numero 19 IN QUESTO NUMERO
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numero 19 IN QUESTO NUMERO
Direttore Luca Beltrami Gadola numero 19 23 giugno 2009 edizione stampabile IN QUESTO NUMERO Editoriale - LBG – LA PROVINCIA HA UN PODESTÀ Società – Claudio Rugarli – IL FUTURO DELLA SINISTRA TRA DARWIN E MONOD Lettera – Pier Vito Antoniazzi – PENATI O DELLA SOLITUDINE DEL POLITICO Carneade – admin- L‟AVVOCATO GHIDINI: “VÉ „NSCIA CHE TE DUPÈRI” Mobilità – Marco Ponti – LE METROPOLITANE VAN SEMPRE BENE Dall’Arcipelago- Franco D'Alfonso – ATM: PERDONALI MA NON SANNO Economia – Franco Morganti – DIGITALE TERRESTRE: CHI CI GUADAGNA Urbanistica e Architettura- Antonio Piva - Il NUOVO EDIFICIO DELLA REGIONE LOMBARDIA: GUARDARE I PROBLEMI DALL‟ALTO Metropoli – Filippo Beltrami Gadola – EXPO: NON CI METTERANNO A TACERE Approfondimenti – Ezio Antonini – IL PIANO CASA: COME PIANIFICARE LA DISTRUZIONE DEL TERRITORIO RUBRICHE MUSICA – a cura di Paolo Viola ARTE - a cura di Silvia Dell’Orso TEATRO – a cura di Maria Luisa Bianchi CINEMA E TV – a cura di Simone Mancuso Editoriale LA PROVINCIA HA UN PODESTÀ LBG La Provincia ha un Podestà: non è solo una battuta ma l‟epilogo di una consultazione elettorale inaudita. Questa volta non si è votato dando un giudizio sulla Giunta e il presidente uscente ma sull‟alterativa Berlusconi sì o Berlusconi no e in un clima avvelenato di scontro senza quartiere. Alla fine si è paradossalmente condensato tutto nella domanda: dobbiamo considerare che le sregolatezze delle vita privata del presidente del Consiglio siano la manifestazione di un esuberante maschilismo italico, vizio elevato a virtù nazionale, o l‟intollerabile degrado dei costumi che rende l‟uomo pubblico indegno del suo ruolo? I sostenitori di Berlusconi hanno tirato in campo tutto a cominciare dall‟invidia degli avversari nei confronti di chi ha il potere. Tra i partigiani di questa idea l‟ultimo a schierarsi, per paura di tardare e perdere il posto nella classifica degli adulatori, è indecorosamente arrivato Francesco Alberoni sul Corriere della Sera di lunedì scorso: a lui viene naturale paragonare Berlusconi ad Alessandro Magno, vittima dell‟invidia dei Greci. Se questo è il livello d‟indipendenza degli intellettuali dal potere di destra ne vedremo di peggio ma non è questo il vero problema. Il vero problema sta nella perdita di autonomia da Roma della Provincia di Milano Il leghismo nostrano, leghismo dimentico delle sue origini, ha accettato un candidato espressione diretta del presidente del Consiglio, nella cui scia quest‟uomo è cresciuto professionalmente, debitore di un seggio a Strasburgo. In questo paradossale clima elettorale nessuno ha nemmeno preso in considerazione il programma di Podestà, un candidato che non potrà rivendicare per sé il merito dell‟elezione conquistata con l‟incisività del suo programma o la forza delle sue idee: una situazione largamente diffusa tra i candidati del centro destra. Che sensazione si prova, non essendo un uomo qualunque, all‟idea che si nutra il dubbio se farti passare per un cavallo di Caligola o una velina? Il futuro della Provincia è dunque dei più incerti e non saprei cosa augurarmi tenendo conto delle difficoltà istituzionali che da tempo agitano il panorama. Penati ha detto in chiusura della campagna elettorale: dopo di me nessuna Provincia di Milano ma la città metropolitana. Cosa farà Podestà? Difficile dirlo sin da ora ma forse proseguirà in questo disegno e la sua libertà di manovra si misurerà con la distrazione del presidente del Consiglio: su questo problema Berlusconi non ha idee, come su tutti i temi che non toccano la sua immagine o i suoi interessi, a meno che qualcuno degli alleati voglia usarlo in un senso (sì alla città metropolitana) o nell‟altro (no) come merce di scambio all‟interno della maggioranza di Governo. Per Milano e il suo hinterland l‟ennesima prova di essere una sorta di gigantesco parco buoi, buoni solo per lavorare, silenziosi e soprattutto morigerati nel non insistere troppo a volere infrastrutture. Ci sono altri due nodi importanti: l‟Expo e la Serravalle con il contorno della nuova tangenziale. Anche qui è difficile capire cosa succederà ma di una cosa possiamo esser certi: la conclamata omogeneità politica dei tre livelli Regione, Provincia e Comune di Milano – non porterà alla famosa pacificazione e a quella marcia in più che il commissario-sindaco Moratti vorrebbe. Le liti sotterranee non avranno più un mediatore – Penati- in grado di sedare le risse da esterno al sistema di potere del centro destra. Su Serravalle e dintorni il balletto degli interessi sarà meno visibile ma per questo più indifferente agli interessi collettivi. Probabilmente il ruolo della Provincia si appannerà, schiacciata da un potere centrale tra il distratto e l‟occhiuto secondo la convenienza politica della maggioranza. Come dicevamo: da Roma probabilmente è arrivato solo un “podestà”. Società IL FUTURO DELLA SINISTRA TRA DARWIN E MONOD Claudio Rugarli Darwin non è popolare a sinistra e la colpa è del darwinismo sociale. Sumner (1840-1910), ideologo di questo movimento, sosteneva che 2 “i milionari sono un prodotto della selezione naturale, che agisce tra tutti gli uomini, scegliendo quelli che posseggono le facoltà richieste per un determinato lavoro”. E John Rockefeller Senior rincarava la dose: “L‟incremento di una grande azienda è soltanto un caso di sopravvivenza del più adatto…Non è che l‟esplicazione di una legge di natura, una legge di Dio”. Prima di loro Marx, che era certamente più acuto, aveva accolto con tanto favore la pubblicazione dello scritto di Darwin sull‟origine delle specie da voler dedicare al naturalista inglese il secondo volume del Capitale, onore che fu garbatamente rifiutato dall‟interessato. Il punto importante è che i darwinisti sociali trascuravano il fatto che il più adatto non è necessariamente il più forte o il più prepotente, ma il più resistente e, in quanto tale, il più favorito nel dare origine a una prole numerosa. I grandi dinosauri, compresi i più feroci carnivori, si sono estinti da circa 60 milioni di anni, mentre sopravvive come specie la tartaruga di acqua dolce che già esisteva ai loro tempi. E tuttavia il pregiudizio che attribuisce a Darwin delle giustificazioni scientifiche per l‟esistenza delle sopraffazioni che sono all‟origine delle disuguaglianze umane è duro a morire. Tanto che in campo politico sono fiorite teorie ispirate, non si sa quanto consapevolmente, al pensiero del suo precursore e antagonista scientifico Lamarck, che sosteneva che l‟evoluzione deriva dall‟accumularsi attraverso le generazioni di caratteri acquisiti modellati dall‟ambiente. Per Darwin, invece, le alterazioni degli organismi che sono ereditabili emergono a caso e l‟ambiente non fa altro che selezionare quelle che sono più adatte alla sopravivenza degli organismi che le posseggono. Un esempio chiaro di Lamarckismo politico furono le teorie genetiche dell‟Unione Sovietica ai tempi di Stalin, che valorizzarono in campo biologico l‟ereditabilità dei caratteri acquisiti, come sostenuto da Lysenko e Miciurin. Queste idee andavano benissimo d‟accordo con l‟intento del regime di plasmare, con l‟esercizio di un violento autoritarismo, i cittadini del mondo nuovo che s‟intendeva costruire. E il peccato di lamarckismo non si verificò solo a sinistra, giacché anche Mussolini e Hitler lo praticarono. E‟ ben noto che la scienza ha dato torto a Lamarck e ragione a Darwin, dato che i caratteri acquisiti non possono essere ereditati e le mutazioni, che emergono a caso, sono invece ereditabili. Ma non è qui importante il discorso biologico, quanto riflettere sulle implicazioni politiche, e non solo, del darwinismo. Vi sono stati, infatti, scienziati come Monod e Dawkins che hanno sviluppato l‟idea di un‟evoluzione culturale con meccanismi analoghi a quelli dell‟evoluzione biologica. In questo modello ciò che si evolve non sono i geni, ma le idee, e la loro riproduzione non avviene per ricopiatura di materiale biologico, ma attraverso la comunicazione parlata o scritta; il ruolo del caso è sostituito dalla libertà. Infine, la selezione fa in modo che alcune idee siano più accettate e altre respinte e che perciò si abbia una loro evoluzione. E‟ intuitivo che le idee che sono percepite come favorevoli alla sopravvivenza e al benessere di chi ne prende conoscenza siano più accettate e si diffondano più facilmente, ma il percorso di questa evoluzione è lontano dall‟essere lineare e anche sulla sopravvivenza e il benessere gli esseri umani possono essere inclini ad accettare idee differenti. Ma questo è un discorso complicato che ho affrontato solamente per sostenere che la politica è l‟evoluzione culturale in atto e che senza idee non si fa politica. E‟ stata di moda negli ultimi tempi una dura polemica contro le ideologie. Si può concordare se per ideologia s‟intende un sistema rigido pervasivo di ogni attività, ma non si possono rifiutare le idee. Se guardiamo al passato, vediamo che tutti i più importanti movimenti politici, dal liberalismo al socialismo e al cattolicesimo democratico, erano nutriti d‟idee originali. Persino l‟attuale berlusconismo ha un suo nucleo ideale di tipo utilitaristico-edonistico, per me molto sgradevole, ma, come si vede, bene accolto dalla maggioranza degli italiani che vanno a 3 votare. Ma, se ci si rifà all‟evoluzione culturale di tipo darwiniano, vediamo che sono le idee che generano i movimenti politici, in quanto accettate da un numero sufficiente di persone, e non il contrario. Penso che questo sia il problema del neonato Partito Democratico. Nato da due componenti unite da un comune valore, che è il sostegno dei ceti sociali più deboli e la solidarietà, ma non da una nuova idea unificante. In effetti, anche per quanto riguarda il valore comune, questo nelle due componenti aveva in passato un‟ispirazione molto diversa. Mi sembra che sia mancata un‟idea nuova che operasse una sintesi, che avrebbe avuto invece un grande potere di attrazione. Certamente i democratici hanno fatto molti errori, ma questi avrebbero avuto conseguenze molto più lievi se avessero operato alla luce di una nova idea-forza, qualcosa di paragonabile all‟emergenza di una nuova specie nell‟evoluzione biologica. Forse per questo s‟invocano i giovani, perché si sa che amano le idee nuove. A mio parere la sintesi più difficile riguarda la questione del laicismo e del clericalismo. Tempo fa è comparso su “Repubblica” un articolo di Giancarlo Bosetti che, in polemica con Piergiorgio Odifreddi, sosteneva che il laicismo non s‟identifica con l‟ateismo. Pur essendo, da vari punti di vista, un ammiratore di Odifreddi, io sono perfettamente d‟accordo con quanto scritto da Giancarlo Bosetti. Io credo che del laicismo si possa dare una definizione semplicissima indicandolo come quella posizione ideale che ritiene che la virtù debba essere praticata per convincimento e non per costrizione. Nella vita sociale la costrizione è attuata mediante le leggi ma credo che sia ampiamente accettata l‟idea che le leggi, almeno in uno stato democratico e liberale, non sono emanate per affermare principi etici superiori, ma per tutelare i cittadini individualmente (diritti) o collettivamente (doveri), e quindi hanno fondamentalmente una funzione pratica. E‟ certamente vero che molte leggi coincidono con prescrizioni, per così dire, “virtuose”, almeno dal punto di vista della maggioranza di chi le deve osservare. Per esempio, questo è il caso della repressione del furto, dell‟assassinio e di tutte le forme di delinquenza. Ma questo accade perché, se la delinquenza non fosse repressa, non sarebbero tutelate le sue possibili vittime. Esistono altri comportamenti immorali che possono recare danno al prossimo, per esem- pio la menzogna e l‟ipocrisia, ma questi non sono sanzionati dalle leggi perché sarebbe impossibile definirli e individuarli e delle leggi che volessero perseguirli sarebbero facilmente strumento di arbitrii e di persecuzioni. Io credo che questo modo di vedere le cose, che non è certamente originale, sarebbe una buona premessa per elaborare un nuovo stile di pensiero che valorizzi non solo la libertà, ma anche le esigenze umane (la giustizia) che portano ad accettare o respingere le idee liberamente dibattute. Per spingere fino in fondo l‟analogia darwiniana, la libertà, come si è detto, avrebbe il ruolo del caso e la giustizia quello della necessità. “Il caso e la necessità” è il titolo di un fortunato libro scritto nel 1970 dal Premio Nobel francese Jacques Monod. Forse i politici hanno fatto male a disinteressarsene. Lettera PENATI O DELLA SOLITUDINE DEL POLITICO Pier Vito Antoniazzi Meno della metà delle persone che votano, vuol dire che la partita non appassiona. Checché ne pensino i militanti e i dirigenti del PD che parlano di risultato straordinario. Certo la Provincia è un ente "poco sentito" dai