Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario
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Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario
Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia a cura di Carlo Garbarino e Fabrizio Bendotti Introduzione pag. 3 Sezione I: Tassazione consolidate dei gruppi e perdite transfrontaliere pag. 7 1. Il “group relief” e il caso ICI pag. 7 2. X AB e Y AB: conferimenti effettuati da una società svedese ad una consociata pag.22 3. L’utilizzo delle perdite delle controllate estere nel caso Marks & Spencer plc pag. 30 4. Compensazione transfrontaliera delle perdite infragruppo: il caso Rewe Zentralfinanz pag. 46 5. La diversità di trattamento dei trasferimenti finanziari infragruppo nel caso Oy AA pag. 57 6. Limitazioni al regime di consolidamento fiscale:caso Papillon pag.158 Sezione II: La problematica delle perdite transfrontaliere in presenza di stabili organizzazioni 1. Stabile organizzazione e società controllata a confronto: il caso Futura pag. 67 pag. 77 2. Il trattamento fiscale delle perdite subite da stabili organizzazioni: i casi AMID, Deutsche Shell GmbH, Lidl Belgium pag. 86 3. Il trattamento fiscale delle perdite subite da una stabile organizzazione situata in uno Stato membro del SEE: il caso Finanzamt fur korperschaften III in Berlin Sezione III: La tassazione dei gruppi e le cd. “CFC rules” pag. 109 pag.117 1. La normativa CFC nella sentenza Cadbury Schweppes pag.117 2. CFC e le costruzioni di puro artificio: il caso CFC and Dividend Group Litigation pag.129 Bibliografia pag.134 Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 2/87 Introduzione L’analisi svolta nel presente lavoro mette in luce alcune delle problematiche esistenti in materia di tassazione dei gruppi di società che sono stabilite in diversi Stati membri. Come si evince dall’esame delle sentenze della Corte di giustizia passate in rassegna, la presenza di profonde differenze fra gli ordinamenti fiscali dei Paesi membri dell’Unione europea costituisce, soprattutto in una materia quale quella delle imposte dirette, un impedimento e un ostacolo al processo di integrazione dei mercati. Le imprese che operano su scala comunitaria si trovano, dunque, a dover fronteggiare una serie di ostacoli fiscali derivanti dalla frammentazione del mercato interno in ventisette diversi ordinamenti tributari. Tali difficoltà emergono con evidenza dall’analisi dei casi sottoposti all’esame della Corte di giustizia in materia di libertà di stabilimento. Nel primo gruppo di sentenze esaminate nel presente lavoro la Corte si trova ad dover affrontare questioni relative alla compatibilità di normative fiscali nazionali che impediscono ad una società controllante residente di dedurre dal proprio reddito imponibile le perdite subite da una società controllata residente in un altro Stato membro con le disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento. Tali questioni vengono riproposte, nel secondo gruppo di sentenze anche in relazione alle perdite subite da stabili organizzazioni; nonché, con il terzo gruppo di sentenze, anche in relazione alla possibile incompatibilità delle cd. “CFC rules” con le norme in materia di libertà di stabilimento. Nell’approdare alle decisioni che risolvono le questioni poste al suo vaglio, la Corte segue un percorso logico e argomentativo che si ripete costante in ogni pronuncia relativa alla libertà di stabilimento e che si articola in tre distinte valutazioni: la prima attiene alla verifica di una possibile natura restrittiva della misura in esame, la seconda è volta ad analizzare le giustificazioni eventuali sulla base di motivi imperativi di interesse generale ed, infine, la terza concerne la proporzionalità fra i mezzi impiegati e gli scopi perseguiti. Le decisioni della Corte sono frutto di un percorso argomentativo che, nei suoi tratti essenziali e caratterizzanti, riproduce quello dei suoi precedenti, a tal punto che è possibile affermare che si è di fronte ad uno stabile schema interpretativo. In una materia delicata quale quella delle imposte dirette, la Corte sebbene riconosca la competenza esclusiva degli Stati membri, tuttavia contempera tale affermazione di principio ponendo dei paletti al libero esercizio della stessa che creano non poche incertezze. Un principio di fondamentale importanza che viene sancito nella sentenza ICI e poi ribadito in tutte le pronunce in materia, riguarda l’interpretazione delle disposizioni in materia di libertà di stabilimento. Viene fornita, infatti, un’interpretazione di tali disposizioni che va oltre il tenore letterale delle stesse, la cui portata innovativa ha avuto un’eco in tutte le sentenze successive. La Corte afferma che le disposizioni sulla libertà di stabilimento non hanno solo lo scopo di garantire il beneficio della disciplina nazionale ai cittadini o alle società di Paesi membri diversi da quello di stabilimento, esse consentono anche di affermare il divieto in capo agli Stati membri di porre in essere delle misure che costituiscano delle restrizioni “in uscita” e che, quindi, rendano meno “attraente” lo stabilimento e il conseguente esercizio di tale diritto garantito dal Trattato in uno Stato membro diverso da quello di origine. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 3/87 Sulla scorta di tale principio la Corte ha dichiarato nella sentenza in esame che è incompatibile con le disposizioni sulla libertà di stabilimento una normativa fiscale che subordini il diritto di una società residente alla deduzione delle perdite di una partecipata per mezzo di una holding in funzione della sede delle partecipate. La medesima linea argomentativa viene seguita nella nota sentenza Marks & Spencer. In tale sentenza, però, la Corte aggiunge un quid pluris allo schema di giudizio seguito fino a quel momento. Essa afferma da un lato, la legittimità di una normativa nazionale che esclude in modo generalizzato la possibilità, per una controllante residente, di utilizzare le perdite prodotte in un altro Stato membro da una controllata estera, quando tale possibilità è riconosciuta per le perdite subite da filiali residenti, dall’altro l’illegittimità di una tale normativa nel caso in cui la controllata non residente abbia esaurito o non possa usufruire della possibilità di utilizzazione delle stesse nello Stato di residenza. Tale linea interpretativa, volta a far prevalere le libertà fondamentali sancite e garantite dal Trattato, si ripete in maniera pressochè costante anche nelle questioni relative alle perdite subite da una stabile organizzazione, tanto che in una sentenza come la Lidl Belgium viene sottoposta alla Corte la questione se le cause di giustificazione utilizzate nel contesto della deduzione delle perdite subite da una società controllata usate nella Marks & Spencer possano riproporsi anche in una situazione riguardante le perdite subite da una stabile organizzazione. La superiorità delle libertà fondamentali sancite dal Trattato viene affermata anche di fronte a questioni in cui si discute della compatibiità di una normativa CFC con tali libertà, per cui una normativa fiscale, sebbene restrittiva della libertà di stabilimento, viene dichiarata proporzionale allo scopo perseguito soltanto nell’ipotesi in cui miri ad evitare costruzioni di puro artificio volte ad eludere l’imposta nazionale dovuta. Di fronte a tali sentenze, quello che emerge in maniera sempre evidente è il ruolo crescente della Corte di giustizia nel processo di legislazione comunitaria e la sua funzione normogenetica. Di fronte alla potenza della sua forza interpretativa, deve, però sottolinearsi anche che il ruolo che svolge la Corte di giustizia nella sua funzione di integrazione negativa non è necessario da solo a supplire alla mancata armonizzazione in una materia quale quella delle imposte dirette. Ciò risulta evidente anche dalla sentenza Marks & Spencer. In tale sentenza, infatti, è vero che la Corte approda ad una decisione la cui portata innovativa è indubbia, ma è anche vero che tale pronuncia non sembra aver risolto definitivamente i problemi in materia di utilizzo transfrontaliero delle perdite, per cui lascia irrisolte molte questioni che potrebbero sorgere al di fuori del caso specificatamente previsto nella sentenza. Ciò che sembrerebbe necessario di fronte ad uno scenario quale quello appena descritto è l’intervento di una legislazione positiva che miri a realizzare la tanto decantata armonizzazione. Le proposte di creazione di una base imponibile consolidata per le società operanti su scala europea fornite dalla Commissione sembrano rispondere a tale esigenza. Un sistema di tassazione consolidata quale quello della Common Consolidated Corporate Tax Base da un lato risponde all’esigenza di creare delle regole comuni in materia di determinazione del reddito Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 4/87 consolidato, dall’altro, consente comunque a ciascun Stato membro di stabilire la propria aliquota d’imposizione interna da applicare alla porzione di reddito complessivo del gruppo ivi allocato e di mantenere, quindi, almeno in parte, la propria sovranità impositiva. Il problema legato a tali sistemi di tassazione di base consolidata comune, sebbene idealmente rappresentino una ragionevole soluzione al problema prospettato in partenza, in quanto mirano all’eliminazione degli ostacoli fiscali che le imprese europee attualmente incontrano nelle loro attività transfrontaliere, tuttavia comportano la fisiologica difficoltà di mettere insieme i diversi ordinamenti tributari dei diversi Stati membri, difficoltà che ad oggi non sembra facilmente superabile. Sezione I: Tassazione consolidate dei gruppi e perdite transfrontaliere Sommario: 1. ICI 1.1 I fatti 1.2 Le questioni pregiudiziali 1.3 Le argomentazioni della Corte 1.4 Restrizione 1.5 Conclusioni 2. X AB et Y AB 2.1 I fatti 2.2 Le questioni pregiudiziali 2.3 Le argomentazioni della Corte 2.4 Conclusioni 3. Marks & Spencer plc 3.1 I fatti 3.2 Le questioni pregiudiziali 3.3 Le argomentazioni della Corte 3.4 Conclusioni 4. Rewe Zentralfinanz 4.1 I fatti 4.2 Le questioni pregiudiziali 4.3 Le argomentazioni della Corte 4.4 Conclusioni 5. Oy AA 5.1 I fatti 5.2 Le questioni pregiudiziali 5.3 Le argomentaizoni della Corte 5.4 Conclusioni 6. Papillon 6.1 I fatti 6.2 Le questioni pregiudiziali 6.3 Le argomentaizoni della Corte 6.4 Conclusioni 1. ICI Il caso ICI sottoposto con ordinanza 24 luglio 1996 dalla House of Lords alla Corte di giustizia, rappresenta nella copiosa giurisprudenza della Corte in materia di libertà di stabilimento, un importante punto di svolta. La pronuncia in esame se, da un lato, si inserisce in un ambito materiale ricco di interventi della Corte, 1 dall’altro introduce novità di rilievo nell’ambito del diritto comunitario . Viene sancito, infatti, per la prima volta il divieto in capo agli Stati membri di porre in essere delle misure fiscali che determinino delle restrioni “in uscita”, che disincentivino, cioè, le società di uno Stato membro ad esercitare il loro diritto, garantito dal Trattato, alla libertà di stabilimento in Stati membri diversi da quello di origine. 1 Per i primi commenti sulla sentenza in esame vd. AA. VV. 16 July 1998, C-264/96, Imperial Chemical Industries (GB), in “EC Tax Review”, n. 4, 1998, 290 e ss. ; G. BIZIOLI, Impact of the freedom of estabilishment on tax law, in “EC Tax Review”, n. 4, 1998, 239 e ss. ;CORBEN, Commentary on ICI v. Colmer case, in EC Tax Journal, 1998, 29; T. DANIELS, The freedom of establishment: some comments on the ICI decision, in “EC Tax Review”, n. 1, 1999, 39 e ss. ; NUZZO, Libertà di stabilimento e perdite fiscali: il caso Imperial Chemical Industries plc (ICI), in Rass. Trib., 1999, 1814; PISTONE, Tax Treatment of Foreing Losses: an Urgent Issue for the European Court of Justice, in EC Tax Review, 2003, 150 D. ROXBURGH, ICI PLC v. Colmer, in “European Taxation”, International Bureau of Fiscal Documentation, gennaio 1999, 3 e ss. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 5/87 1.1 I fatti L’ICI e la Wellcome Foundation Ltd, aventi entrambe sede nel Regno Unito (Home state), costituivano un consorzio attraverso il quale detenevano rispettivamente in misura del 49 e del 51 per cento una holding. Tale holding svolgeva come unica attività la detenzione e la gestione di partecipazioni in società commerciali. Queste società erano controllate dalla holding al 90 per cento e al momento della proposizione del ricorso erano 23, di cui quattro con sede nel Regno Unito, sei in altri Stati membri e le rimanenti tredici in altri paesi terzi. L’ICI chiedeva, in conformità a quanto previsto dalla legge del 1970 sull’imposta sul reddito e sulle società, di poter beneficiare dello sgravio fiscale, consistente nella possibilità di dedurre dal proprio reddito imponibile le perdite subìte da una società partecipata dalla holding, per i periodi corrispondenti agli esercizi in passivo della partecipata e in misura corrispondente alla sua partecipazione. I requisiti richiesti dalla normativa nazionale affinchè una società parte di un consorzio potesse compensare i proprio utili con le perdite subite da società sussidiarie partecipate attraverso una società holding, consistevano nel fatto che la holding svolgesse “esclusivamente o principalmente” un’attività volta alla detenzione di azioni in società commerciali da essa controllate al 90 per cento. Ulteriore requisito previsto da una disposizione della normativa nazionale, la cui interpretazione e applicazione ha dato luogo alla questione, era che il termine “società” ivi compreso, fosse riferito alle sole persone giuridiche costituite e aventi sede nel Regno Unito. L’Amministrazione finanziaria inglese negava, quindi, all’ICI la possibilità di beneficiare dello sgravio fiscale. Tale diniego era dovuto al fatto che l’amministrazione finanziaria inglese riteneva che la holding non potesse essere qualificata come tale poiché la maggior parte delle sue controllate non avevano sede nel Regno Unito e di conseguenza, sebbene la sua attività consistesse esclusivamente nel detenere partecipazioni in società commerciali da essa controllate al 90 per cento, il fatto che la maggior parte di queste non avesse la residenza nel Regno Unito, impediva di attribuirle la qualità di holding e di beneficiare dei relativi vantaggi fiscali. Avverso questa interpretazione della normativa nazionale, l’ICI proponeva ricorso dapprima dinnazi alla High Court e in seguito dinnanzi alla Court of Appeal, sostenendo che gli elementi fattuali necessari alla concessione dell’agevolazione fiscale avrebbero dovuto restringersi alle sole società che se ne possono avvalere, non all’intero gruppo. Inoltre, continuava la società ricorrente, la previsione di un beneficio fiscale solo in capo a holdings che hanno come attività principale ed esclusiva quella di detenere partecipazioni in società commerciali con sede nel Regno Unito, costituiva un regime fiscale discriminatorio e una limitazione alla libertà di stabilimento delle società previste dagli articoli 43 e 48 del Trattato. La domanda dell’ICI è stata accolta dalla High Court e, in seguito, dalla Court of Appeal. 1.2 Questioni pregiudiziali La House of Lords ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte due questioni pregiudiziali. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 6/87 La prima è volta ad accertare se l’articolo 43 del Trattato sia contrario ad una normativa di uno Stato membro che, per quanto riguarda le società stabilite in tale Stato membro e facenti parte di un consorzio attraverso il quale possiedono una holding, subordina il diritto ad uno sgravio fiscale alla condizione che l’attività della holding consista nel detenere esclusivamente o principalmente le azioni di consociate stabilite nello Stato membro interessato. Con la seconda questione il giudice nazionale chiede, in buona sostanza, di veder precisata la portata dell’obbligo di cooperazione leale sancito dall’articolo 10 del Trattato. Occorre sottolineare che la Corte, prima di procedere ad esaminare la prima questione sollevata dal giudice nazionale, ha dovuto risolvere una serie di dubbi in merito alla pertinenza di tale questione alla risoluzione della causa principale; si è dovuta, cioè, pronunciare sulla ricevibilità o meno del primo quesito pregiudiziale. Nel corso della procedura, infatti, il governo del Regno Unito aveva eccepito che, anche nell’ipotesi in cui la pronuncia della Corte dovesse risolversi nel senso di una effettiva restrizione operata dalla normativa nazionale alla libertà di stabilimento sancita dall’articolo 43 del Trattato, tale pronuncia non sarebbe comunque determinante per la concessione alla società ricorrente del beneficio dello sgravio fiscale. Alla base di siffatto ragionamento sta la considerazione che le controllate della holding costituite e con sede al di fuori della Comunità rappresentano la maggioranza delle società partecipate dalla holding. Ciò è di ostacolo ad una risoluzione della controversia principale in senso favorevole all’ICI. 2 In risposta a quanto sostenuto dal governo del Regno Unito, la Corte ribadisce, in primo luogo, che sono solo i giudici nazionali a dover valutare la necessità di una domanda pregiudiziale alla Corte per giungere ad una 3 sentenza e la pertinenza della questione sottoposta ; in secondo luogo, viene sottolineato che il rigetto di una domanda formulata dal giudice nazionale è possibile solo qualora si tratti di questioni puramente ipotetiche ovvero sia manifesto che il diritto comunitario non può essere applicato alle circostanze del caso di specie, che 4 manchi, cioè, alcuna relazione con “l’effettività o l’oggetto della controversia nella causa principale” . Ciò non si verifica nel caso concreto, sottolinea la Corte, in quanto le diverse interpretazioni di cui è passibile la normativa nazionale, dimostrano l’esigenza di una verifica della compatibilità di tale normativa con quanto previsto dall’articolo 43 del Trattato. 1.3 Le argomentazioni della Corte 2 Come si legge al paragrafo 12 delle conclusioni dell’Avvocato Generale Tesauro, presentate il 16 dicembre 1997, la Commissione si è espressa in tal proposito adducendo motivazioni di segno opposto rispetto a quelle sollevate dal governo del Regno Unito. La Commissione, infatti, ha affermato che, il fatto che la normativa nazionale in questione utilizzi, riferendosi all’attività che la holding deve porre in essere per poter essere qualificata come tale, l’espressione “esclusivamente o principalmente” non deve necessariamente condurre a pensare che il criterio “quantitativo” sia l’unico possibile e utilizzabile. Poiché, secondo la Commissione, la normativa in questione non è suscettibile di univoca interpretazione, possono essere utilizzati diversi e ulteriori parametri. E’ sempre e comunque il giudice nazionale colui in capo al quale ricade la scelta dei parametri che possono essere utilizzati. 3 Sentenza 27 ottobre 1993, causa C-127/92, Enderby, Racc. pag. I-5535, punto 10; Sentenza 3 marzo 1994, cause riunite C-332/92, C-333/92 e C-335/92, Eurico Italia e a. , Racc. pag. I-711, punto 17, e Sentenza 7 luglio 1994, causa C-146/93, McLachlan, Racc. pag. I-3229, punto 20. 4 Sentenze 6 luglio 1995, causa C-62/93, BP Soupergaz, Racc. pag. I-1883, punto 10, Sentenza 26 ottobre 1995, causa C143/94, Furlanis, Racc. pag. I-3633, punto 12. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 7/87 La Corte risponde al primo quesito posto dal giudice nazionale affermando che l’articolo 43 del Trattato osta ad una normativa di uno Stato membro che, per quanto riguarda le società stabilite in tale Stato membro facenti parte di un consorzio attraverso il quale possiedano una holding e che esercitino il loro diritto alla libertà di stabilimento per creare, tramite tale holding, consociate in altri Stati membri, subordina il diritto ad uno sgravio fiscale alla condizione che l’attività della holding consista nel detenere esclisivamente o principalmente le azioni di consociate stabilite nello Stato membro interessato. Per quanto riguarda il secondo quesito la Corte ha sostenuto che in presenza di circostanze come quelle di cui alla causa principale, l’articolo 10 del Trattato non impone al giudice nazionale né di interpretare la propria normativa in un senso conforme al diritto comunitario né di disapplicare tale normativa in una fattispecie estranea all’ambito di applicazione del diritto comunitario. Come già evidenziato, nella sentenza in esame la Corte ha ritenuto che una normativa fiscale, quale quella del Regno Unito che subordina il diritto alla deducibilità fiscale delle perdite alla circostanza che l’attività della holding consista nel detenere “wholly or mainly” le azioni di consociate con sede nello Stato membro in questione, è contraria alla libertà di stabilimento sancita all’articolo 43 del Trattato. Ora, approdando ad una simile conclusione, la Corte ha evidentemente disatteso quelle che erano state le motivazioni sostenute dalla amministrazione britannica. Per tale ragione e per l’importanza della portata della decisione che la Corte ha fornito, il ragionamento da essa seguito merita di essere analizzato in tutti i suoi passaggi. In primo luogo, nell’affrontare le questioni poste al suo vaglio, la Corte si rifà preliminarmente al proprio orientamento in base al quale, sebbene la materia delle imposte dirette rientri fra quelle che sono le competenze specificatamente attribuite agli Stati membri, tuttavia questi ultimi hanno l’obbligo di esercitare le competenze loro attribuite nel rispetto del diritto comunitario. Ciò vuol dire che gli Stati membri non possono in nessun modo porre in essere delle misure che siano volte ad ostacolare, senza alcuna giustificazione, le libertà garantite dal Trattato riguardanti la circolazione delle 5 persone fisiche o giuridiche che esercitano un’attività autonoma . Inoltre, prima di passare a quello che è il passaggio fondamentale della sentenza in esame, la Corte fa un ulteriore precisazione. Essa chiarisce quella che è la portata degli articoli 43 e 48 del Trattato relativi alla libera circolazione di persone fisiche e società. Ora, posto che l’articolo 43 del Trattato vieta ogni tipo di restrizione alla libertà di stabilimento di un cittadino di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro, la Corte sottolinea che tale divieto implica che l’accesso e l’esercizio delle attività non salariate avvenga alle stesse condizioni previste da uno Stato membro di stabilimento per i proprio cittadini. 5 Sentenza 14 febbraio 1995, causa C-279/93, Schumacker, Racc. pag. I-225, punto 21; Sentenza 11 agosto 1995, causa C-80/94, Wielockx, Racc. pag. I-2943, punto 16; Sentenza 27 giugno 1996, causa C-107/94, Asscher, Racc. pag. I-3089, punto 36, e Sentenza 15 maggio 1997, causa C- 250/95, Futura Participations e Singer, Racc. pag. I-2471, punto 19. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 8/87 Questo regime deve essere garantito, secondo quanto disposto dall’articolo 48 del Trattato, anche alle società costituite a norma delle leggi di uno Stato membro e che abbiano la sede sociale, l’amministrazione centrale o la sede principale nel territorio della Comunità e che vogliano esercitare in un altro Stato membro la propria 6 attività tramite una succursale o un' agenzia . Fatte queste premesse, la Corte sancisce un principio che costituisce l’aspetto più rilevante dell’intera sentenza e una novità di non poca importanza nell’ambito del diritto comunitario. Viene sancito, infatti, per la sola seconda volta, un principio di fondamentale importanza nella materia delle imposte dirette. La Corte afferma che, sebbene dal tenore letterale delle disposizioni sopra esaminate possa evincersi che esse hanno lo scopo di far si che un cittadino di un altro Stato membro possa godere, nell’accesso e nell’esercizio alle attività subordinate delle stesse condizioni che lo Stato membro di stabilimento riserva ai i propri cittadini, è tuttavia importante sottolineare che “esse ostano parimenti a che lo Stato d’origine ostacoli lo stabilimento in altro Stato membro di un proprio cittadino o di una società costituita secondo la propria 7 legislazione e corrispondente alla definizione dell’articolo 48 del Trattato” . In buona sostanza, la Corte non solo ribadisce l’incompatibilità con l’ordinamento comunitario di tutte quelle misure che pongano in essere una discriminazione in base alla nazionalità, ma afferma, dando una nuova interpretazione all’articolo 43 del Trattato, anche l’incompatibilità di misure che producano l’effetto di creare distorsioni di natura economica alla libertà di stabilimento sancita dal Trattato e rendano, di conseguenza, 8 meno vantaggioso l’esercizio dei diritti garantiti dall’ordinamento comunitario . Sanciti i principi che poi saranno strumentali alla decisione finale, la Corte procede seguendo dei passaggi che rimangono costanti in ogni pronuncia della Corte in materia di libertà di stabilimento. Essa si chiede, in primo luogo , se la restrizione lamentata effettivamente sussiste. Nel rispondere a tale quesito, viene esaminata quella che è la normativa controversa nella causa principale. Tale normativa prevede che, affinchè una società facente parte di un consorzio possa beneficiare del “consortium relief” e cioè, della possibilità di compensare i propri utili con le perdite subite da una controllata della holding, tale holding deve possedere una serie di requisiti senza i quali lo sgravio fiscale non può essere concesso. La condizione richiesta dalla normativa nazionale la cui interpretazione ha dato luogo alla procedura, riguarda il fatto che la holding controlli “esclusivamente o principalmente” consociate aventi la sede nel territorio nazionale. Quindi, il fatto che la normativa in questione preveda un beneficio fiscale e che subordini la possibilità di poter usufruire di tale beneficio al fatto che la holding controlli esclusivamente o principalmente consociate aventi 6 Sentenze 28 gennaio 1986, causa 270/83, Commissione/Francia, Racc. pag. 273, punto 18, e Sentenze 13 luglio 1993, causa C-330/91, Commerzbank, Racc. pag. I-4017, punto 13. 7 G. BIZIOLI, Il rapporto tra libertà di stabilimento e principio di non discriminazione in materia fiscale: una applicazione nel recente caso Imperial Chemical Industries, in Dir. prat. trib. , 1999, III, 334 e ss. 8 Cfr. G. BIZIOLI, Impact of the freedom of establishment on the tax law, in EC Tax Review, 1998, 245-246; G. TESAURO, The Community’s internal market in the light of the recent case-law of the Court of Justice, in Yearbook of European Law 1995, Oxford, 1995, 7 e ss; J. WOUTERS, The case-law of the Court of Justice on direct taxes: variation upon a theme, in Maastricht Journal of European and Comparative Law, 1994, 179 e ss. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 9/87 sede nel Regno Unito, crea, secondo quanto affermato dalla Corte “un trattamento fiscale differenziato” sulla 9 base della sede delle società controllate . Posto che, alla luce delle considerazioni svolte, ci si trova di fronte ad una disparità di trattamento, la Corte prosegue verificando se tale disparità possa essere giustificata sulla base delle disposizioni del Trattato sulla libertà di stabilimento. A tal proposito, il governo del Regno Unito aveva fornito quale giustificazione l’argomentazione che, in materia di imposte dirette, le situazioni delle società residenti e di quelle non residenti non sono, in linea di massima 10 comparabili . Quanto affermato, sarebbe giustificato, secondo il governo del Regno Unito, da due ordini di motivazioni. Il primo concerne il fatto che una normativa come quella controversa nella causa principale è volta a ridurre il rischio di evasione fiscale che sarebbe implicito, per le società residenti, nella possibilità di trasferire all’estero i redditi imponibili attraverso la creazione di società controllate non residenti. Il secondo ordine di motivi attiene al fatto che la previsione di una tale normativa impedirebbe la sottrazione di risorse imponibili al fisco britannico ed una conseguente riduzione delle entrate dovuta all’impossibilità per il fisco britannico, di compensare la riduzione di imposte risultante dallo sgravio delle perdite delle controllate residenti con l’assoggettamento ad imposta degli utili delle controllate aventi sede fuori dal Regno Unito. La Corte disattende la prima giustificazione fornita dal governo del Regno Unito sostenendo che la normativa de quo non ha il preciso obiettivo di contrastare pratiche evasive o elusive in quanto prende in considerazione ogni situazione in cui, “per qualsiasi motivo”, le società controllate si trovino in maggioranza stabilite fuori dal territorio nazionale. Ora, il fatto che una società sia stabilita al di fuori del Regno Unito, non comporta, sottolinea la Corte, di per sé, il porre in essere di pratiche ai fini di evasione fiscale, posto che la società comunque sarebbe assoggettata alle leggi dello Stato all’interno del cui territorio si è insediata. Inoltre, il fatto che la concessione del beneficio dello sgravio fiscale venga negato nel caso in cui le controllate della holding non risiedano per la maggior parte nel Regno Unito non serve a escludere il rischio di evasione fiscale, in quanto tale rischio potrebbe verificarsi anche con una sola delle controllate che abbia la sede al di fuori del Regno Unito. Per quanto riguarda, invece, la seconda giustificazione portata alla luce dal governo del Regno Unito, deve sottolinearsi che una normativa restrittiva della libertà di stabilimento come quella di cui alla causa principale, potrebbe giustificarsi soltanto nelle ipotesi eccezionali previste dal Trattato o, nell’ipotesi in cui si tratti di una 9 A tal proposito, non deve essere sottaciuto quanto espresso dall’Avvocato Generale Tesauro al paragrafo 18 delle sue conclusioni, presentate il 16 dicembre 1997. Egli, nel delineare una situazione quale quella della causa principale, parla di “tipica restrizione in uscita”. Le società, infatti, che vogliano avvalersi della loro libertà di stabilimento per creare consociate in altri Stati membri, trovandosi dinnanzi ad un trattamento fiscale meno favorevole rispetto a quello che sarebbe stato loro riservato se avessero avuto succursali nello stato di residenza, sono disincentivate dallo svolgere attività mediante succursale o agenzia in altri Stati membri. 10 L’importanza di una tale giustificazione, è evidente. Il fatto che le due situazioni non siano comparabili implica che la differenza di trattamento non sussiste. Infatti, non si verifica, secondo l’opinione del governo del Regno Unito, la circostanza in cui a situazioni uguali viene applicato un trattamento differente tale per cui sia possibile parlare di una discriminazione; nel caso di specie le situazioni non presentano alcun carattere di somiglianza per cui sarebbe del tutto giustificato un trattamento fiscale differente. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 10/87 misura indistintamente applicabile ai cittadini e agli stranieri anche nel caso in cui sia finalizzata al perseguimento di esigenze imperiose di interesse generale, idonee a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e proporzionate al raggiungimento di tale scopo. Ora, poiché la riduzione di gettito fiscale non può essere annoverata in nessuna delle ipotesi sopra indicate, bisogna considerare gli argomenti addotti dal governo del Regno Unito come privi di fondamento. Se è vero che, in questa sentenza, ma sarà un atteggiamento costante della Corte in tutte le pronunce in materia di tassazione diretta e di libertà di stabilimento, la Corte non ha accettato quale causa di giustificazione la riduzione di gettitto, deve, però, ricordarsi che in più occasioni ha ritenuto la necessità di mantenere la coerenza di un regime fiscale, poteva, in taluni casi, giustificare una normativa restrittiva delle 11 libertà fondamentali . Però, mentre nelle cause citate era possibile ravvisare un “nesso diretto” fra le deducibilità dei contributi, da un lato, e l’imponibilità, dall’altro, delle somme dovute da assicuratori in esecuzione dei contratti di assicurazione contro i rischi di vecchiaia e morte, il cui rispetto era fondamentale per la salvaguardia della coerenza del sistema fiscale; nel caso de quo, non può allo stesso modo affermarsi che vi sia un nesso diretto fra lo sgravio fiscale delle perdite in capo alla società facente parte del consorzio e l’assoggettamento ad 12 imposta degli utili delle controllate aventi la sede fuori dal Regno Unito . Per quanto riguarda la seconda delle questioni sottoposte dal giudice nazionale al vaglio della Corte, la Corte statuisce che la differenza di trattamento prevista da una normativa a seconda che le controllate di una holding abbiano la propria sede in Stati terzi o meno, non è una situazione che può trovare una tutela nel diritto comunitario. Infatti, quanto disposto dagli articoli 43 e 48 del Trattato non spiega i propri effetti alle situazioni in cui le consociate abbiano la sede al di fuori della Comunità. Dunque, neanche l’articolo 10 ha ragione di essere applicato. In una situazione in cui si è al di fuori dall’ambito di applicazione del diritto comunitario, il giudice nazionale non ha l’obbligo di interpretazione conforme di cui all’articolo 10 del Trattato rispetto ad una fattispecie ovvero, come nel caso di specie, ad una parte di essa cui non è applicabile il diritto comunitario. 1.4 Restrizione In primo luogo occorre sottolineare che la sentenza in esame rappresenta un’importante punto di svolta rispetto al passato. 11 Sentenza 28 gennaio 1992, causa C-204/90, Bachmann, Racc. pag. I-249, e Sentenza Commissione/Belgio, causa, C300/90. Racc. pag. I-305. 12 L’Avvocato Generale al paragrafo 28 delle sue conclusioni svolge una ulteriore considerazione: se anche, presi dai forti dubbi circa l’idoneità o meno della misura restrittiva con l’ordinamento comunitario, si arrivasse ad affermare che la disparità in questione sia giustificata, comunque non potrebbe dirsi che la misura restrittiva sia proporzionata allo scopo perseguito. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 11/87 Ciò che viene a rivestire la portata di elemento innovativo è l’interpretazione che la Corte, nel proprio iter argomentativo fornisce dell’articolo 43 del Trattato. Infatti, al paragrafo 21 della sentenza la Corte afferma che « sebbene così come formulate, le norme relative alla libertà di stabilimento mirino in special modo ad assicurare il beneficio della disciplina nazionale dello Stato membro ospitante, esse ostano parimenti a che lo Stato d’origine ostacoli lo stabilimento in un altro Stato membro di un proprio cittadino o di una società costituita secondo la propria legislazione e 13 corrispondente alla definizione dell’articolo 48 del Trattato » . Ora, nelle pronunce precedenti la Corte si era sempre mossa verso il riconoscimento di una discriminazione posta in essere da uno Stato membro nei confronti di soggetti residenti in altri Stati membri che si fossero stabiliti all’interno del suo territorio, andando così a definire via via gli elementi caratterizzanti del principio di 14 non discriminazione . Tale principio trova il proprio fondamento nell’articolo 12 del Trattato che al primo comma recita « Nel campo di applicazione del presente Trattato, e senza pregiudizio delle disposizioni particolari dallo stesso previste, è vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità ». Si tratta di un principio che ha portata generale e che trova specificazione nelle norme che sanciscono le libertà fondamentali (libera circolazione dei beni, libera circolazione e libertà di stabilimento delle persone, libera circolazione dei servizi, libera circolazione dei servizi). Con esso viene sancito il divieto, nell’ambito dell’esercizio delle libertà fondamentali, di ogni discriminazione basata, direttamente o indirettamente, sulla nazionalità. Tutto ciò allo scopo di evitare ogni politica protezionistica di uno Stato membro che rappresenta il primo ostacolo, non solo alla costituzione di un mercato comune, ma più in generale alla realizzazione di qualunque forma di libero scambio. Ora, nella sentenza in esame, non è propriamente corretto affermare che l’ICI sia oggetto di discriminazione, poiché essa è costituita ed ha la propria sede nel Regno Unito. Non si è di fronte ad una fattispecie in cui un beneficio fiscale accordato dalla normativa di uno Stato membro viene negato ad un soggetto di un diverso Stato membro che ha esercitato una libertà sancita dal Trattato, bensì in una situazione in cui uno Stato membro prevede che il beneficio fiscale previsto dalla propria normativa nazionale non venga accordato ad un soggetto residente nel proprio territorio nazionale che abbia deciso di esercitare tale libertà in un altro Stato membro. 