servizi. Attualmente l’accesso ai Servizi risente e rispecc.hia influenze legate al genere. L’accesso, per esempio, è influenzato da orari di apertura e dalla disponibilità di appuntamenti: uomini con un lavoro a tempo pieno o donne con grosse responsabilità familiari possono andare incontro a difficoltà nell’utilizzo dei Servizi sanitari. Spesso i Servizi sanitari non sono concepiti in un modo sensibile al genere – ad esempio in Ospedale non c’è possibilità di essere ricoverati in un reparto femminile o maschile o di scegliere il sesso del proprio medico curante. Uomo e donna, di fronte ai propri bisogni di salute richiedono che l’organizzazione sanitaria risponda avendo ben chiare quali siano le differenze di genere. È difficile valutare in che proporzione queste differenze di salute tra uomini e donne siano il riflesso di difetti nei Sistemi sanitari, disequità di genere nella pianificazione e nella erogazione dei Servizi sanitari o siano dovuti a un differente utilizzo di risorse umane o a differenze sociali e culturali. Molte ancora sono e rimangono le domande aperte circa la conoscenza della influenza del genere sulla salute: non sono ancora pienamente compresi gli errori di genere in alcune ricerche mediche, non sono completamente conosciute e riconosciute le differenze di genere nella presentazione dei sintomi, nella manifestazione clinica e nella evoluzione delle malattie, nelle risposta alle terapie. Differenze biologiche legate al sesso influenzano le corrette dosi farrmacologiche. Differenze biologiche di genere influenzano comportamenti e stili di vita (4). 15Turco 316:Layout 1 5-12-2011 11:53 Pagina 317 Sae l ute Salute e Medicina di genere Territorio 317 N. 188 - 2011 Tuttavia, le conseguenze del non affrontare la problematica di genere possono comportare solo il persistere di un divario sullo stato di salute, di una Medicina non basata sulle evidenze per la donna, di non appropriatezza dei percorsi diagnostico-terapeutici, eccesso di mortalità tra gli uomini, non appropriatezza prescrittiva, eccesso di reazioni avverse da farmaci nelle donne, scarsa qualità percepita delle persone, mancanza di percorsi assistenziali che rispettino le differenze, in definitiva di un sottoutilizzo e inefficiente utilizzo di risorse sanitarie. Abbiamo bisogno di affrontare i temi di come ridurre le significative differenze nell’accesso alle cure, dobbiamo intervenire per migliorare l’organizzazione dei Servizi sanitari e l’appropriatezza delle cure, così come le ricerche cliniche e lo studio dei farmaci. Tutto questo è fondamentale per una buona gestione dei Servizi sanitari e dell’assistenza. Ci sono studi e ricerche che hanno valutato i risultati di interventi che affrontano le disuguaglianze di genere e vi è evidenza di miglioramenti nel servizio e nella soddisfazione delle persone (5). I Sistemi sanitari possono svolgere un ruolo chiave nel ridurre le disuguaglianze di salute affrontando il genere nei diversi ambiti. Come può essere affrontata l’equità di genere attraverso i Sistemi sanitari? Nel 2009 l’OMS sottolinea che “se i sistemi sanitari devono rispondere adeguata- mente ai problemi causati dalla disuguaglianza di genere, non basta semplicemente aggiungere un dato sul componente di genere in un unico progetto. La ricerca, i programmi sanitari, l’educazione sanitaria, le politiche di sensibilizzazione, le riforme del sistema sanitario devono considerare il genere fin dall’inizio” (1). Il sesso-genere non è dunque qualcosa che può essere consegnato a “specialisti di nicchia”. Tutti gli operatori sanitari devono avere la conoscenza e la consapevolezza dei modi in cui il genere influisce sulla salute in modo che possano affrontare le questioni di genere e interpretare ed includere il genere nella pratica clinica e assistenziale e nella modalità di erogazione dei servizi. È necessario e urgente avviare il processo di creazione di conoscenza, consapevolezza e responsabilità tra tutti gli operatori sanitari e tra i policy makers. La sessantesima Assemblea mondiale della sanità, dopo aver esaminato il progetto di strategia per l’integrazione di analisi di genere e le azioni nel lavoro dell’OMS, esorta gli Stati membri: 1. Ad includere l’analisi di genere nella pianificazione strategica e operativa, nel processo di budget e nelle pianificazioni specifiche. 2. A formulare strategie nazionali per affrontare le questioni di genere nelle politiche sanitarie, nei programmi e nella ricerca sanitaria, anche nel settore della salute riproduttiva e sessuale. 3. A porre l’accento sulla formazione, sensibilizzazione e promozione su genere, sesso e donne e salute. 4. A garantire che una prospettiva di parità tra i sessi sia incorporata in tutti i livelli di assistenza sanitaria e servizi, compresi quelli per gli adolescenti e per i giovani. 