Bellissima La donna italiana nel mondo

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Bellissima La donna italiana nel mondo
Sabato 29 Dicembre 2007
Cultura & Spettacoli
LISTE NOZZE - Bari, via Calefati 81˜ 83
LISTE NOZZE - Bari, via Calefati 81˜ 83
Dopo il caso Carla Bruni
Un tocco estetico per un’idea nazionale
l Il titolo del volume di Gudle, «Figure del desiderio», replica quello di un
libro del 2002 scritto dal semiologo Ugo Volli (Cortina ed.). Non si sa se si tratti
di un caso fortuito o voluto; tuttavia, lì sia il sottotitolo sia il contenuto del
volume andavano in una direzione decisamente filosofica, mentre in questo
caso Gundle opera su tutt’altro terreno e dimostra con un taglio di studi
culturali come la bellezza femminile abbia costituito storicamente e costituisca
tuttora un punto essenziale nella costruzione dell’idea dell’Italia e dell’italianità. Questo aspetto è in verità molto più caratterizzato nel titolo dell’originale inglese che adopera una parola italiana usata in tutto il mondo Bellissima - e nel sottotitolo: Feminine Beauty and the Idea of Italy (La
bellezza femminile e l’idea di Italia). Il termine «bellissima» compare in questi
giorni con una connotazione simile nel film di Pieraccioni Una moglie
bellissima. Bellissima è il titolo del film di Luchino Visconti del 1951 con Anna
Magnani, nel quale la «bellissima» in questione è una bambina che la
mamma vuole a tutti i costi far partecipare a un provino a Cinecittà. [p. cal.]
Può la bellezza femminile del Bel paese
costituire un argomento contro le recenti
annotazioni di declino e malessere indicate
dal «New York Times»? Forse sì, anche se
ad alcuni potrà sembrare futile. Ci aiuta
a comprendere l’immagine e il punto di
forza del fascino italiano un recente volume
dell’inglese Stephen Gundle, «Figure del
desiderio». Da Lina Cavalieri alla Bellucci
di PATRIZIA CALEFATO
immagine
dell’Italia
all’estero si offusca? Il
«New York Times» alcune settimane fa ha parlato di declino e malessere che caratterizzerebbero da alcuni anni il nostro
Paese, di perdita di punti forti e
speranze, di invecchiamento reale e metaforico - cui staremmo
andando tristemente incontro.
L’ipotesi ha già ricevuto le sue
autorevoli repliche. C’è però un
argomento che sembra scardinare sul nascere questa diagnosi:
esiste infatti qualcosa su cui indubitabilmente a livello internazionale l’Italia non teme concorrenti nell’universale riconoscimento, né perde punti o speranze
per il futuro. Questo qualcosa si
chiama bellezza femminile. Certo, l’autorevole giornale non sfiora neanche il tema. Che la bellezza femminile possa essere un
argomento serio da considerare
quale elemento chiave per comprendere passaggi importanti
nella cultura, nella politica e nella società italiana può far storcere il naso, e sicuramente si
cammina sul filo del rasoio.
A farlo con garbo e competenza
ci pensa però ora lo storico inglese Stephen Gundle, che ha lavorato molto sul rapporto tra la
cultura di massa e la società italiana, in un volume dal titolo Figure del desiderio. Storia della bellezza femminile italiana (Laterza
ed.). A costituire il nocciolo del
lavoro di Gundle è la ricerca su
come la coscienza nazionale italiana si sia costruita, all’interno e
all’esterno del Paese, anche su
questa base solitamente trascurata dalle storie ufficiali. Si tratta
di una storia che affonda le sue
radici, secondo Gundle, ben prima dell’unità nazionale, come
può dimostrarsi nei diversi elementi che si pongono all’origine
dell’idea dell’Italia come terra
della bellezza personificata nella
figura femminile.
I patrioti del Risorgimento rappresentarono allegoricamente
l’Italia come una donna, certo allo stesso modo di quanto accadeva per altre nazioni. Nel caso
specifico italiano, però, questa
simbologia «interna» e patriottica si affiancò alle raffigurazioni
L’
Bellissima
La donna italiana
nel mondo
Album al femminile: foto di italiane nel XX secolo
l Alla figura femminile nella storia italiana dell’ultimo secolo è dedicato il corposo
Oscar Mondadori «Donna. Una storia italiana», a cura di Luca Scarlini. Costituito di
fotografie d’archivio e brevi testi tratti dalle
opere di tantissime autrici italiane del Novecento, il libro è scandito nei canonici tempi-luoghi di vita delle donne: Casa e famiglia,
Lavoro, Politica, Feste e tempo libero. Un’an-
La Loren. Sopra, la Bruni con Sarkozy e la Cavalieri, la «donna più bella del mondo»
che i viaggiatori stranieri in Italia, nel corso del «Grand Tour» di
gran moda tra gli aristocratici
nordeuropei tra il XVIII e il XIX
secolo, ricostruivano man mano
che scoprivano le bellezze artistiche del nostro paese spesso
aventi per soggetto madonne,
gentildonne o popolane di rara
bellezza. Gundle attribuisce un
ruolo centrale alla cultura visuale nel costruire simboli e rappresentazioni che divengono motivi
portanti fondamentali e caratterizzanti dell’identità nazionale.
