numero 19 IN QUESTO NUMERO

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numero 19 IN QUESTO NUMERO
Direttore Luca Beltrami Gadola
numero 19
23 giugno 2009
edizione stampabile
IN QUESTO NUMERO
Editoriale - LBG – LA PROVINCIA HA UN PODESTÀ
Società – Claudio Rugarli – IL FUTURO DELLA SINISTRA TRA DARWIN E MONOD
Lettera – Pier Vito Antoniazzi – PENATI O DELLA SOLITUDINE DEL POLITICO
Carneade – admin- L‟AVVOCATO GHIDINI: “VÉ „NSCIA CHE TE DUPÈRI”
Mobilità – Marco Ponti – LE METROPOLITANE VAN SEMPRE BENE
Dall’Arcipelago- Franco D'Alfonso – ATM: PERDONALI MA NON SANNO
Economia – Franco Morganti – DIGITALE TERRESTRE: CHI CI GUADAGNA
Urbanistica e Architettura- Antonio Piva - Il NUOVO EDIFICIO DELLA REGIONE LOMBARDIA:
GUARDARE I PROBLEMI DALL‟ALTO
Metropoli – Filippo Beltrami Gadola – EXPO: NON CI METTERANNO A TACERE
Approfondimenti – Ezio Antonini – IL PIANO CASA: COME PIANIFICARE LA DISTRUZIONE
DEL TERRITORIO
RUBRICHE
MUSICA – a cura di Paolo Viola
ARTE - a cura di Silvia Dell’Orso
TEATRO – a cura di Maria Luisa Bianchi
CINEMA E TV – a cura di Simone Mancuso
Editoriale
LA PROVINCIA HA UN PODESTÀ
LBG
La Provincia ha un Podestà: non
è solo una battuta ma l‟epilogo di
una consultazione elettorale inaudita. Questa volta non si è votato
dando un giudizio sulla Giunta e il
presidente uscente ma sull‟alterativa Berlusconi sì o Berlusconi
no e in un clima avvelenato di
scontro senza quartiere. Alla fine
si è paradossalmente condensato
tutto nella domanda: dobbiamo
considerare che le sregolatezze
delle vita privata del presidente
del Consiglio siano la manifestazione di un esuberante maschilismo italico, vizio elevato a virtù
nazionale, o l‟intollerabile degrado
dei costumi che rende l‟uomo
pubblico indegno del suo ruolo? I
sostenitori di Berlusconi hanno
tirato in campo tutto a cominciare
dall‟invidia degli avversari nei confronti di chi ha il potere.
Tra i partigiani di questa idea
l‟ultimo a schierarsi, per paura di
tardare e perdere il posto nella
classifica degli adulatori, è indecorosamente arrivato Francesco
Alberoni sul Corriere della Sera di
lunedì scorso: a lui viene naturale
paragonare Berlusconi ad Alessandro Magno, vittima dell‟invidia
dei Greci.
Se questo è il livello d‟indipendenza degli intellettuali dal
potere di destra ne vedremo di
peggio ma non è questo il vero
problema. Il vero problema sta
nella perdita di autonomia da
Roma della Provincia di Milano
Il leghismo nostrano, leghismo
dimentico delle sue origini, ha accettato un candidato espressione
diretta del presidente del Consiglio, nella cui scia quest‟uomo è
cresciuto professionalmente, debitore di un seggio a Strasburgo.
In questo paradossale clima elettorale nessuno ha nemmeno preso in considerazione il programma di Podestà, un candidato che
non potrà rivendicare per sé il merito dell‟elezione conquistata con
l‟incisività del suo programma o la
forza delle sue idee: una situazione largamente diffusa tra i candidati del centro destra. Che sensazione si prova, non essendo un
uomo qualunque, all‟idea che si
nutra il dubbio se farti passare per
un cavallo di Caligola o una velina?
Il futuro della Provincia è dunque
dei più incerti e non saprei cosa
augurarmi tenendo conto delle
difficoltà istituzionali che da tempo
agitano il panorama. Penati ha
detto in chiusura della campagna
elettorale: dopo di me nessuna
Provincia di Milano ma la città
metropolitana. Cosa farà Podestà? Difficile dirlo sin da ora ma
forse proseguirà in questo disegno e la sua libertà di manovra si
misurerà con la distrazione del
presidente del Consiglio: su questo problema Berlusconi non ha
idee, come su tutti i temi che non
toccano la sua immagine o i suoi
interessi, a meno che qualcuno
degli alleati voglia usarlo in un
senso (sì alla città metropolitana)
o nell‟altro (no) come merce di
scambio all‟interno della maggioranza di Governo.
Per Milano e il suo hinterland
l‟ennesima prova di essere una
sorta di gigantesco parco buoi,
buoni solo per lavorare, silenziosi
e soprattutto morigerati nel non
insistere troppo a volere infrastrutture. Ci sono altri due nodi importanti: l‟Expo e la Serravalle con il
contorno della nuova tangenziale.
Anche qui è difficile capire cosa
succederà ma di una cosa possiamo esser certi: la conclamata
omogeneità politica dei tre livelli Regione, Provincia e Comune di
Milano – non porterà alla famosa
pacificazione e a quella marcia in
più che il commissario-sindaco
Moratti vorrebbe.
Le liti sotterranee non avranno più
un mediatore – Penati- in grado di
sedare le risse da esterno al sistema di potere del centro destra.
Su Serravalle e dintorni il balletto
degli interessi sarà meno visibile
ma per questo più indifferente agli
interessi collettivi. Probabilmente
il ruolo della Provincia si appannerà, schiacciata da un potere
centrale tra il distratto e l‟occhiuto
secondo la convenienza politica
della maggioranza. Come dicevamo: da Roma probabilmente è
arrivato solo un “podestà”.
Società
IL FUTURO DELLA SINISTRA TRA DARWIN E MONOD
Claudio Rugarli
Darwin non è popolare a sinistra e
la colpa è del darwinismo sociale.
Sumner (1840-1910), ideologo di
questo movimento, sosteneva che
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“i milionari sono un prodotto della
selezione naturale, che agisce tra
tutti gli uomini, scegliendo quelli
che posseggono le facoltà richieste per un determinato lavoro”. E
John Rockefeller Senior rincarava
la dose: “L‟incremento di una
grande azienda è soltanto un caso di sopravvivenza del più adatto…Non è che l‟esplicazione di
una legge di natura, una legge di
Dio”. Prima di loro Marx, che era
certamente più acuto, aveva accolto con tanto favore la pubblicazione dello scritto di Darwin
sull‟origine delle specie da voler
dedicare al naturalista inglese il
secondo volume del Capitale, onore che fu garbatamente rifiutato
dall‟interessato. Il punto importante è che i darwinisti sociali trascuravano il fatto che il più adatto
non è necessariamente il più forte
o il più prepotente, ma il più resistente e, in quanto tale, il più favorito nel dare origine a una prole
numerosa. I grandi dinosauri,
compresi i più feroci carnivori, si
sono estinti da circa 60 milioni di
anni, mentre sopravvive come
specie la tartaruga di acqua dolce
che già esisteva ai loro tempi.
E tuttavia il pregiudizio che attribuisce a Darwin delle giustificazioni scientifiche per l‟esistenza
delle sopraffazioni che sono
all‟origine delle disuguaglianze
umane è duro a morire. Tanto che
in campo politico sono fiorite teorie ispirate, non si sa quanto consapevolmente, al pensiero del suo
precursore e antagonista scientifico Lamarck, che sosteneva che
l‟evoluzione
deriva
dall‟accumularsi attraverso le generazioni di caratteri acquisiti modellati dall‟ambiente. Per Darwin,
invece, le alterazioni degli organismi che sono ereditabili emergono a caso e l‟ambiente non fa altro che selezionare quelle che sono più adatte alla sopravivenza
degli organismi che le posseggono.
Un esempio chiaro di Lamarckismo politico furono le teorie genetiche dell‟Unione Sovietica ai
tempi di Stalin, che valorizzarono
in campo biologico l‟ereditabilità
dei caratteri acquisiti, come sostenuto da Lysenko e Miciurin.
Queste idee andavano benissimo
d‟accordo con l‟intento del regime
di plasmare, con l‟esercizio di un
violento autoritarismo, i cittadini
del mondo nuovo che s‟intendeva
costruire. E il peccato di lamarckismo non si verificò solo a sinistra,
giacché anche Mussolini e Hitler
lo praticarono.
E‟ ben noto che la scienza ha dato torto a Lamarck e ragione a
Darwin, dato che i caratteri acquisiti non possono essere ereditati e
le mutazioni, che emergono a caso, sono invece ereditabili. Ma
non è qui importante il discorso
biologico, quanto riflettere sulle
implicazioni politiche, e non solo,
del darwinismo. Vi sono stati, infatti, scienziati come Monod e
Dawkins che hanno sviluppato
l‟idea di un‟evoluzione culturale
con meccanismi analoghi a quelli
dell‟evoluzione biologica. In questo modello ciò che si evolve non
sono i geni, ma le idee, e la loro
riproduzione non avviene per ricopiatura di materiale biologico,
ma attraverso la comunicazione
parlata o scritta; il ruolo del caso è
sostituito dalla libertà. Infine, la
selezione fa in modo che alcune
idee siano più accettate e altre
respinte e che perciò si abbia una
loro evoluzione. E‟ intuitivo che le
idee che sono percepite come favorevoli alla sopravvivenza e al
benessere di chi ne prende conoscenza siano più accettate e si
diffondano più facilmente, ma il
percorso di questa evoluzione è
lontano dall‟essere lineare e anche sulla sopravvivenza e il benessere gli esseri umani possono
essere inclini ad accettare idee
differenti.
Ma questo è un discorso complicato che ho affrontato solamente
per sostenere che la politica è
l‟evoluzione culturale in atto e che
senza idee non si fa politica. E‟
stata di moda negli ultimi tempi
una dura polemica contro le ideologie. Si può concordare se per
ideologia s‟intende un sistema
rigido pervasivo di ogni attività,
ma non si possono rifiutare le idee. Se guardiamo al passato,
vediamo che tutti i più importanti
movimenti politici, dal liberalismo
al socialismo e al cattolicesimo
democratico, erano nutriti d‟idee
originali. Persino l‟attuale berlusconismo ha un suo nucleo ideale
di tipo utilitaristico-edonistico, per
me molto sgradevole, ma, come
si vede, bene accolto dalla maggioranza degli italiani che vanno a
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votare. Ma, se ci si rifà
all‟evoluzione culturale di tipo
darwiniano, vediamo che sono le
idee che generano i movimenti
politici, in quanto accettate da un
numero sufficiente di persone, e
non il contrario. Penso che questo
sia il problema del neonato Partito
Democratico. Nato da due componenti unite da un comune valore, che è il sostegno dei ceti sociali più deboli e la solidarietà, ma
non da una nuova idea unificante.
In effetti, anche per quanto riguarda il valore comune, questo
nelle due componenti aveva in
passato un‟ispirazione molto diversa. Mi sembra che sia mancata un‟idea nuova che operasse
una sintesi, che avrebbe avuto
invece un grande potere di attrazione.
Certamente i democratici hanno
fatto molti errori, ma questi avrebbero avuto conseguenze molto
più lievi se avessero operato alla
luce di una nova idea-forza, qualcosa di paragonabile all‟emergenza di una nuova specie nell‟evoluzione biologica. Forse per
questo s‟invocano i giovani, perché si sa che amano le idee nuove.
A mio parere la sintesi più difficile
riguarda la questione del laicismo
e del clericalismo.
Tempo fa è comparso su “Repubblica” un articolo di Giancarlo Bosetti che, in polemica con Piergiorgio Odifreddi, sosteneva che il
laicismo non s‟identifica con
l‟ateismo. Pur essendo, da vari
punti di vista, un ammiratore di
Odifreddi, io sono perfettamente
d‟accordo con quanto scritto da
Giancarlo Bosetti. Io credo che
del laicismo si possa dare una
definizione semplicissima indicandolo come quella posizione
ideale che ritiene che la virtù debba essere praticata per convincimento e non per costrizione.
Nella vita sociale la costrizione è
attuata mediante le leggi ma credo che sia ampiamente accettata
l‟idea che le leggi, almeno in uno
stato democratico e liberale, non
sono emanate per affermare principi etici superiori, ma per tutelare
i cittadini individualmente (diritti) o
collettivamente (doveri), e quindi
hanno fondamentalmente una
funzione pratica. E‟ certamente
vero che molte leggi coincidono
con prescrizioni, per così dire,
“virtuose”, almeno dal punto di
vista della maggioranza di chi le
deve osservare. Per esempio,
questo è il caso della repressione
del furto, dell‟assassinio e di tutte
le forme di delinquenza. Ma questo accade perché, se la delinquenza non fosse repressa, non
sarebbero tutelate le sue possibili
vittime. Esistono altri comportamenti immorali che possono recare danno al prossimo, per esem-
pio la menzogna e l‟ipocrisia, ma
questi non sono sanzionati dalle
leggi perché sarebbe impossibile
definirli e individuarli e delle leggi
che volessero perseguirli sarebbero facilmente strumento di arbitrii e di persecuzioni.
Io credo che questo modo di vedere le cose, che non è certamente originale, sarebbe una buona
premessa per elaborare un nuovo
stile di pensiero che valorizzi non
solo la libertà, ma anche le esigenze umane (la giustizia) che
portano ad accettare o respingere
le idee liberamente dibattute. Per
spingere fino in fondo l‟analogia
darwiniana, la libertà, come si è
detto, avrebbe il ruolo del caso e
la giustizia quello della necessità.
“Il caso e la necessità” è il titolo di
un fortunato libro scritto nel 1970
dal Premio Nobel francese Jacques Monod. Forse i politici hanno fatto male a disinteressarsene.
Lettera
PENATI O DELLA SOLITUDINE DEL POLITICO
Pier Vito Antoniazzi
Meno della metà delle persone
che votano, vuol dire che la partita non appassiona. Checché ne
pensino i militanti e i dirigenti del
PD che parlano di risultato straordinario.
Certo la Provincia è un ente "poco
sentito" dai cittadini... Però la
"drammatizzazione politica" ("fai
una scelta di campo", "non fare
della Lombardia e di Milano un
monocolore") doveva "scaldare"
l'agone
Penati poi l‟ha messa tutta. Grande campagna, elencazione di fatti
e realizzazioni, strizzate d'occhio
ai moderati... Il PD tutto dietro di
lui come un sol'uomo, una lista
personale...