13 Tale affermazione di principio da parte della Corte trova il proprio precedente soltanto in una pronuncia. Infatti, il primo caso in cui si è discusso di libertà di stabilimento con riferimento allo Stato di origine è quello relativo alla sentenza 27 settembre 1988, causa 81/87, Daily Mail and General Trust. 14 ADONNINO, Il principio di non discriminazione nei rapporti tributari tra Paesi membri secondo le norme CEE e la giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità, in Riv. dir. fin. , 1993, I, 63; AMATUCCI, Il principio di non discriminazione fiscale, Padova, 1998; AVERY JONES, Europian Union: carry on discriminating, in European taxation, 1996, n. 2, 46;G. BIZIOLI, Evoluzione del diritto di stabilimento nella giurisprudenza in materia fiscale della Corte di giustizia, in Riv. it. Dir. pubbl. comunit. , 1999, 2, 381; id., Il rapporto tra libertà di stabilimento e principio di non discriminazione in materia fiscale: una applicaizone nel recente caso “Imperial Chemical Industries”, in Dir. prat. trib.,1993, 313; P. ROSSI-MECCANICO, Prinvipi comunitari di fiscalità diretta delle imprese. Il principio di non discriminazione, in Fiscalità Internazionale, 2008, 226; PISTONE, La non discriminazione anche nel settore dell’imposizione diretta: intervento della Corte di giustizia, in Dir. e prat. trib. , 1005, I, 1471; B. J. M. TERRA e P. J. WATTEL, European Tax Law, Third Edition, 2001, 41 e ss. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 12/87 Nella sentenza ICI, infatti, la Corte non si trova a dover affrontare una situazione in cui viene in rilievo l’applicazione del diritto comunitario in materia di libertà di stabilimento nello « host Member State », quanto, piuttosto, ad una situazione in cui la normativa nazionale costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento 15 prevista dall’articolo 43 del Trattato . La Corte, nello svolgere il proprio iter logico e interpretativo accerta la presenza di un « trattamento fiscale differenziato » che si realizza attraverso l’utilizzo di un criterio quale quello della sede delle società controllate dalla holding. A tal proposito merita di essere portato in evidenza quanto affermato dall’Avvocato Generale Tesauro al paragrafo 18 delle sue conclusioni. Viene sottolineato che la fattispecie di cui si tratta nella causa principale costituisce una « tipica restrizione in uscita ». Infatti, il fatto che la normativa nazionale accordi il beneficio dello sgravio fiscale solo alla condizione che la holding detenga le proprie partecipazioni « esclusivamente o principalmente » in società che hanno la sede nel Regno Unito, è un fattore che dissuade le società residenti nel Regno Unito che vogliano esercitare la propria attività in altri Stati membri. Quindi, la normativa in questione, rendendo « meno attraente » per le società stabilite nel Regno Unito la creazioni di articolazioni in altri Stati, costiutisce un ostacolo all’esercizio della libertà di stabilimento sancita e garantita dall’articolo 43 del Trattato. Quello appena descritto rappresenta il tipico ragionamento che la Corte effettua per verificare se è in presenza di una misura restrittiva. Infatti, l’analisi da essa eseguita è volta a verificare, in primo luogo, se la disposizione nazionale costituisce un ostacolo alla possibilità di scelta di porre in essere attività transfrontaliere; in secondo luogo, nel caso in cui si deliberi che la normativa controversa ostacola l’esercizio delle libertà fondamentali, la Corte va a verificare la presenza di possibili cause di giustificazione, grazie alle quali, anche in presenza di una misura restrittiva, è possibile non procedere alla sanzione della misura stessa. Diverso è, invece, l’approccio argomentativo che la Corte utilizza per verificare se sia di fronte ad una violazione del principio di non discriminazione. In questo caso, infatti, per verificare se una norma fiscale è discriminatoria, la Corte procede ad analizzare la situazione del residente e del non residente per appurare che siano oggettivamente comparabili, in relazione a quella specifica norma. Da ciò ne deriva, secondo quanto è sempre stato affermato dalla Corte, che si è di fronte a discriminazione quando vi è l’applicazione di norme diverse a situazioni analoghe ovvero l’applicazione della stessa norma a situazioni diverse. Fatte queste premesse, è possibile affermare che nella sentenza in esame si è di fronte ad una restrizione della libertà di stabilimento, in quanto la normativa fiscale nazionale, negando la possibilità di beneficiare di un vantaggio fiscale nell’ipotesi in cui le controlllate della holding siano stabilite al di fuori del Regno Unito, costituisce un ostacolo per una società residente rispetto alla scelta di effettuare attività transfrontaliere e alla possibilità di esercitare la libertà di stabilimento sancita dal Trattato. 15 T. DANIELS, op. cit. , p. 40. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 13/87 1.5 Conclusioni Nella sentenza in esame la Corte afferma che una normativa di uno Stato membro che subordina la concessione di un beneficio fiscale alla condizione che l’attività della holding consista nel detenere esclusivamente o principalmente le azioni di consociate stabilite nello Stato membro interessato, è contraria all’articolo 43 del Trattato. Ciò che, però, sembra assumere una rilevanza peculiare nella sentenza esaminata è la modalità con cui la Corte arriva a sostenere l’incompatibilità di una normativa fiscale di uno Stato membro che subordina la concessione di un beneficio fiscale, quale la deduzione delle perdite di una società partecipata dalla holding dal proprio reddito imponibile, con le disposizioni del Trattato che sanciscono la libertà di stabilimento. Una simile conclusione, infatti, da un lato, va a rafforzare quello che è l’orientamento della Corte in materia di libertà di stabilimento e di utilizzo transfrontaliero delle perdite, dall’altro, aggiunge un importante tassello al percorso argomentativo perseguito dalla Corte nell’approdare alle decisioni relative alle questioni sottoposte al suo vaglio dai giudici nazionali. Il quid pluris della sentenza esaminata è costituito dall’affermazione di principio che la Corte fa in merito all’obiettivo che le disposizioni sulla libertà di stabilimento perseguono. Esse, come già affermato, hanno non soltanto lo scopo di garantire il beneficio della disciplina nazionale dello Stato membro ospitante, ma anche quello di impedire che uno Stato membro ostacoli lo stabilimento di un proprio cittadino o di una società che abbia la sede nel proprio Stato membro, in un altro Stato membro, ponendo in essere delle misure che determinano delle restrizioni “in uscita”. 2. X AB et Y AB La sentenza del 18 novembre 1999 costituisce un ulteriore esempio in cui la Corte si trova a dover risolvere questioni attinenti la facoltà, in capo al legislatore nazionale, di fondare il discrimen del trattamento fiscale di due fattispecie uguali in relazione ad elementi costitutivi di natura transazionale. La sentenza in esame si inserisce perfettamente nel filone giurisprudenziale volto a far prevalere le libertà comunitarie sancite dal Trattato, nel caso di specie si tratta della libertà di stabilimento e della libertà di circolazione dei capitali, sulle misure fiscali restrittive adottate dagli Stati membri. 2.1 I fatti Nell’ambito di un processo di riorganizzazione societaria, la società capogruppo, X AB, e la sua controllata, Y AB, aventi entrambe sede in Svezia (Home state), chiedevano alla commissione tributaria un parere preliminare relativo alla applicabilità, nei loro confronti, della normativa relativa ai trasferimenti finanziari intragruppo. Tale normativa prevedeva che, se una società svedese possedesse più dei nove decimi delle azioni di un’altra società svedese, i trasferimenti all’interno del gruppo effettuati dalla prima alla seconda società venissero considerati onere deducibile per la società conferente e reddito imponibile per la beneficiaria. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 14/87 All’epoca dei fatti, il 58 per cento del capitale sociale della Y AB era detenuto direttamente dalla capogruppo, X AB, mentre la restante parte era detenuto indirettamente da società controllate dalla stessa capogruppo. La società X AB, chiedendo un parere preliminare, prospetteva alla commissione tributaria tre distinti casi, che costituivano altrettante ipotesi di riorganizzazione economica dell’intero gruppo, e in realzione a ciascuno di essi chiedeva se, in base alla normativa svedese sui trasferimenti finanziari intragruppo, fosse possibile ottenere le agevolazioni fiscali ivi previste. La prima ipotesi sottoposta al vaglio della commissione tributaria riguardava la possibilità di applicare la normativa in questione nel caso in cui il capitale sociale della Y AB fosse direttamente detenuto da X AB e indirettamente da una società consociata svedese interamente controllata; la seconda ipotesi rispecchiava una situazione in cui il capitale sociale della Y AB fosse direttamente detenuto dalla X AB e indirettamente, per almeno il 15 per cento, da una società consociata con sede nei Paesi Bassi (Host state). Infine veniva chiesto alla commissione tributaria se l’applicabilità delle agevolazioni fiscali in quesitone potesse aver luogo nel caso in cui il capitale sociale della Y AB fosse detenuto direttamente dalla X AB e indirettamente da società controllate con sede rispettivamente nei Paesi Bassi (Host state) e in Germania (Host state) indirettamente controllate dalla società X AB. Poiché in ciascuna delle tre ipotesi avanzate mancava il requisito soggettivo previsto dalla normativa svedese relativo alla detenzione dei nove decimi del capitale sociale da parte della società capogruppo, nella fattispecie la X AB, nella controllata, la Y AB, la commissione negava la possiblità che potesse trovare applicazione nei tre casi delineati la disciplina sui trasferimenti infragruppo. Tuttavia, riteneva che nel primo e nel secondo caso, i trasferimenti infragruppo potessero comunque beneficiare dei medesimi effeti in virtù, però, dell’applicazione della normativa sulle fusioni societarie. In particolare, per quanto riguarda la seconda ipotesi prospettata dalla società ricorrente, veniva sottolineato che, anche se il beneficio in questione era esteso alle sole società svedesi, tuttavia, sarebbe contrario alla clausola di non discriminazione, contenuta in una convenzione contro le doppie imposizioni come quella stipulata tra la Svezia e i Paesi Bassi, negare alle società con sede in tali Stati membri la possibilità di effettuare trasferimenti finanziari all’interno di un gruppo con le agevolazioni previste dalla normativa svedese. Nel terzo caso, invece, anche la regola relativa alle fusioni veniva considerata inapplicabile, in quanto veniva negata la possibilità che due convenzioni contro le doppie imposizioni, quella stipulata fra Svezia e Germania, da un lato, e tra Svezia e Paesi Bassi, dall’altro, venissero applicate cumulativamente. Le disposizioni di una convenzione contro le doppie impsizioni, secondo la giurisprudenza del giudice amministrativo supremo, esplicano i loro effeti solo nei confronti degli Stati firmatari. Le società X AB e Y AB impugnavano il parere preliminare dinnanzi al Regeringsratten, sostenendo che il divieto posto in relazione al terzo caso costituiva una discirminazione vietata dal Trattato. 2.2 Questioni pregiudiziali Ritenendo necessaria un’interpretazione del diritto comunitario per la soluzione della controversia nella causa principale, il Regeringsratten decideva di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte la questione pregiudiziale volta ad accertare se in relazione alle tre ipotesi di riorganizzazione finanziaria delineate dalla X Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 15/87 AB e sottoposte al vaglio della commisisone tributaria, fosse riscontrabile una contrarietà con le disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento e alla libera circolazione dei capitali. La Corte, prima di poter procedere all’analisi e alla risoluzione della questione sottoposta al suo vaglio, ha dovuto, in via preliminare, risolvere due dubbi sorti in merito alla ricevibilità della questione pregiudiziale. Il primo di essi attiene alla natura dell’organo remittente: si discute cioè, se il Regeringsratten svedese possa essere qualificato, ai sensi dell’articolo 234 del Trattato, come “giurisdizione di uno degli Stati 16 membri” ; il secondo riguarda l’accertamento, in via subordinata, della natura della controversia come effettiva e non puramente ipotetica. La definizione di “giurisdizione di uno degli Stati membri” contenuta nell’articolo 234 del Trattato 17 è, come afferma la Corte, una questione “ unicamente di diritto comunitario”. Ciò vuol dire che, la nozione in questione non è riferibile ai singoli ordinamenti dei vari Stati membri, il che porterebbe a svuotare l’istituto del rinvio pregiudiziale della propria finalità, consistente nell’interpretazione uniforme del diritto comunitario, ma è frutto di una scelta da parte del giudice comunitario. Secondo una giurisprudenza costante 18 i requisiti utilizzati dalla Corte per arrivare a confermare la natura giurisdizionale di un organo, possono essere l’ origine legale dell’organo, il suo carattere permanente, la obbligatorietà della sua giurisdizione, la natura contraddittoria del procedimento, il fatto che l’organo applichi norme giuridiche e nel fatto che sia indipendente. Sebbene, come è stato osservato dall’Avvocato generale Saggio al punto 12 delle sue conclusioni, la contestuale presenza di tali elementi sia in linea di principio considerata necessaria, tuttavia nell’accertamento fattuale la Corte ha derogato a tale rigida costruzione ritenendo che la possibilità in capo ai giudici nazionali di sottoporre una questione pregiudiziale ex articolo 234 del Trattato sussiste soltanto nell’ipotesi in cui dinanzi a tali giudici sia pendente una lite e essi hanno l’obbligo di statuire nell’ambito di un procedimento 19 destinato a sfociare in una pronuncia di carattere giurisdizionale . Per tale ragione occorre verificare, in via subordinata, se almeno la condizione del potenziale sviluppo in pronuncia di carattere giurisdizionale possa essere ravvisata nel caso di specie. Ora, poiché il consiglio di Stato svedese adito in sede d’appello contro le decisioni della commissione tributaria, è stato chiamato a risolvere, con una decisione di carattere vincolante, una controversia nata su ricorso del contribuente e poiché tale controversia verte 16 Deve sottolinearsi che la verisone inglese del Trattato utilizza una nozione più efficace, riferendosi alla espresisone controversa con la dizione “any court or tribunal of a Member State”. 17 La norma comunitaria, in realtà, contiene due espressioni formalmente diverse per riferirsi al concetto in questione. Infatti, il comma 2 dell’art. 234 parla di “ogni questione (…) sollevata dinnanzi ad una giurisdizione di uno degli Stati membri”, mentre il comma 3 parla di “questione (…) sollevata in un giudizio pendente davanti a una giurisdizione nazionale”. Ora, la Corte non ha mai risolto affrontato il problema relativo alle due diverse nozioni di “giurisdizione” che potrebbero emergere dalla lettera della norma. Vd. sul punto, G. BIZIOLI, Libertà di stabilimento ed imposizione fiscale dei gruppi di società: il caso X AB, Y AB, in Riv. dir. trib. , 2003, 3, 40. 18 Sentenze 30 giugno 1966, causa 61/65, Vaassen-Gobbles, Racc. pag. 407, in particolare pag.424, e Sentenza 17 settembre 1997, causa C-54/96, Dorsch Consult, Racc. pag. I-4961, punto 23.Sentenza 17 settembre 1997, causa C-54/96, Dorsch Consult, Racc. pag. I-4961, punto 23. 19 Ordinanza 18 giugno 1980, causa 138/80, Borker, Racc. pag. 1975, punto 4, e Sentenza 12 novembre 1998, causa C134/97, Victoria Film, Racc. pag. I-7023, punto 14. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 16/87 sulla legittimità di un parere capace di andare a pregiudicare i diritti del contribuente in quanto vincolante nei confronti dell’amministrazione finanziaria, allora è indubbio che il Consiglio di Stato abbia una natura giurisdizionale. Per quanto riguarda, invece, il dubbio sollevato circa la natura ipotetica e non effettiva della controversia, è necessario innanzitutto premettere che, in virtù della collaborazione che caratterizza il rapporto fra la Corte di giustizia e il giudice nazionale, il compito di accertare le condizioni per la rimessione della questione alla Corte di giustizia sussiste solo in capo agli organi giurisdizionali nazionali. Tuttavia la Corte ha più volte nelle sue pronunce, richiamato a sé la facoltà di verificare tali condizioni. In particolare, essa ha dichiarato la propria incompetenza in relazione a questioni “non rispondenti ad una 20 necessità obiettiva inerente alla definizione di una controversia” . Nel caso di specie, il dubbio sorge in ragione del fatto che i fatti dedotti nella questione pregiudiziale di interpretazione ancora non erano giunti a perfezionamento. A tale obiezione la Corte osserva che, proprio in ragione della efficacia vincolante del parere preventivo reso dallo Skatterattsnamnden, la società ricorrente vantava un concreto diritto alla tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche attive conferiteli dall’ordinamento comunitario. Ne deriva che la società X AB, ha un interesse concreto all’accertamento della compatibilità delle norme nazionali rispetto all’ordinamento comunitario. 2.3 Argomentazioni della Corte La Corte ha risolto la questione posta dal giudice nazionale affermando che in una situazione quale quella prospettata nella causa principale, gli artt. 43 e 48 del Trattato e 56 e 58 ostano a che le agevolazioni fiscali in questione siano negate per i trasferimenti fra due società per azioni aventi sede nel suddetto Stato membro, quando la seconda società sia totalmente controllata dalla prima unitamente a più consociate a loro volta da essa interamente controllate e aventi sede in vari altri Stati membri con i quali il primo Stato membro abbia stipulato convenzioni contro la doppia imposizioni contenenti una clausola di non discriminazione. Il primo principio rilevante all’interno del percorso argomentativo seguito dalla Corte per approdare alla decisione finale, riguarda la portata delle disposizioni relative alla libertà di stabilimento. Essa ribadisce che, sebbene dal tenore letterale sia possibile dedurre che queste abbiano lo scopo di assicurare il beneficio della normativa nazionale dello Stato membro di stabilimento ai cittadini di altri Stati membri, tuttavia esse impediscono che si ostacoli l’esercizio della libertà di stabilimento in un altro Stato membro di un proprio cittadino 21 22 o di una propria società costituita secondo la propria legislazione . 20 Sentenze 16 dicembre 1981, causa 244/80, Foglia/Novello, Racc. pag. 3045, punti 18 e 20; Sentenza 16 luglio 1992, causa C-83/91, Meilicke, Racc. pag. I-4871, punto 25. 21 G. BIZIOLI, Il rapporto tra libertà di stabilimento e principio di non discriminazione in materia fiscale: una disapplicazione nel recente caso Imperial Chemical Industries, in Dir. prat. trib., 1999, III, pagg. 334 e ss. 22 Sentenze 27 settembre 1988, causa 81/87, Daily Mail and General Trust, Racc. pag. 5483, punto 16, e Sentenza 16 luglio 1998, causa C-264/96, ICI, Racc. pag. I-4695, punto 21. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 17/87 In seguito la Corte procede a verificare se sussiste o meno la lamentata restrizione alla libertà di stabilimento e alla libera circolazione dei capitali. Nel fare ciò viene analizzata la legislazione nazionale. La normativa in esame prevede, a determinate condizioni, un beneficio fiscale nel caso di trasferimenti finanziari intragruppo, tra queste condizioni rientra quella in base alla quale le due società devono entrambe avere la sede in Svezia; tale beneficio viene concesso, per interpretazione giurisprudenziale, anche per i trasferimenti tra una società capogruppo svedese ad un’altra società svedese che sia controllata dalla prima e da una o più società da essa interamente controllate che abbiano la sede in un unico altro Stato membro con cui la Svezia abbia concluso una convenzione contro la doppia imposizione che contenga un clausola di non discriminazione. La situazione, però, muta, nel senso che il beneficio de quo viene negato, nell’ipotesi in cui si ripetano le medesime condizioni appena enunciate, ma con l’unica differenza che le società interamente controllate dalla capogruppo svedese abbiano sede in altri diversi Stati membri (e quindi, non in un unico altro Stato membro). Quindi, il fatto che una normativa nazionale subordini la concessione di un beneficio fiscale ad elementi costitutivi di natura transazionale, legittima la Corte ad affermare che si è in presenza di una “disparità di trattamento” basato sul criterio della sede delle società interessate. Una volta affermata l’esistenza della restrizione della libertà sancita dal Trattato, essa, secondo un orientamento caro alla Corte, deve poter essere giustificato. Poiché nessuna giustificazione è stata fornita dal governo svedese, la disparità di trattamento è stata ritenuta dalla Corte contraria alla libertà di stabilimento sancita dal Trattato. 2.4 Conclusioni Analoghe considerazioni rispetto a quelle già svolte per l’esame della sentenza ICI posso essere fatte anche in questa sede. Anche nella sentenza in esame, infatti, viene ribadito il principio in base al quale la libertà di stabilimento implica, non solo che alle società situate in un diverso Stato membro venga accordato il beneficio della disciplina nazionale, ma anche che una società di uno Stato membro non venga soggetta ad un trattamento fiscale differente qualora voglia esercitare la propria libertà di stabilimento. Anche in questo caso, nelle sue conclusioni l’Avvocato Generale parla di « tipica restrizione in uscita » e anche in questo caso è possibile ravvisare nell’ iter argomentativo della Corte un approccio basato sulla verifica di un’ eventuale disparità di trattamento che costituisca un ostacolo all’esercizio della libertà di stabilimento. 3. Marks & Spencer La sentenza del caso C-446/03, Marks & Spencer, emessa il 13 dicembre 2005, svolge un ruolo fondamentale nel filone giurisprudenziale analizzato in materia di libertà di stabilimento. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 18/87 Con il caso Marks & Spencer viene sottoposto alla Corte il problema relativo alla compatibilità di una normativa fiscale, nel caso di specie quella inglese, relativa alla determinazione e alla imputazione delle 23 perdite, con il diritto al libero stabilimento da parte delle società nell’ambito dell’Unione europea . La sentenza in esame, da un lato, ribadisce l’orientamento seguito dalla Corte relativo al divieto di restrizioni fiscali “in uscita”, dall’altro, fornisce un quid pluris in materia di utilizzo transfrontaliero delle perdite. Con tale sentenza viene riconosciuta, infatti, la possibilità in capo alla Marks & Spencer di poter dedurre dai redditi nazionali le perdite subite da controllate estere a condizione che la controllata non residente abbia esaurito o non possa usufruire della possibilità di utilizzazione delle stesse nello Stato di residenza. 3. 1 I fatti La Marks and Spencer, con sede nel Regno Unito (Home State), è una società a capo di un gruppo specializzato nella grande distribuzione di articoli di abbigliamento, prodotti alimentari, casalinghi e servizi finanziari. Tale società controllava, mediante una holding con sede nei Paesi Bassi, filiali (subsidiaries) stabilite in Germania (Host State), Belgio (Host State) e Francia (Host State). Alla fine degli anni ’90 le filiali hanno iniziato a registrare perdite destinate ad aumentare negli anni successivi, a tal punto da portare la Marks and Spencer alla decisione di cessare la propria attvità esercitata mediante tali filiali. Alla fine del 2001, infatti, la filiale francese veniva ceduta a terzi, mentre quelle tedesca e belga cessavano tutte le attività commerciali. Per ciascuno degli anni in questione (1998-2001), la Marks and Spencer chiedeva all’amministrazione fiscale britannica di poter godere dello “sgravio di gruppo”, cioè di poter portare in deduzione dall’imponibile le perdite realizzate dalle sue filiali tedesca, belga e francese. Da sottolineare che i criteri in base ai quali sarebbe dovuta avvenire la determinazione delle perdite, secondo quanto accordato dalle parti, trovavano la propria sede nella normativa del Regno Unito. Le domande di sgravio presentate dalla Marks and Spencer venivano respinte sulla base della considerazione che le controllate della società inglese non erano residenti ai fini fiscali nel Regno Unito, né vi esercitavano una attività economica per mezzo di una stabile organizzazione. 23 Si veda a tal proposito, CORDEWENER A, DAHLBERG M., PISTONE P., REIMER E. e ROMANO C., The Tax Treatment of Foreign Losses: Ritter, M & S, and the Way Ahead, in European Taxation, 4-5/2004; DEL SOLE, Il trasferimento delle perdite transfrontaliere: il caso Marks & Spencer, in Fiscalità Internazionale, 2006, 45; DELLA VALLE, Libertà di stabilimento e consolidamento delle perdite fiscali nei gruppi multinazionali, in GT- Rivista di giurisprudenza tributaria, 2006, 197; id., L’utilizzaizone cross border delle perdite fiscali, in Rass. Trib., 2006, 994 ss.; D. EVANS, European Court of Justice to Consider Cross- Border Loss Compensation, in International Bureau of Fiscal Documentation, 2003, 195; FUXA, Il “goup relief” e il caso marks & Spencer, in Fisclaità Internazionale, 2005, 293; GRANDINETTI, Gruppi di società, compensazione delle perdite e libertà fondamentali: il caso Marks & Spencer, in Dir. prat. trib. Internaz. , 2006, 353; S. GRILLI, Anocra sulla libertà di stabilimento, imposizione dei gruppi societari e riporto delle perdite, in Dir. prat. trib. , 4/2004, 755; MARTIN, Marks & Spencer: The Taxing Jurisdiction Argument: A Rebuttal, in Tax Planning International EU, 19; RUSSO, Tassazione di gruppo e deduzione delle perdite delle società controllate estere: un ostacolo fiscale alla libertà di stabilimento ancora in attesa di una soluzione?, in Riv. dir. trib. , 2006, 3; M. SCHEUNMANN, Decision in the Marks & Spencer case: a step Forward, but no victory for cross-border taxation in Europe, in Intertax, 34/2006, 54 ss. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 19/87 Le domande di sgravio respinte venivano impugnate dinanzi agli Special Commissioners of Income Tax 24 e, in seguito, la decisione con cui tale organo respingeva il ricorso veniva appellata dalla società ricorrente davanti alla High Court of Justice, Chancery Division. Ora, sebbene non sia questa la sede appropriata in cui svolgere una approfondiata e accurata analisi di quella che è la legislazione fiscale britannica sullo “sgravio di gruppo”, tuttavia è necessario fornire in maniera alquanto semplificativa alcuni tratti salienti di tale legislazione al fine di comprendere meglio le questioni sollevate nella sentenza in esame. Nel Regno Unito, l’imposta sul reddito delle società viene calcolato sulla base del world wide principle in base al quale le società residenti vengono tassate per i redditi ovunque prodotti, mentre le società non residenti che svolgono nel Regno Unito un’attività commerciale per mezzo di una stabile organizzazione, sono assoggettate all’ imposta sulle società solo per la parte di utili di origine nazionale, per quella parte di utili, cioè, che siano imputabili ai profitti realizzati mediante le stabili organizzazioni situate nel Regno Unito. Inoltre, per prevenire le doppie tassazioni, il Regno Unito utilizza il metodo del credito di imposta. Il regime fiscale dei gruppi presenta delle peculiarità dovute al fatto che all’interno del diritto tributario britannico non esiste il consolidamento dei risultati delle società di un gruppo: ciascuna società versa le imposte separatamente sugli utili conseguiti. Tale regime, in realtà, risulta attenuato sotto due profili: da un lato, infatti, le filiali estere possono distribuire i propri utili sotto forma di dividendi alla società controllante inglese e la conseguente doppia imposizione viene evitata attraverso la concessione di un credito d’imposta, dall’altro, viene istituito un regime particolare per le perdite dei gruppi detto “sgravio di gruppo” ( “group relief”). In base a tale regime ogni società del gruppo ( “ the surrendering company”) può cedere le sue perdite ad un’altra società dello stesso gruppo (“the claimant company”) e quest’ultima può dedurre tali pedite dai propri utili imponibli. La società che ha ceduto le proprie perdite, però, si priva, così facendo, della possibilità di dedurre tali perdite dal proprio reddito imponibile. 25 In seguito ad una modifica legislativa avvenuta dopo la sentenza ICI , la normativa britannica è stata modificata al fine di permettere il regime dello “sgravio di gruppo” anche alle società non stabilite nel Regno Unito che esercitano un’attività commerciale in detto Stato membro per mezzo di una stabile organizzazione o un’agenzia. Ora, come è ben possibile evincere dai fatti di cui alla causa principale sopra richiamati, le controllate della società ricorrente, non avendo sede né esercitando nel Regno Unito un’attività economica, non possono, in base ai requisiti richiesti dalla normativa britannica, beneficiare dello “sgravio di gruppo”. 24 In relazione alla decisione degli Special Commissioners: CRAIG, RAINER, ROLES, THOMMES e TOMSETT, UK Tribunal Rejects Loss Offset for European subsidiaries, in Tax Notes International, 2/2003; HINNEKENS L, The Marks & Spencer Case: UK Special Commissioners find UK group relief rules compatible with freedom of establishment, in European Taxation, 5/2003. 25 Nella sentenza 16 luglio 1998, caso C-264/96, ICI, Racc. I-4695, la Corte ha affermato il divieto di subordinare la possibilità esistente in capo ad una società residente di dedurre dal proprio reddito imponibile le perdite subite da una consociata residente, controllata per mezzo di una holding posseduta con un consorzio, alla condizione che l’attività della holding sia quella di detenere esclusivamente o principalmente le azioni di consociate stabilite nello Stato membro interessato. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 20/87 3.2 Le questioni pregiudiziali La Marks & Spencer ha, quindi, presentato appello di fronte alla High Court of Justice, che ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte due questioni pregiudiziali. Con tali questioni si chiede, in buona sostanza, di accertare se le disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento sono contrarie ad una normativa, quale quella in esame nella causa principale, che esclude la possibilità, per una società controllante residente, di dedurre dal proprio reddito imponibile le perdite prodotte in un altro Stato membro da una controllata stabilita nel territorio di quest’ultimo, sebbene preveda tale possibilità per le perdite subite da una controllata residente nel territorio nazionale. 3.3 Le argomentazioni della Corte La Corte risolve il quesito posto dal giudice nazionale affermando che è legittima una normativa di uno Stato membro che esclude “in modo generalizzato” la possibilità, per una controlllante residente, di dedurre dal proprio reddito imponibile le perdite subite in un altro Stato membro da una controllata che abbia la sede sul territorio di quest’ultimo. Allo stesso tempo, però, sancisce l’illegittimità di una normativa, in quanto contraria alle disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento, che esclude una tale possibilità nell’ipotesi in cui la controllata non residente abbia esaurito la possibilità di presa in considerazione delle perdite esistenti nel suo Stato di residenza per l’esercizio fiscale considerato nella domanda di sgravio, nonché degli esercizi fiscali precedenti e in cui, dall’altro, tali perdite non possano essere prese in considerazione nello Stato di residenza per gli esercizi fiscali futuri né da essa stessa, né da un terzo, in particolare in caso di cessazione a quest’ultimo. La Corte, nel risolvere le questioni poste al suo vaglio dal giudice nazionale, utilizza uno schema di giudizio, che si ripete in ogni pronuncia, e che si articola in tre distinte valutazioni: la prima attiene alla verifica di una possibile natura restrittiva della misura in esame, la seconda è volta ad analizzare le giustificazioni eventuali sulla base di motivi imperativi di interesse generale ed, infine, la terza concerne la proporzionalità fra i mezzi impiegati e gli scopi perseguiti. Prima di procedere alla constatazione di un eventuale carattere restrittivo della normativa fiscale controversa, la Corte ribadisce preliminarmente una serie di principi già espressi in altre pronunce e strumentali alla risoluzione della controversia. In primo luogo afferma che “sebbene la materia delle imposte dirette rientri nella competenza degli Stati 26 membri, questi ultimi devono esercitarla nel rispetto del diritto comunitario” . Con tale affermazione di principio, la Corte sottolinea che gli Stati membri non sono totalmente liberi nell’esercitare le proprie competenze in un settore come quello delle imposte dirette. Essi devono, in ogni caso, rispettare quelle che sono i doveri che derivano dall’adesione al Trattato CE. 26 Sentenza 8 marzo 2001, cause riunite C- 397/98 e C-410/98, Metallgesellschaft e a. , Racc. pag. I-1727, punto 37 e giurisprudenza ivi citata. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 21/87 In secondo luogo la Corte ribadisce, come già aveva fatto nella sentenza ICI, la portata delle disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento. Viene ribadito, cioè, che i cittadini di uno Stato membro che vogliano esercitare attività non subordinate o gestire imprese in un altro Stato membro, devono essere liberi di farlo, secondo quanto stabilito dall’articolo 43 del Trattato, alle medesime condizioni stabilite e previste dallo Stato membro di stabilimento per i propri cittadini. Inoltre, ai sensi dell’articolo 48 del Trattato, vengono assicurate le medesime garanzie anche alle società che siano costituite secondo quanto stabilito dalle leggi di uno Stato membro e che abbiano la sede sociale, l’amministrazione centrale o la sede principale nel territorio della Comunità europea e che vogliano svolgere la 27 loro attività nel detto Stato membro per mezzo di una controllata, succursale o agenzia . E’ interessante notare come, dopo aver sancito i presupposti logici che si ripetono in ogni pronuncia della Corte relativa alla compatibilità o meno di una normativa fiscale con le libertà sancite dal Trattato, la Corte ribadisce, sulla scorta di quanto affermato per la prima volta in maniera incisiva e preponderante nella sentenza ICI, il divieto esistente in capo agli Stati membri di porre in essere delle misure fiscali che possano costituire una restrizione “in uscita”. Nello svolgere le argomentazioni che la condurranno alla decisione finale, la Corte parte dalla constatazione che lo sgravio di gruppo previsto dalla normativa brittanica costituisce un vantaggio di natura fiscale per le società che ne possono usufruire, in quanto permette l’utilizzazione delle perdite prodotte da società del gruppo attraverso la loro imputazione immediata ai redditi di un’altra società del gruppo, realizzando in tal modo un “vantaggio di cassa”. Ora, posto che tale vantaggio viene negato a società che hanno controllate in altri Stati membri e che nel Regno Unito non esercitano una attività economica né hanno la residenza ai fini fiscali, ne consegue che la disciplina inglese dello “sgravio di gruppo” ha una natura restrittiva che può costituire un ostacolo per una società residente nel Regno Unito, dissuadendo la stessa dall’esercitare la propria libertà di stabilimento e dal creare controllate in altri Stati membri. Secondo la Corte, dunque, una normativa quale quella britannica che prevede una disparità di trattamento fra le perdite subite da una controllata residente e quelle subite da una controllata non residente, costituisce una 28 restrizione della libertà di stabilimento ai sensi dell’articolo 43 e 48 del Trattato . Quanto statuito dalla Corte trova specificazione nelle affermazioni che l’Avvocato Generale Madauro, al paragrafo 23 delle sue conclusioni, presentate il 7 aprile 2005, ha svolto in merito. Egli, entrando più nel dettaglio, afferma che ciò che gli Stati membri non sono liberi di fare senza tenere conto di quelli che sono i limiti e gli obblighi imposti dall’appartenenza alla Comunità, anche in una materia quale quella delle imposte dirette non sottoposta alla competenza specifica della Comunità, è “l’esercizio” delle competenze loro attribuite. Lo sono, invece, per quanto riguarda il delineamento e la strutturazione del prorpio sistema fiscale. Infatti, secondo quanto affermato da una girisprudenza consolidata (v. sentenza 28 giugno 1978, causa 1/78, kenny, Racc. pag. I-1489, punto 18, nel contesto dei diritti connessi alla cittadinanza europea, v. sentenza 15 luglio 2004, causa C-365/02, Lindfors, Racc. pag. I-0000, punto 34), non esiste discriminazione vietata dal Trattato quando vi siano divergenze tout court fra le legislazioni degli Stati membri. 27 28 Si deve sottolineare che, mentre nel quesito posto dal giudice nazionale veniva messo in rilievo la compatibilità con gli articoli 43 e 48 del Trattato di una normativa, quale quella controversa nella causa principale, che prevede un diverso trattamento fiscale a seconda che una società residente scelga di avvalersi in un altro Stato membro di una controllata piuttosto che di una stabile organizzazione, la Corte, come si evince dalla riformulazione fatta del quesito posto dal giudice nazionale, tralascia di porre alla sua attenzione tale aspetto. Le ragioni di ciò sono facilmente individuabili nelle affermazioni che l’Avvocato Generale fa ai paragrafi 42 e ss. delle sue conclusioni. Egli si rifà preliminarmente a Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 22/87 Posto che tale restrizione esiste è necessario verificare se essa possa essere giustificata. La Corte ricorda il principio, consolidato nella giurisprudenza comunitaria, in base al quale una restrizione è ammessa solo nell’ipotesi in cui la normativa da cui deriva persegue uno scopo legittimo compatibile con il Trattato, è giustificata da ragioni imperative di interesse generale e la sua applicazione è idonea a garantire il 29 perseguimento dello scopo perseguito, senza eccedere quanto necessario per raggiungerlo . Le giustificazioni addotte dagli Stati che hanno presentato le loro osservazioni nella causa principale, non sono sconosciute nell’ambito del panorama delle pronunce della Corte; ciò che colpisce maggiormente è, invece, la modalità con cui nella sentenza in esame, la Corte procede nell’affrontare tali giustificazioni. Il primo ordine di giustificazioni presentate a fondamento della propria difesa dal Regno Unito e dagli altri Stati membri rigurda l’impossibilità di comparare le situazioni in cui versano le controllate residenti e quelle non residenti, con particolare riferimento ad una normativa quale quella oggetto di giudizio, e il principio di territorialità. Infatti, in base a tale principio, riconosciuto 30 nella prassi fiscale internazionale e nella giurisprudenza comunitaria, la competenza in materia fiscale spetterebbe, in linea di principio, agli Stati sul cui territorio le società sono registrate e svolgono attività commerciale. Ne consegue che uno Stato membro, come quello nel caso di specie in cui è registrata la controllante, non è competente in materia fiscale nei confronti di società controllate che non abbiano la residenza fiscale in tale Stato membro o non vi esercitino un’attivtà economica. In base a quanto sostenuto dai governi dei vari Stati membri, se manca il potere impositivo e quindi la possibilità di tassare gli utili delle controllate non residenti, non è possibile neanche tener conto delle loro perdite per offrire un vantaggio al gruppo a cui appartengono. Al riguardo la Corte ha osservato che, anche se la residenza del contribuente “può” determinare, o meglio, giustificare, il porre in essere di un differente trattamento fiscale tra residenti e non residenti, tuttavia non costituisce la regola, “non è sempre un fattore giustificato di distinzione”. sentenze, quale ad esempio la Saint-Gobain, in cui viene vietata dalla Corte ogni forma di disparità di trattamento fra le diverse forme di stabilimento adottabili dagli operatori. Tuttavia, sostiene l’Avvocato Generale, nella causa in esame la disparità di trattamento fra le forme di stabilimento deriva dal differente regime che la legge inglese riserva alle controllate estere e alle stabili orgarganizzazioni estere di società residenti. Non vi è, infatti, nel Regno Unito un regime di consolidamento fiscale, per cui le società controllate vengono comunque considerate come entità giuridiche indipendenti. La disparità di trattamento lamentata fra le due forme di stabilimento deriva dalla differenza dei regimi fiscali applicabili. La controllata, infatti, è un soggetto giuridico distinto e autonomo, mentre la stabile organizzazione costituisce un prolungamento dello stesso soggetto giuridico che esercita all’estero la sua attività tramite la stabile organizzazione. Ragione per cui, la conclusione a cui arriva l’Avvocato Generale è quella della inesistenza della lamentata discriminazione, derivante dalla circostanza che le situazioni non possono, dato il diverso regime fiscale ad esse applicabile, essere oggetto di un’analisi di comparabilità. 29 Sentenza 15 maggio 1997, causa C-250/95, Futura Partecipations e Singer, Racc. pag. I-2471, punto 26, e Sentenza11 marzo 2004, causa C-9/02, De Lasteyrie du Saillant, Racc. pag. I- 2409, punto 49. 30 Nella sentenza 15 maggio 1995, caso C-250/95, Futura Partecipations e Singer, Racc. pag. I-2471, la Corte, richiama il principio di territorialità per indicare i limitati poteri di tassazione dello Stato Lussemburghese nei confronti di un soggetto non residente per le perdite da questo prodotte in Lussemburgo tramite una stabile organizzazione e la cui riportabilità era limitata ad una con redditi futuri prodotti in Lussemburgo. La prospettiva è quella dello Stato dell’investimento. Nel caso Marks & Spencer, come rilevato la prospettiva adottata dalla Corte è quella dello Stato d’origine o residenza. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 23/87 In caso contrario, infatti, si andrebbe a svuotare di contenuto quella che è la protata dell’articolo 43 del Trattato, che garantisce in capo ai cittadini di uno Stato membro la possbilità di svolgere attività economiche in un altro Stato membro alle medesime condizioni previste dalle leggi dello Stato membro di stabilimento per i propri cittadini. Per risolvere il contrasto sopra delineato e far si che vi sia un equo contemperamento fra le esigenze di cui sopra, è necessario, suggerisce la Corte, svolgere, caso per caso, in base alle cirscostanze del caso concreto, un’analisi volta all’accertamento di elementi oggettivi, in grado di giustificare tali disparità di trattamento. Ora, in linea teorica e tendenziale, in una situazione quale quella in cui si versa nella causa principale sembrerebbe che lo Stato membro agisca in ossequio a quello che è il principio di territorialità, andando a tassare le società residenti per i redditi ovunque prodotti, quelle non residenti solo limitatamente ai redditi derivanti da attività poste in essere all’interno di detto Stato membro. Tuttavia, sostiene la Corte, la circostanza in base alla quale i redditi della controllata non residente non siano tassati dallo Stato in questione non è un elemento idoneo a giustificare “di per sé” la negazione di un vantaggio quale quello dello “sgravio di gruppo” alle società controllate non residenti. Quelle appena esposte sono le argomentazioni utilizzate dalla Corte per respingere la prima delle 31 giustificazioni presentate dagli Stati intervenuti . La Corte, poi, procede nel valutare le possibili giustificazioni alla restrizione accertata nella prima parte del procedimento, esaminando le conseguenze di un’estensione incondizionata dello “sgravio di gruppo”. 31 A tal proposito è necessario riportare quanto sostenuto dall’Avvocato Generale nelle sue conclusioni in merito alla causa di giustificazione legata al principio di territorialità. Egli sostiene che il governo del Regno Unito abbia fornito una interpretazione non del tutto corretta del principio di territorialità. Sarebbe, infatti, errato ritenere tale principio come un mezzo attraverso il quale poter giustificare l’esclusione di un vantaggio fiscale, per il solo fatto che manchi, corrispondentemente, un potere impositivo. Tale principio deve essere inteso, piuttosto, come uno strumento per mezzo del quale sia possibile far coesistere le diverse sovranità fiscali degli Stati membri, per cui l’esercizio della competenza fiscale di uno Stato membro presuppone un collegamento con la nazionalità del soggetto passivo o con la localizzazione nel territorio dei redditi imponibili. Nel delineare, in linea di principio, quello che è l’ambito nel quale il potere impositivo di uno Stato membro può trovare esplicazione, il principio in questione ha lo scopo di evitare l’insorgenza di eventuali conflitti di competenza tributaria tra gli Stati membri. Tuttavia, è importante precisare che, l’interpretazione e l’utilizzo di detto principio non può prescindere dal rispetto di quelli che sono gli obblighi sorgenti in capo agli Stati membri e derivanti dalla loro appartenenza alla Comunità. Tale appartenenza implica comunque un rispetto e un doveroso ossequio a quelle che sono le libertà garantite dal Trattato. L e argomentazioni fornite dal governo del Regno Unito, invece, sono volte a giustificare, sulla base del principio di territorialità, la mancata concessione di un vantaggio fiscale, consistente nella possibilità di prendere in considerazione le perdite di una controllata non residente, sulla base della sola considerazione che in capo alla società residente non vi è un corrispondente potere impositivo sugli utili della controllata. E’ possibile notare come, sebbene la Corte e l’Avvocato Generale arrivino al medesimo risultato, consistente nel diniego della giustificazione presentata dal governo del Regno Unito, tuttavia nelle considerazioni svolte dall’Avvocato Generale vi è una maggiore enfasi nel rigettare tali giustificazioni. Per un approfondimento sul dibattito sorto in dottrina sulle conclusioni delll’Avvocato Generale Maduro si veda LANG M. , Marks &Spencer-more questions than answers: an analysis of the Opinion delivered by Advocate General Maduro, in EC Tax Review, 2/2005, e MEUSSEN G. T. K. , Cross-Border Loss Relief in the European Union following the Advocate General’s Opinion in the Marks & Spencer Case, in European Taxation, 7/2005; MEUSSEN, The Marks & Spencer case: the final countdown has begun, in European Taxation, 2005, 160 e ss; M. RUSSO, The 2005 Leiden Forum on Recent and Pending Direct Taxation Cases before the European Court of justice, Intertax, volume 34, 4/2006. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 24/87 A tal proposito vengono forniti dal Regno Unito e gli altri Stati membri tre elementi di giustificazione. La prima giustificazione attiene la coerenza o la simmetria dei sistemi fiscali per la salvaguardia di una “equilibrata ripartizione del potere impositivo degli Stati”; la seconda giustificazione riguarda il possibile duplice uso delle perdite; infine, viene addotta quale giustificazione il rischio di evasione fiscale. Deve sottolinearsi che la Corte (nei paragrafi 44-51) compie una analisi delle cause di giustificazione presentate dagli Stati intervenuti in modo del tutto differente rispetto a quello che è sempre stato il suo approccio abituale. Essa, infatti, valuta le cause di giustificazione nel loro complesso e non separatamente. Preliminarmente la Corte, ribadisce, rifacendosi ad un orientamento già espresso in altre sentenze, che la riduzione delle entrate tributarie non può in nessun modo essere considerato come un motivo imperativo di interesse generale valido a giustificare una normativa in contrasto con le libertà fondamentali sancite dal 32 Trattato . Tuttavia, argomenta la Corte, una “equilibrata ripartizione del potere impositivo fra i diversi Stati membri interessati” implica che ciascuno Stato membro applichi la propria normativa fiscale alle attività economiche delle società residenti in tale Stato, relativamente ai profitti e alle perdite realizzate. Consentire, infatti, sottolinea la Corte, ad una società di scegliere se utilizzare le proprie perdite nello Stato membro in cui ha la residenza o in un altro Stato membro, non permette di realizzare quell’equilibrio tanto decantato nella ripartizione del potere impositivo fra gli Stati membri. In tal modo, la Corte ammette che la limitazione del vantaggio fiscale de quo, possa essere giustificato alla luce della necessità di garantire la coerenza del sistema fiscale, ribadendo la necessità di considerare quelli che sono i vincoli nascenti dalla convivenza delle sovranità fiscali degli Stati membri, affidandosi, ai criteri di 33 ripartizione nazionali, considerati prevalenti rispetto agli interessi comunitari . 32 Sentenza 7 settembre 2004, causa C-319/02, Manninen, Racc. pag. I-7477, punto 49 e giurisprudenza ivi citata. A tale proposito, non deve essere sottaciuto quanto espresso dall’Avvocato Generale nei paragrafi 66 e ss. delle sue conclusioni. Tale argomento, secondo l’Avvocato Generale Maduro, deve essere ricollegato al principio della coerenza del sistema fiscale. Inoltre, egli afferma che la giustificazione basata sulla necessità di garantire la coerenza del sistema fiscale deve essere accertata sulla base di quello che è lo scopo e la logica perseguiti dal regime britannico dello sgravio di gruppo. Tale considerazione merita di essere precisata. In primo luogo, l’Avvocato Generale precisa che la nozione di coerenza del sistema fiscale ha una funzione “correttiva”, ha lo scopo, cioè, di andare a corrreggere gli effetti della previsione delle libertà fondamentali sancite dal Trattato sulla organizzazione dei sistemi fiscali che, invece, rientra, in linea di principio, nella competenza esclusiva deli Stati membri. Quindi la coerenza fiscale avrebbe l’obiettivo di tutelare “l’integrità” dei sistemi fiscali nazionali, senza però ostacolare “l’integrazione” di tali sistemi nell’ambito della Comunità. Fatte queste considerazioni, l’Avvocato Generale continua analizzando quello che è lo scopo della normativa in questione. Egli sottolinea che la logica del sistema dello sgravio di gruppo è quella di “neutralizzare, sotto il profilo fiscale, gli effetti della costituzione di un gruppo di società”. Da ciò ne deriva che la compensazione dei risultati economici del gruppo a livello aggregato e la possibilità di trasferire le perdite dalle società controllate sono gli obiettivi fondamentali perseguiti da una normativa quale quella britannica sullo sgravio di gruppo. Deve, quindi, dimostrarsi che il rifiuto sistematico da parte della normativa fiscale inglese di prendere in considerazione le perdite delle controllate estere all’interno del gruppo, risponde all’obiettivo di tutelare la logica insita nella normativa sullo sgravio di gruppo. Per cui, se la concessione dello sgravio in relazione alle perdite di controllate estere va a minare la neutralità perseguita, il divieto di consolidare le perdite è giustificato, in caso contrario tale divieto sarebbe una misura sproporzionata allo scopo perseguito. Ora, è evidente come vi sia una differenza di toni e di impostazioni fra le argomentazioni esposte dalla Corte e 33 Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 25/87 Per quanto riguarda la seconda giustificazione addotta dagli Stati intervenuti relativa al rischio di un duplice utilizzo delle perdite, la Corte afferma che, in linea di principio gli Stati membri devono potersi opporre a tale rischio. Il pericolo di un richio del genere, insito nella possibilità che le perdite vengano utilizzate anche dallo Stato della società cedente e non residente, viene eliminato attraverso la previsione di una normativa, quale quella in oggetto, che esclude la possibilità di beneficiare dello “sgravio di gruppo” con riferimento alle attività economiche esercitate al di fuori del territorio nazionale. Il rischio di evasione fiscale, presentato come terza causa di giustificazione, trova la propria ragion d’essere nella circostanza che all’interno di un gruppo di società venga organizzato e pianificato trasferimento di perdite in Stati in cui le aliquote sono più elevate e quindi maggiore sarebbe il valore fiscale delle perdite. Prevedere una normativa quale quella in esame nella causa principale, sottolinea la Corte, impedirebbe il rischio appena prospettato. Alla luce di questi elementi di giustificazione la Corte stabilisce che la normativa dello “group relief”, per quanto possa considerarsi come restrittiva, tuttavia persegue obiettivi legittimi compatibili con il Trattato e configurabili fra i motivi imperativi di interesse generale. Risulta, inoltre, idonea a garantire la realizzazione di tali obiettivi. 34 La Corte, non esaurendo in tal modo il proprio processo decisionale, si riserva di stabilire se la misura restrittiva in questione sia conforme al principio di proporzionalità, se essa, cioè, non ecceda quanto necessario per il conseguimento sostanziale degli scopi perseguiti. Infatti, come hanno sostenuto la società ricorrente e la Commissione, la previsione di una eslcusione generalizzata del beneficio dello sgravio di gruppo, potrebbe essere sostituita da una normativa meno restrittiva che persegua il medesimo obiettivo. E’ a questo punto della sentenza che prende luogo l’aspetto più preponderante della sentenza in esame e la sua portata innovativa. La Corte, infatti, afferma che “la misura restrittiva de quo eccede quanto necessario per il conseguimento sostanziale degli scopi perseguiti in una situazione in cui: La controllata non residente ha esaurito le possibilià di presa in considerazione delle perdite esistenti nel suo Stato di residenza per l’esercizio fiscale considerato nella domanda di sgravio, nonché degli esercizi fiscali precedenti, eventualmente mediante un trasferimento di tali perdite ad un terzo, oppure l’imputazione delle dette perdite ai profitti realizzati dalla controllata durante gli esercizi precedenti e, Le perdite della controllata estera non possano essere prese in considerazione nel suo Stato di residenza per gli esercizi fiscali futuri né da essa stessa, né da un terzo, in particolare in caso di cessione a quest’ultimo della controllata”. quelle seguite dall’Avvocato Generale. La Corte, infatti, sembra aver tralasciato i suggerimenti interpretativi forniti dalle conclusioni dell’Avvocato Generale. 34 La Corte non si esime dall’affermare, al pragrafo 52 della sentenza in esame, che l’analisi svolta non viene in nessun modo intaccata dalle indicazioni contenute nella seconda parte del primo quesito posto dal giudice nazionale relative a “ ai profitti e alle perdite di una succursale estera di una società registrata nel detto Stato membro; ai dividendi distribuiti ad una società registrata in quest’ultimo da parte di una controllata registrata in un altro Stato membro”. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 26/87 In definitiva, la Corte, effettuato il test di proporzionalità 35 e sancito che tale test non è stato superato dalla normativa in questione, statuisce che per poter utilizzare le perdite la controllante deve dimostrare che la controllata abbia esaurito la possibilità di utilizzarle nel proprio paese di stabilimento, anche mediante meccanismi di riporto indietro o in avanti, ovvero concedendole a terzi 36 3. 4 Conclusioni Con il caso Marks & Spencer viene posto all’attenzione della Corte la questione dell’impatto della normativa inglese in materia di determinazione e imputazione delle perdite sul diritto al libero stabilimento delle società nel terriotorio comunitario per mezzo di controllate. La Corte, una volta accertata la natura restrittiva della normativa inglese, procede nel verificare se tale normativa possa essere legittimata da giustificazioni di interesse generale e dal perseguimento di uno scopo compatibile con il Trattato. L’analisi condotta in relazione alle cause di giustificazione presentate, porta la Corte ad affermare che la normativa inglese è giustificata, in quanto persegue scopi di interesse generale ed è idonea a perseguire tali interessi. Il problema sorge in relazione al fatto che è l’argomento della proporzionalità che conduce la Corte ad affermare l’illegittimità della normativa inglese sullo sgravio di gruppo. In buona sostanza, la Corte al termine del proprio iter logico interpretativo, considera la normativa sullo sgravio di gruppo come non idonea a conseguire lo scopo perseguito in maniera proporzionata. E’ proprio l’analisi condotta in questa importante pronuncia che rende evidente quello che è l’approccio della Corte in materia. Infatti, in presenza di una misura fiscale nazionale che si presenti come restrittiva della libertà di stabilimento, e quindi di un diritto fondamentale sancito dal Trattato, è necessario procedere a verificare se tale misura, anche se restrittiva possa essere comunque giustificata da motivi di interesse generale; nell’ipotesi in cui anche quest’ultimo profilo di analisi possa considerarsi soddisfatto, allora la Corte procede nel verificare se la misura restrittiva possa essere considerata quale strumento indispensabile al raggiungiemento dello scopo prefissato, se, cioè, lo socpo prefissato non possa esser perseguito con mezzi meno restrittivi della libertà di stabilimento. E’ sulla base di questa impostazione che la Corte afferma che, in linea di principio, potrebbe essere ammesso un regime che non consenta la deduzione di perdite di controllate estere, purchè, però, tale regime superi il controllo di proporzionalità. 36 Deve sottolinearsi come, le argomentazioni utlime fornite dalla Corte non coincidano con quelle fatte dall’Avvocato Generale nelle sue conclusioni, sebbene entrambi poi giungano al medesimo risultato. Infatti, l’Avvocato Generale sostiene che la giustificazione della coerenza del sistema fiscale, da lui propugnata, può essere accolta solo nell’ipotesi in cui si verifichi che, le perdite subite all’estero, sono assoggettate ad un trattamento fiscale equivalente a quello che riserva lo Stato in cui sono prodotte. La condizione a cui, secondo l’Avvocato Generale, lo sgravio può essere concesso è che le perdite delle controllate estere non possano costituire oggetto di un trattamento fiscale favorevole nel paese in cui hanno sede. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 27/87 Nel caso di specie la Corte, con una soluzione che non sembra aver risolto in maniera definitiva il problema della compatibilità comunitaria delle norme fiscali nazionali che ostacolano la compensazione transfrontaliera delle perdite, dichiara che non è proporzinale allo scopo perseguito la normativa fiscale che impedisca la compensazione transfrontaliera delle perdite nell’ipotesi in cui la controllata abbia esaurito la possibilità di utilizzarle nel proprio Paese di stabilimento, anche mediante meccanismi di riporto indietro o in avanti ovvero concedendole a terzi. 4.Rewe Zentralfinanz Dopo la sentenza Marks & Spencer, il tema della compensazione transfrontaliera delle perdite viene riaffrontato dalla Corte con la sentenza C-347/04, Rewe Zentralfinanz, emessa il 29 marzo 2007. La pronuncia in esame costituisce una conferma rispetto a quello che è il consolidato orientamento giurisprudenziale comunitario in materia di libertà di stabilimento. Nella sentenza Rewe Zentralfinanz, infatti, la Corte stabilisce che le disposizioni del Trattato in materia di libertà di stabilimento ostano ad una normativa di uno Stato membro che limiti la possibilità, per una società controllante residente, di deduzione fiscale delle perdite subite da detta società a titolo degli ammortamenti realizzati sul valore delle sue partecipazioni in società controllate residenti in altri Stati membri. 4.1 I fatti La società Rewe Zentralfinanz, con sede in Germania (Home State), nel 1995 concludeva un contratto di fusione con cui il gruppo Kaufhof cedeva la società ITS, una società del gruppo operante nel settore turistico. Per effetto di tale contratto, la Rewe Zentralfinanz acquisiva il patrimonio della ITS, divenendone il successore universale. La struttura societaria creata dalla ITS prevedeva una holding e una sub-holding, da essa controllate al 100 per cento e residenti entrambe nei Paesi Bassi. Inoltre la sub-holding aveva acquistato partecipazioni in due società in Belgio (Host State), in una società nel Regno Unito (Host State) e in una società in Spagna (Host State). In considerazione delle continue perdite subite all’estero, la capogruppo tedesca (all’epoca dei fatti la ITS, poi fusa nella Rewe Zentralfinanz), ha effettuato una svalutazione del valore della partecipazione oltre che una rettifica del valore di alcuni crediti relativamente alle società residenti nel Regno Unito e in Spagna. L’amministrazione fiscale tedesca si era rifiutata di prendere in considerazione questi oneri a titolo di redditi negativi per stabilire l’utile imponibile della Rewe Zentralfinanz nel corso dei due anni controversi (il 1993 e 1994), adducendo quale motivazione il fatto che la normativa nazionale in materia di imposte sulle società non consentiva di accogliere tale richiesta. La normativa nazionale controversa prevedeva la possibilità di dedurre dall’utile imponibile gli ammortamenti sul valore parziale più basso delle partecipazioni, ossia il minor valore del prezzo di acquisto della partecipazione in una società, derivante dalle persistenti perdite subìte da quest’ultima. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 28/87 La normativa in questione prevedeva anche che, se la partecipazione era relativa ad una società stabilita in Germania, la società che detenenva la partecipazione poteva compensare le perdite con gli utili realizzati nello stesso esercizio; diversamente se la partecipazione era riferibile ad una società non stabilita in Germania, allora la compensazione era ammessa solo se le perdite risultanti dagli ammortamenti fossero compensate da utili provenienti dallo stesso Stato estero. Tale possibilità era prevista anche nel caso in cui la società possedesse una partecipazione non inferiore al 25 per cento in un’altra società di capitali straniera a sua volta produttiva di utili. La Rewe Zentralfinanz, di fronte al diniego della amministrazione finaziaria tedesca, presentava ricorso dinanzi al Finanzgericht Koln, sostenendo che l’applicazione della normativa nazionale costituisse una discriminazione contraria al diritto comunitario. Il giudice del rinvio, riteneva fondata l’ impugnazione della Rewe Zentralfinanz, in quanto la normativa in questione costituiva una violazione del diritto comunitario; sosteneva, inoltre, di non poter addurre motivi volti a giustificare l’esistenza nel sistema fiscale tedesco di una tale normativa. 4. 2 Le questioni pregiudiziali In considerazione di quanto appena affermato, il giudice nazionale sospendeva il procedimento e chiedeva alla Corte se le disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento e alla libera circolazione dei capitali debbano essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa che- come quella controversa nella causa principale contenuta nell’articolo 2 bis, commi primo, numero 3, lett. a) e secondo, dell’ EstG- limiti l’immediata deducibilità fiscale delle perdite derivanti dall’ammortamento sul valore di partecipazione in società controllate stabilite in altri paesi della Comunità, quando queste ultime effettuino operazioni passive ai sensi della normativa nazionale e/o quando effettuino operazioni attive ai sensi della normativa nazionale solo tramite proprie sub-controllate, mentre sono consentiti senza limitazioni gli ammortamenti sul valore di partecipazioni in società controllate stabilite nel territorio nazionale 4.3 Le argomentazioni della Corte La Corte nel rispondere al quesito posto dal giudice nazionale, afferma che in circostanze quali quelle di cui alla causa principale, in cui una società controllante che detiene in una società controllata non residente una partecipazione tale da conferirle una sicura influenza sulle decisioni di detta controllata estera e da consentirle di indirizzarne le attività, gli articoli 43 e 48 del Trattato ostano ad una normativa di uno Stato membro che limiti, per una società controllante residente nel suo territorio, le possibilità di deduzione fiscale delle perdite subite da detta società per gli ammortamenti realizzati sul valore delle sue partecipazioni in società controllate stabilite in altri Stati membri. L’analisi svolta dalla Corte nel risolvere la questione sottoposta al suo vaglio dal giudice nazionale è articolata in numerosi passaggi che meritano di essere messi in luce per meglio comprendere la portata della soluzione fornita dalla Corte. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 29/87 In primo luogo viene ribadito dalla Corte un principio che essa tende a precisare in ogni pronuncia in materia di libertà di stabilimento. Viene chiarito, cioè, che la materia delle imposte dirette, pur rientrando nella competenza degli Stati membri, tuttavia deve essere esercitata nel rispetto del diritto comunitario e degli obblighi derivanti dall’adesione al 37 Trattato . Successivamente vengono ribaditi tutti i principi rilevanti sanciti nelle precedenti pronunce e che costituiscono i tasselli di cui la Corte si serve per risolvere le varie questioni sottoposte al suo vaglio in materia di libertà di stabilimento. Viene, di conseguenza, riaffermato quello che è l’ambito di applicazione materiale della libertà di stabilimento sancita dagli articoli 43 e 48 del Trattato. In particolare, si chiarisce che la prima di tali disposizioni consente ai cittadini di uno Stato membro di esercitare, in un altro Stato membro, attività non subordinate, nonché gestire imprese, alle stesse condizioni ivi previste per i propri cittadini; tale previsione vale, nel senso di piena libertà nello svolgere la propria attività tramite una controllata, una stabile organizzazione o un’agenzia, secondo quanto stabilito dall’articolo 48 del Trattato, anche per le società che abbiano la sede sociale, l’amministrazione centrale o la sede principale nel territorio della Comunità 38 . Ribadendo, inoltre, quella che era stato per la prima volta affermato nella sentenza ICI, afferma che gli Stati membri non devono porre in essere delle misure che siano volte ad creare restrizioni “in uscita”, che abbiano, cioè, lo socpo di disincentivare, da parte di un cittadino di uno Stato membro, l’esercizio alla propria libertà di stabilimento garantita dal Trattato. Fatte queste importanti premesse, la Corte procede ad analizzare la normativa fiscale tedesca al fine di verificare se si è di fronte ad una restrizione della libertà di stabilimento. Tale normativa, come già evidenziato, prevede una disciplina di compensazione fiscale delle perdite realizzata attraverso l’ammortamento parziale sul valore delle partecipazioni in una controllata, che si differenzia a seconda della circostanza che la partecipazione si riferisca o meno ad una società stabilita in Germania. Infatti, nell’ipotesi in cui si tratti di una società controllata stabilita in Germania, le perdite relative all’ammortamento sul valore delle partecipazioni sono incluse “immediatamente e senza limiti” nella determinazione dell’utile imponibile della controllante realizzato nello stesso esercizio. Nell’ipotesi in cui, invece, la partecipazione sia riferita ad una società stabilita in un altro Stato membro, la compensazione è ammessa solo se le perdite sono compensate da utili provenienti dallo stesso Stato estero. Ora, il fatto che una società controllante tedesca che abbia una controllata in un altro Stato membro non possa beneficiare dell’utilizzo immediato delle sue perdite, costituisce una privazione di un vantaggio di 39 cassa . 37 Sentenza 8 marzo 2001, cause C-397/98 e C-410/98, Metallgesellschaft e a. Racc. pag. I-1727, punto 37; Sentenza 13 dicembre 2005, causa C-446/03, Marks and Spencer, Racc. pag. I-10837, punto 29; sentenza12 settembre 2006, causa C196/04, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, Racc. pag. I-7995, punto 40, e Sentenza 13 marzo 2007, causa C-524/04, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation, Racc. pag. I-2107, punto 2. 38 Sentenze 21 settembre 1999, causa C-307/97, Saint Gobain ZN, Racc. pag. I-6161, punto 35; Sentenza Marks and Spencer, cit. punto 30, nonché Sentenza 23 febbraio 2006, causa C-471/04, Keller Holding, Racc. pag. I-2107, punto 29. 39 v. , in tal senso, sentenza Marks and Spencer, cit. , punto 3. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 30/87 Una situazione, quindi, come quella in cui versa la Rewe Zentralfinanz che detiene partecipazioni in società residenti in altri Stati membri è meno favorevole rispetto a quella di una società che, a parità di condizioni, detiene partecipazioni solo in società residenti. Come conseguenza logica e necessaria di quanto appena affermato, la Corte stabilisce che si è di fronte ad una differenza di trattamento fiscale che renderebbe, per una società che voglia avvalersi del proprio diritto di stabilimento, la possibilità di esercitare la propria attività mediante controllate non residenti nel territorio nazionale, “meno attrente”. Infatti, privare le società che posseggono controllate all’estero del vantaggio de quo può disincentivare la costituzione di società controllate in altri Stati membri. Per tale ragione la Corte statuisce che la misura nazionale controversa costituisce una restrizione “in uscita” 40 alla libertà di stabilimento . Una volta verificata l’esistenza della restrizione la Corte procede ad analizzare le cause di giustificazione invocate dal governo tedesco per determinare se detta restrizione possa comunque essere considerata compatibile con il diritto comunitario. In primo luogo il governo tedesco, influenzato da quella che era stata l’eco della sentenza Marks and Spencer, adduce quale giustificazione l’esistenza di una simmetria tra il diritto di tassare gli utili di una società e il dovere di prendere in considerazione le perdite da essa sofferte. Invoca, dunque, la necessità di garantire il rispetto di una equilibrata ripartizione fra il potere impositivo degli Stati membri. Tale argomentazione viene respinta dalla Corte. Nella sentenza Marks and Spencer la Corte aveva, per la prima volta, statuito che al fine di comprendere se un sistema fiscale sia compatibile con le libertà fondamentali sancite dal Trattato, doveva essere preso in considerazione il principio della equilibrata ripartizione del potere impositivo tra gli Stati mebri. In tale sentenza la Corte si era preoccupata di delimitarne e definirne l’ambito di applicazione. Ciò che, però, caratterizza e differenzia l’approccio seguito dalla Corte nella Marks and Spencer è il fatto che la causa di giustificazione de quo non era stata presa in considerazione di per sé, ma in quanto collegata ad altre due cause di giustificazione. Nella sentenza sopra citata, la Corte aveva affermato che, la circostanza in base alla quale ad una società fosse stata lasciata libertà di scelta in merito allo Stato in cui prendere in considerazione le proprie perdite, era idonea a compromettere l’equilibrata ripartizione fra il potere impositivo degli Stati membri. 40 La differenza di trattamento può essere dedotta anche alla luce della corretta individuazione della dell’oggetto di comparazione. Come sottolineato dall’Avvocato Generale Maduro al paragrafo 21 delle sue conclusioni, l’analisi non deve essere riferita alla situazione delle società controllate, ma deve essere condotta con riferimento alla situazione della società controllante. Nel caso in esame, la situazione in cui versa la controllante è diversa a seconda della residenza delle controllate poiché l’esenzione da tassazione dei dividendi provenienti dalle società controllate, residenti in Germania o meno, non è compensata da una analoga disciplina riguardante la svalutazione delle partecipazioni in capo alla controllante. La diversità in questione non è funzione della differente tassazione degli eventuali utili distribuiti dalle controllate. Il discrimen,in questo caso, deve essere ravvisato nella circostanza che la svalutazione della partecipazione, fa riferimento alla società controllante, non essendoci, in tal modo, una differenza oggettiva che possa porsi come giustificazione al diverso trattamento fiscale. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 31/87 Ammettendo, infatti, tale possibilità si poteva giungere alla conseguenza per cui la base imponibile dello Stato da cui erano state trasferite le perdite sarebbe aumentata, mentre quella dello Stato destinatario, ovviamente, sarebbe risultata ridotta. Ora, nella sentenza in esame, la Corte rifiuta la giustificazione legata alla necessità di garantire una equilibrata ripartizione tra il potere impositivo degli Stati, in quanto ritiene che essa, “ di per sé” non sia idonea a giustificare il rifiuto sistematico di un vantaggio fiscale sulla base della sola considerazione che, come sottolinea l’Avvocato Generale al paragrafo 27 delle sue conclusioni, vi deve essere una “regola di simmetria” tra il diritto di tassare gli utili e il dovere di prendere in considerazione le perdite. Ancora sottolinea l’Avvocato Generale che una tale interpretazione del principio della equilibrata ripartizione del potere impositivo è erronea e soprattutto sembra voler assumere la valenza di una causa di giustificazione di carattere puramente economico. 41 Deve essere sottolineato, inoltre, che è proprio in questa forma che la Corte ha rigettato una tale giustificazione nella sentenza Marks and Spencer. Ulteriore giustificazione fornita dal governo tedesco riguarda il rischio di un duplice uso delle perdite. Anche questa argomentazione viene rigettata dalla Corte. Infatti, sebbene nella sentenza Marks and Spencer si fosse espressa a favore di una tale argomentazione, tuttavia la medesima linea interpretativa non può essere addottata nella sentenza in esame. La ragione di tale impedimento risiede nel fatto che le fattispecie concrete da cui traggono origine le due sentenze così come le previsioni delle rispettive normative, non sono in modo assoluto paragonabili. Nella fattispecie in esame, infatti, le perdite di cui si tratta non sono, come per la sentenza Marks and Spencer, perdite subite da società controllate stabilite in altri Stati membri e successivamente trasferite sugli utili della società controllante residente nello Stato della normativa in questione; nella causa in oggetto gli aspetti determinanti e qualificanti la controversia riguardano perdite in cui è incorsa la società controllante (e quindi non le controllanti, come nella sentenza Marks and Spencer) a causa del deprezzamento del valore delle sue partecipazioni in controllate stabilite in altri Stati membri. Esse non hanno nulla a che vedere con le 42 perdite subite dalle controllate . In conformità con il precedente orientamento giurisprudenziale in materia, la Corte non accoglie quale causa di giustificazione il generico rischio di evasione fiscale derivante dalla localizzazione di società controllate in Stati membri diversi dalla Germania create al fine di apportare una riduzione agli utili imponibili della controllante tedesca, con particolare riferimento al settore turistico. 41 Più volte, infatti la Corte si è espressa in merito alla impossibilità da parte di circostanze legate a fattori puramente economici o legate ad esigenze di gettito fiscale, di giustificare una normativa restrittiva delle libertà fondamentali. 42 Non deve, inoltre, essere sottaciuta la circostanza che è permesso ad una società controllante tedesca che controlli società nel suo stesso Stato di stabilimento di dedurre dal proprio reddito imponibile l’ammortamento sul valore parziale delle sue partecipazioni in società controllate residenti, senza che ciò impedisca alle stesse controllate di utilizzare le proprie perdite. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 32/87 Infatti, la normativa in questione non si pone come obiettivo principale quello di escludere le “costruzioni 43 puramente artificiose” create allo scopo preciupuo di realizzare perdite negli Stati membri di residenza delle controllate. E’ in tal modo, precisa la Corte, che la normativa fiscale de qua viola il principio di proporzionalità, eccedendo quanto necessario per perseguire lo scopo che la norma intende raggiungere. Il fatto che la residenza della controllata sia in uno Stato membro diverso dalla Germania non implica necessariamente lo scopo di evasione, visto e considerato che comunque la società in questione sarebbe 44 assoggettata alla legge fiscale del Paese di stabilimento . Anche nella sentenza ICI, la Corte aveva negato la possibilità che il regime posto alla base del sistema fiscale britannico comportasse un generico rischio di evasione fiscale legato all’utilizzo delle perdite infragruppo. Nellla sentenza Marks and Spencer la Corte ha in parte modificato il proprio orientamento, ammettendo come valida una causa di giustificazione legata alla possibilità di trasferire le perdite di esercizio all’interno del sistema del group relief inglese allo scopo di ridurre il carico fiscale del gruppo, anche se poi in sede di valutazione della proporzionalità di tale disciplina si è affermato che non è proporzionata quando le società controllate estere non hanno la possibilità di compensare nel loro Stato di stabilimento le perdite con gli utili di esercizi successivi. Ciò che deve essere sottolineato è che nella sentenza Marks and Spencer, la validità della causa di giustificazione in questione non è stata valutata singolarmente, ma congiuntamente ad altri motivi. Tuttavia, nelle sentenze successive la Corte ha ritenuto corretto richiamare il precedente filone 45 giurisprudenziale iniziato con il caso ICI . Un’altra giustificazione presentata dal governo tedesco riguarda l’esigenza di garantire l’efficacia dei controlli fiscali. Infatti, secondo il governo tedesco, le possibilità in capo alle autorità nazionali di controllare le operazioni che hanno luogo al di fuori del territorio nazionale son piuttosto limitate. Detta giustificazione non viene accettata dalla Corte. La Corte più volte in passato si è espressa nel senso di una ammissione a che l’efficacia dei controlli fiscali 46 giustifichi una normativa che limita le libertà fondamentali . In linea di principio, quindi, è ammeso che uno Stato membro preveda delle misure grazie alle quali sia possibile verificare “ in modo chiaro e preciso” l’importo degli oneri deducibili in tale Stato a titolo delle partecipazioni nel capitale di società controllate stabilite in altri Stati membri. 43 Per quanto riguarda la necessità di perseguire l’obiettivo specifico di combattere costruzioni puramente artificiose, sentenze citate ICI, punto 26; Marks and Spencer, punto 57; Cadbury Schweppes e cadbury Scweppes Overseas, punto 51. 44 Paragrafo 52. 45 Infatti, sulla stessa linea della sentenza in esame, la Corte si è pronunciata nel caso Cadbury Schweppes e nel caso Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation. 46 Sentenze 15 maggio 1997, causa C-250/95, Futura Participationis e Singer, Racc. pag. I-2471, punto 31, e 28 ottobre 1999, causa C-55/98, Vestergaard, Racc. pag. I-7641, punto 23. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 33/87 Tuttavia le argomentazioni utilizzate in questi casi,comunque non sarebbero idonee a giustificare il fatto che uno Stato membro prevede regole diverse a seconda che le partecipazioni riguardino società che sono 47 stabilite nel territorio nazionale e società che sono stabilite al di fuori . La società che detiene il controllo in società con sede in altri Stati membri, deve poter esigere tutta la documentazione di cui ritiene necessaria la detenzione, dalle controllate. Questo, però, non deve comunque portare a giustificare, in una situazione in cui risulti particolarmente difficile la determinazione delle perdite dovute all’ammortamento sul valore delle partecipazioni in società controllate, la limitazione della libertà di stabilimento. Le ulteriori cause di giustificazioni presentate dal governo tedesco relative alla coerenza del sistema fiscale nazionale e al principio di territorialità non sono state accolte dalla Corte. In base alla convenzione contro le doppie imposizioni stipulata fra Germania e Paesi Bassi, i dividendi provenienti dai Paesi bassi e diretti in Germania sono esenti. Ne deriva che sarebbe perfettamente coerente non concedere alcun vantaggio fiscale alle società controllanti residenti sulla base delle perdite derivanti dalla svalutazione delle partecipazioni estere. L’orientamento della Corte la necessità di salvaguardare la coerenza del sistema fiscale può giustificare una restrizione alla libertà di stabilimento solo nell’ipotesi in cui sia possibile dimostrare un nesso fra il “vantaggio 48 fiscale e la compensazione di tale vantaggio mediante un prelievo fiscale” . L’esclusione della deducibilità delle perdite generate da una svalutazione della partecipazione non è compensato da un medesimo vantaggio attribuito alla medesima società, per cui non vi è un nesso diretto fra la svalutazione effettuata dalla società controllante in relazione ai dividendi percepiti dalle stesse società controllate. Inoltre, l’esenzione sui dividendi concerne sia le partecipate residenti che quelle non residenti. Però, mentre nell’ipotesi delle partecipate residenti tutto ciò avviene per mezzo dell’applicazione di una convenzione contro le doppie imposizioni, nel caso delle partecipate non residenti la ragione dev’essere ravvisata nell’applicazione della disciplina nazionale. Diversamente, a compensare l’esonero per i soggetti residenti e non residenti, la possibilità di dedurre la perdita prevista per la società madre è limitata solo per le società controllate estere. 47 Deve, inoltre, ricordarsi che la direttiva del Consiglio 19 dicembre 1977, 77/799/CEE, disciplina e favorisce la reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte dirette, per cui qualora uno Stato membro abbia la necessità di ottenere delle informazioni rilevanti dalle autorità fiscali di un altro Stato membro, ai fini della determinazione della imposta sulle società, può invocarla a fondamento delle proprie pretese. Il governo tedesco ha negato che una tale forma di cooperazione sia sufficiente, in quanto il controllo di operazioni estere di per sé risulta di non facile attuazione. A tal proposito la Corte ha ribadito che la direttiva 77/799 consente alle autorità fiscali interessate di ottenere informazioni necessarie analoghe a quelle esistenti fra gli uffici tributari a livello interno (v. , in tal senso, sentenza Vestergaard, cit. , punto 26). 48 Dopo il caso Bachmann (causa C-204/90, Racc. pag. I-249), in cui la Corte per la prima volta ha riconosciuto come causa di giustificazione l’elemento della coerenza, la Corte si è sempre mossa verso una progressiva restrizione dell’ambito di applicazione di tale causa di giustificazione, rendendola valida nei soli casi in cui vi fosse un solo tributo, un medesimo soggetto e un nesso diretto fra un “vantaggio fiscale e la compensazione di tale vantaggio con un prelievo fiscale determinato”. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 34/87 Posto che le due situazioni sono stata considerate come comparabili, la limitazione in questione non può considerarsi accettabile anche in ragione del fatto che i redditi imponibili della controllata sono soggetti, almeno una volta, di imposizione nello Stato di residenza. Ulteriore considerazione dev’essere fatta in merito all’impossibilità di considerare la coerenza anche nell’ipotesi in cui insieme all’impossibiltà di dedurre la perdita di esercizio venga messo in collegamento l’esenzione da imposta delle plusvalenze realizzate grazie alla cessione della partecipazione. In tal caso si verificherebbe comunque una differenza di trattamento in termini temporali poiché il divieto di dedurre le perdite di esercizio determina degli effetti immediati contrariamente a quanto accade in relazione all’esenzione sull’eventuale plusvalenza che invece è posticipata al momento della cessione. Per quanto riguarda invece il principio di territorialità, la Corte, discostandosi dai casi in cui tale giustificazione 49 è stata considerata valida , afferma che la concessione del vantaggio fiscale concerne la potestà impositiva del solo stato della controllante che, su quest’ultima, non subisce limiti all’imposizione. 4.4 Conclusioni La Corte nella pronuncia in esame rimane fedele a quelli che sono i principi costantemente affermati in materia di libertà fondamentali e trattamenti fiscali restrittivi. Anche in questa pronuncia, infatti, la Corte ribadisce l’illegittimità di una normativa fiscale di uno Stato membro che subordina la concessione di deduzione delle perdite a seconda della circostanza che la società controllante residente abbia controllate con sede o meno nello stesso Stato membro. Anche in questa pronuncia viene ribadita la superiorità delle libertà sancite dal Trattato sulle normative fiscali delgi Stati membri che pongono in essere delle misure restrittive e poco incentivanti all’esercizio di tali libertà. Ecco, dunque, che la Corte afferma che una differenza di trattamento fiscale tra società controllanti residenti, a seconda che dispongano o meno di controllate estere, non può essere giustificata né dall’argomento basato sulla equilibrata ripartizione del potere impositivo, né dal generale rischio di evasioni fiscale. Tali giustificazioni, se accettate in un contesto quale quello in cui si è sviluppata la sentenza Marks & Spencer, nella sentenza in esame, per la diversità delle circostanze di fatto e di diritto caratterizzanti la controversia, vengono respinte. 5. OY AA 50 La sentenza del caso C-231/05, OY AA, è stata emessa il 18 luglio 2007 . Anche questa sentenza si inserisce nel filone giurisprudenziale in materia di libertà di stabilimento. Essa riguarda la diversità di trattamento degli aiuti finanziari intragruppo a favore di socità madri con sede nel 49 Sentenza Futura Participations SA. Per un approfondimento si veda DAMI, Deducibilità dei trasferimenti finanziari infragrupppo e libertà di stabilimento, in Dir. prat. trib. Internaz., 2008, 617 ss.; MARJAANA HELMINE, Freedom of establishment and OY AA, in European Taxation, 11/2007, 490 e ss.; MARJAANA HELMINEM, The Esab Case and the Future of Group taxation Regimes in EU, Intertax, 12/2005, 595-602. 50 Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 35/87 territorio nazionale rispetto a quelli destinati a società madri con sede all’estero. In questo caso, la Corte approda ad una soluzione che sembra discostarsi dall’orientamento generale perseguito dalla Corte in materia. Viene, infatti, affermato che l’articolo 43 del Trattato non è contrario ad una tale normativa. 5.1 I fatti La società Oy AA, con sede in Finlandia (Home State), fa parte del gruppo AA, la cui società madre, la AA Ltd. , avente sede in Inghilterra (Host State), detiene indirettamente, tramite due società intermedie stabilite nei Paesi Bassi, il 100 per cento delle quote della Oy AA. Negli ultimi anni, le attività della società AA, diversamente da quanto accadeva per la società OY AA, erano state deficitarie. Ora, poiché l’attività economica della AA era determinante anche per lo svolgimento della attività della Oy AA, era stato deciso che l’attività della AA venisse sostenuta per mezzo di un trasferimento finanziario intragruppo da parte della Oy AA. Quindi, la Oy AA chiedeva alla commissione tributaria un parere preliminare circa la possibilità di considerare il contributo finanziario in questione come un trasferimento finanziario intragruppo, ai sensi della normativa nazionale sui trasferimenti finanziari intragruppo, al fine poi di poterlo inserire nella dichiarazione della Oy AA come una spesa deducibile e di beneficiare, quindi, della deduzione prevista dalla normativa stessa. La commissione tributaria, nella propria decisione preliminare, negava la possibilità di considerare l’operazione in questione come un trasferimento finanziario intragruppo ai sensi della normativa nazionale poiché la società AA era una società straniera e quindi non risultava soddisfatto il requisito in base al quale le società interessate nel trasferimento dovessero essere entrambe finlandesi. La Oy AA impugnava la decisione preliminare dinanzi al giudice nazionale, il quale, anch’esso, constatava la mancanza del requisito della nazionalità imposto alla società beneficiaria. 5.2 Le questioni pregiudiziali Il giudice nazionale, di fronte ad una fattispecie quale quella dedotta nella causa principale, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di giustizia una questione pregiudiziale volta in sostanza ad accertare se gli artt. 43 e 56 del Trattato, tenuto conto dell’articolo 58 del Trattato e della direttiva 90/435, sono contrari alla disciplina fiscale finlandese sui trasferimenti infraggruppo in base alla quale una consociata o “società figlia”, residente in un tale Stato membro, può dedurre dai suoi redditi imponibili un trasferimento finanziario intragruppo effettuato da quest’ultima a favore della società madre solo se quest’ultima ha sede nel medesimo Stato membro. 5. 3 Le argomentazioni della Corte Di fronte ad un tale quesito, la Corte di giustizia risolve la questione affermando che L’articolo 43 non è contrario al regime istituito dalla legislazione di uno Stato membro, come quello in esame nella causa Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 36/87 principale, in forza del quale una consociata, stabilita in tale Stato membro, può dedurre dai propri redditi imponibili un trasferimento finanziario intragruppo da essa effettuato a favore della società madre soltanto qualora quest’ultima abbia sede nello Stato membro. Nella sentenza in esame, la Corte approda ad una decisione finale che prima facie si discosta da quello che è l’orientamento da essa sostenuto nelle precedenti pronunce in materia di libertà di stabilimento. Per comprendere fino a che punto tale conclusione rappresenti un passo in dietro rispetto ai tasselli posti in essere dalla Corte nel corso del suo lavoro interpretativo in materia di libertà di stabilimento sancite dal Trattato, è necessario ripercorre l’iter logico e argomentativo che hanno portato ad una simile statuizione. In primo luogo la Corte chiarisce che la questione posta dal giudice nazionale, sebbene sia stata sollevata in relazione alle norme del Trattato in materia di libertà di stabilimento, di libera circolazione dei capitali, nonché alla luce della conformità o meno con quanto disposto dalla direttiva 90/435, riguardante il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi, tuttavia deve essere risolta solo ed esclusivamente alla luce dell’articolo 43 del Trattato. Come sostenuto dall’Avvocato Generale Kokott ai paragrafi 13 e 14 delle sue conclusioni, la direttiva 90/435 non rileva ai fini della decisione del caso concreto. La ragione di una tale esclusione deve essere ravvisata nel fatto che la direttiva in questione disciplina il regime fiscale delle distribuzioni di utili alla società madre da parte di una società figlia con sede in un altro Stato membro. La situazione controversa nella causa principale riguarda, invece, l’imposizione dei redditi derivanti dall’attività di impresa di una consociata e la possibilità per quest’ultima di dedurre dai suoi redditi imponibili il trasferimento finanziario infragruppo da essa posto in essere a favore della società madre straniera. Prima di verificare la rilevanza delle norme del Trattato invocate dal giudice nazionale ai fini della risoluzione della questione principale, la Corte ricorda un principio ormai noto alle pronunce pregiudiziali: la materia delle imposte dirette, anche se rientra nella competenza degli Stati membri, tuttavia deve essere esercitata nel 51 rispetto dei limiti imposti dall’ adesione al Trattato . Ora, richiamando un orientamento giurisprudenziale ormai noto, la Corte afferma che tutte le volte in cui si è in presenza di una situazione in cui la partecipazione della controllante sia tale da conferirle una influenza determinante sulle decisioni della società da permetterle di indirizzare l’attività della controllata, allora si è nell’ambito di applicazione delle norme relative alla libertà di stabilimento. 52 Nel caso in esame le condizioni di cui sopra risultano pienamente soddisfatte in quanto il trasferimento finanziario intragruppo che la società Oy AA vuole porre in essere è subordinato alla condizione che la società madre detenga almeno il 90 per cento del capitale sociale o delle quote della consociata. 51 Sentenza 13 dicembre 2005, causa C-446/03, Marks and Spencer, Racc. pag. I-10837, punto 29; Sentenza 12 settembre 2006, causa C-196/04, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, Racc. pag. I-7995, punto 40, e Sentenza 12 dicembre 2006, causa Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation, Racc. pag. I-11673, punto 36. 52 Sentenze 13 aprile 2000, causa C-251/98, Baars, Racc, pag. I-2787, punti 21 e 22; Sentenza 21 novembre 2002, causa C-436/00, X e Y, Racc. pag. I-10829, punti 37 e 66-68; Cadbury Schweppes e Cadbury Scweppes Overseas, cit. , punto 31, Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation, cit. , punto 39. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 37/87 Analizzando lo scopo della normativa finlandese sui trasferimenti finanziari intragruppo, che è sostanzialmente quello di favorire gli interessi vigenti nel gruppo in modo tale da poterlo equiparare ad una società che abbia più sedi aziendali, la Corte conclude che la normativa de qua va ad incidere sulla libertà di stabilimento e quindi deve essere analizzata alla luce dell’articolo 43 del Trattato 53 . Inoltre, anche posto che la normativa controversa abbia effetti restrittivi sulla libera circolazione dei capitali, tali effetti non sarebbero altro che l’ inevitabile conseguenza di un eventuale ostacolo alla libertà di stabilimento, ragion per cui non è necessario un esame della normativa de qua in relazione all’articolo 56 del Trattato. Fatte queste premsse la Corte analizza la normativa controversa per verificare la sua potenziale restrizione alla libertà di stabilimento. In relazione alla libertà di stabilimento, la Corte precisa quella che è la portata dell’articolo 43 del Trattato. Esso garantisce l’esercizio e la gestione da parte dei cittadini di uno Stato membro di attività non subordinate alle stesse condizioni che lo Stato di stabilimento prevede per i propri cittadini. Tale garanzia viene prevista, grazie all’articolo 48 del Trattato, anche alle società costituite in conformità alla normativa di uno Stato membro, che abbia la sede sociale, l’amministrazione centrale o la sede principale nel territorio della Comunità europea e che vogliano esercitare la loro attività in un altro Stato membro tramite una controllata, 54 una stabile organizzazione o un’agenzia . Occorre osservare che la determinazione della sede delle società assume una importanza particolare in questioni attinenti la materia delle imposte dirette, in quanto consente di creare un collegamento con l’ordinamneto giuridico di uno Stato membro. Affermare che lo Stato membro di stabilimento possa riservare un trattamento differente sulla sola base della 55 sede di una società, priva l’articolo 43 del Trattato della propria rilevanza e importanza . La libertà di stabilimento, dunque, implica il divieto di ogni discirminazione basata sul criterio della sede. La Corte, dopo aver premesso quanto precede, passa ad analizzare la normativa controversa al fine di verificare se possa essere considerata come una misura restrittiva. La prima constatazione che viene fatta in merito riguarda la disparità di trattamento che la normativa de qua prevede a seconda che la società madre delle consociate finlandese abbia la sede nel territorio nazionale o meno. La disparità di trattamento deriva dal fatto che se il trasferimento finanziario viene effettuato dalla consociata alla società madre che ha la sede nello stesso Stato membro, tale trasferimento può essere dedotto dal reddito imponibile della consociata. Nell’ipotesi in cui, invece, la società madre abbia la sede in un altro Stato 53 Sentenza Cadbury Schweppes e Cadbury Scweppes Overseas, cit. , punto 32; Sentenza 12 dicembre 2006, causa C446/04, Test Claimants in the FII Group Litigation, Racc. pag. I-11753, punto 118, e Sentenza 13 marzo 2007, causa C524/04, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation, Racc. pag. I-0000, punto 33. 54 Sentenza 21 settembre 1999, causa C-307/97, Saint Gobain ZN, Racc. pag. I-6161, punto 35; Sentenza Marks and Spencer, cit. punto 30; Sentenza Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, cit. , punto 41, e Sentenza Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation, cit. , punto 42. 55 Sentenze 28 gennaio 1986, causa C-270/83, Commissione/Francia, Racc. pag. 273, punto 18; Sentenza 13 luglio 1993, causa C-330/91, Commerts Bank, Racc. pag. , I-4017, punto 13; Sentenza 8 marzo 2001, cause C-C-C-397/98 e C410/98, Metallgesellschaft e a. , Racc. pag. , I-1727, punto 42; Sentenza Marks and Spencer, cit. , 37, e Sentenza Test Claimants in the ACT Group Litigation, cit. , punto 43. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 38/87 membro, tale deduzione non viene concessa, in quanto il requisito richiesto dalla normativa fiscale nazionale è che entrambe le società interessate nel trasferimento debbano avere la sede nel territorio nazionale. A tal proposito, i governi tedesco, olandese, svedese e del Regno Unito rilevano che la circostanza che la società madre abbia la sede in un altro Stato membro e non è soggetta all’imposta in Finlandia, rende la situazione di una consociata finlandese con società madre finlandese non comparabile a quella in cui verserebbe una consociata finlandese con società madre con sede in un altro Stato membro. La Corte replica a tale argomentazione ribadendo dapprima quello che è l’obiettivo della normativa sui trsferimenti finanziari intragruppo. Esso consiste nella eliminazione degli svantaggi all’interno del gruppo. In seguito la Corte analizza la fattispecie in esame alla luce dell’obiettivo sopra ricordato. Essa ripropone la questione negli stessi termini in cui è stata posta sopra dai governi tedesco e svedese. Tuttavia, osserva la Corte, quanto affermato può essere temperato dalla considerazione che, anche in una situazione quale quella descritta sopra, sarebbe comunque possibile realizzare l’obiettivo perseguito dalla normativa controversa subordinando la deducibilità del trasferimento finanziario intragruppo dei redditi imponibili del suo autore a condizioni connesse al trattamento riservato a tale trasferimento dall’altro Stato membro. Ne deriva che, e questa è una importante conclusione a cui arriva la Corte, in relazione all’obiettivo perseguito dalla normativa sui trsferimenti finanziari, il semplice fatto che la società madre sia residente in un altro Stato membro e non sia, quindi, soggetta ad imposta in Finlandia, “non rende non comparabile” la situazione delle due categorie sopra descritte. La Corte conclude il cerchio di tale ragionamento affermando che la disparità di trattamento riservata a 56 seconda della sede della società madre costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento . Constatato che si è in presenza di una misura restrittiva, la Corte procede nel verificare se tale restrizione possa essere giustificata sulla base di ragioni imperative di interesse generale e se possa essere considerata, nell’ipotesi in cui risulti che sia giustificata, come una misura in grado di perseguire lo scopo prefisso e non eccedere quanto necessario per raggiungerlo. I governi hanno riproposto le medesime cause di giustificazione che erano state presentate nel corso della sentenza Marks and Spencer. In particolare, le causa di giustificazione riguardano la salvaguardia di una ripartizione equilibrata del potere impositivo tra gli Stati membri, il rischio di un duplice utilizzo delle perdite e, infine, il rischio di evasione fiscale. Per quanto riguarda la prima delle cause di giustificazione, il governo finlandese, unitamente a quello svedese e del Regno Unito, sostiene che la normativa controversa, fondandosi sul principio di territorialità in base al quale gli Stati membri hanno il diritto di assoggettare i redditi prodotti sul loro territorio ad imposizione, è pienamente conforme alla esigenza di una equilibrata ripartizione del potere impositivo fra gli Stati membri. Se, infatti, fosse concesso il beneficio della deducibilità dei trasferimenti finanziari anche in relazione a società che sono residenti al di fuori dello Stato in questione, verrebbe sostanzialmente lasciata ampia possibilità di 56 Sentenza 12 dicembre 2002, causa C-324/00, Lankhorst-Hohorst, Racc. pag. I-11779, punto 32, e sentenza Test in the Thin Cap Group Litigation, cit. , punto 61. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 39/87 scelta in capo al contribuente in merito al luogo in cui venir soggetto ad imposizione. In tal modo, ne risulterebbe profondamente compromesso l’equilibrata ripartizione fra il potere impositivo degli Stati membri. 57 Come era stato osservato dalla Corte anche nella sentenza Rewe Zentralfinanz , è necessario osservare che nella sentenza Marks & Spencer, la causa di giustificazione in questione era stata accolta unitamente alle altre due presentate. La Corte, dopo aver ribadito i presupposti sulla base dei quali deve essere compiuta la valutazione in merito alla validità o meno della giustificazione presentata, afferma, per contemperare quanto espresso, che l’equilibrata ripartizione del potere impositivo non può costituire una valida giustificazione per rifiutare “sistematicamente” la concessione di un vantaggio fiscale ad una società residente per il fatto che la società madre non è tassata nel territorio nazionale. Diverso è il discorso nell’ipotesi in cui la normativa abbia, invece, l’obiettivo di evitare che il diritto degli Stati membri di esercitare la potestà impositiva sul proprio territorio e in relazione alle attività ivi svolte venga 58 violato . In relazione a quanto appena affermato la Corte ricorda che nella sentenza Marks and Spencer era stato affermato che consentire ad un contribuente di scegliere il luogo in cui le perdite subite devono essere prese 59 in considerazione compromette in maniera significativa l’equilibrata ripartizione fra gli Stati membri . Allo stesso modo, consentire il beneficio de quo permetterebbe ai gruppi di società di scegliere liberamente lo Stato membro in cui gli utili della consociata vengono tassati, sottraendoli allo Stato membro di quest’ultima. Questa possibilità comprometterebbe fortemente l’equilibrio tra il potere impositivo degli Stati membri. La seconda giustificazione riguarda il duplice utilizzo delle perdite. A tal proposito la Corte ha sottolineato che la normativa controversa non concerne la deducibilità delle perdite. La terza giustificazione attiene al rischio di evasione fiscale che deriverebbe dalla circostanza che gli utili finlandesi siano trasferiti verso società stabilite in altri Stati membri in cui l’aliquota applicata è minore rispetto a quella che a tali utili sarebbe stata applicabile in Finlandia. Secondo la Corte la disciplina sui trasferimenti finanziari intragruppo è idonea a evitare che si verifichino dei pericoli quali quelli sopra descritti. Alla luce delle considerazioni svolte, la Corte dichiara che la normativa in questione persegue obiettivi legittimi compatibili con il Trattato e riconducibili a ragioni imperative di interesse generale ed è idonea a garantire la realizzazione dei suddetti obiettivi. Posto che la normativa finlandese sui trasferimenti finanziari intragruppo sia giusitificata, è necessario verificare se supera il test di proporzionalità. In relazione a quest’ultimo profilo di analisi, la Corte sottolinea come i due obiettivi, il primo riguardante la salvaguardia della equilibrata ripartizione del potere impositivo e il secondo attinente al rischio di evasione fiscale, siano perfettamente connessi. Infatti, lo scopo di evitare, o meglio, di prevenire costruzioni puramente 57 Sentenza 29 marzo 2007, causa C-347/04, Rewe Zentralfinanz, Racc. pag. I-oooo,punto 41. Sentenza Rewe Zentralfinanz, cit. , punto 42. 59 v. citate Sentnze Marks and Spencer, punto 46, e Rewe Zentralfinanz, punto 42. 58 Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 40/87 artificiose volte ad eludere la normativa fiscale nazionale, contempla contemporaneamente anche la possiblità di evitare che il diritto degli Stati membri di esercitare il proprio potere impositivo venga violato 60 . La normativa controversa, sebbene non persegua specificatamente l’obiettivo di impedire il realizzarsi di costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica, tuttavia, può definirsi proporzionata agli obiettivi perseguiti, considerati congiuntamente. 