Dopo avere preso in considerazione figure finzionali come la
Corinna di Madame de Staël del
1807, i personaggi femminili della
Certosa di Parma di Stendhal, la
Lucia di Manzoni e le donne dei
dipinti di Francesco Hayez, Gundle passa a considerare due modelli di donna reale alle origini di
una bellezza che potremmo chiamare nazional-popolare: da un lato la regina Margherita di Savoia,
Riceviamo da Arcangelo Leone de
Castris questo intervento su due articoli apparsi sulla «Gazzetta del mezzogiorno». Volentieri lo pubblichiamo.
di ARCANGELO LEONE DE CASTRIS
a Gazzetta del Mezzogiorno»
ha pubblicato due interessanti articoli. Il primo raccontava l’andamento della terza giornata del Congresso dedicato a Gramsci
(che solo questo giornale ha seguito
correttamente e generosamente per tre
giorni, da Bari alle conclusioni di Turi); alcune relazioni di buon livello,
intorno a quella - forte e limpida - di
Beppe Vacca, coordinatore del convegno oltre chi presidente della Fondazione-Istituto Gramsci. Secondo la cronaca, Vacca ha sintetizzato tre argomenti (Gramsci e il socialismo europeo,
formazione del pensiero teorico-politico di Gramsci, la continuità «in fieri»
dell’uso gramsciano del pensiero di
Marx, dagli inizi antipositivisti del giovane comunista alla maturità marxista).
L’articolo di cronaca interpreta la
sintesi offerta da Vacca con un apprezzamento che testimonia di una passione intellettuale a sua volta - credo apprezzabile: ma attribuendo al convegno il merito di una «novità» che
sembra sovrapposta ai meriti effettivi
verificabili. Io conosco da vicino il
senso della continua ammirevole ricerca gramsciana di Vacca, e, quanto ad
altri contributi recenti, sono stato a
mia volta impegnato in importanti convegni, a Bari in ottobre (organizzato
dall’Associazione
internazionale
«L
tologia della quotidianità e delle curiosità
femminili, in cui la bellezza entra di soppiatto
e le donne sanno come trattarla, come fa
Franca Valeri in «Soliloquio di una ex mannequin» del 1961, qui riportato: «Accidenti a
me e quando ho sposato un conte. È cominciato in viaggio di nozze al mese di luglio colle
calze, ridicolo. Ho visto fior di contesse io
senza mutande al mese di gennaio».
[p. cal.]
dall’altro la figura della «popolana». Entrambe preludono poi a
quella che Gundle chiama la nascita della bellezza professionale,
collegata con l’affermarsi di forme di spettacolo di massa come il
varietà, e impersonata da una diva come Lina Cavalieri che da
fioraia trasteverina divenne
grande star delle Folies Bergère
di Parigi e del Metropolitan di
New York.
Dopo la prima guerra mondiale, le questioni della bellezza e
della moda in relazione al ruolo
delle donne nella società divennero temi frequenti del dibattito
culturale italiano. Ciò non accadde però a partire da un protagonismo politico e sociale femminile simile a quanto accadeva
nello stesso periodo in Inghilterra o negli Stati Uniti dove le donne si battevano per il diritto di
voto. Erano invece gli uomini a
discettare di bellezza e a prescrivere regole e formule perché le
donne italiane ne fossero l’incarnazione: da D’Annunzio a Marinetti, a Pitigrilli con la sua Signorina Grandi Firme, la donna
italiana era oggetto, mai soggetto. Questo dato appare però a
Gundle ambivalente: se da un lato, in effetti l’importanza assegnata alla bellezza femminile
nacque e si sviluppò all’interno
di una perdurante subordinazione delle italiane durata almeno
fino alla seconda metà del ‘900,
dall’altro questo elemento concesse alle donne una visibilità e
un influsso autorevole sulla formazione del concetto di nazione.
Negli anni del fascismo questa
ambivalenza fu però del tutto
schiacciata in un unico senso, come dimostra Gundle analizzando
gli scritti di Umberto Notari incentrati sulla bellezza femminile
quale elemento cardine della superiorità razziale della donna italiana il cui ruolo di madre e moglie veniva finalizzato alla ripro-
L’INTERVENTO | Di Arcangelo Leone de Castris
Gramsci in Puglia
e il Sessantasette a Bari
Gramsci), e a Roma in
novembre (con Tronti,
Prestipino,
Baratta,
Bertinotti, fra gli altri).