Contro di lui in prima istanza ha
giocato il verdetto delle europee.
La linea solipsistica inventata per
il PD da Veltroni, Tonini, Ceccanti,
Morando... è stata sbaragliata. Il
PD senz'alleati né a sinistra né al
centro, il PD senza i laici e radicali, il PD del 26% non può andare
da nessuna parte, non può detta-
re l'agenda politica a nessuno.
E di questa linea veltroniana, dal
Lingotto in poi, Penati è stato una
"punta", un anticipatore locale
dell‟insostenibile pesantezza
dell'Unione. Ma contro il buon Penati ha giocato un altro fattore: la
solitudine dell'amministratore e
del politico.
C'è distanza e sospetto in aumento, è noto, tra cosiddetta "casta" e
cittadini. Superano questa distanza alcuni sindaci, amministratori
"vicini" alla gente, nei quali a volte
una città vuole identificarsi. Ma la
Provincia è ancora un ente poco
conosciuto, un organo intermedio
che dà l'impressione di essere un
sovrappiù, un'amministrazione
burocratica (ma non doveva essere abolita trent'anni fa?). Nonostante Penati l'abbia portata dentro la Scala, nonostante sia stato
protagonista nella candidatura
Expo, nonostante ne abbia fatto
un soggetto economico con l'acquisto della Serravalle, alla fine,
come troppo spesso accade nel
voto in Italia, non conta molto go-
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vernare bene o male, conta da
che parte tira il vento popolare (...
ironia della sorte la "Canzone popolare" di Fossati era la colonna
sonora del successo ulivista del
96, dopo che il Berlusca aveva
portato con "E forza Italia... " il
gingle nella politica...).
E in questo Penati si è trovato solo. Non c'è entusiasmo per la politica e non ci può essere innamoramento per i suoi "cavalieri". Né
si è sopperito con un gioco di
squadra "grande".
La sinistra "radicale"si è lasciata
per strada. Il vicepresidente non
si è candidato. Altri assessori sono andati in altre formazioni. Da
soli non si vince, è un motto valido per molte situazioni, ma particolarmente per la politica
Ora la sinistra deve riflettere (come dice il Dalai Lama "Quando
perdi, non perdere la lezione"),
ripartendo con minor autosufficienza, minor presunzione, più
attenzione e rispetto per le diverse culture democratiche, per
quest‟arcipelago sconnesso.
Carneade
L‟AVVOCATO GHIDINI: “VÉ „NSCIÀ CHE TE DUPÈRI”
Admin
Il podio se lo sono aggiudicato in
due, questa volta: Nicolò “Mavalà”
Ghedini e il suo capo, Silvio Berlusconi. Nella gara a chi tocca il
punto più basso nella comunicazione politica, non si sa chi abbia
prevalso.
Il primo, senza dubbio, ha toccato
vette incredibili. Prima definendo
Berlusconi “utilizzatore finale”, nel
tentativo di sminuire la responsabilità del Capo nel nuovo Cime di
rapa gate. E poi, ancor peggio,
nel tentativo di scusarsi: “Figuriamoci se ha bisogno di pagarle, le
donne, uno come lui. Potrebbe
averne grossi quantitativi. Gratis”.
Fantastico. Neppure il frequentatore più sboccato delle osterie era
arrivato a tanto, parlando di donne. Al massimo era arrivato a dire
a qualche ragazza: “Vé „nscià che
te dupèri” (vieni qui che ti adopero…). Ma scherzava, rendendosi
conto di essere abbondantemente
oltre il limite.
Loro, invece, i Ghedini e i Berlusconi, fanno sul serio. Continuando così c‟è da star sicuri che finirà
tutto a puttane, come affermano i
fini dicitori. Come stupirsi se poi
uno ruspante come il vicesindaco
Riccardo Marshall De Corato, in
un comunicato stampa sulla prostituzione, mentre sostiene che il
fenomeno a Milano sta riducendosi, afferma che rimane uno
“zoccolo duro di romene e viados
brasiliani”. Forse non voleva dire
proprio zoccolo…
* * *
Ma veniamo a lui, il Capo di Ghedini. In questi ultimi giorni ha dato
fondo a tutti gli improperi che gli
venivano in mente. Rivolto ai
giornalisti: “Siete degli spioni”;
“Scrivete solo stupidaggini”; “Non
le rispondo, la mia disistima è totale nei confronti del suo giornale”. A Cinisello invece se l‟è presa
con una cinquantina di giovani
che lo fischiavano. Non l‟avessero
mai fatto: si è aggrappato ai microfoni, stringendoli con tutta la
sua forza, ha buttato fuori la mascella e ha cominciato a urlare:
“Siete solo dei poveri comunisti,
mi fate pena e disgusto”. Visto
che loro non la prendevano come
un‟offesa, ha rincarato, sempre
più paonazzo: “Analfabeti della
democrazia” ; “Noi siamo antropologicamente doversi”; “Siete invidiosi, non capite le persone”.
Il crescendo è stato irresistibile.
Quasi comico. Probabilmente da
liquidare con saggezza: “Una risata lo seppellirà”. Ma forse questa
è un‟illusione: ci sono ragioni sufficienti per temerlo, a giudicare da
quel che sta accadendo alla
stampa, e soprattutto alle tivù. Le
ultime foto di Villa Certosa, infatti,
abbiamo potuto vederle sui giornali stranieri. Quanto alle invettive
del premier, le abbiamo potute
ascoltare soltanto su qualche coraggioso canale e su Internet.
Non al Tg1, né sui telegiornali della Fininvest. Ma quel che preoccupa di più è che il velo della censura sta ormai arrivando anche
sulla rete, su Youtube e Facebook, per esempio.
Sono tempi duri, e pericolosi. C‟è
da aumentare la vigilanza, per
impedire che diminuiscano ulteriormente gli spazi di libertà.
Non sarà facile.
* * *
A Palazzo Marino, nel frattempo,
la vita trascorre a scartamento
ridotto, tra un deragliamento e
l‟altro. Dei tram e della ragione.
SUR LE PONT D‟AVIGNON… Milano, 12 giugno 2009 - "La musica, qualunque essa sia, classica
o jazz, come ponte tra centro e
periferia” ha aggiunto l'assessore
alla Cultura Massimiliano Finazzer Flory.
* * *
RIVELAZIONI 1 - Milano, 12 giugno 2009 – “Il cinema – ha detto
l‟assessore alla Cultura Massimiliano Finazzer Flory – rappresenta
un ambito strategico per una città
aperta alle culture”.
RIVELAZIONI 2 - Milano, 13 giugno 2009 – “Milano è la capitale
della scienza ma non lo sa” ha
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detto l‟assessore alla Cultura
Massimiliano Finazzer Flory”.
* * *
CHE STRESS - Milano, 13 giugno
2009 – “Ieri abbiamo approvato in
Giunta due progetti definitivi”. Lo
annuncia l‟assessore ai Lavori
pubblici e Infrastrutture Bruno Simini.
* * *
META-CULTURISMI - Milano, 15
giugno 2009 – “Abbiamo portato a
Palazzo Reale Brad Pitt, Winona
Ryder, Johnny Depp, Carolina di
Monaco, Salma Hayek, Suzushi
Hanayagi, Isabella Rossellini. Non
sono loro in carne ed ossa, ma i
loro ritratti, anzi, meta-ritratti”
spiega l‟assessore alla Cultura
Massimiliano Finazzer Flory.
* * *
AVANT MOI LE DELUGE - Milano, 16 giugno 2009 – “Un viaggio
nella storia della nostra metropoli
dove non poteva mancare la visita
del generale Charles De Gaulle
avvenuta il 24 giugno 1959 in occasione dell‟anniversario della
Seconda guerra d‟Indipendenza”
spiega l‟assessore alla Cultura
Massimiliano Finazzer Flory.
* * *
MA COS‟E‟ QUESTA CRISI… Milano, 16 giugno 2009 – “La crisi
non ci spaventa e non per i numeri, perché abbiamo anche il
primato nazionale per la presenza
di nuovi cittadini stranieri”. Lo ha
detto l‟assessore allo Sviluppo del
territorio Carlo Masseroli.
* * *
PASSO RIDOTTO - Milano, 16
giugno 2009 – “Milano ha in sé un
passo verso il cinema” ha detto
l'assessore alla Cultura Massimiliano Finazzer Flory.
* * *
ZOCCOLO (?) - Milano, 12 giugno 2009 - “Rimane una sorta di
„zoccolo duro‟ costituito da romene e viados brasiliani”. Lo comunica il vice Sindaco e assessore
alla Sicurezza Riccardo Marshall
De Corato.
* * *
STELLA DI LATTA 1 – Milano, 12
giugno 2009 - “Cinque pattuglie in
abiti civili del settore Sicurezza
hanno effettuato un blitz nella notte in alcuni luoghi della prostituzione”. Lo comunica il vice Sindaco e assessore alla Sicurezza
Riccardo Marshall De Corato.
STELLA DI LATTA 2 - Milano, 15
giugno 2009 - “Per la precisione ha spiegato De Corato - tre sono
le aree occupate dai rom”. Lo comunica il vice Sindaco e assessore alla Sicurezza Riccardo Marshall De Corato.
STELLA DI LATTA 3 - Milano, 16
giugno 2009 - “Un clandestino di
26 anni, di origine egiziana, privo
di documenti, è stato arrestato per
omissione di soccorso”. Lo comu-
nica il vice Sindaco e assessore
alla Sicurezza Riccardo Marshall
De Corato.
STELLA DI LATTA 4 - Milano, 18
giugno 2009 – “E‟ il 124emo
sgombero effettuato in due anni e
mezzo”. Lo ha detto il vice Sindaco e assessore alla Sicurezza
Riccardo Marshall De Corato.
STELLA DI LATTA 5 - Milano, 19
giugno 2009 – “Naturalmente per
far rispettare le ordinanze occorre
la presenza di agenti”. Lo ha affermato il vice Sindaco e assessore alla Sicurezza Riccardo Marshall De Corato.
* * *
A SETTEMBRE - Milano, 18 giugno 2009 – La conferenza stampa
dell‟assessore Orsatti, in programma domani a Palazzo Marino, per presentare l‟iniziativa “Milano Summer School”, è stata rinviata.
* * *
TERZA LEGGE DELLA ROBOTICA - Milano, 18 giugno 2009 “Gli erogatori 'automatici' dovranno trovare il modo di adeguarsi.
Una regola vale per tutti, nessuno
escluso”. Lo ribadisce l'assessore
alla Salute, Giampaolo Landi di
Chiavenna.
Mobilità
MA LE METROPOLITANE VAN SEMPRE BENE?
Marco Ponti
Le ferrovie metropolitane sono
infrastrutture
costosissime,
dell‟ordine di 50 milioni al chilometro. Hanno anche capacità di
trasporto
molto
elevate,
dell‟ordine di 30.000 passeggeri
all‟ora per senso di marcia. Ma
hanno una terza caratteristica,
non sempre nota: sono in buona
misura
finanziate
dall‟amministrazione centrale (generalmente per il 60%, ma a volte
di più).
Sono, dicono gli economisti, in
regime di “finanza derivata”, che è
quello che garantisce il peggior
uso delle risorse, perché induce i
decisori pubblici a premere su
Roma per ottenere i fondi, senza
andar molto per il sottile sulla razionalità della spesa rispetto ad
alternative meno costose, ma non
finanziate dal centro.
E all‟obiezione che comunque
una quota rilevante dei costi deve
essere coperta con soldi locali, la
politica ha risposto con una soluzione di “finanza creativa”, nota
come “Project Financing”.
La faccenda funziona pressappoco così: la normativa europea non
considera debito pubblico (nemmeno a livello locale), un‟opera
nella quale almeno il 50% dei ri-
schi sia sopportato da capitali privati.
Ma nessun privato è in grado in
realtà di sopportare tale livello di
rischio su opere di lunga vita economica e con spiccate variabili in
mano al soggetto pubblico committente: per esempio si pensi ai
livelli tariffari, al rischio di scelte
infrastrutturali alternative (viabilità
o trasporto pubblico di superficie),
al prezzo della benzina, allo sviluppo urbanistico che condiziona
la domanda, eccetera.
Allora si stabiliscono clausole
cautelative sui ricavi e quindi sulla
domanda, che in realtà riducono
grandemente il rischio, facendolo
ritornare sul soggetto pubblico
(queste clausole sono di solito
“scritte in piccolo”).
Se i capitali privati dunque intervengono senza rischio, si tratta
ovviamente di un “prestito mascherato” a un soggetto che non
può fallire.
Quindi il vincolo all‟indebitamento
del comune è aggirato, ma i cittadini non lo sanno, e notoriamente
i politici dell‟indebitamento occulto
a medio-lungo termine non si sono mai troppo preoccupati (“ci
penserà qualcun altro…”).
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A Milano linee metropolitane con
un traffico che le giustifichi rispetto ad alternative meno costose
probabilmente ce ne sono molto
poche, o non ce ne sono più affatto (già la linea tre non sembra
pienamente utilizzata…). Ma mai
si è vista un‟analisi comparata
con soluzioni meno costose e più
flessibili (per esempio, autobus
ecologici in corsia riservata o anche in parte in sotterraneo, che
avrebbero il grandissimo vantaggio di evitare molte “rotture di carico”, potendo “andare a prendere” capillarmente in periferia gli
utenti sulla viabilità ordinaria).
E in effetti a chi mai interesserebbe metter dubbi sui soldi di Roma
(e dei contribuenti futuri)?
Chi scrive può raccontare un episodio lombardo, anche se non
milanese, che sembra istruttivo:
anni fa, avendo proposto all‟amministrazione di Brescia per cui
stava studiando la fattibilità della
metropolitana, di analizzare anche soluzioni di superficie del tipo
di quella descritta, si sentì dire:
“non se ne parla nemmeno, costano troppo poco….”.
Ma certamente a Milano è diverso.
