F. Martino, Sugli effetti sostanziali della cancellazione della società

Transcript

F. Martino, Sugli effetti sostanziali della cancellazione della società
F. Martino, Sugli effetti sostanziali della cancellazione della società dal Registro delle
Imprese,Giur.Comm.,40.6,Novembre-Dicembre 2013,p.966/II.
Accade assai spesso al pratico-notaio di dover sciogliere un indovinello che lo
schermo della personalità giuridica rende di assai difficile soluzione. E’ il caso di una
società cancellata dal Registro delle Imprese che figuri titolare della proprietà di
attività immobiliari “malgrado” la sua avvenuta estinzione. Ciò a causa di una
negligente ricognizione del patrimonio societario da parte del
liquidatore(sopravvivenze attive), fattispecie più frequente, ovvero per effetto di
una attribuzione in proprietà alla società di un determinato bene successivamente
alla sua cancellazione (sopravvenienze attive).Un recente sentenza delle Sezioni
Unite della Cassazione(12 marzo 2013 ,n.6070)affronta la questione dando la sua
soluzione all’indovinello che ha affaticato pratici e accademici al fine di dipanare la
aggrovigliata matassa di una proprietà in mano ad un titolare che non è più. La
sentenza si occupa sia dei rapporti sostanziali che di quelle processuali in essere
successivamente alla avvenuta estinzione e per quanto attiene i primi sia delle
obbligazioni che dei diritti. E il saggio qui in commento prende in considerazione
quanto la sentenza statuisce riguardo agli effetti sostanziali della cancellazione dal
Registro delle Imprese e dunque alle passività e alle attività residue in capo alla
società cancellata. Secondo la Corte se alla cancellazione non corrisponde il venir
meno di ogni rapporto giuridico in capo alla società estinta si determina un
fenomeno di tipo successorio in virtù del quale: le obbligazioni si trasferiscono in
capo ai soci che ne rispondono nei limiti di quanto riscosso in sede di liquidazione o
illimitatamente a seconda della limitazione della loro responsabilità .I diritti e i beni
non compresi nel bilancio di liquidazione si trasferiscono in regime di contitolarità o
di comunione indivisa ai soci. Non così le mere pretese ancorchè azionabili o
azionate né i diritti di credito incerti o illiquidi, la cui inclusione avrebbe richiesto
una attività ulteriore il cui mancato espletamento equivale a rinunzia. Nel saggio si
sottolinea come la frequenza del fenomeno dei rapporti relitti in capo alla società
post cancellazione sia da ascriversi agli scarsi poteri di controllo spettanti al
Conservatore del Registro delle Imprese in ordine alla legittimità della richiesta di
cancellazione ,dovendo egli limitarsi ad un mero controllo formale(artt.2495 e 2189
c.c.).La questione qui considerata trova disciplina nel Codice civile, solo in relazione
alle passività. Secondo l’art.2495 i creditori sociali ,volta cancellata la società,
possono far valere le loro pretese insoddisfatte solo nei confronti dei soci, nei limiti
di quanto ricevuto in sede di liquidazione ,ferma restando la responsabilità dei
liquidatori per i danni loro cagionati ex art.2491.Da tale disposizione si ricava il
principio della natura costitutiva della segnalazione pubblicitaria per le società di
capitali e della inesistenza dopo la cancellazione di un patrimonio sociale distinto da
quello dei soci. Per quanto riguarda le società di persone la segnalazione
pubblicitaria ha effetto dichiarativo e precisamente quello determinato
dall’art.2193.L’autore non condivide la posizione giurisprudenziale, secondo la quale
si darebbe così luogo ad una presunzione iuris tantum di estinzione della capacità e
soggettività limitate che sono loro proprie. E ritiene che la iscrizione della
cancellazione non possa comportare una presunzione di estinzione di tutti i rapporti
inerenti la società cancellata in quanto la circostanza che è oggetto di pubblicità vive
indipendentemente dalle norme pubblicitarie. Tace la legge per quel che concerne
la disciplina delle attività. Prima della decisione delle Sezioni Unite, la dottrina che
aveva studiato la questione, ora sposava la tesi della automatica instaurazione di
uno stato di comunione in capo ai soci, proporzionata alle loro quote di spettanza in
società, in forza di un fenomeno successorio a titolo universale che prescindeva
dalla inclusione dei cespiti patrimoniali nel bilancio finale di liquidazione, ora
negava una tale soluzione per la mancanza di un titolo costitutivo della comunione,
in quanto si negava in radice che potesse farsi ricorso, nel caso, al fenomeno
successorio, sulla base di taluni precisi indici normativi (limitazione nella