5.4 Conclusioni Nella sentenza in esame, la Corte conducendo il consueto iter logico interpretativo che caratterizza tutte le sue pronunce in materia di libertà di stabilimento, ammette che la normativa fiscale finlandese, nonostante il fatto che ponga in essere una restrizione alla libertà di stabilimento, è giustificata in quanto persegue degli obiettivi legittimi compatibili con il Trattato e riconducibili a ragioni di interesse generale ed è idonea a garantire la realizzazione di detti obiettivi. L’analisi condotto sulla legislazione fiscale in questione conduce la Corte ad affermare, inoltre, che si tratta di una legislazione in grado di superare il test di proporzionalità e quindi in grado di raggiungere in modo proporzionale gli obiettivi perseguiti. 6. Papillon La sentenza del 27 novembre 2008, causa C-418/17, rappresenta uno dei casi più recenti in materia di compatibilità dei regimi fiscali nazionali con il principio comunitario sulla libertà di stabilimento. In particolare, nel caso in esame, la Corte non si trova ad affrontare una fattispecie in cui viene in rilievo la questione relativa al riconoscimento, ai fini dell’imposizione unitaria in capo ad una società residente, delle perdite subite da società controllate residenti in uno Stato membro diverso. Ciò che viene in rilievo è l’influenza che la presenza di società estere che si frappongo nella catena societaria di controllo possono avere all’interno del consolidamento di redditi prodotti da società nazionali. 6.1 I fatti La Sociétè Papillon, società residente in Francia (Home State), deteneva il 100 per cento del capitale di una società stabilita nei Paesi Bassi (Host State), società che a sua volta possedeva il 99,9 per cento delle quote di una società avente sede in Francia. Quest’ultima, a sua volta, controllava altre società francesi. Alla luce di tali circostanze, la società Papillon intendeva optare per il regime dell’ ”integrazione fiscale” 61 . In base a tale regime una società residente può costituirsi come unica debitrice dell’imposta sulle società dovuta 60 Citate Sentenze Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, punti 55 e 56, e Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation, punti 74 e 75. 61 Il consolidato fiscale nazionale in Francia permette di determinare su opzione facoltativa della società controllante una base imponibile unitaria sulla quale corrispondere l’imposta sulle società per mezzo della aggregazione algebrica dei risultati delle proprie controllate. Il regime in questione è sottoposto ad una serie di condizioni. In partiocolare, l’art. 223 Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 41/87 su tutti gli utili del gruppo costituito dalla società stessa e dalle società di cui la stessa detenga, direttamente o indirettamente, almeno il 95 per cento del capitale. La Papillon aveva intenzione di inserire nel gruppo anche la società francese, e alcune sue controllate, controllata indirettamente tramite la società olandese. L’amministrazione finanziaria negava alla Papillon la possibilità di avvalersi del regime dell’ ”integrazione fiscale” sulla base della considerazione che il gruppo non poteva essere costituito da società controllate indirettamente da una società residente nei Paesi Bassi. Tale società, infatti, non era soggetta all’imposta sulle società francese poiché non esercitava in Francia una attività economica per mezzo di una stabile organizzazione. La Papillon, quindi, veniva tassata sulla base dei suoi utili, senza che le venisse concessa la possibilità di compensarli con gli utili delle altre società del gruppo integrato. La Papillon contestava la maggiore imposta a cui era stata assoggettata relativamente agli anni 1989-1991 dapprima dinanzi al tribunale amministrativo e, in seguito, a fronte del diniego di quest’ultimo, dinanzi alla Corte d’appello amministrativa di Parigi. Avverso la sentenza della Corte d’appello, proponeva impugnazione di fronte al Conseil d’Etat. 6.2 Le questioni pregiudiziali Il giudice nazionale decideva di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte due questioni pregiudiziali volte, in sostanza, ad accertare se il regime fiscale francese della cd. Integration fiscale, in forza della quale un regime fiscale di gruppo è concesso ad una società madre residente in tale Stato membro che detenga controllate e controllate indirette residenti nel suddetto Stato, ma è escluso per siffatta società madre qualora le sue controllate indirette residenti siano detenute tramite una controllata residente in un altro Stato membro, configuri una restrizione alla libertà di stabilimento e se, eventualmente, simile restrizione possa essere giustificata. Veniva chiesto, cioè, se una simile limitazione, che sembrava porre in essere una ingiustificata discriminazione sulla base della residenza delle strutture intermedie nelle catene di controllo societario facenti capo a madri francesi, costituisse una illegittima restrizione alla libertà di stabilimento. 6.3 Le argomentazioni della Corte A del CGI (“Code General des Impots”), prevede che la consolidante che procede alla liquidazione dell’imposta unitaria deve essere una società soggetta all’imposta sugli utili delle società in Francia il cui capitale non sia detenuto direttamente o indirettamente, per almeno il 95 per cento, da un’altra persona giuridica soggetta alla stessa imposta. Il perimetro di consolidamento riguarda, inoltre, tutte le controllate nelle quali la società madre detenga almeno il 95 per cento del capitale sociale. Per un’ampia trattazione sul regime del cd. Intégration fiscal, si rinvia a GROSCLAUDEMARCHESSOU, Diritto tributario francese. Le imposte-Le procedure, nella traduzione italiana a cura di De Mita, Milano 2006, 245; GREGGI, La fiscalità dei gruppi di società I) profili tributari italiani e comparati, collana Studi e Ricerche del Corso di Perfezionamento in Diritto Tributario “A. Berliri”, Bologna, 2000, 65 ss. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 42/87 La Corte risolveva le questioni sottoposte al suo vaglio dal giudice nazionale affermando che l’articolo 43 del Trattato deve essere interpretato nel senso che osta alla normativa di uno Stato membro in forza della quale un regime fiscale di gruppo è accordato ad una società madre residente in tale Stato membro che detenga società controllate e controllate indirette del pari residente in tale Stato, ma è escluso per siffatta società madre qualora le sue controllate indirette residenti siano detenute tramite una società controllata residente in un altro Stato membro. Prima di approdare alla decisione finale, la Corte ha seguito un percorso argomentativo che, nei suoi tratti essenziali, ripete quello dei suoi precedenti, a tal punto che è possibile ormai affermare che si è di fronte ad uno stabile assetto interpretativo. In primo luogo, la Corte statuisce che la libertà di stabilimento prevista dagli articoli 43 e 48 del Trattato implica che una società, che sia costituita conformemente alle norme di uno Stato membro e che abbia la sede sociale, l’amministrazione centrale o la sede principale nell’ambito della Comunità europea, abbia il diritto di svolgere la propria attività in altri Stati membri, mediante una società controllata, una stabile organizzazione o un’agenzia. Viene, poi, riaffermato il principio in base al quale le disposizioni sulla libertà di stabilimento hanno l’obiettivo, non soltanto di garantire il beneficio della disciplina nazionale nello Stato membro di stabilimento ad una persona fisica o ad una persona giuridica che si sia avvalsa della libertà di stabilimento. Esse hanno altresì l’obiettivo di impedire che uno Stato membro ostacoli lo stabilimento degli stessi in un altro 62 Stato membro . Dopo aver ribadito questi principi, la Corte passa ad analizzare le caratteristiche rlevanti della fattispecie in esame. A tal proposito occore fare due precisazioni. In primo luogo, l’oggetto della domanda pregiudiziale non riguarda la possibile inclusione o meno della società olandese nel regime dell’ ”integrazione fiscale”. La società papillon ha posto al centro della propria richiesta l’integrazione con la società francese indirettamente controllata. Sotto questo profilo la sentenza in esame si discosta dalle sentenze Oy AA e Marks & Spencer in cui le questioni riguardavano il trattamento fiscale degli utili e delle perdite transfrontaliere di gruppi di società con sede in diversi Stati membri. Nel caso in esame, invece, la questione è se una società intermedia non residente possa dar luogo al collegamento necessario per l’integrazione tra la società madre e la società residente indirettamente controllata. Deve, inoltre, essere messo in luce che il giudice nazionale non chiede se l’esclusione della controllata olandese nell’ ”integrazione fiscale” costituisca un ostacolo alla libertà di stabilimento. Il giudice del rinvio pone la questioni nei termini di una eventuale limitazione derivante dal fatto che una società madre francese non possa accedere all’ ”integrazione fiscale” con le proprie controllate indirette 62 Sentenza 16 luglio 1998, causa C264/96, ICI, Racc. pag. I-4695, punto 21; Sentenza 6 dicembre 2007,causa C-298/05, Columbus Container Services, Racc. pag. I-10451, punto 33, e Sentenza Lidl Belgium, cit. , punto 19. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 43/87 francesi, nell’ipotesi in cui vi sia l’intermediazione di una società residente in un altro Stato membro e che quindi non sia soggetta a tassazione in Francia. Da un’attenta analisi della controversia in esame, la Corte asserisce che il regime dell’integrazione fiscale rappresenta prima facie un’agevolazione fiscale, in quanto ha l’effetto di rendere per la società madre, tramite la compensazione degli utili e delle perdite delle società facenti parte del gruppo, meno gravosa la tassazione. E’ altrettanto vero, però, che l’agevolazione de qua non viene concessa nell’ipotesi in cui la società madre francese, nell’esplicare la propria libertà di stabilimento, detenga la propria controllata, avente sede in Francia, per mezzo di una società che sia residente in un altro Stato membro e che non eserciti in Francia alcuna attività economica tale per cui poter essere assoggettata ad imposta sulle società nel detto Stato. Dunque, una società madre residente che esercita il controllo in altre società francesi indirettamente tramite una società stabilita in un altro Stato membro, non può beneficiare del regime dell’integrazione di gruppo, mentre potrebbe farlo nel caso in cui la controllata intermedia fosse residente in Francia. Ne deriva che la normativa controversa genera una disparità di trattamento. La disparità ha luogo sulla base della circostanza che la società madre detenga o meno indirettamente le proprie partcipazioni per mezzo di una società che sia stabilta in un altro Stato membro. Alla osservazione del governo francese per cui le situazioni non sarebbero oggettivamente paragonabili, in quanto una controllata stabilita in un altro Stato membro non è soggetta all’imposta sulle società in Francia, diversamente da quanto accade per una società controllata residente nel territorio nazionale, la Corte obietta ricordando quanto già espresso in altre pronunce. In primo luogo, la Corte afferma che se il criterio della sede fosse idoneo a giustificare il porre in essere da parte di uno Stato membro di un trattamento fiscale diverso, ne risulterebbe fortemente compromessa la 63 portata di disposizioni quali quelle in materia di libertà di stabilimento . Inoltre, per verificare se effettivamente sussiste una discriminazione, deve necessariamente tenersi conto quello che è lo scopo e la logica della normativa nazionale controversa. Per quanto riguarda la normativa in esame, una verifica dell’obiettivo da essa perseguito, osserva la Corte, porta ad affermare che le sue disposizioni mirano ad assimilare il gruppo formato dalla società madre e dalle sue controllate ad un’impresa avente vari sedi, permettendo, a tal fine, il consolidamento dei risultati di gruppo. Premesso ciò, la Corte statuisce che un obiettivo quale quello appena enunciato, verrebbe ad esistenza anche nell’ipotesi in cui la società madre residente in Francia detenga controllate indirette residenti anch’esse in Francia, tramite, però, una società controllata che è stabilita in un altro Stato membro. Ne deriva, dunque, che le due situazioni prospettate, diversamente da quanto affermato dal governo francese, risultano assolutamente comparabili. Dall’analisi della comparabilità si deduce che il trattamento fiscale riservato dalla normativa francese varia a seconda della sede della controllata. 63 Sentenza 28 gennaio 1986, causa C-270/83, Commissione/Francia, Racc. pag. 273, punto 18, e Sentenza 8 marzo 2001, cause riunite C-397/98 e C-410/98, Metallgesellschaft e a. , Racc. pag. I-1727, punto 42. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 44/87 Tale situazione, afferma la Corte, è qualificabile nei termini di una restrizione della libertà di stabilimento vietata dal Trattato. Affermata la natura restrittiva della misura fiscale controversa, deve essere verificato se la restrizione in questione possa considerarsi giustificata, e quindi dichiarata ammissibile, da ragioni imperative di interesse generale. La prima delle giustificazioni presentate dai governi tedesco e olandese riguarda la necessità di salvaguardare la ripartizione della competenza fiscale fra gli Stati membri. Sulla scorta di quanto già era avvenuto nelle sentenze Marks and Spencer e Oy AA, viene ribadito che la natura restrittiva della normativa in questione ha lo scopo di impedire la duplice contabilizzazione delle perdite e il rischio di evasione fiscale. Già prima facie è ravvisabile un errore nelle giustificazioni addotte dai governi tedesco e olandese. Infatti nelle sentenze da essi poste a supporto delle proprie giustificazioni, le questioni sollevate riguardavano rispettivamente la presa in considerazione delle perdite insorte in uno Stato membro diverso da quello di residenza del soggetto passivo e il rischio di evasione fiscale. Tali questioni, secondo la Corte, non si pongono nella causa in esame. Infatti, il quesito posto dal giudice nazionale, come già sottolineato, non riguarda la richiesta di far entrare nel regime della integrazione fiscale una società controllata non residente; la questione, piuttosto, viene posta in termini differenti. Si chiede, cioè, se una società residente in Francia che non può beneficiare del regime dell’integrazione fiscale con le sue controllate indirette francesi, per il solo fatto che la controllata intermediaria è stabilita in un altro Stato membro, costituisca una restrizione alla libertà di stabilimento. In tale situazione, quindi, non rilevano le problematiche proprie delle sentenze Marks & Spencer e Oy AA legate alla potestà impositiva sui redditi aggregati ai fini della quantificazione del prelievo unitario. I redditi aggregati erano prodotti nello stesso Stato. La seconda giustificazione concerne la coerenza del regime fiscale. Per analizzare la validità della causa di giustificazione presentata, la Corte si rifà preliminarmente a principi già espressi in altre pronunce. Essa ribadisce, infatti, che la coerenza del sistema fiscale può essere considerata 64 come una valida giustificazione ad una misura restrittiva . Affinchè tale giustificazione venga accolta è necessario che vi sia un nesso diretto fra il beneficio fiscale di cui 65 trattasi e la compensazione di tale beneficio con un determinato prelievo fiscale . Il nesso in questione deve, poi, essere valutato tenendo conto di quello che è l’obiettivo perseguito dalla normativa fiscale in questione. Per verificare la sussistenza del nesso diretto fra il beneficio fiscale e la compensazione di tale beneficio con un determinato prelievo fiscale, la Corte procede all’analisi della normativa controversa. 64 Sentenza 28 gennaio 1992, causa C-204/90, Bachmann, Racc. pag. I-249, punto 28; Sentenza 7 settembre 2004, causa C-319/02, Manninen, Racc. pag. I-7477, punto 42, e Sentenza Keller Holding, cit. , punto 40. 65 Sentenza 14 novembre 1995, causa C-484/93, Svennsson e Gustavsson, Racc. pag. I-3955, punto 18; Sentenze citate ICI, punto 29; Maninnen, punto 42, e Keller Holding, punto 40 Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 45/87 In primo luogo viene preso in considerazione quanto affermato dal governo francese. Esso afferma che il regime dell’integrazione fiscale prevede la consolidazione fiscale delle società e come corrispettivo la neutralizzazione di talune operazioni tra le società del gruppo. Tale neutralizzazione consentirebbe di evitare che il pericolo che le perdite vengano prese in considerazione due volte. Infatti nell’ipotesi in cui le perdite siano subite dalla controllata indiretta, la società controllata procederà ad accantonamenti per il deprezzamento della sua partecipazione nella controllata indiretta, con la conseguenza che la società madre formerà accantonamenti per il deprezzamneto della sua partecipazione nella società controllata. Ora, poiché si tratta di una unica perdita, subita dalla controllata indiretta, se tutte le società rientrassero nel regime dell’integrazione fiscale, non si terrebbe conto, a causa della neutralizzazione, degli accantonamenti per deprezzamento in capo alla controllata e alla società madre. Tuttavia, se la controllata è una società non residente, le perdite della controllata indiretta verrebbero prese in considerazione due volte: dapprima sotto la forma di perdite dirette della controllata indiretta, la seconda sotto forma di accantonamento costituito dalla società madre per il deprezzamento della sua partecipazione in tale società. Alla luce delle considerazioni svolte, ne deriva che la società residente beneficerebbe delle agevolazioni del regime dell’integrazione fiscale due volte, senza però, che le perdite della controllata indiretta e gli accantonamenti della società madre possano essere oggetto di neutralizzazione. In tal caso, quindi, il nesso diretto di cui sopra sarebbe fortemente compromesso, così come la coerenza del regime fiscale. Tale considerazione porta la Corte ad affermare che, le disposizioni della normativa controversa sono idonee a garantire la coerenza del regime fiscale. La Corte, una volta accertato che la coerenza del regime impositivo può essere considerata quale causa di giustificazione della accertata restrizione, procede ad effettuare il test di proporzionalità. Il governo francese, aveva motivato la ragionevolezza della misura restrittiva sulla base di aspetti propriamente procedurali. Ciò che era stato sostenuto, infatti, era che l’amministrazione finanziaria incontrava non poche difficoltà nel verificare la duplicazione della considerazione delle perdite subite dai partecipanti all’opzione per l’integrazione fiscale nell’ipotesi in cui si verificava l’interposizione nella catena societaria di una società non residente. E’ proprio su questo aspetto che la Corte ha espresso la parte più rilevante della decisione. Preliminarmente la Corte si rifà all’ orientamento in base al quale una difficoltà di ordine pratico non può di per sé giustificare un pregiudizio ad una libertà fondamentale sancita dal Trattato, quale quella della libertà di 66 stabilimento .Ciò significa che una restrizione alle libertà comunitarie è possibile soltanto laddove vi sia una impossibilità di tutela dell’interesse generale nazionale, per mezzo di strumenti giuridici. Tali strumenti nel caso di specie vengono ravvisati nella disciplina comunitaria relativa allo scambio di informazioni e la 66 Sentenze 4 marzo 2004, causa C-334/02, Commissione v. Francia, in Racc., 2004, I-2229; 14 settembre 2006, causa C386/04, centro Walter Stauffer, in Racc., 2006, I-8203; 12 dicembre 2006, causa C-446/04, Test Claimants in the FII Group Litigation, in Racc., 2006, I-11753. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 46/87 67 collaborazione fra gli Stati membri, così come prevista dalla Direttiva 77/799/Cee . Ne deriva che alla cooperazione tra le amministrazioni finanziarie fiscali nazionali viene assegnato l’importante funzione di garantire la corretta applicazione degli ordinamenti tributari dei singoli Stati membri e il loro coordinamento a tutela dell’interesse nazionale e comunitario. La cooperazione viene anche vista come uno strumento attraverso il quale poter evitare asimmetrie impositive tra i diversi ordinamenti nazionali. Da questa impostazione la Corte procede ad affermare che quando vi siano società madri residenti in uno Stato membro che richiedono il beneficio del regime dell’integrazione fiscale con controllate indirette residenti detenute tramite società controllate residenti in un altro Stato membro, le autorità fiscali del primo Stato membro possono sempre e comunque chiedere a tali controllate di fornire gli elementi di prova che ritengono necessari affinchè sia pienamente soddisfatta la trasparenza degli accantonamenti effettuati da queste ultime. La conclusione a cui arriva la Corte è di conseguenza quella di una possibile previsione di misure meno restrittive alla libertà di stabilimento per realizzare l’obiettivo consistente nella coerenza del regime fiscale. 6. 4 Conclusioni La sentenza Papillon, come già affermato, è stata emessa dalla Corte il 27 novembre 2008. Essa, inserendosi coerentemente in quello che è stato sempre l’approccio della Corte in materia di libertà di stabilimento, volto ad affermare la superiorità della libertà in questione rispetto alle misure restrittive poste in essere dagli ordinamenti nazionali, arriva quasi a suggerrire, dopo il grande numero di pronunce in questo senso, la necessità di un intervento da parte delle istituzioni comunitarie, volto a porre fine alle questioni sottoposte, di volta in volta, al vaglio della Corte. Sezione II La problematica delle perdite transfrontaliere in presenza di stabili organizzazioni Sommario: Conclusioni 1. Futura 1. 1 I fatti 1. 2 Le questioni pregiudiziali 1. 3 Le argomentazioni della Corte 1. 4 2. Amid 2. 1 I fatti 2. 2 Le questioni pregiudiziali 2. 3 Le argomentazioni della Corte 2. 4 Conclusioni 3. Deutshce Shell Gmbh 3. 1 I fatti 3. 2 Le questioni pregiudiziali 3. 3 Le argomentazioni della Corte 4. Lidl Belgium 4. 1 I fatti 4. 2 Le questioni pregiudiziali 4. 3 Le argomentaizoni della Corte 4. 4 Conclusioni 5. Finanzamt fur korperschaften III in Berlin 5. 1 I fatti 5. 2 Le questioni pregiudiziali 5. 3 Le argomentaizoni della Corte 5. 4 Conclusioni 1. Futura 67 Sulla disciplina dello scambio di informazioni in ambito UE si vedano tra i molti ADONNINO, Lo scambio di informazioni fra Amministrazioni finanziarie, in AA. VV. (a cura di Uckmar), Corso di diritto tributario internazionale, Padova 1999, 893 ss; SAPONARO, Lo scambio di informazioni tra amministrazioni finanziarie e l’armonizzaizone fiscale, in Rass. Trib., 2005, 453 ss.. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 47/87 La sentenza del caso C- 250/95, Futura Participations SA, è stata emessa il 15 maggio 1997. Nel caso in esame la Corte, sulla base del principio di territorialità, ossia al consolidato principio di diritto internazionale in base al quale nessuno Stato può assoggettare ad imposta i redditi realizzati all’estero da soggetti passivi non residenti, ha ritenuto giustificata la condizione imposta dalla legislazione lussemburghese in materia di riporto delle perdite subite da un contribuente non residente. 1.1 I fatti La Singer, stabile organizzazione in Lussemburgo (Host State) della Futura Participations S. A., società residente in Francia (Home State), determinava (all’atto della propria dichiarazione dei reddti) il proprio reddito imponibile in base ad una ripartizione proporzionale del reddito complessivo della società Futura poiché non disponeva di una contabilità regolare per l’anno 1986. Chiedeva, inoltre, di poter portare a diminuzione di tale reddito le perdite registrate nel periodo 1981-1986. La Singer, però, non era nella condizione di poter fornire una contabilità regolare neppure per il periodo 19811986, per cui l’ammontare delle perdite da portare a diminuzione del reddito soggetto ad imposta in Lussemburgo, veniva determinato sulla base di una ripartizione totale delle perdite subìte dalla società Futura nello stesso periodo. L’autorità tributaria lussemburghese respingeva la domanda della Singer, adducendo quale motivazione il fatto che, in base alla normativa del Lussemburgo relativa all’imposta sul reddito delle società, il contribuente non residente ha diritto al riporto delle perdite solo a determinate condizioni; condizioni che, evidentemente, la società Singer non aveva rispettato. Tale normativa prevedeva, in linea generale, che le società residenti in Lussemburgo venissero tassate sui loro redditi ovunque prodotti e che avessero, correlativamente, un diritto ad un credito d’imposta relativamente alle imposte pagate all’estero sul reddito di fonte estera. Tutto ciò ad eccezione del caso in cui fosse in vigore una convenzione contro la doppia imposizione. Infatti, in questo caso, il reddito di fonte estera era esente da imposta in Lussemburgo e veniva tassato solo nello Stato in cui era stato prodotto. Le società residenti, inoltre, avevano il diritto di dedurre, per il calcolo della base imponibile, le perdite fiscali riportate dagli esercizi precedenti, purchè avessero tenuto una contabilità regolare durante l’esercizio in cui la perdita si fosse verificata. Le società non residenti, invece, venivano tassate solo per il reddito prodotto in Lussemburgo tramite una stabile organizzazione. La normativa nazionale non imponeva alle società non residenti di tenere una contabilità separata relativa alla loro stabile organizzazione lussemburghese. Esse, infatti, potevano determinare il reddito imponibile in Lussemburgo, per mezzo di una ripartizione proporzionale del reddito complessivo della società. Inoltre, anche le società non residenti potevano beneficiare, in base alla normativa nazionale, di un diritto al riporto delle perdite. Condizioni necessarie affinchè tale diritto venisse loro concesso era che le perdite Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 48/87 avessero un rapporto economico col reddito lussemburghese e che avessero tenuto una regolare contabilità in Lussemburgo nel periodo cui le perdite si fossero riferite. Di fronte al diniego della autorità tributaria lussemburghese, la società Futura e la Singer proponevano ricorso giurisdizionale volto all’annullamento di tale decisione. Secondo le società ricorrenti, la normativa lussemburghese relativa all’imposta sul reddito delle società, era contraria alla libertà di stabilimento sancita dall’articolo 43 del Trattato. 1.2 Le questioni pregiudiziali Il giudice nazionale decideva di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte una questione pregiudiziale volta ad accertare se l’articolo 43 del Trattato osti a che uno Stato membro subordini il riporto di perdite precedenti, chiesto da un contribuente non residente, ma che abbia in tale Stato una stabile organizzazione, alla condizione che le perdite abbiano un rapporto economico con i redditi ottenuti dal contribuente in detto Stato e che, durante l’esercizio nel quale le perdite sono state realizzate, il contribuente abbia tenuto e conservato nello stesso Stato, relativamente alle attività ivi esercitate, una contabilità conforme alle alle norme nazionali in materia. 1.3 Le argomentazioni della Corte Come già osservato, le condizioni alle quali la normativa lussemburghese subordina il diritto al riporto delle perdite alle società non residenti, sono il nesso economico e la tenuta di una regolare contabilità. La Corte inizia il percoso argomentativo, che sfocerà nella decisione finale, analizzando la prima di tali condizioni. In primo luogo la Corte osserva che il nesso economico di cui parla la normativa nazionale implica che possono costituire oggetto di riporto solo ed esclusivamente quelle perdite che derivino dall’attività che la società non residente ha svolto in Lussemburgo. 68 La Corte ricorda, preliminarmente, come, per costante giurisprudenza , sia possibile affermare che per quanto la materia delle imposte dirette appartenga alla competenza esclusiva degli Stati membri, tale competenza deve comunque essere esercitata dagli Stati membri nei limiti e nel rispetto del diritto comunitario. E’ vietata, quindi, qualsiasi discriminazione, palese o dissimulata, basata sulla nazionalità. Posti tali principi, viene esaminata la normativa in questione al fine di verificare se vi è, in relazione alla prima delle condizioni considerate dalla Corte, una restrizione alla libertà di stabilimento. Nella fattispecie in esame i contribuenti residenti sono tassati per i redditi ovunque prodotti, di conseguenza la base imponibile non è limitata alle loro attività lussemburghesi. Ne deriva che, anche se vi sono esenzioni grazie alle quali i redditi di fonte estera non sono tassati in Lussemburgo, è possibile asserire che, la base 68 Sentenza 14 febbraio 1995, causa C-279/93, Schumacker, Racc. pag. I-225, punti 21 e 26; Sentenza 11 agosto 1995, causa C-80/94, Wielockx, Racc. pag. I-2493, punto 16, e Sentenza 27 giugno 1996, causa C- 107/94, Asscher, Racc. pag. I-3089, punto 36. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 49/87 imponibile dei contribuenti residenti comprende, “quanto meno”, gli utili e le perdite che derivano dalle attività svolte nel Lussemburgo. Sempre nella fattispecie in esame, i contribuenti non residenti determinano la loro base imponibile ai fini del calcolo dell’imposta dovuta in Lussemburgo, soltanto sugli utili e le perdite derivanti dalle loro attività lussemburghesi. Alla luce delle considerazioni svolte, la Corte statuisce che la normativa in esame costituisce l’ esplicazione di quello che è il principio di territorialità in materia tributaria e, pertanto, non può comportare una 69 discirminazione, palese o dissimulata, vietata dal Trattato . La seconda condizione richiesta dalla normativa lussemburghese riguarda la regolare tenuta e conservazione della contabilità. Come è possibile dedurre dalle spiegazioni fornite dal governo del Lussemburgo in merito, per contabilità “regolare” si intende una contabilità che sia conforme alla normativa nazionale. In presenza di una siffatta condizione, la Corte non si esime dall’affermare che essa “può” costituire una restrizione alla libertà di stabilimento di una società che intenda esercitare la propria attività tramite una stabile 70 organizzazione in uno Stato diverso da quello di residenza. . Dalle considerazioni svolte, ne deriva che una condizione quale quella appena descritta, che riguarda specificatamente la società che ha sede in un dato Stato membro, è vietata alla luce dell’ articolo 43 del Trattato. Tuttavia, secondo uno schema logico interpretativo che si ripete costante in ogni pronuncia della Corte in materia di libertà di stabilimento, occorre verificare se una tale restrizione alla libertà di stabilimento possa giustificarsi alla luce dello scopo perseguito, che deve essere legittimo e compatibile con il Trattato, alla luce di motivi imperativi di interesse generale. Se anche si giungesse alla conclusione che la restrizione è giustificata, 71 bisognerebbe comunque ulteriormente verificare la proporzionalità con lo scopo perseguito . La prima delle giustificazioni presentate dal governo lussemburghese e britannico, riguarda la necessità di una misura quale quella che impone la seconda delle condizioni sottoposte al vaglio della Corte, per consentire, alle autorità tributarie una precisa verifica dell’ammontare dell’imponibile nello Stato in questione. 69 Alla medesima conclusione, sebbene con una parsimonia di motivazione, arriva anche l’Avvocato generale Lenz, ai paragrafi 27 e 28 delle sue conclusioni, presentate il 5 novembre del 1996. L’Avvocato generale rileva come nessuna delle parti nel corso del procedimento abbia obiettato circa la compatibilità della prima condizione con il diritto comunitario. Come ha rilevato la Commissione nelle sue osservazioni e come è stato poi affermato dalla Corte, la condizione de qua non è altro che la conseguenza logica e necessaria del principio noto alla prassi tributaria internazionale come principio di territorialità. 70 Come è possibile rilevare dai paragrafi 30 e ss. delle conclusioni dell’Avvocato Generale, la condizione della contabilità separata costituirebbe, per le società ricorrenti, un aumento di spese amministrative che non andrebbero a compensare, comunque, il vantaggio che deriva dall’istituire stabili organizzazioni, per il fatto che non comportano spese eccessive, e il vantaggio che deriva dal riporto delle perdite. Per poterne godere, infatti, le società non residenti devono affrontare delle spese amministrative aggiuntive. 71 Sentenza 30 novembre 1995, causa C-55/94, Gebhard, Racc. pag. I-4165, punto 37; Sentenza 31 marzo 1993, causa C19/92, Kraus, Racc. pag. I-1663, punto 32, e Sentenza 15 dicembre 1995, causa C-415/93, Bosman e a. , Racc. pag. I4921, punto 104. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 50/87 Secondo il governo lussemburghese, un requisito quale quello richiesto dalla normativa in esame, è necessario, per lo Stato interessato, per verificare se le perdite, di cui è stato chiesto il riporto effettivamente sono riferibili ad attività svolte in tale Stato. Sulla scorta di quanto sostenuto dal governo lussemburghese è possibile affermare che, mentre la prima condizione riguarda gli elementi necessari ai fini del calcolo dell’imposta dovuta, la secondo condizione, invece, attiene alla prova della agevolazione fiscale di cui una società non residente che ha una stabile organizzazione in Lussemburgo vuole fruire. Infatti, con la seconda condizione, argomenta ancora il governo lussemburghese, si consente alle autorità tributarie di ispezionare in qualunque momento i documenti contabili. A tal proposito, la Commissione ritiene che la misura in questione non sia assolutamente indispensabile per lo scopo perseguito. Lo stesso risultato potrebbe, infatti, essere ottenuto mediante una verifica della contabilità nel luogo in cui la società non residente ha la sede, oltre al fatto che esiste una direttiva del Consiglio, la 77/799/CEE che disciplina la reciproca assistenza tra le autorità tributarie negli Stati membri in materia di imposte dirette. La Corte ha ribadito in più occasioni che l’efficacia dei controlli fiscali costituisce un motivo di interesse 72 generale idoneo a giustificare una restrizione all’esercizio delle libertà fondamentali sancite dal Trattato . Ne consegue che uno Stato membro può prevedere misure che abbiano lo scopo di verificare “in modo chiaro e preciso” l’ammontare dei redditi imponibili nel suo territorio. Non deve, inoltre, considerarsi giusta neanche l’argomentazione fornita dalla Commissione, in quanto lo scopo perseguito con la seconda condizione non sarebbe ugualmente raggiungibile se le autorità tributarie del Lussemburgo dovessero far riferimento ai documenti contabili tenuti da un altro Stato membro e secondo le norme di un altro Stato membro; il risultato ottenibile non sarebbe il medesimo. Ogni Stato, continua la Corte, ha le proprie norme in materia di determinazione degli utili e di tutte le voci di bilancio. Allo stato del diritto comunitario al momento della decisione, infatti, non esistono norme comuni in materia e ciascun Stato è libero di stabilire le proprie regole per il computo del reddito imponibile, delle perdite fiscali da riportare a nuovo. Dopo aver verificato che la restrizione in questione è giustificata alla luce dei motivi sopra indicati, la Corte compie un ulteriore passo in avanti nel chiedersi se la misura de qua sia proporzionale allo scopo perseguito, se non ecceda quanto è necessario per il perseguimento dell’obiettivo prefissato. In primo luogo la Corte osserva che, in base alla normativa lussemburghese, i contribuenti non residenti non sono tenuti, in generale, a tenere una contabilità distinta; tale obbligo nasce solo nell’ipotesi in cui si chieda di usufruire del diritto di riporto delle perdite. Appurato ciò, la Corte statuisce che, al momento della domanda l’interesse delle autorità lussemburghesi è unicamente quello di verificare “in modo chiaro e preciso” che le perdite di cui si chiede il riporto siano state effettivamente conseguite nel territorio nazionale dal contribuente. 