In nessuno di questi
eventi penso siano
emerse delle «novità»;
se se ne può parlare,
credo più cauto attribuirle all’intensità problematica e ai modi
originali in cui si ripresentano questi temi
più volte discussi nel Antonio Gramsci
contesto teorico veramente esso sì nuovo del lavoro intellettuale di Gramsci. Nel nostro caso
si può ben parlare di novità se si voglia
comprendere il rigore stilistico (concettuale) che caratterizza ogni volta le
interpretazioni gramsciane di Vacca.
Come ripete la Nardulli, senza citare
direttamente la discussione di Turi, è
verissimo che nei Quaderni si cerca in
Marx l’autorizzazione a rifondare l’autonomia del movimento operaio: ma è
persino più vero che Gramsci ha rislanciato - dal pantano della società
italiana documentato dal pessimismo
della conoscenza - ha
rilanciato l’ottimismo
della volontà, la passione dell’impegno totale del coraggio e della lotta. Cioè è vero
come la luce del sole
che i Quaderni non sarebbero stati concepiti
e inviati a milioni di
coscienze operanti se
l’autore avesse creduto in quel momento
(gli anni del fascismo)
che il movimento operaio (il conflitto sociale e il soggetto politico) era stato «irrimediabilmente» sconfitto. Al contrario, Gramsci intendeva offrire col suo
pensiero carcerario proprio uno dei
possibili rimedi alla rovina già intuita
dal comunismo sovietico.
Neppure nel caso del secondo articolo della «Gazzetta», cioè a proposito
dell’equilibrato e assai appropriato articolo sul Sessantasette di Vito Antonio
Leuzzi («Quel formidabile Sessantasette) sembra doversi chiedere la verifica
della verità storica; infatti, dal grande
movimento giovanile contro le istitu-
duzione della specie. Il fascismo
intervenne pesantemente nel
proporre un modello «autarchico» di bellezza, scevro dagli influssi della moda straniera e nel
condannare tipi femminili come
quello della «maschietta» indipendente e lavoratrice, coi capelli
e le gonne corte. Nell’ambito del
divismo cinematografico, per
esempio, la splendida Alida Valli
non veniva considerata «autentica» bellezza italiana, e lo stesso
Gundle la considera impietosamente e a torto un po’ un adattamento del modello hollywoodiano.
Furono senza dubbio gli anni
del dopoguerra e della ricostruzione a costituire l’età dell’oro
della bellezza italiana e della sua
fama nel mondo. La chiave di questo successo sta in una virtuosa
concatenazione tra i mezzi di comunicazione e di evasione, il cinema in primo luogo, ma accanto
a questo ancora il varietà e so-
zioni del capitalismo mondiale (il ‘68
degli studenti) non si deforma qui e non
si scolorisce in una interpretazione
disattenta o parziale. La carrellata e il
giudizio dello storico sui fatti e sui
comportamenti di quella rivoluzione
necessitata e poi fallita sono a mio
avviso assai lucidi e convincenti, pur
nella inevitabile confusione delle occasioni e dei dettagli (a Bari, se si voglia
anticipare alla fine del ’67 la comparsa
di «programmi», ideali del movimento,
nelle mobilitazioni di studenti del
«Flacco», penso si debbano ricordare
espressioni ancora precedenti di critica
politica dell’apparato-scuola, e perciò
anche ricordare altri più giovani protagonisti di iniziative assembleari e
altre forme di solidarietà già offerta
dall’esterno della scuola).
L’unico punto tuttavia di dubbia informazione riguarda, in questa memoria di cronaca, l’immagine della protesta contro lo strapotere dei cattedratici (che qui tra noi non fu invece
una motivazione centrale del movimento), e soprattutto - e non è poca cosa
- il dubbio riguarda al contrario la
breve analisi della situazione nelle Facoltà di Lettere, dove, lungi dal potersi
registrare il sostegno di «un nutrito
gruppo di docenti», è storicamente accertato che tale iniziativa non ci fù mai,
che ahimè il detto gruppo era denutrito
sino a dislocarsi quasi totalmente in
una posizione di paurosa insofferenza.
Le rettifiche possono trovarsi nelle testimonianze di protagonisti dell’infelice rapporto: almeno nei comportamenti degli allora studenti, Aresta, Sasso, Di Siena, Laudadio, Gadaleta, Martino, Monno, e molti altri.
prattutto i concorsi di bellezza,
con Miss Italia in testa. Da tali
ambiti nacquero le bellissime come Silvana Mangano, Lucia Bosé, Gina Lollobrigida, Sophia Loren, che rappresentano tuttora i
modelli della bellezza italiana
per eccellenza, replicati in continue reincarnazioni di «maggiorate». Fu il cinema neorealista a
dare però vita a una eccezione
come Anna Magnani che non
venne considerata «bellissima»,
ma che forse proprio per questo
riuscì a dare un senso di autenticità alle figure femminili da lei
interpretate.