cittadini... Però la "drammatizzazione politica" ("fai una scelta di campo", "non fare della Lombardia e di Milano un monocolore") doveva "scaldare" l'agone Penati poi l‟ha messa tutta. Grande campagna, elencazione di fatti e realizzazioni, strizzate d'occhio ai moderati... Il PD tutto dietro di lui come un sol'uomo, una lista personale... Contro di lui in prima istanza ha giocato il verdetto delle europee. La linea solipsistica inventata per il PD da Veltroni, Tonini, Ceccanti, Morando... è stata sbaragliata. Il PD senz'alleati né a sinistra né al centro, il PD senza i laici e radicali, il PD del 26% non può andare da nessuna parte, non può detta- re l'agenda politica a nessuno. E di questa linea veltroniana, dal Lingotto in poi, Penati è stato una "punta", un anticipatore locale dell‟insostenibile pesantezza dell'Unione. Ma contro il buon Penati ha giocato un altro fattore: la solitudine dell'amministratore e del politico. C'è distanza e sospetto in aumento, è noto, tra cosiddetta "casta" e cittadini. Superano questa distanza alcuni sindaci, amministratori "vicini" alla gente, nei quali a volte una città vuole identificarsi. Ma la Provincia è ancora un ente poco conosciuto, un organo intermedio che dà l'impressione di essere un sovrappiù, un'amministrazione burocratica (ma non doveva essere abolita trent'anni fa?). Nonostante Penati l'abbia portata dentro la Scala, nonostante sia stato protagonista nella candidatura Expo, nonostante ne abbia fatto un soggetto economico con l'acquisto della Serravalle, alla fine, come troppo spesso accade nel voto in Italia, non conta molto go- 4 vernare bene o male, conta da che parte tira il vento popolare (... ironia della sorte la "Canzone popolare" di Fossati era la colonna sonora del successo ulivista del 96, dopo che il Berlusca aveva portato con "E forza Italia... " il gingle nella politica...). E in questo Penati si è trovato solo. Non c'è entusiasmo per la politica e non ci può essere innamoramento per i suoi "cavalieri". Né si è sopperito con un gioco di squadra "grande". La sinistra "radicale"si è lasciata per strada. Il vicepresidente non si è candidato. Altri assessori sono andati in altre formazioni. Da soli non si vince, è un motto valido per molte situazioni, ma particolarmente per la politica Ora la sinistra deve riflettere (come dice il Dalai Lama "Quando perdi, non perdere la lezione"), ripartendo con minor autosufficienza, minor presunzione, più attenzione e rispetto per le diverse culture democratiche, per quest‟arcipelago sconnesso. Carneade L‟AVVOCATO GHIDINI: “VÉ „NSCIÀ CHE TE DUPÈRI” Admin Il podio se lo sono aggiudicato in due, questa volta: Nicolò “Mavalà” Ghedini e il suo capo, Silvio Berlusconi. Nella gara a chi tocca il punto più basso nella comunicazione politica, non si sa chi abbia prevalso. Il primo, senza dubbio, ha toccato vette incredibili. Prima definendo Berlusconi “utilizzatore finale”, nel tentativo di sminuire la responsabilità del Capo nel nuovo Cime di rapa gate. E poi, ancor peggio, nel tentativo di scusarsi: “Figuriamoci se ha bisogno di pagarle, le donne, uno come lui. Potrebbe averne grossi quantitativi. Gratis”. Fantastico. Neppure il frequentatore più sboccato delle osterie era arrivato a tanto, parlando di donne. Al massimo era arrivato a dire a qualche ragazza: “Vé „nscià che te dupèri” (vieni qui che ti adopero…). Ma scherzava, rendendosi conto di essere abbondantemente oltre il limite. Loro, invece, i Ghedini e i Berlusconi, fanno sul serio. Continuando così c‟è da star sicuri che finirà tutto a puttane, come affermano i fini dicitori. Come stupirsi se poi uno ruspante come il vicesindaco Riccardo Marshall De Corato, in un comunicato stampa sulla prostituzione, mentre sostiene che il fenomeno a Milano sta riducendosi, afferma che rimane uno “zoccolo duro di romene e viados brasiliani”. Forse non voleva dire proprio zoccolo… * * * Ma veniamo a lui, il Capo di Ghedini. In questi ultimi giorni ha dato fondo a tutti gli improperi che gli venivano in mente. Rivolto ai giornalisti: “Siete degli spioni”; “Scrivete solo stupidaggini”; “Non le rispondo, la mia disistima è totale nei confronti del suo giornale”. A Cinisello invece se l‟è presa con una cinquantina di giovani che lo fischiavano. Non l‟avessero mai fatto: si è aggrappato ai microfoni, stringendoli con tutta la sua forza, ha buttato fuori la mascella e ha cominciato a urlare: “Siete solo dei poveri comunisti, mi fate pena e disgusto”. Visto che loro non la prendevano come un‟offesa, ha rincarato, sempre più paonazzo: “Analfabeti della democrazia” ; “Noi siamo antropologicamente doversi”; “Siete invidiosi, non capite le persone”. Il crescendo è stato irresistibile. Quasi comico. Probabilmente da liquidare con saggezza: “Una risata lo seppellirà”. Ma forse questa è un‟illusione: ci sono ragioni sufficienti per temerlo, a giudicare da quel che sta accadendo alla stampa, e soprattutto alle tivù. Le ultime foto di Villa Certosa, infatti, abbiamo potuto vederle sui giornali stranieri. Quanto alle invettive del premier, le abbiamo potute ascoltare soltanto su qualche coraggioso canale e su Internet. Non al Tg1, né sui telegiornali della Fininvest. Ma quel che preoccupa di più è che il velo della censura sta ormai arrivando anche sulla rete, su Youtube e Facebook, per esempio. Sono tempi duri, e pericolosi. C‟è da aumentare la vigilanza, per impedire che diminuiscano ulteriormente gli spazi di libertà. Non sarà facile. * * * A Palazzo Marino, nel frattempo, la vita trascorre a scartamento ridotto, tra un deragliamento e l‟altro. Dei tram e della ragione. SUR LE PONT D‟AVIGNON… Milano, 12 giugno 2009 - "La musica, qualunque essa sia, classica o jazz, come ponte tra centro e periferia” ha aggiunto l'assessore alla Cultura Massimiliano Finazzer Flory. * * * RIVELAZIONI 1 - Milano, 12 giugno 2009 – “Il cinema – ha detto l‟assessore alla Cultura Massimiliano Finazzer Flory – rappresenta un ambito strategico per una città aperta alle culture”. RIVELAZIONI 2 - Milano, 13 giugno 2009 – “Milano è la capitale della scienza ma non lo sa” ha 5 detto l‟assessore alla Cultura Massimiliano Finazzer Flory”. * * * CHE STRESS - Milano, 13 giugno 2009 – “Ieri abbiamo approvato in Giunta due progetti definitivi”. Lo annuncia l‟assessore ai Lavori pubblici e Infrastrutture Bruno Simini. * * * META-CULTURISMI - Milano, 15 giugno 2009 – “Abbiamo portato a Palazzo Reale Brad Pitt, Winona Ryder, Johnny Depp, Carolina di Monaco, Salma Hayek, Suzushi Hanayagi, Isabella Rossellini. Non sono loro in carne ed ossa, ma i loro ritratti, anzi, meta-ritratti” spiega l‟assessore alla Cultura Massimiliano Finazzer Flory. * * * AVANT MOI LE DELUGE - Milano, 16 giugno 2009 – “Un viaggio nella storia della nostra metropoli dove non poteva mancare la visita del generale Charles De Gaulle avvenuta il 24 giugno 1959 in occasione dell‟anniversario della Seconda guerra d‟Indipendenza” spiega l‟assessore alla Cultura Massimiliano Finazzer Flory. * * * MA COS‟E‟ QUESTA CRISI… Milano, 16 giugno 2009 – “La crisi non ci spaventa e non per i numeri, perché abbiamo anche il primato nazionale per la presenza di nuovi cittadini stranieri”. Lo ha detto l‟assessore allo Sviluppo del territorio Carlo Masseroli. * * * PASSO RIDOTTO - Milano, 16 giugno 2009 – “Milano ha in sé un passo verso il cinema” ha detto l'assessore alla Cultura Massimiliano Finazzer Flory. * * * ZOCCOLO (?) - Milano, 12 giugno 2009 - “Rimane una sorta di „zoccolo duro‟ costituito da romene e viados brasiliani”. Lo comunica il vice Sindaco e assessore alla Sicurezza Riccardo Marshall De Corato. * * * STELLA DI LATTA 1 – Milano, 12 giugno 2009 - “Cinque pattuglie in abiti civili del settore Sicurezza hanno effettuato un blitz nella notte in alcuni luoghi della prostituzione”. Lo comunica il vice Sindaco e assessore alla Sicurezza Riccardo Marshall De Corato. STELLA DI LATTA 2 - Milano, 15 giugno 2009 - “Per la precisione ha spiegato De Corato - tre sono le aree occupate dai rom”. Lo comunica il vice Sindaco e assessore alla Sicurezza Riccardo Marshall De Corato. STELLA DI LATTA 3 - Milano, 16 giugno 2009 - “Un clandestino di 26 anni, di origine egiziana, privo di documenti, è stato arrestato per omissione di soccorso”. Lo comu- nica il vice Sindaco e assessore alla Sicurezza Riccardo Marshall De Corato. STELLA DI LATTA 4 - Milano, 18 giugno 2009 – “E‟ il 124emo sgombero effettuato in due anni e mezzo”. Lo ha detto il vice Sindaco e assessore alla Sicurezza Riccardo Marshall De Corato. STELLA DI LATTA 5 - Milano, 19 giugno 2009 – “Naturalmente per far rispettare le ordinanze occorre la presenza di agenti”. Lo ha affermato il vice Sindaco e assessore alla Sicurezza Riccardo Marshall De Corato. * * * A SETTEMBRE - Milano, 18 giugno 2009 – La conferenza stampa dell‟assessore Orsatti, in programma domani a Palazzo Marino, per presentare l‟iniziativa “Milano Summer School”, è stata rinviata. * * * TERZA LEGGE DELLA ROBOTICA - Milano, 18 giugno 2009 “Gli erogatori 'automatici' dovranno trovare il modo di adeguarsi. Una regola vale per tutti, nessuno escluso”. Lo ribadisce l'assessore alla Salute, Giampaolo Landi di Chiavenna. Mobilità MA LE METROPOLITANE VAN SEMPRE BENE? Marco Ponti Le ferrovie metropolitane sono infrastrutture costosissime, dell‟ordine di 50 milioni al chilometro. Hanno anche capacità di trasporto molto elevate, dell‟ordine di 30.000 passeggeri all‟ora per senso di marcia. Ma hanno una terza caratteristica, non sempre nota: sono in buona misura finanziate dall‟amministrazione centrale (generalmente per il 60%, ma a volte di più). Sono, dicono gli economisti, in regime di “finanza derivata”, che è quello che garantisce il peggior uso delle risorse, perché induce i decisori pubblici a premere su Roma per ottenere i fondi, senza andar molto per il sottile sulla razionalità della spesa rispetto ad alternative meno costose, ma non finanziate dal centro. E all‟obiezione che comunque una quota rilevante dei costi deve essere coperta con soldi locali, la politica ha risposto con una soluzione di “finanza creativa”, nota come “Project Financing”. La faccenda funziona pressappoco così: la normativa europea non considera debito pubblico (nemmeno a livello locale), un‟opera nella quale almeno il 50% dei ri- schi sia sopportato da capitali privati. Ma nessun privato è in grado in realtà di sopportare tale livello di rischio su opere di lunga vita economica e con spiccate variabili in mano al soggetto pubblico committente: per esempio si pensi ai livelli tariffari, al rischio di scelte infrastrutturali alternative (viabilità o trasporto pubblico di superficie), al prezzo della benzina, allo sviluppo urbanistico che condiziona la domanda, eccetera. Allora si stabiliscono clausole cautelative sui ricavi e quindi sulla domanda, che in realtà riducono grandemente il rischio, facendolo ritornare sul soggetto pubblico (queste clausole sono di solito “scritte in piccolo”). Se i capitali privati dunque intervengono senza rischio, si tratta ovviamente di un “prestito mascherato” a un soggetto che non può fallire. Quindi il vincolo all‟indebitamento del comune è aggirato, ma i cittadini non lo sanno, e notoriamente i politici dell‟indebitamento occulto a medio-lungo termine non si sono mai troppo preoccupati (“ci penserà qualcun altro…”). 6 A Milano linee metropolitane con un traffico che le giustifichi rispetto ad alternative meno costose probabilmente ce ne sono molto poche, o non ce ne sono più affatto (già la linea tre non sembra pienamente utilizzata…). Ma mai si è vista un‟analisi comparata con soluzioni meno costose e più flessibili (per esempio, autobus ecologici in corsia riservata o anche in parte in sotterraneo, che avrebbero il grandissimo vantaggio di evitare molte “rotture di carico”, potendo “andare a prendere” capillarmente in periferia gli utenti sulla viabilità ordinaria). E in effetti a chi mai interesserebbe metter dubbi sui soldi di Roma (e dei contribuenti futuri)? Chi scrive può raccontare un episodio lombardo, anche se non milanese, che sembra istruttivo: anni fa, avendo proposto all‟amministrazione di Brescia per cui stava studiando la fattibilità della metropolitana, di analizzare anche soluzioni di superficie del tipo di quella descritta, si sentì dire: “non se ne parla nemmeno, costano troppo poco….”