72 Sentenza 20 febbraio 1979, causa 120/78, Rewe Zentral-cosiddetta sentenza “Cassis de Dijon”-, Racc. pag. 649, punto 8. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 51/87 In una situazione come quella in esame, la Corte ribadisce che non è “indispensabile” che i mezzi con i quali tale risultato sia perseguito siano quelli previsti dalla normativa nazionale. Non deve infatti essere dimenticato che la direttiva di cui sopra, consente alle autorità di uno Stato membro di appellarsi alle autorità di un altro Stato membro al fine di ottenere informazioni necessarie per determinare , in base alla normativa che devono applicare, l’ammontare dell’imposta sul reddito di un contribuente residente nell’altro Stato membro. Comunque, anche se la misura non sembra essere proporzionata allo scopo perseguito, uno Stato membro non è tenuto ad accettare un metodo quale quello utilizzato dalla società ricorrente per la determinazione del reddito imponibile in Lussemburgo, ossia la ripartizione delle perdite complessive, per l’indeterminatezza che ne deriva da tale metodo. 1.4 Conclusioni Nella sentenza in esame la Corte dichiara legittima la condizione posta dalla normativa lussemburghese in base alla quale i contribuenti possono dedurre le perdite dagli utili successivi, a condizione che tali perdite non siano generate all’estero. Per consentire l’utilizzo di tali perdite, il Lussemburgo richiede che venga provata l’esistenza di un nesso economico tra le perdite riportate e gli utili realizzati nello Stato di tassazione. L’importanza della pronuncia in esame consiste nell’aver riconosciuto il principio di territorialità in materia di libertà di stabilimento. Infatti, sulla base del principio per cui nessuno Stato può assoggettare ad imposta i redditi realizzati all’estero da soggetti passivi non residenti, la Corte ha ritenuto la condizione imposta dalla normativa del Lussemburgo giustificata, in ragione della considerazione che essa deriva dall’esigenza di coordinare il potere fiscale dello Stato della tassazione con quello dello Stato di stabilimento. Nella sentenza Futura, la Corte afferma che se il criterio di determinazione del reddito imponibile di un soggetto residente si differenzia dal criterio di computazione del reddito imponibile di un soggetto non residente, allora è legittimo un diverso trattamento dei due soggetti, poiché essi non si trovano in situazioni che possano essere definite come comparabili. Ne deriva che una stabile organizzazione di una società non residente non versa in una situazione comparabile a quella di una società residente, per quanto riguarda il profilo legato alla computazione del reddito ivi imponibile. E’ il principio di territorialità che, secondo la Corte, impone una tale interpretazione per cui, mentre una stabile organizzazione è imponibile in Lussemburgo solo per i redditi effettivamente connessi, una società residente è, invece, imponibile in Lussemburgo per i redditi ovunque prodotti. 2. AMID Con la sentenza del 14 dicembre 2000 nella causa C-141/99, la Corte ha dichiarato contraria all’articolo 43 del Trattato, la normativa belga che non permetteva il riporto in avanti di una perdita sostenuta in Belgio da una società residente con stabile organizzazione in Lussemburgo, ma imponeva di imputarla al reddito della Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 52/87 stabile organizzazione in Lussemburgo, esente, oltretutto da imposta in Belgio in base alla convenzione 73 bilaterale contro le doppie imposizioni tra Belgio e Lussemburgo . 2.1 I fatti La società AMID, con sede in Belgio (Home State), aveva una stabile organizzazione in Lussemburgo(Host State). Nel 1981 realizzava una perdita in Belgio e utili provenienti dalla stabile organizzazione in Lussemburgo. Tali utili, secondo quanto disposto dalla convenzione sulla doppia imposizione erano esenti da imposta in Belgio. Poiché non era possibile alla società AMID dedurre la perdtita realizzata in Belgio dall’utile lussemburghese ai fini dell’imposta dovuta in Lussemburgo sull’utile ivi realizzato, la società AMID riportava la perdita all’esercizio successivo e ne chiedeva la deduzione dagli utili belgi del 1982. L’amministrazione finanziaria belga negava alla società AMID il diritto al riporto sulla base della considerazione che le perdite belghe del 1981 dovevano essere imputate agli utili registrati nello stesso anno in Lussemburgo. La normativa belga sull’imposta sul reddito delle società prevedeva che vi fossero tre categorie di utili: quelli realizzati in Belgio e sottoposti a tassazione in Belgio; quelli realizzati all’estero, e soggetti ad imposta ridotta in Belgio, e quelli realizzati all’estero, esenti da imposta in Belgio in forza di convenzioni contro le doppie imposizioni. La normativa belga prevedeva anche che le perdite subìte in Belgio fossero imputate nell’ordine: agli utili realizzati in Belgio, agli utili esteri soggetti ad imposta parziale a agli utili esteri esenti. Le perdite realizzate all’estero, invece, dovevano essere imputate nell’ordine: agli utili esenti per convenzione, agli utili soggetti ad imposta ridotta o agli utili realizzati in Belgio. La normativa fiscale belga stabiliva, inoltre, che le perdite potessero essere riportate in avanti e dedotte dal reddito imponibile di esercizi successivi. Tutto ciò solo a condizione che non fossero state assorbite dai redditi esenti per convenzione. La società AMID presentava ricorso davanti al Hof van Beroep di Gand sostenendo che le disposizioni applicate nei suoi confronti erano incompatibili con la Convenzione oltre al fatto che prevedevano un trattamento fiscale meno favorevole per le società belga con stabile organizzazione in Lussemurgo, rispetto a quello riservato alle società nazionali. 2.2 Le questioni pregiudiziali Il giudice nazionale sospendeva il procedimento e sopponeva alla Corte una questione pregiudiziale volta ad accerta se l’art. 43 del Trattato osti alla normativa di uno Stato membro in forza della quale una società di 73 BIZIOLI, Note minime in tema di libertà fondamentali e riporto delle perdite nell’ordinamneto comunitario, in Dir. e prat. internaz., 2003, 617; PISTONE, Il trattamento delle perdite e l’evoluzione del diritto comunitario in materia di imposte dirette, in Riv. dir. trib., 2001, 5; DASSESSE, The ECJ’s Decision in AMID and its implications for Belgian Companies, in International Boreau of Fiascal Documentation, 254; HINNEKENS, AMID: The wrong bridge or a bridge too far? An analysis of a recent decision of the European Court of Justice, in International Boreau of Fiascal Documentation, 2001, 206. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 53/87 diritto nazionale, con sede in tale Stato membro, può dedurre dagli utili imponibili di un dato anno, a titolo di imposta sulle società, le perdite subite nel corso dell’anno precedente soltanto a condizione che tali perdite non abbiano potuto essere imputate sugli utili realizzati nel corso dello stesso anno precedente da una delle sue sedi stabili situate in un altro Stato membro nei limiti in cui le perdite così imputate non possono essere dedotte dal reddito imponibile in alcuno degli Stati membri di cui trattasi, mentre sarebbero deducibili se la sede di dette società fossero situate esclusivamente nello Stato membro in cui essa ha la sede sociale. 2.3 Le argomentazioni della Corte La Corte accogliendo la posizione del ricorrente, stabilisce che il regime fiscale in questione costituisce un ostacolo, posto dallo Stato di residenza, alla libertà delle società residenti di stabilirsi in un altro Stato membro mediante l’insediamento di una stabile organizzazione in quello Stato. Viene sancita, quindi, la contrarietà di una tale normativa agli articoli del Trattato relativi alla libertà di stabilimento. Prima di arrivare ad una tale conclusione, la Corte ha effettuato un ragionamento interpretativo che merita di 74 essere messo in luce . In via preliminare la Corte afferma che, sebbene la materia delle imposte dirette rientri nella competenza degli 75 Stati membri, tuttavia questi ultimi devono esercitare tale competenza nel rispetto del diritto comunitario . In secondo luogo procede nel ribadire quella che è la portata delle disposizioni in materia di libertà di 76 stabilimento, secondo un approccio che è costante in tutte le pronucie in materia . Ora, la normativa controversa ha ad oggetto un trattamento delle perdite di una società belga con stabile organizzazione in Lussemburgo che sembra rendere più sfavorevole per le società residenti l’esercizio della libertà di stabilimento per mezzo di stabili organizzazioni con sede in altri Stati membri, la Corte ribadisce un importantissimo principio. Viene ribadito quanto era stato affermato per la prima volta nella sentenza ICI. Sebbene dal tenore letterale delle disposizioni degli articoli 43 e 48 del Trattato sia possibile affermare che esse abbiano lo scopo precipuo di garantire il beneficio della disciplina nazionale dello Stato membro 74 In via preliminare, la Corte rifiuta di pronunciarsi sull’argomento avanzato dalla Commissione riguardante la eventuale conflittualità della normativa belga con i principi sanciti dalla convenzione bilaterale stipulata fra Belgio e Lussemburgo, che prevede l’esenzione come mezzo attraverso cui poter eliminare la doppia imposizione internazionale. La ragione di un tale rifuito deve essere ravvisata nella circostanza che la questione non è stata specificatamente rimessa dal giudice nazionale. Altra questione di fondamentale importanza è che la Corte su di essa non avrebbe alcuna competenza a statuire prima di stabilire un legame con la normativa comunitaria. Da quanto affermato, è errato dedurre che la Corte, ogni volta che le viene sottoposta una questione riguardante le convenzioni contro la doppia imposizione si astiene dal pronunciarsi. Infatti nella sentenza Saint Gobain viene affermato con vigore dalla Corte l’obbligo degli Stati membri di rispettare il diritto comunitario anche nelle materie rimaste di loro competenza. 75 Sentenze 14 febbraio 1995, causa C-279/93, Schumacker, Racc. pag. I-225, punto 21; Sentenza 16 luglio 1998, causa C-264/96, ICI, Racc. pag. I-4695, punto 19, e Sentenza 6 giugno 2000, causa C-35/98, Verkoijen, Racc. pag. I-4071, punto 32. 76 Sentenza 28 gennaio 1986, causa C-270/83, Commissione/Francia, Racc. pag. 273, punto 18; Sentenza 13 luglio 1993, causa C-330/91, Commerzbank, Racc. pag. I-4017, punto 13, e Sentenza ICI, citata, punto 20. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 54/87 ospitante, esse hanno parimenti lo scopo di impedire che lo Stato di origine ostacoli lo stabilimento in un altro Stato di un proprio cittadino o di una società. Dopo aver affermato i principi posti a fondamento della propria decisione, la Corte procede ad esaminare gli aspetti determinanti della controversia di cui alla causa principale. Essa rileva, in primo luogo, che in base alla normativa belga, le società residenti che si sono avvalse della loro libertà di stabilimento e hanno creato stabili organizzazioni in altri Stati membri, non possono riportare le perdite sofferte in Belgio nel corso di un periodo d’imposta precedente se hanno realizzato, nel corso dello stesso periodo d’imposta, utili in un altro Stato membro mediante una stabile organizzazione. Diversamente se le sedi secondarie delle società residenti fossero state in Belgio: la possibilità di compensare le perdite sarebbe stata concessa. Quindi, posto che se una società residente ha una stabile organizzazione in un altro Stato membro e fra i due Stati vi sia una convenzione per evitare la doppia imposizione, è sottoposta, in base alla normativa nazionale, ad un trattamento fiscale differenziato rispetto alla società residente che abbia sedi secondarie nel territorio nazionale, è possibile affermare si è in presenza di uno svantaggio fiscale. Tale svantaggio sarebbe sofferto dalle società residenti che decidono di esercitare la loro attività tramite stabili organizzazioni stabilite in altri Stati membri e non avrebbe luogo se le sedi secondarie fossero situate nel territorio nazionale. Viene, dunque, affermata l’esistenza di una restrizione in uscita, in quanto una società belga con una stabile organizzazione in Lussemburgo sarebbe soggetta ad un trattamento fiscale sfavorevole. La prima argomentazione fornita dal governo belga attiene alla necessità di valutare la normativa nazionale nel suo complesso, al fine di provare che la normativa in questione non ostacola in nessun modo l’esercizio delle libertà fondamentali sancite dal Trattato. In base alla normativa nazionale, le società belghe sono assoggettate ad imposta sul reddito ovunque prodotto. Questa disposizione insieme alla presenza di una convenzione contro le doppie imposizioni stipulata dal Belgio con altri Stati membri, fa si che, nella maggior parte dei casi, dal regime previsto scaturiscano dei vantaggi per le società residenti. Infatti, una perdita subita all’estero potrebbe essere imputata sugli utili realizzati in Belgio. Il governo belga sostiene che, proprio in considerazione di quanto sopra affermato, la normativa nazionale non è determinante sulle scelte di una società residente in merito alla possibile apertura di una stabile organizzazione in altri Stati membri. Tale considerazione sarebbe, poi, suffragata dalla considerazione che una società non può sapere ex ante se realizzerà perdite in futuro. A questo proposito la Corte obietta che, anche se si assume che la normativa in esame comporta, nella maggior parte dei casi, un regime tributario che è favorevole per le società che hanno stabili organizzazioni in altri Stati membri, tuttavia, ogni volta in cui ne consegue un regime tributario sfavorevole, tale da poter parlare 77 di disparità di trattamento, non si può non affermare che vi sia un ostacolo alla libertà di stabilimento . La seconda giusitficazione presentata dal governo belga riguarda la considerazione che nella fattispecie in esame non sussiste una discriminazione in quanto le società belghe che hanno stabili organizzazioni in altri Stati membri e quelle che non hanno tali stabili organizzazioni non versano nella medesima situazione. Infatti 77 Sentenza Commissione/Francia, citata, punto 21. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 55/87 le società residenti che non hanno sedi secondarie sono tassate per il reddito ovunque prodotto in base ad aliquote applicabili in Belgio. Diversamente le società con stabili organizzazioni in altri Stati membri sono assoggettate ad imposta, relativamente ai redditi provenienti dalle sedi secondarie, in conformità alle disposizioni tributarie dello Stato membro in cui sono situate, fatta eccezione per l’applicazione di convenzioni contro la doppia imposizione. A riguardo la Corte respinge la giustificazione presentata dal governo belga, statuendo che le differenze enucleate non sarebbero sufficenti a giustificare un trattamento differenziato per quanto riguarda la deduzione delle perdite. Infatti, una società belga che non ha sedi secondare e che subisce perdite in un determinato esercizio, si trova, in linea di principio e dal punto di vista tributario, in una situazione equiparabile a quella di una società che ha una stabile organizzazione in Lussemburgo e subisce perdite in Belgio e realizzi al contempo utili in Lussemburgo nel corso dello stesso esercizio. Alla luce delle considerazioni di cui sopra, non esiste una differenza di situazione obiettiva, per cui una differenza di trattamento relativa alla deducibilità delle perdite possa essere giustificata. Poiché non è possibile ravvisare una giustificazione a tale differenza di trattamento, essa è in contrasto con le disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento. 2.4 Conclusioni La sentenza in esame, consente di fare alcune riflessioni in merito alle pronunce della Corte riguardanti il trattamento fiscale di un soggetto con stabile organizzazione in un altro Stato membro. A tal proposito sono state già passate in rassegna le sentenze Futura e Saint-Gobain. Proprio dall’esame di queste sentenze, è possibile arrivare alla conclusione che la stabile organizzaizone non è sempre nella medesima condizione imputabile ad una società figlia residente nello Stato della fonte. Ora, da un lato, deve sottolinearsi che la Corte ha sempre ribadito che la normativa tributaria non deve andare ad influenzare le modalità con cui un soggetto esercita il diritto distabilimento, dall’altro, deve riconoscersi che il diritto comunitario ha sempre riconosciuto e rispettato la diversità che corre in sostanza e ai fini impositivi fra una stabile organizzazione priva di personalità giuridica e un soggetto giuridico autonomo, Tuttavia, nella sentenza Saint-Gobain, relativamente alla percezione di dividendi di fonte estera da parte di una stabile organizzazione e di una società figlia, la Corte ha affermato l’esistenza di una situazione di oggettiva comparabilità tra situazioni diversamente considerate ai fini impositivi. Nella sentenza in esame, la Corte per la prima volta, afferma questa condizione di uguaglianza anche in materia di deduzione e riporto delle perdite della casa madre. Ecco perché, la normativa tributaria deve garantire le medesime condizioni all’interno dei rapporti che intercorrono tra due sedi societarie, a prescindere dalla circostanza che esse abbiano la sede nel medesiomo o in differenti Stati membri. Questo è il principio sancito dalla Corte nella sentenza in esame che porta ad affermare la sua importanza nel panorama delle pronunce in materia di libertà di stabilimento. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 56/87 3.Deutsche Shell GmbH La sentenza del caso C-293/06, Deutsche Shell GmbH, emessa il 28 febbraio 2008, deve essere inserita nel filone giurisprudenziale relativo alla compatibilità del differente tratamento fiscale di una società residente e di una stabile organizzazione di una società non residente con le libertà fondamentali sancite dal Trattato. 3.1 I fatti La Deutsche Shell, una società con sede e direzione in Germania (Home State), aveva creato, nel 1974, una stabile organizzazione in Italia (Host State) per la ricarca e lo sfruttamento di giacimenti di gas naturale e di petrolio. I proventi derivanti dalla stabile organizzazione venivano registrati, in modo conforme alla normativa italiana, in un bilancio redatto in valuta italiana, mentre, per la Deutsche Shell, in un distinto bilancio tedesco. La società tedesca, inoltre, conferiva alla stabile organizzazione contributi finanziari a titolo di capitale iniziale, che venivano iscritti in un bilancio tedesco distinto con il tasso di cambio per i marchi tedeschi valido all’atto di ciascun pagamento effettuato in lire. Gli utili della stabile organizzazione rientrati in Germania venivano dedotti dal capitale iniziale per un valore calcolato sulla base del tasso di cambio del marco tedesco e della lira italiana il giorno di ogni versamento fatto dalla stabile organizzazione alla società tedesca. La svalutazione monetaria del capitale iniziale conferito alla stabile organizzazione non veniva presa in considerazione in Italia, ai fini della tassazione degli utili della società italiana, per il fatto che la determinazione della base imponibile avveniva in lire italiane. In base alla normativa fiscale tedesca i redditi ovunque prodotti di una società tedesca sono integralmente tassati. Nel 1992 la Deutsche Shell trasferiva il patrimonio della stabile organizzazione ad una società interamente controllata e chiudeva detta stabile organizzazione. La Deutsche Shell vendeva, poi, le azioni acquisite mediante il trasferimento ad una società italiana indipendente. Si realizzava, così il rimborso del capitale inziale. La differenza negativa fra il rimborso del capitale e l'ammontare del capitale iniziale, veniva qualificato dalla società tedesca come una perdita valutaria. L’amministrazione finanziaria tedesca negava la possibilità di prendere in considerazione la detta perdita, adducendo quale motivazione il fatto che la società tedesca non aveva effettivamente subito una perdita valutaria reale, poiché la svalutazione monetaria del capitale inziale costituiva una parte dei risultati della società italiana e, tenendo conto di questa svalutazione , la società aveva realizzato un risultato positivo nel corso dell’esercizio fiscale in questione. Avverso questa decisione, la società tedesca proponeva ricorso dinanzi al Finanzgericht Hamburg, sostenendo che il diniego di dedurre la perdita valutaria era incompatibile con la libertà di stabilimento. Infatti, in tali circostanze la Deutsche Shell si veniva a trovare in una condizione meno favorevole rispetto alla situazione in cui avesse investito solo in Germania. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 57/87 3.2 Le questioni pregiudiziali Il Finanzgericht decideva di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: “1) Se sia in contrasto con l’articolo 43, in combinato disposto con l’articolo 48 del Trattato, il fatto che la Germania, in qualità di Stato d’origine, imputi all’utile d’impresa una perdita valutaria occorsa ad una società tedesca controllante in occasione del rientro del cd. Capitale iniziale conferito ad un’impresa italiana e, sulla base dell’esenzione prevista dagli articoli 3, nn. 1 e 3, e 11, n. 1, lett. c) della convenzione, la escluda dalla base imponibile per l’imposta tedesca, sebbene tale perdita non possa essere calcolata nell’accertamento degli utili d’impresa ai fini dell’imposizione italiana, con la conseguenza che essa non sarà presa in considerazione né nello Stato d’origine, né in quello ospitante”. Con la prima questione il giudice nazionale chiede in sostanza se il combinato disposto degli articoli 43 e 48 del Trattato osti a che uno Stato membro escluda una perdita valutaria subita da una società con sede statutaria sul territorio di tale ultimo Stato in occasione del rientro del capitale iniziale che essa aveva conferito ad una stabile organizzazione di sua appartenenza, situata in un altro Stato membro, ai fini delle determinazione della base imponibile nazionale. Poiché è stato sottolineato dal Finanzamt e dal governo tedesco che le fluttuazioni valutarie di cui alla causa principale non abbiano dato luogo ad una perdita valutaria, corrispondente ad una perdita economica reale, deve sottolinearsi che è il giudice del rinvio colui in capo al quale ricade l’obbligo di valutare se le perdite in questione siano effettivamente perdite valutarie. La Corte, poi, sulla base delle informazioni fornite dal giudice nazionale, procede ad esaminare la causa principale per arrivare alla soluzione del quesito sottoposto al suo vaglio. Fatte queste premesse, la Corte è chiamata a stabilire se, nell’ipotesi in cui esistesse una perdita valutaria corrispondente ad una perdita economica reale, la decisione del Finanzamt di escludere tale perdita dal calcolo della base imponibile della suddettta società possa rappresentare un ostacolo all’esercizio della libertà di stabilimento. Con la seconda quesitone il giudice del rinvio chiede se, nel caso in cui si risolvesse la prima questione in senso affermativo, il combinato disposto degli artt. 43 e 48 del Trattato osti altresì a che la perdita valutaria di cui trattasi possa essere dedotta a titolo di onere di esercizio di un’impresa che ha la propria sede in uno Stato membro soltanto nel caso in cui la stabile organizzazione appartenente a quest’ultima, situato in un altro Stato membro, non abbia realizzato utili esenti. 3.3 Le argomentazioni della Corte La Corte risolve le questioni sottoposte al suo vaglio affermando che il combinato disposto degli articoli 43 e 48 del Trattato osta a che uno Stato membro escluda una perdita valutaria, subita da una società con sede statuaria sul territorio di tale Stato, sul rientro del capitale iniziale che essa aveva conferito ad una stabile Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 58/87 organizzazione di sua appartenenza situato in un altro Stato membro, ai fini della determinazione della base imponibile nazionale. Afferma altresì che il combinato disposto degli artt. 43 e 48 del Trattato osta a che una perdita valutaria possa essere dedotta a titolo di onere d’esercizio di un’impresa con sede in uno Stato membro solamente nel caso in cui la stabile organizzazione appartenente a quest’ultima, situato in un altro Stato membro, non abbia realizzato utili esenti. La Corte prima di porre in essere quelle che sono le argomentazioni sulla base delle quali la sua decisione si baserà, ribadisce preliminarmente, rifacendosi ad un orientamento già espresso in altre pronunce, che “deve considerarsi come ostacoli” ogni misura che vieta, ostacola o scoraggia l’esercizio della libertà di 78 stabilimento . Gli ostacoli di cui sopra producono come conseguenza degli effetti restrittivi che, in particolare, si verificano quando una normativa fiscale di uno Stato membro induce una società ivi residente ad astenersi dal creare in altri Stati membri sedi secondarie, quali una stabile organizzazione, e dall’esercitare, conseguentemente la propria attività tramite tale stabile organizzazione 79 . La Corte prosegue analizzando quelle che sono le caratteristiche del caso concreto rilevanti ai fini della decisione. Una normativa tributaria quale quella tedesca rende il rischio economico, cui è fisiologiacamente soggetta una società residente che intenda creare una stabile organizzazione in un altro Stato membro che utilizzi una valuta diversa, più gravoso. In una situazione del genere, infatti, il rischio di fronte al quale si è posti è superiore: da un lato, vi è il rischio associato all’eventuale successo/insuccesso della stabile organizzazione, dall’altro, vi è il rischio derivante dal dotare quest’ultima di un capitale iniziale. Nella controversia in esame, la società tedesca ha esercitato la propria libertà di stabilimento garantita dal Trattato, ma, a fronte di una situazione del genere, non le è stato consentito di prendere in considerazione la perdita finanziaria subìta, nella valutazione dei propri utili di impresa complessivi ai fini dell’accertamento fiscale. In una situazione del genere, la Corte statuisce che il regime fiscale controverso costituisce un ostacolo l’esercizio alla libertà di stabilimento, in quanto induce una società tedesca ad astenersi dall’ esrcitare la libertà di stabilimento garantita dal Trattato. La Corte, una volta accertata la natura restrittiva della misura in quesitone, verifica se possa essere giustificata. Una restrizione, infatti, è ammissibile solo qualora persegua un obiettivo legittimo compatibile con il Trattato o sia giustificata da ragioni imperative di interesse generale. La prima delle giustificazioni presentate dal governo tedesco riguarda la coerenza del sistema tributario. A tal proposito sia la Germania che i Paesi Bassi ritengono che se alla società tedesca venisse concesso di prendere in considerazione una perdita valutaria ai fini della determinazione della base imponibile in 78 Sentenza 30 novembre 1995, causa C-55/94, Gebhard, Racc. pag. I-4165, punto 37, e Sentenza 5 ottobre 2004, causa C-442/02, CaixaBank France, Racc. pag. I-8961, punto 11. 79 sentenza 13 dicembre 2005, causa C- 446/03, Marks and Spencer, Racc. pag. I-10837, punti 32 e 33, nonché Sentenza23 febbraio 2006, causa C-471/04, Keller Holding, Racc. pag. I-2107, punto 35. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 59/87 Germania, la coerenza del sistema fiscale tedesco ne risulterebbe profondamente compromessa. Alla base di una simile considerazione vi è la circostanza che se ci fosse un eventuale guadagno sul cambio, ottenuto in una situazione simile, non verrebbe preso in considerazione. Ergo, lo svantaggio che deriverebbe dal diniego di prendere in considerazione la perdita valutaria, non è altro che la conseguenza logica e necessaria del vantaggio derivante dal fatto che un guadagno sul cambio sarebbe anch’esso escluso dalla base imponibile. La Corte, nel respingere tale argomentazione, preliminarmente si rifà a principi già espressi in altre pronunce. Più volte, infatti è stato riconosciuto che la coerenza del regime fiscale è un motivo idoneo a giustificare una 80 restrizione alla libertà di stabilimento sancita dal Trattato . Tuttavia, ha osservato la Corte, affinchè la coerenza fiscale possa essere fatta valere come una causa di giustificazione idonea è necessario che vi sia “un nesso diretto fra il beneficio fiscale e la compensazione di 81 tale beneficio con un determinato prelievo fiscale” . La Corte, inoltre, statuisce che “il nesso diretto” deve essere verificato sulla base di quella che è la finalità della normativa fiscale, tenendo conto la situazione dei contribuenti interessati da una correlazione rigorosa 82 tra elemento deducibile e elemento relativo all’imposizione . Per quanto riguarda la possibilià di ravvisare “il nesso diretto” nella normativa fiscale tedesca, deve sottolinearsi che il confronto fra perdite valutarie e i guadagni sul cambio, non sono idonei a qualificare tale confronto in termini di rigorosa correlazione. Inoltre, il fatto che la perdita valutaria nn venga presa in considerazione ai fini della determinazione della base imponibile, non viene compensato da alcun beneficio fiscale nello Stato membro sede della società o in quello in cui ha sede la stabile organizzazione. La seconda delle giustificazioni fatte valere dal governo tedesco attiene alla necessità di garantire una equilibrata ripartizione del potere impositivo fra Germania e Italia; tale possibilità sarebbe garantita grazie alla libera scelta in capo agli Stati membri di determinare i criteri di ripartizione della sovranità fiscale, anche per mezzo dell’ausilio, come avviene nel caso di specie, di convenzioni bilaterali. Infatti In base alla convenzione de qua, gli Stati membri hanno deciso di esentare dall’imposta i redditi delle stabili organizzazioni situate nel territorio dello Stato contraente, condizione che impedisce di prendere in considerazione la perdita valutaria in questione. A tal proposito la Corte ribadisce che, in mancanza di armonizzazione comunitaria o di disposizioni volte a creare una disciplina uniforme in una determinata materia, gli Stati membri hanno la possibilità di esercitare la propria competenza nella definizione dei criteri per la tassazione dei redditi e del patrimonio, al fine di eliminare la doppia imposizione. Tale obiettivo deve poter essere perseguito, aggiunge la Corte, anche in via convenzionale, cioè tramite la 83 stipulazione di convenzioni atte ad impedire una doppia imposizione . 80 Sentenze 28 gennaio 1992, causa C-204/90, Bachmann, Racc. pag. I-249, punto 28; causa C-300/90, Commissione/Belgio, Racc. pag. I-305, punto 21; sentenza Keller Holding, cit. , punto 40, e Sentenza 8 novembre 2007, causa C-379/05, Amurta, Racc. pag. I-0000, punto 46). 81 Deve sottolinearsi che l’argomentazione basata sulla coerenza del sistema fiscale, ha ricevuto una ulteriore ed innovativa chiave di lettura nelle conclusioni dell’Avvocato Generale Maduro nella sentenza Marks and Spencer. Egli, infatti, aveva sottolineato come, la coerenza fiscale dovesse essere letta anche, e soprattutto, alla luce di quello che è l’obiettivo e la logica del regime fiscale in esame. 82 v. , in tal senso, Sentenza 11 agosto 1995, causa C-80/94, Wielockx, Racc. pag. I-2493, punto 24. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 60/87 La libertà degli Stati mebri nell’esercitare la competenza di cui sopra implica anche che, uno Stato membro non sia obbligato a prendere in considerazione, ai fini dell’applicazione della propria normativa, i risultati negativi di una stabile organizzazione che abbia la sede in un altro Stato membro, solo in ragione del fatto che questi risultati non possono essere presi in considerazione nello Stato della stabile organizzazione. Ancora deve essere sottolineato che la libertà di stabilimento non deve essere considerata come un mezzo attraverso cui poter giustificar il fatto che uno Stato membro nel determinare la propria normativa fiscale, debba tener conto anche di quella di un altro Stato membro, al fine di eliminare ogni possibilie disparità derivante da norme che possono risultare, a seconda dei casi, più o meno favorevoli. Per quanto riguarda la causa principale, però, deve osservarsi come lo svantaggio fiscale sia in realtà una circostanza che riguarda solo le autorità tedesche. Non è possibile affermare che uno Stato membro escluda le perdite valutarie dalla base imponibile della società residente, perdite che non possono essere subite dalla stabile organizzazione. L’argomentazione che viene fornita dal governo tedesco per giustificare la possibile restrizione derivante dal negare la considerazione delle perdite valutarie sulla base dei risultati di una stabile organizzazione, riguarda nuovamente la coerenza del sistema fiscale e la ripartizione del potere impositivo tra i Stati membri interessati. Tale giustificazione viene respinta dalla Corte con le stesse argomentazioni utilizzate per respingere le giustificazioni presentate in merito al primo quesito posto dal giudice nazionale al vaglio della Corte. Ulteriore giustificazione riguarda il rischio di un duplice utilizzo delle perdite. A tal proposito la Corte specifica che, uno Stato membro, che abbia concluso una convenzione con un altro Stato e che quindi abbia rinunciato al proprio potere impositivo, non può addurre quale giustificazione la mancanza di potere impositivo in relazione ai risultati della stabile organizzazione di una società stabilita nel suo territorio, per il diniego alla deduzione delle spese sostenute da tale società, che naturalmente non possono essere prese in considerazione nello Stato in cui ha la sede la stabile organizzazione. Inoltre, il fatto che la stabile organizzazione abbia ottenuto dei benefici non è in corrispondenza ad un eventuale diritto della società tedesca di dedurre la perdita valutaria. In caso contrario, infatti, la perdita valutaria non potrebbe essere presa in considerazione né dallo Stato membro ove ha la sede la società, né da quello ove è situato la stabile riorganizzazione. La ragione di ciò consiste nel fatto che la contabilità dello Stato in cui ha la sede la stabile organizzazione, espressa dalla moneta nazionale, non può indicare la svalutazione monetaria del capitale iniziale. 4. Lidl Belgium Con la sentenza del 15 maggio 2008 nella causa C-414/06, la Corte torna a pronunciarsi sulla delicata questione relativa alla compatibilità di una normativa fiscale, nel caso di specie quella tedesca, che impedisce ad una società residente di dedurre le perdite provenienti da una stabile organizzazione con sede in un altro Stato membro. 