Il cinema diviene da questo
punto in poi anche per l’Italia il
principale luogo di costituzione e
di propagazione della bellezza
femminile, vero sostituto di quello che erano state l’arte pittorica
e plastica nell’antichità e nel Rinascimento. La questione di fondo è però quella della forza di
affermazione internazionale e
«di scuola» del cinema italiano e
conseguentemente dei suoi prototipi di bellezza chiamati a lavorare anche a Hollywood. Per
questa ragione un posto centrale
lo ha la Loren come icona nazionale, ma anche, subito dopo,
Claudia Cardinale soprattutto
dopo il Gattopardo di Visconti.
Sono comunque ancora e sempre
gli uomini a definire i canoni della bellezza, come ancora si dimostra nell’immaginario femminile di un maestro del cinema
italiano quale Fellini.
La bellezza delle donne diviene
un tema più arduo, analizzando i
recenti trent’anni di storia italiana. Il prototipo della bellezza
del Bel paese, infatti, sembra
sgretolarsi in diversi filoni che
Gundle continua a seguire dando
però l’impressione di avvitarsi su
se stesso alla ricerca di qualcosa
che ha in realtà milioni di volti e
di corpi, come egli stesso alla fine
sostiene. Il cinema continua ad
essere una fucina di bellezze, con
la commedia erotica degli anni
’70 e poi i film di Tinto Brass.
L’erotismo e la pornografia si
presentano come nuovi laboratori, con figure quali Cicciolina e
Moana Pozzi. Ai concorsi di bellezza si sovrappone la tv, e le belle
italiane si chiamano prima Carrà, poi Cuccarini e Parietti.
Ma è l’era della globalizzazione
a scompaginare l’idea di «Italian
Beauty»: di rilievo quasi «epocale» è per Gundle il fatto che a
vincere il concorso di «Miss Italia» fu nel 1996 Denny Mendez,
una diciottenne naturalizzata
italiana, cresciuta nella Repubblica dominicana e con genitori
di origine africana. Fu forse come
reazione a questa «ibridazione»
che si rilanciano a partire proprio dagli anni ’90 le maggiorate
come Maria Grazia Cucinotta e le
belle della moda come Monica
Bellucci, definita nuova incarnazione della bellezza italiana.
In questi giorni scoppia il caso
Sarkozy e Carla Bruni che forse
avrebbe costituito un ulteriore
spunto di riflessione sul rapporto
tra bellezza e potere. Ma la sofisticata modella e cantautrice
italiana, espatriata in Francia
non meno che la Bellucci, non
compare neanche una volta nel
libro.
LA MOSTRA | Si inaugura oggi. Una ventina di serigrafie
Andy Warhol a Matera
l «Warhol on Paper» è il titolo della mostra che s’inuagura
stasera alle 19 nella Galleria Opera Arte e Arti di Matera: 19
serigrafie, pezzi unici che risalgono al periodo di maggiore
fermento artistico di Warhol (1975-1987), provenienti dall’Andy Warhol Foundation for the Visual Art, Inc. di New York.
L’esposizione è curata da Massimo Guastella, con la direzione
artistica di Enrico Filippucci e
organizzata in collaborazione
con Art Profile di Milano e patrocinata dal comune di Matera.
Resterà aperta fino al 29 gennaio
(dal martedì alla domenica dalle
11 alle 13 e dalle 17 alle ore 20.30).
Euforia, licenze sessuali e gossip da copertina. Una fotografia
del progresso impressionato dal
tocco d’artista con uno stile talmente sintetico e immediato da
diventare un perfetto sistema di
comunicazione trasversale. È la
Andy Warhol, serigrafia
Pop art un movimento di pensieri
sovrapposti. Gli schemi classici della bellezza d’annata vengono spezzati per lasciare il posto all’intuizione del momento
che trae ispirazione dalla grassa e corpulenta società di
massa. Il canonico approccio al reale viene stravolto e Pop
indica una rinnovata cultura popolare che metabolizza il
presente e si imprime sull’opera, come i prodotti da supermercato o gli oggetti domestici che sbucano tra pitture e
sculture. Precursori del cambiamento: Jasper Johns e Robert
Rauschenberg. E poi Andy Warhol il filosofo dell’Art as
Business, icona mondiale della pop art, che impressionò i
volti dello star system, prodotti di largo consumo. Il gusto di
fotografare le ossessioni dell’americano medio diventa ossessione delle ripetizioni. Duplicare in quantità è la parola
chiave.
[c. cos.]