Dall‟Arcipelago
ATM: PERDONALI MA NON SANNO
Franco D‟Alfonso
L‟ultima trovata dei “manager” e
consulenti dell‟Azienda tranviaria
è stata quella di resistere ad una
chiamata in giudizio da parte di un
elettricista marocchino, con regolare permesso di soggiorno, per
“comportamento discriminatorio”
(sulla base di un Regio decreto
del 1931 nelle amministrazioni
pubbliche possono essere assunti
solo cittadini italiani, ora anche
comunitari in base alle norme Ue)
ingavinandosi nella presentazione
di una cervellotica memoria nella
quale uno degli argomenti più appariscenti è stato quello di dire
che “nel trasporto pubblico esiste
il pericolo di attentati “! Cosa ha
spinto l‟Atm a dire questa battuta
da bar di via Bellerio senza averne alcuna necessità giuridica (la
legge in vigore non è certo equivoca) oltretutto contraddicendo
l‟esplicita richiesta proprio di Atm
di modificare questa legge per
permettere l‟assunzione di extracomunitari? L‟idea di compiacere
il premier, che non vuole vedere
una Milano “africana”? Mostrarsi
in linea con la Lega nella battaglia
antislamica di viale Jenner?
Non lo sapremo mai, ma quello
che è certo è che la penetrazione
del luogo comune e della cultura
tribale della curva Nord, più facile
nei settori di popolazione di minore cultura e sensibilità, ha trovato
nelle semplici menti della dirigenza Atm un terreno molto permeabile.
Sulle allegre note del “Così fan
tutte” l‟Atm si è messa a specula-
re sui “derivati” vedendo che
l‟”amministratore del supercondominio” Albertini faceva lo stesso
giochetto fino ad allora impedito
dagli “statalisti” della sinistra; a
dare premi di produzione ai suoi
dirigenti al “merito“ ignorando la
sciocchezza dei bacchettoni che
facevano notare come fosse curioso premiare un risultato aziendale determinato dalla misura
proporzionale alle perdite dei trasferimenti dal Fondo statale per il
trasporto e non da fantomatici brillanti “risultati di gestione”; ad adeguarsi alla cultura dell‟anno di
gestione, tagliando gli investimenti e scontrandosi con i sindacati,
ritenendo le routine di controllo un
frutto della “cultura consociativa”
delle vecchie giunte riformiste.
La cultura del luogo comune elevato a sistema di gestione potrebbe produrre a breve il danno
finale: cercando di scopiazzare il
metodo Marchionne della “fusione
per crescere “, la nostra geniale
dirigenza cittadina sta per partorire un informe mostriciattolo
dall‟unione tra l‟Atm di Milano e
l‟omologa azienda di Torino. Fermandosi come sempre alle prime
righe-, si sono innamorati dell‟idea
di avere una Grande Azienda di
Trasporti Urbani, con relativa sede, consiglio ed emolumenti, dimenticandosi completamente l‟insignificante dettaglio di individuare e spiegare una logica industriale, le economie di scala, il miglioramento tecnologico e di servizio che potrebbe derivare da
questa fusione, non potendosi
considerare tali le abbondanti
commissioni a consulenti ed advisor di vario genere e numero che
come sempre turbinano intorno a
queste brillanti operazioni.
Non c‟è nessuna logica nell‟unione di aziende che operano su
territori diversi, con parco macchine, investimenti, tecnologie diverse, senza alcuna necessità di
fare economie di scala sugli acquisti (Atm è già il maggior acquirente italiano dai pochi fornitori sul
mercato), senza nessuna possibilità di fare un piano di sviluppo
comune, a meno che la confraternita dei costruttori edilizi che governa Milano non riesca ad urbanizzare le risaie di Vercelli entro
gli stessi pochi anni impiegati per
scegliere la sede di rappresentanza dell‟Expo.
Il vostro Giano Bifronte è certamente un inguaribile nostalgico,
ma tra l‟Atm dei “brumisti” un po‟
terroni che si ricordavano a memoria i pochi incidenti e rotture
dei mezzi e risolveva in due mesi
il problema dell‟introduzione della
“tariffa oraria unica” del tempo dei
vecchi democristiani, socialisti e
comunisti e l‟Atm dopo quindici
anni di gestione “privatistica” che
ha bisogno di un date base sequenziale per classificare centinaia di malfunzionamenti e non
riesce nemmeno ad estendere la
tariffa urbana alla fermata della
Nuova Fiera di Rho, verso quale
parte dovrebbe guardare con
simpatia ed orgoglio.
Economia
DIGITALE TERRESTRE: CHI CI GUADAGNA
Franco Morganti
In questi giorni i cittadini di gran
parte del Lazio sono alle prese col
primo switch-over (trasloco) della
vecchia TV, quella che ormai
chiamiamo “analogica”: due canali
(Rai 2 e Rete 4) sono finiti sul digitale terrestre (DTT in gergo, detto anche “piattaforma digitale terrestre”) e potranno essere visti
solo con l‟uso di un decoder oppure con un nuovo TV digitale,
che incorpori il decoder. Il
decoder ha il compito di trasformare il segnale, ormai digitale,
per adattarlo all‟accesso ancora
analogico di gran parte dei TV. E‟
solo il primo passo, qualcosa di
simile a un avvertimento, perché
fra poco tutti i canali analogici, nel
Lazio, saranno spenti (switch-off)
e solo gli utenti dotati di decoder
potranno vedere la televisione.
Fa tenerezza vedere Rete 4 andare sul digitale: le “leggi televisive” sono sempre state appannaggio dei due operatori principali,
Rai e Mediaset. La legge Mammì
del 1990 è stata redatta da Davide Giacalone, che alla fine della
sua fatica fu assunto come consulente a Mediaset. E così non abbiamo avuto la TV via cavo, al
contrario degli altri paesi, che avrebbe infastidito i due big come
terzo incomodo, come oggi SKY li
infastidisce dal satellite. La successiva legge Maccanico del
1997 prescriveva che non più del
20% delle reti nazionali potesse
essere posseduto da un unico
operatore privato.
Le reti nazionali erano 11 e il 20%
di 11, anche dopo la riforma Gelmini, continua a non fare 3. Ciononostante, malgrado varie sentenze della Corte costituzionale,
Mediaset ha potuto tenersi le sue
tre reti, compresa Rete 4, fino
all‟arrivo del digitale, che ha sanato tutte le ferite. Le reti nazionali
diventano una trentina e il 20% di
30, anche dopo la Gelmini, fa largamente più di 3. Non potendo
aumentare il numeratore, si è allargato il denominatore. Abbiamo
Einstein alla gestione delle regole
televisive.
Con questo non voglio dire che il
digitale sia un‟operazione effettuata nell‟interesse esclusivo di
Mediaset (e di RAI, che pure ha
un partito trasversale nel parlamento). Certamente no. Ma ha
aiutato.
Il passaggio al digitale, che si sta
realizzando in tutti i paesi e che
nella UE sarà completato entro il
2012, comporta una serie di vantaggi:





più canali a parità di frequenze
usate (fino a cinque volte): è
noto che lo spettro è una risorsa scarsa e questa moltiplicazione biblica è una manna dal cielo;
all‟accesso di ogni canale si
vede sul display quale programma sta trasmettendo e
quale sarà il prossimo;
disponibilità di “video on demand” con modalità “pay-perview” utilizzando tessere prepagate ricaricabili o abbonamenti: in altre parole calcio e
film a richiesta e a pagamento;
più in generale TV interattiva,
potendo collegare il decoder
alla rete telefonica per partecipare a sondaggi, intervenire
in trasmissioni, utilizzare servizi vari (sanità, anagrafe,
prenotazioni) con l‟uso del telecomando invece che di un
computer in rete (alfabetizzazione informatica anche per gli
information poor);
possibilità, con modelli sofisticati di decoder, di “farsi il palinsesto” in casa, programmando la televisione che si
vuole vedere in relazione ai
programmi delle varie reti.
Naturalmente tutte le tecnologie
hanno le loro brave complicazioni.
I decoder non sono tutti uguali,
con prezzi da 40 a 200 euro secondo le prestazioni di cui sopra
(semplici, con carta TV a pagamento, con interattività semplice e
spinta, con opzione per TV ad alta
definizione o HDTV) ed è opportuno accertarsi delle sue caratteristiche in base alle proprie esi-
8
genze. I decoder si collegano alla
presa scart del TV (la stessa del
videoregistratore): naturalmente
se il TV è un vecchio tipo con una
sola presa scart è necessario un
commutatore per passare da uno
all‟altro. L‟antenna di condominio
è di solito sufficiente, anche se
spesso è necessario riorientarla.
In qualche caso ci vuole un elemento d‟antenna in più per captare i vari canali. Comunque sia,
l‟utente deve sintonizzare il suo
TV sui nuovi canali digitali, operazione che non molti italiani sanno
fare (gli smanettoni sono meno di
un terzo della popolazione).
A proposito della dovizia di canali,
la nostra partenza sul DTT non è
stata esemplare: avevano diritto
ai multiplex digitali (le macchine
trasmissive che ospitano i vari
canali di un operatore) solo i vecchi titolari di licenze analogiche,
con tanti saluti alla libertà d‟antenna. Se teniamo conto che tali
operatori (i soliti due, il gatto e la
volpe) pagano le licenze televisive
una miseria (45 milioni di euro
l‟anno fra tutti e due, di modo che
ciascuno paga solo il 9% di quello
che paga un operatore mobile
UMTS che dispone solo di una
banda di frequenza pari ai due
terzi della loro), si capisce con
quale vantaggio i due compari
siano partiti. La legge imponeva
tuttavia di cedere il 40% della capacità trasmissiva ad altri operatori, ma poiché non c‟erano vincoli
ciascuno di loro ha cercato di ospitare solo operatori che non
dessero fastidio ai loro programmi. Per fortuna è intervenuta poi
l‟Autorità (AGCom) a mettere a
gara quel 40%. A scusante del
gatto e della volpe c‟è il fatto che
il digitale ha comportato robusti
investimenti negli impianti.
Un grande quesito resta ora aperto: poiché, come si è detto, col
digitale si risparmiano frequenze,
queste si rendono libere (è quello
che si chiama “dividendo digitale”). Una volta fatta pulizia nella
giungla italiana dello spettro (occupiamo ancora disinvoltamente
le frequenze dei paesi confinanti),
come verranno assegnate le frequenze libere, che interessano
anche gli operatori di telefonia
cellulare? Negli altri paesi non c‟è
discussione: le frequenze tornano
allo Stato, proprietario dello spettro, che le mette a gara. Da noi
chissà! Non mi sentirei di scommetterci.
Comunque sia, chiunque guardi
oggi l‟offerta digitale, non può lamentarsi: la RAI ha un nuovo canale gratuito Rai4, così Mediaset
ha Iris, ci sono canali gratuiti per
bambini, di sport, di education,
ecc. Vale la pena dunque comprarsi un decoder, per il quale il
governo interviene con un bonus
di 50 euro purché siate residenti
nella località toccata dallo switchoff, abbiate almeno 65 anni, un
reddito annuo non superiore ai
10.000 euro, abbiate pagato il ca-
none RAI. Non risulta che sia richiesta la pelle bianca né una dichiarazione di eterosessualità. I
TV digitali, che includono il
decoder, sono già in vendita (attenzione a comprarli con l‟opzione
Alta Definizione!). Anzi da fine
2008 è proibita la distribuzione di
TV analogici, che dall‟aprile 2009
non possono più neppure essere
venduti al pubblico.
Fortunatamente lo standard è unico e queste misure preparatorie
sono state decise di comune accorto fra operatori e costruttori,
riuniti
tutti
nell‟Associazione
DGTVi. La politica non ha frenato,
come ai tempi del TV Color, ma
anzi ha promosso e incoraggiato
pur nella varietà dei governi.
Adesso tocca al Lazio, mentre i
pionieri sono stati la Sardegna,
dal novembre 2008 (all‟epoca la
più vasta europea all digital) e la
Valle d‟Aosta. Seguiranno nel secondo semestre 2009, oltre al Lazio (tranne Viterbo), il Piemonte
occidentale, il Trentino - Alto Adige, la Campania. Poi via via tutte
le altre regioni. A noi lombardi
toccherà nel primo semestre
2010. Oltre che con lo switch-over
di alcune reti, lo spegnimento è
preparato da una gran campagna,
anche televisiva e da misure di
agevolazioni e sconti.
Mentre i paesi europei stanno
procedendo al loro piano di spegnimento entro il 2012, gli Usa
sono all-digital dal febbraio 2009,
facilitati anche dalla grande diffusione della TV via cavo, quella
che Giacalone e Mammì non
hanno messo nella loro legge del
1990.
Ma con la DTT non saremo secondi a nessuno (si fa per dire).
Go digital, vecchia Italia!
Urbanistica e architettura
IL NUOVO EDIFICO DELLA REGIONE LOMBARDIA FA GAURDARE I PROBLEMI DALL‟ALTO
Antonio Piva
11 Giugno 2009: avevo chiesto
all‟architetto Paolo Caputo, progettista con il collega americano
H. Coob della nuova sede della
Regione Lombardia, dei accompagnarmi nella visita dell‟edificio
in costruzione giunto alla sua fase
conclusiva. E‟ prevista infatti la
fine dei lavori per il 30 novembre
di quest‟anno mentre il completamento delle finiture si protrarrà
per ancora un semestre e consentirà, dal 1 luglio 2010, l‟inizio
dei trasferimenti.
Il mio interesse per questo cantiere va oltre la naturale curiosità
professionale: avevo partecipato
come membro della commissione
giudicatrice del Concorso Internazionale in cui era risultato vincente il progetto in costruzione che
desideravo conoscere fisicamente
ora che i volumi sono tutti composti e montati gran parte dei rivestimenti esterni che, insieme, fanno comprendere la consistenza e
la qualità degli spazi.
Il cantiere ha messo in opera circa 200.000 metri quadrati di su-
perfici corrispondenti a 800.000
metri cubi coinvolgendo 500 persone tra operai e tecnici. Un cantiere sicuramente impegnativo diretto dall‟arch. Roberta Pasinetti
della Infrastrutture Lombarde Spa.
che ha coordinato operai albanesi, romeni, cossovari, bergamaschi lungo un percorso accidentato, come sempre, ma giunto alla
sua fase conclusiva. L‟architettura
è ormai nel suo complesso leggibile ed entrando dalla piazza, che
sarà coperta e trasparente, si colgono quelle direttrici del progetto
che avevano destato l‟interesse
della commissione giudicatrice del
concorso. La piazza coperta, su
cui si affacceranno attività commerciali, culturali, ricreative, godrà, al livello stradale, di prospettive, verso la città, che si estendono all‟intorno.