. Ma certamente a Milano è diverso. Dall‟Arcipelago ATM: PERDONALI MA NON SANNO Franco D‟Alfonso L‟ultima trovata dei “manager” e consulenti dell‟Azienda tranviaria è stata quella di resistere ad una chiamata in giudizio da parte di un elettricista marocchino, con regolare permesso di soggiorno, per “comportamento discriminatorio” (sulla base di un Regio decreto del 1931 nelle amministrazioni pubbliche possono essere assunti solo cittadini italiani, ora anche comunitari in base alle norme Ue) ingavinandosi nella presentazione di una cervellotica memoria nella quale uno degli argomenti più appariscenti è stato quello di dire che “nel trasporto pubblico esiste il pericolo di attentati “! Cosa ha spinto l‟Atm a dire questa battuta da bar di via Bellerio senza averne alcuna necessità giuridica (la legge in vigore non è certo equivoca) oltretutto contraddicendo l‟esplicita richiesta proprio di Atm di modificare questa legge per permettere l‟assunzione di extracomunitari? L‟idea di compiacere il premier, che non vuole vedere una Milano “africana”? Mostrarsi in linea con la Lega nella battaglia antislamica di viale Jenner? Non lo sapremo mai, ma quello che è certo è che la penetrazione del luogo comune e della cultura tribale della curva Nord, più facile nei settori di popolazione di minore cultura e sensibilità, ha trovato nelle semplici menti della dirigenza Atm un terreno molto permeabile. Sulle allegre note del “Così fan tutte” l‟Atm si è messa a specula- re sui “derivati” vedendo che l‟”amministratore del supercondominio” Albertini faceva lo stesso giochetto fino ad allora impedito dagli “statalisti” della sinistra; a dare premi di produzione ai suoi dirigenti al “merito“ ignorando la sciocchezza dei bacchettoni che facevano notare come fosse curioso premiare un risultato aziendale determinato dalla misura proporzionale alle perdite dei trasferimenti dal Fondo statale per il trasporto e non da fantomatici brillanti “risultati di gestione”; ad adeguarsi alla cultura dell‟anno di gestione, tagliando gli investimenti e scontrandosi con i sindacati, ritenendo le routine di controllo un frutto della “cultura consociativa” delle vecchie giunte riformiste. La cultura del luogo comune elevato a sistema di gestione potrebbe produrre a breve il danno finale: cercando di scopiazzare il metodo Marchionne della “fusione per crescere “, la nostra geniale dirigenza cittadina sta per partorire un informe mostriciattolo dall‟unione tra l‟Atm di Milano e l‟omologa azienda di Torino. Fermandosi come sempre alle prime righe-, si sono innamorati dell‟idea di avere una Grande Azienda di Trasporti Urbani, con relativa sede, consiglio ed emolumenti, dimenticandosi completamente l‟insignificante dettaglio di individuare e spiegare una logica industriale, le economie di scala, il miglioramento tecnologico e di servizio che potrebbe derivare da questa fusione, non potendosi considerare tali le abbondanti commissioni a consulenti ed advisor di vario genere e numero che come sempre turbinano intorno a queste brillanti operazioni. Non c‟è nessuna logica nell‟unione di aziende che operano su territori diversi, con parco macchine, investimenti, tecnologie diverse, senza alcuna necessità di fare economie di scala sugli acquisti (Atm è già il maggior acquirente italiano dai pochi fornitori sul mercato), senza nessuna possibilità di fare un piano di sviluppo comune, a meno che la confraternita dei costruttori edilizi che governa Milano non riesca ad urbanizzare le risaie di Vercelli entro gli stessi pochi anni impiegati per scegliere la sede di rappresentanza dell‟Expo. Il vostro Giano Bifronte è certamente un inguaribile nostalgico, ma tra l‟Atm dei “brumisti” un po‟ terroni che si ricordavano a memoria i pochi incidenti e rotture dei mezzi e risolveva in due mesi il problema dell‟introduzione della “tariffa oraria unica” del tempo dei vecchi democristiani, socialisti e comunisti e l‟Atm dopo quindici anni di gestione “privatistica” che ha bisogno di un date base sequenziale per classificare centinaia di malfunzionamenti e non riesce nemmeno ad estendere la tariffa urbana alla fermata della Nuova Fiera di Rho, verso quale parte dovrebbe guardare con simpatia ed orgoglio. Economia DIGITALE TERRESTRE: CHI CI GUADAGNA Franco Morganti In questi giorni i cittadini di gran parte del Lazio sono alle prese col primo switch-over (trasloco) della vecchia TV, quella che ormai chiamiamo “analogica”: due canali (Rai 2 e Rete 4) sono finiti sul digitale terrestre (DTT in gergo, detto anche “piattaforma digitale terrestre”) e potranno essere visti solo con l‟uso di un decoder oppure con un nuovo TV digitale, che incorpori il decoder. Il decoder ha il compito di trasformare il segnale, ormai digitale, per adattarlo all‟accesso ancora analogico di gran parte dei TV. E‟ solo il primo passo, qualcosa di simile a un avvertimento, perché fra poco tutti i canali analogici, nel Lazio, saranno spenti (switch-off) e solo gli utenti dotati di decoder potranno vedere la televisione. Fa tenerezza vedere Rete 4 andare sul digitale: le “leggi televisive” sono sempre state appannaggio dei due operatori principali, Rai e Mediaset. La legge Mammì del 1990 è stata redatta da Davide Giacalone, che alla fine della sua fatica fu assunto come consulente a Mediaset. E così non abbiamo avuto la TV via cavo, al contrario degli altri paesi, che avrebbe infastidito i due big come terzo incomodo, come oggi SKY li infastidisce dal satellite. La successiva legge Maccanico del 1997 prescriveva che non più del 20% delle reti nazionali potesse essere posseduto da un unico operatore privato. Le reti nazionali erano 11 e il 20% di 11, anche dopo la riforma Gelmini, continua a non fare 3. Ciononostante, malgrado varie sentenze della Corte costituzionale, Mediaset ha potuto tenersi le sue tre reti, compresa Rete 4, fino all‟arrivo del digitale, che ha sanato tutte le ferite. Le reti nazionali diventano una trentina e il 20% di 30, anche dopo la Gelmini, fa largamente più di 3. Non potendo aumentare il numeratore, si è allargato il denominatore. Abbiamo Einstein alla gestione delle regole televisive. Con questo non voglio dire che il digitale sia un‟operazione effettuata nell‟interesse esclusivo di Mediaset (e di RAI, che pure ha un partito trasversale nel parlamento). Certamente no. Ma ha aiutato. Il passaggio al digitale, che si sta realizzando in tutti i paesi e che nella UE sarà completato entro il 2012, comporta una serie di vantaggi: più canali a parità di frequenze usate (fino a cinque volte): è noto che lo spettro è una risorsa scarsa e questa moltiplicazione biblica è una manna dal cielo; all‟accesso di ogni canale si vede sul display quale programma sta trasmettendo e quale sarà il prossimo; disponibilità di “video on demand” con modalità “pay-perview” utilizzando tessere prepagate ricaricabili o abbonamenti: in altre parole calcio e film a richiesta e a pagamento; più in generale TV interattiva, potendo collegare il decoder alla rete telefonica per partecipare a sondaggi, intervenire in trasmissioni, utilizzare servizi vari (sanità, anagrafe, prenotazioni) con l‟uso del telecomando invece che di un computer in rete (alfabetizzazione informatica anche per gli information poor); possibilità, con modelli sofisticati di decoder, di “farsi il palinsesto” in casa, programmando la televisione che si vuole vedere in relazione ai programmi delle varie reti. Naturalmente tutte le tecnologie hanno le loro brave complicazioni. I decoder non sono tutti uguali, con prezzi da 40 a 200 euro secondo le prestazioni di cui sopra (semplici, con carta TV a pagamento, con interattività semplice e spinta, con opzione per TV ad alta definizione o HDTV) ed è opportuno accertarsi delle sue caratteristiche in base alle proprie esi- 8 genze. I decoder si collegano alla presa scart del TV (la stessa del videoregistratore): naturalmente se il TV è un vecchio tipo con una sola presa scart è necessario un commutatore per passare da uno all‟altro. L‟antenna di condominio è di solito sufficiente, anche se spesso è necessario riorientarla. In qualche caso ci vuole un elemento d‟antenna in più per captare i vari canali. Comunque sia, l‟utente deve sintonizzare il suo TV sui nuovi canali digitali, operazione che non molti italiani sanno fare (gli smanettoni sono meno di un terzo della popolazione). A proposito della dovizia di canali, la nostra partenza sul DTT non è stata esemplare: avevano diritto ai multiplex digitali (le macchine trasmissive che ospitano i vari canali di un operatore) solo i vecchi titolari di licenze analogiche, con tanti saluti alla libertà d‟antenna. Se teniamo conto che tali operatori (i soliti due, il gatto e la volpe) pagano le licenze televisive una miseria (45 milioni di euro l‟anno fra tutti e due, di modo che ciascuno paga solo il 9% di quello che paga un operatore mobile UMTS che dispone solo di una banda di frequenza pari ai due terzi della loro), si capisce con quale vantaggio i due compari siano partiti. La legge imponeva tuttavia di cedere il 40% della capacità trasmissiva ad altri operatori, ma poiché non c‟erano vincoli ciascuno di loro ha cercato di ospitare solo operatori che non dessero fastidio ai loro programmi. Per fortuna è intervenuta poi l‟Autorità (AGCom) a mettere a gara quel 40%. A scusante del gatto e della volpe c‟è il fatto che il digitale ha comportato robusti investimenti negli impianti. Un grande quesito resta ora aperto: poiché, come si è detto, col digitale si risparmiano frequenze, queste si rendono libere (è quello che si chiama “dividendo digitale”). Una volta fatta pulizia nella giungla italiana dello spettro (occupiamo ancora disinvoltamente le frequenze dei paesi confinanti), come verranno assegnate le frequenze libere, che interessano anche gli operatori di telefonia cellulare? Negli altri paesi non c‟è discussione: le frequenze tornano allo Stato, proprietario dello spettro, che le mette a gara. Da noi chissà! Non mi sentirei di scommetterci. Comunque sia, chiunque guardi oggi l‟offerta digitale, non può lamentarsi: la RAI ha un nuovo canale gratuito Rai4, così Mediaset ha Iris, ci sono canali gratuiti per bambini, di sport, di education, ecc. Vale la pena dunque comprarsi un decoder, per il quale il governo interviene con un bonus di 50 euro purché siate residenti nella località toccata dallo switchoff, abbiate almeno 65 anni, un reddito annuo non superiore ai 10.000 euro, abbiate pagato il ca- none RAI. Non risulta che sia richiesta la pelle bianca né una dichiarazione di eterosessualità. I TV digitali, che includono il decoder, sono già in vendita (attenzione a comprarli con l‟opzione Alta Definizione!). Anzi da fine 2008 è proibita la distribuzione di TV analogici, che dall‟aprile 2009 non possono più neppure essere venduti al pubblico. Fortunatamente lo standard è unico e queste misure preparatorie sono state decise di comune accorto fra operatori e costruttori, riuniti tutti nell‟Associazione DGTVi. La politica non ha frenato, come ai tempi del TV Color, ma anzi ha promosso e incoraggiato pur nella varietà dei governi. Adesso tocca al Lazio, mentre i pionieri sono stati la Sardegna, dal novembre 2008 (all‟epoca la più vasta europea all digital) e la Valle d‟Aosta. Seguiranno nel secondo semestre 2009, oltre al Lazio (tranne Viterbo), il Piemonte occidentale, il Trentino - Alto Adige, la Campania. Poi via via tutte le altre regioni. A noi lombardi toccherà nel primo semestre 2010. Oltre che con lo switch-over di alcune reti, lo spegnimento è preparato da una gran campagna, anche televisiva e da misure di agevolazioni e sconti. Mentre i paesi europei stanno procedendo al loro piano di spegnimento entro il 2012, gli Usa sono all-digital dal febbraio 2009, facilitati anche dalla grande diffusione della TV via cavo, quella che Giacalone e Mammì non hanno messo nella loro legge del 1990. Ma con la DTT non saremo secondi a nessuno (si fa per dire). Go digital, vecchia Italia! Urbanistica e architettura IL NUOVO EDIFICO DELLA REGIONE LOMBARDIA FA GAURDARE I PROBLEMI DALL‟ALTO Antonio Piva 11 Giugno 2009: avevo chiesto all‟architetto Paolo Caputo, progettista con il collega americano H. Coob della nuova sede della Regione Lombardia, dei accompagnarmi nella visita dell‟edificio in costruzione giunto alla sua fase conclusiva. E‟ prevista infatti la fine dei lavori per il 30 novembre di quest‟anno mentre il completamento delle finiture si protrarrà per ancora un semestre e consentirà, dal 1 luglio 2010, l‟inizio dei trasferimenti. Il mio interesse per questo cantiere va oltre la naturale curiosità professionale: avevo partecipato come membro della commissione giudicatrice del Concorso Internazionale in cui era risultato vincente il progetto in costruzione che desideravo conoscere fisicamente ora che i volumi sono tutti composti e montati gran parte dei rivestimenti esterni che, insieme, fanno comprendere la consistenza e la qualità degli spazi. Il cantiere ha messo in opera circa 200.000 metri quadrati di su- perfici corrispondenti a 800.000 metri cubi coinvolgendo 500 persone tra operai e tecnici. Un cantiere sicuramente impegnativo diretto dall‟arch. Roberta Pasinetti della Infrastrutture Lombarde Spa. che ha coordinato operai albanesi, romeni, cossovari, bergamaschi lungo un percorso accidentato, come sempre, ma giunto alla sua fase conclusiva. L‟architettura è ormai nel suo complesso leggibile ed entrando dalla piazza, che sarà coperta e trasparente, si colgono quelle direttrici