5. A raccogliere e analizzare dati disaggregati per sesso, a condurre una ricerca sui fattori sottostanti le disparità di genere e ad usare i risultati per informare le politiche e i programmi sanitari. 6. A progredire verso l’uguaglianza di genere nel settore sanitario, al fine di garantire che il contributo di donne, uomini, ragazze e ragazzi come care-givers sia preso in considerazione nella politica sanitaria e di pianificazione e di formazione per il personale sanitario. Politiche sanitarie di genere Dal punto di vista politico, come suggerisce l’OMS, due sono gli elementi chiave per migliorare l’integrazione del genere nei Sistemi sanitari. Il primo è focalizzare l’attenzione sul genere (iniquità) nelle politiche pubbliche in generale e, in particolare, nella politica sanitaria. Il secondo è adeguare la risposta dei Sistemi sanitari europei ai differenti bisogni che uomini e donne hanno rispetto ai Servizi sanitari. L’uguaglianza di genere e l’equità di genere possono essere affrontate utilizzando approcci diversi, quali la legi- slazione, i processi organizzativi, approcci informativi, ed educativi. Approcci normativi a livello nazionale, potrebbero riguardare i diritti dei pazienti o definire la parità di genere quale dovere per le organizzazioni del settore pubblico. Tale dovere richiederebbe agli organi di programmazione e di governo nazionale, Ministeri della Salute, Governi regionali, di considerare ed individuare i modi in cui i Sistemi sanitari possono ridurre la disuguaglianza e di adoperarsi per la promozione della parità di genere. Approcci organizzativi si dovrebbero focalizzare sull’uso nei Sistemi sanitari di vari strumenti per evidenziare le disuguaglianze di genere e individuare soluzioni. Per esempio, il bilancio di genere è un approccio organizzativo che si concentra sulla spesa pubblica e rende esplicito l’impatto di genere delle decisioni di bilancio. Approcci informativi si concentrano sul ruolo dei dati nel fornire conoscenze circa le disuguaglianze di genere. Per esempio, indicatori di genere di salute sono destinati ad identificare le principali differenze tra uomini e donne in relazione alla salute e ai determinanti sociali della salute, al fine di sostenere il cambiamento della politica. Approcci educativi di sensibilizzazione e formazione degli operatori sanitari e di informazione e promozione della conoscenza delle persone. Infine è necessario un nuovo approccio nella ricerca un approccio che elimini il bias 15Turco 316:Layout 1 5-12-2011 Sae l ute Territorio 318 metodologico di fondo e che ricomprenda una ricerca clinica e una ricerca sui determinanti socioeconomici che tengano conto delle specificità di genere. Tutti gli approcci richiedono risorse finanziarie e umane, impegno politico, prospettiva di lungo termine, trasparenza dei processi decisionali, dati disaggregati per genere, formazione e il coinvolgimento delle parti interessate. È necessaria una funzione di gestione all’interno del Sistema sanitario fortemente orientata in questo senso. Obiettivi specifici di genere Se è vero che è necessario un forte impegno del sistema è vero che anche piccoli cambiamenti possono contribuire a realizzare ulteriori trasformazioni. I Sistemi sanitari, in generale, non hanno obiettivi specifici per genere. Tuttavia, è possibile includere la dimensione di genere in base a evidenze di differenze nella salute tra uomini e donne. In relazione all’uso dei Servizi sanitari potrebbero essere introdotti obiettivi specifici per uomini e donne per tenere conto dei differenti pattern di utilizzo. Ad esempio per i programmi di screening si potrebbe mirare ad un incremento genere-specifico, come nel caso dello screening colon-retto dove il genere maschile è sotto reclutato. Cosi per quanto riguarda l’equità nell’accesso e la presa in carico si potrebbe proporre la definizione e applicazione di percorsi assistenziali specifici per genere là dove vi è assenza o caren- 11:53 Pagina 318 Salute e Medicina di genere za di questi come per esempio è il caso della incontinenza urinaria femminile. Obiettivi specifici possono concentrarsi su questioni relative alla qualità dell’assistenza e delle cure, a esiti di cura: ad esempio riduzioni di tassi di mortalità in malattie specifiche o alla qualità percepita. Potrebbero essere sviluppati obiettivi di appropriatezza clinica di genere: ad esempio utilizzo e applicazione delle linee guida cardiologiche sulla patologia ischemica nella donna o appropriatezza della diagnosi e terapia della depressione nella donna o valutazione del rischio di osteoporosi nel maschio e nella femmina. Molti potrebbero essere gli esempi ma sicuramente fondamentale e primo passo verso la definizione di obiettivi di genere è la necessità di informazioni e conoscenze. La mancanza di conoscenze Nonostante i dati epidemiologici generali