Una piazza nuova avvolgerà il
pubblico proponendo asimmetrie
volumetriche e sinuosità del tutto
inedite. In Europa vi sono altri esempi di piazze coperte ma sarebbe fuorviante citarne qualcuno
9
che in realtà risulterebbe per molti
versi inappropriato.
Questo nodo, la piazza, è centrale rispetto tutto il progetto su cui si
affacciano gli uffici che nei piani
alti conquistano con la vista tutta
Milano sino alle montagne.
Fra dieci anni Milano sarà completamente cambiata: l‟immobilismo che ci appare e ci turba
quando camminiamo con i piedi
sulla strada, ossessionati da cantieri che aprono e non chiudono
mai, da programmi disattesi, promesse non mantenute, dall‟alto
possiamo renderci conto che, nonostante la fatica, vi sono immensi cantieri che si sono aperti
quando ero ragazzo e che forse
ora stanno ricuperando il fiato che
avevano perduto. Dall‟alto, dicevo, cambia la prospettiva: si ricuperano le potenzialità di una città
che ha ancora aperte alcune ferite
dell‟ultima guerra ma che sono
comunque immense. La piazza
nuova del Palazzo della Regione
Lombardia mi pare rassicurare,
confortare con la volontà di comunicare positività, attraverso le
peculiarità dello spazio: proporzioni a scala umana, rapporti
chiari fra gli spazi a livelli diversi,
materiali e finiture studiati per il
confort degli utenti. Vi è poi la volontà di far vedere questa città
lungo percorsi accessibili dal
pubblico, percorsi interni ed esterni in un‟architettura complessa, non complicata, che s‟ins-
erisce in un contesto che sicuramente trarrà un vantaggio d‟immagine da questo edificio che non
ha un fronte vero e proprio ma
offre suggestioni che cambiano a
seconda del punto di vista da cui
lo si osserva.
Uscendo dal cantiere, ordinato e
attivo, ho conosciuto alcuni addet-
ti ai lavori, tutti molto giovani, come il responsabile dei progetti e
ho pensato che forse ci sono per i
giovani preparati ed attenti prospettive concrete da conquistare;
guardando i problemi dall‟alto potremo anche aggiornare le nostre
visioni e ricuperare un po‟ dell‟otimismo perduto.
Metropoli
EXPO: NON CI METTERANNO A TACERE
Filippo Beltrami Gadola
Tornando, come d‟abitudine, sul
tema dell‟Expo, credo sia necessario fare due precisazioni distinte: la prima: il BIE è un organismo
indipendente e autonomo, i cui
introiti derivano principalmente
dalle casse degli enti locali o dei
governi che dopo aspre battaglie
sono riusciti ad ottenere di ospitare la prestigiosa manifestazione.
E‟ evidente quindi che il BIE,
qualsiasi sia la collocazione geografica dell‟esposizione, i suoi
contenuti o il suo relativo successo, spinge fortemente alla realizzazione di un‟Expo purché sia.
Inutile quindi cercare nel BIE un
interlocutore capace di ascoltare il
dissenso, in qualsiasi forma o forza si presenti.
La seconda precisazione: dalle
pagine di questo magazine non si
è mai parlato di chiedere a chi ne
ha i poteri, di cancellare definitivamente Milano quale sede
dell‟Expo. Si chiede semplicemente un Expo diversa. Non siamo, per principio, contro i grattacieli multipiani, contro la “crescita”
della città: chiediamo solo che lo
sviluppo di Milano sia di tipo qualitativo piuttosto che quantitativo.
Vogliamo le metropolitane, il potenziamento e il restauro delle vie
d‟acqua che hanno caratterizzato
storicamente il nostro paesaggio
regionale, nuove vie di comunicazione per rendere più agevole gli
spostamenti urbani e suburbani.
Noi desideriamo tutto questo con
forza e convinzione. Non è un segreto per nessuno: nella nostra
città, citando solo per esempio il
quartiere della Bovisa, esistono
spazi enormi, se non immensi, da
anni fatiscenti ed abbandonati,
dove le forze dell‟ordine fanno regolarmente visita per scacciare,
temporaneamente, tutti gli “abusivi”, spazi che devono e possono
trovare una collocazione fertile e
utile nella città storica.
Si è spesso parlato della profonda
ignoranza (nel senso di “coloro
che ignorano”) della classe politica che abbiamo chiamato a governarci. Si è già sottolineato che
costoro sembrano non conoscere
o ignorare non solo il cuore profondo della nostra città ma anche
i grandi avvenimenti che stanno
caratterizzando il discorso culturale globale, discorso che verte sul
riuso, sul risparmio e sulla lotta
all‟inquinamento, ne sono consci i
cinesi, gli americani, i brasiliani e
la lista potrebbe essere quasi infinita.
Anche il tema ispiratore della nostra Expo sembrerebbe nei fatti
voler proporre tematiche legate
alla protezione dell‟ambiente, alla
eco-compatibilità allo sfruttamento
intelligente delle risorse non rinnovabili e via dicendo.
10
Se è vero, come dice il sindaco
Moratti, che la scelta della localizzazione l‟ha fatta il BIE in ossequio alle proprie norme, fori del
tempo,
sarebbe
stato
un
bell‟esempio nei confronti del
mondo che ci guarda denunciare
che in una città come Milano gli
spazi agricoli, soprattutto nel nord
della metropoli, sono diventati un
fatto praticamente raro, una – appunto - risorsa non rinnovabile.
Era allora che l‟amministrazione
comunale avrebbe dovuto proporre un‟Expo diffusa. Purtroppo il
famoso dossier di presentazione
è partito alla volta di Parigi,
all‟oscuro della maggior parte dei
cittadini, senza discussioni pubbliche, senza la famosa “partecipazione collettiva”. Pare non ne
esista nemmeno una versione in
italiano ma quello che è chiaro, in
qualunque lingua si parli, è che gli
interessi prevalenti erano quelli di
Fiera Milano che ha bisogno di
puntellare i suoi bilanci e di qualche privato influente.
Quello che irrita, soprattutto, è
quest‟arroganza di Palazzo Marino che non solo rifiuta categoricamente ogni forma di dialogo
con i cittadini “dissenzienti”, ma
che sembra voler proseguire per
la propria strada quasi in segreto,
senza mostrare le carte, e non
solo metaforicamente, ai cittadini
che nel bene o nel male, saranno
anche i protagonisti di questo evento.
Tutte le ipotesi alternative al progetto originario sono state scartate o irrise, il BIE preme, vuol vedere il master plan e il piano finanziario definitivo. Pare che i
cinque architetti della famosa
consulta siano al lavoro: prima di
mostrare le carte al BIE avremo la
fortuna di buttarci un occhio e
magari discuterne?
Nessuno, tutti impegnati nel vero
business che accompagna l‟Expo,
ossia la realizzazione e l‟apertura
di nuovi cantieri, oltre al necessario afflusso di danaro, affronta ancora il versante dei contenuti cultuali della manifestazione. La famosa e citata Mongolia, della cui
condizione economica sono assolutamente all‟oscuro, cosa porterà
all‟Expò milanese? E tutti i paesi
del cosiddetto Terzo Mondo come
parteciperanno all‟evento? Qui ci
troviamo di fronte ad una nuova
forma di colonialismo in chiave
contemporanea: da un lato i paesi
tecnologicamente avanzati mostreranno al pubblico i risultati,
spero incoraggianti, delle loro ricerche, mentre gli altri altro non
potranno fare altro che stare a
guardare, e forse allestire dei
banchetti dove assaggiare, con
gusto, i prodotti locali. Riusciranno a portare, surgelata, cane di
montone a sufficienza, dalle alture
della steppa? Scherzi a parte: i
grandi progetti di ricerca volti a
sfamare il mondo, a ridurre il consumo di energie non rinnovabili,
sono finanziati da paesi cosiddetti
“a tecnologia avanzata” e sono in
genere pensati per risolver i problemi tipici dei paesi in via di sviluppo. Si creerà una situazione in
cui alcune nazioni mostreranno i
propri prodigi tecnologici, mentre
altri staranno soprattutto a guardare, forse con stupore. Questa
non è un Expo, questa è una fiera
delle meraviglie ad invito.
Se la localizzazione a Rho-Pero è
uno scoglio insormontabile esiste
una strategia adatta a contenerne
gli aspetti negativi: non solo pensare da subito al dopo Expo ma
dar vita ad un master plan estremamente contenuto. Si può pensar, come si sta facendo, a
un‟Expo leggera, idea che sembra
fare breccia anche nel monolito
della società di gestione.
Infine: le aree destinate agli spazi
espositive. E‟ urgente che la città
civile e responsabile pretenda con
qualsiasi mezzo o manovra che i
volumi edificati siano lo stretto indispensabile per onorare gli impegni assunti e che ci sia la garanzia di opere condotte a termine
senza dover ricorrere alla perversa strumentazione della decretazione di emergenza che ha sempre generato “mostri” e portato
con sé il lezzo della corruzione.
Credo che sia giunto il momento
di creare una “grossa coalizione
trasversale”, fatta di cittadini pronti a difendere la propria terra, di
associazioni, tra cui Lega Ambiente, Italia Nostra e l‟Ordine geli
Architetti. Il fortino dei fautori
dell‟Expo così com‟è nel dossier
di presentazione comincia a vacillare. Approfittiamone.
Approfondimenti
Il PIANO CASA: COME PIANIFICARE LA DISTRUZIONE DEL PAESE
Ezio Antonini
Il “Piano casa” della Regione
Lombardia, come delle altre Regioni, ha origine dall‟intesa del 31
Marzo 2009 raggiunta nella Conferenza Stato-Regioni ed Enti Locali promossa dal Governo, che
avrebbe dovuto tradurne il contenuto in un decreto-legge entro
dieci giorni dalla sottoscrizione
dell‟accordo: impegno poi non
mantenuto anche per dubbi di costituzionalità sull‟iniziativa. E‟ opportuno peraltro richiamare le finalità e i contenuti dell‟accordo
per verificare se il progetto di legge regionale li riprenda in modo
più o meno coerente.Si tratta,
come è noto, di un intervento che
si propone il “rilancio dell‟-
conomia” allo scopo di “rispondere anche ai bisogni abitativi delle
famiglie” introducendo “incisive
misure di semplificazioni procedurali dell‟attività edilizia”.
In vista di queste finalità, l‟intesa
Stato-Regione-Enti Locali si è attestata sui contenuti seguenti:
a) interventi di ampliamento della
volumetria esistente, entro limiti
definiti, ai fini di migliorare “la qualità architettonica e/o energetica
degli edifici”;
b) consentire interventi straordinari di “demolizione e ricostruzione
di edifici residenziali con ampliamento sino al 35%”: anche qui
con finalità “di miglioramento della
11
qualit- energetica e dell‟uso di
fonti energetiche rinnovabili”;
c) introdurre forme semplificate di
procedure.
Gli interventi sono esclusi nel caso di edifici abusivi, nei centri storici o in aree di inedificabilità assoluta. Spetta inoltre alle Regioni
escludere o limitare gli interventi
nel caso di beni culturali o nelle
aree di pregio ambientale e paesaggistico. Questa disciplina straordinaria avrà durata non superiore a 18 mesi dall‟entrata in vigore
delle leggi regionali.
Il principio sotteso (anche se non
esplicitamente dichiarato) è quello
che l‟attuazione del “piano-casa”
avrebbe una capacità di trascinamento sull‟economia complessiva, secondo quanto dice anche
un vecchio detto popolare.
Senonchè la saggezza popolare
andrebbe aggiornata e verificata,
confrontandola con i caratteri recenti degli interventi immobiliari
nel nostro paese, basati su una
crescente aggressività speculativa, senza alcun rispetto non diremo per le esigenze sociali, ma
nemmeno per la salvaguardia di
quelle preesistenze territoriali che
costituiscono un patrimonio di tutti.
Inoltre non si può dimenticare che
la crisi finanziaria globale ha avuto, almeno negli Stati Uniti, origini
strettamente legate proprio allo
sviluppo immobiliare. Infine, come
ripetono da tempo gli economisti.
l‟attività immobiliare è quella che
restituisce di meno alla collettività
in termini di sviluppo economico,
trattenendo invece la più alta
percentuale (sino al 50%) alla pura rendita dell‟operatore. Basterebbero queste considerazioni per
avanzare sospetti sulla efficacia
odierna dell‟edilizia come motore
per un rilancio socio-economico di
carattere generale. Va aggiunto
che - per quanto concerne i Comuni - una buona parte di essi
attribuisce all‟edilizia un ruolo “virtuoso” di aiuto alle proprie finanze
mediante i contributi di urbanizzazione. Non si tiene però conto che
si tratta di un sollievo momentaneo, giacchè a medio e a lungo
termine ogni aumento di densità
edilizia in quartieri già costruiti è
destinata a portare conseguenze
negative sulla qualità della vita dei
residenti: aggravando fenomeni
già congestivi nelle città medie e
grandi che si tradurranno in aumenti, non quantificabili ma ingenti, per le spese comunali da impiegare nei settori dei servizi, della sorveglianza e del traffico, ecc..
In sintesi, favorire oggi l‟edilizia al
di là di quanto consentono piani
regolatori già ora altamente permissivi equivale a rovesciare debiti sulle generazioni future.
***
3.- Per quanto concerne poi in
particolare la Regione Lombardia,
già interessata da un‟area metropolitana estesa a gran parte delle
aree di pianura, con Comuni in
cui il consumo di suolo copre già
attualmente per percentuali altissime l‟intero territorio comunale,
significa eliminare in anticipo ogni
possibile contenuto pianificatorio
alla L.R. 12/05 che soltanto ora
comincia ad essere attuata. Significa fra l‟altro negare ogni attività
istruttoria alla VAS, al piano delle
regole e dei servizi dei nuovi
PGT, che saranno inutili o partiranno già superati dai fatti. Allo
stesso modo diventano inutili gli
attuali PRG, se possono essere
superati gli indici di densità fondiaria e i rapporti di copertura,
addirittura sino al 50%, senza che
sia preventivamente verificato il
necessario aumento di aree per
verde e servizi, che potrebbero
essere anche impossibili da reperire.