83 Sentenza 3 ottobre 2006, causa C- 290/04, FKP Scorpio Konzertproduktionen, Racc. pag. I-9461, punto 54; Sentenza12 dicembre 2006, causa C-374/04, Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation, Racc. pag. I-11673, punto 52, e Sentenza 18 luglio 2007, causa C-231/05, Oy AA, Racc. pag. I-6373, punto 52 Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 61/87 4.1 I fatti La società Lidl Belgium GmbH & CO. KG era stabilita in Germania (Home State) ed esercitava attività commerciali nel settore della distribuzione dei prodotti. La Lidl Belgium possedeva anche una stabile organizzazione in Lussemburgo (Host State). Nel 1999 la stabile organizzazione situata in Lussemburgo subiva una perdita. La Lidl Belgium, in sede di accertamento fiscale, deduceva tale perdita dalla sua base imponibile. Il Finanzamt negava la possibilità di una tale deduzione sulla base della considerazione che, in virtù della convenzione contro la doppia imposizione stipulata fra Germania e Lussemburgo, i redditi relativi alla stabile organizzazione non sono soggetti a tassazione in Germania. La Lidl Belgium proponeva ricorso contro la decisione del Finanzamt, dapprima dinanzi al Finanzamt BadenWurttemberg e poi di fronte al Bundesfinazhof. 4.2 Le questioni pregiudiziali Investito del ricorso dalla Lidl Belgium, il giudice del rinvio sospendeva il procedimento e sottoponeva alla Corte una questione volta ad accertare se, in sostanza, gli articoli 43 e 56 del Trattato ostino ad un regime tributario nazionale che esclude la possiblità per una società residente, in occasione della determinazione dei propri utili e del calcolo del proprio reddito imponibile, di dedurre perdite subite in un altro Stato membro da una stabile organizzazione di sua appartenenza, mentre il suddetto regime tributario ammette tale possibilità in relazione a perdite subite da una stabile organizzazione residente. 4.3 Le argomentazioni della Corte La Corte risolve la questione sottoposta al suo vaglio dal giudice nazionale affermando che l’articolo 43 del Trattato non osta ad una normativa di uno Stato membro che impedisce ad una società stabilita in uno Stato membro di dedurre dalla sua base imponibile le perdite relative ad una stabile organizzazione di sua appartenenza situata in un altro Stato membro, nella misura in cui, in forza di una convenzione contro la doppia imposizione, i redditi di tale organizzazione siano tassati in tale ultimo Stato membro, nel quale le suddette perdite possono essere prese in considerazione nell’ambito della tassazione del reddito di tale stabile organizzazione. Per comprendere meglio la portata di una tale decisione, è necessario andare ad analizzare i passaggi argomentativi seguiti dalla Corte nell’arrivare alla decisione finale. Prima di procedere all’esame della questione sottoposta al suo vaglio, la Corte sottolinea che la creazione e la gestione da parte di una persona fisica o giuridica stabilita in uno Stato membro di una stabile organizzazione priva di personalità giuridica distinta, situata in un altro Stato membro, rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 43 del Trattato. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 62/87 Inoltre il fatto che il regime tributario de quo comporti prima facie degli effetti restrittivi sulla libera circolazione dei capitali, garantita dall’articolo 56 del Trattato, non è altro che una conseguenza logica e inevitabile di quello che è il primo ostacolo realizzato dalla normativa in esame (riguardante, cioè, la libertà di 84 stabilimento) . Ne deriva che, sebbene il giudice nazionale avesse utilizzato quali parametri della questione interpretativa sottoposta al vaglio della Corte gli articoli 43 e 56 del Trattato, in realtà la questione di cui si tratta nella causa principale deve essere valutata solo ed esclusivamente alla luce dell’articolo 43 del Trattato. Anche nella sentenza in esame, la Corte non si esime dal ribadire quelli che sono i principi fondamentali in materia di libertà di stabilimento. Essa, infatti, rifacendosi ad un orientamento noto e consolidato, afferma che la libertà di stabilimento, in relazione alla quale viene lamentata l’illegittimità della normativa in questione, implica che le società costituite a norma delle leggi di uno Stato membro e aventi la sede sociale, l’amministrazione centrale o la sede principale in detto Stato membro abbiano il diritto di esercitare la loro attività per mezzo di una controllata, di 85 una stabile organizzazione o di un’agenzia in altri Stati membri . Poiché si è di fronte ad una normativa fiscale che prima facie contraria all’articolo 43, la Corte non si esime dal ribadire un principio che nell’ambito delle pronunce giurisrpudenziali in materia di libertà di stabilimento ha costituito un tassello fondamentale nel percorso argomentativo della Corte. 86 Viene, infatti, ribadito quanto era stato per la prima volta sancito nella sentenza ICI : le disposizioni sulla libertà di stabilimento, sebbene dal tenore letterale sembrino assicurare il beneficio del trattamento nazionale nello Stato membro di stabilimento, esse perseguono anche lo scopo di evitare che uno Stato membro ostacoli, ponendo in essere delle misure fiscali restrittive, lo stabilimento in un altro Stato membro di un proprio cittadino o di una società costituitasi in modo conforme alla propria legislazione. Passaggio logico fondamentale della sentenza in esame è quello che estende tali principi anche all’ipotesi in 87 cui un asocietà stabilita in uno Stato membro operi in un altro per mezzo di una stabile organizzazione . Dopo aver fatto queste premesse che si pongono come antecedente logico ontologico della pronuncia in esame, la Corte procede ad esaminare la portata della misura fiscale controversa al fine di verificare se effettivamente sussiste la lamentata restrizione alla libertà di stabilimento. 84 Sentenza 12 settembre 2006, causa C-196/04, cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, Racc. pag. I-7995, punto 33; Sentenza 3 ottobre 2006, causa C-452/04, fidium Finanz, Racc. pag. I-9521, punti 48 e 49, nonché Sentenza 13 marzo 2007, causa C-524/04, Test Claimants in the thin cap Group Litigation, Racc. pag. I-2107, punto 34). 85 Sentenze 21 settembre 1999, causa C-307/97, Saint-Gobain ZN, Racc. pag. I-6161, punto 35; Sentenza 14 dicembre 2000, causa C-141/99, AMID, Racc. pag. I-11619, punto 20, e 23 febbraio 2006, causa C-471/04, Keller Holding, Racc. pag. I-2107, punto 29). 86 Sentenza 16 luglio 1998, causa C-264/96, ICI, Racc. pag. I-4695, punto 21. 87 In relazione al concetto di stabile organizzazione, la Corte precisa che, come dimostrano le disposizioni della convenzione, una stabile organizzazione è, per il diritto tributario internazionale, un soggetto autonomo. Il considerare una stabile organizzazione come un soggetto d’imposta autonomo è conforme alla prassi giuridica internazionale come delineata dal modelllo OCSE. A tal proposito la Corte ribadisce che gli Stati membri possono ispirarsi, per la ripartizione della competenza fiscale, alla prassi internazionale e, in particolare, ai modelli di convenzione elaborati dall’OCSE. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 63/87 Senza ombra di dubbi una disposizione fiscale che consente di dedurre le perdite di una stabile organizzazione per la determinazione dell’utile imponibile, rappresenta sicuramente un vantaggio fiscale, in quanto la base imponibile ne viene sensibilmente ridotta. Le disposizioni della normativa fiscale tedesca, non consentono, però, di usufruire di tale vantaggio nell’ipotesi in cui le perdite derivino da una stabile organizzazione che abbia la sede in un altro Stato membro rispetto a quello di residenza della società principale. Quindi, posto che il vantaggio di poter considerare le perdite di una stabile organizzazione che ha la sede in un altro Stato non viene concesso, dalla normativa nazionale, ad una società residente, è necessario dedurre che la situazione di una società residente che abbia una stabile organizzazione in un altro Stato membro è meno favorevole di quella di una società che ha una stabile organizzazione in Germania. Si verifica, quindi, una differenza di trattamento fiscale tale per cui una società potrebbe essere distolta dall’esercitare la propria attività tramite un astabile organizzazione La Corte conclude nel sostenere che la normativa controversa determina una restrizione alla libertà dei stabilimento. Accertato che si è in presenza di una restrizione alla libertà di stabilimento, la Corte procede, seguendo l’iter 88 che è solita svolgere nelle pronuncie di questo tipo , ad esaminare se tale restrizione possa essere giustificata da ragioni imperative di interesse generale e se, anche in tale ipotesi, possa qualificarsi come idonea a garantire il perseguimento dello scopo prefissato e non eccede quanto necessario per realizzarlo. Le prima delle giustificazioni fornite dai governi tedesco, ellenico, francese, olandese, finlandese, svedese e del Regno Unito, riguardano l’esigenza di tutelare la ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri interessati e l’esigenza di prevenire il rischio di una doppia deduzione delle perdite. Per quanto riguarda il primo di tali elementi, tale esigenza consentirebbe l’applicazione alle attività economiche che si svolgono all’interno di uno Stato membro, delle sole norme tributarie di quest’ultimo, sia per quanto riguarda le perdite che per quanto riguarda i profitti. In base a tale argomentazione, se in capo ad una società viene lasciata la scelta di decidere in merito al luogo in cui prendere in considerazione le perdite, se nello Stato membro in cui sono stabilite o in un altro, l’equilibrata ripartizione del potere impositivo fra gli Stati membri viene compromesso, poiché la base imponibile, a seconda del luogo di scelta, risulterebbe aumentata nel primo Stato e ridotta nel secondo. In merito alla pertinenza del primo elemento di giustificazione invocato, è importante sottolineare che lo Stato membro in cui ha sede la società alla quale appartiene la stabile organizzazione potrebbe usufruire del beneficio, in assenza di una convenzione volta ad evitare la doppia imposizione, del diritto di tassare gli utili realizzati da tale entità. 88 Sentenza 13 dicembre 2005, causa C-446/03, Sentenza Marks and Spencer, Racc. pag. I-10837, punto 35, Sentenza Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, cit. , punto 47, nonché Sentenza Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation, cit. , punto 64.. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 64/87 Ne deriva che l’obiettivo di tutelare la ripartizione del potere impositivo tra i due Stati membri interessati, realizzato grazie alle disposizioni della Convenzione, può giustificare il regime tributario de quo, dal momento che in tal modo verrebbe preservata la simmetria tra il diritto di tassare gli utili e la possibilità di dedurre le perdite. Nel caso di specie, ammettere la possibilità di dedurre le perdite di una stabile organizzazione non residente dal reddito della società principale, equivarrebbe ad ammettere alla società principale di scegliere il luogo in 89 cui dedurre tali perdite . Per quanto riguarda il secondo elemento di giustificazione relativo al rischio di una doppia presa in considerazione delle perdite, la Corte ha stabilito che in linea teorica e tendenziale, gli Stati membri devono 90 potersi opporre ad un tale rischio . Anche tale argomento viene considerato dalla Corte come idoneo a giustificare una normativa quale quella di cui alla causa principale. Alla luce delle considerazioni svolte, la Corte dichiara che i due elementi di giustificazione sono idonei a giustificare una restrizione alla libertà di stabilimento. Ora, posto che il regime tributario de quo è, in linea di principio, giustificato rispetto ai due elementi sopra analizzati, rimane da verificare se tale regime tributario non ecceda quanto necessario per raggiungere gli obiettivi perseguiti. A tal proposito, la Lidl Belgium e la Commissione hanno messo in luce la possibilità che una società madre deduca le perdite subite da una stabile organizzazione a condizione che vi sia la possibilità di reintegrare nei propri risultati futuri gli utili ulteriori della suddetta organizzazione, fino all'ammontare delle perdite precedentemente calcolate, 91 Questo era il sistema vigente in Germania prima del 1999 . Nel caso in esame la normativa tributaria lussemburghese prevede la possibilità di far valere perdite di un soggetto passivo per esercizi fiscali futuri ai fini del calcolo della base imponibile. Sempre nel caso di specie, la Lidl Belgium ha effettivamente beneficiato di tale imputazione delle perdite subite nel 1999 dalla sua stabile organizzazione in occasione di un esercizio fiscale posteriore, ossia il 2003, esercizio nel corso del quale tale entità ha realizzato utili. Alla luce di tutte le considerazioni svolte, la Corte arriva ad affermare che il regime tributario di cui trattasi nella causa principale, deve essere considerato proporzionale rispetto agli obiettivi da esso perseguiti. 4.4 Conclusioni 89 Sentenza Oy AA, cit., punto 56. Sentenza marks & Spencer, cit., punto 47, nonché Sentenza 29 marzo 2007, causa C-347/04, Rewe Zentralfinanz, Racc. pag. I-2647, punto 47. 91 A tal proposito viene richiamato quanto espresso dalla Corte nella sentenza Marks & Spencer a proposito della proporzionalità o meno della misura fiscale in esame. In tale occasione si era affermato che una misura fiscale che impedisse la deduzione delle perdite subite da una controllata residnete in un altro Stato membro non poteva dirsi proporzionata nell’ipotesi in cui impedisse la deduzione delle perdite anche nel caso in cui la controllata avesse esaurito tutte le possibilità di utilizzarle nel proprio Paese di stabilimento, anche mediante meccanismi di riporto indietro o in avanti ovvero concedendole a terzi. 90 Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 65/87 La sentenza in esame sembra essere costruita su uno schema argomentativo che ripercorre passo passo la nota sentenza Marks & Spencer. Infatti, dall’analisi delle cause di giustificazione presentate dai governi emerge che il problema viene sottoposto alla Corte negli stessi termini in cui era stata affrontata nella sentenza Marks & Spencer. Alla Corte viene sottoposta la questione se la misura controversa possa essere giustificata alla luce degli stessi motivi che avevano guidato la Corte nella sentenza sopramenzionata. Si chiede, cioè, se i motivi di giustificazione accolti dalla Corte nella causa Marks & Spencer nel contesto della deduzione delle perdite subite da società controllate siano applicabili nel contesto della deduzione delle 92 perdite subite da una stabile organizzazione . Come affermato dall’Avvocato generale Sharpston al paragrafo 9 delle sue conclusioni, non vi è motivo per ritenere che le due fattispecie, quella del caso in esame e quella oggetto della sentenza Marks & Spencer, debbano essere distinte. Anche nell’analisi volta a valutare se la misura in esame persegue proporzionalmente gli scopi perseguiti, la Corte utilizza quale metro di giudizio ai fini della sua conclusione, la soluzione decisa nella causa Marks & Spencer. Ragion per cui la normativa controversa nella sentenza Lidl Belgium viene considerata proporzionale agli scopi perseguiti. E’ dunque possibile notare come l’approccio della Corte rimanga immutato anche in una controversia in cui oggetto della discussione sia la deduzione delle perdite subite da una stabile organizzazione. 5.Finanzamt fur korperschaften III in Berlin La sentenza del 23 ottobre 2008, causa 157/07, si inserisce nell’ambito delle sentenze della Corte di guistizia in cui viene analizzata la problematica relativa al trattamento fiscale delle perdite subite da una stabile organizzazione. 5.1 I fatti La KR Wannsee è una società a responsabilità limitata stabilita in Germania (Home State), che ha una stabile organizzazione in Austria (Host State). La stabile organizzazione è stata mantenuta dalla KR Wannsee dal 1982 fino al 1990. Fino al 1990, la stabile organizzazione realizzava delle perdite. In ragione di ciò la KR Wannese chiedeva al Finanzamt di poter prendere in considerazione tali perdite in relazione ai profitti da essa realizzati in Germania per il periodo di imposta corrispondenti agli anni 1982-1990. 92 Nel caso Marks & Spencer la Corte ha riconosciuto che una normativa nazionale che esclude la possibilità, per una società residente, di dedurre dal suo reddito imponibile perdite occorse ad una controllata residente in un altro Stato membro, sebbene accordi tale possibilità per le perdite subite da una controllata residente, equivale ad una restrizione della libertà di stabilimento. Tuttavia, la Corte aveva afffermato in tale occasione che tale restrizione dovesse considerarsi giustificata dalla finalità di tutelare la ripartizione del potere impositivo, dal rischio di un duplice uso delle perdite, dal rischio di evasione fiscale. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 66/87 Nel periodo compreso fra il 1991 e il 1994, anno in cui la stabile organizzazione veniva ceduta, la società realizzava tramite la stabile organizzazione, profitti. In conformità a quanto disposto dal diritto tributario tedesco, il Finanzamt cumulava i profitti realizzati dalla stabile organizzazione all’importo totale dei redditi percepiti in Germania dalla società tedesca. Venivano, dunque, tassati a posteriori quegli importi che erano già stati dedotti delle perdite realizzate dalla stabile organizzazione austriaca. Per quanto riguardava il perdiodo di imposta corrispondente al 1994, nella base imponibile, che risultava di conseguenza maggiorata, della KR Wannsee venivano inseriti i profitti realizzati dalla stabile organizzazione nel corso di tale anno. Per quanto riguarda l’Austria, invece, la società tedesca veniva assoggettata all’imposta sulle società per gli esercizi 1992-93; anni in corrispondenza dei quali la stabile organizzazione aveva realizzato profitti. Per quanto riguarda le perdite precedentemente subite, l’amministrazione tributaria austriaca non consentiva di prenderle in considerazione. Il diritto tributario austriaco, infatti, prevedeva che la deduzione delle perdite fosse possibile, in via sussidiaria, solo nell’ipotesi in cui non fossero state prese in considerazione dallo Stato in cui era stabilita la società da cui dipendeva la stabile organizzazione. Per quanto riguarda il 1994, periodo d’imposta di cui alla causa principale, la stabile organizzazione avrebbe dovuto essere assoggettata ad imposta, secondo quanto disposto dal diritto autriaco, tuttavia, diversamente da quanto era accaduto per gli anni 1992 e 1993, ciò non accadeva. Avverso la decisione del Finanzamt di calcolare il reddito imponibile della società tedesca sulla base anche dei profitti realizzati dalla stabile organizzazione, la società tedesca presentava ricorso chiedendo la deduzione degli importi reintegrati nella base di calcolo dell’imposta dovuta in Germania. Secondo la KR Wannsee la reintegrazione in questione non era conforme al diritto, a causa della limitazione a sette anni del riporto delle perdite previsto in Austria. Il Finanzgericht Berlin respingeva il ricorso avverso gli avvisi di accertamento relativi agli anni 1992 e 1993, mentre accoglieva quello relativo all’anno 1994. 5.2 Le questioni pregiudiziali In tale contesto il giudice nazionale ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni : « 1) Se l’articolo 31 dell’accordo SEE (Accordo sullo Spazio economico europeo) osti alla normativa di uno Stato membro in base alla quale un soggetto, stabilito nello stesso Stato membro e ivi tenuto ad un obbligo fiscale illimitato, possa, a determinate condizioni, dedurre in sede di determinazione dell’importo complessivo dei redditi, perdite esentate dall’imposta sul reddito realizzate da una stabile organizzazione sita in un altro Stato membro a norma di una convenzione in materia di doppia imposizione, A norma della quale, per, l’importo dedotto, nella misura in cui risulti complessivamente, in uno dei successivi periodi d’imposta, un importo positivo relativamente ai redditi da attività commerciale realizzati dalla stabile organizzazione sita in un altro Stato membro, soggetti ad esenzione ai sensi della convenzione in materia di doppia imposizione, debba essere nuovamente sommato in sede di determinazione dell’importo complessivo dei redditi nel periodo d’imposta in questione, Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 67/87 Ma ciò non valga ove il soggetto passivo dimostri che, a norma delle disposizioni dell’altro Stato membro a lui applicabili, non può ottenere in linea generale una deduzione delle perdite in anni diversi dall’anno in cui la perdita è stata realizzata, cosa che non si verifica quando una deduzione delle perdite è sì concessa in linea generale nell’altro Stato membro in base alla normativa ivi vigente, ma non già nel caso concreto in cui versa il soggetto passivo ; 2) In caso di risposta affermativa alla prima questione, se vi siano delle conseguenze per lo Stato di stabilimento qualora le limitazioni alla deduzione delle perdite nell’altro Stato membro (diverso dallo Stato di origine) costituiscano a loro volta una violazione dell’articolo 31 dell’accordo SEE, in quanto esse pongono in una situazione di svantaggio il soggetto passivo ivi tenuto ad un obbligo fiscale limitato relativamente alle imposte sui redditi della propria stabile organizzazione rispetto al soggetto passivo ivi tenuto ad un obbligo fiscale illimitato. 3) In caso di risposta affermativa anche alla seconda questione, se lo Stato di stabilimento debba rinunciare al riporto dello sgravio per le perdite subite dalla stabile organizzazione straniera ove queste non possano essere dedotte in altro modo in nessun Stato membro, poiché la stabile organizzazione nell’altro Stato membro è stata ceduta ». 5.3 Le argomentazioni della Corte Viene preliminarmente osservato che le norme che vietano le restrizioni alla libertà di stabilimento di cui all’articolo 31 dell’accordo SEE sono identiche a quelle sancite dall’articolo 43 del Trattato. In questo settore, le norme dell’accordo SEE devono ricevere interpretazione uniforme a quelle previste dal 93 Trattato . Con le sue questioni pregiudiziali, che devono essere analizzate insieme, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 31 dell’accordo SEE osti ad un regime fiscale nazionale che, dopo aver consentito di prendere in considerazione le perdite subite da una stabile organizzazione situata in uno Stato diverso da quello in cui è stabilia la società dalla quale dipende la suddetta stabile organizzazione, ai fini del calcolo dell’imposta sul reddito delle società, prevede una reintegrazione fiscale delle perdite stesse allorchè la stabile organizzazione citata realizzi un profitto, qualora lo Stato ove la stessa stabile organizzazione è situata non conceda alcun diritto al riporto delle perdite subite da una stabile organizzazione appartenente ad una società stabilita in un altro Stato e qualora, in forza di una convenzione contro la doppia imposizione conclusa fra i due Stati interessati, i redditi di detta stabile organizzazione siano esentati dalla tassazione nello Stato in cui la società dalla quale quest’ultima dipende ha la sua sede. La Corte risolve la questione sottoposta al suo vaglio affermando che l’articolo 31 dell’accordo SEE non osta ad un regime fiscale nazionale che, dopo aver consentito di prendere in considerazione le perdite subite da una stabile organizzazione situata in uno Stato diverso da quello in cui è stabilita la società dalla quale dipende la suddetta stabile organizzazione, ai fini del calcolo dell’imposta sul reddito di tale società, prevede una reintegrazione fiscale delle perdite stesse allorchè la stabile organizzazione citata realizza un profitto, qualora 93 Sentenze 23 settembre 2003, causa C-452/01, Ospelt e Schlossle Weissenberg, Racc. pag. I-9743, punto 29, e Sentenza 1 aprile 2004, causa C-286/02, Bellio F.lli, Racc. pag. I-3465, punto 34. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 68/87 lo Stato ove la stessa stabile organizzazione è situata non conceda alcun diritto al riporto dlele perdite subite da una stabile organizzazione appartenente ad una società stabilita in un altro Stato e qualora, in forza di una convenzione diretta a prevenire la doppia imposizione conclusa tra i due Stati interessati, i redditi di detta stabile organizzazione siano esentati dalla tassazione nello Stato in cui la società dalla quale quest’ultima dipende ha la sede. L’iter argomentativo seguito dalla Corte per giungere alla decisione si articola in una serie di principi che meritano di essere presi in considerazione. In primo luogo la Corte ribadisce che la libertà di stabilimento implica che le società costituite secondo quanto disposto dalle leggi di uno Stato membro, che hanno la sede sociale, l’amministrazione centrale o la sede principale nel territorio della Comunità, hanno il diritto di svolgere in altri Stati membri la propria attività per mezzo di una controllata, stabile organizzazione o un’agenzia 94 . Viene, inoltre, ribadito un altro principio di fondamentale importanza nelle pronunce della Corte. Sebbene dal tenore letterale delle disposizioni sulla libertà di stabilimento sia possibile dedurre che esse abbiano principalmente lo scopo di assicurare il beneficio nazionale dello Stato di stabilimento, tuttavia esse sono anche dirette ad evitare che uno Stato membro ostacoli lo stabilimento di un proprio cittadino in un altro Stato membro 95 . La Corte si rifà preliminarmente ad un altro importante principio. Essa ribadisce che devono essere considerate come misure restrittive tutte quelle che vietano, ostacolano o 96 scoraggiano l’esercizio della libertà di stabilimento sancita dal Trattato . Tali principi, osserva la Corte devono essere applicati nell’ipotesi in cui una società stabilita in uno Stato 97 membro eserciti la propria attività per mezzo di una stabile organizzazione situata in un altro Stato membro . Dopo aver espresso i principi chiave in materia di libertà di stabilimento, la Corte chiarisce che un regime fiscale che permette di prendere in considerazione le perdite di una stabile organizzazione ai fini del calcolo del reddito imponibile della società principale, costituisce un’agevolazione fiscale. Il diniego di un tale beneficio deve essere considerato come un ostacolo alla libertà di stabilimento. La Corte sottolinea a tal proposito che il regime fiscale tedesco consente la deduzione delle perdite subite da una stabile organizzazione nell’ambito dei redditi della società principale stabilita in Germania e da cui dipende la stabile organizzazione. In un primo momento, infatti, le perdite della stabile organizzazione sono dedotte dai profitti della società tedesca, verificandosi, in tal modo, la stessa agevolazione fiscale che avrebbe avuto luogo nell’ipotesi in cui la stabile organizzazione fosse stata stabilita in Germania. 94 Sentenza 21 settembre 1999, causa C-307/97, Saint Gobian ZN, Racc. pag. I-6161, punto 35; Sentenza 14 dicembre 2000, causa C-141/99, AMID, Racc. pag. I11619, punto 20, e sentenza Keller Holding, cit. , punto 29. 95 Sentenza 16 luglio 1998, causa C-264/96, ICI, Racc. pag. I-4695, punto 21, nonché Sentenza 6 dicembre 2007, causa C-298/05, Columbus Container Services, non ancora pubblicata nella raccolta, punto 33). 96 Sentenza 30 novembre 1995, causa C-55/94, Gebhard, Racc. pag. I-4165, punto 37, e Sentenza 5 ottobre 2004, causa C-442/02, CaixaBank France, Racc. pag. I-8961, punto11. 97 Sentenza 15 maggio 2008, causa C-414/06, Lidl Belgium. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 69/87 Fino a questo punto, sottolinea la Corte, nulla quaestio. Il problema consiste nel fatto che in un secondo momento, per mezzo della reintegrazione delle perdite della stabile organizzazione nella base imponibile della società principale, in considerazione del fatto che la stabile organizzazione aveva realizzato dei profitti, l’agevolazione fiscale veniva revocata. Così facendo, osserva la Corte, la società tedesca è venuta, per quanto la reintegrazione fosse avvenuta solo fino a concorrenza dell’importo dei profitti realizzati dalla stabile organizzazione, a trovarsi in una situazione sicuramente meno favorevole rispetto a quella in cui si sarebbe trovata se la sede secondaria fosse stata stabilita in Germania. La Corte statuisce che il regime fiscale de quo costituisce una restrizione all’articolo 31 dell’accordo SEE. Verificata la presenza di una misura restrittiva, la Corte procede a verificare la sussistenza di una ragione imperativa di interesse generale idonea a giustificare tale restrizione, nonché a verificare la proporzionalità della misura con lo scopo perseguito (v., sentenza Lidl Belgium e giurisprudenza ivi citata). Il giudice a quo aveva sottolineato che, in base alla convenzione contro la doppia imposizione stipulata fra Austria e Germania, i redditi prodotti dalla stabile organizzazione venivano tassati in Austria. La reintegrazione delle perdite nella base imponibile non deve essere considerata separatamenete dalla precedente presa in considerazione delle perdite stessa. La reintegrazione delle perdite di una società nei confronti della quale la società principale non ha alcun potere impositivo risponde ad una logica simmetrica. Vi era , infatti, un nesso “diretto, personale e materiale fra i due elementi del meccanismo fiscale di cui alla causa principale. Alla luce delle considerazioni svolte, la Corte afferma che la restrizione è giustificata suula base della necessità di garantire la coerenza del regime fiscale. Inoltre, la restrizione in questione sarebbe del tutto proporzionata all’obiettivo perseguito, in quanto le perdite sono state reintegrate nell’imponibile solo fino a concorrenza dell’importo dei profitti realizzati. A tal proposito, il giudice a quo ha sottolineato che questa proporzionalità è in realtà minata dalla considerazione degli effetti congiunti della normativa fiscale tedesca e austriaca. La Corte obietta ricordando che, laddove manchi in una determinata materia, disposizioni comunitarie volte all’armonizzazione della disciplina, gli Stati sono liberi di determinare i criteri di tassazione dei redditi e del 98 patrimonio per eliminare, anche tramite la stipulazione di convenzioni contro la doppia imposizione . Sezione III La tassazione dei gruppi e le cd. “CFC rules” Sommario: 1. Cadbury Schweppes 1. 1 I fatti 1. 2 Le questioni pregiudiziali 1. 3 Le argomentazioni della Corte 2. CFC and Dividend Group Litigation 2. 1 I fatti 2. 2 Le questioni pregiudiziali 2. 3 Le argomentazioni della Corte 2. 4 Conclusioni 98 Sentenza 3 ottobre 2006, causa 294/04, FKP Scorpio Konzertproduktionene, Racc. pag. I-9461, punto 54; Sentenza 12 diecembre 2006, causa C-374/04, Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation, Racc. pag. I-11673, punto 52, e Sentenza 18 luglio 2007, causa C-231/05, Oy AA, Racc. pag. I-6373, punto 52. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 70/87 1. Cadbury Schweppes Con la sentenza del caso C-196/04, emessa il 12 settembre 2006, la Corte censura l’applicazione della 99 legislazione inglese sulle “CFC” per violazione delle libertà di stabilimento sancite dal Trattato . La Corte statuisce che la mera circostanza che una società residente eserciti la propria libertà di stabilimento per mezzo di una controllata, non può fondare una presunzione generale di frode fiscale, né giustificare una misura che pregiudichi l’esercizio di una libertà fondamentale garantita dal Trattato. 1.1 I fatti La Cadbury Schweppes plc era una società con sede nel Regno Unito (Home State). Essa era a capo di un gruppo di società costituito da società controllate stabilite nel Regno Unito, in altri Stati membri e in paesi terzi. All’interno del gruppo si trovavano, in particolare, due società irlandesi che la Cadbury Schweppes deteneva indirettamente attraverso un gruppo di controllate a capo delle quali si trovava la Cadbury Schweppes Overseas. Esse erano costituite in seno al Centro internazionale di servizi finanziari a Dublino. Le due società irlandesi, la cui attività consisteva nel raccogliere fondi e destinarli alle controllate del gruppo Cadbury, erano assoggettate ad un’aliquota d’imposta del 10 per cento. Il fisco britannico richiedeva, a titolo di esercizio contabile 1996, alla Cadbury Overseas l’imposta societaria sugli utili realizzati da una delle due controllate irlandesi (l’altra, infatti, aveva subito, per quello stesso periodo perdite). L’amministrazione britannica applicava alla Cadbury Schweppes Overseas la legge inglese sulle società controllate estere (SEC), poiché riteneva che le due società irlandesi fossero state costituite a Dublino affinchè le loro attività di finanziamento del gruppo Cadbury potessero beneficiare del regime fiscale del Centro internazionale di servizi finanziari. L’amministraziione britannica applicava alla Cadbury Overseas, inoltre, la normativa sulle società controllate estere, in quanto, l’aliquota fiscale che veniva applicata alle società costiituite nel detto Centro, faceva si che gli utili realizzati dalle controllate irlandesi fossero soggette ad un “livello inferiore di tassazione” secondo quanto stabilito dalla SEC. Per capire la ratio di quanto appena affermato, è necessario fare un breve cenno alla normativa fiscale britannica. Secondo il diritto tributario del Regno Unito, una società ivi residente viene soggetta all’imposta societaria sul reddito ovunque prodotto, compresi gli utili derivanti dalle stabili organizzazioni o dalle agenzie per mezzo delle quali la società residente esercita la propria attività al di fuori del Regno Unito. 99 FONTANA, The Uncertain Future of CFC Regimes in the Member States of the European Union-part 2, in European Taxation, 7/2006, 333; HELMINEM, Is there a Future for CFC-regimes in the EU?, in International Tax Review, 2005, Vol. 33, Issue 3, 123;MEUSSEN, Cadbury Schweppes: The ECJ Significantly Limits the Application of CFC Rules in the Member States, in European Taxation, 2007, 13; VINTER-WERRLAUFF, Tax Motives Are Legal MotivesTheBorder-line between the Use and Abuse of the Freedom of Establishment with Reference to the Cadbury Schweppes Case, European Taxation, 2006, 383; Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 71/87 Diversa è, invece, la situazione con riferimento alle società controllate. Se la società residente ha una controllata stabilita nel Regno Unito, non è tassata per gli utili delle controllate al momento in cui vengono realizzati, né tassata sui dividendi distribuiti dalla controllata; se la controllata è stabilita al di fuori del Regno Unito, allora i dividendi distribuiti alla società residente sono tassati in capo a quest’ultima. Viene, inoltre, previsto un meccanismo per evitare la doppia imposizione consistente nel riconoscere alla società residente un credito a concorrenza dell’imposta assolta dalla controllata estera al momento in cui ha realizzato gli utili. Le disposizioni fiscali in materia di società controllate estere subiscono, però, un’eccezione alla regola secondo cui una società residente non viene tassata sugli utili di una controllata nel momento in cui sono realizzati. Tale eccezione trova applicazione quando la società controllata non residente è soggetta, nello Stato di stabilimento, ad un “livello inferiore di tassazione” rispetto ai ¾ dell’imposta che sarebbe stata pagata nel Regno Unito se i suoi utili imponibili fossero stati tassati in tale Stato. Le disposizioni sulla SEC non trovano applicazione, però, quando si verifica una delle seguenti condizioni, viste come “deroghe” alla normativa stessa: La SEC osserva un’”ammissibile politica distributiva”, che consiste nel fatto che una determinata percentuale degli utili della controllata viene distribuita entro 18 mesi dalla realizzazione ed è tassata presso una società residente; La SEC è impegnata in “attività esenti” ai sensi della detta legislazione; La SEC soddisfa la “condizione della quotazione pubblica”, il che vuol dire che il 35 per cento dei diritti di voto è nelle mani del pubblico, che la controllata è quotata in borsa e che le sue azioni sono trattate presso una Borsa Valori riconosciuta. Gli utili imponibili della SEC non superano un determinato importo. Ora, tornando al caso di specie, l’amministarzione britannica non ravvisava per nessuna delle controllate l’esistenza di nessuna delle condizioni di esenzione sopra descritte. Ragion per cui applicava alla Cadbury Overseas le disposizioni sulla SEC per gli utili realizzati dalla controllata irlandese. La Cadbury Schweppes e la Cadbury Schweppes Overseas impugnavano l’avviso di fronte agli Special Commissioners of income Tax di Londra. 