successione nelle passività nei limiti del quantum percepito in sede di liquidazione,
deroga alla solidarietà passiva ex art.754). Coloro che sposavano la tesi della
instaurazione di una comunione sui cespiti residui, ritenevano altresì che la stessa
andasse accertata mediante stipula di un atto ricognitivo ,avente effetto di
assegnazione, con effetti eventualmente divisori, costituente titolo idoneo alla
trascrizione in favore dei soci. La Cassazione, come sopra abbiamo evidenziato,
sposa decisamente la tesi dei fautori della successione nei cespiti residui da parte
dei soci, con la conseguente instaurazione di una comunione pro-indiviso. Fondando
la sua decisione sulla vigente disciplina del subentro nelle passività (art.2495), che è
improntata alla tutela dei creditori sociali a fronte di una cancellazione
eventualmente presa in spregio ai loro diritti, statuendo come fa, la responsabilità
in capo ai successori già soci, che rispondono del debito sociale. Ciò che non dà
luogo ad alcun fenomeno novatorio del rapporto. E trova conforto, nella sua
argomentazione sulla natura successoria del fenomeno, anche in indici processuali,
come quello della notifica della domanda nei confronti dei soci(art.2495), che
richiama quanto all’art.303 c.p.c in tema di morte della parte nel processo. Trovata
la soluzione per le passività ,la pronunzia la estende anche alle attività residue, con
le limitazioni già evidenziate ,in ordine alle mere pretese o a crediti controversi o
illiquidi, che non potevano essere contemplate nel bilancio finale di liquidazione.
Mentre per le attività che potevano figurarvi, indipendetemente dal fatto che vi
siano state incluse o meno, la loro mancata liquidazione comporterebbe, al venir
meno della società, il subentro nella loro titolarità in regime di comunione tra i
soci. L’Autore condivide la tesi della ascrivibilità della questione al fenomeno
successorio, in quanto” venuto meno lo schermo societario, si verifica in capo ai soci
un acquisto assimilabile a quello della successione mortis causa seppur con
caratteristiche sue proprie”. E suggerisce che l’atto ricognitivo e di assegnazione ai
favore dei soci sia trascritto in applicazione degli artt.2648 e 2650 e dunque ai soli
fini della continuità, essendo l’eventuale conflitto tra più acquirenti regolato dalle
norme di diritto sostanziale in tema di successione mortis causa. Diventa però a suo
avviso discriminante e ciò in contrasto con la posizione della Cassazione, il fatto che
il cespite residuo sia stato o meno incluso nel bilancio finale di liquidazione,
ritenendo Egli che la mancata inclusione del bene nel bilancio e ciò malgrado la sua
assegnazione ai soci, potrebbe comportare un pregiudizio ai creditori. I quali “non
potrebbero rivalersi nei confronti degli ex soci il relazione ai cespiti loro assegnati in
un momento successivo alla cancellazione, vista la loro limitata responsabilità alle
sole somme riscosse in base al bilancio finale di liquidazione”. Tale osservazione
critica riguarda solo le società di capitali e non quelle di persone stante la illimitata
responsabilità dei soci per i debiti sociali ex art. 2312. Come risolvere il problema
per i cespiti residui non contenuti nel bilancio finale di liquidazione? Secondo
l’Autore ricorrendo mediante cancellazione della cancellazione della società dal
Registro delle Imprese sulla cui ammissibilità ferve dibattito in dottrina, mentre la
giurisprudenza non l’ammette(Sez. Un.22 febbraio 2010 n.4062).La parte dottrinaria
che l’ammette, ne fonda il presupposto proprio per il caso in cui si manifestino
sopravvenienze o sopravvivenze attive della società cancellata, dal momento che
l’unica disciplina del fenomeno è quella che riguarda le passività e il nostro Autore
non la considera estensibile alle attività. Peraltro il fenomeno della cancellazione
della cancellazione seguita ad un bilancio lacunoso e non veritiero, è stata praticata
dai Giudici del Registro, cui spetterebbe un controllo di legalità sostanziale e di
merito sui presupposti della cancellazione .La soluzione prospettata dalla Corte
viene dunque condivisa solo se i cespiti patrimoniali assegnati fossero stati inclusi
nel bilancio finale di liquidazione. A noi pare che la Sentenza della Corte di
Cassazione sia ineccepibile e conforta una prassi che trova finalmente legittimazione
nel silenzio del formante normativo. E’ dunque ben possibile a seguito della
cancellazione della società dal Registro delle Imprese, stipulare un atto ricognitivo
dell’avvenuto trasferimento dei cespiti residui in capo ai soci, in proporzione alle