Viene
infine
ignorata
l‟autonomia comunale, dato che ai
Comuni non è consentito sottrarsi
al piano casa, ma solo intervenire
con limitati poteri integrativi o modificativi. L‟unico potere concreto
dei Comuni sarebbe quello di individuare limitate parti del loro territorio dove il piano-casa non si
applica; tuttavia, come prevede il
6° comma dell‟art. 5, la relativa
motivata delibera del Consiglio
Comunale deve essere esercitata
entro il termine (dichiarato perentorio) del 15 Settembre 2009
(sic!).
***
Passando ora alle osservazioni di
maggior dettaglio sul testo del
progetto di legge, si rileva quanto
segue, osservando comunque
ancora che la “valorizzazione” e
“qualificazione” del patrimonio
edilizio esistente hanno perso per
via anche quelle finalità di miglioramento complessivo che - per
quanto generiche e inadeguate secondo l‟accordo Stato-RegioneEnti Locali giustificavano gli interventi di deroga a qualsiasi regola
urbanistica. Tali giustificazioni erano - lo ripetiamo - il miglioramento della “qualità architettonica” e di quella energetica, la riqualificazione di aree urbane degradate, oltre alla promessa di
risorse straordinarie per l‟edilizia
residenziale pubblica al fine di
“soddisfare il fabbisogno delle famiglie o particolari categorie, che
si trovano nella condizione di più
alto disagio sociale e che hanno
12
difficoltà ad accedere al libero
mercato della abitazione”.
Nel piano casa lombardo, le finalità di ordine sociale sono confinate all‟art. 4 del progetto di legge, e
previste come “riqualificazione dei
quartieri di edilizia residenziale
pubblica”, nei quali tuttavia
l‟intervento diretto degli enti proprietari rimane comunque condizionato alla allocazione di risorse
pubbliche straordinarie di cui non
è traccia nel testo della Regione,
mentre anche l‟accordo StatoRegioni dichiara che il sostegno
potrà essere individuato “compatibilmente con le condizioni di finanza pubblica” , che notoriamente non nuotano nell‟oro. Risulta
però ammesso nei quartieri ERP
anche l‟intervento dei privati, mediante il convenzionamento di cui
agli artt. 17 e 18 del DPT 6 Giugno 2002, N. 380, che ha notoriamente un limitato effetto calmieratore dei prezzi di vendita e
delle locazioni, ma certamente
non risponde al fabbisogno delle
famiglie “che si trovano nella condizione di più alto disagio sociale”.
E‟ anzi singolare che non si parli
mai di edilizia convenzionata per
gli interventi di cui agli artt. 2 e 3
del progetto di legge. Aver confinato le finalità sociali ad una eventuale futura individuazione di
risorse per l‟edilizia residenziale
pubblica ha comunque il pregio di
non confondere le idee: confermando che gli interventi di cui
all‟art. 2 e 3 risponderanno esclusivamente alle regole del mercato, basate di norma su caratteri
speculativi, con prezzi elevati e
liberi di vendita e locazione. Non
risulta nemmeno che gli interventi
dell‟art. 3 siano limitati, o preferiti,
nel caso in cui vengano disposti
su “aree urbane degradate” da
riqualificare. Di conseguenza le
giustificazioni residuali del “piano
casa” lombardo rimarrebbero unicamente il miglioramento della
“qualità architettonica e/o energetica”
Su questi due argomenti, tuttavia,
si può obiettare che esiste già ora, per tutte le nuove costruzioni,
una rigida normativa per il contenimento di energia, a cui corrisponde un “limitato” premio volumetrico (L.R. 33/07). Cosa accade con il piano-casa? Si som-
mano i due incentivi? Inoltre è
certo che ogni intervento di sopralzo (in questo caso assai più
radicale dei sottotetti) è destinato
ad
alterare
negativamente
l‟architettura originaria (ove esista); certo, non a migliorar
ART. 2 - Quali sono le “parti inutilizzate” di un edificio che non abbia destinazione agricola o produttiva? Spazi non affittati, e
quindi inutilizzati solo in via temporanea? Alberghi chiusi ? Edifici
terziari senza mercato? Non si
riesce a capire. L‟utilizzo dei seminterrati potrebbe essere opportuno, a patto che gli spazi posseggano le condizioni regolamentari di abitabilità. Nelle aree destinate all‟agricoltura, il recupero di
parti inutilizzate (ossia di tutte
quelle già adibite ad usi connessi
al lavoro agricolo) per destinazioni
residenziali o ricettive (ma non
alberghiere?) avrà come conseguenza la perdita di un immenso
patrimonio storico lombardo, ossia quello costituito dalle grandi
cascine.
ART. 3. e 5. - L‟intervento su abitazioni mono-bifamiliari, del tutto
svincolato da esigenze del nucleo
familiare che vi risiede, cambierà
totalmente l‟aspetto e l‟impatto
urbanistico di interi quartieri, trasformando ville e villette in condomini.
Soprattutto fa paura l‟effetto devastante che può conseguire agli
interventi previsti dai commi 2, 3,
4 e 5, che ci auguriamo vengano
drasticamente rivisti.
Anzitutto sorprende che gli interventi siano ammessi (senza limiti)
anche entro i piani territoriali di
coordinamento dei parchi regionali, ed egualmente nelle zone con
vincolo paesaggistico o comunque di grande pregio ambientale:
quali le sponde dei laghi lombardi
già oggi a rischio per l‟alta permissività di molte amministrazioni
comunali.Per quanto attiene ai
parchi regionali, la disposizione
del 1° comma dell‟art. 5 è particolarmente inaccettabile. Si dice
espressamente che la deroga alle
previsioni del piano del parco deve garantire “il rispetto del codice
civile e delle leggi per la tutela dei
diritti dei terzi”: come se queste
normative si potessero invece disattendere in tutti gli altri casi! Inoltre deve essere rispettato “il
paesaggio”; ma come può esserne assicurato il rispetto consentendo contemporaneamente la
deroga al piano del parco, che ha
la finalità di proteggerlo
Nell‟art. 3 (anche qui, in deroga ai
principi
dell‟accordo
StatoRegioni) gli interventi sono ammessi anche nei centri storici per
gli edifici residenziali “non coerenti” con le caratteristiche della zona. Cosa significa? Si ricorda infatti, che nei centri storici, gli unici
edifici “non coerenti” sono quelli di
edilizia recente, che normalmente
devono la loro incoerenza alla circostanza di essere più alti, più
densi o comunque sproporzionati
rispetto al contesto e alla cortina
di edifici antichi.
Vogliamo dunque premiarli perchè vengono sostituiti con edifici
più alti e più densi, al di fuori di
qualsiasi rapporto con l‟area circostante?
Al 5° comma, l‟aumento ulteriore
di volumetria per gli interventi che
assicurino un “congruo equipaggiamento arboreo” o “giunte arboree perimetrali” non necessita
ulteriori commenti; così come al
6° comma, la previsione che gli
interventi potranno superare sino
al 50% l‟indice di densità fondiaria
e l‟indice di copertura previsti dallo strumento urbanistico è destinato, come già si è fatto cenno, a
rendere obsoleto ogni piano regolatore.
Comma 9 - Viene affermato il rispetto della sola normativa antisi-
13
smica: ciò significa che tutte le
altre normative tecniche che non
vengono nominate (da quelle impiantistiche a quelle strutturali o a
quelle stesse di contenimento energetico) possono essere disattese?
Da ultimo, si ribadisce che il progetto di legge viene imposto ai
Comuni, ai quali sono delegati
compiti secondari e di efficacia
marginale. Non esisterà alcuna
possibilità a livello comunale, dopo il 15 Settembre prossimo (ossia praticamente subito, considerato il periodo estivo) di escludere gli interventi su parti del territorio comunale - ad esempio per le
aree di grande impatto paesaggistico - o comunque di limitarne la
portata.
E‟ possibile soltanto che il Comune, sulle istanze o DIA, entro
trenta
giorni,
sottoponga
l‟intervento singolo a “specifiche
condizioni e modalità tecniche”;
infine l‟art. 2 demanda ai Comuni
di “verificare l‟eventuale ulteriore
fabbisogno di aree pubbliche e
servizi”; e inoltre (sempre entro il
15 Settembre 2009) di dare prescrizioni per il “reperimento di
spazi per parcheggi pertinenziali e
verde”.
Come si deve leggere questa disposizione? Nel senso che, se
mancano le prescrizioni entro il
termine brevissimo concesso, tutti
gli interventi di ampliamento o di
sostituzione di edifici sono esonerati dal prevedere, ad esempio, i
posti auto di pertinenza obbligatori per legge? E poi, perchè il fabbisogno di aree pubbliche e servizi urbani indotto dalla legge è definito come meramente “eventuale”?.
Se si possono superare sino al
50% gli indici di densità edilizia ,
ciò significa che - necessariamente - il Comune dovrà aumentare
gli standard per la stessa percentuale !
RUBRICHE
MUSICA
Questa rubrica è curata da Paolo viola
Classica? Leggera?
Da anni, ormai, questi due termini
–“musica classica” e “musica leggera” - sono inservibili, ancorché
rappresentino intenzioni, più che
idee, abbastanza precise da parte
di coloro che le pronunciano; sono stati utilizzati o coniati termini
diversi come “musica colta” per la
prima e “musica popolare” per la
seconda, ma bisogna subito dire
che non hanno funzionato (il jazz,
la musica etnica, quella che proviene dall‟oriente o dal sudamerica, dove si collocano?).
Mi rendo conto di addentrarmi in
un campo minato, un argomento
sul quale esistono pareri - anche
molto qualificati - contraddittori e
da molti non accettati o radicalmente rifiutati; che diverse generazioni esprimono giudizi opposti
sui fondamenti stessi del concetto
di musica, dai quali discendono
valutazioni di segno totalmente
contrario. E allora?
Bisogna chiedersi prima di tutto
che senso abbia questa distinzione: è tutta musica, di diversi generi e tendenze, o sono due “cose” diverse che hanno in comune
solo la produzione di suoni e –
neanche sempre - l‟uso di note?
La distinzione è netta oppure vi
sono aree comune in cui l‟una
sfuma nell‟altra e si contaminano
a vicenda?
Di contaminazione si può e si deve ragionare, che si pensi all‟una
o all‟altra delle categorie indagate:
da una parte il popolarissimo valzer viennese (“trattato” dai più
grandi compositori dell‟ottocento e
del novecento, dagli Strauss a
Chopin, da Čajkowskij a Berg), il
jazz di Gershwin, i temi popolari
passione inesausta di Béla Bartók, la tarantella napoletana di
Strawinsky e di Boulez; dall‟altra
l‟uso - a volte spregiudicato, talvolta magico – di grandi opere
“classiche” ricollocate in situazioni
totalmente diverse, come il corale
dalla Passione secondo Giovanni
di Bach utilizzato da Andrew L.
Webber per costruire il famoso
musical (classico o leggero?) Jesus Christ Superstar, o come le
elaborazioni jazzistiche di temi
bachiani e mozartiani (ricordate il
celebre Modern Jazz Quartet?).
Oggi queste contaminazioni si
sono allargate a tutti i generi musicali e questo fa ovviamente
pensare a una sorta di contenitore
unico in cui la musica è da considerare una sola complessa e multiforme espressione d‟arte.
D‟altronde nelle lettere e nell‟arte
figurativa siamo molto prossimi ad
una concezione totalizzante della
produzione artistica: si pensi
quanto il fumetto e l‟illustrazione –
ma persino il graffito urbano - siano prossimi alla pittura (per non
dire quanto quest‟ultima sia stata
contaminata e si sia intimamente
legata con installazioni e performance di ogni genere), e come un
certo tipo di giornalismo sia considerato parente stretto della letteratura, e si comprende come anche nella musica sia diventato difficile operare distinzioni nette con
significati univoci.
Ma come possiamo mettere in un
unico contenitore le musiche da
discoteca e le opere di Azio Cor-
14
ghi o di Marco Tutino? cosa hanno a che fare le canzoni proposte
a San Remo con la complessa
produzione della musica dodecafonica? Il disc-jockey e il direttore
d‟orchestra, il cantante rock e la
soprano lirica, il percussionista di
una jazz-band e un violino di spalla, sono tutti musicisti tout-court,
parte di una stessa grande famiglia artistica? Li vedete scambiarsi idee sul loro lavoro di artisti?
Credo che su questo tema ci sia
ancora molto da indagare e non lo
si faccia – almeno in ambiti meno
ristretti di quello scientifico e specialistico – per il timore di sembrare politicamente scorretti nei confronti di gran parte dei giovani,
degli amanti di quella musica che
inizialmente e impropriamente ho
chiamato popolare e che non si
può chiamare leggera (anche
perchè non lo è), che non si vuole
in qualche modo declassare avendo ben chiaro il cospicuo numero di adepti e di sostenitori di
cui gode.
Ma noi, amanti di quell‟altra musica, che non possiamo chiamare
classica - anche perchè classica
non lo è più - ma che ci vergogniamo di chiamare colta perchè
ci sembra poco fair e vagamente
presuntuoso, cosa dobbiamo fare
quando ci viene chiesto quale
musica ascoltiamo, suoniamo,
amiamo?
23 giugno
ARTE
Questa rubrica è curata da Silvia Dell‟Orso
L‟opera grafica di Francisco Goya
è al centro di questa mostra. Il
grande artista spagnolo affiancò
all‟attività di pittore anche quella
di incisore, staccandosi nettamente dalle atmosfere rococò dei cartoni per arazzi o dall‟eleganza dei
suoi ritratti. La rassegna ha il suo
nucleo principale nei fogli della
Tauromachia, eseguiti tra il 1814
e il 1816, sorprendente allegoria
delle vicende umane che testimonia le infinite possibilità interpretative dell‟incisione offerte da Goya.
Non mancano opere dalla celebre
serie dei Capricci, raccolta di 80
incisioni creata tra il 1794 e il ‟95,
il cui titolo suggerisce virtuose e
immaginifiche evasioni della mente, ma che inchiodano invece l'attenzione per la feroce denuncia
alla società contemporanea insita
in quelle immagini enigmatiche,
concepite attingendo dal repertorio onirico e dalle più oscure visioni del subconscio: quasi che la
sordità, da poco sopraggiunta,
avesse contribuito a sollecitarle.