del progetto che avevano destato l‟interesse della commissione giudicatrice del concorso. La piazza coperta, su cui si affacceranno attività commerciali, culturali, ricreative, godrà, al livello stradale, di prospettive, verso la città, che si estendono all‟intorno. Una piazza nuova avvolgerà il pubblico proponendo asimmetrie volumetriche e sinuosità del tutto inedite. In Europa vi sono altri esempi di piazze coperte ma sarebbe fuorviante citarne qualcuno 9 che in realtà risulterebbe per molti versi inappropriato. Questo nodo, la piazza, è centrale rispetto tutto il progetto su cui si affacciano gli uffici che nei piani alti conquistano con la vista tutta Milano sino alle montagne. Fra dieci anni Milano sarà completamente cambiata: l‟immobilismo che ci appare e ci turba quando camminiamo con i piedi sulla strada, ossessionati da cantieri che aprono e non chiudono mai, da programmi disattesi, promesse non mantenute, dall‟alto possiamo renderci conto che, nonostante la fatica, vi sono immensi cantieri che si sono aperti quando ero ragazzo e che forse ora stanno ricuperando il fiato che avevano perduto. Dall‟alto, dicevo, cambia la prospettiva: si ricuperano le potenzialità di una città che ha ancora aperte alcune ferite dell‟ultima guerra ma che sono comunque immense. La piazza nuova del Palazzo della Regione Lombardia mi pare rassicurare, confortare con la volontà di comunicare positività, attraverso le peculiarità dello spazio: proporzioni a scala umana, rapporti chiari fra gli spazi a livelli diversi, materiali e finiture studiati per il confort degli utenti. Vi è poi la volontà di far vedere questa città lungo percorsi accessibili dal pubblico, percorsi interni ed esterni in un‟architettura complessa, non complicata, che s‟ins- erisce in un contesto che sicuramente trarrà un vantaggio d‟immagine da questo edificio che non ha un fronte vero e proprio ma offre suggestioni che cambiano a seconda del punto di vista da cui lo si osserva. Uscendo dal cantiere, ordinato e attivo, ho conosciuto alcuni addet- ti ai lavori, tutti molto giovani, come il responsabile dei progetti e ho pensato che forse ci sono per i giovani preparati ed attenti prospettive concrete da conquistare; guardando i problemi dall‟alto potremo anche aggiornare le nostre visioni e ricuperare un po‟ dell‟otimismo perduto. Metropoli EXPO: NON CI METTERANNO A TACERE Filippo Beltrami Gadola Tornando, come d‟abitudine, sul tema dell‟Expo, credo sia necessario fare due precisazioni distinte: la prima: il BIE è un organismo indipendente e autonomo, i cui introiti derivano principalmente dalle casse degli enti locali o dei governi che dopo aspre battaglie sono riusciti ad ottenere di ospitare la prestigiosa manifestazione. E‟ evidente quindi che il BIE, qualsiasi sia la collocazione geografica dell‟esposizione, i suoi contenuti o il suo relativo successo, spinge fortemente alla realizzazione di un‟Expo purché sia. Inutile quindi cercare nel BIE un interlocutore capace di ascoltare il dissenso, in qualsiasi forma o forza si presenti. La seconda precisazione: dalle pagine di questo magazine non si è mai parlato di chiedere a chi ne ha i poteri, di cancellare definitivamente Milano quale sede dell‟Expo. Si chiede semplicemente un Expo diversa. Non siamo, per principio, contro i grattacieli multipiani, contro la “crescita” della città: chiediamo solo che lo sviluppo di Milano sia di tipo qualitativo piuttosto che quantitativo. Vogliamo le metropolitane, il potenziamento e il restauro delle vie d‟acqua che hanno caratterizzato storicamente il nostro paesaggio regionale, nuove vie di comunicazione per rendere più agevole gli spostamenti urbani e suburbani. Noi desideriamo tutto questo con forza e convinzione. Non è un segreto per nessuno: nella nostra città, citando solo per esempio il quartiere della Bovisa, esistono spazi enormi, se non immensi, da anni fatiscenti ed abbandonati, dove le forze dell‟ordine fanno regolarmente visita per scacciare, temporaneamente, tutti gli “abusivi”, spazi che devono e possono trovare una collocazione fertile e utile nella città storica. Si è spesso parlato della profonda ignoranza (nel senso di “coloro che ignorano”) della classe politica che abbiamo chiamato a governarci. Si è già sottolineato che costoro sembrano non conoscere o ignorare non solo il cuore profondo della nostra città ma anche i grandi avvenimenti che stanno caratterizzando il discorso culturale globale, discorso che verte sul riuso, sul risparmio e sulla lotta all‟inquinamento, ne sono consci i cinesi, gli americani, i brasiliani e la lista potrebbe essere quasi infinita. Anche il tema ispiratore della nostra Expo sembrerebbe nei fatti voler proporre tematiche legate alla protezione dell‟ambiente, alla eco-compatibilità allo sfruttamento intelligente delle risorse non rinnovabili e via dicendo. 10 Se è vero, come dice il sindaco Moratti, che la scelta della localizzazione l‟ha fatta il BIE in ossequio alle proprie norme, fori del tempo, sarebbe stato un bell‟esempio nei confronti del mondo che ci guarda denunciare che in una città come Milano gli spazi agricoli, soprattutto nel nord della metropoli, sono diventati un fatto praticamente raro, una – appunto - risorsa non rinnovabile. Era allora che l‟amministrazione comunale avrebbe dovuto proporre un‟Expo diffusa. Purtroppo il famoso dossier di presentazione è partito alla volta di Parigi, all‟oscuro della maggior parte dei cittadini, senza discussioni pubbliche, senza la famosa “partecipazione collettiva”. Pare non ne esista nemmeno una versione in italiano ma quello che è chiaro, in qualunque lingua si parli, è che gli interessi prevalenti erano quelli di Fiera Milano che ha bisogno di puntellare i suoi bilanci e di qualche privato influente. Quello che irrita, soprattutto, è quest‟arroganza di Palazzo Marino che non solo rifiuta categoricamente ogni forma di dialogo con i cittadini “dissenzienti”, ma che sembra voler proseguire per la propria strada quasi in segreto, senza mostrare le carte, e non solo metaforicamente, ai cittadini che nel bene o nel male, saranno anche i protagonisti di questo evento. Tutte le ipotesi alternative al progetto originario sono state scartate o irrise, il BIE preme, vuol vedere il master plan e il piano finanziario definitivo. Pare che i cinque architetti della famosa consulta siano al lavoro: prima di mostrare le carte al BIE avremo la fortuna di buttarci un occhio e magari discuterne? Nessuno, tutti impegnati nel vero business che accompagna l‟Expo, ossia la realizzazione e l‟apertura di nuovi cantieri, oltre al necessario afflusso di danaro, affronta ancora il versante dei contenuti cultuali della manifestazione. La famosa e citata Mongolia, della cui condizione economica sono assolutamente all‟oscuro, cosa porterà all‟Expò milanese? E tutti i paesi del cosiddetto Terzo Mondo come parteciperanno all‟evento? Qui ci troviamo di fronte ad una nuova forma di colonialismo in chiave contemporanea: da un lato i paesi tecnologicamente avanzati mostreranno al pubblico i risultati, spero incoraggianti, delle loro ricerche, mentre gli altri altro non potranno fare altro che stare a guardare, e forse allestire dei banchetti dove assaggiare, con gusto, i prodotti locali. Riusciranno a portare, surgelata, cane di montone a sufficienza, dalle alture della steppa? Scherzi a parte: i grandi progetti di ricerca volti a sfamare il mondo, a ridurre il consumo di energie non rinnovabili, sono finanziati da paesi cosiddetti “a tecnologia avanzata” e sono in genere pensati per risolver i problemi tipici dei paesi in via di sviluppo. Si creerà una situazione in cui alcune nazioni mostreranno i propri prodigi tecnologici, mentre altri staranno soprattutto a guardare, forse con stupore. Questa non è un Expo, questa è una fiera delle meraviglie ad invito. Se la localizzazione a Rho-Pero è uno scoglio insormontabile esiste una strategia adatta a contenerne gli aspetti negativi: non solo pensare da subito al dopo Expo ma dar vita ad un master plan estremamente contenuto. Si può pensar, come si sta facendo, a un‟Expo leggera, idea che sembra fare breccia anche nel monolito della società di gestione. Infine: le aree destinate agli spazi espositive. E‟ urgente che la città civile e responsabile pretenda con qualsiasi mezzo o manovra che i volumi edificati siano lo stretto indispensabile per onorare gli impegni assunti e che ci sia la garanzia di opere condotte a termine senza dover ricorrere alla perversa strumentazione della decretazione di emergenza che ha sempre generato “mostri” e portato con sé il lezzo della corruzione. Credo che sia giunto il momento di creare una “grossa coalizione trasversale”, fatta di cittadini pronti a difendere la propria terra, di associazioni, tra cui Lega Ambiente, Italia Nostra e l‟Ordine geli Architetti. Il fortino dei fautori dell‟Expo così com‟è nel dossier di presentazione comincia a vacillare. Approfittiamone. Approfondimenti Il PIANO CASA: COME PIANIFICARE LA DISTRUZIONE DEL PAESE Ezio Antonini Il “Piano casa” della Regione Lombardia, come delle altre Regioni, ha origine dall‟intesa del 31 Marzo 2009 raggiunta nella Conferenza Stato-Regioni ed Enti Locali promossa dal Governo, che avrebbe dovuto tradurne il contenuto in un decreto-legge entro dieci giorni dalla sottoscrizione dell‟accordo: impegno poi non mantenuto anche per dubbi di costituzionalità sull‟iniziativa. E‟ opportuno peraltro richiamare le finalità e i contenuti dell‟accordo per verificare se il progetto di legge regionale li riprenda in modo più o meno coerente.Si tratta, come è noto, di un intervento che si propone il “rilancio dell‟- conomia” allo scopo di “rispondere anche ai bisogni abitativi delle famiglie” introducendo “incisive misure di semplificazioni procedurali dell‟attività edilizia”. In vista di queste finalità, l‟intesa Stato-Regione-Enti Locali si è attestata sui contenuti seguenti: a) interventi di ampliamento della volumetria esistente, entro limiti definiti, ai fini di migliorare “la qualità architettonica e/o energetica degli edifici”; b) consentire interventi straordinari di “demolizione e ricostruzione di edifici residenziali con ampliamento sino al 35%”: anche qui con finalità “di miglioramento della 11 qualit- energetica e dell‟uso di fonti energetiche rinnovabili”; c) introdurre forme semplificate di procedure. Gli interventi sono esclusi nel caso di edifici abusivi, nei centri storici o in aree di inedificabilità assoluta. Spetta inoltre alle Regioni escludere o limitare gli interventi nel caso di beni culturali o nelle aree di pregio ambientale e paesaggistico. Questa disciplina straordinaria avrà durata non superiore a 18 mesi dall‟entrata in vigore delle leggi regionali. Il principio sotteso (anche se non esplicitamente dichiarato) è quello che l‟attuazione del “piano-casa” avrebbe una capacità di trascinamento sull‟economia complessiva, secondo quanto dice anche un vecchio detto popolare. Senonchè la saggezza popolare andrebbe aggiornata e verificata, confrontandola con i caratteri recenti degli interventi immobiliari nel nostro paese, basati su una crescente aggressività speculativa, senza alcun rispetto non diremo per le esigenze sociali, ma nemmeno per la salvaguardia di quelle preesistenze territoriali che costituiscono un patrimonio di tutti. Inoltre non si può dimenticare che la crisi finanziaria globale ha avuto, almeno negli Stati Uniti, origini strettamente legate proprio allo sviluppo immobiliare. Infine, come ripetono da tempo gli economisti. l‟attività immobiliare è quella che restituisce di meno alla collettività in termini di sviluppo economico, trattenendo invece la più alta percentuale (sino al 50%) alla pura rendita dell‟operatore. Basterebbero queste considerazioni per avanzare sospetti sulla efficacia odierna dell‟edilizia come motore per un rilancio socio-economico di carattere generale. Va aggiunto che - per quanto concerne i Comuni - una buona parte di essi attribuisce all‟edilizia un ruolo “virtuoso” di aiuto alle proprie finanze mediante i contributi di urbanizzazione. Non si tiene però conto che si tratta di un sollievo momentaneo, giacchè a medio e a lungo termine ogni aumento di densità edilizia in quartieri già costruiti è destinata a portare conseguenze negative sulla qualità della vita dei residenti: aggravando fenomeni già congestivi nelle città medie e grandi che si tradurranno in aumenti, non quantificabili ma ingenti, per le spese comunali da impiegare nei settori dei servizi, della sorveglianza e del traffico, ecc.. In sintesi, favorire oggi l‟edilizia al di là di quanto consentono piani regolatori già ora altamente permissivi equivale a rovesciare debiti sulle generazioni future. *** 3.