e numerosi studi che considerano nel loro disegno l’analisi di genere mostrino importanti informazioni e suggeriscano la necessità di approfondire e analizzare ciò che emerge, ancora oggi non abbiamo studi ed analisi specifiche e in generale il determinante genere non rappresenta nelle ricerche in campo medico, sia clinico-sperimentali che osservazionali un “corpus” strutturato. Mancano dati sufficienti per capire e quindi intervenire là dove più importante può essere la necessità di un cambiamento. Dati disaggregati per genere N. 188 - 2011 sono il primo essenziale passo per affrontare l’equità di genere e la produzione di dati disaggregati di routine potrebbe rappresentare un passo avanti significativo. Dati disaggregati possono contribuire a generare le prove specifiche, e quindi indicare gli obiettivi e gli interventi necessari per rimuoverlo. Una volta diventati di routine, nel corso del tempo potrebbero essere osservate le tendenze e quindi essere individuati sia obbiettivi specifici sia obiettivi generali. Il processo può iniziare con gli obiettivi più modesti – ad esempio valutare la differenza tra donne e uomini in termini di utilizzo di specifici Servizi sanitari, per poi passare alle strategie che iniziano a sfidare tali differenze o affrontare in termini più ampi i temi di equità di genere in tutto il Sistema sanitario nel suo complesso. Obiettivi, cioè parametri strategici di gestione dell’Azienda sanitaria, dove il genere costituisce un determinante essenziale della salute. Indicatori di genere Accanto agli obiettivi vi è necessità di definire e valutare indicatori di genere. Gli indicatori sanitari sono oggi ampiamente utilizzati nella valutazione delle organizzazioni sanitarie. Dobbiamo però registrare che ancora non sono stati sviluppati indicatori sensibili al genere. Nel 2003 il Consultative Meeting on gender-sensitive dell’OMS ha sviluppato e definito un set di 35 indicatori gender-sensitive: 11 indicatori riguardano lo stato di salute (mortalità materna o percentuale di malattia depressiva auto-segnalata nei maschi e nella femmina, ecc.), 13 riguardano determinanti di salute (percentuale di fumatori maschi e femmine <15 anni, percentuale di obesità e sovrappeso nei maschi e nelle femmine, ecc.) e 11 sono sulle performance dei Servizi sanitari (utilizzo di Servizi, liste attesa maschi femmina, ecc.). Gli indicatori definiti, che anche la stessa OMS ha giudicato troppo numerosi e che dovranno essere ridotti nel futuro (vedi Tab. 1), hanno applicabilità e valore diverso nei Paesi sviluppati e in quelli in via di sviluppo. Anche se molti di questi si riferiscono ai Paesi in via di sviluppo in generale rappresentano comunque una prima traccia per la definizione e la valutazione di indicatori a livello della nostra realtà, sia nazionale che regionale o di Aziende sanitarie. Conclusioni Equità di genere in relazione alla salute non significa produrre risultati uguali per uomini e donne, ma significa affrontare le disuguaglianze in termini di opportunità di salute della persona, ricomprendendo in questo le differenze nel modo in cui i Sistemi sanitari sono in grado di rispondere alle specifiche e differenti esigenze. Oggi vi è un ampio consenso sul fatto che le politiche sanitarie possono esacerbare le diseguaglianze quando non tengono in considerazione i differenti bisogni di salute di donne e uomini. 15Turco 316:Layout 1 5-12-2011 N. 188 - 2011 11:53 Pagina 319 Sae l ute Salute e Medicina di genere Territorio 319 Tab. 1. WHO gender-sensitive core health indicators. 15Turco 316:Layout 1 5-12-2011 Sae l ute Territorio 320 11:53 Pagina 320 Salute e Medicina di genere N. 188 - 2011 Glossario OMS - Politiche di genere (2002) (6). Gender is used to describe those characteristics of women and men, which are socially constructed, while sex refers to those which are biologically determined. People are born female or male but learn to be girls and boys who grow into women and men. This learned behaviour makes up gender identity and determines gender roles. Gender analysis identifies, analyses and informs action to address inequalities that arise from the different roles of women and men, or the unequal power relationships between them, and the consequences of these inequalities on their lives, their health and well-being. The way power is distributed in most societies means that women have less access to and control over resources to protect their health and are less likely to be involved in decision making. Gender analysis in health often highlights how inequalities disadvantage women’s health, the constraints women face to attain health and ways to address and overcome these. Gender analysis also reveals health risks and problems which men face as a result of the social construction of their roles. Gender equality is the absence of