Ma anche dai Disastri della guerra
e dai Proverbi.
Francisco Goya. Tauromachie
ed altre battaglie.
Ponteranica (Bergamo), Bopo
Bocciodromo, via Concordia 6a orario: martedì, mercoledì, venerdì 16/20; giovedì 16/22; sabato e
domenica 10/20; lunedì chiuso.
Fino al 26 luglio.
Una mostra che si può visitare
anche on-line sul sito della galleria (www.galleriaforni.it), ma che è
sempre consigliabile vedere di
persona. A confronto le opere di
due artisti che, in modo diverso,
ma con non dissimile intensità,
hanno cercato di catturare atmosfere assolute e stati d‟animo.
Oggetti senza apparente significato, ma che suggeriscono le emozioni di una vita. Per Ferroni – livornese, morto a Bergamo nel
2001 – gli strumenti del mestiere,
dalle matite al cavalletto, ordinati
su un tavolino, coperto da un
drappo
bianco:
composizioni
essenziali e metafiisiche, spr-
ofondate nel silenzio. Per Sesia –
artista
cinquataquattrenne
originario di Magenta – oggetti
ormai in disuso che richiamano il
passato, riscattandolo dall‟oblio.
Gianfranco Ferroni si è servito
con grande maestria, nell‟arco
della sua vicenda creativa, di
acquaforte e litografia, media
impiegati anche nelle opere
grafiche in mostra. Sono tecniche
miste su base fotografica quelle
adottate da Sesia; entrambi
esplorano il tema della natura
morta e la poetica dell‟oggetto.
Gianfranco Ferroni e Giovanni
Sesia. Silenzi.
Studio Forni, via Fatebenefratelli
13 – orario: 10/13 e 16/19.30,
chiuso domenica e lunedì. Fino al
31 luglio.
Un nuovo appuntamento nell‟ambito delle celebrazioni per il bicentenario della fondazione della Pinacoteca di Brera. L‟occasione
sta suggerendo un modus operandi che si vorrebbe appartenere
alla quotidianità di un museo, tra
scavo e ricerca sul proprio patrimonio, ma anche capacità di dare
conto dei risultati con attitudine
divulgativa. L‟attenzione si sposta
questa volta su Giuseppe Bossi,
figura chiave della storia braidense, uno dei primi segretari
dell‟Accademia di Belle Arti –
succeduto a Carlo Bianconi, sospettato di sentimenti filo austriaci
– cui si deve, fra l‟altro, la presenza nelle collezioni di Brera del
Cristo morto del Mantegna e dello
Sposalizio della Vergine di Raffaello, al cui acquisto partecipò attivamente. La rassegna ricostruisce la raccolta di ritratti e autoritratti di artisti che Bossi concepì
come incentivo alla ricognizione
storica degli antichi maestri della
scuola milanese per gli allievi
dell‟Accademia. In tutto 34 ritratti,
25 dei quali raffiguravano infatti
maestri lombardi o loro familiari,
dei quali si è presto persa memoria, se è vero che già nel catalogo
della Pinacoteca del 1816 non
sono più registrati come nucleo
15
autonomo. Le curatrici della mostra, Simonetta Coppa e Mariolina
Olivari, li hanno rintracciati, spesso dimenticati in uffici pubblici e
ne presentano 24, restaurati per
l‟occasione, oltre a un Autoritratto
di Giuseppe Bossi.
Il “Gabinetto dei ritratti dei pittori” di Giuseppe Bossi.
Pinacoteca di Brera, via Brera 28,
Sala XV – orario: 8.30/19.15,
chiuso lunedì (la biglietteria chiude 45 minuti prima).
Fino al 20 settembre.
È dedicata alla lunga stagione
trascorsa da Monet a Giverny la
mostra di Palazzo Reale. Una
rassegna che allinea 20 grandi
tele dell‟artista provenienti dal
Museo Marmottan di Parigi, dipinte tra il 1887 e il 1923 quando la
costruzione del giardino di Giverny, con i salici piangenti, i sentieri delimitati dai roseti, lo stagno
con le ninfee, il ponte giapponese,
i fiori di ciliegio e gli iris trova pieno corrispettivo nella tavolozza
multicolore di Monet, portando
alle estreme conseguenze quell‟titudine innata che lo induceva,
ancora ragazzino, a disegnare dal
vivo il porto di Le Havre, piuttosto
che seguire in studio le lezioni dei
maestri. Il tempo della magnifica
ossessione di Giverny - una piccola città sulle rive della Senna
dove Monet spese la maggior parte del suo tempo e dove costruì il
suo più volte immortalato giardino
- le cui immagini si possono confrontare con una serie di fotografie ottocentesche di giardini giapponesi. Non senza percepirne la
familiarità con la tradizione giapponese dell‟ukiyo-e, rappresentata da 56 stampe di Hokusai e Hiroshige, prestate dal Museo Guimet di Parigi ed esposte a rotazione per ragioni conservative.
Monet. Il tempo delle ninfee.
Palazzo Reale – orario: lunedì
14.30/19.30,
martedì-domenica
9.30/19.30, giovedì 9.30/22.30.
Fino al 27 settembre.
Suo cugino Aron Demetz è forse
più noto ed è stato al centro lo
scorso anno di una mostra al Pac.
Per Gerhard Demetz quella comasca è la prima antologica, anche se si era già fatto notare nelle
due personali allestite alla Galleria Rubin di Milano, cui va il merito di avere richiamato l‟attenzione
sull‟artista. Altoatesino come Aron, nato nel 1972, scultore a sua
volta, naturalmente attratto dal
legno, come si confà a chi è nato
e vissuto in Val Gardena apprendendone fin da subito le tecniche
di lavorazione, la manualità, gustandone il profumo e la duttilità.
Non sono però solo sculture in
legno, di tiglio, quelle presentate a
Como, tre sono in bronzo, un materiale nuovo per l‟artista che espone anche alcuni bassorilievi a
parete. Il tema dominante è sempre la figura umana, in particolare
bambini, di cui Demetz conosce e
restituisce a tutto tondo le fragilità,
le incertezze, i dubbi, quasi serbasse
intatta
la
memoria
dell‟infanzia e della tensione tragica che spesso l‟accompagna.
Facendone percepire la bellezza
non solo visivamente. La rassegna è infatti il primo appuntamento di un progetto promosso in collaborazione con l‟Unione Italiana
Cechi, pensato per coinvolgere
anche un pubblico non vedente in
speciali percorsi tattili. Complici
l‟odore del legno, le forme morbide, levigate, ma anche scabre
delle sculture, minuziosamente
lavorate con lo scalpello sul fronte, incompiute sul retro.
Love at First Touch: Gehard
Demetz.
Como, ex Chiesa di San Francesco, viale Lorenzo Spallino 1- orario: lunedì-venerdì 16/20; sabato
e domenica 10.30/19.00. Fino al
27 giugno.
A cura di Philippe Daverio con
Elena Agudio e Jean Blanchaert,
la rassegna propone tutt‟altro che
una lettura univoca e compiuta
dell‟arte sudamericana; è semmai
un ritratto d‟autore che ricorda artisti di ieri e protagonisti delle ultime generazioni, insistendo su
alcuni temi condivisi: sangue,
morte, anima, natura, città. E
sempre e comunque con grande
passione sociale e attenzione per
la storia. Non un‟unica America
Latina, ma tante Americhe Latine,
così come è molto diversificato e
variegato il panorama artistico del
continente sudamericano. Arrivano dal Brasile, da Cuba, dalla Colombia, dal Cile, dal Venezuela e
dal Messico le oltre cento opere
esposte. Una cinquantina gli artisti rappresentati, concettuali, astratti, figurativi nel senso più tradizionale del termine, pittori, scultori, fotografi o amanti delle sperimentazioni linguistiche. Ecco,
dunque, la cubana Tania Bruguera, l‟argentina Nicola Costantino,
la brasiliana Adriana Varejão fino
a Beatriz Milhares, Vik Muniz, al
fotografo guatemalteco Louis
Gonzales Palma, al cileno Demian Schopf. C‟è anche Alessandro Kokocinsky, cresciuto in Argentina, ma nato in Italia dove tuttora vive e lavora, che trasferisce
nelle sue opere dolenti i tormenti
vissuti in prima persona. Nella sala cinematografica dello Spazio
Oberdan la sezione video è curata da Paz A. Guevara e Elena
Agudio.
Americas Latinas. Las fatigas
del querce.
Spazio Oberdan, via Vittorio Veneto 2 - orario: 10/19.30, martedì
e giovedì fino alle 22, chiuso lunedì. Fino al 4 ottobre.
Si fa sempre più fitto il dialogo tra
arte antica e moderna, almeno
quanto a iniziative che vedono a
confronto tradizione e modernità.
Come la mostra allestita in questi
giorni all‟Accademia Tadini di Lovere. Una rassegna nata dalla
collaborazione tra il museo lombardo, aperto nel 1828 da un collezionista di allora, il conte Luigi
Tadini, e tre galleristi/collezionisti
di oggi, Claudia Gian Ferrari,
Massimo Minini e Luciano Bilinelli.
Ecco dunque che le opere di Antonio Canova, Francesco Hayez,
Jacopo Bellini, Fra‟ Galgario, il
Pitocchetto, Francesco Benaglio e
Paris Bordon, conservate in permanenza all‟Accademia Tadini, si
trovano per qualche mese faccia
a faccia con quelle di Giulio Paolini, Carla Accardi, Lucio Fontana,
Luigi Ontani, Arturo Martini, Sol
LeWitt e molti altri maestri del XX
e XXI secolo.
“Accademia Tadini. Quattro
collezionisti a confronto
16
Lovere (Bergamo), Accademia di
Belle Arti Tadini, Palazzo dell'Accademia, via Tadini 40 (Lungolago) - orario: martedì-sabato
15/19, domenica 10/12 e 15/19.
Fino al 4 ottobre.
È la mostra simbolo delle celebrazioni per il centenario della nascita del Futurismo. Una rassegna
impetuosa e forse un po‟ bulimica,
ma come di fatto fu il Futurismo e
come si confà alla passione dello
studioso che ama rendere pubbliche le proprie scoperte. Il Futurismo a volo d‟uccello, dunque,
guardando al movimento in tutta
la sua estensione cronologica e
senza omettere nessuna delle
sue molteplici declinazioni, esplorando anzi l‟intero campo d‟azione
di un‟avanguardia la cui piena valutazione è stata a lungo condizionata dalle sue collusioni col
fascismo. A cura di Giovanni Lista
e Ada Masoero, la rassegna riunisce circa 500 opere, spaziando
dai dipinti, disegni e sculture, al
paroliberismo, ai progetti e disegni d'architettura, alle scenografie
e costumi teatrali, alle fotografie,
ai libri-oggetto e ancora agli arredi, all‟arte decorativa, alla pubblicità, alla moda, offrendo in chiusura un assaggio di film futuristi. Il
20 febbraio 1909 Filippo Tommaso Marinetti pubblicava su Le Figaro il “Manifesto del Futurismo”
ed è appunto a Marinetti che spetta un ruolo chiave nel percorso
espositivo, traghettando nell‟età
delle avanguardia l‟arte italiana di
fine „800 alla quale è dedicata
un‟efficace panoramica in apertura, tra Simbolismo e Divisionismo.
Si prosegue quindi per decenni,
individuando di volta in volta le
figure e i caratteri dominanti. Boccioni, Carrà, Balla, Severini, Russolo, Soffici, Prampolini, Depero,
Sironi, Dottori e molti altri. La
compagine di maestri futuristi è
ampiamente rappresentata, anche grazie a opere non scontate,
e la rassegna segue l‟intera evoluzione del movimento fino a tutti
gli anni ‟30 e oltre, avventurandosi
nella metà del secolo scorso per
rintracciarne gli eredi: da Fontana
a Burri, Dorazio, Schifano ai poeti
visivi.
Futurismo 1909-2009. Velocità +
Arte + Azione.
Palazzo Reale, piazza Duomo 12
– orario: 9.30/19.30, lunedì
14.30/19.30, giovedì 9.30/22.30.
Fino al 12 luglio.
I temi sono tutti indiscutibilmente
ponderosi e decisamente universali: Potere, Quotidiano, Vita,
Morte, Mente, Corpo, Odio, Amore. Ognuno di questi rinvia a una
delle 8 sezioni in cui si articola la
mostra bergamasca il cui titolo,
“Esposizione Universale”, sembra
ironizzare su uno degli argomenti
più frequentati e ineludibili del
momento. Qui però l‟Expo è rigorosamente artistico, con una carrellata di un centinaio di opere dal
„400 ai giorni nostri, forte innanzitutto
del
patrimonio
dell‟Accademia Carrara di Bergamo, ma non solo. Si va da Giovanni Bellini, Bergognone, Botticelli, Carpaccio, Foppa, Pisanello,
Tiziano a Casorati, Duchamp, De
Chirico, Christo, De Dominicis,
Ontani, Clemente, Kabakov, Gilbert & George, Maria Lai, Spalletti, Arienti, Cuoghi e molti altri, tra
cui Ben Vautier le cui opere-testo
ricorrono in tutte le sale. A cura di
Giacinto Di Pietrantonio, non è la
prima volta che il direttore della
Galleria d‟Arte moderna e contemporanea di Bergamo mette a
confronto l‟arte antica con quella
moderna. Lo ha fatto ragionando
sulle
Dinamiche
della
vita
dell’arte, una rassegna di qualche
anno fa e continua a riproporre
anche in questo caso la sua visione unitaria dell‟arte, tutta contemporanea, perché è con gli occhi di oggi che si rilegge l‟arte di
ieri.
Esposizione Universale – L‟arte
alla prova del tempo.
Bergamo, Galleria d‟arte moderna
e contemporanea, via San Tomaso 53 – orario: martedì-domenica
10/19, giovedì 11/22. Fino al 26
luglio.