- Per quanto concerne poi in particolare la Regione Lombardia, già interessata da un‟area metropolitana estesa a gran parte delle aree di pianura, con Comuni in cui il consumo di suolo copre già attualmente per percentuali altissime l‟intero territorio comunale, significa eliminare in anticipo ogni possibile contenuto pianificatorio alla L.R. 12/05 che soltanto ora comincia ad essere attuata. Significa fra l‟altro negare ogni attività istruttoria alla VAS, al piano delle regole e dei servizi dei nuovi PGT, che saranno inutili o partiranno già superati dai fatti. Allo stesso modo diventano inutili gli attuali PRG, se possono essere superati gli indici di densità fondiaria e i rapporti di copertura, addirittura sino al 50%, senza che sia preventivamente verificato il necessario aumento di aree per verde e servizi, che potrebbero essere anche impossibili da reperire. Viene infine ignorata l‟autonomia comunale, dato che ai Comuni non è consentito sottrarsi al piano casa, ma solo intervenire con limitati poteri integrativi o modificativi. L‟unico potere concreto dei Comuni sarebbe quello di individuare limitate parti del loro territorio dove il piano-casa non si applica; tuttavia, come prevede il 6° comma dell‟art. 5, la relativa motivata delibera del Consiglio Comunale deve essere esercitata entro il termine (dichiarato perentorio) del 15 Settembre 2009 (sic!). *** Passando ora alle osservazioni di maggior dettaglio sul testo del progetto di legge, si rileva quanto segue, osservando comunque ancora che la “valorizzazione” e “qualificazione” del patrimonio edilizio esistente hanno perso per via anche quelle finalità di miglioramento complessivo che - per quanto generiche e inadeguate secondo l‟accordo Stato-RegioneEnti Locali giustificavano gli interventi di deroga a qualsiasi regola urbanistica. Tali giustificazioni erano - lo ripetiamo - il miglioramento della “qualità architettonica” e di quella energetica, la riqualificazione di aree urbane degradate, oltre alla promessa di risorse straordinarie per l‟edilizia residenziale pubblica al fine di “soddisfare il fabbisogno delle famiglie o particolari categorie, che si trovano nella condizione di più alto disagio sociale e che hanno 12 difficoltà ad accedere al libero mercato della abitazione”. Nel piano casa lombardo, le finalità di ordine sociale sono confinate all‟art. 4 del progetto di legge, e previste come “riqualificazione dei quartieri di edilizia residenziale pubblica”, nei quali tuttavia l‟intervento diretto degli enti proprietari rimane comunque condizionato alla allocazione di risorse pubbliche straordinarie di cui non è traccia nel testo della Regione, mentre anche l‟accordo StatoRegioni dichiara che il sostegno potrà essere individuato “compatibilmente con le condizioni di finanza pubblica” , che notoriamente non nuotano nell‟oro. Risulta però ammesso nei quartieri ERP anche l‟intervento dei privati, mediante il convenzionamento di cui agli artt. 17 e 18 del DPT 6 Giugno 2002, N. 380, che ha notoriamente un limitato effetto calmieratore dei prezzi di vendita e delle locazioni, ma certamente non risponde al fabbisogno delle famiglie “che si trovano nella condizione di più alto disagio sociale”. E‟ anzi singolare che non si parli mai di edilizia convenzionata per gli interventi di cui agli artt. 2 e 3 del progetto di legge. Aver confinato le finalità sociali ad una eventuale futura individuazione di risorse per l‟edilizia residenziale pubblica ha comunque il pregio di non confondere le idee: confermando che gli interventi di cui all‟art. 2 e 3 risponderanno esclusivamente alle regole del mercato, basate di norma su caratteri speculativi, con prezzi elevati e liberi di vendita e locazione. Non risulta nemmeno che gli interventi dell‟art. 3 siano limitati, o preferiti, nel caso in cui vengano disposti su “aree urbane degradate” da riqualificare. Di conseguenza le giustificazioni residuali del “piano casa” lombardo rimarrebbero unicamente il miglioramento della “qualità architettonica e/o energetica” Su questi due argomenti, tuttavia, si può obiettare che esiste già ora, per tutte le nuove costruzioni, una rigida normativa per il contenimento di energia, a cui corrisponde un “limitato” premio volumetrico (L.R. 33/07). Cosa accade con il piano-casa? Si som- mano i due incentivi? Inoltre è certo che ogni intervento di sopralzo (in questo caso assai più radicale dei sottotetti) è destinato ad alterare negativamente l‟architettura originaria (ove esista); certo, non a migliorar ART. 2 - Quali sono le “parti inutilizzate” di un edificio che non abbia destinazione agricola o produttiva? Spazi non affittati, e quindi inutilizzati solo in via temporanea? Alberghi chiusi ? Edifici terziari senza mercato? Non si riesce a capire. L‟utilizzo dei seminterrati potrebbe essere opportuno, a patto che gli spazi posseggano le condizioni regolamentari di abitabilità. Nelle aree destinate all‟agricoltura, il recupero di parti inutilizzate (ossia di tutte quelle già adibite ad usi connessi al lavoro agricolo) per destinazioni residenziali o ricettive (ma non alberghiere?) avrà come conseguenza la perdita di un immenso patrimonio storico lombardo, ossia quello costituito dalle grandi cascine. ART. 3. e 5. - L‟intervento su abitazioni mono-bifamiliari, del tutto svincolato da esigenze del nucleo familiare che vi risiede, cambierà totalmente l‟aspetto e l‟impatto urbanistico di interi quartieri, trasformando ville e villette in condomini. Soprattutto fa paura l‟effetto devastante che può conseguire agli interventi previsti dai commi 2, 3, 4 e 5, che ci auguriamo vengano drasticamente rivisti. Anzitutto sorprende che gli interventi siano ammessi (senza limiti) anche entro i piani territoriali di coordinamento dei parchi regionali, ed egualmente nelle zone con vincolo paesaggistico o comunque di grande pregio ambientale: quali le sponde dei laghi lombardi già oggi a rischio per l‟alta permissività di molte amministrazioni comunali.Per quanto attiene ai parchi regionali, la disposizione del 1° comma dell‟art. 5 è particolarmente inaccettabile. Si dice espressamente che la deroga alle previsioni del piano del parco deve garantire “il rispetto del codice civile e delle leggi per la tutela dei diritti dei terzi”: come se queste normative si potessero invece disattendere in tutti gli altri casi! Inoltre deve essere rispettato “il paesaggio”; ma come può esserne assicurato il rispetto consentendo contemporaneamente la deroga al piano del parco, che ha la finalità di proteggerlo Nell‟art. 3 (anche qui, in deroga ai principi dell‟accordo StatoRegioni) gli interventi sono ammessi anche nei centri storici per gli edifici residenziali “non coerenti” con le caratteristiche della zona. Cosa significa? Si ricorda infatti, che nei centri storici, gli unici edifici “non coerenti” sono quelli di edilizia recente, che normalmente devono la loro incoerenza alla circostanza di essere più alti, più densi o comunque sproporzionati rispetto al contesto e alla cortina di edifici antichi. Vogliamo dunque premiarli perchè vengono sostituiti con edifici più alti e più densi, al di fuori di qualsiasi rapporto con l‟area circostante? Al 5° comma, l‟aumento ulteriore di volumetria per gli interventi che assicurino un “congruo equipaggiamento arboreo” o “giunte arboree perimetrali” non necessita ulteriori commenti; così come al 6° comma, la previsione che gli interventi potranno superare sino al 50% l‟indice di densità fondiaria e l‟indice di copertura previsti dallo strumento urbanistico è destinato, come già si è fatto cenno, a rendere obsoleto ogni piano regolatore. Comma 9 - Viene affermato il rispetto della sola normativa antisi- 13 smica: ciò significa che tutte le altre normative tecniche che non vengono nominate (da quelle impiantistiche a quelle strutturali o a quelle stesse di contenimento energetico) possono essere disattese? Da ultimo, si ribadisce che il progetto di legge viene imposto ai Comuni, ai quali sono delegati compiti secondari e di efficacia marginale. Non esisterà alcuna possibilità a livello comunale, dopo il 15 Settembre prossimo (ossia praticamente subito, considerato il periodo estivo) di escludere gli interventi su parti del territorio comunale - ad esempio per le aree di grande impatto paesaggistico - o comunque di limitarne la portata. E‟ possibile soltanto che il Comune, sulle istanze o DIA, entro trenta giorni, sottoponga l‟intervento singolo a “specifiche condizioni e modalità tecniche”; infine l‟art. 2 demanda ai Comuni di “verificare l‟eventuale ulteriore fabbisogno di aree pubbliche e servizi”; e inoltre (sempre entro il 15 Settembre 2009) di dare prescrizioni per il “reperimento di spazi per parcheggi pertinenziali e verde”. Come si deve leggere questa disposizione? Nel senso che, se mancano le prescrizioni entro il termine brevissimo concesso, tutti gli interventi di ampliamento o di sostituzione di edifici sono esonerati dal prevedere, ad esempio, i posti auto di pertinenza obbligatori per legge? E poi, perchè il fabbisogno di aree pubbliche e servizi urbani indotto dalla legge è definito come meramente “eventuale”?. Se si possono superare sino al 50% gli indici di densità edilizia , ciò significa che - necessariamente - il Comune dovrà aumentare gli standard per la stessa percentuale ! RUBRICHE MUSICA Questa rubrica è curata da Paolo viola Classica? Leggera? Da anni, ormai, questi due termini –“musica classica” e “musica leggera” - sono inservibili, ancorché rappresentino intenzioni, più che idee, abbastanza precise da parte di coloro che le pronunciano; sono stati utilizzati o coniati termini diversi come “musica colta” per la prima e “musica popolare” per la seconda, ma bisogna subito dire che non hanno funzionato (il jazz, la musica etnica, quella che proviene dall‟oriente o dal sudamerica, dove si collocano?). Mi rendo conto di addentrarmi in un campo minato, un argomento sul quale esistono pareri - anche molto qualificati - contraddittori e da molti non accettati o radicalmente rifiutati; che diverse generazioni esprimono giudizi opposti sui fondamenti stessi del concetto di musica, dai quali discendono valutazioni di segno totalmente contrario. E allora? Bisogna chiedersi prima di tutto che senso abbia questa distinzione: è tutta musica, di diversi generi e tendenze, o sono due “cose” diverse che hanno in comune solo la produzione di suoni e – neanche sempre - l‟uso di note? La distinzione è netta oppure vi sono aree comune in cui l‟una sfuma nell‟altra e si contaminano a vicenda? Di contaminazione si può e si deve ragionare, che si pensi all‟una o all‟altra delle categorie indagate: da una parte il popolarissimo valzer viennese (“trattato” dai più grandi compositori dell‟ottocento e del novecento, dagli Strauss a Chopin, da Čajkowskij a Berg), il jazz di Gershwin, i temi popolari passione inesausta di Béla Bartók, la tarantella napoletana di Strawinsky e di Boulez; dall‟altra l‟uso - a volte spregiudicato, talvolta magico – di grandi opere “classiche” ricollocate in situazioni totalmente diverse, come il corale dalla Passione secondo Giovanni di Bach utilizzato da Andrew L. Webber per costruire il famoso musical (classico o leggero?) Jesus Christ Superstar, o come le elaborazioni jazzistiche di temi bachiani e mozartiani (ricordate il celebre Modern Jazz Quartet?). Oggi queste contaminazioni si sono allargate a tutti i generi musicali e questo fa ovviamente pensare a una sorta di contenitore unico in cui la musica è da considerare una sola complessa e multiforme espressione d‟arte. D‟altronde nelle lettere e nell‟arte figurativa siamo molto prossimi ad una concezione totalizzante della produzione artistica: si pensi quanto il fumetto e l‟illustrazione – ma persino il graffito urbano - siano prossimi alla pittura (per non dire quanto quest‟ultima sia stata contaminata e si sia intimamente legata con installazioni e performance di ogni genere), e come un certo tipo di giornalismo sia considerato parente stretto della letteratura, e si comprende come anche nella musica sia diventato difficile operare distinzioni nette con significati univoci. Ma come possiamo mettere in un unico contenitore le musiche da discoteca e le opere di Azio Cor- 14 ghi o di Marco Tutino? cosa hanno a che fare le canzoni proposte a San Remo con la complessa produzione della musica dodecafonica? Il disc-jockey e il direttore d‟orchestra, il cantante rock e la soprano lirica, il percussionista di una jazz-band e un violino di spalla, sono tutti musicisti tout-court, parte di una stessa grande famiglia artistica? Li vedete scambiarsi idee sul loro lavoro di artisti? Credo che su questo tema ci sia ancora molto da indagare e non lo si faccia – almeno in ambiti meno ristretti di quello scientifico e specialistico – per il timore di sembrare politicamente scorretti nei confronti di gran parte dei giovani, degli amanti di quella musica che inizialmente e impropriamente ho chiamato popolare e che non si può chiamare leggera (anche perchè non lo è), che non si vuole in qualche modo declassare avendo ben chiaro il cospicuo numero di adepti e di sostenitori di cui gode. Ma noi, amanti di quell‟altra musica, che non possiamo chiamare classica - anche perchè classica non lo è più - ma che ci vergogniamo di chiamare colta perchè ci sembra poco fair e vagamente presuntuoso, cosa dobbiamo fare quando ci viene chiesto quale musica ascoltiamo, suoniamo, amiamo? 