1.2 Le questioni pregiudiziali Sulla base delle circostanze sopra esposte, gli Special Commissioners of Income Tax di Londra hanno deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale : « se gli artt. 43, 49, 56 del Trattato ostino ad una normativa tributaria nazionale come quella di cui trattasi nella causa principale, che, in determinate circostanze, tassa la società residente a titolo degli utili di una controllata avente sede in un altro Stato membro ove è soggetta a un minore livello impositivo ». 1.3 Le argomentazioni della Corte Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 72/87 La Corte risolve la questione sottoposta al suo vaglio affermando che gli artt. 43 e 48 del Trattato vanno interpretati nel senso che ostano all’inclusione, nella base imponibile di una società residente in uno Stato membro, degli utili realizzati da una SEC stabilita in un altro Stato allorchè tali utili sono ivi soggetti ad un livello impositivo inferiore a quello applicabile nel primo Stato, a meno che tale inclusione non riguardi costruzioni di puro artificio destinate ad eludere l’imposta nazionale normalmente dovuta. L’applicazione di una misura impositiva siffatta deve perciò essere esclusa ove da elementi oggettivi e verificabili da parte di terzi risulti che, pur in presenza di motivazioni di natura fiscale, la SEC è realmente impiantata nello stato di stabilimento e ivi esercita attività economiche effettive. La Corte, prima di svolgere le argomentazioni necessarie alla decisione finale, ribadisce un principio, già espresso in altre pronunce, che deve essere posto come presupposto logico-antologico. Essa stabilisce che le disposizioni nazionali relative alla detenzione, da parte di un cittadino, nel capitale di una società stabilita in un altro Stato membro, di una partecipazione che sia tale da permettergli di esercitare un’influenza determinante sulle decisioni della società e di indirizzare l’attività della stessa socità, rientrano ratione materiae nell’ambito di applicazione delle disposizione del Trattato sulla libertà di stabilimento 100 . Inoltre, la Corte, prima di procedere ad esaminare la compatibilità delle disposizioni fiscali controverse con gli articoli del Trattato relativi alla libertà di stabilimento, risponde al quesito preliminare posto dal giudice nazionale relativo alla possibilità di riscontrare nella fattispecie un abuso della libertà di stabilimento. Tale quesito era stato posto in relazione alla circostanza che uno Stato membro si stabilisse in un altro Stato membro, allo scopo precipuo di beneficiare del regime fiscale più vantaggioso che quest’ultimo prevede. A tal propoisito, la Corte premette che è indubbio il fatto che una persona fisica o giuridica non possa avvalersi, nell’esercizio della propria libertà di stabilimento, “abusivamente o fraudolentemente” del diritto comunitario per evitare la propria legislazione fiscale più severa 101 . Fatta questa premessa, deve in ogni caso tenersi presente che, il fatto che un cittadino voglia beneficiare delle disposizioni fiscali di un altro Stato membro più vantaggiose rispetto a quelle del proprio Stato di stabilimento, non può valere come causa di giustificazione per privare tale cittadino della libertà di stabilimento garantita dal Trattato 102 . La Corte, che già in altre pronunce si è espressa in merito ad un presunto abuso della libertà di stabilimento, ribadisce, rifacendosi a tali precedenti, che in relazione alla libertà di stabilimento, non è possibile affermare 100 Sentenza 13 aprile 2000, causa Baars, Racc. pag. I-2787, punto 22, nonché Sentenza 21 novembre 2002, causa C436/00, X e Y, Racc. pag. I-10829, punto 37. 101 Sentenza 7 febbraio 1979, causa 115/78, Knoors, Racc. pag. 399, punto 25; Sentenza 3 ottobre 1990, causa C-61/89, Bouchoucha, Racc. pag. I-3551, punto 14, e Sentenza 9 marzo 1999, causa C-212/97, Centros, Racc. pag. I-1459, punto 24. 102 Come è stato osservato dall’Avvocato Generale Leger ai paragrafi 39 e ss. delle sue conclusioni, presentate il 2 maggio 2006, una volta che l’obiettivo della libertà di stabilimento sia stato raggiunto, non rileva l’elemento volontaristico, le ragioni per le quali tale libertà è stata esercitata. Tali aspetti, non possono, infatti, andare ad intaccare la tutela comunque riconosciuta dal Trattato. L’Avvocato Generale osserva che il livello di imposizione è un elemento che una società, senza necessariamente ricadere in una violazione dell’articolo 43 del Trattato, può prendere in considerazione nello scegliere dove esercitare tale libertà. La conferma di ciò si può evincere dal fatto che, come è stato riconosciuto in altre pronunce, la riduzione del gettito fiscale, che deriverebbe dallo stabilire una società in un altro Stato membro, non è una ragione sufficentemente valida per poter negare ad una persona fisica o giuridica l’esercizio della libertà di stabilimento Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 73/87 che la circostanza che venga creata una società in un altro Stato membro in cui le disposizioni fiscali risultano più vantaggiose, costituisca, di per sé, un abuso alla libertà di stabilimento 103 . Alla luce di tutte le considerazioni svolte, la Corte statuisce che non costituisce un abuso alla libertà di stabilimento, e quindi è possibile invocare le disposizioni del Trattato che tutelano tale libertà, il fatto che una società, nel caso di specie la Cadbury Schweppes, abbia deciso di stabilire le proprie controllate in uno Stato membro in cui il regime fiscale è più favorevole. Stabilito, dunque, che non si può parlare nella fattispecie in esame di “abuso”, la Corte prosegue nella verifica della lamentata incompatibilità della normativa fiscale controversa con gli articoli 43 e 48 del Trattato. Anche in questo caso, la Corte procede nell’enumerare preliminarmente alcuni principi cardine in materia. Il primo di essi consiste nel ribadire che, sebbene la materia delle imposte dirette rientri fra le competenze attribuite agli Stati membri, tuttavia questi ultimi devono esercitarla nel rispetto e nei limiti di quanto imposto dalla loro appartenenza alla Comunità e quindi nel rispetto del diritto comunitario 104 . Viene ribadita, inoltre, così come è solita fare la Corte nelle pronunce in materia di libertà di stabilimento, la portata e l’ambito di applicazione delle disposizioni sulla libertà di stabilimento 105 . La Corte non si esime dall’affermare un principio sancito in maniera preponderante nella sentenza ICI. Si tratta del principio in base al quale sebbene dal tenore letterale delle disposizioni in materia di libertà di stabilimento sia possibile evincere che lo scopo che si prefiggono sia quello di garantire il beneficio del trattamento nazionale nello Stato di stabilimento, esse impediscono anche che uno Stato membro ostacoili lo stabilimento di un proprio cittadino o di una società in un altro Stato membro. Premessi questi principi, alla luce dei quali la Corte prenderà posizione in merito alla presunta incompatibilità della normativa de qua con il Trattato, vengono esaminate quelle che sono le caratteristiche di rilievo della fattispecie in esame. Ora, nel caso di specie, si è di fronte ad una disparità di trattamento fra società residenti, il cui elemento discirminante consite nel livello di tassazione che è in vigore nei paesi in cui tali società decidano di detenere una partecipazione in una società tale per cui sia possibile esercitare il controllo. Come viene osservato dalla Corte, in base alla normativa fiscale del Regno Unito sulle società controllate estere, se una società residente decide, avvalendosi della libertà di stabilimento garantita dal Trattato, di detenere delle partecipazioni in una società residente in un altro Stato membro, tali da consentirle di esercitare il controllo in questa società, è sottoposta ad un diverso regime fiscale a seconda del fatto che la società controllata risieda in uno Stato membro in cui la società sarebbe soggetta ad un minor livello impositivo o meno. Ne consegue che il diverso trattamento fiscale, determina uno svantaggio fiscale in capo alla società residente che decida di controllare società residenti in paesi in cui risulti che vi sia un “livello inferiore di tassazione”. 103 Sentenza Centros, cit. , punto 27, e Sentenza 30 settembre 2003, causa C-167/01, Inspire Art, Racc. pag. I-10155, punto 96. 104 Sentenza 29 aprile 1999, causa C-311/97, Royal Bank of Scotland, Racc. pag. I-2651, punto 19; Sentenza 7 settembre 2004, causa C-319/02, Manninen, Racc. pag. I-7477, punto 19, e Sentenza 13 dicembre 2005, causa C-446/03, Marks and Spencer, Racc. pag. I-10837, punto 29. 105 Sentenza 21 settembre 1999, causa C- 307/97, Saint-Gobain ZN, Racc. pag. I-6161, punto 35; sentenza Marks and Spencer, cit. , punto 30, nonché Sentenza 23 febbraio 2006, causa C-471/04, Keller Holding, Racc. pag. I-2107, punto 29. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 74/87 Non è possibile, quindi, indugiare nel giungere alla seguente conclusione: il trattamento fiscale differenziato previsto dalla normativa controversa in relazione alle società controllate estere, crea uno svantaggio fiscale per le società residenti che detengono il controllo in altre società stabilite in Stati in cui sono soggette ad un livello di tassazione inferiore. Questo svantaggio fiscale disincentiva le società residenti dal detenere il controllo in società stabilite in un altro Stato membro, ragion per cui si può affermare che si è in presenza di una restrizione alla libertà di stabilimento prevista dagli articoli 43 e 48 del Trattato. Una restrizione quale quella riscontrata nella controversia principale può essere ammessa, secondo quanto più volte dalla Corte ribadito in precedenti pronunce, solo per ragioni imperative di interesse generale. Ulteriore verifica, poi, dovrebbe essere fatta, una volta appurata la presenza di una causa di giustificazione: il rispetto del principio di proporzionalità. La giustificazione presentata dal governo del Regno Unito, supportato anche dai governi danese, tedesco, francese, portoghese, finlandese e svedese, attiene al fatto che la normativa controversa ha lo scopo preciso di contrastare una specifica forma di evasione fiscale, realizzata distraendo fittiziamente utili conseguiti nel Regno Unito. Ora, la lotta all’evasione fiscale è una delle ragioni imperative di interesse generale che possono giustificare un ostacolo all’esercizio della libertà di circolazione, come la Corte si è trovata più volte ad affermare. Affinchè possa essere accettata quale causa di giustificazione, deve essere, però, rigidamente circoscritta. Ragion per cui la Corte procede nell’esaminare se la normativa controversa possa essere considerata legittima sotto le circoscrizioni previste. In primo luogo, la Corte premette una serie di principi determinanti per l’analisi in questione. Come più volte la Corte ha ammesso, un’agevolazione fiscale quale quella che deriverebbe da una tassazione poco elevata della controllata stabilita in uno Stato membro diverso rispetto a quello di stabilimento della controllante, non può e non deve essere compensata da un corrispondente trattamento fiscale meno favorevole riservato alla società controllante 106 . Diversamente l’esigenza di evitare una riduzione del gettito fiscale non può essere annoverato fra gli obiettivi di cui all’articolo 46 del Trattato, né tra le ragioni imperative di interesse generale, idonee a giustificare una restrizione alla libertà di stabilimento 107 . La Corte continua nella propria argomentazione ricordando che, il semplice fatto che una società controlli un’altra società in uno Stato membro diverso rispetto a quello di residenza, non costituisce, di per sé, una ragione valida per presumere che tale circostanza sia stata posta in essere per attuare pratiche evasive 108 . 106 Sentenza 28 gennaio 1986, causa C-270/83, Commissione/Francia, Racc. pag. 273, punto 21; v. anche, per analogia, Sentenza 26 ottobre 1999, causa C-294/97, Eurowings Luftverkehr, Racc. pag. I-7447, punto 44, nonché Sentenza 26 giugno 2003, causa C-422/01, Skandia e Ramstedt, Racc. pag. I-6817, punto 52). 107 Sentenze 3 ottobre 2002, causa C-136/00, Danner, Racc. pag. I-8147, punto 56, nonché, Sentenza Skandia e Ramstedt, cit. , punto 53. 108 Sentenza ICI, cit. , punto 26; Sentenza 26 settembre 2000, causa C-478/98, Commissione/Belgio, Racc. pag. I-7587, punto 45; X e Y, cit. , punto 62, nonché Sentenza 4 marzo 2004, causa C-334/02, Commissione/Francia, Racc. pag. I2229, punto 27. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 75/87 Se il mero fatto che una società residente controlli una società in uno Stato membro diverso non può giustificare una presunzione di evasione fiscale, allo stesso modo si deve ammettere che, una normativa che restringa la libertà di stabilimento è giustificata se ha lo scopo precipuo di evitare pratiche consistenti nelle costruzioni di puro artificio realizzate per eludere la normativa fiscale dello Stato membro interessato 109 . Deve verificarsi, dunque, la circostanza che la normativa controversa abbia lo scopo precipuo di combattere costruzioni puramente artificiose volte all’evasione fiscale. Nel fare questo, prosegue la Corte, deve comunque tenersi presente, come è stato più volte espresso in precedenti procedimenti, quello che è l’obiettivo perseguito dalla libertà di stabilimento 110 . L’obiettivo della libertà di stabilimento è quello di garantire l’esercizio da parte di un cittadino o di una società di attività indipendenti in Stati membri diversi rispetto a quello di stabilimento, al fine di favorire l’integrazione economica e sociale all’interno della Comunità 111 . La libertà di stabilimento comporta che un cittadino comunitario partecipi “in maniera stabile e duratura” alla vita economica di uno Stato membro diverso da quello di origine e che ne tragga vantaggio. Posto che questo è l’obiettivo della libertà di stabilimento, la Corte si sofferma ancora su quella che è la nozione di stabilimento. Stabilimento implica che una attività economica venga esercitata in uno Stato membro, effettivamente e per un periodo di tempo indeterminato. Tale nozione di stabilimento comporta, dunque, un insediamento effettivo e l’esercizio di una attività economica reale nel paese di stabilimento. In base a quanto affermato, è necessario verificare se una normativa quale quella in esame prevede delle misure che siano idonee a restringere l’eserczio della libertà di stabilimento, ma al solo scopo di impedire il porre in essere di pratiche consistenti in costruzioni puramente artificiose, costruzioni che sarebbero dirette, in contrasto con quanto sopra asserito, a comportamenti privi di una effettività economica e soprattutto finalizzati a eludere la normativa imposta sugli utili generati da attività svolte sul territorio nazionale 112 . Occorre quindi, afferma la Corte, verificare se lo scopo precipuo della normativa in esame sia quello di contrastare in generale le costruzioni di puro artificio. La normativa fiscale inglese sulle società controllate estere impone delle misure restrittive alle sole situazioni in cui una società controllata da una residente e stabilita in un altro Stato membro, sia soggetta ad una imposta che sia inferiore ai ¾ dell’imposta che avrebbe dovuto essere assolta nel Regno Unito se lì fosse stata tassata. 109 Sentenza ICI, cit. , punto 26; Sentenza12 dicembre 2002, causa C-324/00, Lankhorst-Hohorst, Racc. pag. I-11779, punto 37; De Lasteyrie du Saillant, cit. , punto 50, nonché Sentenza Marks and Spencer, cit. , punto 57. 110 Sentenza Centros, punto 25, e X e Y, punto 42. 111 Sentenza 21 giugno 1974, causa 2/74, Reyners, Racc. pag. 631, punto 21. 112 Analogamente a quanto sancito dalla sentenza Marks & Spencer i comportamenti volti a porre in essere delle costruzioni puramente artificiose sono tali da violare il diritto degli Stati membri di esercitare la propria competenza fiscale in relazione alle attività svolte sul loro territorio e da compromettere, così, un’equilibrata ripartizione del potere impositivo fra gli Stati membri. Ai sensi del punto 49 della sentenza Marks & Spencer devono essere considerate abusive quelle pratiche consistenti nell’organizzare trasferimenti di perdite, all’interno di un gruppo di società, in direzione delle società stabilite negli Stati membri che applicano aliquote fiscali magigori ed in cui, di conseguenza, è maggiore il valore fiscale delle perdite. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 76/87 Quindi, la legislazione in esame, nel disporre l’inclusione degli utili di una SEC soggetta a regime fiscale di favore nella base imponibile della società residente, dovrebbe consentire di contrastare le pratiche il cui scopo è quello di eludere l’imposta dovuta sugli utili derivanti da attività poste in essere sul territorio nazionale. La Corte conclude il proprio iter argomentativo volto ad esamire l’eventuale giustificazione ad una normativa restrittiva quale quella in esame, affermando che, tale normativa è idonea a raggiungere l’obiettivo per il quale è stata adotta. Essa, infatti, stabilendo che gli utili di una controllata estera soggetti ad un regime fiscale più favorevole vengano inclusi nella base imponibile della società residente, persegue decisamente lo scopo di contrastare pratiche volte ad eludere l’imposta dovuta sugli utili generati da attività realizzate nel territorio nazionale. Ulteriore passaggio che deve essere fatto, riguarda la verifica volta ad accertare che, sebbene la normativa de quo sia idonea a perseguire l’obiettivo prefissato, tuttavia non ecceda quanto necessario per raggiungere un tale obiettivo. Come si è già avuto modo di sottolineare, la SEC prevede, comunque, una serie di ipotesi in cui, eccezionalmente, non trova applicazione: si tratta di situazioni in cui sembra chiaro che non vi sia alcuna costruzione artificiosa volta ad eludere la normativa fiscale inglese. Nell’ipotesi in cui nessuna delle condizioni poste affinchè si possa beneficiare delle deroghe si verifichi, la Sec non viene applicata solo se la società residente soddisfa il “motive test”. Quest’ultimo impone due condizioni che cumulativamente devono essere soddisfatte. In primo luogo viene richiesto che la società residente dimostri che la diminuzione dell’imposta non è l’obiettivo principale, o uno degli obiettivi principali, delle operazioni. In secondo luogo, vi è in capo alla società residente un onere di provare che la ragione principale o una delle ragioni principali della decisione di detenere partecipazioni in una determinata società non residente non era, per l’esercizio considerato, l’ottenimento di una diminuzione dell’imposta nel Regno Unito tramite distrazione di utili in tale Stato membro. A riguardo, le società ricorrenti hanno osservato che il fatto che nessuna delle eccezioni possa trovare applicazione nella fattispecie in esame unitamente al fatto che l’intenzione sottesa fosse quella di ottenere una diminuzione della base imponibile, non può portare comunque ad affermare che ci si trovi di fronte ad una costruzione di puro artificio volta ad eludere la normativa fiscale inglese. La Corte sottolinea che, affichè si possa parlare di tali costruzioni è necessario la presenza congiunta di elementi soggettivi, quali la volontà di ottenere uno sgravio fiscale, e di elementi oggettivi dai quali sia possibile desumere che l’obiettivo era quello di porre in essere pratiche volte ad eludere la normativa fiscale in questione 113 . Anche nel caso in cui nessuna delle eccezioni indicate possa considerarsi esistente, la legislazione sulle SEC può ritenersi non applicabile nell’ipotesi in cui lo stabilimento e le attività della SEC soddisfano il motive test. Questo requisito fa si che la società residente non incorra nella legislazione sulle SEC nell’ipotesi in cui possa dimostrare, da un lato, che la minor tassazione alla quale sono assoggettate le operazioni tra le società e la 113 Sentenza 14 dicembre 2000, causa C- 110/99, Emsland-Starke, Racc. pag. I-11569, punti 52 e 53, e Sentenza 21 febbraio 2006, causa C-255/02, halifax e a. , Racc. pag. I-1609, punti 74 e 75. Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 77/87 SEC non rappresentava l’obiettivo, o uno degli obiettivi principali, delle operazioni e, dall’altro, che l’ottenimento di un regime fiscale meno gravoso di quello proprio del Regno Unito per mezzo della distrazione degli utili nel senso della detta legislazione non era la ragione della costituzione della SEC. Alla luce delle considerazioni svolte, la Corte ha affermato che perché la legislazione sulle SEC possa essere considerata conforme al diritto comunitario, essa deve potersi disapplicare ogni volta in cui, pur in presenza di motivazioni di natura fiscale, la costituzione di una SEC corrisponda ad una realtà economica, cioè quando corrisponda ad un insediamento reale il cui scopo è l’espletamento di attività economiche effettive nello Stato membro di stabilimento. La constatazione di cui sopra deve essere basata su elementi oggettivi e verificabili da parte di terzi. Solo nell’ipotesi in cui dalla verifica di tali elementi dovesse risultare che la SEC in realtà non è altro che una installazione fittizia il cui scopo non è quello di esercitare una attività economica effettiva sul territorio dello Stato membro di stabilimento, la creazione di tale SEC dovrebbe essere ritenuta costruzione di puro artificio. 2. CFC and Dividend Group Litigation Nell’ordinanza del 23 aprile 2008 nel procedimento Test Claimants in the CFC and Dividend Group Litigation, C- 201/05, la Corte, confermando i principi già espressi nella sentenza Cadbury Schweppes, riconosce che le norme sulle controlled foreign corporation (CFC) realizzano una restrizione alla libertà di stabilimento sancita dagli articoli 43 e 48 del Trattato. In particolare, la Corte stabilisce che gli articoli sulla libertà di stabilimento sono contrari ad una normativa fiscale che preveda l’inclusione, nella base imponibile di una società residente in uno Stato membro, degli utili realizzati da una società controllata stabilita in un altro Stato qualora tali utili siano ivi soggetti ad un livello impositivo inferiore a quello applicabile nel primo Stato, a meno che tale inclusione riguardi esclusivamente costruzioni di puro artificio destinate a eludere l’imposta nazionale normalmente dovuta. L’applicazione di una tale misura impositiva deve essere esclusa nell’ipotesi in cui da elementi oggettivi e verificabili da parte di terzi risulti che, pur in presenza di motivazioni di natura fiscale, la società controllata sia realmente impiantata nello Stato membro di stabilimento, allo scopo di esercitare delle attività economiche effettive. 2.1 I fatti La controversia in esame riguarda la domanda proposta da 21 gruppi di società internazionali avverso l’amministrazione finanziaria del Regno Unito dinanzi alla High Court of Justice, Chancery Division. Davanti al giudice del rinvio, alcuni dei gruppi in questione sostengono che se fossero stati informati del fatto che le disposizioni tributarie del Regno Unito sulle SEC e sui dividendi non erano conformi al diritto comunitario, non si sarebbero conformate a tali disposizioni e, di conseguenza, non avrebbero assolto l’imposta sui dividendi riscossi da SEC i sugli utili realizzati da SEC. In particolare, esse lamentavano il fatto di aver dedotto dalla loro imposta alcuni sgravi che avrebbero potuto essere utilizzati per altri scopi o che avrebbero potuto essere riportati, di aver versato dividendi ai fini dell’ottenimento dell’esonero ai sensi di una politica di distribuzione accettabile, dal momento che tali Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 78/87 versamenti non rispondevano al loro interesse commerciale o che il momento del versamento imposto dalle condizioni previste dalla normativa sulle SEC con riferimento all’esonero in questione dava vita ad un trattamento fiscale sfavorevole. Per le ragioni sopra esposte, chiedevano al giudice del rinvio il rimborso delle somme indebitamente percepite e/o il risarcimento dei danni risultati dalle disposizioni della normativa sulle SEC e sui dividendi nonché la rifusione dei costi sostenuti per conformarsi a tali disposizioni. In particolare, la domanda di un gruppo atteneva alla imposizione, in capo ad alcune società residenti, di dividendi percepiti da società non residenti in cui le prime detenevano, ai fini di investimento, partecipazioni di portafoglio che costituiscono meno del 10 per cento dei diritti di voto, in modo tale che tali società residenti non sono state assoggettate alla normativa sulla SEC. Anche in questo caso veniva chiesto il rimborso degli importi indebitamente riscossi e/o risarcimento del danno risultante dall’imposizione dei dividendi percepiti da società stabilite in altri Stati membri e in Paesi terzi. 2.2 Le questioni pregiudiziali La High Court of Justice, Chancery Division sospendeva il procedimento e sottoponeva alla Corte una serie di questioni pregiudiziali volte ad accertare, sostanzialmente, la compatibilità delle norme del Trattato in materia di libertà di stabilimento e di libera circolazione dei capitali con il regime sulle società controllate estere (SEC), nonché con il regime di tassazione dei dividendi corrisposti a una società residente da una società non residente. 2.3 Le argomentazioni della Corte Prima di procedere all’esame delle questioni sollevate e sottoposte al suo vaglio, la Corte premette che tali questioni presentano contiguità di contenuto con quelle sollevate in altre pronunce 114 . Ulteriore premessa viene fatta in merito alle ragioni dell’ordinanza. Infatti, ai sensi dell’articolo 104, n. 3, primo comma, del regolamento di procedura, nell’ipotesi in cui una questione pregiudiziale sia identica ad una questione sulla quale la Corte abbia già statuito, o qualora la soluzione di tale questione possa essere desunta dalla giurisprudenza, la Corte, dopo aver sentito l' Avvocato generale, statuisce con ordinanza motivata. La Corte ha confermato i principi già espressi nella sentenza Cadbury Schweppes, riconoscendo che le norme sulle controlled foreign corporation (CFC) realizzano una restrizione alla libertà di stabilimento sancita dagli articoli 43 e 48 del Trattato. In particolare la Corte rispondeva alla terza questione sottoposta al suo vaglio dal giudice del rinvio affermando che le norme relative alla libertà di stabilimento, sancita dal Trattato, devono essere interpretati 114 Sentenza 12 settembre 2006, causa C-196/04, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, Racc. pag. I-7995; Sentenza 12 dicembre 2006, causa C-374/04, Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation, Racc. pag. I11673 e causa C-446704, Test Claimants in the FII Group Litigation, Racc. pag. I-11753, nocnhè Sentenza 13 marzo 2007, causa C-524/04, test Claimants in the Thin Cap Group Litigation, Racc. pag. I-2107 Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 79/87 nel senso che sono contrari ad una normativa fiscale che preveda l’inclusione nella base imponibile di una società residente in uno Stato membro degli utili realizzati da una SEC stabilita in un altro Stato qualora tali utili siano ivi soggetti ad un livello impositivo inferiore a quello applicabile nel primo Stato. Tale affermazione di principio vale solo nell’ipotesi in cui tale inclusione non riguardi esclusivamente costruzioni di pure artificio destinate ad eludere l’imposta nazionale normalmente dovuta. Inoltre, l’applicazione di una tale misura impositiva deve essere esclusa ove da elementi oggettivi e verificabili da parte di terzi risulti che, pur in presenza di motivazioni di natura fiscale, la SEC sia realmente impiantata nello Stato membro di stabilimento ivi esercitando attività economiche effettive. Tuttavia, gli articoli 43 48 del Trattato devono essere interpretati nel senso che non sono contrarti alla normativa fiscale di uno Stato membro che imponga taluni requisiti di conformità qualora la società residente intenda essere esentata da imposte già versate sugli utili della società medesima controllata nello Stato della propria residenza, in quanto tali requisiti siano finalizzati a verificare che la società estera controllata sia realmente impiantata in uno Stato di stabilimento in cui esercita attività economiche effettive, senza che ciò implichi eccessivi oneri amministrativi. In particolare, viene ripercorso il medesimo iter logico e interpretativo che la Corte aveva eseguito nella sentenza Cadbury Schweppes, per cui dapprima viene accertata la natura restrittiva della normativa SEC. La Corte rileva, a tal proposito, che la normativa in questione comporta una disparità di trattamento fra le società residenti in funzione del livello di tassazione applicato alla società in cui esse detengano una partecipazione tale da assicurargli il controllo. Tale disparità crea uno svantaggio fiscale per la società residente cui sia applicabile la legislazione SEC 115 che ostacola l’esercizio alla libertà di stabilimento da parte di tali società, dissuadendole dal costituire, acquisire o mantenere una controllata in uno Stato membro che applichi aliquote inferiori. Affermata la natura restrittiva della normativa della SEC, la Corte procede nel proprio ragionamento, riaffermando i medesimi principi sostenuti nella sentenza Cadbury Schweppes, fino a giungere alla decisione finale sfociata con l’ordinanza del 23 aprile 2008. 2.4 Conclusioni Nei casi analizzati la Corte si pronuncia in merito alla compatibilità delle normative CFC con le libertà sancite dal Trattato. Essa nell’affrontare le questioni sottoposte al suo vaglio sancisce il principio in base al quale “una misura nazionale che restringa la libertà di stabilimento è ammessa solo se concerne specificatamente le costruzioni di puro artificio finalizzate a sottrarre l’impresa alla legge dello Stato interessato” 116 . 115 Sentenza Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, citata, punti 43 e 45. Ord., punto 77 nonché sentenza Cadbury Schweppes, citata, punto 51; Senten za 16 luglio 1998, causa C-264/96, ICI in Racc. pad. I-4695, punto 26; Sentenza 12 dicembre 2002, causa C-324/00, Lankhorst-Hohorst, in Racc. pag. I-11779, punto 37; Sentenza 11 marzo 2004, causa C-9/02, De Lasteyrie du Saillant, in Racc. pag. I-2409, punto 50; nonché Sentenza 13 dicembre 2005, causa C-446/03, Marks & Spencer, in Racc. pag. I-10837, punto 57. 116 Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 80/87 Perché possa affermarsi l’esistenza di una “costruzione di pure articificio” è necessario il presupposto soggettivo, rappresentato dalla volontà di ottenere un vantaggio fiscale e un insieme di elementi oggettivi “dai quali risulti che, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dall’ordinamento comunitario, l’obiettivo perseguito dalla libertà di stabilimento non sia stato raggiunto” 117 . L’obiettivo in questione viene raggiunto nell’ipotesi in cui all’esercizio del diritto di stabilimento corrisponde una realtà economica e l’accertamento di tale requisito si basi su elementi oggettivi e verificabili da parte di terzi, riguardanti in particolare il livello di presenza fisica in termini di locali, di personale e di attrezzature. In altre parole, non si può parlare di una costruzione di puro artificio quando la società comunitaria è “ realmente impiantata nello Stato membro di stabilimento, ivi esercitando attività economiche effettive “. 118 In base alla giurisprudenza della Corte la nozione di costruzione di puro artificio deve ricavarsi in negativo quando non vi è da parte della società comunitaria un livello di presenza fisica in termini di locali, di personale e di attrezzature il cui scopo sia quello di testimoniare l’esistenza effettiva di un soggetto realmente impiantato nello Stato membro di stabilimento in cui sia dedito all’esercizio di attività economiche. Quindi due sono i presupposti che devono essere soddisfatti affinché vi sia un esercizio non abusivo della libertà di stabilimento: (i) un livello minimo di presenza fisica da parte della società comunitaria dello Stato di stabilimento; (ii) l’esercizio di un’attività economica A riguardo è necessario chiarire che, qualora una società dovesse essere considerata una costruzione di puro artificio sulla base dei canoni ermeneutici tratti dalla giurisprudenza della Corte, tale società non costituisce perciò stesso una realtà contra legem. Infatti, la conseguenza è quella di non consentire a tale società le garanzie previste dal Trattato in tema di libertà di stabilimento. Bibliografia Dottrina ADONNINO, Il principio di non discriminazione nei rapporti tributari tra Paesi membri secondo le norme CEE e la giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità, in Riv. dir. fin. , 1993, I, 63; ADONNINO, Lo scambio di informazioni fra Amministrazioni finanziarie, in AA. VV. 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Tassazione dei gruppi e delle società a livello comunitario: la ricostruzione di criteri direttivi per i legislatori degli Stati Membri in base ai casi della Corte di giustizia 81/87 AVERY JONES, European Union: carry on discriminating, in European taxation, 1996, n. 2, 46; BALLARINO T., Lineamenti di diritto comunitario e dell’Unione Europea, Padova, 1997, 309; BEGHIN M., La revisione del bilancio nella disciplina del “consolidato mondiale”: profili funzionali e aspetti problematici nella bozza di testo unico predisposta dal Ministero dell’economia e delle finanze, in Riv. dir. trib. , 2003, I, 579, 586; BEGHIN M., Note minime a proposito dell’interpello “obbligatorio” nella disciplina del cd “consolidato mondiale”, in Boll. trib. , 2003, 1285; BEGHIN M., La revisione del bilancio e l’imposizione sui gruppi multinazionali, in Corr. trib, 24/2003, 2790; BEGHIN M., La tassazione dei gruppi nel disegno di legge delega di riforma tributaria, in Riv.dir.trib., 2002, 857; BEGHIN M., Le opportunità del consolidato nazionale nella nuova imposta sulle società, in Corr. trib., 2003, 2280; BEGHIN M., L’imposizione sui gruppi societari nel consolidato nazionale, in Corr. trib, 2002, 3988; BIZIOLI G., Note minime in tema di libertà fondamentali e riporto delle perdite nell’ordinamneto comunitario, in Dir. e prat. internaz., 2003, 617; BIZIOLI G., Impact of the freedom of estabilishment on tax law, in “EC Tax Review”, n. 4, 1998, 239; BIZIOLI G., Il rapporto tra libertà di stabilimento e principio di non discriminazione in materia fiscale: una disapplicazione nel recente caso Imperial Chemical Industries, in Dir. prat. trib., 1999, III, 334; BIZIOLI G., Libertà di stabilimento ed imposizione fiscale dei gruppi di società: il caso X AB, Y AB, in Riv. dir. trib. , 2003, 3, 40; BIZIOLI G., Evoluzione del diritto di stabilimento nella giurisprudenza in materia fiscale della Corte di giustizia, in Riv. it. 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