L‟opera incisa di James Ensor è
al centro di una mostra, a cura di
Flavio Arensi, allestita nelle sale
di Palazzo Leone da Perego a
Legnano. Sono esposte 188
stampe del maestro belga vissuto
a cavallo tra „800 e „900, provenienti dalla collezione Kreditbank;
tra queste 134 acqueforti, a deli-
neare un percorso influenzato inizialmente dall‟esperienza impressionista che lascia ben presto il
passo a un deciso espressionismo, tramite per una dissacrante
e spietata critica della società del
tempo. Occupa una posizione rilevante, la stampa, nella produzione di Ensor, un medium che si
addice alla sua vena di solitario
fustigatore del compassato mondo borghese, ma anche alle sue
sfrenate escursioni nei territori del
fantastico e del grottesco. Non
mancano, peraltro, anche i paesaggi, le marine, le nature morte, i
ritratti e gli autoritratti, con
un‟attenzione particolare riservata
alla figura di Cristo che ricorre in
almeno una dozzina di incisioni e
a cui è dedicato l‟album litografico
dal titolo Scènes de la vie du
Christ.
Parallelamente, al Castello di Legnano
si
possono
visitare
un‟antologica di Tino Vaglieri a
nove anni dalla morte dell‟artista
triestino, milanese d‟adozione, di
cui si segue il percorso dapprima
legato al Realismo esistenziale e
approdato quindi all‟informale e
una personale della giovane artista di Merate, Marta Sesana.
James Ensor. L‟opera incisa.
Legnano, Palazzo Leone da Perego - orario: martedì-venerdì
16/19.30; sabato 15.30/19.30;
domenica e festivi 10/13 e
15.30/19.30; mercoledì 21/23. Fino al 28 giugno.
Gli spazi della Fondazione Pomodoro sono letteralmente occupati
dalle grandiose installazioni della
settantanovenne artista polacca,
protagonista della nuova mostra,
a cura di Angela Vettese. È davvero una rifondazione del linguaggio della scultura quella che
si avverte nell‟opera di Magdalena
Abakanowicz. Monumentale non
solo per le dimensioni degli 11
lavori esposti, ma anche per il respiro, per la vastità della concezione, per il modo in cui le sue
creazioni interagiscono con lo
spazio, occupandolo, appunto e
trasformandolo. Lo si vede per
esempio in Embriology, installazione acquistata nel 2008 dalla
Tade Modern di Londra e ora a
Milano. Un lavoro imponente ideato nel „78, fatto di centinaia di
sacchi di iuta imbottiti, di varie di-
17
mensioni e a forma di patata, già
intrinsecamente destinati a trasformarsi nelle sue folle di figure
umane e animali, arricchendosi a
un tempo con l‟uso di altri materiali: ceramica, acciaio, alluminio,
bronzo. Nata in una famiglia aristocratica, Magdalena Abakanowicz ha sempre vissuto e lavorato
a Varsavia e si è vista poco in Italia a parte le Biennali di Venezia e
una mostra al Mart di Rovereto.
Magdalena
Abakanowicz.
Space to experience. Fondazione Arnaldo Pomodoro, via
Andrea Solari 35 – orario: mercoledì-domenica 11/18 (ultimo
ingresso alle17); giovedì 11/22
(ultimo ingresso alle 21). Fino al
26 giugno.
Il soggiorno di Leonardo da Vinci a Vigevano, testimoniato dallo
stesso maestro nei suoi appunti,
è il pretesto per una serie di iniziative in zona che ruotano attorno a questo genio poliedrico,
tra cui una mostra decisamente
insolita. Anzi “impossibile” perché riunisce l‟intera opera pittorica di Leonardo, operazione in
sé inimmaginabile se non attraverso il ricorso alle tecnologie di
riproduzione digitale. È così che
17 opere leonardesche, ricostruite in dimensioni reali e retroillluminate (al punto da essere apprezzabili analiticamente
talvolta meglio degli originali),
sono esposte tutte assieme negli spazi del castello vigevanese. Dalla Gioconda alla Vergine
delle Rocce, alla Dama con
l’ermellino e persino l‟Ultima
Cena, quest‟ultima presentata
nella vicina chiesa sconsacrata
di San Dionigi, da poco restaurata come anche l‟imponente
pala del Cerano, qui custodita,
raffigurante il martirio del santo.
Questa rassegna non è la prima
del genere. L‟ideatore del progetto, Renato Parascandolo, ha
cominciato a pensarci nel 2000,
quando, allora direttore di Rai
Educational, strinse un accordo
col Ministero per i Beni e le Attività culturali per fotografare e
riprendere in video i maggiori
capolavori dei musei italiani.
Cominciò da lì la sua avventura
nei territori della riproduzione
delle opere d‟arte e nacque così
l‟idea di utilizzare quei materiali
per realizzare una sorta di grande trailer dei capolavori italiani
da esportare nel mondo per richiamare turisti a vedere gli originali. Ecco allora le mostre di
Leonardo, Raffaello e Caravaggio, curate da studiosi qualificati, cui seguiranno a breve, quelle
non meno impossibili sulla Cappella degli Scrovegni di Giotto e
su Piero della Francesca.
Leonardo: una mostra impossibile. L‟opera pittorica di Leonardo da Vinci nell‟epoca
della sua riproducibilità digitale.
Castello di Vigevano - orario:
martedì-domenica 10/19. Fino al
30 giugno
A sei anni dalla morte di Enrico
Baj, la sua produzione artistica
non cessa di riservare sorprese e
nuovi filoni d‟indagine. Non solo le
donne fiume, i monumenti idraulici, le dame, i generali, a molti già
familiari, ma anche i mobili animati, in linea con l‟ineludibile tendenza all‟antropomorfizzazione dell‟atista milanese. Un libro, a cura di
Germano Celant, edito da Skira, e
una mostra alla Fondazione Marconi propongono questo versante
della feconda produzione artistica
del padre del Movimento Nucleare e della Patafisica Mediolanense. Sono una cinquantina le opere
eseguite agli inizi degli anni ‟60,
presentate in collaborazione con
l‟Archivio Baj. Alla base, l‟idea ti-
picamente surrealista e venata
d‟ironia che qualsiasi cosa possa
trasformarsi in altro. Ecco, dunque, come già è stato per i personaggi, una serie di mobili bizzarri
ma anche eleganti, confezionati
con ovatta pressata e applicata a
collage sul fondo di stoffa da tappezzeria, su cui Baj sistemava
cornici, pomelli, passamanerie e
fregi di serrature a evocarne i tratti somatici; via via il mobile si precisa, si fa di legno grazie a fogli
d‟impiallacciature opportunamente impreziositi e si avvia a esibire
la sua natura Kitsch.
Enrico Baj. Mobili animati.
Fondazione Marconi, via Tadino
15 - orario: martedì-sabato
10.30/12.30 e 15.30/19. Fino al
24 luglio.
I suoi celebri Bleu hanno addirittura richiesto una tonalità di blu
creata ad hoc, che porta a
tutt‟oggi il suo nome (International
Klein Blue). L‟aspirazione alla purezza e all‟assoluto hanno contraddistinto l‟intera e brevissima
vicenda creativa di Yves Klein,
suggerendo più di un‟affinità con
Piero Manzoni, e non soltanto
perché sono morti, quasi coetanei, a un anno di distanza l‟uno
dall‟altro: nel ‟62, a Parigi, il
trentaquattrenne Klein; nel ‟63, a
Milano, Manzoni appena ventinovenne. A Yves Klein, capofila del
Nouveau Réalisme, sebbene ne
sia uscito un anno dopo la fondazione e antesignano della pittura
monocroma, è dedicata un‟ampia
retrospettiva che oltre a presentare un centinaio di opere del maestro francese, provenienti dall‟chivio Yves Klein di Parigi e da
collezioni internazionali, affianca
loro, nelle piazze e nei giardini
della città, una selezione di sculture metalliche della moglie
Rotraut Uecker che con Klein
condivise anche la vocazione
artistica e immaginifica. Sui tre
piani del museo, le opere di Klein
sono presentate per nuclei tematici: i Monochrome realizzati con
pigmenti puri fino ad arrivare al
solo blu, alternato con l‟oro in foglia; i quadri realizzati con il fuoco
a contatto diretto con la tela; le
Anthropométrie, tele su cui sono
impressi i corpi delle modelle cosparse di colore dall‟artista durante veri e propri happening; e ancora i Relief planétaire, le Sculpture éponge, insieme a filmati e
fotografie a documentarne le azioni, mentre un ricco apparato
documentario permetterà di seguire le tappe del percorso artistico e personale di Klein.
Yves Klein & Rotraut
Lugano, Museo d‟Arte, Riva Caccia 5 – orario: martedì-domenica
10/18, lunedì chiuso (tranne il 1° e
29 giugno). Fino al 13 settembre.
TEATRO
Questa rubrica è curata da Maria Laura Bianchi
INCANTI E DISINCANTI FESTIVAL
Martedì 23 giugno e giovedì 2 luglio I Cortile di Villa Reale
Ore 19.00
UTOPIE MIGRANTI
Performance/installazione dal vivo
con 40 attori e 40 leggii
Testi da: Tommaso Campanella,
E. M. Cioran, Michel Foucault,
Charles Fourier, Karl Mannheim, Thomas More, Walter
Pagliarani, Pericle, Platone, William Shakespeare, Oscar Wilde
Messa in spazio Valentina Colorni
Collaborazione alle ricerche testuali Marco Càccavo
“Direttore d‟orchestra”: Massimiliano Finazzer Flory
Nell‟attuale contesto storico non
sembra esserci più spazio alcuno
per le utopie; eppure, le sfide
all‟inizio del terzo millennio, sono
altissime: il mondo contemporaneo offre scenari inquietanti e ci
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chiede di attivare le dinamiche
migliori delle nostre comunità per
garantirci squarci di speranza e
passione tali da mantenere viva
l‟aspirazione a un mondo più umano, più giusto.
E, se è obiettivamente difficile ridisegnare linee su cui proiettare
l‟utopia possibile, ridefinire i concetti di uomo e cittadino, di umanità e società, di uguaglianza e diversità, di stato sociale e solidarietà, è un tentativo che dovremmo fare.
Da giovedì 25 giugno a sabato 4
luglio (1 luglio - riposo) I PAC
Ore 21.30
ROMOLUS/CORRECT POLITICALLY SHOW
Produzione del Festival
Regia di Andrei Feraru
Allestimento scenico di Patricia
Feraru
in collaborazione con gli allievi
dell‟Accademia di Belle Arti di
Brera
Testi di Lia Bugnar, Stefan Peca
(autori rumeni) e Massimo Bavastro, Ana Candida de Carvalho
Carniero, Silvana Grasso, Katia
Ippaso, Sara Pessina (autori italiani)
Brani tratti da Anestesia locale di
Günther Grass
Chef dramaturg Tatiana Olear
Assistente alla regia Sara Pessina
Contributi video di Andrea Fantasia
Con Nicola Ciammarughi, Paolo
Cosenza, Rufin Doh, Sara Fenoglio, Maria Concetta Gravagno, Adrian Nicolae, Gualtiero
Scola, Paolo Tarozzi Verbini,
Emanuela Villagrossi, Tatiana
Winteler
Uno spettacolo in italiano, rom,
rumeno, inglese …
Il 1° novembre 2007, Giovanna
Reggiani, 47 anni, viene aggredita
e uccisa da Nicolae Romulus Mailat, 24 anni, gitano rumeno abitante a Roma. “L‟antefatto” di cronaca non è tuttavia il soggetto vero
e proprio dello spettacolo; ne
prende spunto per seguire il mosaico delle reazioni alla vicenda e
prova a rivelare l‟aspetto drammatico dell‟escalation irrazionale, a
partire dall‟alzata di toni dei media
televisivi. Introduce, inoltre, una
riflessione sul senso identitario
dei cittadini italiani, degli stranieri
residenti da più o meno tempo e
più o meno assimilati, degli ultimi
arrivati, dei rom nomadi, non per
forza anti-stanziali ma più semplicemente non-stanziali (differenti,
altri, nomadi). Ciò che è essenziale è la verità delle posizioni di ognuno: tutti hanno, da un certo
punto di vista, ragione e non c‟è
nessuna risposta a questo circolo
vizioso.
Un piccolo “colpo di scena dentro
la scena” racconta il mito di Romolo e Remo, l‟inizio della legge e
le regole della stanzialità: la vio-
lenza dell‟ uomo stanziale contro
il nomade.
Il Romolo del fatto reale diventa il
Remo del mito, l‟aggressore diviene aggredito.
vengono spazi tematici sul delicato mondo delle migrazioni di massa, che nascondono però storie
individuali ed umane ricchissime.
Venerdì 26 e sabato 27 giugno
ore 20.00 e 28 giugno ore 20.00 e
23.00 I PAC
MODELLI TAGLIATI IN CARNE
[per l‟esecuzione di un soggetto]
Studio/performance di teatro danza nell‟ambito del progetto RITORNO A PINTER
Produzione Compagnia della
Corte | Compagnia Sanpapié
Con Lara Guidetti e Francesco
Pacelli
Coreografia Lara Guidetti e
Francesco Pacelli
Drammaturgia Sara Chiarcos
Musiche Marcello Gori
Sabato 27 giugno I Giardini di
L.go Marinai d‟Italia
Ore 16.00 e 18.00
IN TOTAL CONTROL - Compagnia Afro Jungle Jeegs (Kenya)
Al ritmo della musica africana, sei
giovani acrobati kenioti con energia, tecnica e creatività propongono uno spettacolo di straordinaria intensità emotiva. Il pubblico è
coinvolto e trascinato, diventa
protagonista di una festa piena di
movimento, gioia, calore, musica.
Venerdì 26 giugno, in occasione
della Giornata Internazionale per
le vittime della tortura, il festival
presenta - in omaggio a Harold
Pinter, recentemente scomparso,
e al suo impegno civile contro la
tortura - la performance Modelli
tagliati
in
carne
[per
l’esecuzione di un soggetto],
affidata a Lara Guidetti e Francesco Pacelli, coreografi, e Sarah
Chiarcos, drammaturga.
L‟aspetto più eclatante della tortura umilia il corpo, perciò riteniamo
che il teatro danza possa, meglio
di qualunque altra forma espressiva, esprimere questa condizione.
Quello che più spaventa e atterrisce della tortura è la sua ingiustificabilità: da dove nasce la spinta
al controllo dell'uomo sull'uomo? Il
nucleo minimo della tortura ha
bisogno di una vittima e di un carnefice. Un uomo e una donna,
due modelli in carne che si mettono a disposizione per raccontare
un viaggio che parte da molto lontano per arrivare ai giorni nostri.