23 giugno ARTE Questa rubrica è curata da Silvia Dell‟Orso L‟opera grafica di Francisco Goya è al centro di questa mostra. Il grande artista spagnolo affiancò all‟attività di pittore anche quella di incisore, staccandosi nettamente dalle atmosfere rococò dei cartoni per arazzi o dall‟eleganza dei suoi ritratti. La rassegna ha il suo nucleo principale nei fogli della Tauromachia, eseguiti tra il 1814 e il 1816, sorprendente allegoria delle vicende umane che testimonia le infinite possibilità interpretative dell‟incisione offerte da Goya. Non mancano opere dalla celebre serie dei Capricci, raccolta di 80 incisioni creata tra il 1794 e il ‟95, il cui titolo suggerisce virtuose e immaginifiche evasioni della mente, ma che inchiodano invece l'attenzione per la feroce denuncia alla società contemporanea insita in quelle immagini enigmatiche, concepite attingendo dal repertorio onirico e dalle più oscure visioni del subconscio: quasi che la sordità, da poco sopraggiunta, avesse contribuito a sollecitarle. Ma anche dai Disastri della guerra e dai Proverbi. Francisco Goya. Tauromachie ed altre battaglie. Ponteranica (Bergamo), Bopo Bocciodromo, via Concordia 6a orario: martedì, mercoledì, venerdì 16/20; giovedì 16/22; sabato e domenica 10/20; lunedì chiuso. Fino al 26 luglio. Una mostra che si può visitare anche on-line sul sito della galleria (www.galleriaforni.it), ma che è sempre consigliabile vedere di persona. A confronto le opere di due artisti che, in modo diverso, ma con non dissimile intensità, hanno cercato di catturare atmosfere assolute e stati d‟animo. Oggetti senza apparente significato, ma che suggeriscono le emozioni di una vita. Per Ferroni – livornese, morto a Bergamo nel 2001 – gli strumenti del mestiere, dalle matite al cavalletto, ordinati su un tavolino, coperto da un drappo bianco: composizioni essenziali e metafiisiche, spr- ofondate nel silenzio. Per Sesia – artista cinquataquattrenne originario di Magenta – oggetti ormai in disuso che richiamano il passato, riscattandolo dall‟oblio. Gianfranco Ferroni si è servito con grande maestria, nell‟arco della sua vicenda creativa, di acquaforte e litografia, media impiegati anche nelle opere grafiche in mostra. Sono tecniche miste su base fotografica quelle adottate da Sesia; entrambi esplorano il tema della natura morta e la poetica dell‟oggetto. Gianfranco Ferroni e Giovanni Sesia. Silenzi. Studio Forni, via Fatebenefratelli 13 – orario: 10/13 e 16/19.30, chiuso domenica e lunedì. Fino al 31 luglio. Un nuovo appuntamento nell‟ambito delle celebrazioni per il bicentenario della fondazione della Pinacoteca di Brera. L‟occasione sta suggerendo un modus operandi che si vorrebbe appartenere alla quotidianità di un museo, tra scavo e ricerca sul proprio patrimonio, ma anche capacità di dare conto dei risultati con attitudine divulgativa. L‟attenzione si sposta questa volta su Giuseppe Bossi, figura chiave della storia braidense, uno dei primi segretari dell‟Accademia di Belle Arti – succeduto a Carlo Bianconi, sospettato di sentimenti filo austriaci – cui si deve, fra l‟altro, la presenza nelle collezioni di Brera del Cristo morto del Mantegna e dello Sposalizio della Vergine di Raffaello, al cui acquisto partecipò attivamente. La rassegna ricostruisce la raccolta di ritratti e autoritratti di artisti che Bossi concepì come incentivo alla ricognizione storica degli antichi maestri della scuola milanese per gli allievi dell‟Accademia. In tutto 34 ritratti, 25 dei quali raffiguravano infatti maestri lombardi o loro familiari, dei quali si è presto persa memoria, se è vero che già nel catalogo della Pinacoteca del 1816 non sono più registrati come nucleo 15 autonomo. Le curatrici della mostra, Simonetta Coppa e Mariolina Olivari, li hanno rintracciati, spesso dimenticati in uffici pubblici e ne presentano 24, restaurati per l‟occasione, oltre a un Autoritratto di Giuseppe Bossi. Il “Gabinetto dei ritratti dei pittori” di Giuseppe Bossi. Pinacoteca di Brera, via Brera 28, Sala XV – orario: 8.30/19.15, chiuso lunedì (la biglietteria chiude 45 minuti prima). Fino al 20 settembre. È dedicata alla lunga stagione trascorsa da Monet a Giverny la mostra di Palazzo Reale. Una rassegna che allinea 20 grandi tele dell‟artista provenienti dal Museo Marmottan di Parigi, dipinte tra il 1887 e il 1923 quando la costruzione del giardino di Giverny, con i salici piangenti, i sentieri delimitati dai roseti, lo stagno con le ninfee, il ponte giapponese, i fiori di ciliegio e gli iris trova pieno corrispettivo nella tavolozza multicolore di Monet, portando alle estreme conseguenze quell‟titudine innata che lo induceva, ancora ragazzino, a disegnare dal vivo il porto di Le Havre, piuttosto che seguire in studio le lezioni dei maestri. Il tempo della magnifica ossessione di Giverny - una piccola città sulle rive della Senna dove Monet spese la maggior parte del suo tempo e dove costruì il suo più volte immortalato giardino - le cui immagini si possono confrontare con una serie di fotografie ottocentesche di giardini giapponesi. Non senza percepirne la familiarità con la tradizione giapponese dell‟ukiyo-e, rappresentata da 56 stampe di Hokusai e Hiroshige, prestate dal Museo Guimet di Parigi ed esposte a rotazione per ragioni conservative. Monet. Il tempo delle ninfee. Palazzo Reale – orario: lunedì 14.30/19.30, martedì-domenica 9.30/19.30, giovedì 9.30/22.30. Fino al 27 settembre. Suo cugino Aron Demetz è forse più noto ed è stato al centro lo scorso anno di una mostra al Pac. Per Gerhard Demetz quella comasca è la prima antologica, anche se si era già fatto notare nelle due personali allestite alla Galleria Rubin di Milano, cui va il merito di avere richiamato l‟attenzione sull‟artista. Altoatesino come Aron, nato nel 1972, scultore a sua volta, naturalmente attratto dal legno, come si confà a chi è nato e vissuto in Val Gardena apprendendone fin da subito le tecniche di lavorazione, la manualità, gustandone il profumo e la duttilità. Non sono però solo sculture in legno, di tiglio, quelle presentate a Como, tre sono in bronzo, un materiale nuovo per l‟artista che espone anche alcuni bassorilievi a parete. Il tema dominante è sempre la figura umana, in particolare bambini, di cui Demetz conosce e restituisce a tutto tondo le fragilità, le incertezze, i dubbi, quasi serbasse intatta la memoria dell‟infanzia e della tensione tragica che spesso l‟accompagna. Facendone percepire la bellezza non solo visivamente. La rassegna è infatti il primo appuntamento di un progetto promosso in collaborazione con l‟Unione Italiana Cechi, pensato per coinvolgere anche un pubblico non vedente in speciali percorsi tattili. Complici l‟odore del legno, le forme morbide, levigate, ma anche scabre delle sculture, minuziosamente lavorate con lo scalpello sul fronte, incompiute sul retro. Love at First Touch: Gehard Demetz. Como, ex Chiesa di San Francesco, viale Lorenzo Spallino 1- orario: lunedì-venerdì 16/20; sabato e domenica 10.30/19.00. Fino al 27 giugno. A cura di Philippe Daverio con Elena Agudio e Jean Blanchaert, la rassegna propone tutt‟altro che una lettura univoca e compiuta dell‟arte sudamericana; è semmai un ritratto d‟autore che ricorda artisti di ieri e protagonisti delle ultime generazioni, insistendo su alcuni temi condivisi: sangue, morte, anima, natura, città. E sempre e comunque con grande passione sociale e attenzione per la storia. Non un‟unica America Latina, ma tante Americhe Latine, così come è molto diversificato e variegato il panorama artistico del continente sudamericano. Arrivano dal Brasile, da Cuba, dalla Colombia, dal Cile, dal Venezuela e dal Messico le oltre cento opere esposte. Una cinquantina gli artisti rappresentati, concettuali, astratti, figurativi nel senso più tradizionale del termine, pittori, scultori, fotografi o amanti delle sperimentazioni linguistiche. Ecco, dunque, la cubana Tania Bruguera, l‟argentina Nicola Costantino, la brasiliana Adriana Varejão fino a Beatriz Milhares, Vik Muniz, al fotografo guatemalteco Louis Gonzales Palma, al cileno Demian Schopf. C‟è anche Alessandro Kokocinsky, cresciuto in Argentina, ma nato in Italia dove tuttora vive e lavora, che trasferisce nelle sue opere dolenti i tormenti vissuti in prima persona. Nella sala cinematografica dello Spazio Oberdan la sezione video è curata da Paz A. Guevara e Elena Agudio. Americas Latinas. Las fatigas del querce. Spazio Oberdan, via Vittorio Veneto 2 - orario: 10/19.30, martedì e giovedì fino alle 22, chiuso lunedì. Fino al 4 ottobre. Si fa sempre più fitto il dialogo tra arte antica e moderna, almeno quanto a iniziative che vedono a confronto tradizione e modernità. Come la mostra allestita in questi giorni all‟Accademia Tadini di Lovere. Una rassegna nata dalla collaborazione tra il museo lombardo, aperto nel 1828 da un collezionista di allora, il conte Luigi Tadini, e tre galleristi/collezionisti di oggi, Claudia Gian Ferrari, Massimo Minini e Luciano Bilinelli. Ecco dunque che le opere di Antonio Canova, Francesco Hayez, Jacopo Bellini, Fra‟ Galgario, il Pitocchetto, Francesco Benaglio e Paris Bordon, conservate in permanenza all‟Accademia Tadini, si trovano per qualche mese faccia a faccia con quelle di Giulio Paolini, Carla Accardi, Lucio Fontana, Luigi Ontani, Arturo Martini, Sol LeWitt e molti altri maestri del XX e XXI secolo. “Accademia Tadini. Quattro collezionisti a confronto 16 Lovere (Bergamo), Accademia di Belle Arti Tadini, Palazzo dell'Accademia, via Tadini 40 (Lungolago) - orario: martedì-sabato 15/19, domenica 10/12 e 15/19. Fino al 4 ottobre. È la mostra simbolo delle celebrazioni per il centenario della nascita del Futurismo. Una rassegna impetuosa e forse un po‟ bulimica, ma come di fatto fu il Futurismo e come si confà alla passione dello studioso che ama rendere pubbliche le proprie scoperte. Il Futurismo a volo d‟uccello, dunque, guardando al movimento in tutta la sua estensione cronologica e senza omettere nessuna delle sue molteplici declinazioni, esplorando anzi l‟intero campo d‟azione di un‟avanguardia la cui piena valutazione è stata a lungo condizionata dalle sue collusioni col fascismo. A cura di Giovanni Lista e Ada Masoero, la rassegna riunisce circa 500 opere, spaziando dai dipinti, disegni e sculture, al paroliberismo, ai progetti e disegni d'architettura, alle scenografie e costumi teatrali, alle fotografie, ai libri-oggetto e ancora agli arredi, all‟arte decorativa, alla pubblicità, alla moda, offrendo in chiusura un assaggio di film futuristi. Il 20 febbraio 1909 Filippo Tommaso Marinetti pubblicava su Le Figaro il “Manifesto del Futurismo” ed è appunto a Marinetti che spetta un ruolo chiave nel percorso espositivo, traghettando nell‟età delle avanguardia l‟arte italiana di fine „800 alla quale è dedicata un‟efficace panoramica in apertura, tra Simbolismo e Divisionismo. Si prosegue quindi per decenni, individuando di volta in volta le figure e i caratteri dominanti. Boccioni, Carrà, Balla, Severini, Russolo, Soffici, Prampolini, Depero, Sironi, Dottori e molti altri. La compagine di maestri futuristi è ampiamente rappresentata, anche grazie a opere non scontate, e la rassegna segue l‟intera evoluzione del movimento fino a tutti gli anni ‟30 e oltre, avventurandosi nella metà del secolo scorso per rintracciarne gli eredi: da Fontana a Burri, Dorazio, Schifano ai poeti visivi. Futurismo 1909-2009. Velocità + Arte + Azione. Palazzo Reale, piazza Duomo 12 – orario: 9.30/19.30, lunedì 14.30/19.30, giovedì 9.30/22.30. Fino al 12 luglio. I temi sono tutti indiscutibilmente ponderosi e decisamente universali: Potere, Quotidiano, Vita, Morte, Mente, Corpo, Odio, Amore. Ognuno di questi rinvia a una delle 8 sezioni in cui si articola la mostra bergamasca il cui titolo, “Esposizione Universale”, sembra ironizzare su uno degli argomenti più frequentati e ineludibili del momento. Qui però l‟Expo è rigorosamente artistico, con una carrellata di un centinaio di opere dal „400 ai giorni nostri, forte innanzitutto del patrimonio dell‟Accademia Carrara di Bergamo, ma non solo. Si va da Giovanni Bellini, Bergognone, Botticelli, Carpaccio, Foppa, Pisanello, Tiziano a Casorati, Duchamp, De Chirico, Christo, De Dominicis, Ontani, Clemente, Kabakov, Gilbert & George, Maria Lai, Spalletti, Arienti, Cuoghi e molti altri, tra cui Ben Vautier le cui opere-testo ricorrono in tutte le sale. A cura di Giacinto Di Pietrantonio, non è la prima volta che il direttore della Galleria d‟Arte moderna e contemporanea di Bergamo mette a confronto l‟arte antica con quella moderna. Lo ha