quote di loro spettanza nella società, atto a trascriversi ai sensi dell’art.2643 e ciò
indipendentemente dal fatto che gli stessi siano stati inseriti nel bilancio finale di
liquidazione. Ciò significa che non riteniamo di accogliere le note critiche contenute
nel saggio in rassegna. Innanzi tutto è vero che la cancellazione della società di
capitali ha sicuramente natura costitutiva della estinzione e che quella delle società
di persone ha efficacia dichiarativa e comporta una presunzione di estinzione di tutti
i rapporti giuridici in capo alla società. Su questo punto condividiamo appieno
quanto sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità e cioè che la iscrizione dell’atto
che pone fine ad un procedimento apertosi con la dichiarazione di scioglimento o
tout court con la iscrizione dell’atto da cui la stessa risulti nel caso non si dia luogo
ad una fase liquidatoria, nel caso della società di persone, generi una presunzione
iuris tantum della intervenuta estinzione. Non condividiamo la tesi secondo la quale
si iscriva nel Registro un fatto, né quella che la conoscenza legale non abbia
relazione con la esistenza o inesistenza del fatto che ne è oggetto. Per noi ( e per la
Cassazione) vale l’antico insegnamento di Francesco Messineo secondo la quale” la
peculiarità, la finalità, ed efficacia del Registro delle Imprese è tutta di diritto privato
sostanziale” e concerne atti o attività e non persone essendo la segnalazione
pubblicitaria destinata ad incidere nella sfera patrimoniale degli individui e dunque
sulla loro attività non a produrre quelli della “conoscibilità legale” che prescinde
“dalla esistenza della circostanza che ne è oggetto”. Nel caso in cui un atto vada
iscritto nel Registro delle Imprese con efficacia dichiarativa ,ex art. 2193, una tale
segnalazione viene ad incidere nella sfera dei diritti con riguardo alla protezione
degli stessi e alla regolazione del traffico, in un equo contemperamento delle
esigenze di certezza con il principio della tutela della buona fede. Quanto alla
trascrizione dell’atto ricognitivo ,ai sensi dell’art.2643 e non già dell’art.2648 ,non
vediamo perché dopo aver puntualizzato che ,nel caso, il trasferimento in capo ai
soci opera in maniera “assimilabile” ,seppur con caratteristiche sue proprie, alla
successione mortis causa, se ne invochi una applicazione di stretto diritto, per
quanto concerne le regole sulla trascrizione del trasferimento. Non concordiamo
altresì , sulla distinzione proposta dall’Autore ,nella disciplina del trasferimento dei
cespiti residui, tra inclusione o non inclusione nel bilancio finale di liquidazione degli
stessi , al fine di determinarne il trasferimento in capo ai soci ovvero l’obbligo del
ricorso alla cancellazione della cancellazione della società e la sua riviviscenza a fini
liquidatori ai fini di tutela dei creditori sociali. Tutto si regge sulla espressione recata
dall’art.2495, che limita la responsabilità dei soci nei confronti dei creditori alle sole
somme riscosse in base al bilancio finale di liquidazione. A nostro avviso una tale
disposizione, letta con gli occhiali dell’estensore della Sentenza della Cassazione
criticata dal nostro Autore, vale per “ delle attività assegnate ai soci”. Fissa cioè il
principio secondo il quale, volta cancellata in via defintiva la società, e dunque
estinti i rapporti che le facevano capo, è dato ai creditori di rivalersi nei confronti
dei soci nei limiti di quanto loro attribuito e in sede di liquidazione e in sede di
attribuzione del residuo. D’altro canto è bensì vero che le norme in materia
societaria concernenti la personalità giuridica e dunque la sua estinzione riguardano
rapporti tra uomini in carne ed ossa, non personificazioni artificiali. E’ coerente con
questo assunto pensare, che volta estinto l’Ente ,venga meno la distinzione tra
patrimoni separati, quelli dei soci e della persona giuridica estinta. Corollario di
questo assunto è il fatto di porre in capo ai soci, nei limiti di tutte le attività loro
assegnate a titolo di rimborso dei conferimenti, una responsabilità personale ,in
quanto agli stessi non è più dato avvalersi dello schermo societario .La soluzione
prospettata dall’Autore quella della cancellazione della cancellazione, in odio ad una
visione antropomorfica della società ci consente una nota ilare. Presa per
esorcizzare effetti della estinzione della società paragonabili a quelli della morte
della persona fisica, se ne invoca, tramite cancellazione dell’ intervenuto trapasso
la…resurrezione. Un vero atto di fede che come ognun sa, non è di questo mondo.
Andrea Bortoluzzi