Sabato 27 giugno I Giardini di
Porta Venezia
Ore 16.00 e 18.30
KAMCHATKA - Compagnia
Kamchàtka (Spagna)
Spettacolo di strada per 6 attori. 6
personaggi muti, con una valigia
in mano, si muovono per la città.
6 profughi, 6 migranti in cerca
d‟incontro. Percorsi e luoghi di-
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Sabato 27 giugno I Giardini di
Porta Venezia
Ore 17.00
CLOWN IN LIBERTÀ – Teatro
Necessario
Racconta il pomeriggio un po‟ anomalo di tre clown che vogliono
allestire uno spettacolo per divertire, stupire e infine conquistare,
abbracciare, baciare il pubblico di
passanti. La musica è la vera colonna portante dell‟azione e dello
sviluppo narrativo: accompagna,
scandisce e ritma ogni segmento
ed ogni azione.
27 giugno | Palazzina Liberty
Ore 16.30
INCONTRO PUBBLICO CON
AMNESTY INTERNATIONAL
Incontro curato da Amnesty International con interventi e testimonianze dirette sui temi della violazione dei diritti umani. Parteciperà
anche la Compagnia della Corte
che ha curato, assieme alla Compagnia Sanpapiè, la produzione
dello spettacolo Modelli tagliati
in carne [per l’esecuzione di un
soggetto] presentato all'interno
del festival.
Lunedì 29 e martedì 30 giugno,
venerdì 3 e sabato 4 luglio I PAC
Ore 20.00
VERBA VOLANT / PROFEZIE
CIVILI DI UN ANTICONFORMISTA
Produzione Quellicherestano in
collaborazione con il Festival
Testi di Goffredo Parise
Adattamento e regia di Fabrizio
Parenti
Con Carla Chiarelli
Musiche composte ed eseguite da
Piero Salvatori
Scenografia di Silvia Manzoni
Costumi di Giusy Gandolfo
Produzione: Associazione Culturale QUELLICHERESTANO
Verba Volant raccoglie la corrispondenza di Goffredo Parise con
i lettori pubblicata sul "Corriere
della sera" fra il 1974 e il 1975;
cui si aggiunge Benessere borghesia, un racconto apparso sul
Corriere (pubblicato da Via del
Vento edizioni nel settembre del
1971) ed escluso dai Sillabari
senza alcuna motivazione.
È l'Italia la vera protagonista di
questi dialoghi, che ci restituiscono quella che ci sembra la qualità
più caratteristica dello scrittore
vicentino prestato al giornalismo:
la semplicità che sa essere integralmente umana di uno sguardo
acutissimo privo di pregiudizi ideologici, sorretto da una scrittura
volutamente accessibile a tutti in
omaggio alla democrazia.
A Parise l'Italia che cambia non
piace. E naturalmente è contro il
consumismo che distrugge quello
che gli sembra il fondo più vero
dell'Italia antica: la povertà, alla
quale paradossalmente propone
di tornare; ma è la vita, il sentimento per essa che prevale nei
suoi toni e nelle sue parole.
Da lunedì 6 a sabato 18 luglio I
Teatro Libero
Ore 21.00
LA DONNA DI UN TEMPO
di Roland Schimmelpfennig
Produzione Teatri Possibili in
collaborazione con il Festival
Progetto e regia di Sergio Maifredi
con Corrado d'Elia, Laura Ferrari, Monica Faggiani, Alice Arcuri, Marco Taddei
L'autore racconta una storia per
brevi scene, ripetute più volte con
accenti sempre diversi, passando
al microscopio l'incidere del tempo sulle relazioni interpersonali, la
frattura tra i legami affettivi e i
meandri di un Io che si cerca.
Prezzi da € 7,00 a € 15,00 + prevendita. Sono previste riduzioni
per giovani, studenti e gruppi.
Speciale abbonamento “PASSAPORTO x 4 Incanti” da €
22,00 a € 30,00 + prevendita.
Ingresso 2 spettacoli nella stessa
sera € 15,00 / ridotto* € 12,00 /
allievi scuole di teatro € 7,00.
Acquistando un biglietto per lo
spettacolo La donna di un tempo si ha diritto ad un biglietto ridotto a € 12,00 valido per 2 ingressi nella stessa sera agli spettacoli ( Romolus / Verba Volant
+ Modelli tagliati in carne [per
l’esecuzione di un soggetto] ).
Acquistando un biglietto per gli
spettacoli Romolus
e Verba
Volant si ha diritto ad un ingresso ridotto a € 14,00 per lo spettacolo La donna di un tempo
Per informazioni: Outis –
02.89658004/328.7611038 – dalle
10.00 alle 17.00 da lunedì a domenica. E-mail: [email protected] –
www.outis.it
(Graziana Borciani, Davide Calabrese, Francesca Folloni, Lorenzo
Scuda e Fabio Vagnarelli). Un circo volante in cui si alternano blob
di canzoni, cantautori italiani rivisti
e corretti, uffici postali musicali,
un reality show dove i personaggi
sono ostaggio dei terroristi, le avventure di Rato l‟Immigrato e
l‟immancabile riduzione musicale
dei Promessi Sposi in 10 minuti,
vero e proprio filmato cult della
rete. Un‟ora e un quarto di pura
follia, acrobazie musicali, risate...
Non adatto ai deboli di cuore.
Teatro Franco Parenti, via Pier
Lombardo 14
Fino al 27 giugno
Orario: 21.15
Info
e
prenotazioni:
02.59.99.52.06
Sono attive le seguenti prevendite: Vivaticket.it, Ticket.it, Bookingshow.com, Happyticket.it, Atrapalo.it - Ai biglietti acquistati
tramite questi circuiti verrà applicato il diritto di prevendita.
Il fabbricone
L‟ultimo spettacolo della stagione
di
Tieffe
Teatro
Stabile
d‟Innovazione porta in scena,
dall‟11 al 27 giugno, all‟interno del
Cortile
della
Magnolia
dell‟Accademia di Brera, Il Fabbricone di Giovanni Testori.
La ringhiera e il cortile sono i protagonisti di questo affresco di storie che rimandano a quella Milano
di periferia, fotografata tra l‟eco non ancora troppo lontana - di
una guerra che ha lasciato sul terreno e sulle coscienze cumuli di
macerie e un futuro ancora incerto. Insomma sono gli anni del boom e dello “sboom” tra le inquietudini e i sogni di gloria di una
gioventù in cerca di nuovi riferimenti e la nostalgia carogna di
vite invecchiate troppo presto. Il
tutto a portata di mano e di cuore,
grazie alla penna straordinaria di
uno dei più grandi autori del Novecento. La versione teatrale proposta da Emilio Russo prova a
ricostruire sentimenti e atmosfere,
attraverso i personaggi principali
e secondari, abitanti di questo decadente “Fabbricone” (un caseggiato di Novate, luogo natio
dell'autore) brulicante di vita, pianeta ostile e materno, da dove si
scappa, ma non si riesce a uscire.
Fino al 27 giugno
Oblivion Show
Oblivion Show è uno spettacolo
che mette in scena il meglio del
repertorio originale degli Oblivion
Cortile della Magnolia dell‟Accademia di Brera, via Fiori Oscuri, 4
Orario: 21.30 (domenica riposo)
Info:
02.
36.50.37.40
/
02.36.59.25.44
Prenotazioni e biglietteria:
presso Teatro Libero (da lunedì a
venerdì dalle 11.00 alle 21.30 sabato dalle 19.00 alle 21.30
domenica 28/06 dalle 14.00
alle 17.00 - tel. 02.45497296
e-mail:
[email protected])
 presso i botteghini le sere di
spettacolo
 gli abbonamenti sono in vendita
solo presso il Teatro Libero e
presso il circuito Vivaticket.it
 i biglietti prenotati vanno ritirati ai
botteghini prima dell'inizio degli
spettacoli

I botteghini aprono due ore prima
dell'inizio degli spettacoli e i biglietti possono essere pagati solo
in contanti.
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CINEMA & TV
Questa rubrica è curata da Simone Mancuso
I love Radio Rock di Richard
Curtis
Se fossi un produttore di una
major
hollywoodiana
avrei
acquistato i diritti prima dell‟uscita
del film e l‟avrei pompato nel
circuito
commerciale
con
pubblicità
all‟altezza.
Perché
questo
prodotto
puramente
inglese, è uno straordinario lavoro
dello sceneggiatore di “Quattro
matrimoni e un funerale” e
“Notting Hill”, il quale tiene alta la
sua reputazione da soggettista e
sceneggiatore, e migliora il
pensiero generale verso di lui,
firmando anche la regia.
Certo è, che quando un autore
firma queste tre fasi della
produzione, si può certamente
dire non solo che sia una sua
opera, ma quasi che sia
un‟estensione del suo pensiero. E
quello che ne viene fuori è un
dolcissimo ricordo verso una
musica che ha fissato i criteri di
quella contemporanea, ma al
contempo, un fermo punto di vista
sulle aspirazioni e i sogni di una
società che pare smarrita. Radio
Rock è il nome di una nave pirata
che trasmette a tutta la Gran
Bretagna dal Mare del Nord
Rock‟n roll tutto il tempo, da dei dj
che vivono lassù isolati dal
mondo, in un‟epoca in cui vi era il
monopolio della BBC controllata
dal
Ministero
delle
Telecomunicazioni
che
trasmetteva solo musica classica.
Questo
rende
la
pellicola
impregnata di musica anni‟60, con
una scelta delle musiche che
merita da sola il prezzo del
biglietto, e una costruzione dei
personaggi perfettamente tipica di
quegli anni, come “The Count”, il
conte, interpretato egregiamente
dal premio Oscar Philip Seymour
Hoffman. Dunque un inno al
sesso, droga e rock‟n roll fino alla
fine, che non è stato messo in
rilievo come avrebbe meritato,
visto i molti elementi commerciali,
come il montaggio, e con
interessanti motivi per andarlo a
vedere per i nostalgici, ma anche
per chi ama la musica e le
commedie scritte per il cinema.
Terminator Salvation di Mcg
Se si potesse, descrivere il film
soltanto con le musiche di Danny
Elfman, mettendo sotto il titolo un
file mp3 con l‟incalzante tema lo
farei. Questo a mio avviso
basterebbe a descrivere la
potenza di questo film, che arriva
allo spettatore come l‟onda d‟urto
di
una
bomba
atomica,
supportando con la musica scene
come il ritorno di un T-600 (il
primo Terminator, per intenderci,
il governatore della California)
completamente fatto al computer,
primo stile (vedi Conan il
barbaro), come “mostro” finale.
Terminators
che,
forse
giustamente, rubano la scena al
protagonista Connor, interpretato
magnificamente da Bale, come il
T-800, l‟ultima invenzione delle
macchine
con
una
parte
sostanziale umana, e lo scheletro
robotico, con lo scopo d‟infiltrarsi
nella resistenza. Questi elementi
denotano l‟attenzione da parte dei
soggettisti, tra cui l‟onnipresente
James Cameron, per lo sviluppo
di una storia mai che versi sul
banale, ma che anzi, cerchi
un‟evoluzione proprio come i suoi
personaggi. Elemento, questo,
ricorrente in tutti i film della saga,
che a mio avviso è una delle
poche a mantenere lo stesso
livello qualitativo in quasi tutti i
suoi cloni. Il motivo, forse, è
dovuto all‟attenzione verso la
crew che collabora con i vari
registi, mantenendo nei ruoli più
determinanti, gli stessi operatori.
Come già detto per le musiche,
ma anche nel montaggio, il
montatore di James Cameron,
Conrad Buff, o lo stesso
Cameron, messosi da parte come
regista per dedicarsi al soggetto
(forse era meglio che lo dirigesse
lui questo episodio). Insomma,
stessa troupe stesso successo,
un film che decisamente non
delude le aspettative, né dei fans
della saga, né degli altri spettatori
e che anzi crea già l‟attesa per il
prossimo episodio, Terminator 5,
attualmente in sviluppo e che
dovrebbe esser pronto per il
2011.
Se dovessi trovare una pecca, se
così si può dire, di questo film è
sicuramente la regia, improntata
più sugli spot e i music videos che
sul cinema. Ma questo, si sa, è un
altro discorso …(mp3)
Antichrist di Lars Von Trier
Fischiato a Cannes evidentemente per i suoi contenuti e le
singole
immagini
di
sesso
esplicito e sado-maso, questo film
nel complesso non è uno dei
migliori lavori del regista, ma ha
sicuramente dei punti di forza.
Iniziamo con l‟interpretazione, e la
capacità del regista di dirigerla, di
Charlotte
Gainsbourg.
Una
recitazione
completamente
dedicata alla sofferenza e all‟ansia, incentrata sull‟elaborazione del lutto nella sua più
completa accezione, portata fino
all‟estremo, annullando il dolore
con lo stesso. Traspare il lavoro
psicologico del regista sull‟attrice,
quasi come fa su di lei nel film, il
protagonista maschile, anche lui
non da meno nell‟interpretazione.
La sceneggiatura ci catapulta con
minuzia nell‟intimo di questi due
individui, con la capacità di
renderceli conosciuti nei minimi
dettagli della loro anima e della
loro psiche. Tutto questo senza
mai svelarci una cosa, che
risulterebbe superficiale sapere di
due persone di cui si ha già una
conoscenza così profonda, che si
spinge fine alle loro paure, ossia, i
loro nomi.
Terzo punto di forza la fotografia.
Girato con la migliore macchina
da presa in circolazione per il
digitale, la Red One Camera, è
stata diretta dal premio oscar
Antony Dod Mantle, che trasforma
il bosco in un luogo tra la realtà e
l‟anima di chi lo vive e lo racconta,
sviluppando una luce nel buio e
un‟oscurità nella luce tale, che se
un film horror dov‟esse essere
giudicato dalla fotografia, questo li
batterebbe tutti. Quarto elemento,
il lavoro di ricerca cui si è
sottoposto il regista che si evince
dai titoli di coda, in cui vi sono
consulenti psicologici, consulenti
sull‟ansia, consulenti sulle manie
depressive e così via.
A mio avviso questo film è molto
personale per il regista, nel senso
che è una sua elaborazione del
lutto.
Non voglio sapere quale.
Gallery
YouTube
http://www.youtube.com/watch?v=sDgoK8VECfE
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