fatto ragionando sulle Dinamiche della vita dell’arte, una rassegna di qualche anno fa e continua a riproporre anche in questo caso la sua visione unitaria dell‟arte, tutta contemporanea, perché è con gli occhi di oggi che si rilegge l‟arte di ieri. Esposizione Universale – L‟arte alla prova del tempo. Bergamo, Galleria d‟arte moderna e contemporanea, via San Tomaso 53 – orario: martedì-domenica 10/19, giovedì 11/22. Fino al 26 luglio. L‟opera incisa di James Ensor è al centro di una mostra, a cura di Flavio Arensi, allestita nelle sale di Palazzo Leone da Perego a Legnano. Sono esposte 188 stampe del maestro belga vissuto a cavallo tra „800 e „900, provenienti dalla collezione Kreditbank; tra queste 134 acqueforti, a deli- neare un percorso influenzato inizialmente dall‟esperienza impressionista che lascia ben presto il passo a un deciso espressionismo, tramite per una dissacrante e spietata critica della società del tempo. Occupa una posizione rilevante, la stampa, nella produzione di Ensor, un medium che si addice alla sua vena di solitario fustigatore del compassato mondo borghese, ma anche alle sue sfrenate escursioni nei territori del fantastico e del grottesco. Non mancano, peraltro, anche i paesaggi, le marine, le nature morte, i ritratti e gli autoritratti, con un‟attenzione particolare riservata alla figura di Cristo che ricorre in almeno una dozzina di incisioni e a cui è dedicato l‟album litografico dal titolo Scènes de la vie du Christ. Parallelamente, al Castello di Legnano si possono visitare un‟antologica di Tino Vaglieri a nove anni dalla morte dell‟artista triestino, milanese d‟adozione, di cui si segue il percorso dapprima legato al Realismo esistenziale e approdato quindi all‟informale e una personale della giovane artista di Merate, Marta Sesana. James Ensor. L‟opera incisa. Legnano, Palazzo Leone da Perego - orario: martedì-venerdì 16/19.30; sabato 15.30/19.30; domenica e festivi 10/13 e 15.30/19.30; mercoledì 21/23. Fino al 28 giugno. Gli spazi della Fondazione Pomodoro sono letteralmente occupati dalle grandiose installazioni della settantanovenne artista polacca, protagonista della nuova mostra, a cura di Angela Vettese. È davvero una rifondazione del linguaggio della scultura quella che si avverte nell‟opera di Magdalena Abakanowicz. Monumentale non solo per le dimensioni degli 11 lavori esposti, ma anche per il respiro, per la vastità della concezione, per il modo in cui le sue creazioni interagiscono con lo spazio, occupandolo, appunto e trasformandolo. Lo si vede per esempio in Embriology, installazione acquistata nel 2008 dalla Tade Modern di Londra e ora a Milano. Un lavoro imponente ideato nel „78, fatto di centinaia di sacchi di iuta imbottiti, di varie di- 17 mensioni e a forma di patata, già intrinsecamente destinati a trasformarsi nelle sue folle di figure umane e animali, arricchendosi a un tempo con l‟uso di altri materiali: ceramica, acciaio, alluminio, bronzo. Nata in una famiglia aristocratica, Magdalena Abakanowicz ha sempre vissuto e lavorato a Varsavia e si è vista poco in Italia a parte le Biennali di Venezia e una mostra al Mart di Rovereto. Magdalena Abakanowicz. Space to experience. Fondazione Arnaldo Pomodoro, via Andrea Solari 35 – orario: mercoledì-domenica 11/18 (ultimo ingresso alle17); giovedì 11/22 (ultimo ingresso alle 21). Fino al 26 giugno. Il soggiorno di Leonardo da Vinci a Vigevano, testimoniato dallo stesso maestro nei suoi appunti, è il pretesto per una serie di iniziative in zona che ruotano attorno a questo genio poliedrico, tra cui una mostra decisamente insolita. Anzi “impossibile” perché riunisce l‟intera opera pittorica di Leonardo, operazione in sé inimmaginabile se non attraverso il ricorso alle tecnologie di riproduzione digitale. È così che 17 opere leonardesche, ricostruite in dimensioni reali e retroillluminate (al punto da essere apprezzabili analiticamente talvolta meglio degli originali), sono esposte tutte assieme negli spazi del castello vigevanese. Dalla Gioconda alla Vergine delle Rocce, alla Dama con l’ermellino e persino l‟Ultima Cena, quest‟ultima presentata nella vicina chiesa sconsacrata di San Dionigi, da poco restaurata come anche l‟imponente pala del Cerano, qui custodita, raffigurante il martirio del santo. Questa rassegna non è la prima del genere. L‟ideatore del progetto, Renato Parascandolo, ha cominciato a pensarci nel 2000, quando, allora direttore di Rai Educational, strinse un accordo col Ministero per i Beni e le Attività culturali per fotografare e riprendere in video i maggiori capolavori dei musei italiani. Cominciò da lì la sua avventura nei territori della riproduzione delle opere d‟arte e nacque così l‟idea di utilizzare quei materiali per realizzare una sorta di grande trailer dei capolavori italiani da esportare nel mondo per richiamare turisti a vedere gli originali. Ecco allora le mostre di Leonardo, Raffaello e Caravaggio, curate da studiosi qualificati, cui seguiranno a breve, quelle non meno impossibili sulla Cappella degli Scrovegni di Giotto e su Piero della Francesca. Leonardo: una mostra impossibile. L‟opera pittorica di Leonardo da Vinci nell‟epoca della sua riproducibilità digitale. Castello di Vigevano - orario: martedì-domenica 10/19. Fino al 30 giugno A sei anni dalla morte di Enrico Baj, la sua produzione artistica non cessa di riservare sorprese e nuovi filoni d‟indagine. Non solo le donne fiume, i monumenti idraulici, le dame, i generali, a molti già familiari, ma anche i mobili animati, in linea con l‟ineludibile tendenza all‟antropomorfizzazione dell‟atista milanese. Un libro, a cura di Germano Celant, edito da Skira, e una mostra alla Fondazione Marconi propongono questo versante della feconda produzione artistica del padre del Movimento Nucleare e della Patafisica Mediolanense. Sono una cinquantina le opere eseguite agli inizi degli anni ‟60, presentate in collaborazione con l‟Archivio Baj. Alla base, l‟idea ti- picamente surrealista e venata d‟ironia che qualsiasi cosa possa trasformarsi in altro. Ecco, dunque, come già è stato per i personaggi, una serie di mobili bizzarri ma anche eleganti, confezionati con ovatta pressata e applicata a collage sul fondo di stoffa da tappezzeria, su cui Baj sistemava cornici, pomelli, passamanerie e fregi di serrature a evocarne i tratti somatici; via via il mobile si precisa, si fa di legno grazie a fogli d‟impiallacciature opportunamente impreziositi e si avvia a esibire la sua natura Kitsch. Enrico Baj. Mobili animati. Fondazione Marconi, via Tadino 15 - orario: martedì-sabato 10.30/12.30 e 15.30/19. Fino al 24 luglio. I suoi celebri Bleu hanno addirittura richiesto una tonalità di blu creata ad hoc, che porta a tutt‟oggi il suo nome (International Klein Blue). L‟aspirazione alla purezza e all‟assoluto hanno contraddistinto l‟intera e brevissima vicenda creativa di Yves Klein, suggerendo più di un‟affinità con Piero Manzoni, e non soltanto perché sono morti, quasi coetanei, a un anno di distanza l‟uno dall‟altro: nel ‟62, a Parigi, il trentaquattrenne Klein; nel ‟63, a Milano, Manzoni appena ventinovenne. A Yves Klein, capofila del Nouveau Réalisme, sebbene ne sia uscito un anno dopo la fondazione e antesignano della pittura monocroma, è dedicata un‟ampia retrospettiva che oltre a presentare un centinaio di opere del maestro francese, provenienti dall‟chivio Yves Klein di Parigi e da collezioni internazionali, affianca loro, nelle piazze e nei giardini della città, una selezione di sculture metalliche della moglie Rotraut Uecker che con Klein condivise anche la vocazione artistica e immaginifica. Sui tre piani del museo, le opere di Klein sono presentate per nuclei tematici: i Monochrome realizzati con pigmenti puri fino ad arrivare al solo blu, alternato con l‟oro in foglia; i quadri realizzati con il fuoco a contatto diretto con la tela; le Anthropométrie, tele su cui sono impressi i corpi delle modelle cosparse di colore dall‟artista durante veri e propri happening; e ancora i Relief planétaire, le Sculpture éponge, insieme a filmati e fotografie a documentarne le azioni, mentre un ricco apparato documentario permetterà di seguire le tappe del percorso artistico e personale di Klein. Yves Klein & Rotraut Lugano, Museo d‟Arte, Riva Caccia 5 – orario: martedì-domenica 10/18, lunedì chiuso (tranne il 1° e 29 giugno). Fino al 13 settembre. TEATRO Questa rubrica è curata da Maria Laura Bianchi INCANTI E DISINCANTI FESTIVAL Martedì 23 giugno e giovedì 2 luglio I Cortile di Villa Reale Ore 19.00 UTOPIE MIGRANTI Performance/installazione dal vivo con 40 attori e 40 leggii Testi da: Tommaso Campanella, E. M. Cioran, Michel Foucault, Charles Fourier, Karl Mannheim, Thomas More, Walter Pagliarani, Pericle, Platone, William Shakespeare, Oscar Wilde Messa in spazio Valentina Colorni Collaborazione alle ricerche testuali Marco Càccavo “Direttore d‟orchestra”: Massimiliano Finazzer Flory Nell‟attuale contesto storico non sembra esserci più spazio alcuno per le utopie; eppure, le sfide all‟inizio del terzo millennio, sono altissime: il mondo contemporaneo offre scenari inquietanti e ci 18 chiede di attivare le dinamiche migliori delle nostre comunità per garantirci squarci di speranza e passione tali da mantenere viva l‟aspirazione a un mondo più umano, più giusto. E, se è obiettivamente difficile ridisegnare linee su cui proiettare l‟utopia possibile, ridefinire i concetti di uomo e cittadino, di umanità e società, di uguaglianza e diversità, di stato sociale e solidarietà, è un tentativo che dovremmo fare. Da giovedì 25 giugno a sabato 4 luglio (1 luglio - riposo) I PAC Ore 21.30 ROMOLUS/CORRECT POLITICALLY SHOW Produzione del Festival Regia di Andrei Feraru Allestimento scenico di Patricia Feraru in collaborazione con gli allievi dell‟Accademia di Belle Arti di Brera Testi di Lia Bugnar, Stefan Peca (autori rumeni) e Massimo Bavastro, Ana Candida de Carvalho Carniero, Silvana Grasso, Katia Ippaso, Sara Pessina (autori italiani) Brani tratti da Anestesia locale di Günther Grass Chef dramaturg Tatiana Olear Assistente alla regia Sara Pessina Contributi video di Andrea Fantasia Con Nicola Ciammarughi, Paolo Cosenza, Rufin Doh, Sara Fenoglio, Maria Concetta Gravagno, Adrian Nicolae, Gualtiero Scola, Paolo Tarozzi Verbini, Emanuela Villagrossi, Tatiana Winteler Uno spettacolo in italiano, rom, rumeno, inglese … Il 1° novembre 2007, Giovanna Reggiani, 47 anni, viene aggredita e uccisa da Nicolae Romulus Mailat, 24 anni, gitano rumeno abitante a Roma. “L‟antefatto” di cronaca non è tuttavia il soggetto vero e proprio dello spettacolo; ne prende spunto per seguire il mosaico delle reazioni alla vicenda e prova a rivelare l‟aspetto drammatico dell‟escalation irrazionale, a partire dall‟alzata di toni dei media televisivi. Introduce, inoltre, una riflessione sul senso identitario dei cittadini italiani, degli stranieri residenti da più o meno tempo e più o meno assimilati, degli ultimi arrivati, dei rom nomadi, non per forza anti-stanziali ma più semplicemente non-stanziali (differenti, altri, nomadi). Ciò che è essenziale è la verità delle posizioni di ognuno: tutti hanno, da un certo punto di vista, ragione e non c‟è nessuna risposta a questo circolo vizioso. Un piccolo “colpo di scena dentro la scena” racconta il mito di Romolo e Remo, l‟inizio della legge e le regole della stanzialità: la vio- lenza dell‟ uomo stanziale contro il nomade. Il Romolo del fatto reale diventa il Remo del mito, l‟aggressore diviene aggredito. vengono spazi tematici sul delicato mondo delle migrazioni di massa, che nascondono però storie individuali ed umane ricchissime. Venerdì 26 e sabato 27 giugno ore 20.00 e 28 giugno ore 20.00 e 23.00 I PAC MODELLI TAGLIATI IN CARNE [per l‟esecuzione di un soggetto] Studio/performance di teatro danza nell‟ambito del progetto RITORNO A PINTER Produzione Compagnia della Corte | Compagnia Sanpapié Con Lara Guidetti e Francesco Pacelli Coreografia Lara Guidetti e Francesco Pacelli Drammaturgia Sara Chiarcos Musiche Marcello Gori Sabato 27 giugno I Giardini di L.go Marinai d‟Italia Ore 16.00 e 18.00 IN TOTAL CONTROL - Compagnia Afro Jungle Jeegs (Kenya) Al ritmo della musica africana, sei giovani acrobati kenioti con energia, tecnica e creatività propongono uno spettacolo di straordinaria intensità emotiva. Il pubblico è coinvolto e trascinato, diventa protagonista di una festa piena di movimento, gioia, calore, musica. Venerdì 26 giugno, in occasione della Giornata Internazionale per le vittime della tortura, il festival presenta - in omaggio a Harold Pinter, recentemente scomparso, e al suo impegno civile contro la tortura - la performance Modelli tagliati in carne [per l’esecuzione di un soggetto], affidata a Lara Guidetti e Francesco Pacelli, coreografi, e Sarah Chiarcos, drammaturga. L‟aspetto più eclatante della tortura umilia il corpo, perciò riteniamo che il teatro danza possa, meglio di qualunque altra forma espressiva, esprimere questa condizione. Quello che più spaventa e atterrisce della tortura è la sua ingiustificabilità: da dove nasce la spinta al controllo dell'uomo sull'uomo? Il nucleo minimo della tortura ha bisogno di una vittima e di un carnefice. Un uomo e una donna, due modelli in carne che si mettono a disposizione per raccontare un viaggio che parte da molto lontano per arrivare ai giorni nostri. Sabato 27 giugno I Giardini di Porta Venezia Ore 16.00 e 18.30 KAMCHATKA - Compagnia Kamchàtka (Spagna) Spettacolo di strada per 6 attori. 