discrimination on the basis of a person’s sex in opportunities, in the allocation of resources and benefits or in access to services. Gender equity refers to fairness and justice in the distribution of benefits and responsibilities between women and men. The concept recognises that women and men have different needs and power and that these differences should be identified and addressed in a manner that rectifies the imbalance between the sexes. Gender mainstreaming. The ECOSOC resolution defines mainstreaming gender as “… the process of assessing the implications for women and men of any planned action, including legislation, policies or programmes, in any area and at all levels. It is a strategy for making women’s as well as men’s concerns and experiences an integral dimension in the design, implementation, monitoring and evaluation of policies and programmes in all political, economic and social spheres, such that inequality between men and women is not perpetuated. The ultimate goal is to achieve gender equality”. “Mainstreaming gender is both a technical and a political process which requires shifts in organisational cultures and ways of thinking, as well as in the goals, structures and resource allocations … Mainstreaming requires changes at different levels within institutions, in agenda setting, policy making, planning, implementation and evaluation. Instruments for the mainstreaming effort include new staffing and budgeting practices, training programmes, policy procedures and guidelines”. Bibliografia (1) Payne S. (2009), How can gender equity be addressed through health systems? Policy brief, World Health Organization 2009 and World Health Organization, on behalf of the European Observatory on Health Systems and Policies. (2) Eurobarometer (2007), Health in the European Union, European Commission, Brussels. (3) Hayes B.C., Prior P.M. (2003), Gender and health care in the UK. Exploring the stereotypes, World Cancer Research Fund and American Institute for Cancer Research, Palgrave Macmillan, Basingstoke. (segue da pag. 312): La prospettiva ospedaliera di genere Conclusioni La discriminazione di genere e l’empowerment delle donne costituiscono oggi, le sfide principali che il mondo, non solo sanitario, si trova ad affrontare. Nell’Ospedale del Mugello è stato compiuto un percorso di miglioramento importante. A tre anni di distanza dall’inizio del progetto è chiaro agli operatori dell’Ospedale che il par- lare di una Medicina di genere non si identifica con l’attenzione alle malattie delle donne, né tanto meno con l’attenzione alle malattie degli uomini, bensì nel capire come curare, diagnosticare e prevenire le malattie comuni ai due sessi, sulla considerazione che queste incidono diversamente “sul genere uomo” e “sul genere donna”. I progetti nati più recentemente nell’Ospedale hanno impostazioni consequenziali, meno orientate solo ed esclusiva- Bibliografia WHO (2006), Gender Equality. Work and Health: a review of evidence. WHO, Commission on Social determinants of Health - Women and Gen- (4) Food, nutrition, physical activity and the prevention of cancer: a global perspective, American Institute for Cancer Research, Washington DC 2007. (5) Sundari Ravindran T.K., Kelkar-Khambete A. (2007), Women’s health policies and programmes and gender-mainstreaming in health policies, programmes and within health sector institutions, Background paper prepared for the Women and Gender Equity Knowledge Network of the WHO Commission on Social Determinants of Health. (6) WHO headquarters (2002), Integrating gender perspectives in the work of WHO. mente al “femminile” (area materno-infantile, discipline ginecologiche). Le iniziative attuali si basano sul rispetto delle differenze nell’accesso e nell’organizzazione delle cure e nell’uso dei farmaci, ad esempio approccio nella prevenzione delle malattie cardiovascolari, effetti collaterali della terapia antineoplastica). Possiamo dire che, vista la relazione del genere con il contesto storico e sociale, la chiave di lettura “genere” diventa lo strumento non solo per da- re pari opportunità a uomini, donne, ma anche ai diversamente abili, agli emigranti, alle persone nelle fasce di età estreme della vita. Anche dall’esperienza dell’Ospedale del Mugello, grazie ai risultati conseguiti, nasce nel giugno del 2011 il Centro aziendale di Medicina di genere che si propone di diffondere la cultura di genere attraverso molteplici iniziative e mettere a disposizione di altri soggetti ed istituzioni le competenze acquisite. der Equity Knowledge Network (2007), Unequal, Unfair, Ineffective, Inefficient Gender Inequity in health: Why it exists and how we can change it, Karolinska Institute. Nobelius A.M., Vainer J. (2004), Gender and medicine: a conceptual guide for medical educators, Monash University, Australia.