6 personaggi muti, con una valigia in mano, si muovono per la città. 6 profughi, 6 migranti in cerca d‟incontro. Percorsi e luoghi di- 19 Sabato 27 giugno I Giardini di Porta Venezia Ore 17.00 CLOWN IN LIBERTÀ – Teatro Necessario Racconta il pomeriggio un po‟ anomalo di tre clown che vogliono allestire uno spettacolo per divertire, stupire e infine conquistare, abbracciare, baciare il pubblico di passanti. La musica è la vera colonna portante dell‟azione e dello sviluppo narrativo: accompagna, scandisce e ritma ogni segmento ed ogni azione. 27 giugno | Palazzina Liberty Ore 16.30 INCONTRO PUBBLICO CON AMNESTY INTERNATIONAL Incontro curato da Amnesty International con interventi e testimonianze dirette sui temi della violazione dei diritti umani. Parteciperà anche la Compagnia della Corte che ha curato, assieme alla Compagnia Sanpapiè, la produzione dello spettacolo Modelli tagliati in carne [per l’esecuzione di un soggetto] presentato all'interno del festival. Lunedì 29 e martedì 30 giugno, venerdì 3 e sabato 4 luglio I PAC Ore 20.00 VERBA VOLANT / PROFEZIE CIVILI DI UN ANTICONFORMISTA Produzione Quellicherestano in collaborazione con il Festival Testi di Goffredo Parise Adattamento e regia di Fabrizio Parenti Con Carla Chiarelli Musiche composte ed eseguite da Piero Salvatori Scenografia di Silvia Manzoni Costumi di Giusy Gandolfo Produzione: Associazione Culturale QUELLICHERESTANO Verba Volant raccoglie la corrispondenza di Goffredo Parise con i lettori pubblicata sul "Corriere della sera" fra il 1974 e il 1975; cui si aggiunge Benessere borghesia, un racconto apparso sul Corriere (pubblicato da Via del Vento edizioni nel settembre del 1971) ed escluso dai Sillabari senza alcuna motivazione. È l'Italia la vera protagonista di questi dialoghi, che ci restituiscono quella che ci sembra la qualità più caratteristica dello scrittore vicentino prestato al giornalismo: la semplicità che sa essere integralmente umana di uno sguardo acutissimo privo di pregiudizi ideologici, sorretto da una scrittura volutamente accessibile a tutti in omaggio alla democrazia. A Parise l'Italia che cambia non piace. E naturalmente è contro il consumismo che distrugge quello che gli sembra il fondo più vero dell'Italia antica: la povertà, alla quale paradossalmente propone di tornare; ma è la vita, il sentimento per essa che prevale nei suoi toni e nelle sue parole. Da lunedì 6 a sabato 18 luglio I Teatro Libero Ore 21.00 LA DONNA DI UN TEMPO di Roland Schimmelpfennig Produzione Teatri Possibili in collaborazione con il Festival Progetto e regia di Sergio Maifredi con Corrado d'Elia, Laura Ferrari, Monica Faggiani, Alice Arcuri, Marco Taddei L'autore racconta una storia per brevi scene, ripetute più volte con accenti sempre diversi, passando al microscopio l'incidere del tempo sulle relazioni interpersonali, la frattura tra i legami affettivi e i meandri di un Io che si cerca. Prezzi da € 7,00 a € 15,00 + prevendita. Sono previste riduzioni per giovani, studenti e gruppi. Speciale abbonamento “PASSAPORTO x 4 Incanti” da € 22,00 a € 30,00 + prevendita. Ingresso 2 spettacoli nella stessa sera € 15,00 / ridotto* € 12,00 / allievi scuole di teatro € 7,00. Acquistando un biglietto per lo spettacolo La donna di un tempo si ha diritto ad un biglietto ridotto a € 12,00 valido per 2 ingressi nella stessa sera agli spettacoli ( Romolus / Verba Volant + Modelli tagliati in carne [per l’esecuzione di un soggetto] ). Acquistando un biglietto per gli spettacoli Romolus e Verba Volant si ha diritto ad un ingresso ridotto a € 14,00 per lo spettacolo La donna di un tempo Per informazioni: Outis – 02.89658004/328.7611038 – dalle 10.00 alle 17.00 da lunedì a domenica. E-mail: [email protected] – www.outis.it (Graziana Borciani, Davide Calabrese, Francesca Folloni, Lorenzo Scuda e Fabio Vagnarelli). Un circo volante in cui si alternano blob di canzoni, cantautori italiani rivisti e corretti, uffici postali musicali, un reality show dove i personaggi sono ostaggio dei terroristi, le avventure di Rato l‟Immigrato e l‟immancabile riduzione musicale dei Promessi Sposi in 10 minuti, vero e proprio filmato cult della rete. Un‟ora e un quarto di pura follia, acrobazie musicali, risate... Non adatto ai deboli di cuore. Teatro Franco Parenti, via Pier Lombardo 14 Fino al 27 giugno Orario: 21.15 Info e prenotazioni: 02.59.99.52.06 Sono attive le seguenti prevendite: Vivaticket.it, Ticket.it, Bookingshow.com, Happyticket.it, Atrapalo.it - Ai biglietti acquistati tramite questi circuiti verrà applicato il diritto di prevendita. Il fabbricone L‟ultimo spettacolo della stagione di Tieffe Teatro Stabile d‟Innovazione porta in scena, dall‟11 al 27 giugno, all‟interno del Cortile della Magnolia dell‟Accademia di Brera, Il Fabbricone di Giovanni Testori. La ringhiera e il cortile sono i protagonisti di questo affresco di storie che rimandano a quella Milano di periferia, fotografata tra l‟eco non ancora troppo lontana - di una guerra che ha lasciato sul terreno e sulle coscienze cumuli di macerie e un futuro ancora incerto. Insomma sono gli anni del boom e dello “sboom” tra le inquietudini e i sogni di gloria di una gioventù in cerca di nuovi riferimenti e la nostalgia carogna di vite invecchiate troppo presto. Il tutto a portata di mano e di cuore, grazie alla penna straordinaria di uno dei più grandi autori del Novecento. La versione teatrale proposta da Emilio Russo prova a ricostruire sentimenti e atmosfere, attraverso i personaggi principali e secondari, abitanti di questo decadente “Fabbricone” (un caseggiato di Novate, luogo natio dell'autore) brulicante di vita, pianeta ostile e materno, da dove si scappa, ma non si riesce a uscire. Fino al 27 giugno Oblivion Show Oblivion Show è uno spettacolo che mette in scena il meglio del repertorio originale degli Oblivion Cortile della Magnolia dell‟Accademia di Brera, via Fiori Oscuri, 4 Orario: 21.30 (domenica riposo) Info: 02. 36.50.37.40 / 02.36.59.25.44 Prenotazioni e biglietteria: presso Teatro Libero (da lunedì a venerdì dalle 11.00 alle 21.30 sabato dalle 19.00 alle 21.30 domenica 28/06 dalle 14.00 alle 17.00 - tel. 02.45497296 e-mail: [email protected]) presso i botteghini le sere di spettacolo gli abbonamenti sono in vendita solo presso il Teatro Libero e presso il circuito Vivaticket.it i biglietti prenotati vanno ritirati ai botteghini prima dell'inizio degli spettacoli I botteghini aprono due ore prima dell'inizio degli spettacoli e i biglietti possono essere pagati solo in contanti. 20 CINEMA & TV Questa rubrica è curata da Simone Mancuso I love Radio Rock di Richard Curtis Se fossi un produttore di una major hollywoodiana avrei acquistato i diritti prima dell‟uscita del film e l‟avrei pompato nel circuito commerciale con pubblicità all‟altezza. Perché questo prodotto puramente inglese, è uno straordinario lavoro dello sceneggiatore di “Quattro matrimoni e un funerale” e “Notting Hill”, il quale tiene alta la sua reputazione da soggettista e sceneggiatore, e migliora il pensiero generale verso di lui, firmando anche la regia. Certo è, che quando un autore firma queste tre fasi della produzione, si può certamente dire non solo che sia una sua opera, ma quasi che sia un‟estensione del suo pensiero. E quello che ne viene fuori è un dolcissimo ricordo verso una musica che ha fissato i criteri di quella contemporanea, ma al contempo, un fermo punto di vista sulle aspirazioni e i sogni di una società che pare smarrita. Radio Rock è il nome di una nave pirata che trasmette a tutta la Gran Bretagna dal Mare del Nord Rock‟n roll tutto il tempo, da dei dj che vivono lassù isolati dal mondo, in un‟epoca in cui vi era il monopolio della BBC controllata dal Ministero delle Telecomunicazioni che trasmetteva solo musica classica. Questo rende la pellicola impregnata di musica anni‟60, con una scelta delle musiche che merita da sola il prezzo del biglietto, e una costruzione dei personaggi perfettamente tipica di quegli anni, come “The Count”, il conte, interpretato egregiamente dal premio Oscar Philip Seymour Hoffman. Dunque un inno al sesso, droga e rock‟n roll fino alla fine, che non è stato messo in rilievo come avrebbe meritato, visto i molti elementi commerciali, come il montaggio, e con interessanti motivi per andarlo a vedere per i nostalgici, ma anche per chi ama la musica e le commedie scritte per il cinema. Terminator Salvation di Mcg Se si potesse, descrivere il film soltanto con le musiche di Danny Elfman, mettendo sotto il titolo un file mp3 con l‟incalzante tema lo farei. Questo a mio avviso basterebbe a descrivere la potenza di questo film, che arriva allo spettatore come l‟onda d‟urto di una bomba atomica, supportando con la musica scene come il ritorno di un T-600 (il primo Terminator, per intenderci, il governatore della California) completamente fatto al computer, primo stile (vedi Conan il barbaro), come “mostro” finale. Terminators che, forse giustamente, rubano la scena al protagonista Connor, interpretato magnificamente da Bale, come il T-800, l‟ultima invenzione delle macchine con una parte sostanziale umana, e lo scheletro robotico, con lo scopo d‟infiltrarsi nella resistenza. Questi elementi denotano l‟attenzione da parte dei soggettisti, tra cui l‟onnipresente James Cameron, per lo sviluppo di una storia mai che versi sul banale, ma che anzi, cerchi un‟evoluzione proprio come i suoi personaggi. Elemento, questo, ricorrente in tutti i film della saga, che a mio avviso è una delle poche a mantenere lo stesso livello qualitativo in quasi tutti i suoi cloni. Il motivo, forse, è dovuto all‟attenzione verso la crew che collabora con i vari registi, mantenendo nei ruoli più determinanti, gli stessi operatori. Come già detto per le musiche, ma anche nel montaggio, il montatore di James Cameron, Conrad Buff, o lo stesso Cameron, messosi da parte come regista per dedicarsi al soggetto (forse era meglio che lo dirigesse lui questo episodio). Insomma, stessa troupe stesso successo, un film che decisamente non delude le aspettative, né dei fans della saga, né degli altri spettatori e che anzi crea già l‟attesa per il prossimo episodio, Terminator 5, attualmente in sviluppo e che dovrebbe esser pronto per il 2011. Se dovessi trovare una pecca, se così si può dire, di questo film è sicuramente la regia, improntata più sugli spot e i music videos che sul cinema. Ma questo, si sa, è un altro discorso …(mp3) Antichrist di Lars Von Trier Fischiato a Cannes evidentemente per i suoi contenuti e le singole immagini di sesso esplicito e sado-maso, questo film nel complesso non è uno dei migliori lavori del regista, ma ha sicuramente dei punti di forza. Iniziamo con l‟interpretazione, e la capacità del regista di dirigerla, di Charlotte Gainsbourg. Una recitazione completamente dedicata alla sofferenza e all‟ansia, incentrata sull‟elaborazione del lutto nella sua più completa accezione, portata fino all‟estremo, annullando il dolore con lo stesso. Traspare il lavoro psicologico del regista sull‟attrice, quasi come fa su di lei nel film, il protagonista maschile, anche lui non da meno nell‟interpretazione. La sceneggiatura ci catapulta con minuzia nell‟intimo di questi due individui, con la capacità di renderceli conosciuti nei minimi dettagli della loro anima e della loro psiche. Tutto questo senza mai svelarci una cosa, che risulterebbe superficiale sapere di due persone di cui si ha già una conoscenza così profonda, che si spinge fine alle loro paure, ossia, i loro nomi. Terzo punto di forza la fotografia. Girato con la migliore macchina da presa in circolazione per il digitale, la Red One Camera, è stata diretta dal premio oscar Antony Dod Mantle, che trasforma il bosco in un luogo tra la realtà e l‟anima di chi lo vive e lo racconta, sviluppando una luce nel buio e un‟oscurità nella luce tale, che se un film horror dov‟esse essere giudicato dalla fotografia, questo li batterebbe tutti. Quarto elemento, il lavoro di ricerca cui si è sottoposto il regista che si evince dai titoli di coda, in cui vi sono consulenti psicologici, consulenti sull‟ansia, consulenti sulle manie depressive e così via. A mio avviso questo film è molto personale per il regista, nel senso che è una sua elaborazione del lutto. Non voglio sapere quale. Gallery YouTube http://www.youtube.com/watch?v=sDgoK8VECfE 22